FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITÁ (2023)
O Dio, uno nella natura e trino nelle Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo, causa prima e fine ultimo di tutte le creature, Bene infinito, incomprensibile e ineffabile, mio Creatore, mio Redentore e mio Santificatore, io credo in Voi, spero in Voi e vi amo con tutto il cuore.
Voi nella vostra felicità infinita, preferendo, senza alcun mio merito, ad innumerevoli altre creature, che meglio di me avrebbero corrisposto ai vostri benefìci, aveste per me un palpito d’amore fin dall’eternità e, suonata la mia ora nel tempo, mi traeste dal nulla all’esistenza terrena e mi donaste la grazia, pegno della vita eterna.
Dall’abisso della mia miseria vi adoro e vi ringrazio. Sulla mia culla fu invocato il vostro Nome come professione di fede, come programma di azione, come meta unica del mio pellegrinaggio quaggiù; fate, o Trinità Santissima, che io mi ispiri sempre a questa fede ed attui costantemente questo programma, affinché, giunto al termine del mio cammino, possa fissare le mie pupille nei fulgori beati della vostra gloria.
[Fidelibus, qui festo Ss.mæ Trinitatis supra relatam orationem pie recitaverint, conceditur: Indulgentia trium annorum;
Indulgentia plenaria suetis conditionibus (S. Pæn. Ap.,10 maii 1941).
[Nel giorno della festa della Ss. TRINITA’, si concede indulgenza plenaria con le solite condizioni: Confessione [se impediti Atti di contrizione perfetta], Comunione sacramentale [se impediti, Comunione Spirituale], Preghiera secondo le intenzioni del S. Padre, S. S. GREGORIO XVIII]
Canticum Quicumque
(Canticum Quicumque * Symbolum Athanasium)
Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem:
Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, * absque dúbio in ætérnum períbit.
Fides autem cathólica hæc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur.
Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes.
Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spíritus Sancti:
Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coætérna majéstas.
Qualis Pater, talis Fílius, * talis Spíritus Sanctus.
Increátus Pater, increátus Fílius, * increátus Spíritus Sanctus.
Imménsus Pater, imménsus Fílius, * imménsus Spíritus Sanctus.
Ætérnus Pater, ætérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres ætérni, * sed unus ætérnus.
Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus imménsus.
Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, * omnípotens Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens.
Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus.
Ut tamen non tres Dii, * sed unus est Deus.
Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, * Dóminus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres Dómini, * sed unus est Dóminus.
Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: * ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur.
Pater a nullo est factus: * nec creátus, nec génitus.
Fílius a Patre solo est: * non factus, nec creátus, sed génitus.
Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: * non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens.
Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: * unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti.
Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil majus aut minus: * sed totæ tres persónæ coætérnæ sibi sunt et coæquáles.
Ita ut per ómnia, sicut jam supra dictum est, * et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit.
Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat.
Sed necessárium est ad ætérnam salútem, * ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Jesu Christi fidéliter credat.
Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, * quia Dóminus noster Jesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est.
Deus est ex substántia Patris ante sǽcula génitus: * et homo est ex substántia matris in sǽculo natus.
Perféctus Deus, perféctus homo: * ex ánima rationáli et humána carne subsístens.
Æquális Patri secúndum divinitátem: * minor Patre secúndum humanitátem.
Qui licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus.
Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum.
Unus omníno, non confusióne substántiæ, * sed unitáte persónæ.
Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo: * ita Deus et homo unus est Christus.
Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: * tértia die resurréxit a mórtuis.
Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: * inde ventúrus est judicáre vivos et mórtuos.
Ad cujus advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis; * et redditúri sunt de factis própriis ratiónem.
Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam: * qui vero mala, in ignem ætérnum.
Hæc est fides cathólica, * quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.
MESSA
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani,
comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Doppio di I° classe. – Paramenti bianchi.
Lo Spirito Santo, il cui regno comincia con la festa di Pentecoste, viene a ridire alle nostre anime in questa seconda parte dell’anno (dalla Trinità all’Avvento – 6 mesi), quello che Gesù ci ha insegnato nella prima (dall’Avvento alla Trinità – 6 mesi). Il dogma fondamentale al quale fa capo ogni cosa nel Cristianesimo è quello della SS. Trinità, dalla quale tutto viene (Ep.) e alla quale debbono ritornare tutti quelli che sono stati battezzati nel suo Nome (Vang.). Così, dopo aver ricordato, nel corso dell’ano, volta per volta, pensiero di Dio Padre Autore della Creazione, di Dio Figlio Autore della Redenzione, di Dio Spirito Santo, Autore della nostra santificazione, la Chiesa, in questo giorno specialmente, ricapitola il grande mistero che ci ha fatto conoscere e adorare in Dio l’Unità di natura nella Trinità delle persone (Or.). — « Subito dopo aver celebrato l’avvento dello Spirito Santo, noi celebriamo la festa della SS. Trinità nell’officio della Domenica che segue, dice S. Ruperto nel XII secolo, e questo posto è ben scelto perché subito dopo la discesa di questo divino Spirito, cominciarono la predicazione e la credenza, e, nel Battesimo, la fede e la confessione nel Nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo ». Il dogma della SS. Trinità è affermato in tutta la liturgia. È in Nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo che si comincia e si finisce la Messa e l’Ufficio divino, e che si conferiscono i Sacramenti. Tutti i Salmi terminano col Gloria Patri, gli Inni con la Dossologia e le Orazioni con una conclusione in onore delle tre Persone divine. Nella Messa due volte si ricorda che il Sacrificio è offerto alla SS. Trinità. — Il dogma della Trinità risplende anche nelle Chiese: i nostri padri amavano vederne un simbolo nell’altezza, larghezza e lunghezza mirabilmente proporzionate degli edifici; nelle loro divisioni principali e secondarie: il santuario, il coro, la navata; le gallerie, le trifore, le invetriate; le tre entrate, le tre porte, i tre vani, il frontone (formato a triangolo) e, a volte le tre torri campanili. Dovunque, fin nei dettagli dell’ornato il numero ripetuto rivela un piano prestabilito, un pensiero di fede nella SS. Trinità. — L’iconografia cristiana riproduce, in differenti maniere questo pensiero. Fino al XII secolo Dio Padre è rappresentato da una mano benedicente che sorge fra le nuvole, e spesso circondata da un nimbo: questa mano significa l’onnipotenza di Dio. Nei secoli XIII e XIV si vede il viso ed il busto del Padre; dal secolo XV il Padre è rappresentato da un vegliardo vestito come il Pontefice. — Fino al XII secolo Dio Figlio è rappresentato da una croce, da un agnello o da un grazioso giovinetto come i pagani rappresentavano Apollo. Dal secolo XI al XVI secolo apparve il Cristo nella pienezza delle forze e barbato; dal XIII secolo porta la sua croce, ma spesso ancora è rappresentato dall’Agnello. — Lo Spirito Santo fu dapprima rappresentato da una colomba le cui ali spiegate spesso toccano la bocca del Padre e del Figlio, per significare che procede dall’uno e dall’altro. A partire dall’XI secolo fu rappresentato per questo sotto forma di un fanciullino. Nel XIII secolo è un adolescente, nel XV un uomo maturo come il Padre e il Figlio, ma con una colomba al di sopra della testa o nella mano per distinguerlo dalle altre due Persone. Dopo il XVI secolo la colomba riprende il diritto esclusivo che aveva primieramente di rappresentare lo Spirito Santo. — Per rappresentare la Trinità si prese dalla geometria il triangolo, che con la sua figura, indica l’unità divina nella quale sono iscritti i tre angoli, immagine delle tre Persone in Dio. Anche il trifoglio servì a designare il mistero della Trinità, come pure tre cerchi allacciati con il motto Unità scritto nello spazio lasciato libero al centro della intersezione dei cerchi; fu anche rappresentata come una testa a tre facce distinte su un unico capo, ma nel 1628 Papa Urbano VIII proibì di riprodurre le tre Persone in modo così mostruoso. — Una miniatura di questa epoca rappresenta il Padre ed il Figlio somigliantissimi, il medesimo nimbo, la medesima tiara, la medesima capigliatura, un unico mantello: inoltre sono uniti dal Libro della Sapienza divina che reggono insieme e dallo Spirito Santo che liunisce con la punta delle ali spiegate. Ma il Padre è più vecchio del Figlio; la barba del primo è fluente, del secondo è breve; il Padre porta una veste senza cintura e il pianeta terrestre; il Figlio ha un camice con cintura e stola poiché è Sacerdote. — La solennità della SS. Trinità deve la sua origine al fatto che le Ordinazioni del Sabato delle Quattro Tempora si celebravano la sera prolungandosi fino all’indomani, domenica, che non aveva liturgia propria. — Come questo giorno, così tutto l’anno è consacrato alla SS. Trinità, e nella prima Domenica dopo Pentecoste viene celebrata la Messa votiva composta nel VII secolo in onore di questo mistero. E poiché occupa un posto fisso nel calendario liturgico, questa Messa fu considerata costituente una festa speciale in onore della SS. Trinità. Il Vescovo di Liegi, Stefano, nato verso l’850, ne compose l’ufficio che fu ritoccato dai francescani. Ma ebbe vero principio, questa festa, nel X secolo e fu estesa a tutta la Chiesa da Papa Giovanni XXI nel 1334. — Affinché siamo sempre armati contro ogni avversità (Or.), facciamo in questo giorno con la liturgia professione solenne di fede nella santa ed eterna Trinità e sua indivisibile Unità (Secr.).
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.
V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Tob XII: 6.
Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam.
[Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.]
Ps VIII: 2
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in univérsa terra!
[O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!]
Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam. [Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.]
Kyrie
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
Gloria
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.
Oratio
Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui dedísti fámulis tuis in confessióne veræ fídei, ætérnæ Trinitátis glóriam agnóscere, et in poténtia majestátis adoráre Unitátem: quaesumus; ut, ejúsdem fídei firmitáte, ab ómnibus semper muniámur advérsis.
[O Dio onnipotente e sempiterno, che concedesti ai tuoi servi, mediante la vera fede, di conoscere la gloria dell’eterna Trinità e di adorarne l’Unità nella sovrana potenza, Ti preghiamo, affinché rimanendo fermi nella stessa fede, siamo tetragoni contro ogni avversità.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom XI: 33-36.
“O altitúdo divitiárum sapiéntiæ et sciéntiæ Dei: quam incomprehensibília sunt judícia ejus, et investigábiles viæ ejus! Quis enim cognovit sensum Dómini? Aut quis consiliárius ejus fuit? Aut quis prior dedit illi, et retribuétur ei? Quóniam ex ipso et per ipsum et in ipso sunt ómnia: ipsi glória in sæcula. Amen”.
[O incommensurabile ricchezza della sapienza e della scienza di Dio: come imperscrutabili sono i suoi giudizii e come nascoste le sue vie! Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi gli fu mai consigliere? O chi per primo dette a lui, sí da meritarne ricompensa? Poiché da Lui, per mezzo di Lui e in Lui sono tutte le cose: a Lui gloria nei secoli. Amen.]
P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.
(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)
DIO È CARITÀ.
La gloria del Cristianesimo, della Rivelazione cristiana, che ha per oggetto suo primo Dio, è di avere saputo e di saper parlare alla nostra mente e al nostro cuore, appagando i due supremi bisogni dell’anima, sapere e amare. Ce n’è per le intelligenze più aristocratiche, ce n’è per i cuori più umili, quelle si arrestano pensose, questi si fermano giocondi. Oggi l’Epistola della domenica ha una parola delle più sublimi e delle più consolanti. Dio è carità: «Deus charitas est». Dio è un fuoco, una promessa, un suono infinito di amore, di bontà, di carità. La carità è il suo attributo, per noi Cristiani più alto, più caratteristico. Vedete, o fratelli, le armonie mirabili del dogma, della morale di N. S. Gesù Cristo. La carità è il grande comandamento della sua Legge, così grande che può parere e dirsi in qualche modo il solo: in realtà riassume, compendia in sé tutti gli altri. È « preceptum magnum in lege ». Bisogna amar Dio e tutti quelli e tutto ciò che Egli desidera vedere amato da noi. Amare Dio! Che gran parola! Se Dio permettesse all’uomo di amarlo, pensando quanto Egli è grande, quanto noi siamo piccini, dovremmo riguardarlo come una concessione straordinaria da parte di Dio. Ebbene, no, Dio non ci permette: Egli ci comanda di volerGli bene, come figli al Padre, come amici all’Amico. Ma noi Gli dobbiamo voler bene, perché (ecco il dogma) Egli è buono, anzi è la stessa bontà, una bontà non contegnosa, non fredda, una bontà calda, espansiva: è carità. Questo dogma corrisponde a quel precetto: nel precetto si raccoglie tutta la morale, in quel precetto e in questo dogma si compendia la storia dogmatica dei rapporti di Dio con noi. La carità è la chiave della Creazione, della Redenzione, della Santificazione. Noi siamo da tanti secoli ormai abituati a sentirci predicare questo ritornello: Dio è carità, che rimaniamo quasi indifferenti. Ma quei primi che raccolsero queste parole dalle labbra di Gesù e poi dagli Apostoli, ne rimasero estatici. Per secoli i Profeti avevano con una commossa eloquenza celebrato la grandezza di Dio e la Sua giustizia. Certo non avevano dimenticato la misericordia, attributo troppo prezioso perché nella sinfonia profetica potesse mancare. Ma la grande predicazione profetica era la predicazione della grandezza e della giustizia: volevano incutere il timore di Dio in quel popolo dalla dura cervice e dal cuore incirconciso. E parve una musica nuova e dolce questa del Figlio di Dio, di Gesù: Dio è bontà, è amore, è carità: vuole essere amato. E lo so, e l’ho detto e lo ripeto: al ritornello ci abbiamo fatto l’orecchio. Ma siamo noi ben convinti di questo dogma? Crediamo noi davvero, crediamo noi sempre alla bontà di Dio? Purtroppo l’amara interrogazione ha la sua ragion d’essere. Perché crederci davvero vuol dire amare Dio fino alla follia come facevano i Santi, e ciò è più difficile in certi momenti oscuri della vita, è un po’ difficile sempre. La carità di Dio è anch’essa misteriosa come sono misteriosi tutti gli attributi di Dio, dato che Dio stesso è mistero. – Oggi la Chiesa ce lo ricorda celebrando la SS. Trinità, il primo mistero della nostra fede, e cantando con le parole di Paolo: « O altitudo divitiarum sapientiæ et scientiæ Dei! » – Dio è un abisso dove la ragione da sola si smarrisce, guidata dalla fede cammina quanto quaggiù è necessario ed è possibile, come chi tra le tenebre ha una piccola, fida lucerna. È un abisso, è un mistero anche l’amore di Dio. Dobbiamo accettarlo, crederlo. Perciò l’Apostolo definisce i Cristiani così: gli uomini che hanno creduto e credono alla carità di Dio. « Nos credidimus charitati ». Ma credendo, e solo credendo a questo mistero della bontà, della carità di Dio per noi, per tutti, ci si rischiara il buio che sarebbe altrimenti atroce della nostra povera esistenza: ci si illumina quel sovrano dovere di amare anche noi il nostro prossimo che renderebbe tanto meno triste il mondo e la vita se noi ne fossimo gli esecutori fedeli. Il Dio della carità accenda nei nostri cuori la Sua fiamma e faccia splendere ai nostri sguardi la Sua luce!
Graduale
Dan III: 55-56. Benedíctus es, Dómine, qui intuéris abýssos, et sedes super Chérubim.
[Tu, o Signore, che scruti gli abissi e hai per trono i Cherubini.]
Alleluja
Benedíctus es, Dómine, in firmaménto cæli, et laudábilis in sæcula. Allelúja,
[V.Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, alleluia.]
Dan III: 52 V. Benedíctus es, Dómine, Deus patrum nostrórum, et laudábilis in sæcula. Allelúja. Alleluja.
[Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, allelúia]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum. Matt XXVIII: 18-20
“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Data est mihi omnis potéstas in coelo et in terra. Eúntes ergo docéte omnes gentes, baptizántes eos in nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti: docéntes eos serváre ómnia, quæcúmque mandávi vobis. Et ecce, ego vobíscum sum ómnibus diébus usque ad consummatiónem sæculi”.
« Gesù disse a’ suoi discepoli: Ogni potere mi fu dato in cielo ed in terra: andate adunque, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro di osservare tutte le cose, che io vi ho comandate: ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino al termine del secolo ».
OMELIA
(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.
LA DOMENICA È IL GIORNO DELLA SANTISSIMA TRINITÀ
Gli undici Apostoli camminavano verso la Galilea: le pie donne avevano detto a loro che Gesù li avrebbe attesi colà. Arrivarono. Dall’alto d’una collina, grande solenne ardente nel volto apparve a’ suoi Apostoli Gesù. « A me fu data ogni potestà in cielo e in terra; andate, istruite, battezzate tutte le genti: nel Nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo ». – Ecco il Mistero principale della nostra Fede, di cui la Chiesa celebra in questo giorno la festa solenne. Uno solo è Dio, ma in tre Persone, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Né, tra loro, si devono confondere le divine Persone, poiché altra è la Persona del Padre, altra quella del Figlio, altra quella dello Spirito Santo. Eppure, le tre divine Persone non hanno che un’unica e medesima natura, e le medesime perfezioni. Come immenso è il Padre, così immenso è il Figlio, così immenso è lo Spirito Santo. Come eterno è il Padre, così eterno è il Figlio, così eterno è lo Spirito Santo. Come Dio è il Padre, così Dio è il Figlio, così Dio è lo Spirito Santo. E tuttavia non vi sono tre Dei, ma uno è Iddio. S. Bernardo scriveva ad Eugenio Papa: « Tu domanderai forse come ciò sia possibile? Non domandarlo: ti basti credere che è così. Scrutare questo mistero è una temerità, crederlo invece è pietà. Conoscerlo sarà possibile solo nella vita eterna ». Sufficiat tibi credere sic esse. Credere nella santissima Trinità significa onorarla. E l’onore più grande che possiamo rendere a Dio è quello di santificare il giorno a Lui consacrato: la Domenica. Tre cose sono necessarie per santificare la domenica: astenersi dalle opere servili, rifuggire dai mondani e pericolosi divertimenti, praticare le opere di pietà. Coll’astensione dal lavoro noi rendiamo gloria a Dio Padre, che nella creazione del mondo lavorò per sei giorni, e al settimo riposò. Col rifuggire dai divertimenti illeciti, e da ogni occasione di peccato, noi rendiamo gloria a Dio Figlio, che per redimerci dal peccato, s’incarnò, patì e morì. Con le pratiche di pietà santificando l’anima nostra, noi rendiamo gloria a Dio Spirito Santo, che è il Santificatore delle anime. – 1. RIPOSO FESTIVO. Dio aveva chiamato Mosè sopra la vetta del monte. Era la vetta del monte circondata da una densa nube, da cui tratto tratto guizzavano lunghissimi lampi. Tutto il popolo invece, raccolto alle falde, tremava aspettando il ritorno di Mosè. Il Signore intanto diceva a Mosè: « Parla ai figli d’Israele e dirai loro: Custodite il mio sabato: chiunque lo profanerà, sarà punito di morte » (Es., XXXI, 14). E difatti quando, in giorno di sabato, si colse un uomo ad ammassar legna, fu trascinato fuori dall’abitato, e là, per ordine di Mosè e d’Aronne, venne lapidato da tutto il popolo. Quello che nell’antica legge, per gli Israeliti era il sabato, nella nuova legge è la Domenica per noi Cristiani. Ma perché Iddio comanda all’uomo di riposare durante questo giorno? Per insegnarci che l’uomo non è una macchina, non è una bestia. Le macchine lavorano e lavorano fin tanto che sono guaste e poi si gettano tra i rottami: ma le macchine sono state fatte per lavorare, l’uomo invece è stato creato per conoscere, amare, servire Dio. Le bestie lavorano tutto il giorno, e dopo che hanno lavorato e mangiato non possono desiderare altro: ma le bestie non hanno un’anima immortale. L’uomo invece ce l’ha: e deve pensare che la sua vita non finisce quaggiù e deve conquistarsi il Paradiso se non vuol cadere per sempre all’inferno. Ora com’è possibile che l’uomo pensi a tutto questo, se non ha un giorno libero, ma sempre è condannato a sudare tra i solchi, o tra le macchine d’un’officina, o tra i commerci, o negli uffici? So bene che molti Cristiani sanno trovare mille pretesti per violare il riposo festivo: è un lavoro urgente; c’è di mezzo un grosso guadagno; è la qualità del mio mestiere; è la miseria… Ma se poi si va in fondo a tutte queste scuse, una sola è la ragione di profanare la festa col lavoro: l’avarizia. A costoro io ricordo le parole del Santo Curato d’Ars: « Conosco due mezzi per precipitare alla rovina: rubare e lavorar in festa ». – 2. FUGGIRE IL PECCATO. Antioco, volendo distruggere Gerusalemme, vi mandò l’odioso capitano Apollonio, con un esercito di ventiduemila uomini e con l’ordine di ammazzare gli adulti, di vendere le donne e i giovinetti. Apollonio entrò nella città, ma simulando pace vi stette alcuni giorni tranquillamente, aspettando il giorno di festa quando tutto il popolo con le donne e i fanciulli sarebbe uscito fuori allegramente per le vie e le piazze a godere lo spettacolo dei suoi soldati. Nell’ora in cui la ressa era più fitta, improvvisamente, ad un cenno del capitano, tutti i soldati si scagliarono sulla gente convenuta, e scorrendo la città la riempiono di morti e di sangue (II Macc., V, 24-26). Questo macello di corpi è figura di un altro macello più tremendo: quello delle anime, che il demonio compie tutte le feste, in ogni paese, in ogni città. Ed ecco tutta la gioventù che non aspetta che la Domenica per riversarsi nei campi sportivi, nei teatri, nei balli. La Religione cristiana non è così severa da negare, dopo una settimana di fatica dura, qualche sollievo nel giorno di festa. Ma purtroppo, non è il sollievo del corpo e dell’anima che essi cercano, ma il peccato. Essi cercano la promiscuità dei sessi, cercano relazioni disoneste, cercano il pascolo dei loro sensi, cercano l’offesa di Dio. Quand’è che si bestemmia di più? alla domenica. Quand’è che più frequentemente si prende l’ubriachezza? alla domenica. Quand’è che le donne ostentano di più una moda vergognosa e scandalosa? Alla domenica! Quand’è che si danno appuntamenti pericolosi, che si frequentano ritrovi mondani, che si sciupa nel gioco il sostentamento della famiglia? alla domenica. Dunque è così che i Cristiani santificano la festa? A che vale astenersi dalle opere servili, quando ci abbandoniamo al peccato che è l’opera più servile che l’uomo possa fare? Quì facit peccatum servus est peccati. Chi fa il peccato è schiavo del peccato. Quando i nemici di Gerusalemme videro le feste dei Giudei, risero di compassione e di disprezzo: Viderunt hostes sabbata eius et deriserunt (Ger., I, 7). Ma il demonio vedendo le nostre feste, o Cristiani, ride di gioia. Non è più la domenica il giorno del Signore, ma il suo giorno; non si onora più Iddio, ma lui, il nostro nemico orribile! – 3. LE OPERE DI PIETÀ. Mancavan sei giorni a Pasqua e Gesù mangiava in casa di Lazzaro il risuscitato, insieme ai suoi discepoli. Maria, sospinta dall’amore e dalla gratitudine, prese il vaso colmo d’unguento preziosissimo e lo ruppe sui piedi del Maestro divino: tutta la sala fu piena di profumo. Allora, Giuda Iscariota dall’occhio fosco in cui vagava già l’ombra del tradimento, disse: « Perché sciupare un profumo che poteva valere trecento danari?… ». Come fu stolto Giuda! ha stimato fino a trecento danari poche stille d’unguento, e poi offrirà il suo Dio al prezzo di trenta monete, ed anche a meno. Non facciamo forse così anche noi? Apprezziamo assai i campi, le biade, le bestie, i vestiti e poi, senza scrupolo, perdiamo la S. Messa anche in giorno di Domenica. Oh! se sapessimo che tesoro è la S. Messa, ben volentieri preferiremmo perdere ogni altra cosa, ma non questa! Ben volentieri sacrificheremmo qualsiasi affare, qualsiasi passeggiata, qualsiasi compagnia, ma non la S. Messa. Non crediate però che tutte le pratiche di pietà con le quali dobbiamo santificare la festa si riducano tutte a una Messa, forse sentita male e non interamente: oh non basta! C’è ancora la dottrina cristiana: perché v’è tanto male nel mondo? Perché non si conosce più il Catechismo, non lo si studia più. Molti credono di supplire alla spiegazione della dottrina con una visita al cimitero. Credetelo: i nostri morti, in quel momento, sarebbero più contenti e più sollevati se ci sapessero in Chiesa, attenti alla dottrina cristiana. – Infine, per ben santificare le Domeniche ci sono i santi Sacramenti della Confessione e della Comunione. Beate le anime che ogni festa si accostano a questi Sacramenti; esse hanno compreso come si onora il Signore. – A Costantinopoli era scoppiata una grave peste: ogni giorno centinaia di persone, colpite dal male, stramazzavano per le vie, sulle piazze, nelle case; e senza cure e senza conforti morivano. S’era ricorso a tutti i rimedi, invano. S’erano fatte pubbliche preghiere, e penitenze, invano. Quando un fanciullo buono, rapito in visione, vide gli Angeli che gli insegnarono a cantare un inno meraviglioso alla SS. Trinità. Il fanciullo corse in mezzo al popolo, disse la mirabile visione, insegnò a tutti l’inno. Come fu cantato, subito la peste cessò. Quanti mali, o Cristiani, affliggono la nostra vita! Forse è la miseria, forse è la malattia, forse è la calunnia… Una nuova peste fa strage nel popolo cristiano: la peste dell’immoralità. Ebbene, per scampare da tutte queste sciagure, è necessario elevare un inno meraviglioso alla SS. Trinità: quello della santificazione della festa. Sia gloria al Padre, col riposo dalle opere servili. Sia gloria al Figlio con la fuga del peccato. Sia gloria allo Spirito Santo, con le opere di pietà. Ogni benedizione verrà data a coloro che santificano così la festa: « La pioggia scenderà nel tempo buono; la terra produrrà in abbondanza; gli alberi saranno carichi di frutti; io benedirò voi e i vostri figliuoli » (Levit., XXVI, 3-5). — CREDERE LA SANTISSIMA TRINITÀ. Il patriarca Abramo, nelle sue lunghe peregrinazioni, vide sovente Iddio. Un meriggio afoso, nella valle di Mambre, mentre godeva il fresco delle querce seduto sulla soglia della sua tenda, vide venire il Signore: Apparuit Dominus. Erano tre Persone ferme, non lontane da lui. Tres viri stantes. Abramo corse incontro, e sì buttò per terra, davanti a loro, adorando: Signore, se ho trovato grazia a’ tuoi occhi, non passarmi oltre! ». Misterioso parlare! Il vecchio amico di Dio che conosceva molti misteri, non divide i suoi omaggi, ma parla come fossero uno solo: vedeva tre Persone e adorava un Dio solo. E veramente uno è Dio, in tre Persone uguali e distinte. La nostra mente si confonde. E se anche avessimo la mente degli Angeli non ci capiremmo ancora: Dio abita una luce inaccessibile. Ma è appunto non comprendendo che riconosciamo che Egli è il nostro Dio e noi siamo la povera sua creatura che curva la fronte fino a terra come il vecchio Abramo, e crede. Dio l’ha detto, che non può mentire. La Chiesa l’insegna, che non può sbagliare. I nostri padri, da due mila anni, credono. E noi pure crediamo. Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto! La fede nel mistero principale, è il sacrificio più gradito a Dio. È l’atto che ci ottiene i più grandi favori. – 1. È IL SACRIFICIO PIÙ GRADITO A DIO. Nell’Antico Testamento, quando l’uomo era ancora rozzo nello spirito, Dio si lasciava onorare col sacrificio di qualche animale che veniva, sull’altare, immolato in adorazione e in espiazione. Ma nel Salmo XLIX, Dio, apertamente, dice che non sono questi i sacrifici graditi: « … non gradirò i vitelli delle tue stalle, né i capretti del tuo gregge: possiedo già tutte le belve della foresta e tutte le mandrie pascenti sul monte, e i buoi. Son miei perfino gli uccelli del cielo e i frutti della terra. E se anche sentissi fame, non avrei bisogno di mendicare da te: mia è tutta la terra, mia è ogni cosa sulla terra. Ma dovrò io mangiar carne di toro e ber sangue di agnello? A Dio offri un sacrificio di lode ». — Immola Deo sacrificium laudis. E quel sacrificio può rendere a Dio una gloria maggiore di quello della nostra intelligenza che, pur non comprendendo, crede sull’autorità di Dio? La nostra mente ha l’istinto di sapere il perché di ogni cosa e non s’acquieta sentendo da un altro, ma vuol essa vedere e provare. Nulla di questo è possibile davanti al mistero della Trinità; la nostra mente si perde, come una fiammella a petrolio sotto ai torrenti di luce che cadono dal sole in piena estate. Eppure Dio l’ha rivelato: Egli è uno e trino, e bisogna credere, altrimenti si perde l’anima. Quando ci dicono che Dio è Creatore, non ci è duro ammetterlo perché vediamo le cose create. Quando ci dicono che Dio è giusto, non ci è duro ammetterlo perché talvolta perfino gli uomini sono giusti. Quando ci dicono che Dio s’è fatto un uomo come noi, la nostra ragione sa trovare buoni argomenti di convenienza, tra cui quello dell’infinita bontà di Dio che ama comunicarsi alle sue creature. – Ma quando ci dicono che c’è un Dio solo in tre Persone: quando ci dicono che il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio, eppure non sono tre Dei, la nostra mente non vede più nulla, non una esperienza, non una chiara analogia, non un motivo di convenienza. E non è assurdo: ma è realtà: la grande realtà di Dio. E credendo, la mente nostra sacrifica tutta se stessa in ossequio a Dio rivelante e compie il vero sacrificio di lode che Dio vuole dai Cristiani nel Nuovo Testamento e si unisce agli Angeli visti dal profeta che con occhi coperti dall’ali cantano: « Santo! Santo! Santo! ». – Dio, un giorno, volle provare Abramo col domandargli un sacrificio eroico. E Abramo prese il suo figlio, l’unico, e s’accingeva a sacrificarlo al Signore sulla vetta del monte. E già vibrava il colpo, quando Iddio, commosso, gli fermò la mano e lo volle premiare con una generosità non meno grande di quella che Abramo aveva avuto con Lui. « Perché tu hai fatto questo e non risparmiavi neppure il tuo unigenito, moltiplicherò la tua generazione, ti colmerò di bene, ti farò il più ricco e il più potente sulla terra ». Iddio, rivelandoci in questa vita il mistero della SS. Trinità, vuol prendersi una prova della nostra fedeltà a Lui, della stima che ne abbiamo. Abramo ubbidì a Dio anche allora che il comando ripugnava alla sua natura. Noi dobbiamo credere a Dio anche quando le sue rivelazioni sono incomprensibili alla nostra ragione, e ne avremo un gran premio. « Poiché tu hai creduto a un mistero molto superiore a te e a ogni idea d’uomo, poiché tu m’hai sacrificato il tuo unigenito, cioè la tua ragione, io ti riempirò di grazie, moltiplicherò i meriti delle tue orazioni, ti santificherò, ti glorificherò ». E la generosità di Dio Uno e Trino riempie tutta la vita del credente. Incomincia dal Battesimo: …io ti battezzo nel Nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo: l’uomo da schiavo diventa libero; da nudo diventa ricco, da figlio del peccato diventa figlio di Dio e Suo erede. Prosegue nella Cresima: …io ti confermo col crisma della salute nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: e l’uomo da gracile creatura diventa un terribile soldato contro i nemici spirituali. Continua nella Penitenza: …io ti assolvo nel Nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo ed è per virtù di queste tre Persone divine, è per la fede nella loro unità e trinità che sparisce ogni colpa e ritorniamo innocenti. Ma ogni nostra azione, anche le più comuni, come il camminare, lavorare, mangiare, giocare, diventano sante e meritorie se fatte nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. E quando ci troveremo sul letto di morte, agli ultimi momenti della nostra vita, con quali voti e con quali nomi il Sacerdote conforterà la desolata anima nostra, al fatale passaggio? Col Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Proficiscere, anima christiana! Parti, anima cristiana, in Nome del Padre che ti ha creata, in Nome del Figlio che ti ha redenta, in Nome dello Spirito Santo che ti ha santificata. E i demoni, che ci aspettavano in agguato a quel varco pericoloso, fuggiranno, mentre verranno gli Angeli a raccogliere la tremante anima nostra, per presentarla a Dio. — O Signore! — pregherà intanto il prete nell’ultima raccomandazione, — è per un povero peccatore che io imploro la tua clemenza; la sua vita non fu immune da debolezze e da cadute; tuttavia non negò il Padre il Figlio, lo Spirito Santo, ma credette. Licet enim peccaverit, tamen Patrem et Filium et Spiritum Sanctum non negavit sed credidit. Oh, come vorremo allora aver ripetuto sovente, con amore e con fede, questi Nomi divini! – Un santo eremita s’era fatto costruire in una solitudine un’alta colonna, sulla cui cima visse molti anni. E là, in alto, sopra la terra cattiva, proteso verso il cielo sereno, non faceva altro che ripetere: « Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo! ». Se tutte le volte che abbiamo recitato il « Gloria » l’avessimo detto col rispetto e con la fede di quell’anacoreta, quanti meriti avremmo accumulato per il cielo! Quanti meriti, se ogni nostra azione l’avessimo cominciata e finita nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo!
Offertorium
Orémus
Tob XII: 6. Benedíctus sit Deus Pater, unigenitúsque Dei Fílius, Sanctus quoque Spíritus: quia fecit nobíscum misericórdiam suam.
[Benedetto sia Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]
Secreta
Sanctífica, quæsumus, Dómine, Deus noster, per tui sancti nóminis invocatiónem, hujus oblatiónis hóstiam: et per eam nosmetípsos tibi pérfice munus ætérnum.
[Santífica, Te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, per l’invocazione del tuo santo Nome, l’ostia che Ti offriamo: e per mezzo di essa fai che noi stessi Ti siamo eterna oblazione.]
Præfatio de sanctissima Trinitate
… Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in unius singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre cotídie, una voce dicéntes:
[…veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola Persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]…
Sanctus,
Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt coeli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.
Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:
Pater noster
qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.
Agnus Dei
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.
Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
Communio
Tob XII:6. Benedícimus Deum coeli et coram ómnibus vivéntibus confitébimur ei: quia fecit nobíscum misericórdiam suam.
[Benediciamo il Dio dei cieli e confessiamolo davanti a tutti i viventi: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]
Postcommunio
Orémus.
Profíciat nobis ad salútem córporis et ánimæ, Dómine, Deus noster, hujus sacraménti suscéptio: et sempitérnæ sanctæ Trinitátis ejusdémque indivíduæ Unitátis conféssio.
[O Signore Dio nostro, giòvino alla salute del corpo e dell’ànima il sacramento ricevuto e la professione della tua Santa Trinità e Unità.
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)