Sua Santità in questa lettera illustra ancora una volta la necessità di formare nelle Indie orientali, dei Sacerdoti locali che diffondano e mantengano vivo il culto e la dottrina cristiana. Questa opera di evangelizzazione sarebbe necessaria nella nostra vecchia Europa ed in tutto il mondo Occidentale oggi apostata dalla fede cattolica tradizionale ed immerso in un paganesimo pratico di stampo luciferino guidato verso lo stagno di fuoco eterno da un falso e corrotto clero formatosi, nelle alte cariche, nelle logge massoniche, o nel modernismo più spinto che promuove i vizi e le aberrazioni più infami. In attesa che torni il Signore con degni ed autentici suoi servi a salvezza dei popoli tutti, chiediamo che Dio mandi operai nella messe abbondante si, ma devastata da errori morali e dottrinali tanto da richiedere un vero reset teologico e sociale che riporti l’umanità nei retti sentieri del regno di Dio. Che la Vergine Maria interceda per tutti i suoi figli del Corpo mistico di Cristo oggi ridotto a quel pusillus grex annunziato per i nostri tempi dal Vangelo di S. Luca.
Leone XIII
Ad extremas Orientis oras
Lettera Enciclica
Istituzione di collegi per chierici nelle Indie orientali
24 giugno 1893
Alle più lontane regioni d’Oriente, esplorate con successo dai valorosi portoghesi, alle quali tanti cercano di giungere ogni giorno per esercitarvi i loro ricchi commerci, Noi pure, mossi da una speranza assai più alta, fin dall’inizio del Nostro pontificato abbiamo rivolto la mente e il pensiero. – Si presentano al Nostro animo e suscitano in Noi un sentimento di amore quegli immensi spazi delle “Indie”, nei quali, da tanti secoli ormai, si esercita la fatica degli annunciatori dell’Evangelo, e fra i primi viene in mente il beato apostolo Tommaso, che a buon diritto è considerato l’autore della prima proclamazione dell’Evangelo agli indiani; e così pure Francesco Saverio che, per lungo tempo, si dedicò con ardore alla medesima opera gloriosa, riuscendo, grazie alla sua incredibile costanza e carità, a convertire centinaia di migliaia di indiani dai miti e dalle superstizioni impure del bramanesimo alla fede della retta Religione. Successivamente, seguendo le tracce di quel grande Santo, molti appartenenti ad entrambi gli ordini del clero, inviati con l’autorità della Sede Apostolica, hanno tentato con dedizione e tentano tuttora di difendere e promuovere le sacre verità e le istituzioni cristiane che Tommaso portò laggiù e che Saverio rinnovò. Tuttavia, in una così vasta distesa di terre quanto grande moltitudine di mortali è ancora lontana dal vero, immersa nelle tenebre di una deplorevole superstizione! Quanto terreno vi è, soprattutto verso settentrione, che potrebbe accogliere il seme dell’Evangelo, ma che non è stato ancora in nessun modo predisposto.
Considerando queste cose nel Nostro animo, riponiamo sì la più grande fiducia nella benignità e nella misericordia di Dio nostro Salvatore che è il solo a conoscere quando i tempi siano opportuni e maturi per diffondere la sua luce e che vuole sospingere le menti degli uomini sul retto cammino della salvezza col segreto soffio del celeste Spirito: ma pure, per quanto sta in Noi, vogliamo e dobbiamo dare il nostro contributo affinchè sì gran parte del mondo avverta qualche frutto delle Nostre veglie.
Con questo proposito, facendo attenzione se mai in qualche modo fosse possibile ordinare in maniera più adeguata e accrescere lo stato della Religione cristiana nelle Indie orientali, abbiamo preso con felice successo alcuni provvedimenti destinati a giovare in futuro alla sicurezza del Cattolicesimo. Innanzi tutto per quanto concerne il protettorato portoghese sulle Indie orientali, abbiamo sancito un patto solenne, con scambio di reciproche assicurazioni, col re fedelissimo di Portogallo e Algarve, e in seguito a ciò, tolte di mezzo le cause delle contese, sono cessati quei noti dissidi certamente non lievi che per tanto tempo avevano diviso gli animi dei Cristiani. Inoltre abbiamo giudicato cosa ormai matura e salutare che dalle singole comunità di Cristiani, che in precedenza avevano obbedito ai vicari o prefetti apostolici, si formassero delle vere e proprie diocesi, che avessero i loro propri Vescovi e fossero amministrate secondo il diritto ordinario. Perciò, con la lettera apostolica Humanae salutis, del 1° settembre 1886, è stata istituita in quelle regioni una nuova gerarchia, che risulta di otto province ecclesiastiche: quella di Goa, onorata del titolo patriarcale, quella di Agra, di Bombay, di Verapoli, di Calcutta, di Madras, di Pondichery, di Colombo. Infine tutto ciò che possiamo comprendere che sarà laggiù profittevole alla salvezza e gioverà a incrementare la pietà religiosa e la fede, ci sforziamo costantemente di compierlo per mezzo della Nostra Congregazione per la propagazione della fede cristiana. – Ma tuttavia resta una cosa, dalla quale dipende grandemente la salvezza delle Indie; e ad essa vogliamo che voi, venerabili fratelli, e quanti amano l’umanità e la Religione cristiana, facciate maggiormente attenzione. È evidente che l’integrità della fede cattolica in India è insicura, e incerta ne sarà la diffusione, finché mancherà un clero scelto fra gli “indigeni” bene preparati alle funzioni sacerdotali, che possano non solo essere di aiuto ai Sacerdoti stranieri, ma amministrare rettamente da se stessi la Religione cristiana nei loro paesi. Si tramanda che proprio questo pensiero assillasse Francesco Saverio che, a quanto si dice, era solito affermare che la Religione cristiana non potrà mai avere salde fondamenta in India, senza l’opera assidua di pii e valorosi Sacerdoti colà nati. E facilmente appare chiaro quanto acuta sia stata in ciò la sua vista. Infatti l’opera degli evangelizzatori europei è impedita da molti ostacoli, soprattutto dall’ignoranza della lingua locale, di cui è difficilissimo acquisire la conoscenza; e parimenti dalla stranezza delle istituzioni e dei costumi, ai quali non ci si abitua neppure in un lungo periodo di tempo: tanto che di necessità i chierici europei si aggirano colà come in terra straniera. E perciò, dal momento che a fatica la moltitudine si affida a gente straniera, è chiaro che assai più fruttuosa sarà l’opera di Sacerdoti indigeni.
A costoro infatti sono ben noti le propensioni, l’indole, i costumi del loro popolo: sanno qual è il momento di parlare e di tacere: infine, indiani quali sono, si aggirano senza alcuna diffidenza fra gli indiani: cosa questa di cui è appena il caso di dire qual sia il valore, soprattutto nelle situazioni critiche. – In secondo luogo bisogna avvertire che i missionari giunti da fuori sono troppo pochi per essere sufficienti a prendersi cura delle comunità cristiane ora esistenti. Questo emerge chiaramente dai registri delle missioni; ed è confermato dal fatto che le missioni indiane non cessano mai di invocare e richiedere insistentemente sempre nuovi annunciatori dell’Evangelo dalla Sacra Congregazione per la propagazione della fede cristiana. E se i Sacerdoti stranieri non sono in grado di prendersi cura delle anime neppure per il presente, come potrebbero farlo in futuro, una volta che fosse aumentato il numero dei Cristiani? E infatti non vi è speranza che cresca in proporzione il numero di quelli che l’Europa invia. Se dunque si desidera provvedere alla salvezza degli indiani e fondare la Religione cristiana con la speranza che duri a lungo in quelle immense regioni, è necessario scegliere fra gli indigeni coloro che siano in grado di assolvere compiti e doveri sacerdotali, dopo aver ricevuto una diligente preparazione. -In terzo luogo, non si deve trascurare un’eventualità, che certo è assai poco verosimile, ma che pure nessuno potrebbe negare che sia nell’ordine delle cose possibili; che cioè possano capitare, in Europa e in Asia, tempi tali che i Sacerdoti stranieri siano costretti da una violenta necessità ad abbandonare le Indie. E se ciò avvenisse, qualora mancasse un clero indigeno, come potrebbe salvarsi la Religione, non trovandosi alcun ministro dei sacri riti sacramentali né alcun maestro della dottrina? Su ciò è fin troppo eloquente la storia della Cina, del Giappone e dell’Etiopia. Infatti più di una volta in Giappone e in Cina, mentre odii e stragi minacciavano la Religione cristiana, la violenza dei nemici, dopo aver ucciso o cacciato in esilio i Sacerdoti stranieri, risparmiò quelli nativi; e questi, conoscendo a fondo la lingua e i costumi della patria e appoggiati dalle loro parentele e amicizie, poterono non solo rimanere senza danno in patria, ma anche curare il servizio sacro e assolvere liberamente in tutte le province quei compiti che attengono alla guida delle anime. Invece in Etiopia, dove ormai si contavano circa duecentomila Cristiani, non essendovi un clero indigeno, una volta che furono uccisi o cacciati i missionari europei, una improvvisa tempesta di persecuzione distrusse il frutto di una lunga fatica. – Infine bisogna guardare con attenzione all’antichità, e bisogna conservare con scrupolo gli ordinamenti che vediamo essere riusciti salutari. Ed invero, nell’assolvimento dell’ufficio apostolico, già gli Apostoli ebbero il costume e la regola in primo luogo di istruire le moltitudini con gli insegnamenti Cristiani, e poi di iniziare al servizio sacro alcuni scelti fra i fedeli e innalzarli anche all’episcopato. E i Pontefici Romani, seguendo successivamente il loro esempio, hanno sempre avuto l’usanza di raccomandare ai loro inviati apostolici di sforzarsi in ogni modo di scegliere il clero fra gli indigeni là dove si fosse formata una comunità cristiana sufficientemente ampia. Una volta dunque che si sia provveduto alla sicurezza e alla diffusione della Religione cristiana in India, bisogna preparare al sacerdozio gli indiani, i quali possano adeguatamente compiere i sacri riti sacramentali e porsi a capo dei loro fedeli, quali che siano i tempi che verranno. – Per questo motivo i prefetti delle missioni indiane, per Consiglio ed esortazione della Sede Apostolica, fondarono collegi per chierici, ovunque ne ebbero la possibilità. Anzi, nei sinodi di Colombo, Bangalore, Allahabad, tenuti all’inizio del 1887, si è decretato che ogni singola diocesi abbia il suo proprio seminario per l’istruzione degli indigeni; e qualora qualcuno fra i Vescovi suffraganei non possa avere il suo per mancanza di mezzi, offra il vitto a sue spese ai chierici della diocesi nel seminario metropolitano. Codesti salutari decreti i Vescovi si sforzano di tradurli in atto in proporzione delle loro forze: ma si pongono di traverso ad ostacolare la loro straordinaria volontà le ristrettezze economiche e la penuria di Sacerdoti idonei che presiedano agli studi e guidino con sapienza l’insegnamento. Perciò vi è appena qualche seminario, o neppure quello, in cui l’istruzione degli alunni si possa ritenere completa e perfetta: e ciò in questa epoca in cui non pochi governi civili e protestanti non risparmiano nessuna spesa e nessuna fatica al fine di fornire a tutta la gioventù un’educazione accurata e raffinata.
Si vede dunque assai chiaramente quanto sia opportuno e quanto sia conveniente al pubblico bene, fondare nelle Indie orientali dei collegi, in cui i giovani abitanti che crescono per la speranza della Chiesa ricevano una completa formazione culturale e siano formati a quelle virtù senza le quali non si potrebbero né santamente né utilmente esercitare i sacri ministeri. Una volta rimossa la causa delle discordie con gli accordi stipulati, e ordinata l’amministrazione delle diocesi per mezzo della gerarchia ecclesiastica, se Ci sarà lecito provvedere acconciamente alla formazione dei chierici come ci siamo proposti, Ci sembrerà di avere portato a compimento l’opera intrapresa.
Una volta fondati infatti, come abbiamo detto, i seminari per i chierici, vi sarebbe la sicura speranza che di lì verrebbero in gran copia dei Sacerdoti idonei, i quali spanderebbero ampiamente il lume della loro dottrina e della loro pietà, e nel diffondere la verità dell’Evangelo eserciterebbero con competenza il ruolo fondamentale richiesto dal loro zelo. – Ad un’opera così nobile e per di più destinata ad apportare salvezza ad un’infinita moltitudine di uomini, è giusto che gli europei rechino un qualche contributo; soprattutto perché da soli non possiamo far fronte a così grandi spese. È dovere dei Cristiani tenere in conto di fratelli tutti gli uomini, ovunque essi vivano, e non ritenere nessuno fuori dal raggio del loro amore; e tanto più in quelle cose che riguardano la salvezza eterna del prossimo. Perciò vi preghiamo ardentemente, venerabili fratelli, di volere aiutare con i fatti, per quanto sta in voi, il Nostro proposito e i Nostri tentativi. Fate in modo che divenga a tutti nota la situazione della comunità cattolica in quelle così lontane regioni; fate sì che tutti capiscano che occorre fare, qualche tentativo a favore delle Indie; e questa sia la convinzione soprattutto di coloro che ritengono che il miglior frutto del denaro sia la possibilità di servire alla beneficenza. – Sappiamo per certo di non aver implorato invano il generoso zelo dei vostri popoli. Se la liberalità andrà al di là delle spese necessarie per i suddetti collegi, tutto quello che avanzerà del denaro raccolto faremo in modo che venga impiegato in altre iniziative utili e pie. Come auspicio dei doni celesti e testimonianza della Nostra paterna benevolenza, impartiamo con il più grande amore l’apostolica benedizione a voi, venerabili fratelli, al vostro clero e al vostro popolo,
Roma, presso S. Pietro, 24 giugno 1893, anno sedicesimo del nostro pontificato.