DOMENICA IV DOPO PASQUA (2023)

DOMENICA IV DOPO PASQUA (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La liturgia di questo giorno esalta la giustizia di Dio (Intr., Vang.) che si manifesta col trionfo di Gesù e l’invio dello Spirito Santo. « La destra del Signore ha operato grandi cose risuscitando Cristo da morte » (All.) e facendolo salire al cielo nel giorno dell’Ascensione. È bene per noi che Gesù lasci la terra, poiché dal cielo Egli manderà alla sua Chiesa lo Spirito di verità (Vang.), per eccellenza, che viene dal Padre dei lumi (Ep.). Lo Spirito Santo ci insegnerà ogni verità (Vang., Off., Secr.), esso « ci annunzierà » quello che Gesù gli dirà e noi saremo salvi se ascolteremo questa parola di vita (Ep.). Lo Spirito Santo ci dirà le meraviglie che Dio ha operate per il Figlio (Intr., Off.) e questa testimonianza della splendida giustizia resa a Nostro Signore consolerà le anime nostre e ci sarà di sostegno in mezzo alle persecuzioni. Siccome, secondo quanto dice S. Giacomo, « la prova della nostra fede produce la pazienza e questa bandisce l’incostanza e rende le opere perfette », noi imiteremo in tal modo la pazienza del nostro Dio « e del Padre nostro », nel quale « non vi è né variazione né cambiamento » (Ep.), e « i nostri cuori saranno allora là dove si trovano le vere gioie » (Or.). Lo Spirito Santo convincerà inoltre satana e il mondo del peccato che hanno commesso mettendo a morte Gesù (Vang., Comm.) e continuando a perseguitarlo nella sua Chiesa.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XCVII:1; 2
Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja.

[Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Ps XCVII: 1
Salvávit sibi déxtera ejus: et bráchium sanctum ejus.

[Gli diedero la vittoria la sua destra e il suo santo braccio.]

Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja.

[Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui fidélium mentes uníus éfficis voluntátis: da pópulis tuis id amáre quod prǽcipis, id desideráre quod promíttis; ut inter mundánas varietátes ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gáudia.

[O Dio, che rendi di un sol volere gli ànimi dei fedeli: concedi ai tuoi pòpoli di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti; affinché, in mezzo al fluttuare delle umane vicende, i nostri cuori siano fissi laddove sono le vere gioie.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Jacóbi Apóstoli
Jas I 17-21
Caríssimi: Omne datum óptimum, et omne donum perféctum desúrsum est, descéndens a Patre lúminum, apud quem non est transmutátio nec vicissitúdinis obumbrátio. Voluntárie enim génuit nos verbo veritátis, ut simus inítium áliquod creatúræ ejus. Scitis, fratres mei dilectíssimi. Sit autem omnis homo velox ad audiéndum: tardus autem ad loquéndum et tardus ad iram. Ira enim viri justítiam Dei non operátur. Propter quod abjiciéntes omnem immundítiam et abundántiam malítiæ, in mansuetúdine suscípite ínsitum verbum, quod potest salváre ánimas vestras.


[Caríssimi: Ogni liberalità benefica e ogni dono perfetto viene dall’alto, scendendo da quel Padre dei lumi in cui non è mutamento, né ombra di vicissitudine. Egli infatti ci generò di sua volontà mediante una parola di verità, affinché noi siamo quali primizie delle sue creature. Questo voi lo sapete, miei cari fratelli. Ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira. Poiché l’uomo iracondo non fa quel che è giusto davanti a Dio. Per la qual cosa, rigettando ogni immondezza e ogni resto di malizia, abbracciate con animo mansueto la parola innestata in voi, la quale può salvare le vostre ànime.]

L’Apostolo S. Giacomo, detto il Minore, era venuto a conoscere che tra i Cristiani convertiti dal Giudaismo e disseminati fuori della Palestina serpeggiavano gravi errori, nell’interpretazione della dottrina loro insegnata, specialmente rispetto alla necessità delle buone opere. Inoltre, in mezzo alle tribolazioni cui andavano soggetti, c’era pericolo che riuscissero a farsi strada le vecchie abitudini. Per premunire contro l’errore questi suoi connazionali dispersi, e per richiamarli a una vita più austera, S. Giacomo scrive loro una lettera. In essa si insiste sulla necessità che alla fede vadano congiunte le buone opere. Si danno, poi, varie norme, perché tanto nella vita privata, quanto nelle relazioni sociali siano guidati da uno spirito veramente cristiano; e vengono confortati nelle loro tribolazioni. L’Epistola è tolta dal cap. 1 di questa lettera. Da Dio deriva ogni bene. Da Lui abbiamo avuto il dono inestimabile della vita della grazia, per mezzo della predicazione del Vangelo, parola di verità. Questa parola di verità ciascuno deve accogliere con prontezza, con semplicità, con spirito di mansuetudine.

Alleluja

Allelúja, allelúja.
Ps CXVII:16.
Déxtera Dómini fecit virtútem: déxtera Dómini exaltávit me. Allelúja.

[La destra del Signore operò grandi cose: la destra del Signore mi ha esaltato. Allelúia.]

Rom VI:9
Christus resúrgens ex mórtuis jam non móritur: mors illi ultra non dominábitur. Allelúja.

[Cristo, risorto da morte, non muore più: la morte non ha più potere su di Lui. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem
Joannes XVI: 5-14

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Vado ad eum, qui misit me: et nemo ex vobis intérrogat me: Quo vadis? Sed quia hæc locútus sum vobis, tristítia implévit cor vestrum. Sed ego veritátem dico vobis: expédit vobis, ut ego vadam: si enim non abíero, Paráclitus non véniet ad vos: si autem abíero, mittam eum ad vos. Et cum vénerit ille, árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício. De peccáto quidem, quia non credidérunt in me: de justítia vero, quia ad Patrem vado, et jam non vidébitis me: de judício autem, quia princeps hujus mundi jam judicátus est. Adhuc multa hábeo vobis dícere: sed non potéstis portáre modo. Cum autem vénerit ille Spíritus veritátis, docébit vos omnem veritátem. Non enim loquétur a semetípso: sed quæcúmque áudiet, loquétur, et quæ ventúra sunt, annuntiábit vobis. Ille me clarificábit: quia de meo accípiet et annuntiábit vobis.

[In quel tempo: Gesú disse ai suoi discepoli: Vado a Colui che mi ha mandato, e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? Ma perché vi ho dette queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io vi dico il vero: è necessario per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito, ma quando me ne sarò andato ve lo manderò. E venendo, Egli convincerà il mondo riguardo al peccato, riguardo alla giustizia e riguardo al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché io vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato. Molte cose ho ancora da dirvi: ma adesso non ne siete capaci. Venuto però lo Spirito di verità, vi insegnerà tutte le verità. Egli, infatti, non vi parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito: vi annunzierà quello che ha da venire, e mi glorificherà, perché vi annunzierà ciò che riceverà da me.]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.)

L’ADDIO DI GESÙ

Finita la cena, — era l’ultima cena che il Figlio di Dio mangiava coi figli degli uomini, — Gesù e gli undici Apostoli s’incamminarono verso il monte degli Ulivi. C’era lassù un orto chiamato il Getsemani, ove il Signore soleva pregare. Quando la silenziosa compagnia, passata la valle del Cedron, cominciò a risalire per una stradetta incassata tra gli ulivi ed i vigneti, Gesù disse agli Apostoli tenerissime cose. E concluse: « Ed ora torno a Colui che mi ha mandato ». Tutti tacevano in angoscia: non era la prima volta, quella sera, che il Maestro parlava di partire. E, quantunque non immaginassero che quella era l’ultima notte di Gesù, tuttavia per i continui accenni che Egli faceva della sua prossima partenza, cominciarono a temere. E quando disse: « Ora torno a Colui che mi ha mandato », si strinse la gola dei discepoli, e nessuno poté rispondere. « Come? », disse Gesù, « non parlate? Vi ho detto che me ne vado e nessuno mi domanda dove? ». Nell’oscurità e nel silenzio della sera per la stradetta ascendente tra i filari d’ulivi e di viti, il Maestro li sentiva lottare coi singhiozzi. Perciò aggiunse: « Perché vi ho detto queste cose, il vostro cuore è gonfio di tristezza. Non affliggetevi: vi dico che è necessario per voi che me ne vada ». Come una madre che deve andare lontano e si vede attorno i figliuoli piangenti, li raccomanda a qualche parente e promette vicino il suo ritorno, così anche Gesù fece due promesse per consolare i suoi Apostoli alla sua partenza. « È necessario per voi ch’io vada; perché s’io non vado, il Paracleto non verrà » — Lo Spirito Santo non poteva venire prima della morte di Cristo perché gli uomini erano ancora schiavi del peccato originale; era necessario che Gesù morendo ci redimesse, affinché lo Spirito Santo, che non abita in un corpo soggetto al peccato, potesse venire in noi. « È  necessario per voi ch’io vada: perché vi possa preparare un posto, e quando lo avrò preparato, ritornerò da voi, e vi prenderò con me; e starete per sempre dove sarò io ». Noi in Paradiso, prima della morte di Cristo, non potevamo andare: era necessario che Gesù morendo entrasse per il primo e ce lo aprisse, perché anche noi dietro a Lui vi potessimo entrare. Dunque, com’è stato buono, più che una mamma, Gesù con noi! Prima di partire ha pensato a noi, per la nostra vita e per la nostra morte. Per la nostra vita ci ha promesso lo Spirito Santo; per la nostra morte ci ha promesso che tornerà Lui a prenderci e a portarci dove Egli sta. Ciò che importa, adesso, è sapere quello che dobbiamo fare perché lo Spirito Santo abiti in noi in questa vita, e perché nell’ora della nostra morte venga Gesù a prenderci e condurci in Cielo. – 1. PERCHÈ LO SPIRITO SANTO ABITI IN NOI. La Vergine siracusana, santa Lucia, fu accusata al governatore Pascasio perché rifiutava la mano d’un giovane idolatra. Essa si difese e disse: « Non ho promesso fedeltà a nessun uomo, ma solo a Dio ». Il governatore, adirato, comandò: « Fra i tormenti la si costringa a tacere! A lui rispose Lucia: « Le parole non mancheranno mai sulle labbra dei servi di Dio. L’ha detto Gesù: Quando vi troverete davanti ai re ed ai magistrati, non angustiatevi per le cose che dovete dire; lo Spirito Santo che è in voi vi suggerirà tutto » – « Dunque, lo Spirito Santo è in te? ». « Sì: coloro che vivono casti e pii sono templi dello Spirito Santo ». Allora il governatore maligno aggiunse: « Penserò a farti cessare di essere casta e pia e non sarai più il tempio dello Spirito Santo ». Ma la vergine, levate le mani e gli occhi al cielo, pregava. Ecco, o Cristiani: perché lo Spirito Santo abiti in noi è necessario vivere pii e casti. Pii: con la frequenza dei Sacramenti, con la preghiera in casa ed in Chiesa. Casto: con l’onestà della vita, con la fuga dalle occasioni cattive, con l’amore alla propria famiglia. È vicina la Pentecoste, la grande festa che ricorda la discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli: prepariamo i nostri cuori con una vita casta e pia. E se alcuno sentisse pesare sulla sua coscienza una grave colpa, si purifichi con la santa Confessione, altrimenti lo Spirito Santo non verrà in lui e non sentirà gli effetti della sua presenza. « Quando verrà lo Spirito consolatore — ha detto Gesù — Egli v’insegnerà ogni verità ». Beate le anime caste e pie, perché da Lui saranno consolate! In ogni dolore, in ogni croce proveranno una soave dolcezza, perché lo Spirito Santo presente in loro, ascolterà ogni gemito e preparerà per essi una ricompensa eterna. Beate le anime caste e pie, perché da Lui saranno ammaestrate, e comprenderanno come tutte le cose di quaggiù non siano altro che un inganno, e non val la pena d’attaccare il cuore nostro ad esse. – 2. PERCHÈ GESÙ RITORNI NELL’ORA DI NOSTRA MORTE. L’ora più terribile della vita è quella di nostra morte. Soffrire i mali dell’agonia che ci strapperanno stille di freddo sudore; chiuder gli occhi e non riaprirli più a vedere le persone e le cose amate; andar via da questo mondo senza portar via niente con noi, neppure un soldo, neppure un frustolo di pane; e non sapere dove si vada e come sarà… Al di là della morte chi verrà a prenderci? Gesù o il demonio? Oh, se fossimo sicuri che verrà Gesù a condurci dove Egli è, a star sempre con Lui, a non morir più, a godere eternamente, come sarebbe dolce la morte! Sarebbe il termine d’ogni dolore, anzi l’inizio della gioia senza confine. Ebbene, Gesù ha promesso che tornerà a prendere i suoi discepoli per dare ad essi quel posto che si sono guadagnati in Paradiso. Quando il cappellano entrò nella stanza della santa di Lisieux morente, cercò di confortarla ad accettar la morte con rassegnazione. « Padre! — rispose santa Teresa, — non c’è bisogno di rassegnazione se non per vivere. A morire io provo gioia: perché Gesù stesso verrà a prendermi. E quando si è con Gesù non si muore ma si entra nella vita ». Beati quelli che muoiono bene! Morire bene: ecco lo scopo di tutto il nostro vivere. Ma noi sappiamo che nulla s’impara se non con l’esercizio e con la pratica. Come s’impara a fabbricare? fabbricando. Come s’impara a morire? morendo. « Ogni giorno io muoio », diceva San Paolo; ed ogni giorno moriva al mondo, ai piaceri, alle lusinghe del demonio e delle passioni. Da questo si spiega com’egli potesse scrivere: « Io bramo di morire per trovarmi con Cristo ». Cupio dissolvi et esse cum Christo. « Io bramo di morire perché la morte è un guadagno per me » (Filip., I, 21,23). Sulla tomba di Scoto, filosofo francescano, fu scritto « Semel sepultus bis mortuus ». Fu sepolto una volta sola e morì due volte: la prima, mentre viveva facendo penitenza e rinnegando se stesso. Se vogliamo morir bene, anche noi ogni giorno dobbiamo imparare a morire: devono morire nella nostra mente i cattivi pensieri; devono morire sulle nostre labbra le parole cattive di bestemmia, di impurità, di odio, di mormorazione; devono morire nella nostra vita le opere cattive, solo deve vivere in noi la volontà di Dio. Solo così Gesù ritornerà a prenderci nell’ora di nostra morte. – Moriva un bambino di sei anni: s’accorgeva di morire, ma non aveva paura. Volgendosi alla mamma che singhiozzava, ingenuamente le chiedeva: « Mamma, domani, quando sarò in cielo e mi verrà sonno, Gesù a dormire mi metterà nella cuna o mi prenderà sulle sue braccia? ». Sulle braccia di Gesù tu dormi ora, o piccolo innocente! Ma anche noi se sapremo conservare il nostro cuore buono e puro come quello di un bambino, anche noi Gesù prenderà sulle sue braccia, nell’ora di nostra morte. E sia così. — IL GIUDIZIO DELLO SPIRITO SANTO. Gesù conforta così i suoi Apostoli: « No, il mondo non vincerà perché manderò lo Spirito Santo a giudicarlo, e lo convincerà di peccato, di giustizia e di giudizio ». E San Tommaso spiega queste parole oscure dicendo che lo Spirito Santo giudicherà il mondo: de iustitia — ossia delle opere buone omesse; de peccato — che non doveva commettere; de iudicio — ossia dei falsi apprezzamenti del mondo, che disprezza i beni eterni, per stimare i beni fugaci e bugiardi. – 1. DE PECCATO. Una notte nella città di Cambrai le campane suonarono spaventosamente a stormo. I cittadini balzavano dal sonno, s’affacciavano alle finestre con gli occhi sbarrati: un chiarore fosco e sanguigno, un fumo denso entrava in ogni via, suscitando ombre paurose. Giù nelle strade c’era gente che accorreva affannosamente; gente che gridava: « La cattedrale in fiamme ». Sulla piazza della cattedrale era tutto un popolo che impotente vedeva il suo tempio, il simbolo della fede dei padri, rovinare dal sommo. Le lingue di fuoco sfuggivano dalle strombature delle finestre, avvolgevano le lesene, su su fino al cornicione, ed erompevano liberamente sul tetto con un crepitìo di selvaggio trionfo. Tratto tratto qualche rombo sordo e lungo: le volte crollavano in un vortice di fumo e di faville. Le colonne, i capitelli, gli stucchi, le guglie, le statue dei santi, tutto precipitava. In mezzo alla folla, senza una parola, senza una lacrima, il Vescovo, Mons. Reghier guardava… « Che disastro! Che disastro! » urlavano attorno a lui; ed egli rispose: « Disastro: è vero. Ma non è come un peccato ». Il peccato è la ribellione contro Dio che ci ha creati, che ci ha redenti, che ci conserva; è il grido di lucifero: Non serviam! Il peccato è l’ingratitudine più feroce di un figlio verso suo padre che l’ha nutrito con la sua carne, che l’ha dissetato con il suo sangue, che ha dato la sua vita per lui. Filios enutrivi et exaltavi: ipsi autem spreverunt me. Il peccato priva l’anima della sua bellezza, deforma in essa l’immagine di Dio e la spoglia di tutti i meriti che prima s’era con tanta fatica acquistati. Miseros fact populos peccatum (Prov., IV, 34). Il peccato significa il supplizio eterno, in atroci tormenti, nel fuoco e nelle tenebre: il peccato è l’inferno: Ibunt hi in supplicium æternum. Eppure gli uomini peccano tanto facilmente: preferiscono il peccato ai mali del corpo, alla povertà, al disonore, al rinnegamento dei sensi. Non così però i santi: S. Francesco Regis ad un peccatore che non si voleva convertire, così lo scongiurava: « Uccidimi se vuoi, ma non peccare un’altra volta ». Non come il mondo giudicherà lo Spirito Santo quando verrà a convincerlo di peccato: Arguet mundum de peccato. – 2. DE IUSTITIA. S. Giovanni Damasceno racconta che in una città della Grecia v’era una strana costumanza. Ogni anno si andava lontano a cercare uno straniero e, tra il plauso del popolo e i canti e i fiori, lo si portava trionfalmente a reggere la città. E l’infelice s’illudeva beatamente nello splendore del trono e nelle ricchezze della reggia. Ma finito l’anno, la città con urla vergognose lo cacciava in una scogliera brulla in mezzo al mare: senza veste, senza cibo. E là sulla sabbia dell’isola sterile, quell’infelice re d’un anno scontava ad una ad una quelle fugaci ore di gloria. Ma una volta si trasse a reggere la città un uomo che era saggio. Egli non si lasciò lusingare né dagli onori né dai banchetti. Ogni giorno, segretamente, faceva trafugare all’isola fatale e vesti e cibi e oro e pietre e legnami da costruzione. E quando il popolo si levò per cacciarlo via, egli non si fece pregare, ma se ne fuggì contento verso la scogliera ove tante ricchezze lo attendevano. Questo re d’un anno siam noi, sulla terra, o Cristiani; finita la breve vita dovremo passare verso l’isola dell’eternità. Infelice colui che non avrà fatto opere di giustizia: là non troverà né pane, né veste, né casa per la sua felicità, ma troverà lo Spirito Santo a giudicarlo de iustitia quam debuit facere et non fecit. Ma se ogni giorno noi faremo qualche azione buona per l’eternità, qualche mortificazione, qualche preghiera, qualche elemosina per amor di Dio, quando verrà la morte a cacciarci dal regno di questa terra, non ci rincrescerà ma fuggiremo beatamente verso il regno del cielo migliore. Bisogna dunque operare il bene, intanto che siamo vivi. E a questo lo Spirito Santo ci spinge con gemiti inenarrabili. Quante buone ispirazioni, quanti palpiti d’amore, ogni giorno Dio ci concede! È un povero che stende la mano sul nostro passaggio, è il buon esempio di un vicino, è una campana che nel silenzio mattutino ci sforza a balzar dalle coltri e a recarci nella Chiesa a pregare. Hodie si vocem eius audieritis, nolite obdurare corda vestra (Ps., XCIV, 8). – 3. DE JUDICIO. Frate Galdino, arrivato nella casa d’Agnese, per prendere un po’ di fiato, raccontò il famoso miracolo delle noci (MANZONI, Cap. III). La conclusione è veramente graziosa. Padre Macario, passando per una viottola nel campo di un benefattore del convento, vide che stavano sradicando un magnifico noce, perché da anni non dava frutti. Padre Macario persuase il benefattore a lasciar ancora quella pianta nella terra. E il brav’uomo ubbidì, promettendo metà del raccolto per il convento. A primavera fiorì a bizzeffe, e a suo tempo, noci a bizzeffe. Ma il benefattore del convento non ebbe la fortuna di bacchiarle, perché andò prima a ricevere il premio della sua carità. Aveva lasciato però un figliuolo di stampo ben diverso. Costui, un giorno, aveva invitato alcuni suoi amici dello stesso pelo e, gozzovigliando, raccontava la storia del noce e rideva dei frati, a cui credeva d’avergliela fatta, facendosi nuovo della promessa di suo padre. Que’ giovinastri ebber voglia d’andar a vedere quello sterminato mucchio di noci; e lui li mena su in granaio. Apre l’uscio, va verso il cantuccio dove era stato riposto il gran mucchio, mentre dice: — Guardate; — guarda egli stesso, e vede… che cosa? Un bel mucchio di foglie secche. Povero sciocco: come s’era ingannato. Lo stesso sbigottimento subiranno i poveri mondani, quando lo Spirito Santo li convincerà dei loro falsi apprezzamenti. Arguet mundum de iudicio. Tu credevi d’essere al mondo solo per il corpo, e invece era per l’anima. Tu pensavi d’esser al mondo per diventar ricco, e hai sudato, dì e notte, lealmente e slealmente, ti sei logorato tutta la vita, trascurando ogni dovere per amare, per ammassare… che cosa? Un bel mucchio di foglie secche. Tu pensavi d’essere al mondo per raggiungere un posto, per farti un nome, ed almanaccavi sempre disegni di grandezza e di dominio. E che cosa hai raccolto? Guarda … un bel mucchio di foglie secche. Tu pensavi d’esser al mondo per soddisfare le tue passioni: ed hai creduto trovar gioia nel libero sfogo d’ogni impuro desiderio. E cos’hai raccolto? Guarda… un bel mucchio di foglie marce. – Quando S. Metodio arrivò alla corte del Re dei Bulgari, dipinse in una sala della reggia una scena spaventosa. Dio era nel mezzo con tutta la sua maestà. Di qua, di là, gli uomini pallidi, confusi, angosciati, aspettavano il proprio destino. Il principe ne fu spaventato: « Ricordati o re, — disse il santo — che così tu verrai giudicato ». Il re si convertì. Ricordiamo noi pure, o Cristiani, che saremo giudicati de peccato, de iustitia, de judicio. Questo pensiero ci stia dinanzi sempre a infonderci un santo timore.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Ps LXV:1-2; LXXXV:16
Jubiláte Deo, univérsa terra, psalmum dícite nómini ejus: veníte et audíte, et narrábo vobis, omnes qui timétis Deum, quanta fecit Dóminus ánimæ meæ, allelúja.

[Acclama a Dio, o terra tutta, canta un inno al suo nome: venite e ascoltate, tutti voi che temete Iddio, e vi narrerò quanto il Signore ha fatto all’ànima mia, allelúia.]

Secreta

Deus, qui nos, per hujus sacrifícii veneránda commércia, uníus summæ divinitátis partícipes effecísti: præsta, quǽsumus; ut, sicut tuam cognóscimus veritátem, sic eam dignis móribus assequámur.

[O Dio, che per mezzo degli scambi venerandi di questo sacrificio ci rendesti partecipi dell’unica somma divinità: concedici, Te ne preghiamo, che come conosciamo la tua verità, così la conseguiamo mediante una buona condotta.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

Paschalis
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre: Te quidem, Dómine, omni témpore, sed in hac potíssimum die gloriósius prædicáre, cum Pascha nostrum immolátus est Christus. Ipse enim verus est Agnus, qui ábstulit peccáta mundi. Qui mortem nostram moriéndo destrúxit et vitam resurgéndo reparávit. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare: Che Te, o Signore, esaltiamo in ogni tempo, ma ancor piú gloriosamente in questo giorno in cui, nostro Agnello pasquale, si è immolato il Cristo. Egli infatti è il vero Agnello, che tolse i peccati del mondo. Che morendo distrusse la nostra morte, e risorgendo ristabilí la vita. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joann XVI:8

Cum vénerit Paráclitus Spíritus veritátis, ille árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício, allelúja, allelúja.

[Quando verrà il Paràclito, Spirito di verità, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio, allelúia, allelúia]

Postcommunio

Orémus.
Adésto nobis, Dómine, Deus noster: ut per hæc, quæ fidéliter súmpsimus, et purgémur a vítiis et a perículis ómnibus eruámur.

[Concédici, o Signore Dio nostro, che mediante questi misteri fedelmente ricevuti, siamo purificati dai nostri peccati e liberati da ogni pericolo.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (250)

LO SCUDO DELLA FEDE (250)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (19)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

CAPO III

LA PARTECIPAZIONE

ossia la Comunione Divina.

L’eterno è riconciliato coi peccatori. Il Padre celeste ha in seno il Figlio, che tornato dalla terra, gli porta in braccio colla sua divina l’umana natura, con quelle Piaghe che fan compassione, ricordandogli le piaghe della povera umanità, di cui fa parte l’umanità sua stessa, che in Sé ha assunta Gesù. E qui crediamo che Egli dica al Padre, che quei poveri suoi fratelli hanno troppo bisogno di Dio. Dall’altare, intanto, se li chiama intorno, e mediatore tra noi e Dio prega per noi, e a noi mette sul labbro la sua parola divina a dir tutto quello che non sa dire la parola umana, quasi ci dicesse in segreto: « andate là, fate coraggio, domandate tutto: ché vi sarà dato. Con voi pregherò Io stesso. » – Oh sì! ci voleva proprio solo Gesù per esprimere tutti gli affetti divini e gli immensi bisogni dell’anima nostra. Così per mezzo delle auguste cerimonie, che accompagnano il santo Sacrificio, la Chiesa ci ha fatto passare dall’apparecchio all’istruzione, dall’istruzione all’offerta e dall’offerta alla consacrazione, in cui si avvicinò al Redentore nostro. Qui è da ricordare, come Gesù le tante volte raccomandava di pregare. Un bel dì gli Apostoli a Lui: « Maestro, dissero, Voi ci raccomandate tanto di pregare; ma non sappiamo pure che dire; insegnateci Voi… » « Bene, disse Gesù, venite qui con me. » E, ci par di contemplarlo nel tirarseli tutti d’intorno sul monte, e inginocchiarsi in mezzo di loro, e levati gli occhi e le mani al cielo, dir loro con quella sua grazia: « dite su, con me: o Padre!… ; » e gli Apostoli a rispondere « o Padre ! » E Gesù: « Padre nostro, che siete nei cieli; » e gli Apostoli avranno taciuto… E Gesù: « dite su, Padre nostro… ; » e gli Apostoli, pare a noi, almen Pietro con quell’anima ardente avrà detto per tutti: « o Gesù Cristo: mai no, noi chiamar Dio nostro Padre?… Noi con una lingua di fango, con un cuor di terra… noi! dire Padre nostro! Ditelo Voi: Padre mio: e noi, Padre del nostro Maestro, del Vostro Figlio Gesù!… » Ma Gesù, che volle mettersi tutto con noi, e il suo Sangue versarci in cuore, pare di sentirlo a dire: « Figliuoli del Sangue mio, come io son nel Padre, io sono in Voi; fate coraggio, chiamate Dio col nome di Padre. » Ed insegnava il Pater noster. – Orazione al tutto divina! No, nessun filosofo, niuna scuola, niuna religione ha sognato mai di dire agli uomini: chiamate Dio col nome di Padre! Vogliamo bene osservare qui, che tutte le volte che nella divina officiatura si prega col Pater noster, si recita sempre questa orazione in segreto: mentre nella Messa per contrario, prima di cominciarla, si rompe il silenzio, per avvisare il popolo di accompagnar questa preghiera; e poi si recita ad alta voce: « Pater noster. » L’economia della Chiesa può darci di quest’uso la spiegazione. Ella soleva nei primi secoli tenere nascosti i più alti misteri agli infedeli, ed anche ai catecumeni, fino all’ora che dovevano esser promossi al Battesimo. Quest’uso di un prudente segreto era detto Disciplina arcani: la disciplina del secreto (Ben XIV.). Utile, anzi necessaria disciplina a quei tempi, in cui essendo i Cristiani dispersi in mezzo ai popoli pagani, uomini di grossa mente e d’idee troppo materiali nel fatto della religione; il manifestare i più sublimi misteri sarebbe stato un esporli alle derisioni, ed al sacrilegio, e dare occasione alle più bizzarre interpretazioni ed a mostruose contraffazioni, di cui restano i saggi nelle eresie degli Gnostici e d’altri antichi erranti. Quindi, l’orazione domenicale non si faceva conoscere se non ai provati: perché in essa chiamandosi Padre Iddio, si temeva, non forse volessero quelli che non erano ancora bene illuminati, fare del Dio del cielo un dio di sozze generazioni, di cui il paganesimo aveva più che troppi esempi sconcissimi. Era perciò l’ultima che s’insegnava ai catecumeni immediatamente avanti all’amministrazione del Battesimo. Si voleva che fossero ben fermi, prima che lor si confidasse quella preghiera, ed illuminati così da potere comprendere com’essa fosse il compendio di tutte le cattoliche verità, o il breviario, siccome la chiama Tertulliano, di tutta l’evangelica dottrina: perché si recitasse colle debite disposizioni. Ora abbiamo osservato, come alle officiature intervenivano coi catecumeni anche gl’infedeli: perciò quando si aveva da esprimere questa veramente confidenza, che ci ha fatta Iddio di sua bocca divina, se ne dava il segno, si sospendeva il salmeggiare, e si recitava in secreto. Nella Messa invece a quest’ora erano presenti i soli fedeli, le porte erano chiuse, tenuti lontani i profani. Qui adunque si potevano esporre i più teneri misteri, ed era lecito trattar con Dio colla libertà di figliuoli, incorporati in Gesù Cristo: e quindi l’alzar, ora che era tempo, della voce del Sacerdote, era un fare invito ai fedeli di aprir tutto il cuore col loro Padre Divino. Ecco di fatto come gl’incoraggia a pregare così nelle seguenti parole:

Oremus: Præceptis salutaribus ecc. ossia l’invito a recitare l’Orazione domenicale.

« Preghiamo: avvisati dai salutari precetti, e formati alla scuola divina del Vangelo, osiamo dire: Padre nostro ecc. ecc. »

Esposizione dell’invito: Præceptis ecc.

Abbiamo detto, che i fedeli a questo punto del Sacrificio si trovano tra le braccia di Dio: ed il Sacerdote loro fa qui invito a confidargli il cuore con tutti i suoi bisogni: e questo vuol dire pregare. Gli Apostoli appresero da Gesù Cristo, l’ora del Sacrificio essere propizia per effonder l’anima innanzi a Dio col Pater noster (Hieron. lib, 3, ad Pel.).

Oremus: Preghiamo adunque tutti in comune, e le dimande nostre siano in nome di tutti, affinché il Signore ascolti: ché quando ciascun privato prega per sé, prega nello stesso tempo per tutti i suoi fratelli (Io. Chrys. Hom. De Lazaro.). Vedendoci trattati da Dio con miracoli di tale bontà, noi non dobbiamo sapere far altro che gettarci ai suoi piedi, e in parole piene di pietà sfogare il dolore di averlo offeso. Se non che il Sacerdote si rammenta a conforto, che l’altissimo Iddio ci ha fatto dire dal suo Figlio: che per Mediatore abbiamo Lui presso del Padre in cielo: poiché è proprio Gesù col suo labbro benedetto, che ci fece il bel racconto, che sarà sempre il più gran conforto dei peccatori anche più disgraziati. Giova il ripeterlo qui a pascolo di tenerezza (Luc. 15.). Era una volta, dice Gesù, uno sciagurato di figlio, che fattosi tutto il suo bene dare dal padre, ed al più buono dei padri voltate le spalle, gettossi coi mondani a sollazzo, e tutto che possedeva mandò a male nella voragine dei vizi. Perduto ogni bene di Dio: ridotto sul lastrico, in tanta miseria che disputava le ghiande agli immondi ciacchi, li per morire di fame; si ricordò allora di avere ancora un padre, che trattava tanto bene sino gli ultimi servitorelli. Sorge e si avvia alla sua casa. Il buon padre allora innanzi alla casa passeggiava sotto l’ombra del suo viale, e doveva sospirare appunto il ritorno del figliuolo, che piangeva perduto: quando da lungi vede venire su un poverino, tutto lacero, e coperto di cenci cadenti, insozzato di fango, cogli irti capelli, consunto dall’inedia, colle gote riarse. Egli guarda…. Oh! gli par di conoscere…. quel peregrino da niente… che viene innanzi peritoso, impaurito… Ah possibile!… Oh Dio!… il cuor gli vuol saltare fuori dal petto… Eh! Proprio il suo povero figlio! Il padre non va, no, si getta con un salto incontro…. lo abbraccia al collo, lo stringe al petto, l’innonda di baci in quella foga d’affetti!… « Oh! padre, esclama il povero figlio, ho fatto tanto male! » Ma il padre gli chiude la bocca a furia di baci… « Oh padre! vi ricordate quel di… in cui vi ho abbandonato?…» Ma il padre gli risponde a calde lagrime: « mi ricorderò sempre del dì in cui sei ritornato! » « Ah padre! vi debbo far schifo, così sozzo che sono! » Ma il padre: « presto la mia veste più bella!… » Gliela getta addosso, e lo copre tutto di quel ricco paludamento! Il figliuolo colla testa china a pianger forte: e il padre sotto a ricevere le lacrime sul suo volto: e gli ribaciava la bocca!… Padre, sarò l’ultimo servitore in casa vostra!… Ma il padre, stringendolo al seno, lo mena in casa… e grida: « Presto il gran convito; è questo per la mia casa il più bel dì, il mio povero figliuolo era scappato, adesso è ritornato!… era perduto, adesso non lo perdo più! » Deh! non andiamo più in là: è meglio che noi diciamo: « O Gesù, v’abbiamo inteso per bene! » Questa non è istoria, ma un racconto, che vi suggerisce il vostro cuore, e con tenerissimo ingegno lo avete inventato Voi, per metterci sotto gli occhi ciò che vuol fare a noi il Padre divino, a cui Voi ci ritornate. Anche noi sciagurati, lasciato Dio, che è benedetto in eterno, cercammo beni ingannevoli, lontano dal Padre di tutti i beni, affamati di peccati, divenimmo abbietti in vita di colpe…. brancolammo in mezzo a quelle schifezze… Ah! che orror di miseria! Eh via, eh via, siamo ricondotti da Voi in seno al Padre… Per Voi ci è concesso, oh siate benedetto, Redentore pietosissimo! sì ci è concesso lo spirito di adozione (3 Ioan. III, I.), e tanta carità da poter chiamarci, ed essere veramente noi i figliuoli, e chiamarlo con Voi Padre nostro! (Avvertiamo, che l’esposizione del Pater noster fu da noi tratta da s. Cipriano, Tertulliano, s. Giovanni Grisostomo ecc., come anche da s. Teresa. – Può sembrare a taluno che qui interrompiamo troppo la spiegazione della Messa: ma, più noi crediamo di far cosa grata ai pii e colti nostri lettori coll’esporre, come in un quadro circondato dai commenti inspirati ai santi autori, che citiamo dalla loro pietà illuminata, il Pater noster, compendio delle verità cattoliche. Questa divina preghiera, le cui parole sono come tanti palpiti del Cuor di Gesù, basti a mostrare che è divina la Religione Cristiana a chi ha mente d’ intendere.). Invero i precetti evangelici dice s. Cipriano, sono i fondamenti che sostengono l’edifizio della nostra speranza, sono gli appoggi della nostra fede, e gli alimenti del nostro cuore. Ben volle Dio, che molte cose ci fossero dette dai profeti suoi servi; ma maggiori ce ne ha fatto insegnare dal Figlio suo, mettendoci in bocca Egli stesso la sua orazione. – Noi parliamo con essa al Padre divino colle parole del Figlio, e gli mettiamo innanzi i nostri bisogni colla supplica scritta col Sangue del suo Gesù: o meglio è il Consustanziale suo Figlio, che batte al Cuore del Padre divino, perché apra ed introduca seco noi altri figliuoli, che tien per mano di fuori. Il Padre ci vuol ricevere in seno, e vuole che ci assidiamo al convito. La preghiera della nostra fede sorga adunque diritta a Dio sotto la forma di figliale affezione. Ecco che mentre non a Mosè, non al popolo tutto d’Israele mai rivelò il Nome suo ineffabile: possiamo noi il Creatore dell’universo invocare col più tenero dei nomi, e gli gridiamo: « O Padre. » – « Perciò (S. Teresa.) quando vedremo il cielo, ripeteremo. è quella la vostra casa, o Padre: quando prenderemo in mano le vesti, i cibi, e tutto che Voi ci date, ripeteremo con allegrezza: quanto siete buono, o Padre! Quando alcuna cosa ci darà pena o travaglio, noi diremo rassegnati; eh! vuol essere per noi la buona cosa, perché ce la manda il Padre. Mio buon Dio, ci siete proprio Padre! mi guardo d’intorno, sono in casa di mio Padre; stendo lebraccia, e mi sento in seno all’amabile provvidenza di mio Padre; ché tale si è fatto conoscere Dio, quando col darci il Figliuol suo per nostro fratello, ci adottò tutti per figli. » Perciò quando noi tutti fratelli ci presentiamo qui dinanzi col Primogenito a capo di noi, allora col Padre (così Tertulliano) invocando il Figliuolo Gesù, invocando la Madre che è la Chiesa, formando con essi una sola famiglia in terra, ripeteremo piangendo di consolazione: « O Padre nostro. » –  Col dire nostro noi riconosceremo per nostri fratelli (così s. Gio. Grisostomo) i tanti figliuoli dello stesso Dio: dunque chi avrà cuore di oltraggiare i suoi fratelli? Anzi, uniti tutti insieme colla concordia e colla carità, mentre Gesù ci ordinava la preghiera in comune, perché noi siamo un corpo solo; terremo per mano la Chiesa, che dicemmo Madre in terra; ma il Padre nostro siete Voi, « Che siete nei cieli. » Siamo adunque adottati da Dio per figli? Questa è angusta e sublime adozione, che ci dà il diritto di pretendere tutti i beni del Padre Celeste! (così s. Gio. Grisostomo) Paragona, o mio fratello, quello che siamo per natura con quello che la bontà del nostro Dio ci ha fatto. Noi usciti dal nulla, fatti di terra, noi preda del tempo, ieri non esistevamo, e ora abbiamo Iddio per Padre in cielo. Ma noi chiamandolo Padre, siamo in obbligo di diportarci come figliuoli di Lui, sicché anche esso si compiacerà di esserci Padre, come noi ci onoriamo di essergli figli. Viviamo come se fossimo templi in cui abita Dio, ed essendo celesti e spirituali, non ci occupiamo, se non di cose celesti e spirituali. Deh! pigliamo l’ali della fede per volare da questa terra d’esilio in seno al Padre in cielo (ancora s. Gio. Grisostomo) perché questa è voce di libertà e piena di fiducia di quanti credettero in Dio, a cui diede la potestà di divenire suoi figli (Sacram. di Gel. Pap.).

« Sia santificato il vostro nome. » Padre, siam peccatori, è vero, ma rapiti in seno alla vostra Divinità, attoniti innanzi alla vostra grandezza, inabissati nella vostra bontà; Padre, ora per noi che vi conosciamo così bene, il maggior bisogno del nostro cuore è la gloria di Voi, che tanto la meritate. Siate adunque conosciuto, amato, servito e benedetto da tutte le creature: e la vostra santità (s. Gio. Gris.) sia di tutto glorificata nelle opere nostre, che siano degne di un tale Padre. Così risplenda la vostra luce in noi, affinché gli uomini vedano le opere nostre in terra, e diano gloria a voi in cielo (s. Gio. e s. Cipriano). Là in cielo quella corona di Angeli non resta mai dall’esclamare: « santo, santo, santo. » Deh! anche noi candidati degli Angeli, qui coi nostri voti dalla terra rispondendo, ci associamo al coro dei beati in cielo; le voci e le opere nostre accordando a quest’inno sublime di tutte le creature, a Voi, o Padre e Signore dell’universo, sia gloria da questa universale armonia (Tertulliano). Noi, dunque, dice ancora s. Giovanni Grisostomo, acclamiamo santo il Nome di Dio; non già perché noi possiamo aggiungergli santità; ma come acclamiamo ai principi, chiamandoli imperatori e re, per manifestare l’approvazione nostra, che essi siano al possesso di tale dignità: così noi manifestiamo meglio a Dio il desiderio nostro, ben pregandolo subito dopo, che Egli estenda per tutto l’universo il suo regno, colle parole: « Venga il regno vostro. » Dice qui s. Cipriano: non appartiene ad altri che ad un’anima pura questa dimanda. Voi avete udita la sentenza di Paolo: non regni il peccato nel corpo vostro mortale (Rom. VI). Posciaché avremo purificate le nostre azioni, i nostri pensieri, le nostre parole, diciamo a Dio: « Venga il vostro regno. » Perché gemendo sotto le catene dei sensi e delle passioni, preghiamo Dio, che ci liberi dal peccato, sicché diventiamo servi della giustizia. Così in queste parole diciamo di non volere legare il nostro cuore ai beni passeggieri e caduchi di questa vita; e di non tener per beni, se non quelli che sono immortali (Gio. Grisostomo). Ben regna Dio in eterno; ma noi supplichiamo, che Egli regni nell’anima nostra, che ha conquistata col Sangue suo; e sia Esso la nostra risurrezione, al dir dell’Apostolo: perché risuscitando con Esso, noi formeremo il regno suo celeste. Desideriamo finalmente (Tertull.), che Egli anticipi il regnare, e non ci prolunghi il servire. Semplici parole, ma fondamenti di una Religione, che guida gli uomini a regnare eternamente in Dio. Con esse chiediamo il compimento degli eletti nella consumazione dei secoli. « Venga adunque più presto che sia possibile il regno vostro, desiderio di noi Cristiani, confusione dei vostri nemici, allegrezza degli Angeli. Ché per questo regno noi combattiamo. » Ancora, vogliamo aggiungere con s. Teresa, queste sono di quelle celesti cortesie, di che le anime ricambiano Dio,  dicessero: Signore, voi fate tanto per regnare nei nostri cuori; anche noi, anche noi sospiriamo solo il vostro regno. Accennando dunque il paradiso (s. Teresa): « là, diciamo, è il regno del nostro Padre. Voi intanto, o Signore, stendete anche qui sulla terra il regno conquistato dal Sangue di Gesù Cristo. Fate che la vostra Chiesa raccolga nel suo seno tutti gli uomini, nostri fratelli. Oh! quanti di loro sono nella schiavitù del peccato: redimeteci tutti nella libertà del regno della vostra giustizia, e portateci a regnare con Voi in paradiso. » (S. Gio. Grisostomo). –  Quando l’anima è disposta così, (s. Teresa) lascia tutta a Dio la cura di sé, e delle cose sue. E a Lui dice come s. Caterina da Siena: abbiate Voi pensiero di me, ché io avrò pensiero di Voi. Facciamo ben dunque il maggior nostro interesse, quando ci rimettiamo a Dio, che vuol pigliarsi cura di noi, anzi si obbliga a farlo, più tosto che non affannarci da noi che non possiamo allungare di un centimetro un capello della nostra testa. L’anima non ha da fare altro che ripetere:

« Sia fatta la vostra volontà come in cielo, così in terra. » Come se dicessimo, così s. Cirillo (Mystag. 6,): « O Signore, possa io eseguire i vostri voleri sulla terra, come gli Angioli li eseguiscono in cielo. Oh via: facciamo veramente da figliuoli di Dio, lasciandoci dal suo Spirito condurre. » « Signore concedeteci (s. Gio. Grisostomo) che conformiamo totalmente la nostra vita a quella dei Santi, che sono già in cielo: così non facciamo mai, se non quello, che Voi volete. Date sostegno alle virtuose risoluzioni delle anime nostre, che pur vorrebbero essere vostre, ma trovano debolezza nei corpi. Si sforzano esse di correre, per unirsi a Voi nelle regioni celesti, ma il peso di questa carne arresta il loro volo, e le fa ricadere in terra. Siate Voi il nostro sostegno, e ciò che sembra eccedere le forze di nostra natura, ci diverrà facile. » Non domandiamo adunque che Dio faccia ciò che vuole (s. Cip.): e chi mai può impedire che Dio faccia ciò che gli talenta. Ma noi preghiamo, perché Egli adempia il volere suo in tutti, anche negli infedeli. Anche la povera volontà umana gli raccomandiamo; che le faccia volere ciò che è buono: sicché, come Gesù nell’Orto, anche nei più duri cimenti, quando sentiamo il peso delle debolezze della nostra carne, sotto di esso mandiamo tal grido al Padre: « non la nostra mala, sì la vostra buona volontà sia fatta! » Pronti con Gesù anche ad immolarci interamente ai voleri del divin Padre. Attacchiamoci adunque alla croce con Gesù Cristo, e colla pazienza corriamo alla corona. Questo è l’essere coeredi con Gesù Cristo. Fermi nella certezza (Tertull.) che la somma volontà di Dio è la salute di quelli, che Egli ha adottati, noi staremo fra le braccia del suo amore, affinché ci porti al cielo; tranquilli come i bambini in grembo alla madre. E di fatto. a chi possiamo affidarci meglio che al braccio di così amabile provvidenza, che di ogni più minuto essere si prende così sollecita cura? É sapientissimo il Signor nostro, e conosce tutto ciò che è bene; è onnipotente e può operarlo: è buono fino a salvarci col sacrificarsi per noi. Ah! gridiamo in braccio a Lui. « Fate Voi, fate Voi tutto che volete per recare a salute i figli vostri. » Bello è il pensiero di santa Teresa: Pongasi l’anima ai piedi del Padre, Signore e Sposo, come l’amabile Ester e quivi dica: « Signore, sono la serva che desidera nient’altro, che fare la vostra volontà. » Ed il Signore nella sua celeste clemenza (Tertull.) si degnerà sollevarci .come figliuole e spose.

« Dateci oggi il nostro pane quotidiano. »

Oggi non mettiamoci in pena per la dimane pronti ogni giorno alla partenza; atteggiati sempre come viaggiatori, i quali non più si fermano che un istante, per concedere alla natura il necessario. Ché non abbiamo qui la città permanente, ma siamo in via per giungere alla futura. Signore, dateci adunque la provvisione del dì. Dateci (s. Cipr.) il pane che supera ogni sostanza, che mantiene la vita spirituale dell’anima nostra ogni giorno. In tutti gl’istanti abbiamo bisogno di Dio; come bimbi giriamo intorno alla mensa, ed aspettiamo dalle mani del Padre il sostentamento, che solo può dare Egli; il quale apre la mano, e tutti gli esseri animati ricevono l’alimento. – Abbiamo adunque un Padre che pensa a noi: e noi riposiamo sulla sua provvidenza (s. Cipr.). Noi abbiam domandato il regno suo e la sua giustizia: tocca a Lui di compiere la sua promessa, di aggiungerci tutto che per noi sia bene. Se noi non gli balziamo fuori delle braccia, ci potrà Egli lasciar perire nel suo seno? Ma qui noi domandiamo il Pane vivo, disceso dal cielo, Gesù che adoriamo nel Sacramento, perché il pane della vita è Cristo Gesù (s. Cipr.) « Dateci oggi » potevano ben dire con maggior verità quei fervorosi antichi Cristiani, e lo possono ancora parecchi devoti, i quali nel desiderio eccessivo della Comunione, e per viva tenerezza di cuore non possono tener le lagrime: anzi colla bocca aperta del cuore insieme e del corpo, fino delle midolle anelano al loro Dio, fonte vivo: non sapendo altrimenti gustare, né empierne la propria fame, se non hanno con tutta dolcezza e spirituale avidità preso quel Corpo divino (Im. di Crist. Lib. 4); essendo per loro il più acerbo castigo l’esser per pochi dì della Comunione privati. La Comunione adunque, la s. Comunione è quotidiana. Deh adunque non stiam digiuni in punizione di qualche nostra colpa! (S. Cipr.). Diciamo bensì: dateci il pane quotidiano, perché sempre ci conviene domandare l’immunità dal peccato, per modo che siamo degni delle celesti vivande (Sacram. di Gelas. P.). – Pigliamo la beata usanza, tutte le volte che diciamo: Panem nostrum quotidianum, di gettarci in braccio a Gesù con una Comunione spirituale, e dire col cuore: « dateci il pan della vita il Vostro Corpo. » Ben s’intende che è il pane della vita eterna, che gli domandiamo: perché, se domandassimo il pane da mantenerci solo per la vita presente, non sarebbe che l’alimento, che ci munisce per andare al supplizio (Tertull.). Il perché (dice s. Teresa) io non mi posso persuadere, che si domandi il pane materiale, tanto più che ad un tanto Padre non istà bene il domandar tali cose basse, che Egli dà alle creature inferiori, senza che le domandino. Anzi Egli ci ha avvisati di chieder prima le cose del regno suo; ché del restante la divina Maestà si prenderebbe pensiero. Domandasi adunque il pane della dottrina evangelica colle virtù; ed il SS. Sacramento, in cui il cuor nostro si pasce di Dio stesso. Perciò quando gli domandiamo che ci dia il pane quotidiano e sopra sostanziale, è lo stesso che dirgli; « Vogliamo Voi, o Signore, perché niente ci può bastare senza di Voi. » Quindi è da prendere la beata usanza, tutte le volte che recitiamo il Pater noster, di slanciarci, dicendo queste parole, in cuore a Gesù nel santo ciborio, e dirgli contriti ed innamorati: « dateci il nostro pane! » Cioè si dovrebbe fare ognora con questa vivissima giaculatoria la Comunione spirituale. Perché veramente è questo il pane nostro, il Pan del padre: e tutta la vita cristiana dev’essere un sospirare a Lui per vivere solo di Dio (S. Cirillo Mist. 5).

« Rimettete a noi i nostri debiti, siccome noi li rimettiamo ai nostri debitori. »

Dice s. Giovanni Grisostomo: parole son queste di un senso assai profondo e formidabile, ed è come se colui che prega, dicesse a Dio: « Signore, io per me ho rimesso ciò che mi si doveva, anche Voi rimettete a me quel che vi debbo: ho dato, ed anche Voi ora date a me: ho perdonato, ed anche Voi ora perdonate a me. Che se non ho dato nulla al mio prossimo, se non gli ho rimesso il suo debito, non mi rimettete il mio: se ho maltrattato il mio fratello, non risparmiate me meschino: se mi son dimostrato duro verso di lui o spietato, trattatemi pure senza pietà: in una parola usate verso di me quella misura, che ho usato verso il mio prossimo. E vi sarà chi non voglia perdonare ancora? Ben dunque si dovrebbe (per lo men male) consigliare gli infelici, che son fermi di non voler perdonare, che non ardissero di pregare a Dio coll’orazione, che Cristo ha loro insegnato, chiamandolo Padre, e tanto meno lasciarsi trovare presenti al divin Sacrificio. Guai a loro! eglino si tirerebbero in capo la più esecrata maledizione, che il diavolo potesse contro a lor mandar dall’inferno. Nel grande atto di sacrificare a Dio l’immacolato Agnello di pace che leva i peccati del mondo ed impetra agli uomini misericordia, il Sacerdote in nome e persona dei fedeli, che sono presenti, fa al Padre la grande orazione, con la quale prega, che Dio voglia, per i meriti del suo Figliuolo, perdonare a noi i nostri peccati, come noi ai nostri fratelli perdoniamo le offese. Dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus ,debitoribus nostris. Ah! questo sarebbe quasi un fulmine: perché ciò importa, che essendo noi duri ed inflessibili al voler perdonare, anche Dio faccia con noi il somigliante: ed è un invitare e provocare la divina giustizia a fulminarci la sentenza d’eterna riprovazione, suggellata dal Sangue di Gesù Cristo, che in quell’atto doveva suggellare il riscatto della pace e della grazia a noi meritata; ed è un dire: Dio giusto! perché siete giusto e verace, come noi non vogliamo perdonare, e così voi in eterno non ci perdonate; della qual cosa niente di più orribile si può immaginare. Adunque se alcuno di costoro si trova alla Messa, esca, fugga di presente dal luogo santo, si separi dalla comunione dei fedeli della vittima per loro offerta: costui staria men male coi diavoli nell’inferno. Ah! Dunque, vinciamo ogni difficoltà e perdoniamo. Preghiamo, preghiamo che Dio ci conceda la grazia di perdonare. – Quando invece perdonando ci abbracciamo all’altare, e mostrando Gesù al Padre, gli possiam dire: « tuttoché peccatori non vogliamo temere di nostra salute, questo nostro Signore Gesù ha obbligato la fede sua dicendoci: se voi avrete rimesso agli uomini i loro peccati, il Padre Celeste rimetterà i debiti vostri. » (Matt. n. 14). S. Giovanni l’Elemosiniere stava sull’altare, e nell’atto di presentar l’offerta si ricordò dell’avviso di Dio di lasciar sull’altare l’offerta e di correre prima a riconciliarsi e poi venire a compier l’azione: e non poté più restarvi tranquillo. Corse giù dall’altare, cercò di un diacono che si credeva da lui offeso: al tutto volle con lui riconciliarsi: allora tornò contento a far l’offerta nella speranza di ottenere misericordia, col poter dire con sincerità: « perdonate a me, come io agli altri ho perdonato. »

« Non c’inducete in tentazione. »

Assaliti continuamente (s. Cipr.) o dal demonio, o dai nostri simili, o dai nostri sensi, siamo ad ogni istante in pericolo di soccombere, se non abbiamo ricorso alla grazia dell’onnipotente Iddio. Ma coraggio! Gesù ci ha manifestato che il demonio nulla può conta di noi, se non in quanto lo permette Iddio. Preghiamo adunque (s. Cipr.), non già di non essere mai tentati: guai all’uomo che non fu mai tentato! Egli nulla sa (Eccl. 34), e non è sperimentato. Ma preghiamo che Dio porti in mano l’anima nostra: ché quando ci terrà saldi la mano di Dio, noi cammineremo sopra gli abissi, e monteremo sopra il capo alle tempeste, e in mezzo agli attacchi dei nostri sensi troveremo occasione a sempre nuove vittorie. Quindi conchiude qui Tertulliano: « fate orazione. » Alcuni andarono soggetti alla tentazione, perché abbandonarono il Signore e si diedero piuttosto a dormire che a pregare. Preghiamo adunque che ci liberi dalle tentazioni, o dandoci grazia di non essere tentati, o dandoci grazia di non essere vinti. Il popolo risponde: « Liberateci dal male. » Liberateci cioè dal demonio, dal peccato e dalla eterna dannazione, orribilissimo di tutti i mali. Anche Gesù, per confortarci nel sentimento di nostra debolezza, pregava il padre, lo liberasse dai mali che gli soprastavano. Preghiamo pure il Padre, che ci liberi dal male, d’ogni mal di colpa e di pena, da tutto ciò, che crede Egli essere per noi male. La preghiera dice s. Cipriano, termina con queste parole, che ne sono il compendio. Non rimane più niente che si possa chiedere a Dio, giacché, impetrata la protezion di Dio contro il male che ci avversa, siam sicuri da tutti gli assalti del demonio e del mondo. Il Sacerdote risponde: « così sia. » Padre, Signore, Iddio, deh! per vostra grazia ci concedete tutto, di che vi preghiam nell’orazion vostra. Poi seguita l’orazione: Libera nos, detta Embolismo, cioè interposizione od intercalazione, perché ripiglia (Card. Bona, Rer. litur. lib. 2, n. 2) in certo qual modo la parola Libera nos, e si diffonde a numerare i mali, da cui si chiede di essere liberati; essendo come uno sfogo, che si prende l’animo nel versare in cuore al Padre delle misericordie la confidenza delle proprie miserie.