DOMENICA V DOPO PASQUA (2023)

3DOMENICA V DOPO PASQUA (2023)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La liturgia continua a cantare il Cristo risorto e ci invita, in questa settimana delle Rogazioni, ad unirci a quella preghiera con la quale il Salvatore ha chiesto a Dio di far partecipe, con l’Ascensione, la propria umanità di quella gloria che, come Dio, possiede fin dall’eternità (Off.). Anche noi possederemo un giorno questa gloria, poiché ci ha liberati dal peccato con la virtù del Suo Sangue (Intr., Comm.). Poiché Gesù Cristo partendosi da noi ci ha lasciato come consolazione « di poter pregare in Nome suo, onde la nostra gioia sia perfetta », cosi domandiamo a Dio « per nostro Signore » di non rimanere senza frutto nella conoscenza di Gesù, affinché, credendo alla sua generazione da parte del Padre, (Vang.) noi meritiamo di entrare con Lui nel Regno di suo Padre.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Isa. XLVIII: 20

Vocem jucunditátis annuntiáte, et audiátur, allelúja: annuntiate usque ad extrémum terræ: liberávit Dóminus pópulum suum, allelúja, allelúja.

[Annunciate la gioiosa notizia, che sia ascoltata, allelúia: annunciatela fino all’estremo della terra: il Signore ha liberato il suo pòpolo, allelúia, allelúia]

Ps LXV: 1-2

Jubiláte Deo, omnis terra, psalmum dícite nómini ejus: date glóriam laudi ejus.

[Acclama a Dio, o terra tutta, canta un inno al suo nome: dà a Lui lode di gloria].

Vocem jucunditátis annuntiáte, et audiátur, allelúja: annuntiáte usque ad extrémum terræ: liberávit Dóminus pópulum suum, allelúja, allelúja

[Annunciate la gioiosa notizia, che sia ascoltata, allelúia: annunciatela fino all’estremo della terra: il Signore ha liberato il suo pòpolo, allelúia, allelúia].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

 Orémus.

Deus, a quo bona cuncta procédunt, largíre supplícibus tuis: ut cogitémus, te inspiránte, quæ recta sunt; et, te gubernánte, éadem faciámus.

[O Dio, da cui procede ogni bene, concedi a noi súpplici di pensare, per tua ispirazione, le cose che son giuste; e, sotto la tua direzione, di compierle.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Jacóbi Apóstoli.

Jac. I: 22-27

Caríssimi: Estóte factóres verbi, et non auditóres tantum: falléntes vosmetípsos. Quia si quis audítor est verbi et non factor: hic comparábitur viro consideránti vultum nativitátis suæ in spéculo: considerávit enim se et ábiit, et statim oblítus est, qualis fúerit. Qui autem perspéxerit in legem perfectam libertátis et permánserit in ea, non audítor obliviósus factus, sed factor óperis: hic beátus in facto suo erit. Si quis autem putat se religiósum esse, non refrénans linguam suam, sed sedúcens cor suum, hujus vana est relígio. Relígio munda et immaculáta apud Deum et Patrem hæc est: Visitáre pupíllos et viduas in tribulatióne eórum, et immaculátum se custodíre ab hoc sæculo.

[“Carissimi: Siate osservanti della parola, e non uditori soltanto, che ingannereste voi stessi. Perché se uno ascolta la parola e non l’osserva, egli rassomiglia a un uomo che contempla nello specchio il suo volto naturale. Contemplato, se ne va, e subito dimentica come era. Ma chi guarda attentamente nella legge perfetta della libertà, e persevera in essa, diventando non un uditore smemorato, ma un operatore di fatti, questi sarà felice nel suo operare. – Se alcuno crede d’essere religioso, e non frena la propria lingua, costui seduce il proprio cuore, e la sua religione è vana. Religione pura e senza macchia dinanzi a Dio e al Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle loro tribolazioni, e conservarsi incontaminati da questo mondo”].

STUDIO E CURIOSITA.

L’esposizione cristiana — ed è il Cristianesimo che noi, sulle orme degli Apostoli veniamo esponendo in queste spiegazioni — oscilla tra le verità più alte, trascendenti addirittura ed i concetti più umili, più pratici. Qualche volta il pensiero apostolico vola, tal altra cammina per vie piane, quasi trite. Abbiamo volato con Paolo, camminiamo oggi con S. Giacomo. Il quale è molto preoccupato dei pericoli della speculazione pura, anche religiosa. È facile illudersi e credere, per illusione, che il parlare molto di una cosa, o il meditarla profondamente, lo specularvi d’intorno voglia dire amarla per davvero. Illusione funesta sempre; ma più funesta quando la materia della illusione, sia religiosa; quando si creda religiosità o religione perfetta la speculazione teologica la più sottile e più alta. La speculazione ci vuole, perché noi uomini, anche nel campo religioso siamo esseri intelligenti, razionali: vogliamo capire. È un bisogno ed un dovere, è un ossequio a Dio: l’ossequio dell’intelligenza. Ma non basta, ma non è la cosa più importante. Perciò l’Apostolo dice ai fedeli: siate osservanti della Legge, non solo curiosi di essa. Mettetela in pratica, non appagatevi di conoscerla a perfezione. E continua osservando che il fare diversamente, il preferire la speculazione curiosa all’osservanza pratica, il guardare e sentire al fare, ancora il separare quello da questo, è un’illusione, un auto inganno. – E dopo avere insistito su questo concetto fondamentale, non con l’abilità del sofista, ma collo zelo dell’apostolo, conclude in un modo e con una formula anche più severamente e modestamente pratica, che per le sue qualità apparenti, può anche scandalizzare, ma che importa rammentare sempre per fare del buon Cristianesimo, fare della religione autentica. La quale consiste, dice l’Apostolo (e adopera la parola « religione pura ed immacolata presso Dio e il Padre ») nel « visitare i pupilli e le vedove tribolate ed oppresse, custodendo il proprio cuore senza macchia fra la corruttela del nostro secolo ». Visitare i pupilli e le vedove tribolate, oppresse; notoriamente i deboli sono stati il bersaglio della perversità vile. E nessuno è così tipicamente debole come la vedova coi suoi orfanelli. Le anime pagane approfittano di queste debolezze per opprimerle e spogliarle ed angariarle: prendono quel poco che c’è, spogliano di quel nulla che è rimasto. Le anime pagane… le quali proprio così, proprio in questo assalto ostile, cupido avido al poco benessere di questi deboli, si rivelano tali: pagane. Ed è inutile che ostentino così facendo, così trattando il prossimo, sentimenti buoni di adorazione, di amore per il loro Dio, per Iddio. L’abito religioso su queste anime egoistiche è una maschera, che non inganna nessuno, certo non inganna Dio. La pietà verso di lui si rivela e traduce in modo irrefragabile solo nella carità operosa, benefica verso i poveri, anzi verso quei poveri che non sono più poveri, verso quelli dei quali chi fa il bene non ha nulla da umanamente ripromettersi, tanto sono poveri e miseri! I pupilli e le vedove, bersagliati, oppressi. Il linguaggio apostolico è di una singolare chiarezza. Senza questa carità o attuta, o almeno sinceramente voluta, non c’è religione, c’è una lustra di Cristianesimo. Ma basta questa carità, perché si possa dire religiosa un’anima? Basta? Delicato problema, ma a cui si può sicuramente rispondere: Se c’è in un’anima carità sincera, senza secondi fini, senza alterazioni innaturali, c’è la religione, almeno embrionalmente. Non c’è ancora la pienezza, c’è già il principio: non c’è ancora l’albero, c’è già il germe. Non siamo all’arrivo; siamo alla partenza per… verso la religione, verso Dio. Ecco perché noi possiamo predicare a tutti i nostri uditori, a quelli che hanno ancora la fede e a quelli che non l’hanno forse mai avuta, che forse l’hanno disgraziatamente perduta: siate caritatevoli, cioè fate la carità, e avrete nell’anima l’aurora e il meriggio di Dio.

(G. Semeria: Epistole della Domenica – Milano – 1939)

Alleluja

Allelúja, allelúja.

Surréxit Christus, et illúxit nobis, quos rédemit sánguine suo. Allelúja.

[Il Cristo è risuscitato e ha fatto sorgere la sua luce su di noi, che siamo redenti dal suo sangue. Allelúia.]

Joannes XVI: 28

Exívi a Patre, et veni in mundum: íterum relínquo mundum, et vado ad Patrem. Allelúja.

[Uscii dal Padre e venni nel mondo: ora lascio il mondo e ritorno al Padre. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joann XVI:23-30

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Amen, amen, dico vobis: si quid petiéritis Patrem in nómine meo, dabit vobis. Usque modo non petístis quidquam in nómine meo: Pétite, et accipiétis, ut gáudium vestrum sit plenum. Hæc in provérbiis locútus sum vobis. Venit hora, cum jam non in provérbiis loquar vobis, sed palam de Patre annuntiábo vobis. In illo die in nómine meo petétis: et non dico vobis, quia ego rogábo Patrem de vobis: ipse enim Pater amat vos, quia vos me amástis, et credidístis quia ego a Deo exívi. Exívi a Patre et veni in mundum: íterum relínquo mundum et vado ad Patrem. Dicunt ei discípuli ejus: Ecce, nunc palam loquéris et provérbium nullum dicis. Nunc scimus, quia scis ómnia et non opus est tibi, ut quis te intérroget: in hoc crédimus, quia a Deo exísti.

[“In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: In verità in verità vi dico, che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve lo concederà. Fino adesso non avete chiesto cosa nel nome mio: chiedete, e otterrete, affinché il vostro gaudio sia compito. Ho detto a voi queste cose per via di proverbi. Ma viene il tempo che non vi parlerò più per via di proverbi, ma apertamente vi favellerò intorno al Padre. In quel giorno chiederete nel nome mio: e non vi dico che pregherò io il Padre per voi; imperocché lo stesso Padre vi ama, perché avete amato me, e avete creduto che sono uscito dal Padre. Uscii dal Padre, e venni al mondo: abbandono di nuovo il mondo, e vo al Padre. Gli dissero i suoi discepoli: Ecco che ora parli chiaramente, e non fai uso d’alcun proverbio. Adesso conosciamo che tu sai tutto, e non hai bisogno che alcuno t’interroghi: per questo noi crediamo che tu sei venuto da Dio”].

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.)

LA PREGHIERA DEL MATTINO E DELLA SERA.

Quando il re Demetrio mandò contro i Giudei un esercito poderoso, un capitano espertissimo, Giuda Maccabeo, raccolse i suoi soldati impauriti, e raccontò loro una visione che li rallegrò tutti. « Non temete! — disse; — nel cuor della notte m’è apparso un personaggio venerando per età e gloria e circonfuso di una magnifica maestà. A me che meravigliato guardavo, una voce disse: « Questi è l’amico dei fratelli e del popolo d’Israele, questi è colui che molto prega per noi e per la città santa: Geremia è, il profeta di Dio ». Allora Geremia, stendendo la destra, mi consegnò una spada d’oro, dicendomi: « Ricevi la spada santa dono di Dio, con la quale abbatterai i nemici d’Israele mio popolo ». Confortati da queste parole, i valorosi attaccarono battaglia, pregando. La vittoria fu compiutamente splendida: ritornando giubilanti attraverso i campi insanguinati s’accorsero che il capitano dei nemici era tra i morti. Allora, alzato un grido di trionfo, benedissero il Signore onnipotente (II Macc., XV). Cristiani, che siete impauriti davanti agli assalti continui delle tentazioni e del mondo, Cristiani che siete oppressi dalle tribolazioni, Cristiani che soffrite stanchi e aggravati, alzate gli occhi al cielo: nella gloria di Dio Padre v’è Uno sempre intento a pregare per noi. Semper vivens ad interpellandum pro nobis (Ebr., VII, 25). Assai più fortunati noi siamo dei guerrieri di Giuda, perché chi intercede senza posa per noi, non è un profeta, non è un semplice uomo, ma è lo stesso Figlio di Dio, Gesù Cristo. Ecco perché Egli stesso, nel suo Vangelo, ha promesso che la nostra preghiera sarà sempre esaudita: « Se voi domandaste qualsiasi cosa al Padre, in mio Nome, non vi sarà negata. Ma finora non avete mai pregato in mio Nome: su! Domandate e avrete; chiedete ed ogni vostra brama sarà compiuta ». La preghiera è la spada d’oro che Cristo consegna a ciascuno di noi: solo con essa supereremo ogni lotta della vita e abbatteremo il nostro nemico d’inferno. Solo con essa si sono formati i Santi: noi ci meravigliamo davanti alla purezza di S. Luigi Gonzaga, all’umiltà di S. Carlo Borromeo, alla carità di S. Filippo Neri, come di cose favolose e impossibili. Sì, sarebbero state davvero cose favolose e impossibili, se questi uomini avessero pregato così poco e così male come noi. – Questa volta non è della preghiera in generale che vi voglio parlare. Già tutti avete sentito e siete convinti che la preghiera sia necessaria all’anima, come al corpo il respiro; che chi prega si salva e chi non prega si danna. Oggi invece vi parlerò di un dovere quotidiano, dovere indispensabile che distingue il Cristiano di fede viva, dal Cristiano di fede morta. Nell’Antico Testamento, v’era una legge che obbligava gli Ebrei ad offrire due sacrifici al giorno: uno all’alba, l’altro al tramonto. Unum offeretis mane et alterum ad vesperum (Num., XXVIII, 4). Nel Nuovo Testamento, noi pure dobbiamo innalzare, al principio e alla fine di ogni giorno, un sacrificio di lodi che appunto si chiama preghiera del mattino e della sera. – 1. LA PREGHIERA DEL MATTINO. Milton, nel suo poema Il Paradiso perduto, descrive Adamo che, appena creato, apre gli occhi a contemplare le meraviglie del mondo. Vede i fiori coloriti, il verde dei boschi, vede l’azzurro del firmamento disteso sulla sua testa, e rapito in estasi manda un grido. « Mi slanciai e saltai verso il cielo come per toccarlo!» fa dire il poeta al primo uomo. Spontaneo come quello di Adamo deve essere, tutte le mattine appena apriamo gli occhi, lo slancio del nostro cuore impaziente di elevarsi a Dio. Comincia un altro giorno: un’altra pagina del libro di nostra vita. Oh se tutte le pagine cominciassero col santo Nome di Dio, di Gesù Salvatore, di Maria madre amorosissima, del nostro Santo protettore, del nostro Angelo custode, come ci troveremmo lieti quando, finita l’ultima pagina, dovremo consegnare il libro nelle mani della Giustizia Divina!…  Tutto prega alla mattina. Ecco ad oriente il cielo si sbianca: non sentite in questo momento come un invito universale a pregare? Venite adoremus Dominum, qui fecit nos! È la voce dei monti che si districano dalle tenebre; è la voce delle valli che come cappe smeraldine, si riempiono di luce; è la voce delle acque vicine o lontane, è la voce dei campi delle piante dei fiori; è la voce dei passeri che garriscono insieme sulla gronda del vostro tetto; è la voce del sole levante, del sole bello radioso, del sole immagine di Dio nel suo grande splendore. Questi milioni di voci, che sorgono da ogni parte della terra, sono voci di adorazione e di ringraziamento: ma è una musica senza parole. Ci vogliono le parole: ma queste non le può dire che l’uomo. Non le potete dire che voi. E non le direte? Iddio ha sempre avuto un gran desiderio delle primizie. Dalla storia sacra conosciamo che i primi frutti del campo erano per Lui; i primi agnelli del gregge; le prime bestie dell’armento; il primo figliuolo d’ogni famiglia era per Lui. Questo suo amore per le cose prime, incontaminate, Dio lo conserva ancora ed esige da noi la primizia di ogni giorno. Il mondano quando si sveglia pensa ai piaceri, perché suo dio è la passione ed a lei offre le sue primizie. L’uomo avaro e affarista pensa all’interesse, perché suo dio è il danaro, e a lui offre le sue primizie. L’uomo superbo e smanioso d’emergere pensa agli onori, perché suo dio è l’ambizione e a lei offre le sue primizie. Ma noi, che siamo Cristiani di nome e di fatto, noi che per Dio abbiamo il Signore del cielo e della terra, il Creatore delle visibili cose e delle invisibili, doniamo a Lui le primizie di ogni nostra giornata. Ci sono alcuni che, per pigrizia o per occupazioni, spesse volte cedono alla tentazione di rimandare le preghiere: « Le dirò dopo; prima devo far questa o quella osa; prima devo mangiare… ». L’esperienza insegna che orazioni tramandate sono orazioni tralasciate. E poi, se anche avessimo a dirle più tardi, non sarebbero primizie e perderebbero molto di valore. Nella santa Scrittura Dio si paragona ad un viaggiatore mattutino che sta in piedi vicino alla porta, e batte perché gli sia aperto. Ecce sto ad ostium et pulso. Cristiani, non siate maleducati con Dio! Non fatelo attendere in anticamera! Ma la prima parola di ogni giorno sia: « avanti, Signor mio e Dio mio ». Per fortuna a questo mondo ci sono cuori generosi. Non solo si accontentano al mattino delle preghiere comuni, ma vogliono offrire a Dio una grande primizia: la S. Messa. Beate queste anime, a cui è dato di capire quello che altri non capiscono. Nel primo scampanio esse ascoltano la squilla del Gran Re e accorrono in Chiesa. Se è vero che il lavoro impedisce a molti d’ascoltare la S. Messa ogni giorno, è non meno vero che altri la trascurano per la sola pigrizia di alzarsi per tempo. Segno è che non riescono a comprendere che tesoro si gettano dietro le spalle. Io ripeterò le parole che S. Ambrogio diceva ai Milanesi: « È una vergogna che il primo raggio del sole vi trovi inerti nel letto, e che la luce venga a colpire occhi ancora imbambolati da una sonnolenta spossatezza; questo raggio ci rimprovera il lungo tempo perduto per i meriti e l’oblazione del Sacrificio spirituale. Prevenite dunque l’aurora!… » (In Ps., CXVIII, n. 22). Si legge nel Vangelo che, essendosi Gesù avvicinato al letto di una fanciulla di dodici anni per risuscitarla, la prese per mano dicendo: « Fanciulla, alzati ». Ecco ciò che vi dice la mattina Gesù: vi comanda d’alzarvi e vi porge la mano. È una mano divina: stringetela, adoratela, baciatela con le vostre preghiere. Così trascorreranno i giorni e gli anni: alla fine dei secoli sentirete ancora la medesima voce, e vedrete la medesima mano: « Alzati! ». Sarà il risveglio di un giorno senza tramonto. – 2. LA PREGHIERA DELLA SERA. Una sera, uno dei più grandi ingegni del medioevo, il celebre Lanfranco, allora studente e più tardi Vescovo di Cantorbery, camminava verso Roano. Nel traversare una foresta, fu assalito e derubato dai ladri che poi lo legarono, mani e piedi, ad un albero e, tiratogli il cappuccio sugli occhi, lo abbandonarono. Tremante di spavento, umido di rugiada notturna, immobile, con gli occhi sotto il nero del cappuccio, comprese d’essere esposto a certa morte. Lontano s’udiva l’urlo di qualche belva randagia… Perduta ogni speranza umana, si ricordò di Dio, si ricordò ch’era sera e che era bene pregarlo. Cominciò le orazioni che fanciulletto tante volte aveva recitate, giunte le manine, a piè del letto; ma dopo le prime parole non seppe proseguire: non le ricordava più. Confuso e vergognoso di se stesso, si rivolse a Dio singhiozzando così: « Come, o Signore, da tanto tempo studio nelle università, e non so a memoria neppure la maniera d’invocarvi e di pregare ». Allora fece voto di consacrarsi a Dio, se fosse potuto scampare da quel pericolo. E così fu, poiché all’alba seguente alcuni viandanti lo liberarono. Lanfranco corse tosto nel convento più vicino e si fece monaco. Ed al tramonto d’ogni sera, quando la campanella invitava a preghiera, egli arrossendo s’inginocchiava. Anche ai nostri tempi, e più numerosi che mai ci sono uomini a cui si può applicare questo racconto in tutta la sua estensione. Anche essi sono in viaggio, devono attraversare la foresta del mondo anch’essi, e nemmeno mancano assassini e bestie feroci. Anch’essi alla fine della loro giornata sono forse caduti nelle mani del nemico delle anime; sono stati presi, legati col legame del peccato… Una cosa sola potrebbe liberarli: la preghiera. Ma essi non sanno più pregare; ne hanno perduta l’abitudine, hanno dimenticato perfino le parole. Da mesi e da anni, alla sera, si gettano stanchi ed infelici a dormire senza mai levare il cuore a Dio, senza neppure un segno di croce forse, così come le bestie sopra il loro strame. Ah, Cristiani, nessuno di noi rimanga in questo povero stato! Alla sera ricordiamoci dell’obbligo di ringraziare Dio che un altro giorno ha concesso alla nostra vita, un giorno pieno talvolta di gioie e talvolta di dolori, e sempre di grazie e di benedizioni. Ricordiamoci dell’obbligo di domandare perdono a Dio di tante offese nuove aggiunte alla grave somma delle vecchie. Infine, ricordiamoci di supplicarlo perché la notte passi tranquilla e il giorno veniente ci trovi migliori. – Tra le orazioni della sera, due pratiche non si possono trascurare: il santo Rosario e l’Esame di coscienza. L’una è una dolce catena di rose mistiche che lega i figli coi genitori e tutta la famiglia con la Vergine Maria; l’altro è un piccolo conto delle perdite e dei guadagni spirituali. « Sentite; — diceva ai primi Cristiani S. Giovanni Crisostomo, — voi tutti avete un registro in cui scrivete ogni giorno le entrate e le uscite; certamente non andrete mai a dormire prima d’aver fatto i vostri conti, ma la vostra coscienza non è anch’essa un libro aperto in cui dovete notare ogni sera il guadagno e la perdita, l’amore e l’ingratitudine? Ogni sera quindi, prima d’addormentarvi, prendete a tu per tu la vostra anima e ditele: « Su anima mia, su facciamo i conti: che bene hai fatto? che male hai fatto? ». Allora vi sorgerà spontaneo l’atto di ringraziamento per l’aiuto ricevuto dal Cielo, l’atto di dolore per la nostra cattiveria, e il sincero proposito di un migliore domani. – Infelici le case ove discende la notte senza preghiera! Intorno ad esse invano s’aggirano gli Angeli invisibili, invano aspettano nella malinconia. Infelici le famiglie dove la madre trascura questo suo dovere, dove il padre manca per divertirsi nelle osterie, dove i figliuoli cresciuti nell’età e nel male sono in giro, chi sa dove… chi sa dove… E ritorneranno a notte alta, sotto le stelle numerose nel cielo: ma nessuna stella è accesa nell’anima loro. « Diciamo le preghiere della sera » disse alla sua donna un padre di famiglia  sofferente da anni di una seria malattia. Da un pezzo nella casa si era dimenticato di pregare, ma dopo che il Signore aveva mandato quella prova, un barlume di fede era ritornato. Appena la madre incominciò le orazioni, rientrarono i figliuoli adulti dai loro divertimenti serali e rimasero a bocca chiusa, distratti. Il povero padre li sogguardava, e lagrime silenziose gli rigavano la faccia patita. « Che hai da piangere? », gli chiese la donna sottovoce. « Io morrò: — rispose amaramente, — e quando sarò sotterra nemmeno un suffragio riceverò dai miei figliuoli: essi hanno dimenticato le preghiere; non sanno pregare più ». La madre allibì, e tremò tutta. Il cuore le diceva ch’ella senza colpa non era della cattiva educazione religiosa dei figli. Oh quanti genitori, sentendosi morire, usciranno in quel grido straziante! « Quando sarò sotterra non un suffragio avrò dai miei figliuoli: essi non pregano, né sanno pregare più! ».  E la colpa di chi sarà stata?.. — I DIFETTI DELLA PREGHIERA. Quando fu eletto papa Gregorio VII, la Chiesa viveva un’ora difficile della sua storia. Il potere civile s’era intruso negli affari ecclesiastici fino ad arrogarsi la nomina dei Vescovi e talvolta dei Pontefici stessi; uomini indegni, più simili a lupi che ai pastori, riuscivano non raramente ad occupare i posti più alti; l’avarizia e il mal costume s’erano diffusi anche tra coloro che avrebbero dovuto dare il buon esempio. Tutto c’era da estirpare e rinnovare nella Chiesa. Invece papa Gregorio, ch’era un santo, pensando che quasi nulla vi fosse da fare, si ritirò per giorni interi a pregare. Poi cominciò a scriver lettere: scrisse ai monaci del convento di Cluny, dove aveva passato alcuni anni della sua giovinezza, scongiurandoli di pregare per lui; scrisse a parecchi suoi amici, che sapeva devoti, domandando la carità di preghiere. « Ma, o santo Padre, — diremmo noi — perché perdete il tempo così? Non vedete come il demonio devasta la Chiesa? Su, lanciate la scomunica ai ribelli di Germania, castigate gli avari, deponete gli intrusi, accorrete… ». – « Sì — ci par che risponda quel grande Papa dal silenzio della sua tomba, — sì, tutto questo va bene; ma prima e sempre e sopra ogni cosa, pregate. Senza preghiera non si fa niente ». Che dire allora di certa gente che si scusa così: « Io non prego perché non ho tempo: ho troppe faccende ». Per quante faccende abbiate, certo non sarete occupati come il Papa san Gregorio. E poi: non sapete che la prima, la più necessaria faccenda è la preghiera? Non sapete che più si prega e più si trova tempo anche per le altre cose? Non sapete che si salva soltanto chi prega? Ecco perché Gesù nel Vangelo ci stimola con insistenza a pregare. « In verità vi dico che qualunque cosa domanderete al Padre in nome mio ve la concederà. Finora nulla avete chiesto in Nome mio: chiedete e otterrete. I vostri  desideri saranno compiuti in gioia  ». « Come si spiega allora, — pensano alcuni, — che molte volte ho pregato ed il Signore ha fatto il sordo con me? » Non diamo la colpa al Signore quando la colpa è tutta nostra: se non abbiamo ottenuto è perché abbiamo pregato male. Non accipitis eo quod male petatis (Giac. IV, 3). E S. Agostino spiega: « Non ricevete o perché voi siete cattivi, o perché domandate cose cattive, o perché pregate malamente ». Non accipitis eo quod mali, mala, male petatis. Consideriamo, ad uno ad uno, questi difetti che rendono vana la nostra preghiera. – 1. EO QUOD MALI. Il re Antioco si vide perduto (II Macc., IX). Era stato scacciato da Persepoli vergognosamente; ed anche i suoi generali, Nicanore e Timoteo, erano stati sconfitti dai Giudei. Il Signore poi, che tutto vede, lo faceva spasimare con un lancinante dolore di visceri. E quasi non bastasse, mentre spingeva a corsa impetuosa il suo cocchio, il cavallo impennatosi lo sbalzò sulla strada, ammaccandolo in tutte le membra. Quando quest’uomo perfido, che aveva sognato di comandare alle onde del mare e di pesare sulla sua stadera le cime dei monti, si vide sbattuto a terra, quando vide la sua carne sfasciarsi e marcire viva in un fetore a cui egli stesso non sapeva più resistere, allora rivolse a Dio la sua preghiera. « È giusto ch’io mi sottometta al Signore… ». E pregandolo, promise che avrebbe dato libertà a Gerusalemme che poco prima aveva pensato di ridurre a cimitero; promise di restituire l’oro e l’argento che aveva sacrilegamente rubato nel tempio; promise di rispettare quei Giudei che non reputava degni neppur di sepoltura ma che avrebbe voluto sterminare e lasciarli in preda agli avvoltoi e alle belve; promise perfino di farsi circoncidere e diventare anch’egli uno del popolo di Dio. Quante promesse! E quale fervore in questa preghiera! Eppure i dolori non cessarono, eppure non guarì. Tra le montagne selvagge e rocciose, lungi dal suo paese, abbandonato da tutti, come l’ultimo miserabile del mondo, disperatamente moriva Antioco, il re. Perché Dio, che è sì buono, non ha esaudito la sua preghiera? Orabat hic autem scelestus (Macc. IX, 13). Con cuore iniquo e senza aver rinnegato alla sua malizia, costui pregava Dio, a quo non esset misericordiam consecuturus, dal quale non avrebbe giammai ottenuto grazia. Pensiamo un poco: noi, che spesso ci lamentiamo di non essere esauditi nella preghiera, come stiamo di coscienza? Come pretendere che Dio ci ascolti se siamo in peccato? Il peccato ci fa servi del demonio: e noi dopo aver servito il demonio, abbiamo il coraggio di domandare la paga al Signore? Il peccato ci fa nemici di Dio: e noi pretendiamo che Egli aiuti i suoi nemici i quali si beffano in Lui, e saranno peggio che prima? Il Signore non è come gli uomini che vedono appena la vernice esterna, ne scruta nel cuore. Possono essere belle e buone le parole che gli diciamo, ma se il nostro animo è cattivo non saremo esauditi; bensì riceveremo il rimprovero che Gesù lanciò in faccia agli ipocriti farisei: « Questa gente mi onora con la bocca, ma il loro cuore è lontano da me. Vi dico che mi onora inutilmente ». (Mt. XV, 8). Quante volte ancor noi abbiamo pregato con la bocca mentre il nostro cuore era lontano: con una creatura, con un divertimento, con una passione, col demonio. Per ciò non fummo esauditi. – 2. EO QUOD MALA. « Finora, — diceva Gesù, — non avete chiesto cosa alcuna nel mio Nome: domandatela e la riceverete ». Che cosa significa domandare nel Nome del Salvatore? Significa chiedere cose che riguardano la nostra eterna salvezza. A quanti Gesù potrebbe rispondere la parola che disse ai figli di Zebedeo: « Voi non sapete cosa domandate » (Mt. XX, 22). Purtroppo, la nostra debolezza ci china verso terra e ci mette la benda sugli occhi circa l’ultimo fine della vita. Infatti, che cosa si domanda da tanti? Forse la luce della verità, forse l’amore della virtù, l’aumento della grazia? No, non è così. Si domanda una vita senza croci, piena di ricchezze, di onori, si domanda che questa terra che è valle d’esilio diventi un paradiso. E spesso questi beni sono la rovina di molte anime. Quanti se non fossero stati ricchi ora sarebbero in Paradiso; quanti se non fossero saliti tanto in alto tra gli uomini, ora non sarebbero discesi tanto in basso tra i demoni; quanti, se a tempo opportuno avessero avuto una croce, una malattia, la morte, ora non gemerebbero per sempre nel fuoco eterno! Ecco perché Iddio, che ha la vista più lunga della nostra, non sempre ci esaudisce quando gli chiediamo i beni del mondo. Chi è quella madre che darebbe a suo figlio per giocare un rasoio, le forbici, gli aghi? E voi pensate che Dio non faccia per le anime nostre quello che anche noi sappiamo fare con i nostri figliuoli? Il Signore disse un giorno a Salomone: « Domandami quel che vuoi e l’avrai ». Oh se facesse a noi questa domanda! Chiederemmo subito una vita lunga come quella di Matusalem, una forza terribile come quella di Sansone; chiederemmo ricchezze infinite. Invece Salomone rispose: « Dammi, o Signore, lo spirito della sapienza che guidi i miei passi sulla retta strada, e non ti abbia ad offendere mai ». E Dio fu commosso da questa risposta e aggiunse: « Giacché non mi hai domandato un bene fugace del mondo, ma un bene eterno, abbiti non solo la sapienza, ma anche un regno florido e ricchezze, e onori, tutto ». Ricordiamo anche noi, quando preghiamo, la parola di Gesù: « Cercate soprattutto il regno di Dio e la sua giustizia; il resto vi sarà dato per giunta ». – 3. EO QUOD MALE PETATIS. La preghiera talvolta non è esaudita perché fatta male: senza umiltà, senza sostanza, senza fiducia. a) Senza umiltà: Due uomini entrano nel tempio a pregare. Uno è un fariseo, l’altro è un pubblicano. Il fariseo, dritto davanti a Dio, non fa che esaltare se stesso e umiliare gli altri: « Grazie, o Signore, che non m’hai fatto un ladro, un ingiusto, un disonesto come gli altri, come quel pubblicano là in fondo ». Il pubblicano invece, là in fondo, non osava neppure levare gli occhi dal suolo e si batteva il petto e singhiozzava: « Signore, sii buono anche con me che son peccatore ». « Guardate — concluse Gesù, narrando la Parabola, — guardate che dal tempio uscì giustificato solo il povero ed umile pubblicano (Lc., XVIII, 14). b) Senza costanza: Un uomo, a mezzanotte in punto, batte alla porta d’un suo amico. « Amico, prestami tre pani. M’è capitata gente che ha fame in casa, ed io non ne ho più, nemmeno una briciola ». L’amico non viene neppure alla finestra e di dentro gli risponde: « Senti, mi dispiace, ma ho già chiuso tutta la casa. Io sono a letto, i miei figli anche: non vorrai farci alzare per darti del pane!… ». L’altro in piedi davanti alla porta chiusa non si scoraggia e comincia a battere. Batte una volta, due, tre… L’amico non può più dormire. Se non per amicizia, ameno per levarsi quella seccatura, si alza e lo esaudisce (Lc., XI, 5). Dunque, bisogna pregare, senza scoraggiarsi, fin quando si ottiene quel che si domanda. Oportet semper orare et numquam deficere. Non lasciamoci vincere dal silenzio del Signore: più tarda la grazia e più bella sarà. Trenta anni ha pregato santa Monica per il suo figliuolo, ma poi quale grazia! Suo figlio fu un santo. c) Senza fiducia: Una donna vien dalla terra di Chanaan per far la sua preghiera a Gesù: « Signore! Figliuolo di Davide, pietà di me, che ho una figlia indemoniata! ». Gesù non la guarda, non le risponde nemmeno una parola. Non respondit ei verbum. Ma essa vuol essere esaudita. Gli va dietro, e non guardata piange, e non ascoltata prega, tanto che gli Apostoli ne sentono compassione: « Maestro — dicono — lasciala andare, non vedi come grida? — Gesù allora si volge e le dice burberamente: « Io son venuto per i Giudei e non per i Cananei ». La povera donna non è vinta da questo reciso rifiuto: vuole essere esaudita e va dietro sempre e non guardata piange e non ascoltata prega. Non capisci, — la rimprovera Gesù, — ch’Io non posso strappare il pane di bocca ai figli per darlo ai cani? ». E quella donna accetta d’essere come un cane, anzi si chiama cagnolino; e nell’impeto della sua fede, risponde: « Sì, è vero, ma i cagnolini hanno le briciole che cadono dalla mensa del padrone, dunque, una briciola, tra quelle che cadono dalla mensa del padrone, anche per me, anche per mia figlia indemoniata una briciola… ». Gesù allora non poté più resistere e le rispose: « La tua fede è grande; sia fatto come tu vuoi ». In quel momento sua figlia guariva. È questa la fiducia delle nostre preghiere? – San Luigi IX, re di Francia, era partito per la crociata. Ma quando con la sua flotta si trovò in mezzo al mare, una burrasca terribile cominciò a flagellare e squassare le navi. Tutti urlavano e piangevano di paura. Il re pallido e tremante s’inginocchiò sul ponte della nave ammiraglia e pregò un istante; poi alzatosi calmo e sorridente disse a tutti che niente di male li avrebbe incolti. « Donde ricavate questa fiducia? », gli domandarono i suoi. Laggiù, — rispose egli, — nel monastero di Chiaravalle in questo istante si prega fervorosamente per noi. Tutto andrà bene ». Cristiani! Quando nella vita attraversiamo certe ore di burrasca, quando l’anima nostra sta per affondare nel male, ricordiamoci allora della preghiera e saremo salvi.

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps LXV: 8-9; LXV: 20

Benedícite, gentes, Dóminum, Deum nostrum, et obœdíte vocem laudis ejus: qui pósuit ánimam meam ad vitam, et non dedit commovéri pedes meos: benedíctus Dóminus, qui non amóvit deprecatiónem meam et misericórdiam suam a me, allelúja.

[Popoli, benedite il Signore Dio nostro, e fate risuonare le sue lodi: Egli che pose in salvo la mia vita e non ha permesso che il mio piede vacillasse. Benedetto sia il Signore che non ha respinto la mia preghiera, né ritirato da me la sua misericordia, allelúia].

Secreta

Súscipe, Dómine, fidélium preces cum oblatiónibus hostiárum: ut, per hæc piæ devotiónis offícia, ad cœléstem glóriam transeámus.

[Accogli, o Signore, le preghiere dei fedeli, in uno con l’offerta delle ostie, affinché, mediante la pratica della nostra pia devozione, perveniamo alla gloria celeste].

Prefatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

Paschalis

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre: Te quidem, Dómine, omni témpore, sed in hac potíssimum die gloriósius prædicáre, cum Pascha nostrum immolátus est Christus. Ipse enim verus est Agnus, qui ábstulit peccáta mundi. Qui mortem nostram moriéndo destrúxit et vitam resurgéndo reparávit. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare: Che Te, o Signore, esaltiamo in ogni tempo, ma ancor piú gloriosamente in questo giorno in cui, nostro Agnello pasquale, si è immolato il Cristo. Egli infatti è il vero Agnello, che tolse i peccati del mondo. Che morendo distrusse la nostra morte, e risorgendo ristabilí la vita. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XCV: 2

Cantáte Dómino, allelúja: cantáte Dómino et benedícite nomen ejus: bene nuntiáte de die in diem salutáre ejus, allelúja, allelúja.

[Cantate al Signore, allelúia: cantate al Signore e benedite il suo nome: di giorno in giorno proclamate la salvezza da Lui operata, allelúia, allelúia].

Postcommunio

Orémus.

Tríbue nobis, Dómine, cæléstis mensæ virtúte satiátis: et desideráre, quæ recta sunt, et desideráta percípere.

[Concedici, o Signore, che, saziati dalla forza di questa mensa celeste, desideriamo le cose giuste e conseguiamo le desiderate.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

ORDINARIO DELLA MESSA

TUTTA LA MESSA (L’UNICA “VERA” CATTOLICA ROMANA) MOMENTO PER MOMENTO (1)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.