LO SCUDO DELLA FEDE (252)

LO SCUDO DELLA FEDE (252)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (21)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

CAPO IV

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LA PARTECIPAZIONE

ossia la Comunione Divina.

ART.  II.

L’orazione: Hæc commixtio.

« Questa mescolanza del Corpo e del Sangue di di Gesù Cristo torni per noi, che la riceveremo, a vita eterna. » Il che vuol significare appunto, che Gesù Redentore, per rendere perfetta la redenzione, secondo il disegno dell’amore divino, si ha da frammischiare con noi, ha da compenetrarci colla consacrazione del suo Corpo, si ha da unire indivisibilmente così, che portandoci seco identificati  (Io. Chrys. Hom. 24, in I ad Cor.) in seno al Padre, possa dire con gaudio eterno: « Padre, quelli che mi avete raccomandati, Io non li ho perduti, ma ve li porto col sacrificio mio in seno a Voi; acciocché siamo una sola cosa; Io in essi, e Voi, o Padre, in me, affinché siam consumati in unità » (Ioan. 17). – Il Sacerdote nel recitare quest’orazione tiene fra le mani il calice col SS. Corpo e col Sangue, nelle specie riuniti insieme. Pare anzi che il Sacerdote col Redentore, che adora risorto dinanzi, voglia col cuore esclamare: « eccovi, o fratelli, eccovi il pegno di vita eterna. Come risorge il Capo, risorgeremo anche noi che ne siamo le membra, per vivere eternamente con Lui in Paradiso » (Coloss. c. 3, I Cor. 15. 48.). Così ci è qui dato comprendere ciò che aveva Gesù predetto; che Egli verrebbe sulla croce esaltato (Ioan. 3. 11) per trarci seco a salute. Eccolo di fatto, che glorioso come è in cielo, lo vediamo colla fede abbassarsi a noi sino ai piè della croce sull’altare, per unirci nel Sacramento, affine di compiere la sua promessa. Adunque pigliamo lena a correre alla beata immortalità; e sia pur alto il cielo, e noi troppo in basso; ma diamoci pace, ché ne abbiamo ragione, e anche così lontani in esilio, confidiamo; perché tra il cielo e la terra si frappone Gesù Uomo-Dio: e per Esso a noi si fa vicino il paradiso.

La Vita eterna.

Verrà adunque così compiuto per Gesù Cristo il numero degli eletti, e nella consumazione del tempo, tutta la Chiesa, assunta nell’immortalità, sarà coronata di gloria in paradiso! Dio buono, quanti misteri! Mentre col monte di Sion e con tutto l’universo piangono ancora i fedeli con tanta pietà sulla morte del Redentore, all’improvviso escon dal lutto: e come giubilavano gli Ebrei lieti al banchetto degli azimi intorno all’ agnello sacrificato, succinti alle reni, col bordone in mano, in atto d’uom sopra viaggio, avviati alla terra promessa; così i fedeli col paradiso aperto sul capo fanno festa negli azimi di una pura coscienza intorno all’Agnello divino, e vanno già celebrando colle più allegre speranze il passaggio all’immortalità coi beati del paradiso. Benché così poveri di cuore, ed umili di spirito: tuttavia, dall’altare al cielo breve essendo il tragitto, perché di qui la croce è la via di mezzo che ci conduce all’eterna vita (S. Io. Chrys. Min. 79, in Matth.); confortati leviamo gli occhi della fede a quell’altezza; sulle ali della speranza varchiamo le nubi, le sfere, i secoli, i mondi del tempo; facciamoci presso al soglio della gloria del Dio immortale. Pioveteci di cielo, o Signore, una stilla di quel gaudio, un piccol raggio di quell’eterno splendore che deve sorprendere un’anima nell’entrar in paradiso. Verrà per ciascuno di noi l’ora di nostra Pasqua finale. Allora quando in questo frale, logorato, cadavere ancor respirante, cogli occhi annebbiati, con rumor confuso all’orecchio, con l’immaginazione sconvolta, sentirà l’anima nostra rompersi intorno i vincoli dei sensi, sopra l’abisso dell’eternità…. allora in tetro silenzio, solitudine negra, confusione e tenebrore, dirà seco l’anima buona: « O mio Dio! che sia questa la morte? No, no pel Cristiano, che risorge con Gesù Cristo, non è morte; è il passaggio alla vita del paradiso!… Oh, paradiso!… Oh, paradiso!… Città eterna, dove la verità è la luce, la carità è la vita, l’eternità, il termine della beatitudine! . Là che folgori di intelligenze! che tratti di delizie! che trascendimenti d’interminabil gaudio! Colà, sciolto il legame dei sensi, contempleremo Gesù, Sostanzial Verbo, sole della eterna giustizia con quello sguardo con cui si possiede l’oggetto amato; i nostri omaggi in affetti infuocati passeranno immediati dai cuori nostri, senza più velo in mezzo, nel suo Cuore santissimo, siccome i raggi corrono al centro: Gesù ricevendoli ognora spandendo in noi del suo amore divino, vivremo alimentati di beatitudine. Oh eternità beata !… Fermiamoci un istante a questa elevati col pensiero: di là cerchiamo che cosa è mai la terra, questa aiuola, in che strisciamo così alteri… che questo granello anzi di arena, che noi appelliamo con enfatica vanità i mari ed i continenti dell’universo!… Di là misuriamo i monti e le valli delle frivole disuguaglianze delle miserie di questo mondo d’un’ora! E queste son le cose che turbano la nostra pace!… Oh, misero chi pascola quest’anima in vanità, quando ella è creata per bearsi di Dio in paradiso! Oh paradiso!… Oh paradiso! Ma e che oseremo noi dire, anzi pensare, che degno sia del paradiso? Anche s. Paolo, al terzo cielo elevato, tornato in terra si trovava confuso perché le parole umane non bastavangli ad espimere (1) ciò che occhio non vide, né orecchio ascoltò, né cuor di uomo poteva sentire, quanto prepara nel regno suo Iddio. Non andremo più in là, perché lo splendor di quella gloria ci sfolgora lo smarrito pensiero. Per noi basta contemplare sull’altare aperto il paradiso… E già compartecipi col cuore di quella beatitudine eterna, come udimmo i beati in paradiso glorificare l’Agnello divino Redentore santissimo, l’Uomo-Dio, che beatifica gli eletti nella immortale città; anche noi aggrega quella Chiesa celeste, concittadini di loro diremo sant’Agostino (August. Pe. En. P… in 149, I), anche noi vogliamo innalzare cantico nuovo. Ché sì veramente a noi s’addice un cantico nuovo, poiché sappiamo che dopo il Sacrificio dell’Agnello divino anche in cielo si canta un nuovo cantico (Apoc. 4, 9). Se al vecchio Testamento (Cor. 12, 3.) cantico vecchio si canta; al Testamento nuovo, saldato nel Sangue di Dio, un cantico al tutto nuovo. E quale sarà questo cantico intorno a Gesù, se nonmil cantico dell’eterna pace! Ecco appunto in tanta piena d’affetti divini, in tanta povertà di concetti umani, s’alza dal coro, a far eco al cielo, un canto.

Agnus Dei,

Orazione ed esposizione.

« Agnello di Dio, che togli i peecati del mondo, abbi misericordia di noi. »

« Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi di noi misericordia. »

« Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, dona a noi la pace. »

Questo cantico è intuonato dal Sacerdote cogli occhi e col cuore tutto in Gesù, con una mano attaccata all’altare, coll’altra picchiandosi il petto per umiltà. – Egli ricorda Giovanni Battista, che quando vide Gesù comparire nel deserto, « io non son degno, diceva, di sciogliere a Lui i calzari; » e da lungi adorandolo: « Ecco, esclamava, l’Agnello di Dio: ecco colui che toglie i peccati del mondo » (Ioan. I, 29). Così mentre Gesù si mostra tra il cielo e la terra, e dai beati in cielo e dai fedeli in terra s’adora il Redentore sacrificato, acclamandolo Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo; anche noi picchiandoci il petto gridiamogli: « abbi di noi pietà! » E con S. Cipriano (De duplici martyrio) vogliamo esclamare: « niuno mai poté col sangue degli agnelli farsi innanzi al trono dell’altissimo Dio: Ora Voi, Gesù, presentate Voi stesso in cielo come un agnello in offerta, cadete innanzi al trono di Dio, versate il vostro Sangue, e trovate in cielo la redenzione! » Ah! Signore, fatene parte a noi per la vostra misericordia « miserere nobis. » Acclamiamo ancora con S. Cìpriano: « Ecco l’Agnello del Signore, che toglie i peccati del mondo; non i peccati dell’uno o dell’altro uomo, né i peccati di questo o di quell’altro popolo, ma i peccati del mondo universo. » Ah! dunque per pietà distruggete, o Signore, i nostri peccati: « miserere nobis. » « Agnello di Dio, acclamiamo lo vuole il cuore ancora, dateci la vostra pace! » Pace! pace! pace! E gli Angeli, intervenuti dal cielo a cantare sulla terra, quando comparve nato tra le virginali braccia di Maria Immacolata il Bambino Gesù; ora che il cielo s’abbassa alla terra ancora così, e le cose divine alle umane si mischiano e si confondono: gli Angeli della pace che fremevano per tremendo dolore al veder sul calvario Gesù trafitto sul petto a Maria or che manda vivo sangue dall’altare per la sua Chiesa; volando dalla terra al cielo cantano: « pace, pace, pace. » La Chiesa poi, dopo di avere salutato e festeggiato lo Sposo divino, che l’amò fino a versare per lei il Sangue, affin di pacificarla come agnello in sacrificio; chiesta a Lui misericordia e pace di suo diritto, perché se la guadagna tuttora col Sangue, che egli le ha dato in mano da versare; fa che il sacerdote si prostri colle mani giunte innanzi a Lui, e gli ricordi le sue promesse coll’orazione seguente.

Orazione: Domine Iesu Criste etc. detta per la pace.

« Signor, Gesù Cristo, che avete detto agli Apostoli: lascio a voi la mia pace: la mia pace a voi dò: non riguardate i miei peccati; ma sì la fede della vostra Chiesa: e secondo la vostra volontà degnatevi di pacificarla e di adunarla in unità. Voi che vivete e regnate Dio per tutti i secoli dei secoli. così sia. »

Spiegazione dell’Orazione:

Domine Jesu Christe.

« Signore, Gesù Cristo, voi l’avete già detto agli Apostoli: io lascio a voi la pace mia: dono la pace mia a voi ecc. ecc. » Questa pace adunque vi domandiamo, che è vostra, e l’avete fatta tutta di nostra ragione col guadagnarla per noi, che siamo popolo col vostro Sangue santificato. « Non guardate a’ miei peccati: ma bensì deh guardate alla fede della vostra Chiesa ecc. » Di questa Chiesa, che essendo la vostra sposa, abbracciandovi sull’altare può dirvi: « questo è il mio Corpo. » Ora voi che formate con essa un solo corpo, e si può dire anzi, che essa è il vostro più caro corpo (S. Bern. Serm. 12 in Cant.), togliete dal seno ogni divisione, ogni radice di scisma, che può sturbare l’unità con Voi, suo Capo. – « Degnatevi di pacificarla ed adunarla ecc. ecc., » come una sola famiglia di figliuoli col loro santo Padre, il sommo Pontefice. Fate di tutti un solo ovile che tutti ascoltiamo la voce del Pastore, Vostro Vicario. Così si formi il regno vostro in terra, come è disegno della volontà di Dio, di adunare per essa gli eletti in paradiso. » Il Sacerdote bacia l’altare nelle Messe solenni, e dà con un abbraccio la pace al diacono, che l’aspetta in ginocchio. Poi il Diacono porta la pace ai sacri ministri. Nella Messa poi dei defunti, stando noi col pensiero in quel mare di dolore, che è il purgatorio, dimenticandoci quasi di noi stessi in quell’istante, tutti pieni di compassione e desiderio di affrettare a quelle anime il riposo eterno; in esse non essendo più colpe da piangere, ma solo pene da alleviare; andiam ripetendo con lamentevole tenerezza: « o Agnello di Dio, dona a loro riposo, riposo sempiterno!. »

Il bacio di pace.

La Chiesa nell’istante, diremo così, di cominciare qui sulla terra quell’unione con Dio, che deve essere la nostra vita eterna, vuol che ci stringiamo, come membra in un sol corpo, nell’unione della carità che ci ha da coadunare in Dio. Diamoci adunque il bacio di pace in Esso, stringendo la mano a vicenda, e porgendoci l’un l’altro il braccio, facciamo di aiutarci, per giungere a goderla inalterabile in seno a Dio. S. Pietro scrivendo ai fedeli raccomandava loro di salutarsi a vicenda nel bacio di pace (I, 5. 1); saluto usato dagli Apostoli (Ad Rom. 1; ad Tessal. V, I Cor. 16.); e d’allora nel santo rito il bacio di pace fu segno di carità. Per conoscere quanto fosse santa questa pratica in quella semplicità di costumi, e in quel fervore dei primi Cristiani, è bello riconoscere qual era l’ordine in cui erano disposte le persone nel luogo santo.

(Ecco un monumento dell’ordine mantenuto nel luogo santo. Un concilio del secolo III dice: gli ostiari si fermino all’ingresso degli uomini, e le diaconesse a quello delle donne, per invigilarli come i capitani di nave che tengono conto dei passeggieri. Tal era la regola e la forma, che si conservava nel Tabernacolo del Testimonio e nel tempio di Dio. Se alcuno si troverà seduto in luogo non a lui conveniente, il diacono, come proreta (pilota), lo ripigli e lo conduca al luogo proprio. Perocché la Chiesa è somigliante non solo a nave, ma a greggia, e come i pastori collocano le capre e le pecore secondo la ragione del sesso e dell’età, in modo che ogni simile si raduni col suo simile, così nella Chiesa i giovani siedano separati; se non v’ha luogo, stiano in piedi; gli adulti siedano anch’essi in giusto ordine; padri e madri abbiano vicini i loro fanciulli, in piedi stanti. Le giovani abbiano, possibilmente, luogo separato; se no, dopo le donne mature. Le maritate e le matrone stiano pure distinte: le vergini, le vedove, le vecchie tengano il primo luogo, in piedi o assise. Il diacono presiederà alla distribuzione dei posti, sicché ognuno abbia il suo e non sieda indecentemente. Farà pure attenzione che non si ciarli, né si faccia rumore, o si dormicchi, o rida, o gestisca: dovendo ognuno in chiesa contenersi con saviezza, moderazione, vigilanza, e tender le orecchie alla parola di Dio. Tutti poi ad un tempo si levino da sedere, e usciti che sieno i catecumeni ed i penitenti, colla faccia verso Oriente preghino a Dio, che salì sopra il cielo dei cieli, e vi salì verso Oriente. – Sac. Conc. nov. et amplis. collect. or. io. Mansi T. I. coll. 362). – Così allora essendo separate in vari ordini le persone, era tolta ogni occasione di scandalo, non che di divagamento. Ora la Chiesa sostituì a questa pratica l’uso dell’istrumento della pace. Il Sacerdote bacia l’altare nel mezzo, e anticamente baciava proprio il Corpo SS. (Ben. XIV) affine di attingere la pace alla sorgente, nel Cuor di Gesù Cristo, che porta pace a chi santamente lo riceve. Poi con un amplesso bacia il diacono, o l’istrumento che gli presenta. Il diacono porta con questo segno la pace a quelli che servono all’altare, al clero, ai principi, od anche ai rappresentanti delle città, ai benefattori delle chiese, ed in qualche chiesa ancora a quelli che si vogliono comunicare. Nell’atto della cerimonia si dice « la pace sia con voi; » e si risponde da chi riceve la pace con un bacio e colle parole; « sia pur con lo spirito vostro. » Nell’istrumento, che si presenta a baciare, è scolpita ordinariamente l’immagine del Redentore morto, tra le braccia di Maria SS. Addolorata. Quanta pietà inspira questo devotissimo rito! Il Redentore morto che pacificato il cielo, chiede che vogliamo fare pace anche noi, sopportandoci e perdonandoci; Maria che lo presenta, allargandoci le braccia come a suoi figliuoli! Affrettiamoci, baciamo lagrimando per tenerezza nel petto Gesù, trafitto per noi, baciamolo tra le braccia di nostra Madre, come tutti fratelli, che veniamo a versare in seno a Gesù e Maria il nostro cuore, tanto pieno di compassione e di carità, esclamando: Gesù e Maria, accoglieteci tutti in cuore! Gesù morendo avrebbe voluto fino tutti i carnefici, che lo bistrattavano in agonia, portare in paradiso, e chiedeva con un gemito per loro perdono! Conchiudiamo con l’osservazione di S. Agostino, il quale parla di questo costume come di una tradizione apostolica. « Dopo l’orazione domenicale, così questo padre, noi diciamo: la pace sia con voi! Allora i Cristiani si danno a vicenda un bacio: egli è un segno di pace, che presentano sulle labbra. Il cuore vada con esso: e mentre la •bocca si appressa al vostro fratello, guardatevi bene, che non se ne ritiri il cuore. » Adunque dopo d’aver pregato Gesù che perdoni a noi, come noi perdoniamo ai fratelli; noi ci affrettiamo a darci la pace a vicenda. Con ragione facciamo così, anzi con tutto il nostro vantaggio: perché vogliamo per Esso avere una caparra del perdono di Dio in quel momento in cui tanto ne abbiamo bisogno, dovendo in noi ricevere il Signore nostro.

ART. III.

LA COMUNIONE.

Quanto è mai vero, che il Crocifisso è il gran libro, in cui leggiamo i più profondi misteri, tenerissimi e divini! (Bossuet Ser. Su. Io. Chrys.). L’atteggiamento, che la croce fece prendere al Figliuolo di Dio è sublime! Quale contrasto con quelle braccia al cielo elevate, e la incurvazione del Corpo, e di quel Capo verso di noi inclinato! Gesù Cristo ci si mette sott’occhi in quell’atto, ad esprimerci che ha compiuto il sacrificio, che l’offerta fu accettata, e che Egli è Dio-Uomo in seno al Padre con noi pacificato in paradiso. Ma che pure una qualche cosa pare che gli manchi in paradiso: e quello che gli manca siamo noi, finché restiamo in questa povera terra. Perciò dalla croce s’abbassa a raccoglierci: anzi da quella a noi si getta in braccio. Accorriamo, accorriamo a riceverlo, ad attaccarci a questo Corpo Santo: e questo vuol dire fare la Comunione divina. – Ricordiamo quanto abbiamo già detto, cioè che gli uomini avessero un qualche sentore di essere destinati da Dio a questa stupenda, ineffabile comunicazione. Quando essi si affollano intorno a quegli altari, per mangiare carni divenute sacre per loro coll’essere offerte in sacrificio, dando segno di sentire addentro la fame di un bene più che mondano, cercano di succhiare in esse qualche cosa di divino, e come d’assorbire gl’influssi della Divinità. Eh! bisogna ben che ci persuadiamo con grande nostra consolazione, che la Religione cattolica, quando all’uomo prostrato in umiltà, percuotendosi il petto a’ piè del santo altare, fa coraggio e dice: » Prendi: questo è il Corpo Divino, che ti custodisce a vita eterna; » essa provvede al più gran bisogno del cuore umano, irrequieto sempre finché non giunga a Dio. È un crudele inganno questo travagliare senza fine, per saziare di beni di terra quest’anima nostra! Se venisse pure a possederli tutti, in un quarticello d’ora di possesso rifinirebbe e consumerebbe tutto il mondo, che non è Dio. L’ anima umana è un oceano vuoto di acqua; e quando vi viene il suo elemento, che è Dio, allora si comincia a godere veramente. La nostra grandezza forma l’immenso vuoto dell’anima, e ci dà la fame di Dio: così la nostra grandezza forma in terra la nostra infelicità. Tutto ciò che vi entra di altro, ad altro non giova che a farle sentire il vano più grande: e non mai satolla di tutto che ha divorato, si precipita in seno a Dio! Ma dove Dio così vicino vicino, e tutto per noi e alla nostra portata se non nella Comunione divina? Viva Dio! è la sola Religione cattolica adunque, che può dire: » Co’ miei dogmi e coi miei misteri io sola posso dare agli uomini ciò che desideran per istinto dell’umanità, il sommo Bene, Iddio anche qui in terra. » Sublime spettacolo per i fedeli! Nell’angusta cerimonia, allo splendor di cento doppieri, tra una musica che imparadisa i sensi, appiè di un altare tutto lucente d’oro, col cuor troppo pieno, che non sa più come esprimersi, dover ricevere Dio! L’immaginazione cede: l’anima resta invasa, commossa, appena può respirare, si scioglie da ogni oggetto terreno, si slancia in seno a Dio (Chateaubriand). Tacciamo. Il fedele ha il suo Dio nel petto, e l’anima sua si è ricoverata nel Cuor dell’amabilissimo Redentore, l’uomo fra le sue braccia respira il profumo d’una vita divina: Ci vien pur bene qui il sospiro di un’anima bella in seno al suo diletto Gesù: Amo, e sovra il mio cuor palpitò il cuore del mio diletto: ed era – ah si il proclamo all’universo in faccia – era il Signore. Io lo vidi, il conobbi. E m’ama; io l’amo. È Silvio Pellico: con questo sospiro d’amore faceva l’ultima sua comunione nel fine del 1853, e volava abbandonatosi al suo Signore in paradiso. In tutta la Messa, come abbiam potuto osservare, la Chiesa mira a preparare i fedeli all’unione con Dio: ma in questo istante, in mezzo a questo cumulo di misteri, ella lasciò per molto tempo la libertà ai Sacerdoti di sfogare il cuore, si come suggeriva loro la pietà. Poi si è fatta interprete degli affetti più fervorosi: e li tradusse nelle due seguenti orazioni, che contengono i migliori e più santi atti di preparazione alla santa Comunione.

Le orazioni avanti la SS. Comunione,

ossia gli atti della medesima.

Orazione la: Domine Jesu Christe.

» Signore Gesù Cristo, Figliuol di Dio vivo, che per la volontà del Padre, cooperando lo Spirito Santo, per mezzo della vostra morte avete il mondo vivificato, liberatemi per questo sacrosanto Corpo e Sangue vostro da tutte le iniquità mie, e da tutti i mali universali, e fate che io sempre stia attaccato ai vostri comandamenti, e non permettete che mai mi separi da Voi: il quale col medesimo Dio Padre, e con lo Spirito Santo vivete e regnate Dio nei secoli dei secoli. Così sia. »

Spiegazione dell’orazione la.

» Signor Gesù Cristo, Figliuol di Dio vivo ecc. » Questo è un

ATTO DI FEDE.

Il fedele, nel beato istante di unirsi al sommo Bene, sente un bisogno di espandersi tutto in Lui: e fa questo atto di fede, in cui per godersi meglio della sua beata sorte, se ne vuole rendere più pienamente consapevole. Si ferma, direm quasi, in questo atto a contemplare il suo diletto, e contemplandolo gli va dicendo: » Signore mio Gesù, così meschino come sono, ho da ricevere proprio Voi, Figliuolo di Dio vivo, il quale sapeste morire per amore?… Il mio buon Signore, cosi grand’ Iddio, che ci amò fino a darsi alla morte per guadagnarci la vita eterna, vuol discendere adunque in questo carcere del corpo mio ?… » Qui, come amante infervorato, passa l’anima a sfogarsi in tenerezza, con fargli le sue confidenze con un

ATTO D’AMORE.

» Voi il quale per volontà del Padre, cooperando lo Spirito Santo, avete il mondo vivificato ecc. ecc. » In quest’atto vuol dirgli, che sa di quanto amore lo abbia sempre amato il suo Amor Crocifisso e Dio suo! Anzi prima di riceverlo ancora in questo momento, gli vuol mettere innanzi le sue misericordie, vuole con santa cortesia tenerissima raccontargli come è a parte dei misteri della Divinità; come già sappia bene quanto in Lui l’ami il suo gran Padre divino, che determinò il tempo, il luogo, le circostanze del nascimento, la vita ed il sacrificio di Lui suo Unigenito, e come a questo mistero ha cooperato il suo amore Sostanziale, che è lo Spirito Santo. Così viene a dire col cuore a Dio Padre: « Questo così amabile Salvatore è vostro dono, o Padre celeste: è opera del vostro amore, o Paraclito divino. » Ed in Gesù Cristo adora in tale modo l’augustissima Trinità: a cui ha offerto il sacrificio che il Padre esigeva, che il Figlio eseguiva, e che santificava lo Spirito Santo. Con tutta l’anima in tali meraviglie divine, vedendosi innanzi un Dio che si sacrifica, l’Eterno che ha voluto morire; il mondo per lui vivificato; e Gesù che ha tali prodigi operato, e che sta per portargli in seno i tesori della sua bontà e della vita eterna (Io. V, 21):  se lo guarda e gli si getta dinanzi di tutto cuore a supplicarlo con un

ATTO DI DOMANDA

« Liberatemi per questo vostro ecc. » È questa una preghiera piena di confidenza; m piena eziandio della più sincera umiltà. Qui il sacerdote cogli altri sta per stringersi al seno il Corpo SS. Con questo suo pegno d’amor di Dio dinanzi, come cosa già tutta sua, si sente allargare il cuore ad ogni speranza. Nella bontà e misericordia sua affidato, vuol gettarsi in braccio, meschinello!… al suo gran Salvatore; affamato e sitibondo!… alla fonte della vita; bisognoso al Re del cielo: servo!… al Signore: creatura!… al Creatore; abbandonato, che nessun bene ha da sé, al divino consolatore (De imit Chr. lib. 4). Ed alzando gli occhi sulle sue Piaghe, che sono la nostra salute; a quelle Piaghe si mette di riscontro le piaghe e le debolezze proprie, e gli grida; « Signore che mi avete cavato di bocca all’inferno, e che, morto al peccato, in Voi m’avete convivificato (Ephes. 2, ): deh! liberatemi da tutte le mie iniquità. Voi le conoscete tutte, le povere opere mie; deh) pel vostro Corpo e Sangue santissimo, in cui adoro i sigilli della pagata soddisfazione, ristorate 1’opera delle vostre mani: colle vostre Piaghe guarite le piaghe mie, e tenetemi poi stretto in seno a Voi, sicché io adempia il voler vostro, che è la mia salute. Cresce la confidenza nel pensare che questo Redentore benedetto, già tutto suo, regna col Padre e collo Spirito Santo per tutta l’eternità: e per Esso concepisce speranza vivissima di partecipare a quella vita divina, inviscerandosi con Lui come membra in un sol corpo identificate (Io. Chrys. Hom. 24, ‘in 1 Cor.). Ma si ha proprio da ricevere Iddio? Oh confusione! Non si può a meno dì tremare. Provi l’uomo se stesso, si sente dire, e così mangi di quel Corpo, e beva di quel Calice (1. Cor. 28.). Deh! si sia pure provato: per l’uomo miserabile orrenda cosa deve essere cadere nelle mani del Dio vivente (Heb. 10, 31) non resta altro adunque che far proteste con atto di umiltà.

ATTO DI UMILTÀ.

Orazione 2′: Perceptio.

« La comunione del vostro Corpo e Sangue, o Signor Nostro Gesù Cristo, a me non torni in giudizio e condannazione: ma per la vostra pietà mi giovi a difesa dell’anima e del corpo, ed a ricevere il rimedio. O Signore, Voi che regnate con Dio Padre in unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. » • – « Il vostro Corpo, o Signor nostro Gesù Cristo, che io indegno presumo di ricevere, ecc. » Con questo atto di umiltà s’accusa di presunzione nel dover ricevere il suo Dio. E l’uomo che trema sato il peso delle sue miserie, e par che dica col pubblicano umilmente: « è vero che voi mel permettete, di spingere tanto in alto i miei desideri: ma conscio delle mie colpe, non posso a meno che tremare: e per poco mi manca il cuore di farmi tanto vicino a Voi, o mio Dio! E di fatto qual presunzione sarebbe, se non ci scusasse la vostra sola bontà, anzi il vostro comando? » Perciò deve ben l’ uomo provare se stesso e deporre con umiltà lo stato della sua coscienza, e nel giudizio della misericordia mettere la sua causa in mano al confessore: perché sarebbe troppo terribile disgrazia con una comunione indegna, portando il peccato sino in seno alla Divinità, e cadendo nelle mani del Dio vivente, provocar il suo sdegno con far orribile insulto alla sua santità! Noi abbiamo dette le più tenere cose da inspirar la maggior confidenza per ricevere Gesù; ma pensando che nell’ora stessa, in cui Gesù donava il suo Corpo, ha potuto seder al convito anche il traditor Giuda, nel sentir queste terribili parole: « Signore, il vostro Corpo non mi provenga in ‘giudizio a condannarmi: » mentre Gesù è sull’altare ed il popolo sta per parteciparvi, non possiamo fare a meno di esprimere il nostro orrore per una

COMUNIONE SACRILEGA.

Qui vorremmo scrivere a lagrime di sangue per esprimere l’enormità del delitto di un sacrilegio commesso sopra il Corpo di Gesù Cristo, dopo di aver assistito a tante meraviglie dell’infinita sua bontà. Fra questo spettacolo di misericordia, che consola sino gli Angioli in paradiso, avere ardimento di ricevere Gesù in peccato?! Questo propriamente è un voler mangiare la propria condannazione, e commettere, anzi che un sacrilegio, un orrendo delitto come di dar la morte al Signore (Io. Chrys. Hoin. 27, in 1. Cor.); è un vero tinger le mani nel Sangue di Gesù Cristo (Io. Chrys. opusc.). Perché col farsi reo del Corpo e del Sangue di Gesù, chi s’accosta indegnamente, è vero alla lettera che, in quanto a lui, crocifigge di nuovo il Salvatore; ma in circostanze le mille volte più tristi che non si fece là sul Calvario (Massillon. Com. sacra). E di fatto almeno i Giudei, quando gridavano: « alla croce, al Calvario, alla morte Gesù! » essi non credevano che Gesù fosse Figliuol di Dio, e loro pietosissimo Salvatore: perché per fermo, se l’avesser creduto Signore della gloria, non l’avrebbero mai crocifisso. Ma il Cristiano proterva che s’avvicina all’altare in peccato, ardisce rizzare il capo con audacia da demonio contro del Redentore suo, contro al Figliuol di Dio, in atto di scagliargli l’insulto, e abusando della Parola stessa di Gesù farlo scender dal trono della gloria, per ‘avvilirlo audacemente qui! Almeno i Giudei, quando ruppero addosso a Gesù, lo bistrattarono malvagiamente, lo caricarono di catene, l’urtarono ad una colonna; strappategli le vesti, gli piombarono sul petto, sul dorso, sul capo, su tutta la persona quella tempesta di battiture; poi lo incoronarono di spine con orribili scherni!… ma almeno quei brutali maltrattarono quella Carne, che era ancora soggetta alle umane infermità; mentre l’empio, che lo riceve in sacrilegio, cerca strapparlo, diremo così, dal seno della gloria del Padre, e buttare in mezzo a nuove contumelie quelle Carni santissime rivestite dell’immortalità: così osa far guerra al Figliuol divino fin nel più alto del cielo, nello splendor della gloria, in seno al Padre! Almeno i Giudei, quando stramazzarono per terra Gesù, lo tirarono sopra la croce e gli piantarono, ahi crudeltà! i chiodi nelle mani e nei piedi a colpi di martello, dandogli morte nel più orribil modo, uccidevano Gesù, che ancor non era morto per loro; ma l’orrendo uomo del sacrilegio, quando con atra bocca morde il Corpo di Gesù Cristo, maltratta quel Corpo, che ha combattuto fino alla morte per lui, e versa in peccato quel Sangue, che si è versato sino all’ultima goccia a sua eterna salute! Egli è vero, viva Iddio! (e questo è il solo conforto dei buoni) che Gesù è risorto immortale e non patisce più; ma egli è pur vero, che tale è l’attentato del sacrilego coll’ardire di farsi reo del Sangue divino! Ma v’ha di più ancora: poiché i Giudei, quando ebbero morto Gesù, lo lasciarono in pace. Allora poi vennero su quel monte quei buoni, che verso di Lui compirono i pietosi offici deponendone il Corpo in seno alla santissima Madre, ed involtolo tra purissimi lini, coi balsami i più preziosi, lo misero in un sepolcro nuovo colla maggior divozione e pietà: e l’anima di Gesù, mentre riposava il Corpo nel mondo sepolcro, scese al limbo, e in quel tenebrore portò col trionfo la luce; rovesciò il trono del diavolo, l’incatenò a suoi piedi; trasse in gloria una legione grande di trionfanti (Io. Chrys. Hom. 24, in 1 Cor.), che erano le anime dei Santi Padri, che lo sospiravano, e che Egli introdusse in paradiso. Ma ahi! ora scendendo nel cuor del sacrilego tra le sozzure di un’anima guasta, Gesù si vede d’intorno a schernirlo i demoni, padroni di quel cuore da Lui conquistato col proprio Sangue; da cui è forzato per la sua santità ad uscire come scacciato, e così adunque pare che il demonio, per mezzo del sacrilego, trionfi sopra Gesù. E par che gli dica: andate, morite un’altra volta per questi uomini che vi trattano in questo bel modo. – Dobbiamo dir tutto? Almeno i Giudei venivano giù da quel monte inorriditi dal deicidio, e si percuotevano il petto, e molti si salvarono ancora; ma Giuda, primo comunicante sacrilego, conobbe si l’enorme delitto di aver venduto a morte Gesù, pure non ebbe le lagrime da piangere il suo peccato. In orribile disperazione dà di mano ad un capestro, se lo lega al collo, s’appicca ad un albero, e scoppiando del ventre, sforza le porte d’inferno proprio nell’istante che Gesù apriva a tutti il paradiso. Tanto è vero, che chi mangia il Corpo di Gesù Cristo con sacrilegio, mangia la propria condannazione! Quasi a dirsi che non ha più bisogno che sia condannato: che la condannazione gl’imbeve l’anima, e l’ha con sé. Abbiamo adunque ragione di dire col Sacerdote, con l’anima raccapricciata: « Signore, per la vostra misericordia, mi giovi il Corpo SS. a difesa dell’anima e del corpo, ed a ricevere rimedio. » – Qui tuttavia è meglio sgombrar dalla mente ogni pauroso pensiero, ed accontentare l’amor di Gesù col gettarci in braccio alla sua bontà, e supplicarlo che il suo Corpo ci custodisca l’anima e il corpo; e ci sia di difesa contro le insidie del demonio, che da noi, stretti con Dio, fuggirà: sia difesa contro le lusinghe del mondo, che perderà le attrattive per noi, che possediamo il sommo Bene: ci sia rimedio contro la concupiscenza della carne, che rifiorirà per Gesù all’innocenza, e darà frutto di anime sante. Per allargare il cuore alle più grandi speranze, meditiamo…

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.