DOMENICA DELLE PALME (2023)
Semidoppio Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.
La liturgia di oggi esprime con due cerimonie, l’una tutta piena di gioia, l’altra di tristezza, i due aspetti secondo i quali la Chiesa considera la Croce. Anzi tutto vengono la Benedizione e la Processione delle Palme. Esse traboccano di una santa allegrezza che ci permette, dopo venti secoli, di rivivere la scena grandiosa dell’entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme. Poi c’è la Messa di cui i canti e le letture si riferiscono esclusivamente al doloroso ricordo della Passione del Salvatore.
I . — Benedizione delle Palme e Processione.
A Gerusalemme, nel IV secolo, si leggeva in questa Domenica nel luogo medesimo dove i fatti s’erano svolti, il racconto evangelico che ci descrive Cristo, acclamato come Re d’Israele, che prende possesso della sua capitale. In realtà, Gerusalemme non è che l’immagine del regno della Gerusalemme celeste. Poi un Vescovo, montato su un asino, andava dal sommo del Monte Oliveto alla chiesa della Risurrezione, circondato dalla folla che portava delle palme, cantando inni ed antifone. Questa cerimonia era preceduta dalla lettura del passo dell’Esodo riguardante l’uscita dall’Egitto. Il popolo di Dio, accampato all’ombra dei palmizi, vicino alle dodici fonti dove Mosè gli promette la manna, è il popolo cristiano che servendosi di rami dei palmizi attesta che il suo Re, Gesù,viene a liberare le anime dal peccato, conducendole al fonte battesimale e nutrendole con la manna eucaristica.La Chiesa di Roma, adottando questo uso, pare verso il IX secolo, ha aggiunto i riti della Benedizione delle Palme, da cui deriva il nome di Pasqua fiorita dato a questa Domenica. Questa cerimonia è una specie di messa con Orazione propria, Epistola, Vangelo e Prefazio proprio. La consacrazione è sostituita dalla benedizione delle palme e la comunione dalla distribuzione di queste palme. Queste cerimonie hanno un significato simbolico. « Dio, — dice la Chiesa — per un ordine meraviglioso della sua Provvidenza, ha voluto servirsi anche di queste cose sensibili per esprimere l’ammirabile economia della nostra salvezza » poiché « questi rami di palme segnavano la vittoria che stava per esser riportata sul principe della morte e i rami d’ulivo annunciavano l’abbondante effusione della misericordia divina ». « Infatti la colomba annunciò la pace alla terra per mezzo d’un ramoscello d’ulivo », « e le grazie che Dio. moltiplicò su Noè all’uscita dall’arca, e su Mosè che abbandonava. l’Egitto con i figli d’Israele, sono una figura della Chiesa » « che muove incontro a Cristo con opere buone » « con le opere che germogliano dai rami di giustizia » (Orazioni della Benedizione delle Palme). Questo corteo di Cristiani che, con le palme in mano e con il canto dell’osanna sulle labbra, acclamano ogni anno, in tutto il. mondo, attraverso tutte le generazioni, la regalità di Cristo, è composta di tutti i catecumeni, dei penitenti pubblici, e dei fedeli che i sacramenti del Battesimo, della Eucaristia e della Penitenza associeranno, nelle feste di Pasqua, a questo trionfatore glorioso. « È noi, che con integra fede rammentiamo il fatto e il suo significato « …ti preghiamo, Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio, per lo stesso Signor Nostro Gesù Cristo affinché, ciò che il tuo popolo fa oggi esternamente, lo compia spiritualmente, riportando vittoria sul nemico ». Questo rappresenta la processione che si arresta alla porta della Chiesa. Alcuni coristi sono nell’interno, i loro canti s’alternano con quelli dei sacerdoti (Gloria, laus et honor). Processione delle Palme: da una parte sono i « cori angelici », dall’altra i soldati di Cristo, ancora impegnati nel. combattimento, che acclamano per turno il Re della gloria. Ben presto la porta si apre allorché il suddiacono vi avrà bussato per tre volte con l’asta della croce; così la croce di Gesù ci apre il cielo e la processione entra in Chiesa, come gli eletti entreranno un giorno con Cristo nella gloria eterna. — Conserviamo religiosamente nella nostra casa un ramoscello di olivo benedetto. Questo sacramentale, in virtù della preghiera della Chiesa, ci farà ottenere i favori del cielo e renderà più ferma la nostra fede in Gesù che, pieno di misericordia (simboleggiata dall’olivo, di cui l’olio mitiga le piaghe), ha vinto (vittoria simboleggiata dalle palme) il demonio, il peccato e la morte.
2. — Messa della Domenica delle Palme.
La benedizione delle palme si faceva a Santa Maria Maggiore, che a Roma rappresenta Betlemme, dove nacque Colui che i Magi proclamarono « Re dei Giudei ». La processione andava da questa Basilica a quella di S. Giovanni Laterano nella quale si teneva altre volte la Stazione, poiché, essendo dedicata al Santo Salvatore, essa rievoca il ricordo della Passione di cui tratta la Messa — Il trionfo del Salvatore deve essere preceduto dalla « sua umiliazione fino alla morte e fino alla morte di croce » (Ep.) umiliazione che ci servirà di modello « affinché mettendo a profitto gli insegnamenti della sua pazienza possiamo renderci partecipi anche della sua risurrezione » (Or.).
Benedictio Palmorum
Ant. Hosánna fílio David: benedíctus, qui venit in nómine Dómini. O Rex Israël: Hosánna in excélsis.
[Osanna al Figlio di David, benedetto Colui che viene nel nome del Signore. O Re di Israele: Osanna nel più alto dei cieli!]
Orémus.
Bene ☩ dic, quǽsumus, Dómine, hos palmárum ramos: et præsta; ut, quod pópulus tuus in tui veneratiónem hodiérna die corporáliter agit, hoc spirituáliter summa devotióne perfíciat, de hoste victóriam reportándo et opus misericórdiæ summópere diligéndo. Per Christum Dominum nostrum.
[Bene ☩ dici Signore, te ne preghiamo, questi rami di palma e concedi che quanto il tuo popolo ha celebrato materialmente in tuo onore, lo compia spiritualmente con somma devozione, vincendo il nemico e corrispondendo con profondo amore all’opera della tua misericordia. Per Cristo nostro Signore.]
De distributione ramorum
Ant. Púeri Hebræórum, portántes ramos olivárum, obviavérunt Dómino, clamántes et dicéntes: Hosánna in excélsisI
[I fanciulli ebrei, portando rami di olivo, andarono incontro al Signore, acclamando e dicendo: Osanna nel più alto dei cieli.].
Dómini est terra et plenitúdo eius, orbis terrárum et univérsi qui hábitant in eo. Quia ipse super mária fundávit eum et super flúmina præparávit eum.
Ant. Púeri Hebræórum, portántes …
Attóllite portas, príncipes, vestras: et elevámini, portæ æternáles: et introíbit rex glóriæ.
Quis est iste rex glóriæ? Dóminus fortis et potens: Dóminus potens in prǽlio.
Ant. Púeri Hebræórum, portántes…
Attóllite portas, príncipes, vestras: et elevámini, portæ æternáles: et introíbit rex glóriæ. Quis est iste rex glóriæ? Dóminus virtútum ipse est rex glóriæ.
Ant. Púeri Hebræórum, portántes …
Ant. Púeri Hebræórum vestiménta prosternébant in via, et clamábant dicéntes: Hosánna filio David; benedíctus qui venit in nómine Dómini. .
[I fanciulli Ebrei stendevano le loro vesti sulla via e acclamavano dicendo: Osanna al Piglio di David! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore!]
Omnes gentes pláudite mánibus: iubiláte Deo in voce exultatiónis.
Quóniam Dóminus excélsus, terríbilis, rex magnus super omnem terram.
Ant. Púeri Hebræórum …
Subiécit pópulos nobis: et gentes sub pédibus nóstris.
Elegit nobis hereditátem suam: spéciem Iacob quam diléxit.
Ant. Púeri Hebræórum …
Ascéndit Deus in iúbilo: et Dóminus in voce tubæ.
Psállite Deo nostro, psállite: psállite regi nostro, psállite.
Ant. Púeri Hebræórum …
Quóniam rex omnis terræ Deus: psállite sapiénter.
Regnávit Deus super gentes: Deus sedit super sedem sanctam suam.
Ant. Púeri Hebræórum vestiménta …
Príncipes populórum congregáti sunt cum Deo Abraham: quóniam Dei fortes terræ veheménter elevati sunt.
Ant. Púeri Hebræórum vestiménta …
Ant. Púeri Hebræórum vestiménta prosternébant in via, et clamábant dicéntes: Hosánna filio David; benedíctus qui venit in nómine Dómini.
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
[Matth. XXI, 1-9]
“In illo témpore: Cum appropinquásset Jesus Jerosólymis, et venísset Béthphage ad montem Olivéti: tunc misit duos discípulos suos, dicens eis: Ite in castéllum, quod contra vos est, et statim inveniétis ásinam alligátam et pullum cum ea: sólvite et addúcite mihi: et si quis vobis áliquid dixerit, dícite, quia Dóminus his opus habet, et conféstim dimíttet eos. Hoc autem totum factum est, ut adimplerétur, quod dictum est per Prophétam, dicéntem: Dícite fíliae Sion: Ecce, Rex tuus venit tibi mansuétus, sedens super ásinam et pullum, fílium subjugális. Eúntes autem discípuli, fecérunt, sicut præcépit illis Jesus. Et adduxérunt ásinam et pullum: et imposuérunt super eos vestiménta sua, et eum désuper sedére tecérunt. Plúrima autem turba stravérunt vestiménta sua in via: álii autem cædébant ramos de arbóribus, et sternébant in via: turbæ autem, quæ præcedébant et quæ sequebántur, clamábant, dicéntes: Hosánna fílio David: benedíctus, qui venit in nómine Dómini”.
[In quel tempo: avvicinandosi a Gerusalemme, arrivato a Bètfage, vicino al monte degli ulivi, Gesù mandò due suoi discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio dirimpetto a voi, e subito vi troverete un’asina legata con il suo puledro: scioglietela e conducetemela. E, se qualcuno vi dirà qualche cosa, dite: il Signore ne ha bisogno; e subito ve li rilascerà». Ora tutto questo avvenne perché si adempisse quanto detto dal Profeta: «Dite alla figlia di Sion : Ecco il tuo Re viene a Te, mansueto, seduto sopra di un’asina ed asinello puledro di una giumenta». I Discepoli andarono e fecero come Gesù aveva loro detto. Menarono l’asina ed il puledro, vi misero sopra i mantelli e Gesù sopra a sedere. E molta gente stese i mantelli lungo la strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li spargevano sulla via, mentre le turbe che precedevano e seguivano gridavano: «Osanna al Figlio di Davide; benedetto Colui che viene nel nome del Signore».]
De processione cum ramis benedictis
Procedámus in pace.
Occúrrunt turbæ cum flóribus et palmis Redemptóri óbviam: et victóri triumphánti digna dant obséquia: Fílium Dei ore gentes prædicant: et in laudem Christi voces tonant per núbila: «Hosánna in excélsis».
[Con fiori e palme le folle vanno ad incontrare il Redentore e rendono degno ossequio al Vincitore trionfante. Le nazioni lo proclamano Figlio di Dio e nell’etere risuona a lode di Cristo un canto: Osanna nel più alto dei cieli!]
Cum Angelis et púeris fidéles inveniántur, triumphatóri mortis damántes: «Hosánna in excélsis».
[Facciamo di essere anche noi fedeli come gli Angeli ed i fanciulli, acclamando al vincitore della morte: Osanna nel più alto dei cieli!]
Turba multa, quæ convénerat ad diem festum, clamábat Dómino: Benedíctus, qui venit in nómine Dómini: «Hosánna in excélsis».
[Immensa folla, convenuta per la Pasqua, acclamava ai Signore: Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli!]
Cœpérunt omnes turbæ descendéntium gaudéntes laudáre Deum voce magna, super ómnibus quas víderant virtútibus, dicéntes: «Benedíctus qui venit Rex in nómine Dómini; pax in terra, et glória in excélsis».
[Tutta la turba dei discepoli discendenti dal monte Oliveto cominciò con letizia a lodar Dio ad alta voce per tutti i prodigi che aveva veduti dicendo: Benedetto il Re che viene nel nome del Signore; pace in terra e gloria nell’alto dei cieli.]
Hymnus ad Christum Regem
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Israël es tu Rex, Davidis et ínclita proles: Nómine qui in Dómini, Rex benedícte, venis.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Coetus in excélsis te laudat caelicus omnis, Et mortális homo, et cuncta creáta simul.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium. Plebs Hebraea tibi cum palmis óbvia venit: Cum prece, voto, hymnis, ádsumus ecce tibi.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Hi tibi passúro solvébant múnia laudis: Nos tibi regnánti pángimus ecce melos.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Hi placuére tibi, pláceat devótio nostra: Rex bone, Rex clemens, cui bona cuncta placent.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium
[Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
Tu sei il Re di Israele, il nobile figlio di David, o Re benedetto che vieni nel nome del Signore.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
L‘intera corte angelica nel più alto dei cieli, l’uomo mortale e tutte le creature celebrano insieme le tue lodi.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
Il popolo Ebreo ti veniva dinanzi con le palme, ed eccoci dinanzi a te, con preghiere, con voti e cantici.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
Essi ti offrivano il tributo del loro omaggio, quando tu andavi a soffrire; noi eleviamo questi canti a te che ora regni.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
Ti piacquero essi: ti piaccia anche la nostra devozione, o Re di bontà, Re clemente, a cui ogni cosa buona piace.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.]
Ant. Omnes colláudant nomen tuum, et dicunt: «Benedíctus qui venit in nómine Dómini: Hosánna in excélsis».
Psalmus CXLVII
Lauda, Jerúsalem, Dóminum: * lauda Deum tuum, Sion.
Quóniam confortávit seras portárum tuárum: * benedíxit fíliis tuis in te.
Qui pósuit fines tuos pacem: * et ádipe fruménti sátiat te.
Qui emíttit elóquium suum terræ: * velóciter currit sermo ejus.
Qui dat nivem sicut lanam: * nébulam sicut cínerem spargit.
Mittit crystállum suam sicut buccéllas: * ante fáciem frígoris ejus quis sustinébit?
Emíttet verbum suum, et liquefáciet ea: * flabit spíritus ejus, et fluent aquæ.
Qui annúntiat verbum suum Jacob: * justítias, et judícia sua Israël.
Non fecit táliter omni natióni: * et judícia sua non manifestávit eis. Ant. Omnes colláudant nomen tuum, et dicunt: «Benedíctus qui venit in nómine Dómini: Hosánna in excélsis».
Fulgéntibus palmis prostérnimur adveniénti Dómino: huic omnes occurrámus cum hymnis et cánticis, glorificántes et dicéntes: «Benedíctus Dóminus».
[Di festosi rami ornati, ci prostriamo al Signor che viene: a Lui incontro corriamo tra inni e canti, Lui glorifichiamo dicendo: Benedetto il Signore!]
Ave, Rex noster, Fili David, Redémptor mundi, quem prophétæ praedixérunt Salvatórem dómui Israël esse ventúrum. Te enim ad salutárem víctimam Pater misit in mundum, quem exspectábant omnes sancti ab orígine mundi, et nunc: «Hosánna Fílio David. Benedíctus qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis».
[Ave, o nostro Re, Figlio di David, Redentore del mondo, preannunciato dai Profeti come Salvatore venuto per la casa d’Israele. Il Padre mandò Te come vittima di redenzione per il mondo; T’aspettavano tutti i santi sin dall’origine del mondo, ed ora: Osanna, Figlio di David. Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna nel più alto dei Cieli!]
Oremus.
Dómine Jesu Christe, Rex ac Redémptor noster, in cuius honórem, hoc ramos gestántes, solémnes laudes decantávimus: concéde propítius ut, quocúmque hi rami deportáti fúerint, ibi tuæ benedictiónis grátia descéndat, et quavis dǽmonum iniquitáte vel illusióne profligáta, déxtera tua prótegat, quos redémit: Qui vivis et regnas in sǽcula sæculórum.
Ingrediénte Dómino in sanctam civitátem, Hebræórum púeri resurrectiónem vitæ pronuntiántes,
Cum ramis palmárum: «Hosánna, clamábant, in excélsis».
Cum audísset pópulus, quod Jesus veníret Jerosólymam, exiérunt óbviam ei.
Cum ramis palmárum: «Hosánna, clamábant, in excélsis».
[Mentre il Signore entrava nella città santa, i fanciulli ebrei proclamavano la risurrezione alla vita,
Agitando rami di palma e acclamando: Osanna nel più alto dei cieli!
Avendo il popolo sentito che Gesù si avvicinava a Gerusalemme, gli mosse incontro
Agitando rami di palma e acclamando: Osanna nel più alto dei cieli!]
Oremus.
Dómine Jesu Christe, Rex ac Redémptor noster, in cuius honórem, hoc ramos gestántes, solémnes laudes decantávimus: concéde propítius ut, quocúmque hi rami deportáti fúerint, ibi tuæ benedictiónis grátia descéndat, et quavis dǽmonum iniquitáte vel illusióne profligáta, déxtera tua prótegat, quos redémit: Qui vivis et regnas in sǽcula sæculórum.
[Signor Gesù Cristo, Re e Redentore nostro, in onore del quale abbiamo cantato lodi solenni, portando questi rami, concedi propizio che la grazia della tua benedizione discenda dovunque questi rami saranno portati e che la tua destra protegga i redenti togliendo di mezzo a loro ogni iniquità ed illusione diabolica. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.]
Incipit
In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.
V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Introitus
Ps XXI: 20 et 22.
Dómine, ne longe fácias auxílium tuum a me, ad defensiónem meam áspice: líbera me de ore leonis, et a córnibus unicórnium humilitátem meam.
[Tu, o Signore, non allontanare da me il tuo soccorso, prendi cura della mia difesa: salvami dalla bocca del leone, e salva la mia debolezza dalle corna dei bufali.]
Ps XXI:2 Deus, Deus meus, réspice in me: quare me dereliquísti? longe a salúte mea verba delictórum meórum.
[Dio mio, Dio mio, guardami: perché mi hai abbandonato? La salvezza si allontana da me alla voce dei miei delitti].
Dómine, ne longe fácias auxílium tuum a me, ad defensiónem meam áspice: líbera me de ore leonis, et a córnibus unicórnium humilitátem meam.
[Tu, o Signore, non allontanare da me il tuo soccorso, prendi cura della mia difesa: salvami dalla bocca del leone, e salva la mia debolezza dalle corna dei bufali.]
Kyrie
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
Gloria
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.
Oratio
Omnípotens sempitérne Deus, qui humáno generi, ad imitandum humilitátis exémplum, Salvatórem nostrum carnem súmere et crucem subíre fecísti: concéde propítius; ut et patiéntiæ ipsíus habére documénta et resurrectiónis consórtia mereámur.
[Onnipotente eterno Dio, che per dare al genere umano un esempio d’umiltà da imitare, volesti che il Salvatore nostro s’incarnasse e subisse la morte di Croce: propizio concedi a noi il merito di accogliere gli insegnamenti della sua pazienza, e di partecipare alla sua risurrezione.]
Epistola
Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses. Phil II: 5-11
“Fratres: Hoc enim sentíte in vobis, quod et in Christo Jesu: qui, cum in forma Dei esset, non rapínam arbitrátus est esse se æqualem Deo: sed semetípsum exinanívit, formam servi accípiens, in similitúdinem hóminum factus, et hábitu invéntus ut homo. Humiliávit semetípsum, factus oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis. Propter quod et Deus exaltávit illum: ei donávit illi nomen, quod est super omne nomen: hic genuflectitur ut in nómine Jesu omne genuflectátur cœléstium, terréstrium et inférnorum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris.”
[“Fratelli: Siano in voi gli stessi sentimenti che furono in Gesù Cristo, il quale, essendo della natura di Dio, non ritenne come una preda la sua parità con Dio, ma spogliò se stesso, prendendo la natura dì servo, divenuto simile agli uomini, e all’aspetto riconosciuto quale uomo. Abbassò, se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sublimato, e gli ha dato un nome superiore a ogni altro nome; perché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio in cielo, sulla terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre”.]
LA GRANDE UMILIAZIONE.
Entriamo oggi nella Settimana Santa, durante la quale la Chiesa ci fa rivivere giorno per giorno; starei per dire ora per ora il mistero della passione e della morte di Gesù, segreto della nostra Redenzione. San Paolo nel brano della sua Epistola a quei di Filippi che forma la lettura di questa domenica ci dà la chiave, il segreto, la filosofia di questo mistero. Come ci redime N. Signore Gesù? Disfacendo pezzo per pezzo l’opera del peccato. Egli è il novello Adamo, antitesi dell’antico. La Passione è la negazione delle colpe antiche. Il riscontro ha persino dei lati materiali: da un giardino all’altro, dal giardino delle colpe all’orto dell’espiazione. Là e qua un albero; là l’albero della morte, qua l’albero della vita, la Croce. È la colpa d’Adamo la colpa classica e tipica, che cosa è essa mai? Due parole la descrivono, la definiscono, due brevi tremende parole: orgoglio e piacere, piacere ed orgoglio. L’orgoglio primeggia per chi approfondisce le cose. E la grande, la classica espiazione sarà il rovescio: umiltà e dolore. Un capolavoro di umiltà, come la colpa classica fu un capolavoro di orgoglio. Ci sono anche i capolavori del male. Paolo canta questa eroica umiltà del Verbo Incarnato, Gesù Cristo; l’accento del suo discorso è lirico, la sostanza è d’una logica stringente. L’umiltà è nei due poli: Verbo — Incarnato, Dio — uomo. Era nella forma di Dio, dice San Paolo, poteva senza scrupolo, senza timor di usurpazione dirsi uguale a Dio, senza timore d’ingiustizia e di usurpazione, non come Adamo che usurpò, volle usurpare quella uguaglianza. Era nella forma di Dio e volle prendere forma di schiavo. « Humiliavit semetìpsum formam servi accipìens ». Padrone, volle diventare servo. È la forma specifica e logicamente efficace della umiliazione espiatrice. Perché l’orgoglio del colpevole Adamo era stato un orgoglio ribelle, un orgoglio affermatosi proprio lì, non voler obbedire alla legge, accettare la servitù, sottostare alla padronanza e signoria divina: ribellione alla legge. La soggezione volontaria distrugge, disfà la volontaria ribellione. Tanto più e tanto meglio perché dalle due parti le cose si spingono all’eroismo, l’eroismo della morte. Adamo affronta la morte con la sua ribellione. C’è la taglia della morte come sanzione del precetto di Dio, ed Adamo malgrado questa sanzione calpesta questo divieto. Eroico, malamente, ma eroico, eroico di un eroismo protervo, ma eroismo. Splendidamente, nobilmente eroica sarà l’espiazione di Gesù obbediente, nota San Paolo, fino alla morte, e che morte! La più ignominiosa e la più crudele. La più ignominiosa perché l’umiltà eroica del sacrificio ubbidiente sia autentica e perché all’umiltà il sacrificio del Martire del Golgota accoppi il dolore, lo strazio — antitesi e antidoto del piacere. Non si potrebbe essere più brevi, succosi e profondi di quello che è San Paolo in queste poche linee, le quali ci rivelano non solo il mistero intimo di quella colpa e di questa espiazione, ma di ogni colpa e di ogni espiazione, di ogni colpa per farla detestare, di ogni espiazione per farla amare. Ma l’antitesi continua anche nella catastrofe dei due drammi. Perché l’epilogo del dramma della colpa è un disastro: il ribelle è battuto, l’orgoglioso è, giustamente, umiliato. Nello sforzo di erigersi oltre misura, si esaurisce e si accascia il gigante, il Capaneo, Adamo. Nello sforzo nobile della sua umiliazione si aderge Gesù o, per usare la propria frase di San Paolo, quel Dio davanti a cui Gesù (nella sua e colla sua umanità) si è umiliato « lo esaltò e gli diede un Nome superiore ad ogni altro, affinché in quel Nome e davanti ad esso tutti genuflettano in cielo, in terra e negli abissi ». L’epilogo dell’apoteosi per l’umiltà. Cerchiamo di essere primi in questa genuflessione; cerchiamo di farla più che nessun altro, alla scuola di Paolo, conscia e profonda.
(G. Semeria: Epistole della Domenica – Milano – 1939)
Graduale
Ps LXXII:24 et 1-3 Tenuísti manum déxteram meam: et in voluntáte tua deduxísti me: et cum glória assumpsísti me.
[Tu mi hai preso per la destra, mi hai guidato col tuo consiglio, e mi ‘hai accolto in trionfo.]
Quam bonus Israël Deus rectis corde! mei autem pæne moti sunt pedes: pæne effúsi sunt gressus mei: quia zelávi in peccatóribus, pacem peccatórum videns.
[Com’è buono, o Israele, Iddio con chi è retto di cuore. Per poco i miei piedi non vacillarono; per poco i miei passi non sdrucciolarono; perché io ho invidiato i peccatori, vedendo la prosperità degli empi.]
Tractus
Ps. XXI: 2-9, 18, 19, 22, 24, 32
Deus, Deus meus, réspice in me: quare me dereliquísti?
Longe a salúte mea verba delictórum meórum.
Deus meus, clamábo per diem, nec exáudies: in nocte, et non ad insipiéntiam mihi.
Tu autem in sancto hábitas, laus Israël.
In te speravérunt patres nostri: speravérunt, et liberásti eos.
Ad te clamavérunt, et salvi facti sunt: in te speravérunt, et non sunt confusi.
Ego autem sum vermis, et non homo: oppróbrium hóminum et abjéctio plebis.
Omnes, qui vidébant me, aspernabántur me: locúti sunt lábiis et movérunt caput.
Sperávit in Dómino, erípiat eum: salvum fáciat eum, quóniam vult eum.
Ipsi vero consideravérunt et conspexérunt me: divisérunt sibi vestiménta mea, et super vestem meam misérunt mortem.
Líbera me de ore leónis: et a córnibus unicórnium humilitátem meam.
Qui timétis Dóminum, laudáte eum: univérsum semen Jacob, magnificáte eum.
Annuntiábitur Dómino generátio ventúra: et annuntiábunt coeli justítiam ejus.
Pópulo, qui nascétur, quem fecit Dóminus.
[Dio, Dio mio, volgiti a me: perché mi hai abbandonato?
V. La voce dei miei delitti allontana da me la mia salvezza.
V. Dio mio, grido il giorno, e non rispondi: la notte, e non c’è requie per me.
V. Eppure tu abiti nel santuario, o gloria d’Israele.
V. In te confidavano i nostri padri: confidavano, e tu li liberavi.
V. A te gridavano, ed erano salvati: in te confidavano, e non avevano da arrossire.
V. Ma io sono un verme, e non un uomo: lo zimbello della gente, e il rifiuto della plebe.
V. Tutti quelli che mi vedevano, si facevano beffe di me: storcevano la bocca e scrollavano il capo.
V. Ha confidato nel Signore, lo salvi, giacché gli vuol bene.
V. Essi mi osservarono e tennero gli occhi su di me: si spartirono le mie vesti, e tirarono a sorte la mia tunica.
V. Salvami dalle zanne del leone: dalle corna degli unicorni salva la mia pochezza.
V. Voi che temete il Signore, lodatelo: voi tutti, o prole di Giacobbe. glorificatelo.
V. Sarà chiamata col nome del Signore la generazione che verrà; e i cieli annunzieranno la giustizia di lui.
V. Al popolo che sorgerà, e che sarà opera del Signore.]
Evangelium
Pássio Dómini nostri Jesu Christi secúndum Matthǽum.
[Matt XXVI:1-75; XXVII:1-66].
“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: J. Scitis, quid post bíduum Pascha fiet, et Fílius hóminis tradétur, ut crucifigátur. C. Tunc congregáti sunt príncipes sacerdótum et senióres pópuli in átrium príncipis sacerdótum, qui dicebátur Cáiphas: et consílium fecérunt, ut Jesum dolo tenérent et occíderent. Dicébant autem: S. Non in die festo, ne forte tumúltus fíeret in pópulo. C. Cum autem Jesus esset in Bethánia in domo Simónis leprósi, accéssit ad eum múlier habens alabástrum unguénti pretiósi, et effúdit super caput ipsíus recumbéntis. Vidéntes autem discípuli, indignáti sunt, dicéntes: S. Ut quid perdítio hæc? pótuit enim istud venúmdari multo, et dari paupéribus. C. Sciens autem Jesus, ait illis: J. Quid molésti estis huic mulíeri? opus enim bonum operáta est in me. Nam semper páuperes habétis vobíscum: me autem non semper habétis. Mittens enim hæc unguéntum hoc in corpus meum, ad sepeliéndum me fecit. Amen, dico vobis, ubicúmque prædicátum fúerit hoc Evangélium in toto mundo, dicétur et, quod hæc fecit, in memóriam ejus. C. Tunc ábiit unus de duódecim, qui dicebátur Judas Iscariótes, ad príncipes sacerdótum, et ait illis: S. Quid vultis mihi dare, et ego vobis eum tradam? C. At illi constituérunt ei trigínta argénteos. Et exínde quærébat opportunitátem, ut eum tráderet. Prima autem die azymórum accessérunt discípuli ad Jesum, dicéntes: S. Ubi vis parémus tibi comédere pascha? C. At Jesus dixit: J. Ite in civitátem ad quendam, et dícite ei: Magíster dicit: Tempus meum prope est, apud te fácio pascha cum discípulis meis. C. Et fecérunt discípuli, sicut constítuit illis Jesus, et paravérunt pascha. Véspere autem facto, discumbébat cum duódecim discípulis suis. Et edéntibus illis, dixit: J. Amen, dico vobis, quia unus vestrum me traditúrus est. C. Et contristáti valde, coepérunt sínguli dícere: S. Numquid ego sum, Dómine? C. At ipse respóndens, ait: J. Qui intíngit mecum manum in parópside, hic me tradet. Fílius quidem hóminis vadit, sicut scriptum est de illo: væ autem hómini illi, per quem Fílius hóminis tradétur: bonum erat ei, si natus non fuísset homo ille. C. Respóndens autem Judas, qui trádidit eum, dixit: S. Numquid ego sum, Rabbi? C. Ait illi: J. Tu dixísti. C. Cenántibus autem eis, accépit Jesus panem, et benedíxit, ac fregit, dedítque discípulis suis, et ait: J. Accípite et comédite: hoc est corpus meum. C. Et accípiens cálicem, grátias egit: et dedit illis, dicens: J. Bíbite ex hoc omnes. Hic est enim sanguis meus novi Testaménti, qui pro multis effundétur in remissiónem peccatórum. Dico autem vobis: non bibam ámodo de hoc genímine vitis usque in diem illum, cum illud bibam vobíscum novum in regno Patris mei. C. Et hymno dicto, exiérunt in montem Olivéti. Tunc dicit illis Jesus: J. Omnes vos scándalum patiémini in me in ista nocte. Scriptum est enim: Percútiam pastórem, et dispergéntur oves gregis. Postquam autem resurréxero, præcédam vos in Galilaeam. C. Respóndens autem Petrus, ait illi: S. Et si omnes scandalizáti fúerint in te, ego numquam scandalizábor. C. Ait illi Jesus: J. Amen, dico tibi, quia in hac nocte, antequam gallus cantet, ter me negábis. C. Ait illi Petrus: S. Etiam si oportúerit me mori tecum, non te negábo. C. Simíliter et omnes discípuli dixérunt. Tunc venit Jesus cum illis in villam, quæ dícitur Gethsémani, et dixit discípulis suis: J. Sedéte hic, donec vadam illuc et orem. C. Et assúmpto Petro et duóbus fíliis Zebedaei, coepit contristári et mæstus esse. Tunc ait illis: J. Tristis est ánima mea usque ad mortem: sustinéte hic, et vigilate mecum. C. Et progréssus pusíllum, prócidit in fáciem suam, orans et dicens: J. Pater mi, si possíbile est, tránseat a me calix iste: Verúmtamen non sicut ego volo, sed sicut tu. C. Et venit ad discípulos suos, et invénit eos dormiéntes: et dicit Petro: J. Sic non potuístis una hora vigiláre mecum? Vigiláte et oráte, ut non intrétis in tentatiónem. Spíritus quidem promptus est, caro autem infírma. C. Iterum secúndo ábiit et orávit, dicens: J. Pater mi, si non potest hic calix transíre, nisi bibam illum, fiat volúntas tua. C. Et venit íterum, et invenit eos dormiéntes: erant enim óculi eórum graváti. Et relíctis illis, íterum ábiit et orávit tértio, eúndem sermónem dicens. Tunc venit ad discípulos suos, et dicit illis: J. Dormíte jam et requiéscite: ecce, appropinquávit hora, et Fílius hóminis tradétur in manus peccatórum. Súrgite, eámus: ecce, appropinquávit, qui me tradet. C. Adhuc eo loquénte, ecce, Judas, unus de duódecim, venit, et cum eo turba multa cum gládiis et fústibus, missi a princípibus sacerdótum et senióribus pópuli. Qui autem trádidit eum, dedit illis signum, dicens: S. Quemcúmque osculátus fúero, ipse est, tenéte eum. C. Et conféstim accédens ad Jesum, dixit: S. Ave, Rabbi. C. Et osculátus est eum. Dixítque illi Jesus: J. Amíce, ad quid venísti? C. Tunc accessérunt, et manus injecérunt in Jesum et tenuérunt eum. Et ecce, unus ex his, qui erant cum Jesu, exténdens manum, exémit gládium suum, et percútiens servum príncipis sacerdótum, amputávit aurículam ejus. Tunc ait illi Jesus: J. Convérte gládium tuum in locum suum. Omnes enim, qui accéperint gládium, gládio períbunt. An putas, quia non possum rogáre Patrem meum, et exhibébit mihi modo plus quam duódecim legiónes Angelórum? Quómodo ergo implebúntur Scripturae, quia sic oportet fíeri? C. In illa hora dixit Jesus turbis: J. Tamquam ad latrónem exístis cum gládiis et fústibus comprehéndere me: cotídie apud vos sedébam docens in templo, et non me tenuístis. C. Hoc autem totum factum est, ut adimpleréntur Scripturæ Prophetárum. Tunc discípuli omnes, relícto eo, fugérunt. At illi tenéntes Jesum, duxérunt ad Cáipham, príncipem sacerdótum, ubi scribæ et senióres convénerant. Petrus autem sequebátur eum a longe, usque in átrium príncipis sacerdótum. Et ingréssus intro, sedébat cum minístris, ut vidéret finem. Príncipes autem sacerdótum et omne concílium quærébant falsum testimónium contra Jesum, ut eum morti tráderent: et non invenérunt, cum multi falsi testes accessíssent. Novíssime autem venérunt duo falsi testes et dixérunt: S. Hic dixit: Possum destrúere templum Dei, et post tríduum reædificáre illud. C. Et surgens princeps sacerdótum, ait illi: S. Nihil respóndes ad ea, quæ isti advérsum te testificántur? C. Jesus autem tacébat. Et princeps sacerdótum ait illi: S. Adjúro te per Deum vivum, ut dicas nobis, si tu es Christus, Fílius Dei. C. Dicit illi Jesus: J. Tu dixísti. Verúmtamen dico vobis, ámodo vidébitis Fílium hóminis sedéntem a dextris virtútis Dei, et veniéntem in núbibus coeli. C. Tunc princeps sacerdótum scidit vestiménta sua, dicens: S. Blasphemávit: quid adhuc egémus téstibus? Ecce, nunc audístis blasphémiam: quid vobis vidétur? C. At illi respondéntes dixérunt: S. Reus est mortis. C. Tunc exspuérunt in fáciem ejus, et cólaphis eum cecidérunt, álii autem palmas in fáciem ejus dedérunt, dicéntes: S. Prophetíza nobis, Christe, quis est, qui te percússit? C. Petrus vero sedébat foris in átrio: et accéssit ad eum una ancílla, dicens: S. Et tu cum Jesu Galilaeo eras. C. At ille negávit coram ómnibus, dicens: S. Néscio, quid dicis. C. Exeúnte autem illo jánuam, vidit eum ália ancílla, et ait his, qui erant ibi: S. Et hic erat cum Jesu Nazaréno. C. Et íterum negávit cum juraménto: Quia non novi hóminem. Et post pusíllum accessérunt, qui stabant, et dixérunt Petro: S. Vere et tu ex illis es: nam et loquéla tua maniféstum te facit. C. Tunc cœpit detestári et juráre, quia non novísset hóminem. Et contínuo gallus cantávit. Et recordátus est Petrus verbi Jesu, quod díxerat: Priúsquam gallus cantet, ter me negábis. Et egréssus foras, flevit amáre. Mane autem facto, consílium iniérunt omnes príncipes sacerdótum et senióres pópuli advérsus Jesum, ut eum morti tráderent. Et vinctum adduxérunt eum, et tradidérunt Póntio Piláto praesidi. Tunc videns Judas, qui eum trádidit, quod damnátus esset, pæniténtia ductus, réttulit trigínta argénteos princípibus sacerdótum et senióribus, dicens: S. Peccávi, tradens sánguinem justum. C. At illi dixérunt: S. Quid ad nos? Tu vidéris. C. Et projéctis argénteis in templo, recéssit: et ábiens, láqueo se suspéndit. Príncipes autem sacerdótum, accéptis argénteis, dixérunt: S. Non licet eos míttere in córbonam: quia prétium sánguinis est. C. Consílio autem ínito, emérunt ex illis agrum fíguli, in sepultúram peregrinórum. Propter hoc vocátus est ager ille, Hacéldama, hoc est, ager sánguinis, usque in hodiérnum diem. Tunc implétum est, quod dictum est per Jeremíam Prophétam, dicéntem: Et accepérunt trigínta argénteos prétium appretiáti, quem appretiavérunt a fíliis Israël: et dedérunt eos in agrum fíguli, sicut constítuit mihi Dóminus. Jesus autem stetit ante praesidem, et interrogávit eum præses, dicens: S. Tu es Rex Judæórum? C. Dicit illi Jesus: J. Tu dicis. C. Et cum accusarétur a princípibus sacerdótum et senióribus, nihil respóndit. Tunc dicit illi Pilátus: S. Non audis, quanta advérsum te dicunt testimónia? C. Et non respóndit ei ad ullum verbum, ita ut mirarétur præses veheménter. Per diem autem sollémnem consuéverat præses pópulo dimíttere unum vinctum, quem voluíssent. Habébat autem tunc vinctum insígnem, qui dicebátur Barábbas. Congregátis ergo illis, dixit Pilátus: S. Quem vultis dimíttam vobis: Barábbam, an Jesum, qui dícitur Christus? C. Sciébat enim, quod per invídiam tradidíssent eum. Sedénte autem illo pro tribunáli, misit ad eum uxor ejus, dicens: S. Nihil tibi et justo illi: multa enim passa sum hódie per visum propter eum. C. Príncipes autem sacerdótum et senióres persuasérunt populis, ut péterent Barábbam, Jesum vero pérderent. Respóndens autem præses, ait illis: S. Quem vultis vobis de duóbus dimítti? C. At illi dixérunt: S. Barábbam. C. Dicit illis Pilátus: S. Quid ígitur fáciam de Jesu, qui dícitur Christus? C. Dicunt omnes: S. Crucifigátur. C. Ait illis præses: S. Quid enim mali fecit? C. At illi magis clamábant,dicéntes: S. Crucifigátur. C. Videns autem Pilátus, quia nihil profíceret, sed magis tumúltus fíeret: accépta aqua, lavit manus coram pópulo, dicens: S. Innocens ego sum a sánguine justi hujus: vos vidéritis. C. Et respóndens univérsus pópulus, dixit: S. Sanguis ejus super nos et super fílios nostros. C. Tunc dimísit illis Barábbam: Jesum autem flagellátum trádidit eis, ut crucifigerétur. Tunc mílites praesidis suscipiéntes Jesum in prætórium, congregavérunt ad eum univérsam cohórtem: et exuéntes eum, chlámydem coccíneam circumdedérunt ei: et plecténtes corónam de spinis, posuérunt super caput ejus, et arúndinem in déxtera ejus. Et genu flexo ante eum, illudébant ei, dicéntes: S. Ave, Rex Judæórum. C. Et exspuéntes in eum, accepérunt arúndinem, et percutiébant caput ejus. Et postquam illusérunt ei, exuérunt eum chlámyde et induérunt eum vestiméntis ejus, et duxérunt eum, ut crucifígerent. Exeúntes autem, invenérunt hóminem Cyrenaeum, nómine Simónem: hunc angariavérunt, ut tólleret crucem ejus. Et venérunt in locum, qui dícitur Gólgotha, quod est Calváriæ locus. Et dedérunt ei vinum bíbere cum felle mixtum. Et cum gustásset, nóluit bibere. Postquam autem crucifixérunt eum, divisérunt vestiménta ejus, sortem mitténtes: ut implerétur, quod dictum est per Prophétam dicentem: Divisérunt sibi vestiménta mea, et super vestem meam misérunt sortem. Et sedéntes, servábant eum. Et imposuérunt super caput ejus causam ipsíus scriptam: Hic est Jesus, Rex Judæórum. Tunc crucifíxi sunt cum eo duo latrónes: unus a dextris et unus a sinístris. Prætereúntes autem blasphemábant eum, movéntes cápita sua et dicéntes: S. Vah, qui déstruis templum Dei et in tríduo illud reædíficas: salva temetípsum. Si Fílius Dei es, descénde de cruce. C. Simíliter et príncipes sacerdótum illudéntes cum scribis et senióribus, dicébant: S. Alios salvos fecit, seípsum non potest salvum fácere: si Rex Israël est, descéndat nunc de cruce, et crédimus ei: confídit in Deo: líberet nunc, si vult eum: dixit enim: Quia Fílius Dei sum. C. Idípsum autem et latrónes, qui crucifíxi erant cum eo, improperábant ei. A sexta autem hora ténebræ factæ sunt super univérsam terram usque ad horam nonam. Et circa horam nonam clamávit Jesus voce magna, dicens: J. Eli, Eli, lamma sabactháni? C. Hoc est: J. Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquísti me? C. Quidam autem illic stantes et audiéntes dicébant: S. Elíam vocat iste. C. Et contínuo currens unus ex eis, accéptam spóngiam implévit acéto et impósuit arúndini, et dabat ei bíbere. Céteri vero dicébant:S. Sine, videámus, an véniat Elías líberans eum. C. Jesus autem íterum clamans voce magna, emísit spíritum.
Hic genuflectitur, et pausatur aliquantulum. …
Et ecce, velum templi scissum est in duas partes a summo usque deórsum: et terra mota est, et petræ scissæ sunt, et monuménta apérta sunt: et multa córpora sanctórum, qui dormíerant, surrexérunt. Et exeúntes de monuméntis post resurrectiónem ejus, venérunt in sanctam civitátem, et apparuérunt multis. Centúrio autem et qui cum eo erant, custodiéntes Jesum, viso terræmótu et his, quæ fiébant, timuérunt valde, dicéntes: S. Vere Fílius Dei erat iste. C. Erant autem ibi mulíeres multæ a longe, quæ secútæ erant Jesum a Galilaea, ministrántes ei: inter quas erat María Magdaléne, et María Jacóbi, et Joseph mater, et mater filiórum Zebedaei. Cum autem sero factum esset, venit quidam homo dives ab Arimathaea, nómine Joseph, qui et ipse discípulus erat Jesu. Hic accéssit ad Pilátum, et pétiit corpus Jesu. Tunc Pilátus jussit reddi corpus. Et accépto córpore, Joseph invólvit illud in síndone munda. Et pósuit illud in monuménto suo novo, quod excíderat in petra. Et advólvit saxum magnum ad óstium monuménti, et ábiit. Erat autem ibi María Magdaléne et áltera María, sedéntes contra sepúlcrum.
[In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: J. Sapete bene che tra due giorni sarà Pasqua, e il Figlio dell’uomo verrà catturato per essere crocifisso. C. Si radunarono allora i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo nell’atrio del principe dei sacerdoti denominato Caifa, e tennero consiglio sul modo di catturar Gesù con inganno, e così poterlo uccidere. Ma dicevano: S. Non però nel giorno di festa perché non sorga un qualche tumulto nel popolo. C. Mentre Gesù si trovava in Betania nella casa di Simone il lebbroso, gli si avvicinò una donna che portava un vaso d’alabastro, pieno d’unguento prezioso, e lo versò sopra il capo di lui che era adagiato alla mensa. Ma nel veder ciò, i discepoli se ne indignarono e dissero: S. Perché tale sperpero? Poteva esser venduto quell’unguento a buon prezzo, e distribuito [il denaro] ai poveri. C. Ma, sentito questo, Gesù disse loro: J. Perché criticate voi questa donna? Ella invero ha fatto un’opera buona con me. I poveri infatti li avete sempre con voi, mentre non sempre potrete avere me. Spargendo poi questo unguento sopra il mio corpo, l’ha sparso come per alludere alla mia sepoltura. In verità io vi dico che in qualunque luogo sarà predicato questo vangelo, si narrerà altresì, in memoria di lei, quello che ha fatto. C. Allora uno dei dodici, detto Giuda Iscariote, se ne andò dai capi dei sacerdoti, e disse loro: S. Che mi volete dare, ed io ve lo darò nelle mani? C. Ed essi gli promisero trenta monete di argento. E da quel momento egli cercava l’occasione opportuna per darlo nelle loro mani. Or il primo giorno degli azzimi si accostarono a Gesù i discepoli e gli dissero: S. Dove vuoi tu che ti prepariamo per mangiare la Pasqua? C. E Gesù rispose loro: J. «Andate in città dal tale e ditegli: Il Maestro ti fa sapere: Il mio tempo oramai si è approssimato; io coi miei discepoli faccio la Pasqua da te». C. E i discepoli eseguirono quello che aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta poi la sera [Gesù], si era messo a tavola coi suoi dodici discepoli; e mentre mangiavano, egli disse: J. In verità vi dico che uno di voi mi tradirà. C. Sommamente rattristati, essi cominciarono a uno a uno a dirgli: S. Forse sono io, o Signore? C. Ma egli in risposta disse: J. Chi con me stende [per intingere] la mano nel piatto, è proprio quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo, è vero, se ne andrà, come sta scritto di lui; ma guai a quell’individuo, per opera del quale il Figliuolo dell’uomo sarà tradito! Era bene per lui il non esser mai nato! C. Pigliando la parola, Giuda, che poi lo tradì, gli disse: S. Sono forse io, o Maestro? C. Gli rispose [Gesù]: J. Tu l’hai detto. C. Stando dunque essi a cena, Gesù prese un pane, lo benedisse, lo spezzò e lo porse ai suoi discepoli, dicendo: J. Prendete e mangiate; questo è il mio Corpo. C. E preso un calice, rese le grazie, e lo dette loro, dicendo: J. Bevetene tutti. Questo è il mio Sangue del nuovo testamento, che sarà sparso per molti in remissione dei peccati. E vi dico ancora, che non berrò più di questo frutto della vite fino a quel giorno, in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio. C. Recitato quindi l’inno, uscirono, diretti al Monte oliveto. Disse allora Gesù: J. Tutti voi in questa notte proverete scandalo per causa mia. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge. Ma dopo che sarò resuscitato, vi precederò in Galilea. C. In risposta, Pietro allora gli disse: S. Anche se tutti fossero scandalizzati per te, io non mi scandalizzerò mai. C. E Gesù a lui: J. In verità ti dico che in questa medesima notte, prima che il gallo canti, tu mi avrai già rinnegato tre volte. C. E Pietro gli replico: S. Ancorché fosse necessario morire con te, io non ti rinnegherò. C. E dissero lo stesso gli altri discepoli. Arrivò alfine ad un luogo, nominato Getsemani, e Gesù disse ai suoi discepoli: J. Fermatevi qui, mentre io vado più in là a fare orazione. C. E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a farsi triste e ad essere mesto. E disse loro: J. È afflitta l’anima mia fino a morirne. Rimanete qui e vegliate con me. C. E fattosi un poco più in avanti, si prostrò a terra colla faccia e disse: J. Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice. In ogni modo non come voglio io [si faccia], ma come vuoi tu. C. E tornò dai suoi discepoli e li trovò che dormivano. Disse quindi a Pietro: J. E cosi, non poteste vegliare un’ora con me? Vegliate e pregate, perché non siate sospinti in tentazione. Lo spirito, in realtà, è pronto, ma è fiacca la carne. C. Di nuovo se ne andò per la seconda volta, e pregò, dicendo: J. Padre mio, se non può passar questo calice senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà. C. E ritornò di nuovo a loro, e li ritrovò addormentati. I loro occhi erano proprio oppressi dal sonno. E, lasciatili stare, andò nuovamente a pregare per la terza volta, dicendo le stesse parole. Fu allora che si riavvicinò ai suoi discepoli e disse loro: J. Dormite pure e riposatevi. Oramai l’ora è vicina, e il Figlio dell’uomo sarà consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi e andiamo; ecco che è vicino colui che mi tradirà. C. Diceva appunto così, quando arrivò Giuda, uno dei dodici e con lui una gran turba di gente con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore, aveva dato loro questo segnale, dicendo: S. Quello che io bacerò, è proprio lui; pigliatelo. C. E, senza indugiare, accostatosi a Gesù, disse: S. Salve, o Maestro! C. E gli dette un bacio. Gesù gli disse: J. Amico, a che fine sei tu venuto? C. E allora si fecero avanti gli misero le mani addosso e lo catturarono. Ma ecco che uno di quelli che erano con Gesù, stesa la mano, sfoderò una spada e, ferito un servo del principe dei sacerdoti, gli staccò un orecchio. Allora gli disse Gesù: J. Rimetti al suo posto la spada, perché chi darà di mano alla spada, di spada perirà. Credi tu forse che io non possa pregare il Padre mio, e che egli non possa fornirmi all’istante più di dodici legioni di Angeli? Come dunque potranno verificarsi le Scritture, dal momento che deve succedere così? C. In quel punto medesimo disse Gesù alle turbe: J. Come un assassino siete venuti a prendermi, con spade e bastoni. Ogni giorno io me ne stavo nel tempio a insegnare, e allora non mi prendeste mai. C. E tutto questo avvenne, perché si compissero le scritture dei Profeti. Dopo ciò, tutti i discepoli lo abbandonarono, dandosi alla fuga. Ma quelli, afferrato Gesù, lo condussero a Caifa; principe dei sacerdoti, presso il quale si erano radunati gli scribi e gli anziani. Pietro però lo aveva seguito alla lontana fino all’atrio del principe dei sacerdoti; ed, entrato là, si era messo a sedere coi servi allo scopo di vedere la fine. I capi dei sacerdoti intanto e tutto il consiglio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù per aver modo di metterlo a morte; ma non trovandola, si fecero avanti molti falsi testimoni. Per ultimo se ne presentarono altri due, e dissero: S. Costui disse: Io posso distruggere il tempio di Dio, e in tre giorni posso rifabbricarlo. C. Levatosi su allora il principe dei sacerdoti, disse [a Gesù]: S. Io ti scongiuro per il Dio vivo, che tu ci dica, se sei il Cristo, figlio di Dio. C. Gesù rispose: J. Tu l’hai detto. Anzi vi dico che vedrete altresì il Figlio dell’uomo, assiso alla destra della Potenza di Dio, venir giù sulle nubi del cielo. C. Il principe dei sacerdoti allora si strappò le vesti, dicendo: S. Egli ha bestemmiato! Che abbiamo più bisogno di testimoni? Voi stessi ora ne avete sentito la bestemmia! Che ve ne pare? C. Egli ha bestemmiato! Che abbiamo più bisogno di testimoni? Voi stessi ora ne avete sentito la bestemmia! Che ve ne pare? C. È reo di morte! C. Allora gli sputarono in faccia e lo ammaccarono coi pugni. Altri poi lo schiaffeggiarono e gli dicevano: S. Indovina, o Cristo, chi è che ti ha percosso. C. Pietro intanto se ne stava seduto fuori nell’atrio. Or gli si accostò una serva e gli disse: S. Anche tu eri con Gesù di Galilea. C. Ma egli, alla presenza di tutti, negò, dicendo: S. Non capisco quello che dici. C. Mentre poi stava per uscire dalla porta, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: S. Anche lui era con Gesù Nazareno! C. E di nuovo egli negò giurando: S. Io non conosco quest’uomo! C. Di lì a poco gli si avvicinarono coloro che si trovavano là, e dissero a Pietro: S. Tu sei davvero uno di quelli, perché anche il tuo accento ti da a conoscere per tale. C. Cominciò allora a imprecare e a scongiurare che non aveva mai conosciuto quell’uomo. E a un tratto il gallo cantò; allora Pietro si rammentò del discorso di Gesù: «Prima che il gallo canti, tu mi avrai rinnegato tre volte»; ed uscito di là, pianse amaramente. Fattosi poi giorno, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo congiurarono insieme contro Gesù per metterlo a morte; e, legatolo, lo portarono via e lo presentarono al governatore Ponzio Pilato. Il traditore Giuda, allora, visto che Gesù era stato condannato, sospinto dal rimorso, riportò ai capi dei sacerdoti e agli anziani i trenta denari, e disse: S. Ho fatto male, tradendo il sangue d’un innocente! C. Ma essi risposero: S. Che ci importa? Pensaci tu! C. Gettate perciò nel tempio le trenta monete d’argento, egli si ritirò di là, andando a impiccarsi con un laccio. I capi dei sacerdoti per altro, raccattate le monete, dissero: S. Non conviene metterle colle altre nel tesoro, essendo prezzo di sangue. C. Dopo essersi consultati tra di loro, acquistarono con esse un campo d’un vasaio per seppellirvi i forestieri. Per questo, quel campo fu chiamato Aceldama, vale a dire, campo del sangue; e ciò fino ad oggi. Così si verificò quello che era stato predetto per mezzo di Geremia profeta: «Ed hanno ricevuto i trenta denari d’argento, prezzo di colui che fu venduto dai figliuoli d’Israele, e li hanno impiegati nell’acquisto del campo d’un vasaio, come mi aveva imposto il Signore». Gesù pertanto si trovò davanti al governatore, che lo interrogò, dicendogli: S. Sei tu il re dei giudei? C. Gesù gli rispose: J. Tu lo dici. C. Ed essendo stato accusato dai capi dei sacerdoti e dagli anziani, non rispose nulla. Gli disse allora Pilato: S. Non senti di quanti capi d’accusa ti fanno carico? C. Ma egli non replicò parola, cosicché il governatore ne rimase fortemente meravigliato. Nella ricorrenza della festività [pasquale] il governatore era solito di rilasciare al popolo un detenuto a loro piacimento. Ne aveva allora in prigione uno famoso, chiamato Barabba. A tutti coloro, perciò che si erano ivi radunati, Pilato disse: S. Chi volete che io vi lasci libero? Barabba, oppure Gesù, chiamato il Cristo? C. Sapeva bene che per invidia gliel’avevano condotto lì. Mentre intanto egli se ne stava seduto in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: S. Non aver nulla da fare con quel giusto, perché oggi in sogno ho dovuto soffrire tante ansie per via di lui! C. Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani sobillarono il popolo, perché fosse chiesto Barabba e fosse ucciso Gesù. In risposta allora il governatore disse loro: S. Chi volete che vi sia rilasciato? C. E quei risposero: S. Barabba. C. Replicò loro Pilato: S. Che ne farò dunque di Gesù, chiamato il Cristo? C. E ad una voce, tutti risposero: S. Crocifiggilo! C. Disse loro il governatore: S. Ma che male ha fatto? C. Ed essi gridarono più forte, dicendo: S. Sia crocifisso! C. Vedendo Pilato che non si concludeva nulla, ma anzi che si accresceva il tumulto, presa dell’acqua, si lavò le mani alla presenza del popolo, dicendo: S. Io sono innocente del sangue di questo giusto; è affar vostro! C. E per risposta tutto quel popolo disse: S. Il sangue di lui ricada sopra di noi e sopra i nostri figli! C. Allora rilasciò libero Barabba; e, dopo averlo fatto flagellare, consegnò loro Gesù, perché fosse crocifisso. I soldati del governatore poi trascinarono Gesù nel pretorio e gli schierarono attorno tutta la coorte; e lo spogliarono, rivestendolo d’una clamide di color rosso. Intrecciata poi una corona di spine, gliela posero in testa, e nella mano destra [gli misero] una canna. E piegando il ginocchio davanti a lui, lo deridevano col dire: S. Salve, o re dei Giudei. C. E dopo avergli sputato addosso, presagli la canna, con essa lo battevano nel capo. E dopo che l’ebbero schernito, gli levarono di dosso la clamide, gli rimisero le sue vesti, e lo condussero via per crocifiggerlo. Nell’uscire [di città], trovarono un tale di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a pigliare la croce. E arrivarono a un luogo, detto Golgota, cioè, del cranio. E dettero da bere [a Gesù] del vino mescolato con fiele; ma avendolo egli gustato, non lo volle bere. E dopo che l’ebbero crocifisso, se ne divisero le vesti, tirandole a sorte. E ciò perché si adempisse quello che era stato detto dal Profeta, quando disse: «Si sono divisi i miei abiti ed hanno messo a sorte la mia veste». E, postisi a sedere, gli facevano la guardia. E al di sopra del capo di lui, appesero, scritta, la causa della sua condanna: – Questi è Gesù, re dei Giudei -. Furono allora crocifissi insieme con lui due ladroni: uno a destra ed uno a sinistra. E quelli che passavano di li, lo schernivano, crollando il capo, e dicevano: S. Tu che distruggi il tempio di Dio e che lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso; se sei il Figlio di Dio, scendi giù dalla croce. C. Parimenti anche i capi dei sacerdoti lo deridevano, beffandosi di lui cogli scribi e cogli anziani del popolo, e dicendo: S. Salvò gli altri, e non può salvare se stesso. Se è il re d’Israele, discenda ora dalla croce, e noi gli crederemo. Confidò in Dio. Se vuole, Iddio lo liberi ora! O non disse che era Figliuolo di Dio? C. E questo pure gli rinfacciavano i ladroni che erano stati crocifissi con lui. Si fece poi un gran buio dall’ora sesta fino all’ora nona. E verso l’ora nona Gesù gridò con gran voce: J. Eli, Eli, lamma sabacthani; C. cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Ed alcuni che erano li vicini, sentitolo, dissero: S. Costui chiama Elia! C. E subito uno di loro, correndo, presa una spugna, l’inzuppò nell’aceto, e fermatala in vetta a una canna, gli dette da bere. Gli altri invece dicevano: S. Lasciami vedere, se viene Elia a liberarlo. C. Ma Gesù, gridando di nuovo a gran voce, rese lo spirito. Si genuflette per un momento. Ed ecco che il velo del tempio si divise in due parti dall’alto in basso; e la terra tremò; e le pietre si spaccarono, le tombe si aprirono, e molti corpi di Santi che vi erano sepolti, resuscitarono. Usciti anzi dai monumenti dopo la resurrezione di Lui, entrarono nella città santa e comparvero a molti. Il centurione poi e gli altri che con lui facevano la guardia a Gesù, veduto il terremoto e le cose che succedevano, ne ebbero gran paura e dissero: S. Costui era davvero il Figliuolo di Dio. C. C’erano pure lì, in disparte, molte donne che avevano seguito Gesù dalla Galilea per assisterlo, tra le quali era Maria Maddalena, e Maria di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo. Essendosi poi fatta sera, arrivò un uomo, ricco signore di Arimatea, chiamato Giuseppe, discepolo anche lui di Gesù. Egli si era presentato a Pilato per chiedergli il corpo di Gesù; e Pilato aveva dato ordine che ne fosse restituito il corpo. E, presolo, Giuseppe lo avvolse in un lenzuolo pulito, e lo pose in un sepolcro nuovo, che si era già fatto scavare in un masso; e, dopo aver ribaltata alla bocca della tomba una gran lapide, se ne andò. Erano ivi Maria Maddalena e l’altra Maria, sedute di davanti al sepolcro.]
OMELIA
[G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e … Soc. Ed. Vita e Pens. VI ed. Milano, 1956]
IL CULTO ESTERNO
Le dolorose profezie, che da secoli erano nei libri santi, ormai cominciavano ad avverarsi in Lui. Ma prima di finire come un ladro, voleva per un giorno trionfare come un re. Al mattino della domenica lasciò la bianca casa degli amici e s’incamminò verso Gerusalemme: andava per morirvi; e lo sapeva; e lo voleva. A metà strada si volse due discepoli e disse loro: « In quel villaggio che ci appare in faccia, c’è un puledro; andate a prenderlo per me. Se taluno vi dirà qualcosa, rispondete che lo vuole il Padrone ». Sempre a piedi aveva camminato per tutta la vita; a piedi, in fango e in polvere, aveva percorso la Palestina intiera, da Cesarea di Filippi a Gerusalemme Almeno una volta, prima di morire, era giusto che il Re de’ secoli si avanzava cavalcando. Si sparse subito la voce del suo arrivo: la folla ch’era in città per la Pasqua gli venne incontro. Gente lo precedeva, gente lo seguiva. E moltissimi stesero le loro vesti sul suo cammino, e moltissimi tagliarono rami dagli alberi e li gettarono per la via. Erano questi, presso i popoli antichi, gli onori dei re. Così era stato proclamato sovrano d’Israele Iehu (IV Reg., IX, 13); così Giuda Maccabeo entrò in Gerusalemme riconquistata (II Macc., X, 6); così il popolo aveva accolto Arippa ed Alessandro, re di Siria; e così Gesù ha voluto, in quella domenica, trionfare. Intorno a lui, come un inno di vittoria, echeggiavano gli applausi: « Viva il Re che viene in nome del Signore! Pace in terra! Gloria in cielo! Viva il Re ». Ma quel giorno passò. E a sera, quando le ultime grida morivano soffocate tra le case, già nell’ombra si ordiva la congiura del Deicidio. Togliamo dal Vangelo un’osservazione soltanto, e comunissima. Non è raro udire certuni biasimare le manifestazioni esterne del culto cattolico, le processioni pubbliche, il canto del popolo, la pompa degli apparati. Il trionfale ingresso che Cristo ha voluto per sé prima di morire, ci mostra in qual conto dobbiamo tenere questi giudizi degli uomini di mondo. Non solo nell’occulto dell’anima nostra o della nostra casa, ma anche alla luce del sole, per le nostre strade, sulle nostre piazze, in faccia al mondo intero dobbiamo onorare Dio. Il culto esterno non è superstizione o ipocrisia: ma è giusto, è buono – 1. È GIUSTO a) È giusto perché è un dovere dell’uomo. In un’epoca di pace, Davide riposava placidamente nella sua reggia quando i suoi occhi indugiarono sul magnifico soffitto di cedro, ornato con arte e preziosità. « Come! — esclamò. — L’Arca di Dio sta sotto a una tenda di pelle, ed io, servo e creatura, abito una casa di cedro? Chiamò il profeta e Natan gli rispose: « Va: eseguisci tutto ciò che il cuore ti detta, poiché il Signore è teco » (II Reg., VII, 1-3). Ecco il sentimento in cui si fonda il dovere del culto esterno. Dite: non è giusto forse che al passaggio del Re tutto il popolo lo acclami e gli adorni il cammino? E allora perché non è molto più giusto che il nostro Dio, il Re dei Re, sia acclamato con pubbliche feste, con adorazioni e processioni solenni? Tutti vanno gloriosi quando possono avvicinare e onorare il sovrano della terra; ma purtroppo ci sono di quelli che hanno vergogna di avvicinare il Dio onnipotente ed eterno, hanno vergogna di indossare le gloriose divise delle confraternite, di partecipare alle commoventi cerimonie della settimana santa. b) Il culto esterno non solo è un dovere, ma è anche un bisogno. Un ateo aveva proibito alla sua donna di porre piede in Chiesa. Ella si sforzò d’ubbidire. Ma ecco, il più piccolo de’ suoi figliuoli si ammala, e nessun medico riesce a curarlo, nessuno riesce a guarirlo. La misera donna trema, smania, non ne può più: costruisce un altare in casa, vi accende molti ceri, vi colloca in mezzo l’immagine di Maria. L’ateo la vide singhiozzante, ginocchioni, in atto di protendere alla Madonna il piccolo morente. Immaginate, o Cristiani, se non ci fosse più la nostra Chiesa ove piangere, ove pregare, ove benedire l’amore, e santificare i figliuoli, e salutare i morti, che cosa sarebbe del nostro paese? Che cosa sarebbe della nostra vita se non ci fossero più le feste religiose, le processioni, le confraternite coi loro stendardi e con le croci, le associazioni cattoliche con la bandiera consacrata? Sarebbe simile alla vita delle bestie. Sì! Cicerone ha detto che l’uomo si distingue dalle bestie per la ragione; Quintiliano ha detto che l’uomo dalle bestie si distingue per la parola; ma Lattanzio ha detto meglio, dimostrando che l’uomo dalle bestie si distingue per il culto a Dio. Onde conclude che quegli uomini che non onorano Dio ogni giorno con qualche culto, in quel giorno si portano da bestie; e quei padri che non allevano i loro figli ossequiosi a Dio allevano i figli da bestie. – 2. È UTILE. S. Ambrogio in una lettera scritta a sua sorella racconta un fatto mirabile. La città di Milano, a quei tempi, era dominata da un’imperatrice ariana, che non poteva soffrire i trionfi dei Cattolici guidati dal loro Vescovo. Un giorno, dunque, in cui la chiesa dei Cattolici era gremita più che mai, questa donna mandò due compagnie di soldati, parte eretici e parte infedeli, con ordine che s’inoltrassero strepitosamente sino all’altare e mettessero in confusione ogni cosa, rovesciando, battendo e uccidendo tutti i Cattolici assistenti al divin culto. Entrano costoro nel sacro tempio con grida e con armi alla mano; rompono la piena del popolo con tumulto e spavento di tutti, si portano sino al recinto dell’altare. Quivi si fermano come incantati: i grandi doppieri dell’altare ardevano a loro davanti; gl’incensieri elevavano nuvole di profumo delicato; i canonici e i chierici, in ampio giro, erano curvi verso il mistero che si compiva; in alto, sul gradino supremo dell’altare, con gli occhi lucenti d’un chiaro oltramondano, il Vescovo Ambrogio celebrava il Sacrificio divino con lo sfarzo di abiti gemmati. A questo spettacolo non sanno resistere più; s’inginocchiano. E quando tutto il popolo incominciò una melodia serena e lenta, grosse lagrime caddero dai loro occhi. Molti di quegli idolatri chiesero il Battesimo, e alcuni eretici si convertirono. Quello, che tante prediche forse non avevano potuto fare in quegli animi, lo fece la bellezza del culto. Le funzioni della Chiesa, quando sono devote, parlano a tutti come un gran libro. Diderot, incredulo e rivoluzionario, ha scritto: « Io non ho mai veduto quella lunga fila di preti in abiti sacerdotali, quegli uomini robusti ed onesti raccolti nelle loro divise, quelle fanciulle dalle candide vesti e dalle azzurre cinture che spargono canti e fiori innanzi al Sacramento, senza che ne fossi commosso fino al fondo dell’anima e non mi venissero i lucciconi agli occhi ». Se grande è il fascino del culto esterno per gli idolatri, gli eretici, gli empi, maggiore ancora è per quelli che sono già buoni e che, per ciò, sono più disposti a comprenderlo. Davanti alle pubbliche cerimonie sentono la loro fede risvegliarsi, la loro mente e il loro cuore innalzarsi alle cose divine! Sentono veramente di esser fratelli in Gesù Cristo. Non solo gli altri, ma anche a noi, è utile il culto esterno. Maria di Stuart, regina di Scozia, nell’andare al supplizio s’incontrò in un crocifisso dipinto sul muro. Subito innalzò a lui le mani e gli occhi e i sospiri e chiese di potersi fermare alcuni istanti. Ma il duca di Kent, che venivale al fianco, la sospinse verso il patibolo dicendole: « Cristo bisogna averlo nel cuore ». La regina, senza scomporsi, gli rispose: « È vero. Ed è appunto per ravvivarne l’affetto nel cuor mio, che guardavo e sospiravo a quell’immagine ». Questa risposta è bella ed è vera. La nostra anima è avviluppata dai sensi; per questo domanda degli oggetti esterni e delle azioni sensibili e simboliche per risvegliare l’amore, per nutrire la speranza, per legare l’affezione. Del resto, a quelli che disprezzano le solennità pubbliche della Religione e chiamano ipocriti quelli che vi partecipano, a quelli che vantano di essere uomini probi, sinceri, generosi senza portare il baldacchino o segnarsi con l’acqua santa, io rivolgerei coscienziosamente una domanda: « È proprio vero che nel vostro interno glorificate Iddio, voi che disprezzate ogni cerimonia esterna? È proprio vero che la vostra anima serve a Dio, voi che non volete servire col vostro corpo? Avete almeno il cuore penitente, voi che sfoggiate un esteriore mondano? ». Siamo sinceri: troppo spesso a scagliarsi contro il culto esterno, sono quelli che a Dio han già negato il culto interno. – Terminerò con una risposta. Che bisogno ha Dio di tutte queste costosissime chiese, quando ci sono poveri senza tetto? Che bisogno ha Dio di tovaglie e di merletti, di oro e di gemme quando migliaia di fanciulli domandano pane? E poi, che cosa fanno, a Lui che ha creato il sole, i lumini dell’altare? A Lui che cammina di stella in stella le stazioni della « Via crucis » ed i nostri baci a un crocifisso di legno? – Risponderò: Non è Dio che ha bisogno di queste cose, ma siamo noi che abbiamo bisogno estremo di offrirgliele. Non siete persuasi? allora vi dirò che, prima di voi, c’è stato un altro a pensarla così: Giuda Iscariota. Egli ipocritamente biasimò il gesto di culto della Maddalena che aveva spezzato un vasetto di profumo sui piedi del Signore. — LA PALMA. Le folle, nell’amore al Profeta taumaturgo, non sanno meglio esprimere la loro contentezza che strappando rami di palma per agitarli e gettarli sulla via dove deve passare Gesù. Le palme che nelle terre di Oriente si innalzano al cielo superbe, protendendo all’intorno il ventaglio dei loro rami, sono il simbolo più espressivo delle vittorie e del trionfo. Le turbe agitando le palme a Gesù che veniva lo salutavano ed acclamavano Re del suo popolo e Messia sospirato da secoli. Alla venuta di Gesù nel nostro cuore nella Comunione pasquale anche noi, o Cristiani, dobbiamo portare ed agitare le palme: palme che significano vittoria e trionfo sopra noi stessi; palme che significano vittoria contro il rispetto umano che vorrebbe togliere la santa franchezza del bene. – 1. LA PALMA È ARRIVATA CONTRO NOI STESSI. Nelle prime pagine della storia leggendaria di Roma si trova l’episodio di Muzio Scevola. Gli Etruschi venuti col re Porsenna, avevano cinto di assedio la città di Roma per potersene impadronire. Ma quel soldato intrepido, uscito dalle mura, si introdusse nel campo nemico per uccidere il re. Però invece del re ferì il suo segretario. Arrestato mentre fuggiva e condotto dinanzi al sovrano, questi lo prese a minacciare per indurlo a tradire la patria. Muzio Scevola, per nulla intimorito, stende la sua destra sul fuoco per punirla dell’errore commesso ed esclama: « E proprio dei Romani l’essere forti nell’agire e nel soffrire ». – O Cristiani, nel giorno del nostro Battesimo abbiamo promesso di combattere contro i nemici della nostra salvezza: prima fra tutti il nostro corpo, le nostre passioni. Ciascuno porta in sé un tiranno che cinge di assedio le forze dell’anima e vuol toglierci il Signore. Dobbiamo uscire dalle mura della nostra freddezza, del nostro egoismo per uccidere od almeno sconfiggere sempre questo ingiusto aggressore che non ha il diritto di superarci. Spesso forse ci capita di sbagliare il colpo, di non vincere come dovremmo se pure non restiamo del tutto sconfitti. Ebbene, ripetiamo ancor noi le parole dell’eroe di Roma, cambiando opportunamente la frase: « Facere et pati fortia christianum est! È dei Cristiani soffrire ed operare con forza ». Se è vero che portiamo il triste germe del male è vero anche che ciascuno di noi ha in se stesso una grande forza di bene. Basta saper sfruttare le sane energie dell’anima nostra. Se ti senti portato alla superbia, pensa che la tua grandezza vien dal Signore, che tutto dipende da Lui, che la vera ambizione sta nell’ubbidire alla santa sua legge. Se ti senti portato alle cose create, se il tuo cuore si attacca ad affezioni umane, pensa che soltanto Iddio è degno di tutto l’amore, solo Lui può appagare le aspirazioni più belle del tuo affetto. Vuole da te che lo ami davvero: nessuno sa amare più di quanto ha saputo amarti il Signore. Se la sapienza di coloro che non avevano conosciuto il Signore stava nel programma: « Conosci te stesso! » la vera sapienza dei figliuoli di Dio aggiunge qualche mese di più: « Conosci te stesso, cioè la tua dignità di Cristiano, le tue belle capacità di vittoria e di bene; e poi vinci te stesso, la tua parte cattiva, per trionfare in Dio. Nel Signore vincerai e con Lui sarà eterno il tuo godimento ». Del resto la battaglia non è difficile; basta saper incominciare e fidarci soltanto di Dio che stimola ed aiuta la nostra debolezza. – 2. LA PALMA È VITTORIA CONTRO IL RISPETTO UMANO. Un ricco marchese di Francia, trovandosi un giorno con un gruppo di personalità distinte, fu invitato a far la conoscenza con Ernesto Renan, lo scrittore tristemente famoso che osò scrivere una vita di Gesù Cristo in cui sacrilegamente bestemmiò la divinità del Redentore. Ernesto Renan già stava porgendo la mano, ma quel signore ritirando la sua, esclamò ad alta voce, in pubblico: « Io non stringerò mai questa mano che ha schiaffeggiato il mio Signore! » – Quante volte, o Cristiani, noi abbiamo promesso di essere forti, di compiere il nostro dovere, di non aver paura a manifestare la nostra fede colle azioni. Ma ci siamo spaventati dello scherno che ci poteva venire dai nostri compagni, da quelli che ci avrebbero visti e siamo stati vili, siamo stati dei vinti. Così abbiamo dato mano, abbiamo quasi aiutato, siamo divenuti amici di quelli che schiaffeggiano il Signore. Guardate che forza non ha avuto quel ricco marchese di fronte a tante persone. Bisogna che anche noi ci abituiamo ad essere forti, ad essere di carattere. Non sono eroi soltanto quelli che vincono una battaglia sul campo di guerra: costa assai di più vincere il rispetto umano sul pacifico campo della nostra vita, nei rapporti quotidiani con tanti nostri vicini. Un atto di valore tante volte è cosa di un momento. Un gesto di eroismo farà conoscere il vostro nome, ci procurerà applausi ma la fortezza di credere e di esser Cristiani spesso ci attira lo scherno aperto od il sorriso maligno. Teniamo in mente la parola del Signore: « Non abbiate paura di coloro che uccidono il corpo e poi non possono far altro. Ma io vi insegnerò chi dobbiate temere: Temete Colui che dopo aver tolta la vita, ha potestà di mandare all’inferno. Questo sì, vi dico, temetelo! ». (Lc., XII, 4-5). – Dice il proverbio che ride bene chi ride ultimo. Gli ultimi a ridere non saranno i cattivi; di essi avrà vergogna il Figliuol di Dio nel giorno del giudizio (Lc. IX, 26). Gli ultimi a godere, e per sempre, saranno i buoni, i forti. Soltanto essi nel regno dei cieli, nella Gerusalemme celeste, agiteranno le palme della vittoria attorno all’Agnello. – Nei primi anni del 1700 si combatteva una guerra per decidere il successore al trono di Spagna. Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV re di Francia, era il pretendente più forte alla corona ed il 10 dicembre del 1710 vinceva la battaglia decisiva che gli apriva le porte di Madrid, la città capitale di Spagna. Alla sera, stanco del combattimento, il giovane principe stava per andare a riposare quando un suo Maresciallo lo pregò che gli concedesse di preparargli il letto. Avuto il permesso, il Maresciallo fece portare una gran quantità di bandiere tolte al nemico e, postele una sopra l’altra, invitò il principe ad adagiarsi su quelle coltri gloriose. Era il letto della vittoria. Voi, o Cristiani, avete già capito ciò che questo fatto ci può insegnare. Dobbiamo noi pure combattere per decidere chi deve regnare nel nostro cuore: noi, oppure le nostre passioni. Strappiamo tante bandiere al nemico e gli atti di fortezza che compiamo quaggiù saranno al momento della nostra morte un letto di gloria sul quale chiuderemo lieti gli occhi, per essere risvegliati nel regno dei Cieli.
IL CREDO
Offertorium
Orémus Ps LXVIII:21-22.
Impropérium exspectávit cor meum et misériam: et sustínui, qui simul mecum contristarétur, et non fuit: consolántem me quæsívi, et non invéni: et dedérunt in escam meam fel, et in siti mea potavérunt me acéto.
[Oltraggio e dolore mi spezzano il cuore; attendevo compassione da qualcuno, e non ci fu; qualcuno che mi consolasse e non lo trovai: per cibo mi diedero del fiele e assetato mi hanno dato da bere dell’aceto.]
Secreta
Concéde, quæsumus, Dómine: ut oculis tuæ majestátis munus oblátum, et grátiam nobis devotionis obtineat, et efféctum beátæ perennitátis acquírat.
[Concedi, te ne preghiamo, o Signore, che quest’ostia offerta alla presenza della tua Maestà, ci ottenga la grazia della devozione e ci acquisti il possesso della Eternità beata.]
Præfatio
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de Sancta Cruce
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui salútem humáni géneris in ligno Crucis constituísti: ut, unde mors oriebátur, inde vita resúrgeret: et, qui in ligno vincébat, in ligno quoque vincerétur: per Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti júbeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:
[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che hai procurato la salvezza del genere umano col legno della Croce: cosí che da dove venne la morte, di là risorgesse la vita, e chi col legno vinse, dal legno fosse vinto: per Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtú celesti e i beati Serafini la celebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo:]
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.
Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:
Pater noster
qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.
Agnus Dei
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.
Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
COMUNIONE SPIRITUALE
Communio
Matt XXVI:42.
Pater, si non potest hic calix transíre, nisi bibam illum: fiat volúntas tua.
[Padre mio, se non è possibile che questo calice passi senza chi lo beva, sia fatta la tua volontà.]
Postcommunio.
Orémus.
Per hujus, Dómine, operatiónem mystérii: et vitia nostra purgéntur, et justa desidéria compleántur.
[O Signore, per l’efficacia di questo sacramento, siano purgati i nostri vizi e appagati i nostri giusti desideri.].
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)
RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)
ORDINARIO DELLA MESSA