DOMENICA IN ALBIS (2023)

DOMENICA IN ALBIS o OTTAVA DI PASQUA.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Pancrazio.

Privilegiata di 1 classe. – Doppio maggiore. – Paramenti bianchi.

Questa Domenica è detta Quasimodo (dalle prime parole dell’Introito) o in Albis (anticamente anche post Albas), perché i neofiti avevano appena la sera precedente deposte le vesti bianche, oppure anche Pasqua chiusa, poiché in questo giorno termina l’ottava di Pasqua (Or.). Per insegnare ai neofiti (Intr.) con quale generosità debbano rendere testimonianza a Gesù, la Chiesa li conduceva alla Basilica di S. Pancrazio, che all’età di quattordici anni rese a Gesù Cristo la testimonianza dei sangue. Così devono fare i battezzati davanti alla persecuzione a colpi di spillo cui sono continuamente fatti segno; devono cioè resistere, appoggiandosi sulla fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, risorto. In questa fede, dice S. Giovanni, vinciamo il mondo, poiché per essa resistiamo a tutti i tentativi di farci cadere (Ep.). È quindi di somma importanza che questa fede abbia una solida base e la Chiesa ce la dà nella Messa di questo giorno. Base di questa fede è, secondo quanto dice S. Giovanni nell’Epistola, la testimonianza del Padre, che, al Battesimo del Cristo (acqua), lo ha proclamato Suo Figliuolo, del Figlio che sulla croce (sangue) si è rivelato Figlio di Dio, dello Spirito Santo che, scendendo sugli Apostoli nel giorno della Pentecoste, secondo la promessa di Gesù, ha confermato quello che il Redentore aveva detto della propria risurrezione e della propria divinità. Nel Vangelo vediamo infatti come Gesù Cristo, apparendo due volte nel Cenacolo, dissipa l’incredulità di San Tommaso e loda quelli che han creduto in Lui senza averlo veduto.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

1 Pet II, 2. Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja.

[Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia.]

Ps LXXX: 2. Exsultáte Deo, adjutóri nostro: jubiláte Deo Jacob. [Inneggiate a Dio nostro aiuto; acclamate il Dio di Giacobbe.]

– Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja.

[Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Præsta, quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui paschália festa perégimus, hæc, te largiénte, móribus et vita teneámus.

[Concedi, Dio onnipotente, che, terminate le feste pasquali, noi, con la tua grazia, ne conserviamo il frutto nella vita e nella condotta.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Joannis Apóstoli. – 1 Giov. V: 4-10.

“Caríssimi: Omne, quod natum est ex Deo, vincit mundum: et hæc est victoria, quæ vincit mundum, fides nostra. Quis est, qui vincit mundum, nisi qui credit, quóniam Jesus est Fílius Dei? Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine. Et Spíritus est, qui testificátur, quóniam Christus est véritas. Quóniam tres sunt, qui testimónium dant in coelo: Pater, Verbum, et Spíritus Sanctus: et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, et aqua, et sanguis: et hi tres unum sunt. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est: quóniam hoc est testimónium Dei, quod majus est: quóniam testificátus est de Fílio suo. Qui credit in Fílium Dei, habet testimónium Dei in se”.  – Deo gratias.

“Carissimi: Tutto quello che è nato da Dio vince il mondo: e questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede. Chi è che vince il mondo, se non colui che crede che, Gesù Cristo è figlio di Dio? Questi è Colui che è venuto coll’acqua e col sangue, Gesù Cristo: non con l’acqua solamente, ma con l’acqua e col sangue. E lo Spirito è quello che attesta che Cristo è verità. Poiché sono tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo: e questi tre sono una cosa sola. E sono tre che rendono testimonianza in terra: lo spirito, l’acqua e il sangue: e questi tre sono una cosa sola. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore. Ora, la testimonianza di Dio che è maggiore è questa, che egli ha reso al Figlio suo. Chi crede al Figlio di Dio, ha in sé la testimonianza di Dio”.

Il Vangelo ci presenta la storia come una grande lotta del bene contro il male, della verità contro l’errore, e viceversa. A chi la vittoria? Ai figli di Dio, risponde la Epistola di quest’oggi, dovuta a San Giovanni, l’autore del quarto Vangelo. L’insieme delle forze del male, le negative forze dell’errore, delle tenebre e del gelo, ha un nome classico: si chiama il mondo; l’antitesi, l’antagonista di Dio, l’anti-Dio. Un anti-Dio in carne ed ossa, realissimo a suo modo, d’una realtà empirica e grossolana. Gente che c’è, che parla, che si agita, che si dà delle grandi arie e del gran daffare, che assume volentieri pose trionfatrici. Apparenza e menzogna nota, proclama l’Apostolo. La Vittoria non è del mondo, il mondo è l’eterno sconfitto. Vince Dio e chi nasce da Dio: i figli di Dio. Un altro termine prediletto del quarto Vangelo, che qui riappare: i nati di Dio. E chi è che nasce da Dio? A chi è perciò riservata la vittoria? Potremmo adoperare una frase del quarto Vangelo: « Hi qui credunt in nomine eius: » i credenti in Lui. C’è la frase precisa anch’essa nella nostra Epistola: « gli uomini di fede ». La Vittoria che vince, abbatte, schiaccia il mondo, è la nostra fede: « Hæc est Victoria quæ vincit mundum, fides nostra! – La nostra fede! Fede, badate, non credulità. C’è l’abisso fra le due cose, per quanto molti le scambino. La credulità è una debolezza di mente. Il credenzone è un vinto, vinto dalle illusioni a cui (stolto!) egli dà una consistenza che non hanno. Perché anche senza essere credenzoni o troppo creduli, si può avere una fede non davvero religiosa o punto religiosa. Si può aver fede in un uomo; si può aver fede in un’idea, non divina. La fede di cui parla il Vangelo è sempre e sola fede religiosa, sanamente, profondamente religiosa: la fede, grazie alla quale noi siamo i figli di Dio, è qualcosa che viene da Lui e va a Lui. Fede buona nella Bontà; una fede, certezza immota, assoluta, profonda. – Il mondo non ha questa fede. Il mondo è scettico. Ha della fede, non la fede; degli idoli; non Iddio, il mondo. Non crede nella bontà amorosa e trionfatrice. Crede alle passioni, non alla ragionevolezza. Crede ai ciarlatani, non agli Apostoli. Crede all’astuzia, non alla verità. Noi siamo invece uomini di fede, gli uomini della fede, noi Cristiani. Noi crediamo alla carità, alla bontà di Dio, della Realtà più profonda, più vera, più alta: Dio! È la formula che adopera per altre volte lo stesso Apostolo: « nos credidimus charitati. » Sono tutte formule che si equivalgono: siamo figli di Dio, crediamo nel Suo Nome, abbiamo fede nella Sua bontà. Questa fede è la nostra forza. Chi crede davvero alla Bontà sovrana, dominatrice, divina, è buono; comincia dall’essere o per essere buono. Egli stesso combatte, lotta per bontà, lotta fiduciosamente, colla fiducia della vittoria. Perché sa di essere dalla parte di Dio e di avere Iddio dalla parte propria. « Si Deus prò nobis quies contra nos? » Credere alla vittoria è il segreto per conseguirla. E infatti nella storia, chi l’abbracci nel suo meraviglioso complesso, trionfa la bontà, trionfa Dio. Lo scettico ha dei trionfi apparenti e momentanei… i minuti. La fede ha per sé i secoli: trionfa con infinito stupore di chi credeva superbamente di aver potuto costruire un edificio sulla mobile arena dello scetticismo. Teniamo alta come segnacolo di vittoria la bandiera della nostra fede.

(P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Alleluja

Alleluia, alleluia – Matt XXVIII: 7. In die resurrectiónis meæ, dicit Dóminus, præcédam vos in Galilæam.

[Il giorno della mia risurrezione, dice il Signore, mi seguirete in Galilea.]

Joannes XX:26. Post dies octo, jánuis clausis, stetit Jesus in médio discipulórum suórum, et dixit: Pax vobis. Allelúja.

[Otto giorni dopo, a porte chiuse, Gesù si fece vedere in mezzo ai suoi discepoli, e disse: pace a voi.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XX: 19-31.

“In illo témpore: Cum sero esset die illo, una sabbatórum, et fores essent clausæ, ubi erant discípuli congregáti propter metum Judæórum: venit Jesus, et stetit in médio, et dixit eis: Pax vobis. Et cum hoc dixísset, osténdit eis manus et latus. Gavísi sunt ergo discípuli, viso Dómino. Dixit ergo eis íterum: Pax vobis. Sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Hæc cum dixísset, insufflávit, et dixit eis: Accípite Spíritum Sanctum: quorum remiseritis peccáta, remittúntur eis; et quorum retinuéritis, reténta sunt. Thomas autem unus ex duódecim, qui dícitur Dídymus, non erat cum eis, quando venit Jesus. Dixérunt ergo ei alii discípuli: Vídimus Dóminum. Ille autem dixit eis: Nisi vídero in mánibus ejus fixúram clavórum, et mittam dígitum meum in locum clavórum, et mittam manum meam in latus ejus, non credam. Et post dies octo, íterum erant discípuli ejus intus, et Thomas cum eis. Venit Jesus, jánuis clausis, et stetit in médio, et dixit: Pax vobis. Deinde dicit Thomæ: Infer dígitum tuum huc et vide manus meas, et affer manum tuam et mitte in latus meum: et noli esse incrédulus, sed fidélis. Respóndit Thomas et dixit ei: Dóminus meus et Deus meus. Dixit ei Jesus: Quia vidísti me, Thoma, credidísti: beáti, qui non vidérunt, et credidérunt. Multa quidem et alia signa fecit Jesus in conspéctu discipulórum suórum, quæ non sunt scripta in libro hoc. Hæc autem scripta sunt, ut credátis, quia Jesus est Christus, Fílius Dei: et ut credéntes vitam habeátis in nómine ejus.” – 

 “In quel tempo giunta la sera di quel giorno, il primo della settimana, ed essendo chiuso le porte, dove erano congregati i discepoli per paura de’ Giudei, venne Gesù, e si stette in mezzo, e disse loro: Pace a voi. E detto questo, mostrò loro le sue mani e il costato. Si rallegrarono pertanto i discepoli al vedere il Signore. Disse loro di nuovo Gesù: Pace a voi: come mandò me il Padre, anch’io mando voi. E detto questo, soffiò sopra di essi, e disse: Ricevete lo Spirito Santo: saran rimessi i peccati a chi li rimetterete, e saran ritenuti a chi li riterrete. Ma Tommaso, uno dei dodici, soprannominato Didimo, non si trovò con essi al venire di Gesù. Gli dissero però gli altri discepoli: Abbiam veduto il Signore. Ma egli disse loro: se non veggo nello mani di lui la fessura de’ chiodi, e non metto il mio dito nel luogo de’ chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non credo. Otto giorni dopo, di nuovo erano i discepoli in casa, e Tommaso con essi. Viene Gesù, essendo chiuse le porte, e si pose in mezzo, o disse loro: Pace a voi. Quindi dice a Tommaso: Metti qua il dito, e osserva le mani mie, e accosta la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma fedele. Rispose Tommaso, e dissegli: Signor mio, o Dio mio. Gli disse Gesù: Perché  hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro che non hanno veduto, e hanno creduto. Vi sono anche molti altri segni fatti da Gesù in presenza de’ suoi discepoli, che non sono registrati in questo libro. Questi poi sono stati registrati, affinché crediate che Gesù è il Cristo Figliuolo di Dio, ed affinché credendo otteniate la vita nel nome di Lui” (Jov. XX, 19-31). »

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

LA PERSEVERANZA DOPO LA PASQUA

Quando tornò a casa Tommaso, uno dei Dodici, detto il Gemello, un’ondata di gioia l’accolse, e tutte le facce dei discepoli, rapite ancora nella divina ebbrezza, gli furono d’attorno. «Oh, Tommaso, se fosti rimasto con noi avresti veduto anche tu il Signore risorto! ». Siccome teneva un’aria tra melanconica e incredula, si fecero a narrargli tutto per filo e per segno. Era oscuro e le porte erano chiuse, quando senza muovere battente Gesù si trovò in mezzo a loro, e mostrava ad ognuno le palme piagate e il costato squarciato; e per due volte aveva detto: « A voi sia pace! ». Pax vobis. Ma in quell’atmosfera accesa d’esultanza e d’amore, Tomaso lasciò cadere, gelida e amara, la parola del suo cuore chiuso: « Non credo ». Gesù fra loro? Ma non poteva essere. Egli era morto, e la sua spoglia straziata chiusa da un masso enorme nella caverna scura; era custodita ancora dalle guardie di Pilato. Gesù rivivente? Ma come poteva rivivere quel corpo; dove piaga si era aggiunta a piaga, dove non una fibra era rimasta intatta? Come poteva palpitare ancora quel cuore perforato dalla lancia? « È inutile! — ribatteva alle insistenze dei compagni, — se io non metto il dito nel posto dei chiodi, se io non metto la mano nel suo costato, non credo ». – E otto giorni dopo Gesù venne ancora. Tommaso. c’era, stavolta; il Risorto esclamò: « Pace sia con voi». Pax vobis. Poi chiamò l’incredulo: « Qua, il tuo dito. Qua, la tua mano! ».  In tutta la sala fatta silenziosa, scoppiò un grido: « Signore mio e Dio mio. Non sulla gioia dei discepoli, non sulla incredulità di Tommaso, ma sull’augurio del Maestro divino dobbiamo fermare la nostra attenzione. « A voi sia. Pace! ». Risorgendo da morte non altra parola, non altro dono recò ai suoi se non la pace: quella che Egli aveva firmata tra Dio e l’umanità con il suo sangue. Pax vobis! è pur questo ancora il dono e la parola che Gesù reca ad ognuno che ha compiuto in questi giorni il suo dovere pasquale, e credo che nessuno tra voi resti escluso. Dopo d’aver confessati bene i peccati, dopo d’esservi cibati della Sacra Ostia, avete sentito la sua voce ripetervi in fondo al cuore: « A te sia pace. Dio è placato e ti ama ». Sì, oggi tutti siamo in pace col Cielo; io lo spero. Però quel che importa è che questa pace non duri appena una o due settimane, ma sempre. Non venga più, dunque, il peccato a rapirci il dono della risurrezione. Nessuno si renda meritevole del rimprovero che S. Paolo fece ai Galati. Aveva a loro annunziato il Vangelo, li aveva battezzati, li aveva entusiasmati nella Religione nostra: ma appena fu lontano, quelli dimenticarono ogni cosa e ritornarono alla vita di prima. S. Paolo lo seppe, e scrisse a loro una lettera di rimproveri e di lacrime: « In così poco tempo avete saputo abbandonare Cristo? Avete cominciato nel fervore e finite nella disonestà! O stolti, chi vi ha illusi a disubbidire alla verità? ». O insensati Galatæ, quis vos fascinavit non obœdire veritati? (Galat., III, 1). Non basta dunque aver fatto pace con Dio, bisogna adesso mantenerla, continuando in grazia, poiché soltanto chi avrà perseverato fino alla fine si salverà. Perseveranza ci vuole! e la perseveranza dipende da Dio e da noi. Se dipende da Dio preghiamolo; se dipende da noi, vigiliamo. – 1. DIPENDE DA DIO: PREGHIAMOLO. Udite un paragone che una volta portava Gesù alle turbe. « Se alcuno pensa di edificare una torre, prima si ritira in casa e calcola un progetto preventivo di spesa e considera se le sue ricchezze basteranno a tener fronte all’impresa, e se mai qualche amico lo aiuti con prestiti… ma non si mette all’opera all’impensata, altrimenti correrebbe il rischio di non poter condurre a termine la costruzione e di abbandonarla a mezzo, fra lo scherno della gente: « Guardate il tale! ha cominciato a fabbricare e non ho potuto finire » (Luc.; XIV, 28-30). Or bene, noi dobbiamo cominciare l’ardua fabbrica d’una vita nuova, una vita di pace e in grazia: se ci ritiriamo a riflettere sui mezzi che disponiamo, bisogna concludere che da soli ci mancano le forze per durarla anche un giorno solo. C’è però un nostro grande Amico, ricchissimo e potentissimo, che appena lo preghiamo, supplisce ad ogni nostra debolezza: Dio. Senza la preghiera è quindi impossibile la perseveranza. Ma con la preghiera ogni difficoltà sparisce, ogni tentazione si dissolve, la nostra debolezza trionfa. Prima che S. Agata fosse martirizzata, il tiranno volle tentare ogni seduzione per indurla al peccato; ma ogni sua arte riuscì inutile perché la santa pregava. « Sarebbe più facile, — disse il tiranno — sarebbe più facile ammollire i macigni e il diamante, cambiare il ferro in piombo, anziché cambiare l’animo di Agata e sviarla dall’amore di Gesù Cristo e dal proposito della castità ». Che bella testimonianza! Noi invece siamo come fogliette di pioppo tremanti ad ogni vento; siamo come cera che si liquefa al primo caldo; siamo come rugiada che svanisce al primo raggio. Quante volte è bastato un pensiero ozioso, uno sguardo, una parola, un sorriso per travolgerci in rovina! Perché? Perché non si può perseverare senza l’aiuto di Dio. Quest’aiuto, che il Signore pietoso non nega mai, lo si ottiene con la preghiera e con i Sacramenti. – Per essere più preciso, vi ricorderò che Dio ha diviso il tempo in giorni, in settimane, in mesi, in anni: e noi ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, ogni anno abbiamo bisogno del conforto divino a perseverare. Ed allora ogni giorno ci sia la preghiera del mattino e della sera col Rosario; ogni settimana, nel giorno festivo, la Messa e la spiegazione della Dottrina cristiana; ogni mese la Confessione e la Comunione, — questo è solo un mio consiglio ma tanto giovevole; ogni anno la Pasqua sia santificata con un esame di coscienza generale e con l’adempimento esatto del dovere pasquale. Queste pratiche non vi sembrino esagerate: siamo pronti a ben maggiori fatiche per conservare le ricchezze del mondo, e ci rifiuteremo vilmente quando si tratta di conservare la pace e la grazia, che sono ricchezze di paradiso? D’altronde a chi le eseguirà, io assicuro da parte di Dio la perseveranza fino alla fine. – 2. DIPENDE DA NOI: VIGILIAMO. S. Gerolamo dice che noi viaggiamo carichi d’oro: è il gran tesoro della grazia di Dio, della pace sua santa. Non lasciamoci derubare. Temiamo i ladri astuti e feroci che stanno nascosti dentro e fuori di noi. Vigiliamo, ché nel cammino della vita dobbiamo essere non degli sventati, ma dei prudenti. Vigilate! Quando Antonio fu all’età di trentacinque anni volle recarsi in un antico romitaggio, dove avrebbe potuto lodare Dio in tutta povertà e penitenza. Ma l’infernale nemico tentò d’impedire il proposito eroico e gettò, sulla via per dove doveva passare, un dischetto d’argento. « Lo raccoglierà, — pensava il demonio, — tornerà indietro per spendere la moneta, o donarla: e poi probabilmente dimenticherà il romitaggio ». Ma appena s. Antonio vide il dischetto d’argento luccicare davanti a’ suoi passi, conobbe l’inganno, e gridò come se il demonio lo potesse sentire. « Quest’argento sia teco in perdizione ». Una fiammetta, una boccata di fumo e il dischetto scomparve. L’astuzia del tentatore non è mutata neppure dopo mill’anni. Egli sa del vostro proposito di perseverare dopo la Pasqua e sulla strada per dove passate getta, come luccicanti monete, i suoi inganni. È quel ballo, è quella persona, è quel ritrovo, è quel piacere, è quel libro… Non raccogliete, per amor di Dio, il dischetto d’argento infernale: fuggite l’occasione! e voi pure gridate: « Questa lusinga sia teco in perdizione ». In un attimo ogni tentazione, tutto si dissolverà in vano fumo, davanti ai vittoriosi, Resistete giorno per giorno! « Ma io sono giovane e come potrò resistere per venti e quarant’anni in una vita pura, ritirata, cristiana? Ho già provato altre volte: per un giorno, per una settimana ho resistito, ma poi le forze mancarono, le passioni ingagliardirono, e cedetti… ». Risponderò ancora con un esempio dei Padri del deserto, assai sperimentati nei combattimenti spirituali. Vivevano nell’eremo due Egiziani, che da poco avevano abbracciato quella vita santa, e, si capisce, il demonio li spingeva ad abbandonarla. Per superare questa tentazione, essi decisero di aspettare fino alla stagione seguente: « Ecco l’inverno! — si dicevano; — passiamolo ancora qui: del resto è tanto breve; ce ne andremo a primavera ». L’inverno passava ancora in santità ed orazione. « Ecco la primavera! — dicevano poi; — è cosa tiepida che piace perfino nel deserto. Ce ne andremo in autunno ». E così di stagione in stagione, rimasero cinquant’anni nella solitudine e morirono in pace. Altrettanto fate voi, o Cristiani, che desiderate perseverare in grazia. « Da Pasqua a Pentecoste non ci sono cent’anni: resistete fino allora: poi dopo una bella Confessione e una fervorosa Comunione, deciderete. — E da Pentecoste alla Sagra o all’Ufficio Generale, o alle S. Quarant’ore, o al Giorno dei morti… non è un’eternità: resistete fino allora ». E così di periodo in periodo, tutta la vita passerete nella santa perseveranza di Pasqua. – Tre convalescenti si presentarono al medico. Erano appena usciti da malattia gravissima, e tutti e tre — temendo la ricaduta — ricorsero pieni di fiducia al loro dottore per domandargli consigli. I consigli furono uguali a tutti: prendere maggior nutrimento; astenersi da certe bevande e da certe vivande irritanti; accorrere dal medico senza indugi appena i sintomi del male riprendessero a manifestarsi. Il primo convalescente, ritornato a casa sua, dimenticò ogni prescrizione medica, anzi se ne rise: ma d’improvviso il male lo riprese e lo strappò nella tomba. Il secondo convalescente preferì ascoltare per metà i consigli del dottore: prese maggior nutrimento, ma non si astenne dai cibi proibiti; e neppure lui godette salute. Il terzo invece eseguì scrupolosamente ogni comando e, appena temeva un assalto del vecchio male, ricorreva al suo medico: così poté campare lieto e sano fino alla più tarda età. Tra i fedeli che dopo la santa Pasqua vogliono perseverare nella salute dell’anima, noi distinguiamo tre categorie. Alcuni non ricordano nemmeno uno dei consigli ricevuti in confessione: maggior nutrimento di preghiere, ed essi non pregano mai; astensione dai cibi irritanti, ed essi amano invece cose, luoghi, persone pericolose; farsi vedere frequentemente dal medico, ed essi non si confessano più d’una volta all’anno. Costoro ricadranno in peccato peggio di prima, e sempre con minor speranza di risollevarsi. Altri prendono sì un maggior nutrimento di preghiere, una maggior frequenze di Sacramenti; ma non fuggono le occasioni peccaminose. Costoro non potranno mai perseverare, perché chi ama il pericolo in esso perisce. Infine, c’è un piccolo gruppo che eseguisce scrupolosamente i tre consigli. E vi assicuro che son costoro quelli che non perderanno mai la pace pasquale e cammineranno con Gesù risorto fino alla morte e poi per sempre di là. In quale categoria ci poniamo noi? — 1. LA FEDE DONA LA PACE ALLA MENTE. Santa Perpetua, perché cristiana, fu trascinata davanti al giudice e condannata alle fiere. Questa donna, così gentile e affettuosa che un giorno era stata rimproverata dal rigorista Tertulliano perché baciava il suo bambino con troppo amore, non tremò davanti alla morte, ma parve sorridere. Quando in mezzo al circo, in cospetto del popolo africano, vide contro di lei venir la mucca infuriata, congiunse le mani e si protese verso la bestia come se si preparasse a pregare sulla culla del suo bimbo addormentato. Al primo assalto fa travolta dalla polvere, ma non le fu recato alcun male. Ed ella si alzò da terra senza turbarsi e riannodò modestamente le chiome che s’erano scompigliate nell’urto e scosse la polvere dagli abiti, ed aspettò la morte come si aspetta una sorella che venga… Ma chi poteva dare a una donna tanta serena pace da curarsi ancora del decente aspetto della sua persona, proprio quando la soprastava un tragico martirio? La fede. Dice la fede: quaggiù non è la nostra dimora, ma solo una valle di patire. Dice la fede: chi perde la vita per amor del Signore, la ritroverà. Ella credeva fermamente, e di che cosa poteva temere? Oh se si avesse fede, non si bestemmierebbe la Provvidenza di Dio quando ci manda le croci! Se si credesse un po’ di più alle verità del Vangelo che il prete ogni festa spiega nella Chiesa, nel mondo non ci sarebbe tanta gente che ad ogni piccola sventura cerca la morte! Guardate i fanciulli: essi sono sempre beati: perché credono alla loro mamma. Noi pure saremo beati, se crederemo a Dio nostro Padre, con la fede d’un fanciullo. Ecco perché Gesù risorto rimproverò Tommaso il gemello e gli disse: « Tommaso non essere incredulo. Beati quelli che, pur non vedendo, crederanno ». – 2. LA CONFESSIONE DONA LA PACE AL CUORE. Un missionario del secolo XVIII predicava in un paese alpestre di Francia. Narra il P. Monsabré che una volta entrò in quella chiesa ad ascoltarlo anche un ufficiale di cavalleria avvolto nel suo mantello. Il suo sguardo nero e profondo era irrequieto e sembrava un lampo che guizzasse fuori dalla nuvolaglia che s’accozzava in quel cuore in tempesta. Tratto tratto ansimava, premendosi la mano sul cuore tumultuoso. E Dio volle che il missionario parlasse proprio della confessione. La parola suadente del prete gli penetrava in cuore e alla fine risolvette di buttarsi ai piedi del confessore. Il missionario lo raccolse con amore e lo aiutò a confessarsi davanti a Dio. Quando quell’ufficiale dall’ampio mantello uscì dalla Chiesa, piangeva e volgendosi ad alcune persone disse: « In vita mia non ho provato una pace così pura e così soave come quella che il ministro di Dio mi ha procurato col mettermi in grazia. E credo che neppure il re, che servo da trent’anni, può essere più felice di me ». Pasqua è venuta: ma è venuta la pace nei nostri cuori? Se in noi non c’è pace è forse perché ci siamo confessati male, o fors’anche non ci siamo confessati? Il peccato è come un tarlo che rode senza posa il nostro povero cuore: ed esso non muore se non col perdono di Dio che si riceve ai piedi del confessore. Ecco perché Gesù, apparendo quella sera nel cenacolo, dopo aver detto: « La pace sia con voi » si curvò sopra degli Apostoli e alitando sopra le loro fronti disse: « Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete, sarà perdonato; a chi non perdonerete non sarà perdonato ». Come il Divin Padre aveva mandato Gesù, così ora Gesù manda i suoi discepoli a portare la pace nel mondo. Ma pace non ci può essere se non nella coscienza pura. E Dio istituì perciò il Sacramento della purificazione. – L’OSSERVANZA DELLA LEGGE DI DIO METTE LA PACE IN OGNI NOSTRA AZIONE. Un giorno Dio comandò a Saul di muovere sopra gli Amaleciti, di saccheggiare e incendiare ogni cosa. E Saul piombò contro i nemici di Dio e stravinse: però volle risparmiare il re, forse per far più bello il suo trionfo; volle ancora risparmiare alcune pecore col pretesto di sacrificarle a Dio. Di ritorno dalla guerra, il profeta mosse ad incontrarlo e gli disse: « Hai tu distrutto ogni cosa? » – « Ho compiuto la parola del Signore »  rispose Saul. Ma in quel momento le pecore belarono. « Ma io odo un belare d’agnelli » disse il profeta. Saul titubò un istante cercando una scusa: « Fu il popolo che ha voluto che si risparmiassero i capi migliori per farne sacrificio ». Samuele si adirò. « Poiché tu hai gettato dietro alle tue spalle la parola di Dio, ecco: Dio ti ripudia e non ti vuol più re ». È il caso di molti Cristiani. Durante la quaresima hanno ravvivato la loro fede, nei giorni di Pasqua hanno fatto anche la Comunione, eppure nel loro cuore non sentono la pace che Gesù risorto portò ai suoi discepoli. Oh, non basta la fede, quando non si agisce ancora nella luce della fede! Oh, non basta la confessione quando si conservano in cuore certi attaccamenti al peccato. Et quæ est hæc vox gregum? Cos’è questo belar d’agnelli? Non aveva Dio imposto la distruzione d’ogni cosa? E perché allora si è voluto continuare in certe amicizie, in certe compagnie, in certi desideri che la legge del Signore proibisce? Perché in fondo al cuore cova ancora quell’astio o quell’attacco alla roba d’altri? Perché si è voluto risparmiare il re degli Amaleciti, ossia la propria passione predominante? Qual meraviglia allora se la pace del Signore non è venuta dentro di noi? La pace di Dio è solo nell’osservanza dei comandamenti di Dio. Pax multa diligentibus legem tuam, Domine! – Irrequietum est cor nostrum, donec requiescat in Te. L’anima ardente di S. Agostino cercava la pace. E dalle spiagge della sua Africa d’oro si volge alle mondane cose con tormentose domande: chiedendo pace. Ma gli aranceti e gli olivi in fiore di Tagaste e tutto il verde pendio sembravano rispondergli: — Quello che tu cerchi non è qui tra le nostre fronde agitate dal vento: cerca più in su! E S. Agostino cerca il mare: ma le onde e gli infiniti increspamenti del mare nel loro perpetuo ondulamento gli rispondono: « Quello che tu cerchi non è qui nelle nostra eterna agitazione: più in su!» E S. Agostino leva gli occhi sopra il cielo stellato della sua Africa d’oro. Ma gli astri dicono: « Quello che tu cerchi non è qui: ché noi siamo, come il tuo cuore, sempre vaganti: più in su ». « Dio! ». – Egli solo, quando vive nella nostra mente, nel nostro cuore, in tutta la vita nostra, Egli solo è la nostra pace. Ipse est pax nostra (Ef., II, 14).

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Matt XXVIII:2; XXVIII:5-6.

Angelus Dómini descéndit de coelo, et dixit muliéribus: Quem quaeritis, surréxit, sicut dixit, allelúja.

[Un Angelo del Signore discese dal cielo e disse alle donne: Quegli che voi cercate è risuscitato come aveva detto, alleluia.]

Secreta

Suscipe múnera, Dómine, quaesumus, exsultántis Ecclésiæ: et, cui causam tanti gáudii præstitísti, perpétuæ fructum concéde lætítiæ.

[Signore, ricevi i doni della Chiesa esultante; e, a chi hai dato causa di tanta gioia, concedi il frutto di eterna letizia.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

Paschalis
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre: Te quidem, Dómine, omni témpore, sed in hac potíssimum die gloriósius prædicáre, cum Pascha nostrum immolátus est Christus. Ipse enim verus est Agnus, qui ábstulit peccáta mundi. Qui mortem nostram moriéndo destrúxit et vitam resurgéndo reparávit. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare: Che Te, o Signore, esaltiamo in ogni tempo, ma ancor piú gloriosamente in questo giorno in cui, nostro Agnello pasquale, si è immolato il Cristo. Egli infatti è il vero Agnello, che tolse i peccati del mondo. Che morendo distrusse la nostra morte, e risorgendo ristabilí la vita. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

[Joannes XX: 27] Mitte manum tuam, et cognósce loca clavórum, allelúja: et noli esse incrédulus, sed fidélis, allelúja, allelúja.

[Metti la tua mano, e riconosci il posto dei chiodi, alleluia; e non essere incredulo, ma fedele, alleluia, alleluia.]

Postcommunio

Orémus.

 Quæsumus, Dómine, Deus noster: ut sacrosáncta mystéria, quæ pro reparatiónis nostræ munímine contulísti; et præsens nobis remédium esse fácias et futúrum.

[Ti preghiamo, Signore Dio nostro, che i sacrosanti misteriose tu hai dato a presidio del nostro rinnovamento ci siano rimedio nel presente e nell’avvenire]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (247)

LO SCUDO DELLA FEDE (247)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (16)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

CAPITOLO II

Ora il Sacerdote ricorda l’atto dell’istituzione dell’Eucaristia fatta da Gesù Cristo, per immedesimarsi con Lui, ed eseguire la Consacrazione.

Deh! colla più profonda umiltà teniamo appresso alla Chiesa, che sublima il suo Sacerdote alla tremenda azione santissima, l’identifica con Gesù; e in questo momento ravvicina i tempi, come un istante presente nella sua Divinità: e lo mette ad operare con Gesù; o meglio Gesù l’assume come strumento, e rinnova per lui il Sacrificio di Se Stesso. « Il Quale il giorno prima di cominciare la sua passione, … etc. etc. ». Egli, dice s. Giovanni Crisostomo (Hom. 82 in Matth.), istituisce il Sacramento dell’Eucaristia la vigilia della sua passione, nel tempo della Pasqua dei Giudei, per aggiungere una nuova testimonianza a tutte quelle, con cui aveva già fatto conoscere, che Egli era quel desso, che aveva prestabilito l’antica Legge, la quale in tutto di Lui era figura, ed adombrava questo suo gran Sacrificio. Ora alla figura sostituisce la realtà. Istituisce l’Eucaristia la sera, per indicare, che, compiuti i tempi, allora l’antica Legge toccava la sua consumazione: e cessare poi dovevano gli antichi sacrifici. « Prese il pane ecc. » Il pane, che è il sostentamento, e simbolo della vita, sì trova pressoché in tutte le case formato di frumento. Il frumento, come osservano i naturalisti, è una biada, che accompagna gli uomini, dove si stabiliscono per vivere in società; perché a far germogliare il frumento, fa d’uopo che gli uomini si fermino a coltivare il terreno, che l’ha da produrre: e mentre si matura con ogni clima colla maggiore facilità, e si lascia coltivare pressoché in ogni regione, non nasce ciò spontaneo in nessun luogo. È adunque il pan di frumento l’offerta più conveniente per la religione, che deve tutto abbracciar l’universo, perché trova il mezzo da far dappertutto la sua oblazione: ed è il segno dell’umana famiglia costituita in società. Il pane composto di molti granelli bene significa, siccome osserva s. Agostino (Tract. 24, in Ioan. et S. Thom. 3 part., q. 64, art. 1), l’aggregamento dei fedeli, che uniti insieme col glutine della carità, compongono il corpo della Chiesa, di cui il Redentore è Capo: dappoiché, dice s. Paolo (1 Corin. X, 17.), in un solo pane, un solo corpo siamo noi molti. E questo pane dovendo essere la Comunicazione del Corpo del Signore (1 Cor. X, 16.); « per esso non saranno più molti corpi, ma sì un solo, dice s. Giovanni Grisostomo; e siccome il pane è un composto di molti grani talmente uniti e mescolati, che non appaiono più, né si possono mai distinguere gli uni dagli altri; così l’unione, che ci identifica con Gesù Cristo, è tale, che vi è un solo corpo nutrito e mantenuto dallo stesso pane. Ecco lo spirito del formidabile Sacrificio, a cui ci dobbiamo approssimar colle disposizioni di una carità viva, che unisca tutti i cuori in un solo sentimento di mutuo amore. Così dove sarà il Corpo, quivi si raduneranno le aquile » (Matt. XXIV, 28). Fin qui il medesimo s. Giovanni (Hom. 3, in Ep. ad Eph.). E accennava questo pensiero s. Ignazio Vescovo di Antiochia, quando in mezzo all’anfiteatro in Roma, li per essere divorato dalle fiere, udendo leoni e fiere a ruggire pel fremito di gettarglisi sopra a sbranarlo ; « Son frumento di Cristo, (esclamava il sant’uomo già incorporato in Gesù) da essere stritolato in morte, per divenire pane mondo » ((5) Hier, De scrip. Eccl.). « Nelle sante e venerabili sue Mani ecc. » Son sante quelle Mani divine, e a ciò che toccano comunicano la santità. Elia, rapito in cielo, lasciava cadere il mantello, che lo aveva coperto, e con esso comunicava doppio spirito al discepolo suo Eliseo. Questi posavasi colla persona sul cadavere del figliuol della Vedova, e nel toccar colle membra sue sante le fredde membra del morto, lo faceva balzare in piedi pieno di vita. Era la virtù di Dio, che operava prodigi per loro. Ora le Mani stesse di Dio toccano il pane, e lo transustanziano, lo fanno divenire Corpo di Gesù Cristo. Chiamansi venerabili quelle Mani divine, forse per dire quanto debbano essere da ogni macchia purgate e venerabili le mani dei Sacerdoti, che Gesù assume e rende potenti ad operare un tanto tremendo Mistero (Io Chry. De sacerd. lib. 3. C. Bona, tract. ascet. 5, § 9): esse che debbono presentare all’altare Gesù, come colle mani sue immacolate la Regina degli Angeli presentava al cielo appena nato sul purissimo seno il Bambino Gesù.

« Sollevati gli occhi a Voi, Dio, Padre onnipotente ecc. » E che faceva Gesù cogli occhi elevati al Padre suo celeste? Forse chiedeva venia a Lui, quasi con quello sguardo dicesse : « perdonate, o Padre, se Io dono così a loro tutta nostra Divinità; Padre, li amo troppo! » Forse volava dell’anima in seno al Padre, per versare dal Padre sui figli i tesori del gran Monarca della bontà….. Ah! Sarà meglio adorare, che pretendere di farci interpreti dello sguardo divino, con cui Gesù così bene s’intende col Padre suo!…

« Rendendovi grazie ecc. » Rende grazie, perché il Padre lo esaudisce, e lo fa padrone di tutta la Divinità; grazie, perché gli ha dato un corpo da potere in sacrificio offrirgli fino alla consumazione dei secoli; grazie, perché in quel mistero di carità divina, onnipotente, il Padre gli concede di trasfondersi in noi, a cui volle farsi fratello, e di unirci a Lui come sue membra, per averci seco in beatitudine. Rende grazia anche a nome di tutta l’umanità, che di ringraziar Dio ha debito infinito, e principal dovere (Io. Chry. Hom. 21, in Matt. c. 27). « Benedisse ecc. » Dal primo Adamo venne a noi il mal germe del peccato, quinci da lui la cagione della maledizione. Da Gesù, Adamo novello, Ristoratore dell’umanità, a noi discendono tutte le benedizioni. Così fu adempita la promessa fatta ad Abramo, che saran benedette in lui, cioè nel Figliuolo che dovrebbe nascere dalla sua stirpe, tutte le genti (Gen.). Vi fa sopra il segno di croce; perché sulla croce nel Corpo di Gesù si aprì la sorgente delle benedizioni, che discendono in terra, e la fonte delle acque salienti a vita eterna. « Lo spezzò ecc. » In quell’atto si mise innanzi, e parve dire: « eccomi, sono tutto per tutti, e dandomivi in questo modo, ciascuno di voi può del sacrificio, che di Me faccio, fare per sé particolare applicazione, e partecipare a volontà. » Imperocché, dice s. Paolo (I. Cor 7), il pane che noi frangiamo, non è forse partecipazione del Corpo del Signore? « E diede ai suoi discepoli. » Quando aveva promesso di dare il suo Corpo a cibo, ed il suo Sangue a bevanda, molti di loro, che lo seguivano come discepoli anch’essi fino a quel punto, nello ascoltare quella inaudita sua promessa, stettero sopra pensiero: anzi si misero a mormorare fra loro: « e come può costui darci da mangiare la propria carne » (Joan. VI.)? e questionando gli volsero le spalle dicendo: « è troppo duro questo Suo parlare, e chi può udirlo dire così? » Ma Gesù che voleva proprio dare la sua Carne ed il suo Sangue, non li chiamò già indietro, né corse appresso a dir loro: « calmatevi, voi non mi avete ben compreso; non è già, che Io voglia darvi proprio il mio Corpo e il mio Sangue; mai no, ma vi darò (come vorrebbero fargli dire i protestanti) un pane, che sarà figura del mio Corpo, e vino che sarà immagine del mio Sangue. » Questo non disse, no, anzi per ribadire e confermare il già detto: « Sì veramente, disse loro, la mia Carne è proprio cibo, il mio Sangue è proprio bevanda, e se non mangerete della Carne del Figliuol dell’uomo, né berrete del di Lui Sangue, non avrete vita in voi. Chi mangia la mia Carne, e beve il mio Sangue, ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell’ultimo dei dì » (Mons. Martini, Nuov. Test. nel luog. cit.). E che mai poteva di più semplice dire o di più chiaro, per esprimere, che il suo Corpo ed il suo Sangue voleva dare realmente? E di più ancora rivolto a quegli che gli restarono intorno, (per far loro intendere, che li avrebbe ritenuti per discepoli solo a condizione che gli avessero creduto, volerci dare tutto Se stesso con un miracolo d’amore onnipotente) disse loro: « volete andarvene anche voi? » quasi dicesse: Se volete andare, lo potete; ma chi mi si vuol restar discepolo, ha da credere, che Io voglia dar tutto Me stesso in cibo e bevanda spirituale. Così da quelli che volevano restargli discepoli esigeva, che con un po’ d’umiltà s’affidassero in Lui, ritenendo sicuro, che nei tesori della Divinità troverebbe un argomento, un ingegno da compenetrarci colla sua Persona Divina, come il cibo s’identifica col corpo nostro; senza offendere ì sensi nostri, grossi, per servirci di essi nel portar giudizio in fatto d’amor di Dio. In quella cena pertanto gli restavano intorno quei soli, che fidandosi a Lui, gli tennero appresso fino a quell’ora. Eran adunque ì soli fedeli. Abbiam detto i fedeli?.. Deh! come dunque poté trovarsi fra loro anche un Giuda? Ah! a questo pensiero chiniamo gli occhi a terra, battiamoci il petto, esclamiamo confusi: « povera umanità, quanto sei miserabile, e degna della più grande compassione. Se in quell’istante in cui il Figliuol di Dio operava il più gran miracolo della bontà divina verso gli uomini, hai potuto mandare appresso Gesù anche un Giuda a rappresentarti.

CAPITOLO III

ATTO DELLA CONSECRAZIONE DEL SS. CORPO.

Raccogliamo le potenze del nostro spirito, sublimiamoci nella Divinità, in ogni luogo presente, che alimenta con atto del suo volere la nostra esistenza… Dio medesimo ha fatto il comando, e promise l’opera sua al Sacerdote che sta per eseguirlo, assicurandolo che quel pane « sarà suo Corpo, e quel vino diverrà suo Sangue. » Qui l’uomo assunto ministro dell’immortal Sacerdozio del Verbo, diventa dito di Dio, e strumento in mano di Lui, che gli trasfonde la sua virtù divina. Ora, se l’uomo sì debole, pur coi soli doni naturali, quando investe di sua virtù un piccolo materiale istrumento, fa uscire da quello i miracoli dell’arte: sicché tocca, per esempio, i sassi collo scalpello, e spira in quelli, diresti, vita e pensiero; muove il pennello, e su di una morta tela fa discendere celestiali bellezze, tutta vita ideale; mette mano nelle viscere dei monti, e fila metalli, gli organizza, e compone macchine d’incalcolabile potenza che, diresti, partecipano del suo pensiero: posa il braccio sopra una leva e accumula macigni, e spirandovi dentro il pensiero della fede erge sublimi edifizi, che fanno un magnifico invito a discendere al Sovrano del cielo: che non potrà fare, se Iddio lo sceglie instrumento nel sacerdozio, e lo investe di sua virtù? (Ecco in breve il ragionamento di s. Tommaso (L. 3, q. 64, a.5): I ministri operano nei Sacramenti come istromenti…. l’istrumento non opera secondo la forma e virtù propria, ma secondo la virtù di chi l’adopera. Chi opera per virtù altrui non assimila l’oggetto, su cui opera se stesso; ma al principale operante (contra gentes, cap. 77). Se il Verbo, per cui tutto fu fatto, e che tutte porta le cose con la parola della sua potenza, in lui spira ed opera con questa sua creatrice parola? Adoriamo, adoriamo! niente è più terribile, niente è più misterioso di questo che si fa in questo momento! Parla Gesù…

La verità della parola di Gesù Cristo.

Parla Gesù….. Tacete, o figli degli uomini, voi siete bugiardi: ma Gesù dice sempre la verità, e sa per bene mantenere la sua parola. Sono 1800 anni, che Gesù ai discepoli, che ammiravano quella immensa mole del tempio di Gerusalemme diceva: che quella saldissima montagna di marmo sarebbe distrutta così, da non rimanervi pietra sopra pietra. Sono 1800 anni, che il tempio è là distrutto. Bene, Giuliano imperatore apostata, e perciò perfido nemico del Signore, per dar la mentita a Gesù stimolava tutti gli Ebrei del mondo a ricostruire il tempio, e li aiutava di forze: gli Ebrei da tutte parti accorrevano, i ricchi offrivano tesori, le donne offrivano i loro gioielli, tutti il loro aiuto; e già scavandosi le fondamenta sì rimovevano fin le ultime pietre del vecchio tempio; ma, sbucando le fiamme da quegli scavi, abbandonarono atterriti l’impresa, che non ardirono tentare mai più. Così quella distruzione è là che prova, che passano i secoli, ma Gesù dice sempre la verità. Sono 1800 anni, che Gesù, piangendo sopra Gerusalemme, diceva: che rimarrà distrutta quella città sino all’ultima pietra, ed appropriandosi la profezia di Daniele, che parla di Lui, Egli accennava, che, distrutta la città, atterrato il tempio, disfatto il regno, gli Ebrei rimarrebbero dispersi in mezzo alle nazioni dell’universo; e che quel popolo non sarebbe più il popolo del Signore, fino alla fine dei secoli, da quando avrebbero ucciso il Cristo, il Messia, esso Gesù. Or ecco il gran fatto in faccia a tutti i popoli dell’universo. Sono 1800 anni, che gli Ebrei l’ebbero ucciso, e restano d’allora dispersi in mezzo alle nazioni del mondo. Stirpe singolare! mentre vediamo nelle storie tutte, che i popoli conquistatori si fondano coi conquistati così da formare una sola nazione; solamente gli Ebrei dispersi in mezzo alle genti, restano sempre da quelle distinti. Miracolo d’esempio di una nazione, che non forma un popolo, eppure resta sempre, frammischiato in mezzo agli altri popoli, li senza confondersi, per provare al mondo, che Gesù dice sempre la verità. Bene, l’imperatore Adriano volendo rifabbricare Gerusalemme, per darle il suo nome di Elia, faceva trasportare gli avanzi della distrutta città, così che toglieva dell’antico fino le rovine. Sono 1800 anni, che dura sempre la desolazione predetta dove era Gerusalemme, e prova che Gesù dice sempre la verità. Lo prova un miracolo, che è il miracolo d’ogni dì, a dispetto dell’incredulità che non vuole miracoli. Eccolo, e sfidiamo tutti gl’increduli a negare questo fatto. In questi dì il gran Turco, padrone della Giudea, è in disperazione di miserie; cerca danari a condizione qualunque: venderebbe qualunque provincia a rifornire le esauste finanze. Gli Ebrei i sono i più ricchi del mondo: un piccol angol della Giudea, un po’ di tempio in Gerusalemme, simbolo della loro nazionalità, è il loro sospiro da diciotto secoli: dei governi d’Europa poi, i più guarderebbero indifferenti: alcuni godrebbero perfidamente, come gli Ebrei, che si provasse non esser vera la parola di Gesù Cristo. Su, su, noi abbiamo ragione di dire senza paura, (come diceva Voltaire a Federico re di Prussia egli colla speranza di smentire Gesù) con un piccolo contratto si potrebbe provare, che non è vera la parola di Gesù. Su, si passi in vendita un palmo di terreno in Giudea: i mezzi non mancano, nessuno l’impedisce. Non è vero, che si vorrebbe vendere, e si desidera comperare ardentemente? Venditori, e compratori crederebbero di fare la loro fortuna con questo contratto: e perché a dispetto di tutte le convenienze, non si vende questo palmo di terra? Chi spiega il mistero? Se non lo sanno i politici, noi lo diremo loro: è perché i nemici di Gesù Cristo, sono 1800 anni, — sono obbligati a provare essi stessi a loro dispetto, che Gesù dice sempre la verità. E Gesù poi sa per bene mantenere la sua parola. Invero sono 1800 anni, che Gesù diceva agli Apostoli, e a Pietro capo di loro, che li farebbe pescatori d’uomini per tutti i tempi: sono 1800 anni, che i loro successori seguitano sempre a raccogliere gli uomini nella rete di Pietro. Sono 1800 anni, che Gesù diceva, che la sua dottrina si diffonderebbe nel mondo universo. Sono 1800 anni, che la sua dottrina è predicata per tutto. I grandi conquistatori delle nazioni sono lasciati indietro da questi conquistatori delle anime: e se si scoprono nuovi mondi, prima di tutti gli avventurieri, Gesù vi manda i suoi a predicare la sua dottrina. Sono 1800 anni, che Gesù diceva, che i suoi fedeli gli renderebbero dinanzi ai potenti della terra testimonianza alla sua parola, n’andasse pure la vita. Sono 1800 anni, e Gesù tiene milioni e milioni di fidi, che danno la vita, per mantenere la sua parola. – Sono 1800 anni, che Gesù diceva a quel povero pescatore dei laghetti della Giudea : « Pietro tu sei la pietra, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte d’inferno non prevarranno mai contro di essa. » Sono 1800 anni, che il Papa successore di Pietro, sta. Sono 1800 anni, che chi si batte contro questa pietra, ne resta infranto; da 1800 anni fino a quest’istante, da Simon Mago accorso in Roma, fino a Garibaldi in Mentana (ché è poi sempre questa pietra, che sì vorrebbe abbattere negli ottantatré, se non erriamo, attacchi ai Pontefici), vengono tutti gli ostinati nemici del Papa a rompersi il capo contro questa pietra; che li schiaccia tutti, per provare che Gesù sa mantenere la sua parola. – Sono già più di 1800 anni, che Gesù fin prima di nascere diceva, come dice ora, come dirà sempre, la verità. Vi è una profezia che abbiamo in bocca ogni di noi tutti, e prova la verità del Figliuol di Dio Gesù. Visitava una poverina di donna, sposata ad un artigiano, una sua parente; ed Elisabetta, vedendosela apparire sull’uscio, esclamava: « onde a me questa fortuna, che la madre del Signor mio venga a me! » e quella donnicciola esclama: « Magnificat anima mea Dominum. Quia respexit humilitatem ancillæ suæ: ecce enim ex hoc Beatam Me dicent omnes generationes….; ecco che tutte le generazioni mi chiameranno beata. » Avrebbero detto gl’increduli: Sogna la donnicciola! chi ha da curarsi di lei meschinella?…. Tacete, o increduli, voi siete bugiardi; ma questa Donnicciola ha in seno Gesù, che dice sempre la verità. Eccovi, eccovi, che sono 1800 anni, che Maria Santissima è chiamata beata. Dal più gran tempio del mondo il Pontefice Sommo, fino alla contadinella intorno al tabernacoletto ornato di carta e di fiori del campo innanzi alla statuina di gesso, tutti a gara la chiamano beata: e tutte le regine, e tutti i re, e tutti gli uomini grandi di tutto universo, di tutti i tempi, insieme uniti non hanno tanti monumenti, quanti ne ha sola la donnicciola di Nazaret: perché quella donnicciola è la Beatissima Vergine Maria, Madre di Gesù, che dice sempre la verità. Siamo stati lunghi nelle ripetizioni: ma i fatti si vogliono ripetere ancora di più, a prova delle verità della parola di Gesù Cristo. Parla adunque Gesù! Egli è Figliuol di Dio: e parla sempre la verità. Tremate increduli! Voi potete star senza credere, come potete morire senza speranze….. Ma Gesù ha la potenza di farsi credere alla più alta ragione di diciotto secoli (perché l’umanità cristiana, che crede da diciotto secoli, è la più alta ragione che mai sia apparsa nel mondo, innanzi a cui cadono a nulla gli increduli !…..) A terra, a terra tutti in silenzio: adoriamo. Il Sacerdote annuncia ciò che dice Gesù: « Questo è il mio Corpo. » Lo dice Iddio; e se lo dice Iddio, chi può dubitare? E può mai la parola di Dio mancare d’effetto?… Onnipotente e veracissima è la sua parola, e fallacissimo il nostro senso (Io. Chrys. Hom. 24. in 1 Cor.). Momento solenne!.. Non vi è niente di più grande, né di più augusto di quanto ci è dato a scorgere in così terribil momento! Dice s. Giovanni Grisostomo (Io. Chrys. De pœnit.); l’altare è eretto, i misteri s’apprestano: l’Agnello di Dio viene ad immolarsi per noi: il Sacerdote si affanna: il fuoco sacro acceso sull’ara spande intorno la sua luce: i cherubini sono qui presenti, i serafini accorrono, gli spiriti celesti coprono le loro fronti colle ali tremanti, legioni d’Angeli si uniscono al Sacerdote, per intercedere; il cielo si è aperto (Io. Chrys. Hom. 82 in Matt.)… Adoriamo Gesù, vero Dio e vero Uomo, qui realmente presente… Questo è il Corpo di Gesù Cristo. Sì, questo è quello stesso Corpo, che fu trafitto dai chiodi, lacerato dalle verghe dei carnefici, su cui la morte fu impotente; è quello stesso di cui il sole, vedendolo morire in croce, non poté sostenere l’aspetto, e ne stornò i raggi; quello stesso, il cui ultimo sospiro esalato lacerò il velo del tempio, spezzò le rupi, fece tremare la terra: squarciato nel costato, fece scaturire la vita (Io. Chr Hom. 24.). E dunque qui proprio il Signor crocifisso?…. Ma chi potrà reggere così d’appresso alla Divinità sacrificata? Cadiamo a terra… picchiamoci il petto… e lasciando correre riverenti e timorosi sull’altare lo sguardo, guardiamo il Sacerdote: pover’uomo! Egli sa, quanto è orrenda cosa cader nelle mani del Dio vivente (Heb. X, 31)! Depone tremante Gesù sull’altare, e smarrito va ripetendo in cuor suo con Pietro: « Signore, Signore, allontanatevi da me, che sono uom peccatore! » Si getta per terra in ginocchio, cioè cade a nulla nell’abisso della miseria, sorge, e solleva esterrefatto tra il cielo e la terra la Vittima Divina!

Eleva fra le mani il SS. Corpo di G. C.

Che vuol dire questo sollevare il Corpo di Gesù Cristo?… Oh Dio! noi siamo smarriti qui e nella perturbazione della povera anima nostra toglieremo in prestito i pensieri del serafico Bonaventura (Part. 3 in Expos. Mîss. c. 4. et §§ sequent.). Che vuol dire alzar l’Ostia Santissima? Vuol dire levare il volto al cielo con fra le mani il Corpo di Gesù Cristo, e gridare con coraggio: « Padre celeste, abbiam peccato; ma deh! guardate chi vi offriamo, guardate in faccia Gesù Figlio vostro…., e negateci, se potete, negateci di perdonare….. » Che vuol dire alzar l’Ostia? Vuol dire: « Padre Santo, guardate il Vostro Unigenito qui divenuto nostro fratello: deh! mandate per Lui, nostro Capo in noi tutti, sue membra, la vostra benedizione. » Che vuol dire alzar l’Ostia? Vuol dire: « Il paradiso è nostro: il prezzo è qui: è questo Divino Redentore!…. » Che vuol dire alzar l’Ostia? « O cielo, o terra, o mondi del firmamento, adoratelo in silenzio meravigliati, e date lode all’onnipotente bontà di Dio! I cieli non lo possono capire, e noi l’abbiamo qui prigioniero d’amore fra le mani! Eh no? non lo lasceremo andare, finché non ci abbia benedetti!…» Che vuol dire alzar l’Ostia! Vuol dire: « Combattenti sotto il vessillo del Crocifisso, coraggio, coraggio; intuonate l’inno della vittoria; eccovi il gran duce già vi precede al trionfo; e voi poveri affitti, levate il capo, eccovi glorioso Gesù, tenetegli dietro colla vostra croce: ancor pochi passi e lo raggiungerete in paradiso…. »

Che vuol dire alzar l’Ostia ? Vuol dire: « Principi della celeste Gerusalemme, alzate le porte eternali, ché viene il Re della gloria, il Signor forte e potente, il Signor delle virtù, il trionfator della morte, e gli tiene appresso l’esercito dei crocesignati: o Beati, guardate giù, e nel veder questo Re divino, che sollevandosi di terra procede verso del cielo colla legione dei trionfanti, venerate la terra, che, bagnata del Sangue di Dio medesimo, diventa la via del paradiso…. »

Atto della consacrazione del Sangue SS.

« In simile modo, poiché ebbe cenato Gesu, prendendo anche questo calice preclaro nelle sante e venerabili sue mani. » Ecco Gesù col calice del suo Sangue nelle mani sue! O Profeta David, quando col cuore così pieno di gratitudine nell’estasi dell’ispirazione esclamavi: « E che mai potrò retribuire al mio Signore per tutto, che Egli mi vuole donare? Prenderò il Calice della salute, ed invocherò il nome del Signore ; » era egli di questo ministero d’amore che ti parlava all’anima rapita lo Spirito Santo? Deh! Se tu vedessi in questo istante Gesù con questo calice del suo Sangue nelle mani Sue, ben torneresti ad esclamare: « Quanto è preziosa la morte dei giusti, che avranno la sorte di versare insieme col Sangue del Redentore Divino ìl proprio sangue in sacrificio a Dio! »

« Lo benedisse, e lo diede ai suoi discepoli dicendo: PRENDETE, BEVETE TUTTI, QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE DEL TESTAMENTO NUOVO ED ETERNO. » Ecco Gesù col calice del suo Sangue nelle mani sue. Anche il pontefice dell’antica legge, dopo mille cerimonie e preparamenti, una volta all’anno si presentava sulla porta del Santo dei Santi, terribile luogo, coperto di un velo impenetrabile ed inaccessibile ad ogni altro mortale; ma nel presentarsi portava in mano il Sangue della vittima e, con esso innanzi, la temuta porta ardiva d’aprire, perché quel sangue ricordava l’antico patto di Dio e la promessa divina di un patto nuovo. Ora ecco Gesù, che col calice del suo Sangue salda il patto nuovo di eterna alleanza, e col suo Sangue in mano apre a tutti il paradiso.

« Sangue del testamento nuovo ecc. ecc. » Questo è il Sangue della nuova alleanza: poiché siccome l’antico Testamento venne confermato col sangue delle vittime, così il nuovo è suggellato col Sangue di Gesù Cristo (S. Ioan. Chrys. Hom. 82.). Questo Sangue impronta nelle anime la regale immagine del Signore, vi produce un carattere di bellezza e nobiltà, le rafforza e ne è la vita…… questo Sangue fuga il demonio, chiama gli spiriti beati, egli è del Sovrano del celeste impero. Fin qui il Grisostomo (Hom. 47).

« Sangue del testamento eterno. » Sì veramente, perché eterno è il Pontefice, immortale la Vittima, che lo conferma e lo santifica.

« Mistero di fede ecc. » Qui noi esclameremo: « beati coloro, che non vedono cogli occhi (Io. XX, 29), ma credono all’Essenziale Verità. » Beati noi, che abbiamo conosciuto e creduto alla carità, che Dio ha per noi (IV, 16). Bello è ricordare il fatto di san Luigi IX, re di Francia, che chiamato, affinché accorresse a veder Gesù Cristo in apparizione miracolosa nel SS. Sacramento sopra l’altare; mentre lo pressavano che andasse ad ammirare quel miracolo, che confermava così altamente la real presenza di Gesù Cristo: « non fia, non fia, » si dice che rispondesse; « io non verrò, per confermarmi nella verità della fede col testimonio degl’occhi miei. No: perché potrebbero questi occhi prendere abbaglio; ma nella fede mia son certo d’essere infallibile, come è infallibile Iddio, in cui si affida totalmente la nostra credenza. » « Mistero di fede.» ed è veramente, perché essendo da tante figure promesso, da tanti sacrifici figurato, era l’oggetto misterioso, che non ancor pienamente rivelato, esercitava la fede degli antichi Padri (s. Tommaso): ed è il più gran mistero, che colla onnipotenza della fede assoggetta gli intelletti dei fedeli in umiltà: e, a dispetto di tutte le difficoltà, obbliga gli uomini della più potente ragione a credere come fanciulli impiccioliti davanti alla maestà di questo Vero Divino!

« Che sarà sparso per voi e per molti ecc. ecc. » Per voi, o discepoli, e per molti, cioè pei fedeli che verranno poi infino alla consumazione del tempo; per voi, O eletti del popolo di Dio, e per molti, che da tutte le nazioni del mondo saranno chiamati al banchetto divino. Perché questo Sangue sparso sull’albero della croce ha lavato i peccati di tutto il mondo (Io. Chrys. Hom. 46.).

« In remissione dei peccati. » Dichiara l’oggetto per cui s’incamminava a morte (Id. 82). Quando le enormità dei delitti provocano lo sdegno di Dio gli angioli della divina vendetta (dice s. Giovanni Grisostomo) volano dinanzi al trono di Lui col vaso del suo furore, gridando: « Signore! da quell’atomo di fango, contaminato da tanti peccati, abbiamo da sperdere noi tanta lordura di peccatori? » Ah! siano ora benedizioni e grazie a Gesù Salvatore, che si presenta invece col calice del suo Sangue in mano, e grida: « Perdonate, o Padre, i meschinelli miei su questa terra! » Coraggio! Coraggio! stiamo a fidanza ad aspettare proprio in questi giorni misericordia, e corriamo sotto il calice di Gesù. Buon Dio! qual furor di ribelli contro il Signore, e il sommo Pontefice che lo rappresenta! Quando quei furibondi di Ebrei stavano contro Mosè ed Aronne ad offrire un incenso sacrilego; a sterminarli cadeva un torrente di fuoco dell’ira di Dio, e scorreva già tra le tende, e si apriva una voragine a divorare i fuggenti: Aronne pontefice prese il fuoco sacro nel turibolo d’oro, e si frappose tra i morti e i vivi, come gridando: « fuoco dello sdegno di Dio, rispetta il fuoco Sacro » ed il fuoco sterminatore ristette! « Chiuditi, o voragine, e non ingoiare il povero popolo; » e la voragine si chiuse! Ora, se il furore dello sdegno di Dio già rompe il freno, noi, col Sommo Pontefice alla testa pigliamo ben altro che il fuoco Sacro del turibolo d’oro; pigliamoci sul cuore nostro Gesù col Cuor, che arde e versa Sangue sull’altare e gridiamo fidenti: « fuoco dello sdegno di Dio, rispetta Gesù che ci protegge: corriamo fin sopra l’inferno e gridiamo: « chiuditi, o inferno, e cessi la perdizione! » Sì, sì.

Il sacerdote eleva il Calice.

Che vuol dire alzare il Calice? Vuol dire (così s. Giovanni Grisostomo – De pœnit.): « L’Agnello Divino è svenato! il Calice gronda di caldo Sangue! Su, su, accorrete intorno all’altare, e gridate: Sangue di Gesù Cristo piovete sui nostri cuori, bagnate le anime nostre, ristorateci tutti in Voi a vita eterna! » Vuol dire: Ecco Gesù che gronda Sangue: e come là sul Calvario il Corpo di Gesù pendeva dissanguato dalla croce, il Sangue era versato per terra: così ora qui sull’altare, mostrando sotto le due specie del pane e del vino, da una parte il suo Corpo, il suo Sangue dall’altra, misticamente l’un dall’altro diviso, cade come una vittima svenata, versa il suo Sangue innanzi al trono di Dio, e trova in cielo la redenzione (Hebr. VII, I2). Vuol dire: Ecco sopra di noi Gesù, che colle mani piene di Sangue ci apre sul capo il paradiso. Vuol dire: Ecco Gesù, che così come in croce sollevato fra il cielo e la terra, e colle braccia allargate, abbraccia il Padre, abbraccia gli uomini, ed oh! così gli uomini per Gesù si trovano in braccio a Dio! Deh! Gettiamoci tutti piangenti appiè di Gesù Cristo col cuore che palpita troppo, e col pensiero smarrito in così immensa divina bontà. Ma che dice ancora il Sacerdote? Egli racconta che Gesù ha detto  per noi una tenerissima parola.

CAPITOLO IV.

HÆC QUOTIESCUMQUE Ecc. Ecc.

Orazione.

Dice Gesù ancora per bocca del sacerdote: « Ogni qualvolta compiretequesti misteri, ciò farete in memoria di me. »

Esposizione.

On! le tenerissime parole, che finiscono veramente di versare del tutto in Seno agli uomini il Cuore di Gesù. Adunque consumata la grand’opera della sua carità, e ridotto sull’altare in azione di vittima Sacrificata, egli pare che giri lo sguardo intorno e cerchi subito i figliuoli delle sue viscere, pei quali ha versato il Sangue in Sacrificio. Or bene anche noi qui vorremmo dare qualche sfogo alla piena dei nostri affetti. Eh già l’amore è audace interprete dei più secreti misteri, ed anche Gesù benedetto ci ha da perdonare, Se eziandio noi rapiti in santo amore vorremmo farci interpreti del suo Cuore, e col linguaggio di un’anima innamorata dire che anche Egli in quell’istante, in quell’eccesso di averci dato tutto Se Medesimo, non ne potendo più, abbia detto: « Là, là, farete sempre questo anche voi: vi do la facoltà e la parola mia da poter voi stessi trasmutare il pane ed il vino nel mio Corpo e nel mio Sangue! Così resterò sempre con voi. Sì figliuoli miei cari, che mi costate tanti dolori, fate sempre questo in memoria di me. » – Gesù è qui proprio col suo Corpo; proprio col suo Sangue; e benché sia vivo e glorioso in Persona sotto ciascuna delle due specie, però qui sull’altare presenta ora il suo Corpo come fosse solo sotto le specie del pane; ed il suo Sangue come fosse solo lì sotto le specie del vino per mettersi tra il Divin Padre e noi, come era là sul Calvario. Pare che ci dica: « Figliuoli miei, lasciate fare oltre, so ben Io quel che debbo fare per muover a compassione il Padre nostro e poi tutto ottenere per voi. Mi metterò davanti a Lui, come era sul Calvario! Là il mio Corpo morto pendeva dalla croce svenato tutto ammaccato e lacero di piaghe, ed il mio Sangue caldo era tutto sparso sotto sui sassi. Ora qui dunque voi, state dietro di me, parlerò Io per voi con parole piene di Sangue, e tratterò i vostri interessi col mio Cuore squarciato in seno a Lui: Steterim in conspectu Ejus : loquerer pro eis bona (Jer. 18). Poi mostrerete queste piaghe all’Eterno Padre; e qual grazia vi potrà negare, che buona sia per voi, quando gliela chiederete con questo pegno? » E a chi esitasse pel sentimento della propria indegnità, fa il più tenero e consolante rimprovero e prende anzi le difese del Padre suo. « Il Padre mio (Io. 16; Luc. 11.), torna a dir Egli, non vedete, quanto è buono con voi il Padre mio, che ha voluto fino dare per voi la vita del proprio Figliuol suo? Proprio filio suo non pepercit! E tutto questo per salvar voi, quando gli eravate ribelli e nemici; ora che non vorrà fare per voi, che gli siete figli del mio Sangue riconciliati? » Deh! rispondiamogli almeno col cuore: « O nostro buon Gesù, noi accettiamo l’invito; ed il comando vostro è la maggior nostra consolazione. » Deh! sclameremo con s. Giovanni Crisostomo, possiamo pensare, che Gesù Cristo ha sofferto per noi, senza che tale memoria non imprima fortemente nel nostro cuore il desiderio di diventar migliori ? (Hom. 27).

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (2) “Da Clemente I al Concilio di Nicea”.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (2)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

PARTE SECONDA

DOCUMENTI DEL MAGISTERO DELLA CHIESA (101-3997)

Da S. Clemente I al Concilio di Nicea

PIETRO: 30? – 67?

LINO: 67 – 76 (79?)

ANACLETO: 76 (80?) – 90 (88?)

CLEMENTE I ROMANO: 92 (88?)-101 (97?)

Lettera ai Corinzi, c. 96.

(lettera causata da disordini nella comunità; i presbiteri erano stati ingiustamente privati del loro ministero)

Ordine tra i membri della Chiesa

101 – (cap. 40, n. 1)… dopo aver scrutato le profondità della conoscenza divina, dobbiamo fare con ordine ciò che il Maestro ha ordinato di fare secondo i tempi stabiliti. (2) Egli ha ordinato che le offerte e le funzioni liturgiche non si svolgano a caso o senza ordine, ma in tempi e momenti prestabiliti; (3) dove e da chi vuole che si svolgano, lo ha stabilito Lui stesso con la sua sovrana decisione, affinché tutto si compia in santità secondo il suo beneplacito e sia gradito alla sua volontà. (4) Perciò coloro che offrono le loro offerte nei tempi stabiliti sono approvati e felici, perché seguendo i precetti del Maestro non sbagliano. (5) Infatti al sommo Sacerdote sono stati assegnati compiti speciali, ai leviti sono stati imposti servizi speciali. Chi è laico è tenuto a rispettare i precetti propri dei laici. (Cap. 41, n.1) Ognuno di noi, fratelli, si compiaccia (renda grazie) a Dio “nel suo grado particolare”. (1Co XV, 23) secondo una coscienza retta, con dignità, senza violare le regole stabilite per il suo ufficio… (Cap. 42, n. 1) Gli Apostoli ricevettero la buona novella per noi attraverso il Signore Gesù Cristo; Gesù, il Cristo, fu mandato da Dio. (2) Perciò Cristo è da Dio, gli Apostoli sono da Cristo; entrambe le cose uscirono in buon ordine dalla volontà di Dio. (3) Furono istruiti e, pieni di certezza dalla risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, rafforzati dalla Parola di Dio, con la piena certezza dello Spirito Santo, andarono a predicare la buona novella che il Regno di Dio stava arrivando. (4) Predicarono nelle campagne e nelle città e stabilirono le primizie, mettendole alla prova con lo Spirito, per farne gli episcopali e i diaconi dei futuri credenti.

L’autorità della Sede romana

102 – (Cap. 7, n.1) Per avvertirvi, vi scriviamo… (Cap. 58, n.2) Accogliete le nostre raccomandazioni e non vi pentirete. (Cap. 59, n.1) Ma se alcuni disobbediscono a ciò che abbiamo detto loro a nome suo (di Cristo), sappiano che si stanno impegnando in una colpa e in notevoli pericoli. (2) Quanto a noi, saremo innocenti da questo peccato. (Cap. 63, n. 2) Ci procurerete davvero gioia e letizia se obbedirete a quanto vi abbiamo scritto per mezzo dello Spirito Santo, se metterete fine all’ira colpevole che la gelosia vi ispira, secondo l’invito alla pace e alla concordia che vi rivolgiamo in questa lettera.

EVARISTO: 101 (97?) – 105?

ALESSANDRO I: 105 (107?) – 115 (116?)

SISTO I : 115 (116s) – 125?

TELESFORO: 125? – 136?

IGINO: 136? – 140?

PIO I: 140? – 155?

ANICETO : 155? – 166

SOTERO : 166? – 174 (175?)

ELEUTERIO : 174 (175?) – 189?

VITTORIO I : 189 – 198 (199?)

S. ZEFIRINO: 198 (199?)-217

Dichiarazioni dogmatiche di S. Zefirino e S. Callisto.

Il Verbo fatto carne (autenticità dubbia)

105 – Ma egli (Callisto) portò lo stesso Zefirino ad affermare pubblicamente: “Conosco un solo Dio, Cristo Gesù, e all’infuori di Lui nessun altro è stato generato e ha sofferto”. Ma dicendo poi: “Non è il Padre che è morto, ma il Figlio”, egli (Callisto) mantenne la disputa tra il popolo per un tempo indefinito.

URBANO I: 222 ? – 230

PONZIANO: luglio agosto 230 – 28 settembre 235

ANTERO: 21 (22?) novembre 235 – 3 Gennaio 236

FABIANO: 10 gennaio 236 – 20 gennaio 250

CORNELIO: marzo 251 – giugno (settembre ?) 253

Lettera. “Quantam sollicitudinem”. al Vescovo Cipriano di Cartagine, 251.

108 – “Sappiamo… che Cornelio sia stato eletto Vescovo della santissima Chiesa cattolica da Dio onnipotente e da Cristo nostro Signore; confessiamo il nostro errore; siamo stati vittime di una frode; siamo stati ingannati dalla perfidia e dalle chiacchiere ingannevoli. Infatti, anche se sembrava che fossimo in una certa comunione con un uomo scismatico ed eretico, il nostro cuore era sempre nella Chiesa; perché non ignoriamo che c’è un solo Dio, un solo Cristo Signore che abbiamo confessato, un solo Spirito Santo, e che ci deve essere un solo Vescovo nella Chiesa cattolica.

Lettera (di Cornelio) al Vescovo Fabiano di Antiochia, 251.

Ministeri e Stati nella Chiesa.

109 – Il vendicatore del Vangelo (Novaziano) non sapeva che in una Chiesa cattolica ci deve essere un solo Vescovo? In questa, non l’ha ignorata – come avrebbe potuto – ci sono quarantasei presbiteri, sette diaconi, sette suddiaconi, quarantadue accoliti, cinquantadue esorcisti, lettori e ostiari, più di millecinquecento vedove e poveri, tutti nutriti dalla grazia e dalla benignità del Maestro.

S. LUCIO: 25 (26?) giugno 253 – 5 marzo 254

STEFANO I: 12 (28?) maggio 254 – 2 agosto 257

Lettera (frammento) a Cipriano di Cartagine. a. 256.

Battesimo degli eretici

110 – (cap. 1)… “Se poi c’è qualcuno che viene da voi da qualche eresia, non innovate nulla se non secondo ciò che è stato tramandato, imponete loro le mani per la penitenza, poiché gli stessi eretici, quando uno dei loro viene in un altro gruppo, non battezzano, ma semplicemente lo ammettono alla loro comunione. “(Queste parole di Papa Stefano, Cipriano le respinge e continua:) (Cap. 2) (Stefano) proibì il battesimo nella Chiesa di chiunque provenisse da una qualsiasi eresia, cioè ritiene genuini e legittimi tutti i battesimi degli eretici.

Lettera (frammento) ai vescovi dell’Asia Minore, 256.

Battesimo degli eretici.

111 – (Cap. 18) “Ma… il nome di Cristo ha una grande efficacia per la fede e per la santificazione mediante il battesimo, in modo che chiunque, e ovunque, sia stato battezzato nel nome di Cristo, riceve immediatamente la grazia di Cristo”. “(Firmiliano scrive nella stessa lettera quanto segue a proposito della decisione di Stefano I:) (Cap. 5)… Stefano disse questo, come se gli Apostoli avessero proibito il battesimo a coloro che provenivano dall’eresia, e lo avessero trasmesso per essere mantenuto da coloro che avrebbero seguito… (Cap. 8)… Stefano e coloro che condividono il suo pensiero sostengono che la remissione dei peccati e la seconda nascita possono avvenire nel battesimo degli eretici nei quali, come loro si confessano, lo Spirito Santo non è… (Cap. 9)… pensano che non sia necessario chiedere chi sia che ha battezzato, perché chi è stato battezzato ha potuto ricevere la grazia attraverso l’invocazione della Trinità dei nomi del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo… Dicono che chi sia stato battezzato fuori può ottenere la grazia del battesimo con la sua disposizione d’animo e con la sua fede. (Cap. 17)… Stefano, che si vanta di detenere la cattedra di Pietro per successione, non è animato da alcuno zelo contro gli eretici, poiché concede loro un potere di grazia non piccolo ma grande, tanto da dire e assicurare che con il sacramento del battesimo essi cancellano le macchie dell’uomo vecchio, che perdona i vecchi peccati di morte, che rende figli di Dio mediante la rigenerazione celeste e che rinnova mediante la santificazione del bagno divino per la vita eterna.

SISTO II: 30 agosto 257 – 6 agosto 258

DIONISIO: 22 luglio 259 (260?)-27 (26?)

Dicembre 268

Lettera (frammento) ad Dionysium, Vescovo di Alessandria, 262.

Trinità e incarnazione

112 – (Cap. 1) Devo poi rivolgermi a coloro che dividono, separano e distruggono la monarchia, il più venerabile insegnamento della Chiesa di Dio, in tre poteri e ipostasi separati e in tre divinità. Ho sentito infatti che alcuni che predicano e insegnano la Parola divina tra voi professano questa opinione. Sono diametralmente opposti, direi, al pensiero di Sabellius. Bestemmia (egli) quando dice che il Figlio è il Padre e viceversa. Predicano, per così dire, tre dèi, dividendo la Santa Unità in tre ipostasi, estranee tra loro e totalmente separate. È necessario, infatti, che il Verbo divino sia unito al Dio dell’universo, ed è necessario che lo Spirito Santo abiti in Dio; è necessario, inoltre, che la Trinità divina sia ricapitolata e ridotta ad uno, come ad un vertice, cioè al Dio onnipotente dell’universo. La dottrina dello stolto Marcione, che taglia e divide la monarchia in tre principii, è un insegnamento diabolico, e non è quello dei veri discepoli di Cristo, né di coloro che si compiacciono degli insegnamenti del Salvatore. Perché questi sanno bene che la Trinità è stata predicata nelle Scritture divine, ma che né l’Antico Testamento né il Nuovo predicano tre dèi.

113 – (Cap. 2) Non meno biasimevoli saranno coloro che ritengono che il Figlio sia una creatura e pensano che il Signore sia stato fatto come una delle cose fatte, mentre le parole divine attestano una sua generazione adeguata e appropriata, ma non una fabbricazione e una creazione. Non è quindi una bestemmia qualsiasi, ma la più grande, dire che il Signore è in qualche modo una cosa fatta. Infatti, se il Figlio è diventato (tale), allora c’è stato un tempo in cui non era; ma è da sempre se è nel Padre, come dice Lui stesso (Gv XIV: 10 s.), se Cristo è il Verbo, la Sapienza e la Potenza – perché questo è Cristo, dice la Sacra Scrittura (Gv 1:14 – 1Co 1:24), come sapete; e queste sono le potenze di Dio. Se dunque il Figlio è stato creato, c’è stato un tempo in cui non c’era; e c’è stato un tempo in cui Dio ne era privo; il che è assolutamente insensato.

114 E devo soffermarmi ancora su questo argomento davanti a voi, davanti a uomini pieni di Spirito, che conoscono bene le incongruenze che sorgono quando si dice che il Figlio è una creatura? Coloro che promuovono questa opinione non mi sembra che li abbiano avuti in mente, e quindi hanno mancato del tutto la verità, dal momento che questo passo: “Il Signore mi ha creato come principio delle sue vie”, [Pr VIII, 22] (LXX.): lo hanno inteso diversamente da come lo intende la Scrittura divina e profetica. Perché non c’è, come sapete, un solo significato di “creò”. Infatti, “creò” va inteso nel senso di “pose sopra le opere fatte da lui”, ma fatte dal Figlio stesso. Ma “creò” non è detto qui nel senso di “fece”. C’è una differenza tra “creare” e “fare”. Questo tuo padre non ti ha forse acquistato, creato e realizzato? [Deut XXXII, 6] (LXX.) dice Mosè nel grande inno del Deuteronomio. A questi qualcuno potrebbe anche dire: O uomini stolti, è qualcosa di fatto, “il primogenito di tutta la creazione” (Col 1,15) “colui che è nato dal grembo prima della stella del mattino” [Sal. 1o9,3] (LXX.), colui che ha detto, come la Sapienza, “prima di tutti i monti mi ha generato”, [Pr. VIII, 25] (LXX.)? Si possono trovare anche molti passaggi di parole divine in cui si dice che il Figlio è stato generato, ma non che sia stato fatto. Per questi motivi, chi osa leggere che la sua divina e ineffabile generazione sia una creazione, è chiaramente convinto di dire falsità sulla generazione del Signore.

115 – (Cap. 3) Pertanto, l’unità mirabile e divina non deve essere divisa in tre divinità, né la dignità e la grandezza sovrana di Dio devono essere minate parlando di “fare”, ma si deve credere in Dio Padre Onnipotente e nel suo Figlio Gesù Cristo e nello Spirito Santo: il Verbo è unito al Dio dell’universo. Egli dice infatti: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv X, 30) e “Io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv XIV, 10). È così che la Trinità divina e la santa predicazione della monarchia saranno salvaguardate.

FELICE I: 5 (3?) 269 gennaio – Dic. 274

EUTICHIANO: 4 (3 ?) gennaio 275 – 8 (7 ?)

Dicembre 283

CAIO: 17 (16?) dicembre 283 – 22 aprile 295 (296?)

MARCELLINO: 30 giugno 295 (296 ?) – 25 ottobre (15 gennaio ?) 3

Concilio di Elvira (Spagna), 300-303

Indissolubilità del matrimonio

117 – Can. 9. Allo stesso modo una donna credente, che abbia lasciato il marito credente adultero e ne abbia sposato un altro, le è proibito sposarlo; se tuttavia lo sposa, non riceverà la comunione finché colui che ha abbandonato non abbia prima lasciato il mondo; a meno che forse la costrizione della malattia non la spinga a darla.

Il celibato clericale

118 – Can. 27. Un Vescovo, così come qualsiasi altro chierico, potrà avere con sé solo la propria sorella o figlia se consacrata a Dio; è stato deciso che in nessun modo potrà avere con sé un estraneo.

119 – Can. 33. Si è deciso di imporre ai Vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, come pure ai chierici che esercitano il ministero, la seguente proibizione assoluta: si astengano dalle loro mogli e non generino figli; chi lo farà sarà espulso dal rango di chierico.

Battesimo e Cresima

120 – Can. 38. Quando si naviga lontano o se non c’è una chiesa nelle vicinanze, un fedele che ha mantenuto intatto il suo battesimo e non è bigamo, può battezzare un catecumeno che è sotto la costrizione della malattia, ma in modo tale che, se sopravvive, può portarlo al Vescovo perché sia perfezionato con l’imposizione delle mani.

121 – Can. 77. Se un diacono che guida il popolo ha battezzato alcuni di loro senza il Vescovo o il presbitero, il Vescovo li perfezionerà con la benedizione; ma se hanno lasciato il mondo prima di questo, qualcuno può essere giusto in virtù della fede con cui ha creduto.

MARCELLO I: maggio-giugno 308 (307?)-16 Gennaio 309 (308?)

EUSEBIO: 18 aprile 309 (310?) – 17 agosto

309 (310 ?)

MILZIADE (MELCHIADE): 2 giugno 310 (311)? – 11 gennaio 314

SILVESTERO I: 31 gennaio 314 – 31 Dicembre 335

1° Concilio ARELATENSE (Arles) iniziato il 1° agosto 314.

Battesimo degli eretici

123 – Can. 9 (8). Per quanto riguarda gli africani che praticano una regola propria, quella del ribattesimo, è stato deciso che se qualcuno viene dall’eresia alla Chiesa, deve essere interrogato sul simbolo, e se si vede con certezza che sia stato battezzato nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, solo le mani devono essere imposte su di lui per ricevere lo Spirito Santo. Ma se, interrogato, non risponde proclamando questa Trinità, viene ribattezzato.

1° Concilio di NICEA (1° ecumenico)

19 giugno-25 agosto 325

125-126 Professione di fede nicena, 19 giugno 325.

125Versione greca Noi crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, creatore di tutti gli esseri visibili e invisibili, e in un solo Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, generato dal Padre, unigenito, cioè della sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra, che per noi è sceso e si è incarnato, si è fatto uomo, ha sofferto ed è risorto il terzo giorno, è salito al cielo e verrà a giudicare i vivi e i morti, e nello Spirito Santo.

Versione latina Crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili. E nel nostro unico Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, nato dal Padre, unigenito, cioè della sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, nato, non creato, di una sola sostanza con il Padre (che in greco si chiama homoousios), per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, sia in cielo che in terra, il quale per la nostra salvezza È sceso e si è incarnato, si è fatto uomo, ha sofferto ed è risorto il terzo giorno, è salito al cielo e verrà a giudicare i vivi e i morti. E nello Spirito Santo.

126Versione greca – Coloro che dicono: “C’era un tempo in cui non era” e “Prima di essere generato non era” e “È diventato da ciò che non era” o da un’altra ipostasi o sostanza, o che affermano che il Figlio di Dio è creato o suscettibile di cambiamento o alterazione, questi la Chiesa cattolica e apostolica anatemizza.

Versione latina – Coloro che dicono: “C’era un tempo in cui non era” e “Prima di nascere non era” e “È diventato da ciò che non era”, o che dicono che Dio è di un’altra sostanza o essenza o che è suscettibile di cambiamento o alterazione, questi la Chiesa cattolica e apostolica anatemizza.

127-129 Canoni.

Battesimo degli eretici

127 – Riguardo a coloro che si definiscono puri (Catharos), ma che vorrebbero entrare insieme nella Chiesa cattolica e apostolica, è parso bene al grande e santo Concilio che si impongano loro le mani e che restino così nel clero; ma prima di tutto promettano per iscritto di conformarsi ai decreti della Chiesa cattolica e di seguirli, cioè di mantenere la comunione con coloro che si sono sposati la seconda volta nella loro vita e con coloro che hanno fallito nella persecuzione… (testo aggiuntivo di NICEA assente da DENZINGER) … ma che fanno penitenza per le loro colpe. Saranno quindi obbligati a seguire in tutto e per tutto l’insegnamento della Chiesa cattolica. Pertanto, quando nei villaggi o nelle città ci sono solo chierici del loro partito, essi devono rimanere nel clero e nel loro ufficio; Ma se tra loro si trovasse un Sacerdote o un Vescovo cattolico, è ovvio che il Vescovo della Chiesa cattolica deve conservare la dignità episcopale, mentre colui che è stato decorato con il titolo di vescovo dai catari avrà diritto solo agli onori riservati ai Sacerdoti, a meno che il Vescovo non ritenga opportuno fargli godere l’onore del titolo (episcopale). Se non vuole farlo, gli dia un posto come Vescovo corale o Sacerdote, in modo che appaia come un vero membro del clero e che non ci siano due Vescovi in una città.

9. Se alcuni sono stati elevati al sacerdozio senza indagine, o se nel corso dell’indagine hanno confessato i loro crimini, l’imposizione delle mani, contrariamente a quanto comanda il canone, non è ammessa, perché la Chiesa cattolica vuole uomini di reputazione integra. 10. I “lapsis” che sono stati ordinati, sia perché coloro che li hanno ordinati non sapevano della loro caduta, sia perché la sapevano, non fanno eccezione alle leggi della Chiesa; saranno esclusi non appena l’illegalità sarà nota. 11. Quanto a coloro che hanno esitato durante la persecuzione di Licinio, senza esservi stati costretti dalla necessità, dalla confisca dei beni o da qualsiasi altro pericolo, il Concilio decide che siano trattati con dolcezza, anche se in verità non se ne sono mostrati degni. Coloro che sono veramente pentiti e sono già stati battezzati devono fare penitenza per tre anni con gli “audientes” e sette anni con i “substrati”; nei due anni successivi possono frequentare con gli “audientes” i “substrati”, il popolo al Sacrificio sacro, ma senza partecipare all’offerta. 12. Coloro che, chiamati dalla grazia, hanno prima proclamato la loro fede, abbandonando la cintura, ma poi, come cani che ritornano al loro vomito, arrivano a dare denaro e regali per essere reintegrati nel servizio pubblico, questi devono rimanere tre anni tra gli “audientes” e dieci anni tra i “substrati“. Ma per questi penitenti bisogna fare attenzione a studiare i loro sentimenti e il loro tipo di contrizione. Infatti, coloro che con timore, lacrime, pazienza e opere buone dimostrano con i fatti la sincerità di un vero ritorno, dopo aver completato il tempo della loro penitenza tra gli “audientes”, possono essere ammessi con coloro che pregano, e dipende anche dal Vescovo trattarli con un’indulgenza ancora maggiore. Quanto a coloro che sopportano con indifferenza (la loro esclusione dalla Chiesa) e pensano che questa penitenza sia sufficiente a espiare le loro colpe, saranno tenuti a fare tutto il tempo prescritto.

128 – 19. Per quanto riguarda i paulisti che successivamente si ritirano nella Chiesa cattolica, si è deciso di ribattezzarli in ogni caso. Nel caso in cui alcuni di loro siano stati in precedenza membri del clero, se appaiono irreprensibili e al di sopra di ogni sospetto, siano ordinati, una volta ribattezzati, dal Vescovo della Chiesa cattolica. 20. Poiché alcuni si inginocchiano la domenica e il giorno di Pentecoste, il Santo Concilio ha deciso che, per osservare una regola uniforme, tutti debbano rivolgere le loro preghiere a Dio in piedi.

128 – Castrazione

1. Se qualcuno si è sottoposto a un’operazione medica, che rimanga nel clero; ma se qualcuno si è castrato mentre era in buona salute, è giusto che cessi di essere classificato come ecclesiastico e che in futuro non venga ammesso nessuno che lo abbia fatto. Ma come ciò che è stato appena detto riguarda ovviamente solo coloro che lo fanno deliberatamente e osano castrarsi, così se alcuni sono stati resi eunuchi dai barbari o dai loro padroni e si trovano altrimenti degni, la norma ecclesiastica li ammette al clero. 2. Così, a uomini che erano appena passati dalla vita pagana alla fede, e che erano stati istruiti solo per poco tempo, veniva concesso il bagno spirituale e, con il battesimo, la dignità di Vescovo o sacerdote; È giusto che in futuro questo non venga fatto, perché il catecumeno ha bisogno di tempo (per il battesimo) e dopo il battesimo di un processo più lungo (per gli ordini). È saggio che l’Apostolo dica in 1 Tm III, 6 che il Vescovo non debba essere un neofita, per evitare che per orgoglio cada nel giudizio e nella trappola del diavolo. Se in seguito un chierico commette un reato grave, testimoniato da due o tre testimoni, deve cessare di essere un ecclesiastico. Chi agisce contro questa ordinanza ed è disobbediente a questo grande Concilio rischia di perdere il suo ufficio clericale.

3. Il grande Concilio proibisce assolutamente ai Vescovi, ai Sacerdoti, ai diaconi, in una parola a tutti i membri del clero di avere (con sé) una persona non del proprio sesso, a meno che non si tratti di una madre, di una sorella, di una zia, o delle sole persone che sfuggono ad ogni sospetto. 4. Il Vescovo deve essere stabilito da tutti i Vescovi dell’eparchia (provincia); se l’urgenza o la lunghezza del percorso lo impediscono, almeno tre Vescovi si riuniscono e procedono alla cheirotonia (incoronazione), purché abbiano il permesso scritto degli assenti. La conferma di ciò che è stato fatto spetta di diritto in ogni eparchia al metropolita. 5. Per gli scomunicati, siano essi chierici o laici, la sentenza emessa dai Vescovi di ciascuna provincia avrà valore di legge, secondo la regola per cui chi è stato scomunicato da uno non deve essere ammesso dagli altri. Bisogna però accertare che il Vescovo non abbia emesso questa sentenza di scomunica per ristrettezza di vedute, per spirito di contraddizione o per qualche sentimento di odio. Affinché questo esame abbia luogo, è sembrato bene ordinare che in ogni provincia si tenga due volte l’anno un concilio composto da tutti i Vescovi della provincia; essi faranno tutte le indagini necessarie affinché ciascuno possa constatare che la sentenza di scomunica sia stata giustamente inflitta per una provata disobbedienza e finché non piacerà all’assemblea dei Vescovi ammorbidire questo giudizio. Questi concili devono essere tenuti, il primo prima della Quaresima, affinché, eliminato ogni sentimento di bassezza, si possa presentare a Dio un’offerta gradita; il secondo in autunno.

Viatico per i moribondi

129 – 13. Per quanto riguarda coloro che completano il loro viaggio quaggiù, si osservi anche ora la legge antica e canonica, in modo che colui che completa il suo viaggio non sia privato dell’ultimo e più necessario viatico, Se, in uno stato disperato, ottiene la comunione con la Chiesa e partecipa all’offerta, e poi è di nuovo annoverato tra i vivi, starà tra coloro che hanno la sola preghiera di comunione. In generale, per qualsiasi moribondo che chieda di partecipare all’Eucaristia, il Vescovo, dopo la verifica, gli dia una parte (dell’offerta). 14. Il Santo e Grande Concilio ordina che i catecumeni che non hanno adempiuto ai loro doveri siano solo “audientes” per tre anni; poi possono pregare con gli altri catecumeni. 15. I numerosi disordini e le divisioni hanno reso opportuno abolire l’usanza che, contrariamente alla regola, si è affermata in alcuni Paesi, cioè quella di vietare a Vescovi, sacerdoti e diaconi di passare da una città all’altra. Se qualcuno osasse agire contro l’attuale ordinanza e seguire la precedente pratica errata, il trasferimento sarebbe nullo e dovrebbe tornare alla Chiesa per la quale è stato ordinato Vescovo o sacerdote. 16. I sacerdoti, i diaconi o in generale i chierici che, per sconsideratezza e non avendo più il timore di Dio davanti agli occhi, abbandonano la propria Chiesa in spregio alle leggi ecclesiastiche, non devono in alcun modo essere accolti in un’altra; devono essere costretti in tutti i modi a tornare nella loro diocesi e, se si rifiutano di farlo, devono essere scomunicati. Se qualcuno osa, per così dire, rubare un soggetto appartenente a un altro (Vescovo) e osa ordinare quel chierico per la propria Chiesa senza il permesso del Vescovo a cui quel chierico appartiene, l’ordinazione sarà nulla. 17. Come molti chierici, pieni di avarizia e di spirito di usura e dimentichi della parola sacra: “Il santo e grande Concilio decide che se qualcuno, dopo la pubblicazione di questa ordinanza, prende interessi per qualsiasi motivo, o fa questa attività di usura in qualsiasi altro modo, o se pretende la metà e più, o se indulge in qualsiasi altro modo di guadagno scandaloso, tale persona debba essere espulsa dal clero e il suo nome cancellato dalla lista. 18. Il grande e santo Concilio è venuto a conoscenza del fatto che in alcuni luoghi e in alcune città i diaconi distribuiscono l’Eucaristia ai sacerdoti, sebbene sia contrario ai canoni e alla consuetudine che il Corpo di Cristo venga distribuito a coloro che offrono il Sacrificio da coloro che non possono offrirlo; il Concilio ha anche appreso che alcuni diaconi ricevono l’Eucaristia anche prima dei Vescovi. Tutto questo deve cessare; i diaconi devono mantenersi nei limiti delle loro attribuzioni, ricordando che sono servi dei Vescovi e vengono solo dopo i sacerdoti. Devono ricevere la comunione solo dopo i sacerdoti, come richiede l’ordine, sia che si tratti di un Vescovo o di un sacerdote che la distribuisce loro. I diaconi non devono nemmeno sedere tra i sacerdoti, perché ciò è contrario alla regola e all’ordine. Se qualcuno rifiuta di obbedire a queste prescrizioni, sarà sospeso dal diaconato.

Lettera sinodale agli Egiziani

L’eresia di Ario

130 –(Cap. 1, n. 2) Prima di ogni altra cosa, furono esaminate l’empietà e l’iniquità di Ario e dei suoi seguaci, e fu unanimemente ritenuto opportuno colpire con un anatema la sua empia opinione, le parole e le espressioni blasfeme con cui bestemmiava il Figlio di Dio, dicendo che “è venuto dal nulla”, che “prima di essere generato non era”, che “c’era un tempo in cui non era”, e dicendo che il Figlio di Dio era di sua spontanea volontà capace di male come di virtù, e chiamandolo uno e creato e un essere fatto. Tutto questo il santo Concilio lo colpì con un anatema, non potendo sopportare nemmeno di sentire l’enormità di questa opinione empia, di questa follia e di queste parole di bestemmia.

Altri canoni del 1° Concilio di Nicea

(questi testi non compaiono in DENZINGER)

131 – 6. Che si mantenga l’antica consuetudine in uso in Egitto, Libia e Pentapoli, cioè che il vescovo di Alessandria mantenga la giurisdizione su tutte (queste province), perché c’è lo stesso rapporto che per il vescovo di Roma. Anche le Chiese di Antiochia e le altre eparchie (province) devono essere conservate nei loro antichi diritti. È abbastanza evidente che se qualcuno è diventato vescovo senza l’approvazione del metropolita, il Concilio gli ordina di rinunciare all’episcopato. Ma poiché l’elezione è stata fatta da tutti con discernimento e in modo conforme alle regole della Chiesa, se due o tre si oppongono per pura contraddizione, la maggioranza prevarrà. 7. Poiché la consuetudine e l’antica tradizione impongono di onorare il vescovo di Aelia, si dia a lui la precedenza nell’onore, senza pregiudicare la dignità che spetta alla metropoli.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (3) “Da S. Marco I a S. Damaso”.

TU SEI PIETRO (I)

Monsignor Tihamér Tóth

VESCOVO DI VESZPRÉM

“TU SEI PIETRO” STORIA E ATTUALITÀ DEL PONTEFICE ROMANO (I) 1956

CENSURA ECLESIASTICA

Nihil obstat:

Dr. Vicente SerranO Censore

IMPRIMATUR:

† JOSE MARIA. Ob. Ausiliario e Vicario Generale Madrid, 2 marzo 1956

(Pubblichiamo questo libretto per far meglio comprendere ai nostri lettori, al pusillus grex cattolico e ad eventuali curiosi vaganti in cerca di verità, le qualità e le caratteristiche essenziali di un Pontefice Romano, il Papa, onde capire bene la realtà odierna in cui spiccano personaggi di primo piano mediatico che si spacciano per autorità usurpandone i ruoli, e mostrando, come il lupo di Cappuccetto rosso, zanne, occhi, coda e bocca non confacenti a ciò che vorrebbero apparire. Ai lettori il giudizio, in base agli enunciati della vera fede cattolica divina. – Ndr. -)

ANNUNCIO EDITORIALE

In risposta ai desideri di un appassionato lettore delle Opere di monsignor Tóth, pubblichiamo in questo libro i capitoli IX-XIII che in CREDO NELLA CHIESA dedica il Monsignore allo studio del Papato.

INDICE

CAPITOLO PRIMO…………………………………………………………………………………………..

“TU SEI PIETRO”………………………………………………………………………………………..

CAPITOLO II…………………………………………………………………………………………………..

L’INFALLIBILITÀ DEL PAPA…………………………………………………………………..

CAPITOLO III………………………………………………………………………………………………….

LA CORONA DI SPINE DEL PAPA…………………………………………………………

CAPITOLO IV………………………………………………………………………………………………….

IL PAPA NELLA BILANCIA DELLA STORIA……………………………………….

Capitolo primo

“TU SEI PIETRO

La nostra Chiesa non è solo “cattolica”, ma anche “cattolica romana”, cioè di Roma, dove risiede la testa visibile della Chiesa.

Non voglio disquisire, rivolgendomi ai lettori Cattolici, su ciò che il Papa significhi per la Chiesa. Il Papato significa per la Chiesa Cattolica, la sicurezza della forza, l’unità e il fermo orientamento che le che le comunica.

Anche coloro che non sono d’accordo con la nostra Religione, per il fatto che siano uomini istruiti e che raccontano la storia con imparzialità, sono obbligati a riconoscere in questo trono incomparabile, che ha già diciannove secoli di esistenza, il fatto più imponente della storia universale. È un fatto unico. Esiste in mezzo ai popoli fin dai tempi di Nerone, un trono che si erge con una fermezza inespugnabile, mentre il furore dei tempi e delle rivoluzioni ha fatto nascere e rovesciare popoli e dinastie.

La nostra Chiesa non si chiama semplicemente “Cattolica”, ma “Cattolica romana”, cioè di Roma, dove risiede il capo visibile della Chiesa. Non intendo dissertare, rivolgendomi ai lettori Cattolici, su ciò che il Papato significhi per la Chiesa Cattolica, la sicurezza della forza, la sicurezza del potere, l’unità ed il fermo orientamento che le dà.

Il Papato ha sempre rappresentato una concezione del mondo che suscita le contraddizioni dei malvagi e ne esaspera gli attacchi, eppure il Papato è ancora in piedi. Il Papato non si è mai placato, non si è mai arreso, non ha mai ceduto nei suoi principii; non ha mai ammesso compromessi; eppure resta ancora in piedi. È in piedi perché il suo fondatore non era un puro uomo, ma il Figlio di Dio, ed ha fissato per il Papato degli obiettivi per i quali deve sussistere finché ci sarà un uomo sulla terra.

I. Cristo è stato davvero il fondatore del Papato? II. A quale scopo l’ha fondato? Queste sono le due questioni che ci proponiamo di risolvere in questo capitolo. Perché solo dopo aver risposto a queste domande saremo in grado di capire: III. Il grande rispetto che noi Cattolici professiomo al Papato..

I – Cristo ha fondato il Papato.

Secondo i piani di Gesù Cristo, la Chiesa doveva essere una “città costruita su un monte” (Mt V,14); quindi, doveva essere una società visibile agli occhi di tutti…, e una Chiesa visibile ha bisogno di un capo visibile. Quindi è impossibile immaginare la Chiesa di Cristo senza l’autorità papale.

A) Gesù Cristo la accenna già nella pesca di Gennesaret; B) la promette a Pietro in occasione della confessione della confessione di Cesarea, e C) la dà allo stesso Apostolo dopo la Risurrezione.

A) Il Signore ha alluso all’autorità papale già in occasione della pesca di Gennesaret.

Nel capitolo V del suo Vangelo, Luca descrive la straordinaria animazione e la sublime conversazione straordinariamente animata e sublime tra Gesù Cristo e San Pietro. È l’alba. Il Signore è sulla riva del lago di Gennesaret. Dopo di Lui, il popolo che lo seguiva, ansioso di ascoltare la sua voce. Proprio Pietro e i suoi compagni, gli altri pescatori, scendono dalla barca, che stavano andando a lavare le reti. Cristo sale sulla barca di Pietro e dalla barca inizia a predicare. Quando ha finito di predicare, dice a Pietro: “Prendi il largo e cala le tue reti per la pesca.” (Lc V, 4). Simon Pietro fu sorpreso da questo comando. È un esperto in materia: è un pescatore da molti anni; tutta la sua famiglia e tutti i suoi parenti sono pescatori: non aveva mai sentito parlare di una cosa del genere: andare a pescare di giorno, e precisamente in mare! Certo, il Signore non è nato in questa regione, sulle rive del lago, ma nell’entroterra, a Betlemme; non è strano che non sappia queste cose. Ma il Signore lo ordina. Deve essere fatto. Egli sa cosa vuole. “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; Tuttavia, alla tua parola, getterò la rete” (Lc V, 5). E Pietro cala le reti. E vengono presi così tanti pesci che la rete comincia a rompersi. Vengono catturati così tanti pesci che si deve chiamare un’altra barca per aiutarli. Vengono catturati così tanti pesci che le due barche si riempiono fino a traboccare e quasi affondano. Pietro trema. Si prostrò davanti al Signore. “Oh, mio Signore! Come ho potuto dubitare anche solo per un momento? Ho esitato, ho dubitato, non ho capito, non ho creduto. Non sono degno di essere la guida del tuo gregge. Allontanati da me, Signore. Sono un semplice, debole, pescatore. Tu hai bisogno di un eroe”. – Sulle acque del lago silenzioso gli echi della confessione emotiva di Pietro: nel silenzio la sentono anche gli altri pescatori. Il Signore si alza in piedi, lo guarda negli occhi con uno sguardo profondo e gli dice: “Ebbene, io voglio te. Ti ho messo al timone; ti ho mandato in mare aperto per farti sentire la tua mancanza di sicurezza, la tua stessa debolezza, e sappi di chi fidarvi, a chi chiedere aiuto quando dovrete fare la grande pesca degli uomini. Guardatevi intorno. Vedete quanti pescatori lavorano su questo lago? Sapete quanti pescatori lavorano sul mare? I pescatori lavorano nel mare e in tutti i mari del mondo! Ma Io ti consacro come pescatore sempre in azione nel corso dei secoli. No, non devi temere: d’ora in poi saranno gli uomini che pescherai. (Gv V, 10), non con le tue forze, ma con la mia virtù, che tie li affido”. – Vedete il primo fondamento di questa istituzione, la più ammirevole della storia universale.

B) Ciò che il Signore ha accennato in questa occasione, lo ha promesso a Pietro con le parole più chiare dopo la confessione di Cesarea.

Conosciamo tutti la magnifica scena che il Vangelo ci racconta. Nei pressi di Cesarea, il Signore chiese ai suoi discepoli come venisse Egli considerato. I discepoli espressero i sentimenti del popolo. Alcuni Giudei credevano che Gesù fosse Giovanni Battista risorto dai morti; altri credevano che fosse Elia, atteso prima dell’avvento del Messia, o di Geremia, o di qualsiasi altro profeta. Allora Gesù Cristo pose questa domanda: “E voi chi dite che io sia? Voi che conoscete tutte le mie parole, tutte le mie opere!”. A questa domanda gli Apostoli tacciono. È Pietro che prende la parola per tutti: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Fu allora che Gesù Cristo pronunciò le parole che valgono per ogni tempo. “Beato sei tu, Simone Bar-Jona, perché la carne e il sangue non ti hanno rivelato questo. Non te lo ha rivelato la carne e il sangue, ma il Padre mio che è nei cieli. E Io ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. E a te darò le chiavi del regno dei cieli; e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato anche nei cieli” (Mt XVI,17-19). Il Signore avrebbe potuto dirlo più chiaramente? Egli paragona la sua Chiesa ad un edificio e ne fa di Pietro la pietra di fondazione. Il vero nome di Pietro era Simone, e il suo nome simbolico, Pietro, che significa “pietra”, “roccia”, gli fu dato dal Signore quando lo incontrò per la prima volta. Il Signore glielo diede quando lo incontrò per la prima volta (Gv 1,42). È Pietro che riceve le chiavi dell’edificio, il che equivale a dire che gli viene conferito il pieno potere di governo, in modo che possa aprire o chiudere le porte stesse del cielo, secondo i meriti degli uomini. “Legare e sciogliere”, nella fraseologia ebraica, significa proibire, condannare ed assolvere, dare leggi, ordinare, governare, secondo la volontà di Dio.

c) Ciò che Gesù Cristo ha promesso a San Pietro, glielo ha effettivamente dato in quel dialogo sublime, tutto intimo, che i due ebbero dopo la Risurrezione. Per tre volte il Signore chiese a Pietro: “Mi ami? Pietro risponde con felicità traboccante: “Signore, Tu sai tutto: sai che ti amo”. E il Signore gli dice: “Pasci i miei agnelli”. “Pasci le mie pecore” (Gv XXI,15-17). In altre parole, vi affido tutti i miei discepoli, tutti i miei fedeli. Chi non è sorpreso? Il Signore aveva un discepolo preferito, San Giovanni, e non lo fece diventare il capo della Chiesa. San Paolo, il futuro Apostolo, era il più colto degli Apostoli; né fu elevato a tale dignità. Come se Gesù volesse significare che il fondamento della Chiesa non doveva essere amicizia, parentela, conoscenza umana, ma la protezione vigile dell’onnipotenza divina. Voleva mostrare che il potere supremo, conferito al Papa, non dipende dai suoi meriti personali, dalle sue capacità, dalle sue virtù. Voleva dimostrare che né la più alta grandezza né la più illustre scienza di un qualsiasi uomo sarebbero bastate per il governo della Chiesa; e che la meschinità, i difetti e persino i peccati stessi che potrebbero esserci nei successori di Pietro non sarebbero stati in grado di scuotere la forza granitica del del fondamento posto da Gesù Cristo.

D) Dopo aver mostrato le fondamenta del potere papale, fondamento posto da Cristo stesso, non resta che dimostrare che San Pietro lo abbia effettivamente esercitato. Di questo abbiamo abbondanza di dati. Abbiamo la prova più evidente che Pietro ha governato la Chiesa e che ha esercitato la sua alta carica. Pietro esercitava il suo alto ufficio già nei primi giorni dopo l’Ascensione, come capo degli Apostoli. Dopo l’Ascensione di Cristo, e prima della venuta dello Spirito Santo, “Pietro si alzò in mezzo ai fratelli” (Atti degli Apostoli, 1, 15.), ordina che venga scelto un nuovo Apostolo per sostituire il traditore Giuda. E da allora leggiamo diverse volte negli “Atti degli Apostoli” (II, 14; IV, 8; XV, 7.) che Pietro, occupando il primo posto, pronuncia discorsi a nome di tutti gli Apostoli dei fedeli e pronuncia discorsi a nome di tutti gli Apostoli dei fedeli, e dà gli ordini corrispondenti per governare la Chiesa. Se volete conoscere l’attività papale di San Pietro, leggete gli “Atti degli Apostoli”. Chi fu il primo a predicare e ad ammettere proseliti dopo l’Ascensione di Cristo? Pietro! Quale degli Apostoli ha compiuto il primo miracolo: la guarigione dell’uomo nato zoppo? Pietro! Chi scomunicò dalla Chiesa il primo eretico, Simon Mago? Chi ha visitato per la prima volta le chiese della Palestina? Chi ha ammesso nella Chiesa il primo pagano, il centurione Cornelio? Chi ha presieduto il primo concilio apostolico? Pietro! Lo svolgimento di questo primo concilio è molto interessante. Le parole di un Paolo e di un Barnaba non posero fine alla discussione; la questione doveva essere decisa da Pietro. C’era una divergenza di opinioni sulla conversione dei pagani. I pagani convertiti dovevano essere costretti ad abbracciare prima il giudaismo e poi ad essere ammessi alla Chiesa, oppure potevano essere battezzati senza ulteriori indugi? Questa fu la questione molto discussa nel primo Concilio di Gerusalemme. “Dopo un esame maturo, Pietro si alzò” (Act XVI, 7) – si legge negli “Atti degli Apostoli” – e “tutta la folla tacque” (At XV, 12). E questo è comprensibile. È comprensibile che da quel momento la Chiesa e Pietro furono unite intimamente; perché se Pietro è la pietra di fondazione, allora l’edificio non può reggersi che solo sulle fondamenta. E la Chiesa di Cristo non può essere dove Pietro non è. – Questa verità era esplicitamente confessata dai cristiani del III secolo. Già allora San Cipriano scriveva: “Come tutti i raggi nascono dallo stesso sole e tutti i rami nascono dallo stesso tronco, così tutte le comunità sparse nel mondo sono unite alla Chiesa”.

Per quale scopo Cristo ha fondato il Papato?

Non ci basta sapere che sia stato proprio Cristo a fondare il Papato. Il nostro grande rispetto per il Papa si spiega solo se sappiamo quale scopo Cristo abbia perseguito con il Papato. Perché Cristo ha fondato il Papato? Quali sono gli uffici affidati da Cristo al Papa?

A) In primo luogo, il Papa deve essere il primo maestro della Chiesa. Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse “colonna e sostegno della verità” (1 Tim III, 15), un araldo della fede senza macchia. E Pietro ricevette la promessa di essere colui al quale il Signore disse: “Simone, Simone, ecco, satana ti insegue per intrappolarti; è dietro di te per setacciarti come il grano. Ma Io ho pregato per te affinché la tua fede non perisca; e tu, quando ti sarai convertito, rafforzerai i tuoi fratelli” (Lc XXII, 31). Che promessa sublime e commovente! Il Signore prega per Pietro, perché la sua fede non vacilli, perché sia sempre così forte da poter confermare la fede dei fratelli. Che cos’è dunque il Papa nella Chiesa? Colui che assicura l’unità della fede. Ed è proprio questa unità che il Signore custodiva con un desiderio ardente. Per essa ha pregato con tanta insistenza nell’Ultima Cena. Non ha pregato solo per i suoi Apostoli, ma anche per tutti coloro che avrebbero creduto in Lui, affinché “tutti siano una cosa sola e come Tu, o Padre, sei in me, così essi siano una cosa sola in Noi” (Gv XVII, 21).

Se questo ardente desiderio del Signore, l’unità – unità nella fede, unità nei Sacramenti, l’unità nel Capo – è stato così magnificamente realizzato nella Religione Cattolica, è soprattutto merito del Papato, che veglia, dirige e disciplina continuamente (quando è libero di operare!). D’altra parte, se la fede delle denominazioni che si sono staccate dal Cattolicesimo, si è affievolita senza speranza e si è disgregata nella contraddizione, e si è frantumata nelle tesi contraddittorie delle circa trecento confessioni oggi esistenti, ciò ha la sua causa principale nel fatto che esse si sono allontanate dal fondamento, il Papa, che è la roccia su cui poggia l’unità.

B) Ma l’ufficio di Pietro non è solo quello di insegnare, ma anche di governare la Chiesa.

È a San Pietro che il Signore ha detto: “E a te darò le chiavi del regno dei cieli“; e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato in cielo, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli ” (Mt XVI,19). E fu anche a Pietro che disse: “Pasci i miei agnelli, pascete le mie pecore“. Pietro, quindi, non è solo il maestro della Chiesa, ma anche il suo principale custode, il suo capo, il suo governatore, la sua testa. Dove vivono insieme tante persone, ci deve essere un presidente, una testa, un direttore, un governatore, un capo. Non c’è forse bisogno di un potere indipendente e sovrano per governare i 360 milioni di Cattolici e mantenere l’unità tra tutti loro? Ecco perché il Papa è il legislatore supremo della Chiesa ed ha il supremo potere esecutivo. Che cos’è il Papa nella Chiesa? L’apoteosi perenne del principio di autorità. Chiunque abbia vissuto tempi rivoluzionari non ha bisogno di ulteriori spiegazioni per vedere il pericolo fatale della mancanza di autorità, la crisi dell’autorità, la crisi del potere di guida, che esige un’obbedienza incondizionata. Quale gratitudine dobbiamo al Signore per non aver permesso che il suo insegnamento, la sua santa eredità, fosse vittima di molte spiegazioni diverse, e che ognuno lo esponesse secondo i propri criteri, e per averla affidata, a tale scopo, al Papa, dandogli il potere di comandare incondizionatamente e di pronunciare l’ultima e decisiva parola! Diciamo allora con San Paolo: “Non lasciamoci trasportare qua e là da tutti i venti dell’opinione umana, dalla malignità degli uomini, che con astuta furbizia hanno ingannato che con astuzia ingannano e inducono all’errore” (Ef IV,14).I Papi divennero così i supremi custodi dell’ordine morale e sociale. A partire dalle lettere del primo Papa, San Pietro, fino alle ultime Encicliche, i Papi sono diventati i supremi custodi dell’ordine morale e sociale, hanno osato difendere con tenacia e coraggio le grandi verità morali e sociali, che le caotiche opinioni individuali, i sofismi e le pericolose correnti delle varie epoche hanno tanto fatto impallidire. Basti citare l’Enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII, che per la prima volta ha richiamato l’attenzione del mondo sull’importanza della questione sociale; le coraggiose dichiarazioni di Benedetto XV in favore della pace durante la guerra mondiale, la magnifica Enciclica di Pio XI in difesa della purezza del matrimonio “Casti connubii“,  e della giustizia sociale – “Quadragesimo anno“.

C) In terzo luogo, il Papa non è solo padrone e governatore della Chiesa, ma anche il suo sommo Pontefice, dalle cui mani sgorga e nelle cui mani è raccolto tutto il potere sacerdotale. Chi sono i Sacerdoti della Chiesa? della Chiesa? Quelli consacrati dai Vescovi. Chi sono i Vescovi? Quelli scelti per questa dignità dal Papa. Pertanto, ogni Sacerdote cattolico ed ogni Vescovo cattolico riceve il potere sacerdotale dal Sommo Pontefice, dal Papa, che a sua volta ha ricevuto la sua missione da Gesù Cristo stesso: “pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore“.

Il nostro rispetto per il Papa

Chiunque mediti su ciò che abbiamo detto sul Papa, vale a dire, che egli è il supremo maestro, il supremo governatore e pontefice della Chiesa; chi sa che il Papa sia il Vicario visibile di Gesù Cristo sulla terra, e ancor più, secondo la bella espressione di Santa Caterina da Siena, è “dolce Cristo in terra”, il “dolce Cristo in terra“, comprende – e solo in questo modo può può comprendere lo sconfinato entusiasmo, il rispetto e l’attaccamento filiale che i fedeli cattolici provano per colui che è il capo visibile della Chiesa.

A) In effetti, i fedeli Cattolici hanno sempre avuto per loro caratteristica questo rispetto e attaccamento filiale al Papa. Non vediamo nel Papa come un re in senso terreno, ma il Padre di un’immensa famiglia; un Padre che ama tutti i fedeli allo stesso modo e che esercita il suo potere di governo sempre per il bene di tutti. Per questo gli diamo il nome tenero e intimo di “Santo Padre“. Solo così comprendiamo quell’usanza – che sembra così strana, nei primi momenti, che i pellegrini hanno, quando visitano la Basilica di San Pietro, di baciare il piede della statua bronzea dell’Apostolo, realizzata nel VI secolo. Le sue dita dei piedi – dita di bronzo! – consumate dagli innumerevoli baci ardenti che vi sono stati depositati per quattordici secoli. Ma è la statua di bronzo che onoriamo? Chi oserà dirlo? Vogliamo forse onorare il Papa? Sì, vogliamo onorare il Papa, ma attraverso di lui vogliamo onorare Gesù Cristo!

B) E vediamo qui di toccare un altro punto:  è forse giusta l’accusa che ci viene lanciata qua e là, che noi, invece di onorare Cristo, onoriamo il Papa, e che il nostro rispetto per il Papa diminuisce e mette in pericolo il culto di Cristo?

Prima di rispondere, dobbiamo vedere molto chiaramente un fatto: tutto il nostro rispetto e il nostro entusiasmo per il Papa sono radicati in questa dottrina: il Papa è il Vicario di Cristo e Cristo è il Figlio di Dio. E onorando il Papa onoriamo Gesù Cristo, che il Papa rappresenta e senza il quale il Papa non significherebbe nulla. Quindi non è vero che il Papa ci allontana da Cristo. Al contrario, ci porta a Lui. Se Cristo non è il Figlio di Dio, è incomprensibile come un semplice giudeo, pur non essendo il Figlio di Dio, possa come un semplice giudeo, per quanto abbia vissuto con fervore la sua vita, uomo modesto, dopo tutto, proveniente da un villaggio insignificante, possa aver portato una tale trasformazione globale del mondo come il Cristianesimo sta operando da mille e novecento anni. Ma c’è di più. Sappiamo che quest’uomo disse un giorno a uno dei suoi discepoli, un povero pescatore, semplice e illetterato: “Tu sei Pietro, e… su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno su di essa” (Mt XVI,18). Questo ha detto; e ciò che è ammirevole non è che l’abbia detto, ma che le sue parole si siano realizzate e continuino a realizzarsi alla lettera. Se Cristo è un uomo puro, come si spiega una simile istituzione? Se è Dio, tutto il nostro rispetto ed entusiasmo per il Papa, il suo Vicario, è legittimo. –  Sebbene San Pietro sentisse il peso della dignità conferitagli da Gesù Cristo, non ne fu abbagliato, come dimostrano diversi passaggi delle sue Lettere. Con quali umili parole inizia la sua prima Lettera: “Pietro, Apostolo di Gesù Cristo” (1 Pt I,1). Non dice che la sua opera sia a riscatto del mondo, ma “il sangue prezioso di Cristo come di un agnello immacolato e senza macchia” (1 Pt I,19), e “… dalle cui lacrime siete stati guariti” (1 Pt II, 24), dice altrove. In effetti, non dobbiamo temere che Pietro possa danneggiare gli interessi di Gesù Cristo. E nemmeno i successori di Pietro. Per quanti pregiudizi ci possano essere nei confronti del Papato, e la scoperta di difetti e meschinità nei Papi – uomini alla fine – non si può negare che il fine ultimo della loro opera, due volte millenaria, sia sempre stato quello di estendere il Regno di Gesù Cristo e di difendere i suoi santi interessi. Se oggi la Chiesa cattolica è così ampiamente diffusa in tutto il mondo, e persino in mezzo al caos di popoli, razze, lingue ed epoche, essa conserva la sua unità.

* * *

Quale evento mondiale suscita tanto interesse quanto l’elezione di un nuovo Papa da parte della Chiesa? I cardinali sono in viaggio verso Roma; ma allo stesso tempo la città eterna è presa d’assalto da un gran numero di giornalisti provenienti da ogni parte del mondo, anche le più lontane, e che assediano con nervosa eccitazione i centri telefonici e telegrafici della città eterna. La Basilica di San Pietro si apre per accogliere un’enorme folla di giornalisti ed  una folla immensa, tremante per l’emozione e l’attesa ansiosa. Come nel giorno della prima Pentecoste, si sente ovunque l’accento di ogni lingua. Le ore passano. L’attesa si fa sempre più tesa, tutti gli occhi sono ansiosamente fissi su uno dei camini del Vaticano. Esce del fumo, è nero o bianco? Perché se il voto è stato inconcludente, insieme alle schede dei voti, viene bruciata della paglia e, dal fumo nero della paglia, gli spettatori gli spettatori sanno che non c’è ancora un Papa! Ma la gente continua per ore, per giorni, sempre guardando…. fumo nero, fumo nero…., finché finalmente una debole colonna di fumo bianco esce dal camino. Il voto è stato dato! Allora la folla esplode in un’esultanza, scoppiando in grida trionfali: “Il voto è stato dato! grida di entusiasmo trionfale: “Evviva il Papa! Viva il Papa!

Vive le Pape! Hoch der Papst! Eljen a Papa!…”. Un Cardinale si affaccia al balcone e ripete le parole pronunciate per la prima volta la notte di Natale dagli Angeli: “Anuntio vobis gaudium magnum…. Habemus Papam“, “Sono venuto a portarvi una notizia di grande gioia: abbiamo un Papa…”. E le folle esultano di gioia; e gli uffici postali sono al lavoro; e le redazioni dei giornali lavorano, forse più che dopo una grande battaglia. La notizia si diffonde in tutto il mondo: “Habemus Papam!”, “Abbiamo un Papa!” Sì: tutto il mondo è interessato….. per amore o per odio, chi lo sa? Ma non è vero che adoriamo e divinizziamo il Papa; non è vero che vediamo in lui l’uomo che ha fatto la storia, non è vero che vediamo in lui un essere sovrumano. No. Anche lui è uomo; mortale e fragile come noi. Ma un uomo, che Gesù Cristo ha voluto capo della Chiesa al suo posto, affinché la Chiesa possa meglio ed efficacemente vivere l’amore per il Capo invisibile, Cristo nostro Signore. “Seguimi” (Gv XXI,19), disse una volta il Signore a Pietro, ed egli lo seguì subito. Da allora Pietro continua a dire “Seguitemi” e i suoi successori lo ripetono. I successori di Pietro lo hanno ripetuto dopo di lui. E chi segue Pietro (ma solo il vero Pietro!) può essere certo di seguire il Signore.

Pasci le mie pecore“, disse il Signore a Pietro. E da allora Pietro pasce il gregge di Cristo. E chi fa parte del gregge di Pietro può essere certo di seguire il Signore. “Ti farò pescatore di uomini“, disse il Signore a Pietro. E Pietro, da allora ha pescato nel nome del Signore per diciannove secoli. E chi entra nelle sue reti può essere certo di essere nelle mani del Signore.

TU SEI PIETRO (2)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (1) “I Simboli della fede”

DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (1)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

Simboli e definizioni della fede cattolica –

SYMBOLA FIDEI

(Simboli di fede)

1 – Lettera degli Apostoli (versione etiope).

(Opera apocrifa, scritta intorno al 160-170)

Credo al Padre, sovrano dell’universo, e in Gesù Cristo (nostro Salvatore), e nello Spirito Santo (Paraclito), e nella santa Chiesa, e nella remissione dei peccati.

2 – Papiro liturgico di Dêr-Balyzeh (liturgia del IV secolo).

(frammento del VI sec. scoperto nell’Alto Egitto, contiene una liturgia della metà del IV sec. Il simbolo sembra molto più antico).

Credo in Dio Padre onnipotente e nel suo Figlio unigenito, nostro Signore Gesù Cristo, nello Spirito Santo e nella risurrezione della carne, nella santa Chiesa cattolica.

3-5 Costituzioni della Chiesa egiziana, 500 ca.

a) Versione copta: simbolo battesimale.

3 – Credo in un solo vero Dio, il Padre onnipotente, e nel suo Figlio unigenito, Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore, e nel suo Spirito Santo, che dà vita a tutte le cose, una sola Trinità consustanziale, una sola Divinità, una sola potenza, un solo regno, una sola fede, un solo battesimo (cfr. Ef 4,5), nella santa Chiesa cattolica e apostolica, nella vita eterna. Amen.

b) Versione etiopica in forma interrogativa.

4 – Credi in un solo Dio, il Padre onnipotente, e nel suo unico Figlio Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore?

e nello Spirito Santo, vivificante tutta la creazione, uguale nella divinità alla Trinità, e un solo Signore, un solo regno, una sola fede, un solo battesimo (cfr. Ef 4,5) nella santa Chiesa cattolica e nella vita eterna?

c) Versione etiope in forma affermativa.

 5 – Credo in un solo Dio Padre, sovrano di tutte le cose, e in un solo Figlio, il Signore Gesù Cristo, e nello Spirito Santo, nella risurrezione della carne, e nell’unica santa Chiesa cattolica.

6 – Simbolo battesimale della Chiesa armena (Piccolo simbolo di fede)

Crediamo nella Santissima Trinità, nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, nell’Annunciazione di Gabriele, (nel concepimento di Maria), nella natività di Cristo, nel Battesimo, (nella festa) nella Passione (volontaria), nella Crocifissione, nella sepoltura di tre giorni, nella (benedetta) Risurrezione, nella Divina Ascensione, nella seduta alla destra del Padre, nella terribile (e gloriosa) venuta – professiamo e crediamo.

STRUTTURE DI SIMBOLI

  1. Schema trinitario tripartito.

A- FORMULE OCCIDENTALI

Symbolum Apostolicum

– Ippolito Romano, “Traditio apostolica” (versione latina).

(presbitero di Roma, composto intorno al 215-217)

10 – (Credi in Dio, Padre onnipotente?) Credi in Cristo Gesù, Figlio di Dio, che nacque per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine, fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì, fu sepolto, risuscitò il terzo giorno vivo dai morti, salì al cielo, siede alla destra del Padre e verrà a giudicare i vivi e i morti? Credete nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa e nella resurrezione della carne?

Salterio di Re Ethelstan (libro liturgico dell’inizio del IX secolo).

Questo simbolo è una delle forme più antiche

11 – Credo in Dio, Padre onnipotente, e in Cristo Gesù, suo Figlio, l’unigenito, nostro Signore, che è nato dallo Spirito Santo e da Maria Vergine, che è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato e sepolto, e che il terzo giorno è risorto dai morti, è salito al cielo e siede alla destra del Padre, da dove viene a giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito Santo, la santa Chiesa, la remissione dei peccati, la resurrezione della carne (vita eterna).

Codice Laudiano (Codice VI-VIIs)

12 Credo in Dio, Padre onnipotente, e in Cristo Gesù Cristo), suo Figlio unigenito, nostro Signore, che nacque dallo Spirito Santo e da Maria Vergine, che sotto Ponzio Pilato fu crocifisso e sepolto, il terzo giorno risuscitò dai morti, salì al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà per giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito Santo, nella santa Chiesa (cattolica), nella remissione dei peccati, nella risurrezione della carne.

Ambrogio, vescovo di Milano: Explanatio Symboli.

(probabilmente trascritta da uno scriba secondo Sant’Ambrogio prima del 397)

13 – Credo in Dio, Padre onnipotente, e in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, che nacque dallo Spirito Santo, da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, morì, fu sepolto, il terzo giorno risuscitò dai morti, salì al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà per giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito Santo, nella santa Chiesa, nella remissione dei peccati, nella risurrezione della carne.

Agostino: Sermone 213 (“Sermo Guelferbytanus”) nella tradizione del simbolo

(S. Aurelio Agostino Vesc. di Ippona  – 396-430 -) I sermoni da 212 a 215 citano approssimativamente lo stesso simbolo, c. 392

14 –  Credo in Dio, Padre onnipotente, e in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, che nacque dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria (patì) sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso e sepolto, il terzo giorno è risorto dai morti, è salito al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito Santo, nella santa Chiesa, nella remissione dei peccati, nella risurrezione della carne.

S. Pietro Crisologo: Sermoni 57-62.

(Vescovo di Ravenna dal 433 al 458)

15 – Credo in Dio, Padre onnipotente, e in Cristo Gesù, suo Figlio unigenito, nostro Signore, che è nato dallo Spirito Santo, da Maria Vergine, che sotto Ponzio Pilato è stato crocifisso e sepolto, il terzo giorno è risorto dai morti, è salito al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo (S. 60: crediamo) nello Spirito Santo, nella santa Chiesa (S. 62: cattolica), nella remissione dei peccati, nella resurrezione della carne, nella vita eterna.

AQUILEIA SÆC. IV

Tyrannius Rufinus: Expositio (o Commentarius) in symbolum.

(scritto intorno al 404, simbolo di Aquileia, la sua patria.)

16 – Credo in Dio, Padre onnipotente, invisibile ed impassibile, e in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, che nacque per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine, fu crocifisso sotto Ponzio Pilato e sepolto, discese agli inferi, il terzo giorno risuscitò dai morti, salì al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà per giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito Santo, nella santa Chiesa, nel perdono dei peccati, nella risurrezione di questa carne.

FLORENTIA sæc. VII

Messale e Sacramentario di Firenze (VIIs)

17 – Credo in Dio, Padre onnipotente, e in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, nato dallo Spirito Santo e da Maria Vergine, che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato e sepolto, è risorto dai morti il terzo giorno, è asceso al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito Santo, nella santa Chiesa, nella remissione dei peccati, nella risurrezione della carne.

MŒSIA sive DACIA sæc. IV

Nicetas, vescovo di Remesiana: spiegazione del simbolo.

19 – Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, e nel suo Figlio Gesù Cristo, nostro Signore, nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, che patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì il terzo giorno e risuscitò dai morti, è asceso al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti, e nello Spirito Santo, nella santa Chiesa cattolica, nella Comunione dei Santi, nel perdono dei peccati, nella risurrezione della carne e nella vita eterna.

AFRICA LATINA sæc. V-VI

21 – S. Agostino: Sermone 215 alla riconsacrazione del simbolo.

(Africa V-VIs vedi Can.14)

21 – Crediamo in Dio, Padre onnipotente, Creatore di tutte le cose, Re dei secoli, immortale e invisibile. Crediamo anche nel suo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, nato per opera dello Spirito Santo dalla Vergine Maria, che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, risuscitò il terzo giorno dai morti e siede alla destra di Dio, il Padre, da dove verrà per giudicare i vivi e i morti. Crediamo anche nello Spirito Santo, nella remissione dei peccati e nella vita eterna attraverso la Santa Chiesa Cattolica.

Pseudo-Agostino (Quodvultdeus di Cartagine): Sermoni sul simbolo.

(tra il 437 e il 453)

22 – Credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore di tutto ciò che è, Re dei secoli, immortale e invisibile. Credo anche nel suo Figlio Gesù Cristo (il suo unico Figlio, il nostro Signore), che è nato per opera dello Spirito Santo dalla Vergine Maria, (che) è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato e sepolto, è risorto il terzo giorno dai morti, è stato assunto in cielo (è asceso al cielo) e siede alla destra del Padre (di Dio), da dove verrà per giudicare i vivi e i morti. Credo anche nello Spirito Santo, nella remissione dei peccati, nella resurrezione della carne e nella vita eterna attraverso la Santa Chiesa.

SPAGNA sæc. VI. VIII

S. Ildefonso di Toledo: De cognitione baptismi. (659-669)

23 –  Credo (credi…?) in Dio, Padre onnipotente, e in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, Dio e Signore nostro, che nacque dallo Spirito Santo e da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso e sepolto, discese agli inferi, il terzo giorno risuscitò da morte, salì al cielo e siede alla destra di Dio, Padre onnipotente (del Padre), da dove verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo (Credi…?) nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa Cattolica, nella remissione di tutti i peccati, nella resurrezione della carne e vita eterna.

GALLIA MERIDIONALIS sæc. VI. VII

25-26 – Frammenti di un antico simbolo gallico,

(Cipriano, Ev. di Tolone intorno al 530 + Fausto, Ev. di Riez intorno al 470)

25 – Credo in Dio, il Padre onnipotente. Credo anche in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, che è stato concepito dallo Spirito Santo, è nato da Maria Vergine, ha sofferto sotto Ponzio Pilato, è stato crocifisso e sepolto, è risorto dai morti il terzo giorno, è asceso al cielo ed è seduto alla destra del Padre, da dove verrà per giudicare i vivi e i morti.

26 – Credo anche nello Spirito Santo, nella santa Chiesa, nella Comunione dei Santi, nel perdono dei peccati, nella risurrezione della carne e nella vita eterna.

27 – Missale Gallicanum Vetus: Discorso (9 di Cesario di Arles) sul simbolo.

27 – Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra. Credo anche in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito ed eterno, che fu concepito dallo Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò dai morti, salì al cielo e siede alla destra di Dio Padre onnipotente, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa cattolica, nella Comunione dei Santi, nel perdono dei peccati, nella vita eterna.

28 – S. Pirmino: raccolta di testi tratti da vari libri canonici.

(Gallia Narboniense, intorno al 720)

28 – Credete in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra? Credete anche voi in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, che è stato concepito dallo Spirito Santo, è nato da Maria Vergine, ha sofferto sotto Ponzio Pilato, è stato crocifisso, è morto, è stato sepolto, è sceso agli inferi, il terzo giorno è risorto, è salito al cielo e siede alla destra di Dio Padre onnipotente, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti? Credete nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa cattolica, nella Comunione dei Santi, nella remissione dei peccati, nella resurrezione della carne e nella vita eterna?

HIBERNIA sæc. VII

Antifonario di Bangor.

(manoscritto nel 680-690 ca. in Irlanda del Nord)

29 – Credo in Dio, Padre onnipotente, invisibile, Creatore di tutte le creature visibili e invisibili; credo anche in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, Dio onnipotente, concepito di Spirito Santo, nato da Maria Vergine, che ha sofferto sotto Ponzio Pilato, che, crocifisso e sepolto, è risuscitato dai morti il terzo giorno, è salito al cielo e siede alla destra di Dio Padre onnipotente, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo anche nello Spirito Santo, Dio onnipotente, che è di una sola sostanza con il Padre e il Figlio, che la Chiesa cattolica è santa, la remissione dei peccati, la comunione dei santi, la resurrezione della carne. Credo in una vita eterna dopo la morte e nella vita eterna nella gloria di Cristo. Tutto questo è la mia fede in Dio.

Ordo Battesimale Romano

(“Ordo Romanus” XI, ed. Andrieu; VII, ed. Mabillon). (forma completa del IX secolo)

30 – (1) Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, (2) e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore (3) che fu concepito dallo Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, (4) patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso morì e fu sepolto, discese agli inferi, (5) il terzo giorno risuscitò dai morti, (6) salì al cielo e siede alla destra di Dio Padre onnipotente, (7) da dove verrà a giudicare i vivi e i morti. (8) Credo nello Spirito Santo, (9) (credo) nella Santa Chiesa Cattolica, nella comunione dei santi, (10) nella remissione dei peccati, (11) nella resurrezione della carne, (12) (e) nella vita eterna.

Brevi forme interrogative del Credo battesimale

Sacramentarium Gelasianum.

(Pratica liturgica romana circa Vis, origine più antica)

36 – Credete in Dio, il Padre Onnipotente (il Creatore del cielo e della terra)? Credete anche voi (e) in Gesù Cristo, il suo unico Figlio, nostro Signore, che è nato e ha patito? Credete anche nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa (cattolica), nel perdono dei peccati, nella resurrezione della carne (vita eterna)?

B. FORMULE ORIENTALI

Simboli locali

Cæsarea Palæstinensia sæc. III

Eusebio, vescovo di Cesarea: lettera alla sua diocesi, 325.

(Eusebio è stato battezzato in questa forma, simbolo intorno al 250?).

40 – Noi crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, Verbo di Dio, Dio da Dio, luce della luce, vita della vita, Figlio unigenito, primogenito di tutte le creature, generato dal Padre prima di tutti i secoli, per mezzo del quale sono state fatte anche tutte le cose, che per la nostra salvezza si è incarnato e ha abitato tra gli uomini, ha sofferto e il terzo giorno è risorto, è salito al Padre e tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti. Crediamo anche in un unico Spirito Santo.

Hierosolyma saec. IV

S. Cirillo, vescovo di Gerusalemme: Catechesi VI-XVIII, 348 ca.

(testo ricostruito dalle catechesi)

41 – Noi crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. (Ed) in un solo Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l’unigenito, che è stato generato dal vero Dio Padre prima di tutti i secoli, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, che (discese, si fece carne e) si fece uomo, fu crocifisso (e fu sepolto e) risuscitò (dai morti) il terzo giorno, salì al cielo, siede alla destra del Padre e verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti; il suo regno non avrà fine. (Ed) in un solo Spirito Santo, il Paraclito, che ha parlato nei profeti, e in un solo battesimo di conversione per la remissione dei peccati, e in una sola Chiesa santa e cattolica, nella resurrezione della carne, e nella vita eterna.

Asia Minor sæc. IV

Epifanio, vescovo di Salamina: “Ancoratus”, a. 374.

a) Forma breve (forse interpolata)

42 – Noi crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili. – E in un solo Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l’unigenito, che è stato generato dal Padre prima di tutti i secoli, cioè dalla sostanza del Padre, luce della luce, Dio vero da Dio vero, generato, non fatto, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, in cielo e in terra, che per noi e per la nostra salvezza è disceso dal cielo, È stato crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, ha sofferto ed è stato sepolto, è risorto il terzo giorno secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre e tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine. E nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, che procede dal Padre, che con il Padre e il Figlio è coadiuvato e co-glorificato, che ha parlato per mezzo dei profeti; in una sola Chiesa santa, cattolica ed apostolica; confessiamo un solo battesimo per la remissione dei peccati e aspettiamo la risurrezione dei morti e la vita del mondo a venire. Amen.

43 – Quanto a coloro che dicono: “C’era un tempo in cui non era” e “Prima di essere generato non era”, o che è stato creato dal nulla, o che dicono che il Figlio di Dio è di un’altra sostanza o essenza, o che è soggetto a cambiamenti o alterazioni, questi la Chiesa cattolica li condanna con l’anatema.

b) Forma lunga (vicina al simbolo niceno, cfr. anche

[Can.46>46] [Can.48>48]

44 – Crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili ed invisibili; e in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato da Dio Padre, unigenito, cioè della sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, quelle visibili e quelle invisibili, che per gli uomini e per la nostra salvezza discese e si incarnò, cioè fu generato perfettamente da Maria, la santa sempre Vergine, per mezzo dello Spirito Santo; si è fatto uomo, cioè ha assunto tutto l’uomo, anima, corpo e spirito e tutto ciò che è uomo, eccetto il peccato, senza provenire da un seme di uomo o da uomo, ma ha formato la carne per sé, realizzando un’unica santa unità; non nel modo in cui respirava, parlava e agiva nei Profeti, ma diventando perfettamente uomo (“perché il Verbo si è fatto carne”, senza subire alcun cambiamento, né trasformare la sua natura divina in natura umana); l’ha unita alla sua santa perfezione e alla sua unica divinità (perché uno è il Signore Gesù Cristo, non due, lo stesso è Dio, lo stesso Signore, lo stesso Re); ma lo stesso ha sofferto nella carne, è risorto, è salito al cielo nello stesso corpo, siede nella gloria alla destra del Padre, verrà nello stesso corpo nella gloria per giudicare i vivi ed i morti; ed il suo Regno non avrà fine; e crediamo nello Spirito Santo, che ha parlato nella Legge e ha predicato per mezzo dei Profeti, che è sceso nel Giordano, parlato negli Apostoli e abita nei santi; e crediamo in Lui in quanto è lo Spirito Santo, lo Spirito di Dio, lo Spirito perfetto, lo Spirito Paraclito, increato, che procede dal Padre, che si riceve dal Figlio e nel quale si crede; crediamo in un’unica Chiesa cattolica e apostolica, in un unico battesimo di conversione, nella resurrezione dei morti e nel giusto giudizio delle anime e dei corpi, nel regno dei cieli e nella vita eterna.

45 – Ma coloro che dicono che c’è stato un tempo in cui il Figlio o lo Spirito Santo non esistevano, o che sono stati creati dal nulla, o che sono di un’altra sostanza o essenza, o che dicono che il Figlio di Dio o lo Spirito Santo sono soggetti a cambiamenti o alterazioni, questi la Chiesa cattolica e apostolica, vostra e nostra madre, li anatemizza; E anatematizziamo anche coloro che non confessano la risurrezione dei morti e tutte le eresie che non appartengono a questa giusta fede.

(Pseudo ) Atanasio: “Ermeneia eis to sumbolon”.

(attribuzione ad Atanasio (prima del 373) oggi dai più negata; vedi piuttosto Can. 48)

46 – Crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, creatore delle cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato dal Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, quelle visibili e quelle invisibili; il quale per noi uomini e per la nostra salvezza discese, si incarnò e si fece uomo, cioè fu generato perfettamente da Maria sempre Vergine per mezzo dello Spirito Santo; ha posseduto corpo, anima, spirito e tutto ciò che gli uomini hanno, eccetto il peccato, in verità e non in apparenza; ha sofferto, cioè è stato crocifisso, è stato sepolto, è risorto il terzo giorno ed è asceso al cielo in questo stesso corpo; siede nella gloria alla destra del Padre e sta venendo nella gloria in questo stesso corpo per giudicare i vivi e i morti; il suo Regno non avrà fine. Crediamo anche nello Spirito Santo, che non è di altra natura rispetto al Padre e al Figlio, ma è consustanziale al Padre ed al Figlio, che è increato, perfetto e Paraclito, che ha parlato nella Legge, nei Profeti e negli (Apostoli e) Vangeli; che è disceso al Giordano, che parlerà (ha parlato) agli Apostoli e che abita nei Santi. E crediamo in questa unica Chiesa cattolica e apostolica, nel battesimo di conversione e remissione dei peccati, nella resurrezione dei morti, nel giudizio eterno dei corpi e delle anime, nel regno dei cieli e nella vita eterna.

47 – Ma coloro che dicono che c’è stato un tempo in cui il Figlio non era, o che c’è stato un tempo in cui lo Spirito Santo non era, o che è stato creato dal nulla, o che dicono che il Figlio di Dio o lo Spirito Santo sia di un’altra sostanza o essenza, che sia soggetto a cambiamento o alterazione, questi li anatemizziamo, perché la nostra madre cattolica, la Chiesa apostolica, li anatemizza; Anatematizziamo anche coloro che non confessano la risurrezione della carne (dei morti) e tutte le eresie, cioè coloro che non tengono questa legge della santa ed unica Chiesa cattolica.

Grande simbolo della fede della Chiesa armena.

(Simbolo usato nella Messa, forse all’inizio del IV secolo? Can.44)

48 – Noi crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, delle cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato dal Padre, unigenito (cioè della sostanza del Padre) prima di tutti i secoli, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose. che per noi è disceso dal cielo, si è incarnato e si è fatto uomo (è nato) perfettamente da Maria, la santa Vergine, per opera dello Spirito Santo; da Lei ha preso la carne, lo spirito, l’anima (carne, anima, spirito) e tutto ciò che è nell’uomo (cioè l’uomo che ha posseduto) in verità e non in apparenza; Ha sofferto, è stato crocifisso e sepolto, è risorto il terzo giorno, è asceso al cielo in questo stesso corpo; siede alla destra del Padre e verrà in questo stesso corpo, nella gloria del Padre, per giudicare i vivi e i morti; e il suo Regno non avrà fine. Crediamo (anche) nello Spirito Santo, che è increato, perfetto, che ha parlato per mezzo della Legge, dei Profeti e degli Evangelisti (nella Legge, nei Profeti e nei Vangeli), che è sceso al Giordano, che ha annunciato agli Apostoli e che abita nei Santi. Crediamo (anche) nell’unica e sola Chiesa cattolica e apostolica, nell’unico battesimo di conversione, nella remissione (espiazione) e nel perdono dei peccati, nella resurrezione dei morti, nel giudizio eterno delle anime e dei corpi, nel Regno e nella vita eterna.

49 – Ma coloro che dicono: “Un tempo il Figlio di Dio non era”, o “Un tempo lo Spirito Santo non era”, o che sono stati creati dal nulla, o che dicono che il Figlio di Dio o anche lo Spirito Santo sono di un’altra sostanza o essenza, o che sono soggetti a cambiamenti ed alterazioni, questi la Chiesa cattolica apostolica li colpisce con l’anatema.

Antiochia sæc. IV

Simbolo battesimale di Antiochia (frammenti).

50 – dal testo greco: Noi crediamo nell’unico vero Dio, il Padre onnipotente, Creatore di tutte le cose visibili e invisibili. E nel Signore nostro Gesù Cristo, suo Figlio, unigenito e primogenito di tutta la creazione, generato da Lui prima di tutti i secoli, e non creato, vero Dio da vero Dio, consustanziale al Padre, per mezzo del quale il tempo è stato ordinato e tutte le cose sono state fatte, che per noi discese e nacque da Maria Vergine, e che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, fu sepolto e risuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture; ed ascese al cielo e tornerà per giudicare i vivi e i morti, per la remissione dei peccati, per la risurrezione dei morti e per la vita eterna.

Mopsu [h] estia in Cilicia sæc. IV

Teodoro, vescovo di Mopsuestia: Catechesi I-X, (381-392).

51 – Crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l’unigenito, il primogenito di tutta la creazione, generato dal Padre prima di tutti i secoli, non creato, vero Dio da vero Dio, consustanziale al Padre, per mezzo del quale fu ordinato il tempo e furono fatte tutte le cose, che per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, si incarnò e si fece uomo; È nato da Maria Vergine, è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato, è stato sepolto, è risorto il terzo giorno secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre e tornerà per giudicare i vivi e i morti. E in un solo Spirito Santo, che procede dal Padre, lo Spirito che dà la vita, confessiamo un solo battesimo, una sola santa Chiesa cattolica, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna.

Ægyptus medio sæc. IV

Apostegmata di Macario il Grande (300-390)

(nucleo pre-niceno, aggiunte nicene + parafrasi finale libera!)

55 – Credo in un solo Dio, Padre onnipotente. E nel suo Verbo consustanziale, per mezzo del quale creò i secoli, che, quando il tempo fu compiuto, per togliere il peccato, dimorò nella carne che preparò per sé dalla santa Vergine Maria (e si incarnò dalla santa Vergine), che fu crocifisso per noi, morì, fu sepolto, risuscitò il terzo giorno (ascese al cielo), siede alla destra del Padre (di Dio Padre) e tornerà nel tempo a venire per giudicare i vivi e i morti. E nello Spirito Santo, che è consustanziale al Padre e alla sua Parola (il Verbo di Dio). Ma vogliamo anche credere nella resurrezione dell’anima e del corpo, come dice l’Apostolo: “(seminato corruttibile, risorge nella gloria,) seminato corpo psichico, risorge corpo spirituale”. cfr. 1Co XV, 42-44

SIMBOLI CONTENUTI IN COLLEZIONE DI CANONI ORIENTALI

Syria e Palestina:

Costituzioni Apostoliche. ca. 380.

(composto in Siria? o a Costantinopoli? aggiunto alla Tradizione apostolica di Ippolito)

60. – Credo e sono battezzato nell’unico e vero Dio, onnipotente, Padre di Cristo, Creatore e Autore di tutte le cose, dal quale provengono tutte le cose. E al Signore Gesù, il Cristo, suo Figlio monogenito, primogenito di ogni creatura, generato prima dei secoli per predilezione del Padre, non creato, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, in cielo ed in terra, visibili ed invisibili; negli ultimi giorni è disceso dal cielo e ha preso carne, generato dalla Beata Vergine Maria, ha vissuto una vita santa secondo le leggi di Dio suo Padre, è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato, è morto per noi, è risorto dai morti dopo la sua Passione il terzo giorno, è salito al cielo e si è seduto alla destra del Padre, e tornerà nella gloria alla fine dei tempi per giudicare i vivi ed i morti; il suo regno non avrà fine. Sono anche battezzato nello Spirito Santo, cioè nel Paraclito, che ha agito in tutti i Santi fin dall’inizio e che poi è stato anche inviato agli Apostoli dal Padre, secondo la promessa del nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo, e in seguito a tutti coloro che credono nella santa Chiesa cattolica ed apostolica, nella resurrezione della carne, nella remissione dei peccati, nel Regno dei cieli e nella vita dell’età futura.

Testamento di Nostro Signore Gesù Cristo.

(compilazione in Vs da Ippolito Romano cfr. Can.10)

61 – Credete in Dio, il Padre onnipotente? Credete anche voi in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che è venuto dal Padre, che era con Dio fin dal principio, che è nato da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo, che è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato, che è morto, che è risorto il terzo giorno, che è tornato a vivere dai morti, che è salito al cielo, che siede alla destra del Padre e che verrà a giudicare i vivi e i morti? Credete anche nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa?

Ægyptus:

Costituzioni della Chiesa egiziana. Cfr. [Can.3>3]

a) Versione copta: professione di fede dopo il battesimo.

62 – Voi credete nel Signore nostro Gesù Cristo, Figlio unigenito di Dio Padre, che in modo meraviglioso si è fatto uomo per noi in un’unità inconcepibile per mezzo del suo Spirito Santo da Maria, la santa Vergine, senza seme di uomo, ed è stato crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, è morto nello stesso momento per la nostra salvezza secondo la sua volontà, è risorto il terzo giorno, ha liberato coloro che erano in catene, è salito al cielo, siede alla destra del suo buon Padre nell’alto e sta per tornare per giudicare i vivi e i morti secondo la sua rivelazione e il suo Regno. E credete nello Spirito Santo buono e vivificante, che purifica tutte le cose, nella santa Chiesa.

b) Versione etiope: professione di fede dopo il battesimo.

63 – Credete nel nome di Gesù Cristo, nostro Signore, Figlio unigenito di Dio Padre, che si è fatto uomo per un miracolo inconcepibile dello Spirito Santo e della Vergine Maria, senza seme di uomo, e che è stato crocifisso al tempo di Ponzio Pilato, è morto contemporaneamente per la nostra salvezza secondo la sua volontà, è risorto il terzo giorno dai morti, ha liberato coloro che erano in catene, è salito al cielo, siede alla destra del Padre e verrà a giudicare i vivi e i morti secondo la sua rivelazione e il suo Regno? Credete nello Spirito Santo buono e purificatore e nella Santa Chiesa? E credete nella resurrezione della carne che attende tutti gli uomini in un regno e in un giudizio eterni?

Canoni di Ippolito.

(rielaborazione egiziana di Ippolito intorno al 350?)

64 – Credete in Dio, il Padre onnipotente? Credete in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che Maria Vergine ha generato dallo Spirito Santo (venuto per salvare gli uomini), che è stato crocifisso (per noi) sotto Ponzio Pilato, che è morto e risorto dai morti il terzo giorno, che è salito al cielo, che siede alla destra del Padre e che verrà a giudicare i vivi e i morti? Credete nello Spirito Santo (paraclito che procede dal Padre e dal Figlio)?

Simboli e definizioni della fede cattolica –

II. Schema bipartito trinitario-cristologico.

Formula chiamata “Fides Damasi. “

(fine delle V nel sud della Francia?)

71 – Crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, e nel nostro unico Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, e in un (unico) Dio Spirito Santo. Non si tratta di tre divinità, ma del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo che veneriamo e confessiamo come un unico Dio: Non confessiamo l’unico Dio come se fosse solitario, né come se lo stesso fosse il Padre per se stesso e fosse anche il Figlio, ma confessiamo che il Padre è colui che ha generato e che il Figlio è colui che è stato generato; quanto allo Spirito Santo, non è né generato né non generato, né creato né fatto, ma procede dal Padre e dal Figlio, è coeterno, coeguale e cooperatore del Padre e del Figlio, poiché sta scritto: Per la parola del Signore i cieli sono stati stabiliti”, cioè dal Figlio di Dio, “e tutta la loro forza dal soffio della sua bocca”, Sal. 33:6, e in un altro passo: “Manda il tuo Spirito e saranno creati, e rinnoverai la faccia della terra” (cfr. Sal. 104:30). Pertanto, in nome del Padre, Figlio e Spirito Santo confessiamo un solo Dio, perché “Dio” è un nome di potere, non di proprietà. Il nome proprio del Padre è “Padre”, il nome proprio del Figlio è “Figlio” e il nome proprio dello Spirito Santo è “Spirito Santo”. E in questa Trinità crediamo che c’è un solo Dio, perché ciò che è della stessa natura, sostanza e potenza del Padre è dell’unico Padre. Il Padre ha generato il Figlio non per volontà, né per necessità, ma per natura.

72 – Negli ultimi tempi il Figlio è disceso dal Padre per salvarci e per dare compimento alle Scritture, colui che non ha mai cessato di essere presso il Padre, ed è stato concepito dallo Spirito Santo ed è nato da Maria Vergine, ha preso carne, anima e spirito, cioè l’uomo completo; e non ha perso ciò che era, ma ha cominciato ad essere ciò che non era; ma se è perfetto in ciò che è suo, è anche vero in ciò che è nostro. Perché colui che era Dio è nato uomo, e colui che è nato uomo ha operato come Dio; e colui che ha operato come Dio muore come uomo; e colui che è morto come uomo risorge come Dio. Avendo vinto l’impero della morte, è risorto il terzo giorno con la carne con cui era nato, aveva sofferto ed era morto; è salito al Padre e siede alla sua destra nella gloria che possedeva e possiede tuttora. Crediamo di essere stati purificati nella sua morte e nel suo sangue per essere risuscitati da lui all’ultimo giorno in questa carne in cui viviamo ora; e siamo in attesa di ottenere da lui o la vita eterna come ricompensa per i nostri buoni meriti, o la pena del castigo eterno per i nostri peccati. Leggete questo, tenetelo stretto, sottomettete la vostra anima a questa fede. Così otterrete da Cristo Signore vita e ricompensa.

Simbolo “Clemens Trinitas”.

(durante il V o il VI secolo nel sud della Francia e poi in Spagna)

73 – La Trinità misericordiosa è una sola Divinità. Perciò il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un’unica fonte, un’unica sostanza, un’unica forza, un’unica potenza. Non diciamo che Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo sono tre dèi, ma li confessiamo con grande pietà come uno solo. Infatti, pur nominando tre persone, confessiamo con voce cattolica e apostolica che c’è una sola sostanza. Quindi: Padre, Figlio e Spirito Santo, e “i tre sono uno” (cfr. 1Gv V,7 ). Tre, né confusi né divisi, ma allo stesso tempo distintamente uniti e distinti nella congiunzione; uniti nella sostanza, ma distinti nel nome; uniti nella natura, ma distinti nelle persone; uguali nella divinità, pienamente simili nella maestà, concordi nella Trinità, partecipi della gloria. Sono uno in modo tale che non dubitiamo che siano anche tre; sono tre in modo tale che confessiamo che non possono essere separati l’uno dall’altro. Perciò non c’è dubbio che l’offesa fatta a uno è un’offesa fatta a tutti, perché la lode dell’uno riguarda la gloria di tutti.

74 – “Questo è infatti, secondo la dottrina dei Vangeli e degli Apostoli, un punto principale della nostra fede, cioè che nostro Signore Gesù Cristo e Figlio di Dio non è separato dal Padre né dalla confessione dell’onore, né dalla virtù del potere, né dalla divinità della sostanza, né da alcun intervallo temporale. E quindi se qualcuno dice del Figlio di Dio, che era vero Dio e vero uomo, con la sola eccezione del peccato, che gli mancava qualcosa, sia nella sua umanità che nella sua divinità, deve essere considerato empio ed estraneo alla Chiesa cattolica e apostolica.

Simbolo. Quicumque”, detto  pseudo-Atanasio.

(probabilmente nato tra il 430 e il 500 nel sud della Francia?).

75 – (1) Chi vuole essere salvato deve prima di tutto avere la fede cattolica: (2) chi non la mantiene integra e inviolata andrà, senza dubbio, incontro alla sua eterna rovina. (3) Ora la fede cattolica consiste in questo: noi veneriamo un solo Dio nella Trinità e la Trinità nell’unità, (4) senza confondere le persone o dividere la sostanza: (5) perché la persona del Padre è diversa, la persona del Figlio è diversa e la persona dello Spirito Santo è diversa; (6) ma il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo hanno la stessa divinità, la stessa gloria, la stessa eterna maestà. (7) Come è il Padre, così è il Figlio, così è lo Spirito Santo; (8) increato è il Padre, increato il Figlio, increato lo Spirito Santo; (9) immenso è il Padre, immenso il Figlio, immenso lo Spirito Santo: (10) eterno è il Padre, eterno il Figlio, eterno lo Spirito Santo; (11) eppure non sono tre eterni, ma un solo eterno; (12) né tre increati, né tre immensi, ma uno increato (immenso) e uno immenso (increato). (13) Così pure onnipotente è il Padre, onnipotente il Figlio, onnipotente lo Spirito Santo; (14) eppure non sono tre onnipotenti, ma un solo onnipotente. (15) Così il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio; (16) eppure non sono tre dèi, ma un solo Dio. (17). Così il Padre è Signore, il Figlio è Signore, lo Spirito Santo è Signore; (18) eppure non sono tre Signori, ma c’è un solo Signore: (19) perché come la verità cristiana ci ordina di confessare ciascuna delle persone in particolare come Dio e Signore, (20) così la religione cattolica ci proibisce di dire che ci sono tre dei o tre signori. (21) Il Padre non è stato fatto da nessuno, non è stato creato, non è stato generato; (22) il Figlio è solo dal Padre, non è stato fatto, non è stato creato, ma è stato generato; (23) lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figlio, non è stato fatto, non è stato creato, non è stato generato, ma procede; (24) quindi un solo Padre, non tre Padri; un solo Figlio, non tre Figli; un solo Spirito Santo, non tre Spiriti Santi. (25) E in questa Trinità nulla è anteriore o posteriore, nulla è maggiore o minore, (26) ma tutte e tre le persone sono co-uguali e co-disuguali, (27) cosicché in ogni cosa, come è già stato detto sopra, devono essere venerate sia l’unità nella Trinità sia la Trinità nell’unità.

76 – (29) Ma per la salvezza eterna è necessario credere fedelmente anche all’incarnazione del Signore Gesù Cristo. (30) È dunque fede giusta credere e confessare che nostro Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è Dio ed uomo: (31) Egli è Dio, generato dalla sostanza del Padre prima dei secoli, e uomo nato dalla sostanza della madre nel tempo; (32) Dio perfetto, uomo perfetto, composto di un’anima ragionevole e di carne umana; (33) uguale al Padre in divinità, inferiore al Padre in umanità; (34) pur essendo Dio ed uomo, non ci sono due Cristi, ma un solo Cristo; (35) uno, non perché la Divinità è stata cambiata in carne (nella carne), ma perché l’umanità è stata assunta in Dio; (36) uno in assoluto, non per mescolanza di sostanza, ma per unità di persona. (37) Infatti, come l’anima ragionevole e il corpo fanno un solo uomo, così Dio e l’uomo fanno un solo Cristo. (38) Egli ha sofferto per la nostra salvezza, è disceso agli inferi, il terzo giorno è risorto dai morti, (39) è salito al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti. (40) Alla sua venuta tutti gli uomini risorgeranno con (nel) loro corpo e renderanno conto di ogni loro azione; (41) quelli che avranno agito bene andranno alla vita eterna, ma quelli che avranno agito male al fuoco eterno. (42) Questa è la fede cattolica: se qualcuno non la crede fedelmente e fermamente, non può essere salvato.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (2) “Da Clemente I al Concilio di Nicea”.

QUARESIMALE (XXXVIII)

QUARESIMALE (XXXVIII)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711).

PREDICA TRENTESIMAOTTAVA

Nella Feria terza dopo Pasqua.

La Perseveranza è quella virtù che corona l’opera.

Stetit Jesus in medio discipulorum suorum. Luc. 14.

Origene, figlio di martire, padre spirituale de’ martiri, sì santo un dì, e sì nemico implacabile di sé stesso, che ne passava i più rigidi penitenti dell’Eremo; sì immacolato e puro, che non sembrava uomo di carne, ma Angelo vestito di essa. Quegli, a cui la grande Alessandria d’Egitto, dove insegnava, era nella pietà e nella dottrina obbediente discepola. Origene sì assiduo nel contemplare, che pareva vivere tutto a sé solo, sulla punta d’un monte, o nelle solitudini della Nitria, o ne’ deserti della Tebaide, del cui zelo nel dilatare la fede oltre l’Egitto, ne fa fede l’Arabia, ove là predicò, e la conversione de’ popoli che vi fece; del cui sapere nelle materie sacre vi hanno numerosi testimoni ne’ tanto eccellenti volumi che compose. Origene in poche parole, fanciullo Angelo, giovane santo, uomo apostolo, e vecchio? Oh Dio! Apostata, seminatore d’eresie, diviso dalla comunione de’ fedeli, come membro putrefatto, ed infettatore degli altri. Dio immortale! dopo lunga condotta d’anni virtuosi, tutto si perde, se non si persevera? Così è! La Perseveranza è quella virtù che porta il premio sicuro ad ogni altra. Quanti e quanti, simili ad Origene si sono veduti operari indefessi nella vigna di Cristo, che poi gli hanno vergognosamente voltate le spalle, son tornati al partito del mondo sotto le insegne del demonio? – Confesso il vero riveriti ascoltanti, che io non vorrei mutazioni sì dolorose; spero, con giubilo del mio cuore, aver fatto qualche frutto nelle anime vostre in questi sacri giorni. Sarei troppo inconsolabile se potessi sol sospettare, che chi ha mutato vita divenisse un altro Origene nel terminarla; vorrei perseveranza nel bene incominciato; vorrei, che al fine di nostra vita potesse verificarsi che siccome Gesù stetit, si fermò in medio Discipulorum; così si fosse stabilito nel mezzo del nostro cuore, con vera perseveranza. A questa v’esorterò, e son da capo. Chi ama teme, e chi più ama, più teme: res est solliciti, plena timoris amor. Non vi sdegnate, o miei RR.AA., (e io vi paleso il mio timore), temo che abbandoniate quel tenor di vita che avete preso, sicché non torniate sotto lo stendardo del demonio, ed il timore ha qualche fondamento. Sovvengavi di quei due pellegrini, che andavano in Emaus: certo che da principio si erano portati bene; avevano dato fede a Cristo: sperabamus quia ipse esset redempturus Israel; ma quando cominciò a spuntar la sera del terzo giorno senza vederlo, cominciarono a vacillare, a diffidare; onde da Cristo furono ripresi. O stulti, tardi corde ad credendum! Chi però mi promette, che innanzi sera qualcheduno di voi muti parere, volti le spalle a Cristo e, passata la Pasqua, torni a quei ridotti, a quei discorsi, a quei compagni, quegli odii, a quegli amori? No, no, esto firmus, state saldi nella vita intrapresa, né vi lasciate ingannare dall’inimico del vostro bene. Tre sono gl’inganni, che il demonio procura di mettere nel nostro cuore perché non perseveriamo nella grazia del Signore. Il primo riguarda noi, ed è il farvi apprendere, esser impossibile continuar lungamente senza lo sfogo delle vostre passioni. Il secondo riguarda il demonio, figurandovi esser facile scappar di nuovo dalle sue reti, quando ne restiate nuovamente presi. Il terzo riguarda Dio, credendovelo con le braccia aperte sempre per ricevervi a penitenza. Quanto al primo, vi replico: non vi lasciate ingannar dal demonio che vi dice al cuore: tu, dunque, non ti hai da prender più un sollievo; non più in quel giuoco, non più in quel ballo, in quella veglia? E come è possibile passare tutta la vita priva di tali sollievi? Ecco l’inganno del demonio; ecco che ve lo scopro; piano voi dite, sempre tutta la vita senza spassi? Ma che vita vi figurate? E chi sa che la vostra vita non si riduca a giorni? E se così fosse, per pochi giorni vi sareste perduto il Paradiso. Ricordatevi di ciò che avvenne a Mosè con gl’Israeliti. Voi ben sapete, che questi avevano aspettato Mosè nel monte con molta pazienza, né mai avevano dato segno alcuno di cuor ribelle; ma finalmente attediati dalla dimora, cominciarono ad infastidirsi, e pensando che Mosè si fosse affatto dimenticato di loro, e che almeno dovesse indugiar lungamente a ritornare, deliberarono d’eleggersi un nuovo capo; e per poterne più agevolmente disporre a lor modo, che pensate  che facessero? Soggettarono ad un bue dorato: mutaverunt gloriam suam in similitudinem vituli comedentis fœnum. Eccoli, dunque, idolatri senza pietà, senza modestia; quando sopraggiunse ad un tratto Mosè, il quale alla vista di quell’indegno spettacolo, avvampando di santo zelo, rompe incontanente le Tavole della legge, sgrida Aronne, stritola il simulacro, ed assoldata tutta la tribù di Levi, scorre a guisa di folgore da’ quartieri della moltitudine attonita e disarmata, e spargendo per tutto ferite, per tutto sangue, per tutto strage alla confusa, in poco tempo uccise ventitré mila persone con un macello tanto più orrido, quanto più inaspettato; ora io vi domando, miei RR.AA., quanto credete che costoro avessero aspettato Mosè? Sapete quanto? Trentacinque giorni per lo meno; sapete quanto stette a venir Mosè? Cinque altri giorni; sicché, se avessero aspettato cinque altri giorni, non avrebbero avuta una morte sì fiera. Ah, che io dubito che, se non persevererete, il simile debba intervenire anche a voi. Vi credete vita lunga, e però, dite: sempre senza veglie, sempre senza amori tanti snni. No, forse saran giorni, un mese, anno, e se la sbagliate, guai a voi; state saldi ne’ buoni propositi, perché vi resta pochissimo, ed anche quel molto che vi promettete è poco, è nulla. – Così appunto, la discorreva tra sé quell’infelice cavaliere di gran nascita nella provincia dell’Umbria, ma di sordidi costumi. Era questi invitato da Dio a penitenza per mezzo d’una santa Confessione; ma non sapeva ridursi perché diceva tra sé: come potrò io stare senza i piaceri del senso per tutta la vita che mi rimane? Se ne prometteva molta, ma s’ingannava, poiché la notte susseguente a quel giorno, in cui Iddio l’aveva chiamato più gagliardamente, se ne morì affogato da fiero catarro. State saldi, non vi lasciate ingannare dal diavolo, anzi usate con lui gl’inganni. Se volete perseverare nel bene, non bisogna che prendiate tutto il negozio della vostra salute in un lancio, ma a poco a poco pensate a viver bene il giorno d’oggi, sì ed al dì venente vi penserete domani, con un giorno alle volte si passa l’anno, ed intanto, dice San Fausto, sempre più l’anima si fortifica, perché: Gratia de gratia nascitur, et merita meritis locum faciunt. Replico dunque, non vi sbigottite con dire: come mai ho io da fare a vivere tanti anni in una tal vita? Ho tanti anni senza un piacer di vendetta, senza un diletto di senso? E chi può resistere? No, non dite così, perché potrebbe essere che questi vostri conti ad anni non riuscissero neppure a mesi, neppure a settimane, ma a pochi giorni, e quando ciò fosse, voi per non aver voluto perseverare nel bene per brevissimo tempo, vi troverete ne’ tormenti dell’inferno per tutta un’eternità. Tutto è vero, ben conosciamo che se torniamo a peccare, faremo una gran pazzia, ma serve a noi di gran scusa l’avere pronto il modo di rimediare allo sproposito fatto. O che pazzo modo di parlare! Questo è appunto il secondo inganno del diavolo, il quale mi fa parere facile lo scappargli di mano, doppo esservi ricaduto. V’ingannate, perché se gli ricadrete nelle mani, ei vi terrà sì stretti, che non gli fuggirete mai più. Ecco che vi confermo tale verità. Sentite di grazia, che caso strano. Un cavaliere degno figlio di quella Religione, che su bandiere gloriose spiega candide croci, e che con tanto terrore e con danno dell’ottomana luna partorisce tante glorie alla Cattolica fede, … uno di quei cavalieri, dico, trovatosi a fiera battaglia con squadre nemiche; dopo aver svenati più barbari, non potendo più resistere al numero, asperso del proprio e dell’altrui sangue, fu fatto prigioniero di guerra e, riconosciuto per nobile, fu custodito più tosto con discrete che con rigide diligenze, e trattato più tosto con cortesi, che con strane maniere. Ad ogni modo il generoso cavaliere che, se aveva perduta la libertà, non aveva però sminuito lo spirito; intollerante della sua schiavitù, meditava la fuga; quando un dì, vedendo le guardie poco sollecite di sua persona, e del tutto intente ad altro, sforzò i rastelli, e si pose in libertà. Fortunato cavaliere giovane veramente spiritoso, ma che? Appena slontanato dalle soldatesche nemiche, invece d’affrettar la fuga per assicurarsi la libertà, si ferma a contemplare la vaghezza d’un giardino, ed a cogliere pochi fiori; ond’è, che raggiunto dalle guardie, è nuovamente ricondotto sotto l’unghie del barbaro da cui fuggì, il quale ordina che sia posto nella più spaventosa e sotterranea prigione, e qui vi sta assicurato con ferri a piedi, ferri alle mani ed al collo; ed acciò, che il misero divenga sempre più fiacco, e per ciò meno abile a rifuggire, non passa giorno in cui non sia macerato da rigorose inedie e da fiere percosse. Ben gli sta, sento che voi dite AA.! E chi gli ha insegnato fermarsi a coglier fiori, mentre aveva bisogno di fuga per assicurarsi la libertà? Voi dite: ben gli sta e deplorate la di lui imprudenza; ed avete ragione: ma non ho già il torto io a dirvi che molto più pazzi del cavaliere voi siete. Voi ben sapete, che per quei peccati che commetteste, vi rendeste schiavi del demonio, gli siete scappati dalle mani felicemente; o sia stato perché egli vi guardasse con poca cura, o perché voi vi portaste con maggior animo, poco importa: dalle granfie gli siete usciti: ma perché, dico io, ora non seguitate a slontanarvi da Lui? Perché vi lascerete di nuovo prendere per cose da nulla per volere sfogare quella vendetta: per non voler restituire quella poca di roba che non è vostra, per voler tornare in quella casa, per quella strada, a quelle veglie, a quegli amori, e qui cogliere quei fiori che avvelenano l’anima? Che seguirà, se mai più gli ritornate nelle mani? Che seguirà? Ve lo dice Geremia, udite: ut non egrediamini aggravabit compedes vestros; vi raddoppierà le catene; vi rinforzerà le ritorte; ed attentamente mirando per qual via gli siete scappati dalle mani, circumædificabit adversum vos; chiuderà tutti gli aditi; romperà tutti i passi; non vi lascerà neppure un angusto spiraglio donde possiate rimirare il cielo. Se voi vi sarete convertiti per una lezione di libri pii, egli sarà sempre attentissimo che altri libri non vi giungano alle mani che di romanzi, favole ed amori. Se per le prediche, ve ne distoglierà con rendervi tutti ingolfati ne’ traffici, acciocché anche in tempo della predica v’impiegate, Se per le congregazioni, ve ne distaccherà con allettarvi a’ ridotti; Se per le ispirazioni interiori, procurerà tenervi ravvolti fra strepiti e tumulti tali, che fra d’essi la voce divina non possa udirsi. In una parola, egli adoprerà tutta la sua malizia, tutta la sua arte, per perdervi: circumædificabit ad versum vos ut non egrediamini aggravabit compedes vestros. Or sentite, che ceppi fieri mise a’ piedi d’un giovane, che poi seco tirò miseramente all’inferno. Narra il Padre Rho ne’ suoi esempi, come in un castello di Napoli, v’era un giovane pessimamente invischiato con amicizia d’una rea femmina. Il Signore, che bramava la salute di quell’anima, lo fece avvisare per mezzo d’una visione, cọn intimargli in capo a breve tempo severissimo castigo, se non si ravvedeva. S’arrese il giovane alla minaccia, e purgò l’anima sua con una generale Confessione. Ma che non può una sfrenata passione? Tornò di nuovo a cadere; ed altresì compunto tornò dal confessore, che lo fortificò con nuovi rimedi. Non bastarono però già che il giovane scappato più volte dalle mani del diavolo ne credeva sempre facile l’uscita dalle sue mani, ma non gli riuscì. Quand’ecco che in una notte fu sorpreso da fierissimi dolori, alzò le voci da disperato; s’alzò la rea femmina ancora, si chiamò il confessore; venne, ma non venne a tempo, perché lo trovò spirato con l’assistenza alla sua morte di quella donna che gli mandò l’anima al precipizio infernale. Torno a dirvi: non vi fidate; perché se tornate nelle mani del diavolo, troverà egli modo che non gli scappiate mai più. Non vi lasciate ingannare neppure con la temeraria speranza in Dio. Ricordatevi una verità indubitata, ed è, aver Iddio stabilito il numero de’ peccati che vuol pazientemente tollerare da noi; onde, che quando questo numero è compito, al primo peccato che noi dopo commetteremo, ne seguirà che Dio ci tolga improvvisamente la vita, o ci levi di senno; e così ci abbandoni in braccio della dannazione. Vi confermi questa verità la Divina Scrittura. Voi ben sapete, che gli Israeliti peccarono più volte colà nel deserto: peccarono con mormorazione, con idolatrie, e ne riceverono il perdono. Tornarono finalmente a peccare a vista della terra di promissione, lamentandosi di Dio. Allora Dio, tutto adirato, disse a Mosè: Usquequò detrahet mihi populus iste? Feriam igitur vos pestilentia, atque consumam. lo li voglio tutti distruggere quanti sono con una general pestilenza, li voglio ridurre in niente. Mosè mosso a compassione supplicò per la loro salvezza. Ed Iddio condiscese in parte, protestandosi che Egli perdonerebbe a quelli che fossero nati dopo l’uscita d’Egitto, o non molto prima, ma non già a quelli che ne erano usciti nell’età già avanzata. Or mi sapreste voi dire, per qual ragione il nostro Dio praticasse questa disuguaglianza? Sapete perché? Perché costoro l’avevano già irritato dieci volte: tentaverunt me per decem vices: dieci volte m’hanno irritato; e perciò tutti li voglio morti. Cari UU., Iddio numera le nostre colpe: non vi fidate. Ah, che se questi sfortunati Israeliti avessero trovato, allorché giunsero al nono peccato, un buon amico, che gli avesse detto: fermatevi, basta, basta, non peccate più; perché se lo farete, non vi sarà più pietà per voi, li avrebbe tolti da quel macello. Ma chi glielo poteva dire, se questo è un segreto nascosto nel cuore di Dio? Cristiani miei, dite un poco che sapete voi, che quel peccato del quale vi siete confessati, non sia quell’ultimo, il quale Iddio ne’ suoi profondi decreti ha prescritto condonarvi? Avete certezza in contrario? Ne avete neppure indizio? Ne avete barlume? No, no, anzi avete fondamento di temere che sia l’ultimo; avendovi tollerato finora, anzi di star tremando, perché non solo dieci ve ne ha perdonati, ma trenta, ma cento, ma mille, ma senza numero. State dunque da qui avanti sopra di voi, custoditevi bene lontani dalle occasioni, state saldi, e non vi arrischiate. Io non dico che il peccatore finché ha vita o libertà non si possa ravvedere, ma dico che, quando avrà compito quel numero stabilito di peccati, illic percutietur; resterà nel colpo con un accidente, con una ferita, e si dannerà. Non vi sia mai dunque tra voi, che si metta in sì gran pericolo, col non perseverare, col tornare a peccare, dicendo: Iddio per il passato mi ha perdonato, mi perdonerà anche per l’avvenire: no! Non dite così, perché quanto più peccate, tanto più vi mettete in pericolo di perdervi; e cresce la probabilità della vostra dannazione. In una parola: ecco la sentenza scritta dal dito di Dio nelle sacre carte, e promulgata dall’Ecclesiaste, quasi da celeste banditore: Qui transgreditur a justitia ad peccatum, Deus paravit eum ad rompheam. Udite, o peccatori temerari, che sempre vi promettete un medesimo passaporto, una medesima impunità, per quanto aggiungete di nuove scelleratezze alle antiche. Udite chi è passato dalle bandiere del demonio a quelle di Gesù Cristo, cioè a dire, chi è confessato de’ suoi falli passati ed ha promesso con tanta solennità di non tornare mai più a commetterli; se poi torna di nuovo a mancar di fede, se fugge di nuovo a servire al demonio; se di nuovo ripiglia quelle maledette amicizie: sappiate che egli si mette ad evidente pericolo d’esser una vittima infelice destinata al coltello della Divina Giustizia, e perciò condannata all’inferno: Deus paravit eum ad Rompheam. Non vi crediate, miei UU., che le minacce di Dio siano un tuono vano, siano una bravata in credenza, un semplice spauracchio. Non sarà così no, non sarà così: Quœretis me, dice Cristo, et in peccato vestro moriemini; mi cercherete è vero; ma non in modo che giungiate a trovarmi, e ciò per vostra colpa, e però morirete nel vostro peccato. Non vi mettete, miei UU., a questo gran pericolo di dannarvi col tornare alle colpe, col non perseverare nel bene incominciato. Cristiano mio amatissimo, io non so più che dirmiti, già t’ho posto avanti gli occhi e la pazzia grande che fai, ed il pericolo evidente, in cui ti metti di dannarti se tu non perseveri; ti dirò dunque per ultimo con San Bernardo: Si Christum induisti, Christum ne exuas. Ti sei confessato, hai lasciato il peccato, ti sei liberato della servitù del diavolo, ti sei vestito di Cristo, seguendo il consiglio dell’Apostolo: induimini Dominum Jesum Christum. Lodato Dio, non ti spogliar più di Cristo, non abbandonar Cristo, persevera nel bene. Io non so come meglio possa spiegarsi il pensiero dell’Apostolo e di San Bernardo, che con quanto riferisce l’Incognito della veste inconsutile di Cristo. Dice egli, che essendo dall’Imperator Tiberio chiamato a Roma Pilato Presidente della Giudea, per fargli rendere conto dell’iniqua sentenza data a compiacenza degli Ebrei contro di Cristo, e temendo egli il giusto sdegno dell’Imperatore, confidato ne’ miracoli che delle vesti dello stesso Cristo riferiva la fama, procurò d’aver la tonaca inconsutile. Ottenutala, e vestitosene sotto gli altri abiti, si presentò all’udienza di Tiberio, il quale, benché fieramente adirato, lo riceve nondimeno con segni di benevolenza. Meravigliatosi poi di sé Tiberio, e pentito della prima indulgenza, lo fece di nuovo chiamare per castigarlo. Ma comparendovi pure vestito con la stessa tonaca, fu come prima graziosamente accolto e licenziato senza castigo. Tanto gli accade finché comparve con quella veste; ma in fine, affidato soverchiamente nell’acquistata grazia, comparve avanti all’Imperatore senza quella sagrata veste, ed allora fu ricevuto con quello sdegno che meritava la di lui perfidia, ed era proprio della fierezza di Tiberio; e così fu condannato a ben mille volte meritata morte. Tanto riferisce l’Incognito, concludendo: Tertio revocatus Pilatus, cum dicta tunica esset exutus; sic præsentatus accepit sententiam capitalem, quam nec recepisset, si Christi tunica fuisset indutus. Ecco ciò che vuol dire l’Apostolo: induimini Dominum Jesum Christum, e San Bernardo, si Christum induisti, Christum ne exuas. Avete mutato vita: vi siete vestiti di Cristo: già si sono detestate quelle bestemmie, quelle mormorazioni; già si è cambiata in candore quella impurità, in amore quell’odio così invecchiato? Si perseveri dunque nello stesso tenor di vita; perché quando non si perseveri, vi potrete aspettare, come Pilato, la giusta sentenza di morte, che col privarvi di vita vi butti l’anima ad ardere tra dannati. Dio non lo voglia, e respiro.


LIMOSINA.
Sta nelle vostre mani R. A. la perseveranza nel bene de’ poverelli; non mancano tentazioni di peccare a chi manca il pane da sfamarsi. Atalarico presso Cassiodoro chiamò la povertà: madre de’ vizi mater criminum necessitas; perché  non vi è quasi scelleraggine, per enorme che sia, che non derivi dalla povertà. Figli della povertà sono i tradimenti, i furti, gl’inganni, le disonestà: mater criminum necessitas. Quelle fanciulle, che generose parevano a tollerare mille morti per la fede, le vedrete vender l’onore per pochi denari, quelle matrone, che sembravano specchio d’onestà, per un piccolo aiuto interessato, eccole svergognate; vedonsi insomma sotto pretesto di necessità le più nefande abominazioni. Slargate dunque la mano alla limosina, perché la povertà non torni a peccare, ma perseveri nel bene. Poco sarebbe però se la limosina fosse causa della perseveranza nel bene solo a’ poverelli; quello che più importa è, che darà anche a voi la perseveranza del bene. Osiscires donum Dei! – dice il Boccadoro – Petit Deus humanam misericordiam, ut largiatur divinam. Vuole Iddio, che noi siamo misericordiosi in questo mondo verso i poveri, per esser’Egli con noi misericordioso e in questo, e nell’altro; volete da Dio questa gran misericordia della perseveranza finale? Fate limosina!


SECONDA PARTE.

Eccoci giunti, miei R. A., al termine: voi della pazienza in udirmi, io delle mie povere fatiche. Confesso il vero che le mie povere fatiche di queste prediche sono state fredde, infeconde, difettose. Ma sappiate che non per questo perdo la speranza d’aver raccolto qualche poco di frutto, giacché la divina parola, quanto più nuda, tanto è più possente ad abbattere i vizi ne’ peccatori, ad avvalorare la divozione ne’ giusti. Spero dunque d’aver fatto qualche frutto, e perché lo conserviate nelle anime vostre, altro ricordo non vi lascio, se non che sempre più prendiate orrore al peccato, questo abominiate, questo detestiate, come quello che vi chiude il Paradiso, v’apre l’inferno; vi porta la rovina del corpo, la dannazione dell’anima. Per ottener quest’odio sì necessario, ricorrete ogni giorno a Maria Vergine con tre Pater, ed Ave, e tre Gloria Patri. Questo sia il mio ricordo, e ben s’imprima ne’ vostri cuori. Da qui avanti: peccato mortale, offesa di Dio, disprezzo della Divina legge? O questo no, prima mille volte morire! Così dice questo popolo, o mio Gesù, così stabilisce, così vuole. Or tocca a Voi, mio Redentore, di riceverlo e stringervelo al petto come amorosissimo Padre, e quando ciò sia troppo, perché furono peccatori, e perché molto tempo ostinati: vogliate almeno contentarvi di conservarli sotto la vostra divina protezione. Costantino quel grande, quel religiosissimo imperatore, dopo aver fabbricato Costantinopoli, ordinò che si formasse una statua di Cristo, e che terminata si collocasse nel mezzo della piazza; a faccia di quella volle anche si alzasse la sua propria statua, dalla cui bocca uscisse una fascia, la quale a’ pié di Cristo terminasse, e v’era scritto: Tibi, Christe Deus, Urbem hanc commendo, a voi mio Cristo, raccomando questa mia Città. Altrettanto ardirò io di dire questa mattina a voi: mio Redentore, raccomando questa Città. Prosperate quel Sacro Pastore che con apostolico zelo muove tanto la pietà nel suo gregge. Prosperate il sagro clero. Prosperate le sacre Religioni, che con fanti esempi accrescono il vostro divino culto, prosperate quella nobiltà, a che avvalorata dal vostro braccio con generoso cuore, è risoluta dar sconfitta al demonio, vincer l’inferno. Prosperate insomma tutto questo popolo a voi fedele, che col vostro aiuto vuol rintuzzare l’orgoglio dell’inimico infernale, e fare acquisto del Cielo. Orsù, miei amantissimi uditori, mi licenzio da voi per non rivedervi mai più probabilmente in questa vita; però, quando vi giunga la nuova della mia morte, pregate per l’anima mia. Prima però di partirmi da questo pulpito convien che io, alla vostra presenza, ed a’ piedi di questo Cristo mi protesti, non aver io avuto altra mira nel predicare, che di salvar l’anime; e perciò se niuno perirà, io mi dichiaro che: mundus sum a sanguine omnium; protesto, che non ho parte ne’ peccati d’alcuno. Ho preteso di santificar ognuno, correggendo con santa libertà i costumi, riprendendo i vizi; detestando le iniquità; e di ciò vi chiamo come testimoni d’udito, contestor vos hodierna die, che per quaranta giorni non cessavi monere unumquemque vestrum. Quanto disse Cristina martirizzata dal tiranno, altrettanto io dico a voi. Mirami, disse ella al barbaro, mirami bene in faccia: improntati nella memoria questo mio volto; perché io stessa avrò da rinfacciarti innanzi a Dio quella fede che ho predicata alla tua pertinace infedeltà. Peccatori miei amatissimi, che in questa serie di giorni m’avete udito , e pur ora mi ascoltate, miratemi bene in viso; fissate in me lo sguardo, per ben comprenderne il sembiante; perché se non vi sarete emendati de’ vostri peccati, approfittandovi di quel che da me avete udito: io stesso nel dì del Giudizio avanti il Tribunale di Cristo, in faccia del mondo tutto, vi rinfaccerò quanto v’ho predicato; chiamerò contro di voi stessi questo pulpito bagnato da’ miei sudori, queste mura battute dalle mie voci, quest’aria flagellata dalle mie invettive, e con tali testimoni accuserò i vostri delitti, perché  ne ricevano da Dio i meritati castighi. Ma che, mio Dio! La bontà di questo popolo non merita tanti rigori; giacché a caratteri di pietà vedo stampata ne’ loro volti l’emendazione. Deh, dunque, mio Dio, dirò: Visita quæsumus Domine civitatem istam. Vi supplico con quanto spirito racchiudo in cuore, perché con l’abbondanza delle vostre grazie, visitiate questa città, omnes insidias inimici ab ea longe repelle; togliete vi prego l’insidie, gl’inganni, i tradimenti, che possono turbarla. Tenete lontano da essa tutti gli inimici d’inferno, tutte le tentazioni, le passioni ribelli. Tenete lontano da essa le dissensioni, l’inimicizie, le guerre, le carestie, i terremoti, le pestilenze. Angeli Sancti habitent in ea, e fate che gli Angeli vostri a numerose squadre l’abitino: qui illam in pace custodiant, i quali la mantengano in una pace di Paradiso. Et benedictio tua sit super nos semper, e la vostra benedizione sia sempre sopra di loro. Benedite dunque, o mio Dio, questo sacro Clero, queste sacre Religioni, questa nobiltà. Benedite, o mio Gesù, quanti m’ascoltano, giacché con vero dolore e pentimento de’ loro peccati, si sono resi degni della vostra benedizione. Benediteli su, mio Signore: ma con le loro persone, contentatevi di benedire i loro figli, le loro consorti, i loro congiunti, le case, le famiglie: secondate i loro armenti, diluviate benedizioni sopra de’ loro campi, e benedite ciò che di buono hanno nel mondo: Benedictio Dei omnipotentis.

FINE.

QUARESIMALE (I)

QUARESIMALE (XXXVII)

QUARESIMALE (XXXVII)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711).


PREDICA TRENTESIMASETTIMA
Nella Feria seconda dopo Pasqua
.

Della Divina Beneficenza. S’ammirano le Divine Beneficenze e si
rimprovera l’ingratitudine di chi non corrisponde

Et aperti sunt oculi eorum et cognoverunt eum. San Luca Cap. XXIV, 31

.Se mai meritaste il titolo di fortunata, o Roma, certo allora fu, quando assunto al suo impero, Adriano, solo a caratteri di beneficenza ti si mostrò monarca. Questi appena stretto lo scettro, bramò subitamente più d’ogn’altra cosa, l’amore de’ cittadini, come gemma la più preziosa de’ diademi, e cercò d’obbligarsi il popolo, liberandolo dalle obbligazioni, e di renderselo debitore con l’esenzione de’ debiti. Gran somma gli doveva il pubblico, grande il privato, e tutto il valore ascendeva a sette milioni d’oro. Liquido appariva il debito, facile a convincersi dalle carte da’ chirografi, dalle autentiche scritture che si trovavano presso la camera cesarea. Adriano, dunque, per guadagnare l’amore de’ cittadini, e l’amor dell’Imperio, fece adunare nel Foro Trajano a gran fasci, quelle tante carte, e d’esse alzarsi in più mucchi un monte, indi a vista del popolo, con una torcia accesa di sua mano gli dié fuoco. Fortunata, replico, o Roma mentre sortiste un imperatore che sol bramava mostrarsi Signore col beneficare. Molto più però fortunato ognun di noi, mentre siamo creature d’un Dio che solo cerca mostrarsi assoluto Padrone col beneficare; ma noi a guisa di misere talpe non abbiamo occhi bastanti per riconoscere i diluvi delle benedizioni che di continuo ci dispensa a pro del corpo, a salute dell’anima. – Deh amabilissimo Redentore, rinnovate il miracolo, ed anche a noi, come a’ discepoli d’Emaus, aprite gl’occhi, acciocché vediamo le vostre beneficenze, e deploriamo le nostre ingratitudini. Se si nega a Dio il beneficare, gli si toglie l’esser di Dio, tanto asserì Clemente Alessandrino, allor che disse Deus esse cessaret, si unquam benefacere cessaret. Chi vuol conoscere, se veramente è proprio di Dio il beneficiare, basta che rifletta che anche prima di crearci pensò a beneficarci. Quando Iddio sul bel principio, creò il cielo e la terra, veduto che per mancamento di splendori rimaneva acciecato il mondo, perché tenebræ erant super faciem terræ, si risolse di produrre la luce, fiat lux, e dubitando che non fosse riuscita di tutta perfezione, esaminolla. O Dio, esaminar la luce, e non è ella al parer d’Agostino, il corpo più perfetto, più nobile e più bello che possa darsi, benché da altri puro accidente si stimi; non è ella chiamata da Ambrogio, Creaturarum omnium pulchritudo? Perché dunque esaminarla, interroga qui Oleastro, ed a sé stesso, rispondendo asserisce che solo l’esaminò, quia nobis eam erat traditurus. Sapeva che doveva servire all’uomo, e perciò vuole esaminarla per provvedere a’ nostri bisogni e perfettamente beneficarci, prima ancora che noi venissimo alla luce del mondo. Ah, che la Beneficenza Divina ha operato con noi a guisa della natura ne’ fonti: queste non nascono dove sgorgano, ma l’origine loro l’hanno sulla cima de’ monti. Così appunto il beneficio di Dio nella Creazione, non cominciò dal tempo in cui fummo creati, ma ebbe il suo principio fin dall’eternità. Opus novum, dice Agostino, sed consilium antiquum, l’opera è nuova, ma il disegno è sempiterno. – Prima dunque di crearci, cercò Iddio di beneficarci; e se ci creò, ci creò per motivo di beneficenza. E che ciò sia il vero, portatevi meco col pensiero fin all’Empireo, ove vedrete che quelle tre Persone Divine quasi non sapessero contenere dentro i confini dell’esser loro infinito, l’infinita abbondanza della loro gloria; determinarono fino ab æterno, come parlano le scuole, di comunicarla e di diffonderla. Ond’è che a tale effetto die’ l’essere a milioni d’Angeli, e si formò Adamo capo d’uomini innumerabili, affinché nello spirito di questi, quasi in urne d’oro si trasfondessero le divine beneficenze, tanto ci lasciò scritto San Gregorio Nazianzeno nella Orat. 42. Bonitati minima satis erat sua ipsius solum contemplatione moveri, sed bonum diffundi, ac propagari oportebat, ut plura essent que beneficio assicerentur. Non creò Iddio i nove cori degl’Angeli, perché solamente il lodassero colassù ne cieli, né formò gl’uomini perché solamente l’adorassero, e l’incensassero in terra; no! Ma diede l’essere, sì agl’uni, come agl’altri, per avere ove trasmettere i tesori delle sue grandezze, per aver a chi conferire le perfezioni del suo Essere; la santità della sua Grazia, per avere in somma con chi mostrarsi, che era tutto beneficenza. Ut plura essent, quæ beneficio afficerentur. Eccovi dunque creati, per mera beneficenza divina. V’ha dato l’essere, ma qual essere mai v’ha comunicato, miei uditori? Ah, che v’ha provveduti d’un corpo fabbricato con tant’arte con tanta sapienza, che Galeno poté sfidare tutti gl’uomini, e poteva egualmente sfidare anche gl’Angeli a mirar se in cento anni riuscisse loro di cambiare solamente il sito, o la forma d’una sola parte di questa grand’opera; senza stroppiarla, e toglierle qualche cosa del bello, e del nobile, che ella contiene. Omnia in sapientia fecisti, e questo è il meno, poiché al corpo mortale ha unito uno spirito immortale, formato ad immagine del suo Fattore, padrone delle sue azioni, fornito del libero arbitrio, con un intendimento capace di conoscere il suo Autore, d’ammirar le sue opere, di contemplare le sue divine perfezioni, con una volontà capace d’amarlo di possederlo, di goderlo per sempre. O bontà infinita quanto mai ti dobbiamo, per averci sì altamente beneficato, organizzandoci d’attorno questo corpo, ed infondendoci quell’anima immortale. E quanto più poi ti siamo obbligati, mentre non solo hai donato noi a noi stessi ma hai donato a noi tutto il creato. Una madre che abbia in seno il suo portato, certo è, che prima che venga il tempo di darlo in luce, apparecchia la culla, le fasce, e quanto fa di mestiere per allevar la creatura. Così appunto ha fatto Iddio verso di noi, ci ha provveduti d’un numero senza numero di creature destinate fin dal principio a sollevar la nostra indigenza, ad impiegarsi tutte a nostro pro. Quante fiere vivono ne’ boschi tutte per noi; quanti animali abitano la terra tutti per noi; quanti pesci guizzano nelle acque tutti per noi; quanti augelli volan per l’aria tutti per noi; per noi crescono le selve; per noi fioriscono i prati; per noi pendono frutti dagl’alberi; per noi la terra tutto produce; l’aria ci nutre; il cielo ci influisce. Non vi crediate però miei UU. che qui finiscano le Divine Beneficenze ne’ benefici fattici finora; ha impiegato, è vero, una infinita potenza, ma questa si è solo applicata sopra del nulla. Adesso vi paleserò un benefizio, che per farcelo impiega la sua potenza sopra di sé medesimo con quello sforzo che si richiede per esinanisti, il Dio della Maestà, fecit potentiam in brachio suo. Voi ben sapete, che per il peccato del nostro primo Padre Adamo, eravamo tutti condannati alle fiamme eterne: cosa ha fatto il nostro Iddio, è arrivato tant’oltre che per liberarci dall’infermo, ha spiccato dal suo seno Divino l’Unigenito suo Figliuolo, mandandolo in terra, cinto di questa nostra carne passibile e mortale. Fatto di Creatore, creatura; di Signore, servo; di Dio Onnipotente, uomo poverissimo, e dopo aver patito per trentatré anni continui disagi, s’è contentato che per nostra salute di dare il suo Santissimo Corpo ai flagelli, alle spine, ai chiodi, alla lancia, alla croce, morendo di morte sì penosa e disonorata, come un’infame ladro ed assassino di strada … Ut servum redimeres proprio Filio non pepercisti. Intendetela o Cristiani. Noi eravamo schiavi del demonio, e Iddio c’ha ricomprati con la sua morte. Deh, Serafini del Cielo, voi che come più vicini al trono di Dio, siete più disposti a saperne gl’altissimi segreti, diteci se mai potevate immaginarvi un eccesso di tanta beneficenza, che un Dio eterno dovesse prender carne, patire e morire, per riscattar dal fuoco eterno noi miseri vermiccioli della terra. Io non so capire che chi considera un sì gran benefizio, possa continuare a vivere tra peccati. Allorché Alberto (attenti) re d’Inghilterra guerreggiava nella Soria restò disgraziatamente offeso in un braccio, di ferita che poteva dirsi leggiera, se non glie l’avesse convertita in gravissima l’iniquo costume che regnava in quei barbari d’avvelenar le saette, e già si disperava la vita d’un sì gran buon re; attesocché l’unico rimedio che rinvenissero i medici a quella piaga, sarebbe stato trovar chi ne volesse succhiare con le labbra l’umore infetto; ma Alberto con moderazione ammirabile in un suo pari, ripugnava a tal cura come crudele, negando costantemente di non voler tramandare in alcuno, benché privato, il rischio della sua vita, reale sì, ma pur anche essa mortale. Non poté però con tutto questo difendersi dalle amorevoli insidie della regina consorte. Questa, mentre Alberto più profondamente dormiva, gli entrò cheta cheta di notte in camera, e, scopertogli il braccio, levò gentilmente la fascia dalla ferita, indi accostatavi più volte la bocca, ne succhiò ben bene il veleno, con quel cuore, che se era di donna, era però reale e così bevendosi la morte, dovuta al re per la ferita, a lei, per amore. Restarono sopraffatte le storie d’affetto sì generoso. Fu grande il benefizio di questa Regina in prender la morte per sé, per dar la vita al marito. Ma o quanto è maggiore quello di Dio, salito in Croce a morir per uno schiavo, ed uno schiavo che tante volte con tanti peccati l’avrebbe offeso. O Divina beneficenza, e chi mai abbastanza può comprendervi questo benefizio della Redenzione, miei Uditori, sì grande, che la medesima parola del Padre non può ridirlo adeguatamente agli uomini; onde ragionandone ne parlò come in cifra e disse: Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum Unigenitum daret. E a questo benefizio universale, ne ha pure aggiunto uno a voi specialissimo, ed è stato il farvi nascere nel grembo della Santa Chiesa Romana: se v’avesse fatto nascere tra’ Turchi, vivreste tra le sozzure di Maometto. Se foste nati eretici, vivreste tra le laidezze di Calvino o di Lutero. Se tra’ gentili adorereste le statue, i marmi, le cipolle, i serpi, e queste sarebbero le vostre deità; e Iddio benefico verso di voi, v’ha fatto nascere tra’ Cattolici, ove siete avvivato da tanti esempi, istruito dalla divina parola, vivificato con tanti Sacramenti, tra’ quali, contentatevi che io vi ponga sotto degli occhi quello della Penitenza, della Confessione, per cui vi giustificate, e da rei, divenite figli. Figuratevi che, navigando voi sopra d’un piccolo legno, foste venuto in poter de corsari, e che un pietoso benefattore senza conoscervi, senza sperar nulla da voi v’avesse con molto danaro ricomprato e ricondotto nella vostra patria; non credo già, che lascereste alcun termine di gratitudine verso d’un tal benefattore. Ma figuratevi di più, che la seconda e la terza volta voi foste ritornato nelle barbare mani, e che la seconda e la terza volta, dal medesimo benefattore amorevolmente foste stato riscattato: certamente le catene della vostra schiavitù non sarebbero state sì forti, quanto sarebbero forti le catene d’amore, con cui vi stringerebbe la gratitudine al vostro liberatore. Confesso il vero: mi vergogno d’applicare il paragone. Voi, con quel primo peccato mortale cadeste, non in mano dei corsari, ma de’ diavoli, le di cui catene non vi legavano il piè, ma l’anima, eravate destinati non alla fatica del remo per qualche tempo, ma ad un carcere eterno in mezzo al fuoco e ciò seguì, non per accidente, ma per vostra perversa volontà, che volle anteporre alla servitù di Dio, quella del demonio. E pure Iddio di propria mano ha rotte le catene e col prezzo d’un immenso tesoro v’ha riscattato, restituendovi la grazia perduta, per mezzo della santa Confessione. Una volta sola che Dio v’avesse fatto sì gran dono non sarebbe bastevole, né tanto lunga l’eternità per ringraziarlo; e pure Egli ha raddoppiato il benefizio, non una, ma due, ma tre, ma cento… o Dio, e più volte, cioè in ogni Confessione, e pure voi ve ne restate ingrati, ed il vostro cuore non sa dare una scintilla di corrispondenza. – Sebbene che meraviglia di ciò; i peccatori son materiali e grossolani, né si muovono, salvo da quel che veggono con gli occhi corporali e da quel che ricevono a benefizio del corpo. Se così è, dunque così io vi dico. Ah, che se io potessi battere ad ogni casa sarei sicuro di fare arrossire e confondere più d’un ingrato; poiché loro direi: Ditemi, di quanti benefizi ha Iddio cumulata la vostra famiglia, certo, che ciascheduno ne numererebbe infiniti. Chi liberò quel figlio dalla morte, chi rese la sanità a quel capo di casa, che se moriva precipitavano gl’interessi, chi benedisse quei campi, acciò rendessero ottimo il frutto; chi ridusse quelle mercanzie in porto, in cammino con felicità quei negozi, vi concesse quel figlio tanto bramato, chi…, chi? Se non il vostro Dio. Quante grazie vi son piovute dal Cielo: Quanti tesori ha sparso sopra di voi la benefica mano di Dio. Quante benedizioni sono diluviate sopra la vostra casa, la vostra famiglia, la vostra persona: sanità, bellezza, nascita, comodi, ingegno, talenti, non formano il mare di quelle Divine Beneficenze, nelle quali dal nascere fino al tramontar di vostra vita nuotate? Sì, dove è dunque la gratitudine, come fruttate a queste piogge, come baciate quella mano che vi benefica, come corrispondete a tante grazie? O Dio, o Dio, m’arrossisco a pensarvi, non che a ridirlo. Se si tratta di mondo e de’ nostri capricci, siamo tutti Argo, siamo tanti Briarei. Se si tratta di Dio, siamo tante statue; tant’ore del giorno, fra le quali non ne trovate neppure una mezza per darla a Dio, come liberamente le spendete, come volentieri l’impiegate ne’ giuochi, nelle conversazioni, sulla finestra, allo specchio. Quel danaro di cui siete sì poveri per pagar quei legati, per far dir quelle Messe, per ajutar quel mendico; come e come ne siete abbondanti per spendere nella gola, per comprare una vanità, per donare ad un saltimbanco, ad un commediante, ad una impudica. Quel figlio, quella figlia richieste da un principe della terra, si donano con allegrezza e ve ne stimate onorati. Se li chiede Iddio vi storcete, si addolora la casa e si riempie tutta di lacrime. Quella persona, che per formar serenate veglia le notti intiere; per correre dietro ad una fiera si strugge in sudori; per soddisfare ad una curiosità è tutta viaggi; se si tratta di Dio, non ha passo da muovere; non ha testa che regga; non ha braccia che possano, tutta è podagra, tutta è catarri, tutta dolori. O Dio, o Dio, tutto si dà al mondo, che è traditore, al senso, che è nemico, a’ demoni, che sono assassini; a Voi nulla, mio Signore; a Voi, che siete Padre, tutt’occhio per custodirci, tutto cuore per consolarci. Che stravaganze, che ingratitudini sono queste, miei uditori, chi non conosce i benefici divini è cieco; ma chi li conosce ed è ingrato, è un tronco, è una rupe, è più disamorato d’una tigre d’Ircania, più stolido d’un giumento d’Arcadia. Sì, si, le fiere stesse son pur grate a chi le beneficò; Officia, ci lasciò scritto Seneca, etiam feræ sentiunt. Se leggerete le storie, troverete, come un leone nella Soria non si saziava d’accarezzare un tal Mentor Siracusano, perché trassegli da un pié un pruno pungente; troverete, che un altro leone nell’Africa prestò servitù non ordinaria ad un tal Sammio, perché lo liberò dal travaglio, che gli causava un osso traversatogli in una mascella. Troverete, che una pantera tra’ boschi divenne non solo amica, ma custode fedele d’un uomo, che gli cavò pietosamente da un fosso i suoi teneri figlioletti. Deh lasciate ora che io esclami: Cristiani miei, peccatori seguitatemi, venite me che io vo’ condurvi là tra’ deserti , tra le rupi, tra le caverne, perché apprendiate dalle fiere la gratitudine che dovete usare con Dio. Queste beneficate da voi, si rendono se non altro più mansuete, odono le vostre voci, obbediscono a vostri cenni, seguono le vostre pedate, e non arrotano i denti per lacerarvi, se siete stati loro benefattori … Beneficia etiam feræ sentiunt . E voi verso Dio, tanto vostro benefattore, costumate affatto il contrario; anzi i più beneficati son quelli che più strapazzano Dio. Sentite a questo proposito ciò che racconta Erodoto: dice trovarsi al mondo alcuni popoli sì nemici del sole, che quando spunta gli vanno rabbiosi incontro, gli dicono degli improperi, gli scaglion pietre e saette: Non vi credeste già miei uditori, che questi fossero i popoli settentrionali, che quasi del tutto abbandonati dal sole, rare volte lo vedono, e perciò meno partecipano de’ suoi splendori, della sua bellezza, de’ suoi influssi; appunto, anzi questi subito che lo vedono, si portano a salutarlo, e lo ricevono con danze di cetre, e suoni. Inorridite, sapete quali sono i popoli che lo strapazzano? Quelli, verso de quali il sole è più benefico, secondando le loro miniere, e d’oro, e d’argento, quelli, a cui colma più i loro mari, e di coralli e di perle. Questi sono i popoli Atlantici. E non è vero, che tali siamo ancor noi di quelli appunto, de’ quali, dice San Gregorio, che, magis contra Deum elevantur, qui magis ditantur. Chi è più ricco, chi è più nobile, chi è più potente, questi più strapazzano Dio, quei che sono più beneficati. Vediamo questa verità in Jeroboamo nel terzo de’ Regi ed io v’assicuro che, se non fosse di fede, non mi indurrei a crederlo. Jeroboamo di servitore di Salamone, passò ad essere successore al padrone nella maggior parte del principato. Iddio gli spedì il Profeta acciocché gli desse l’investitura reale anche vivente Salamone. Or chi non avrebbe creduto, che il nuovo principe non dovesse esser gratissimo a Dio che tanto l’aveva beneficato, portandolo dalla servitù al regno, e l’aveva assicurato, che essendogli lui fedele, l’avrebbe sempre protetto, assistito e mantenuto nel Soglio. Ognuno avrebbe detto, che Iddio non era per aver principe più obbediente, e pure non passò molto, che l’empio Jeroboamo voltate le spalle a Dio, a dispetto di Dio, con pubblico editto proibì ogni pellegrinaggio in Gerusalemme, ogni gita al tempio. Né qui si ferma, fabbrica due vitelli d’oro, e chiama tutti i popoli ad un solenne sacrificio, e tanto fece, che deviò dal culto del vero Dio quei Popoli, Ecce Dii tui Israel. Questo è l’operare di tanti che, quanto più beneficati, tanto più voltano le spalle a Dio. Anzi nel tempo medesimo nel quale Egli con tanta liberalità vi benefica, l’oltraggiate. Ditemi uditori, che aborrimento non concepireste voi verso di uno il quale, allorché voi gli porgeste un regalo, egli vi desse uno schiaffo; oppure
quando voi lo liberaste da morte, egli vi girasse una stilettata, certo che scongiurereste il Cielo, perché piovesse saette sopra di quell’empio, o chiamereste a suoi danni le furie dell’inferno; e pure voi fate peggio contro di Dio, quando peccate; né solo voi l’offendete nel tempo stesso che vi benefica, ma vi servite degli stessi benefizi per oltraggiarlo. Peggio, chiedete grazie e benefizi di sanità, ricchezze ed ogn’altro bene temporale per esser superiore agl’altri, per sfogare i vostri appetiti, e così offenderlo con tanta maggior libertà, con quanta maggior liberalità vi benefica. O che ingratitudine! Sono arrivati gli uomini ad esser grati al diavolo, e non lo vogliono esser a Dio. Esortato un certo uomo a ritrattar la parola data al diavolo, e confermata la polizza scritta col proprio sangue di donargli l’anima… no! Rispose, no, gli sono troppo obbligato, perché m’ha fatto avere quanto ho bramato. Oh Dio, oh Dio! Ed a Dio? nulla. Specchiatevi nel seguente caso, ed in esso riconoscete la vostra ingratitudine. Io vi narro il successo, e voi in tanto siate giudici d’un imperatore, che vi conduco per reo. Basilio assai famoso tra’ monarchi d’Oriente, portossi un giorno per spasso a caccia dentro folti boschi, quando incontratosi in un cervo di smisurata grandezza, l’assaltò, l’arrestò, e già con l’asta stava per ucciderlo; il cervo bravamente schermandosi, tanto s’avanzò, che fittogli un ramo delle corna nel cingolo delle reni, già stava per togliergli la vita; accorse a caso sì funesto con la spada un gentiluomo, e tagliato con somma celerità il cingolo, salvò l’imperatore dalla morte. Divulgatosi la sera per corte la fama del caso, non vi fu neppur uno, che non si congratulasse col cortigiano a cui toccò in sorte di salvar la vita al suo principe. Ognuno si credeva che egli dovesse avere il primo luogo tra’ favoriti, ognuno gli augurava superbi donativi, splendide parentele, titoli speciosi. Quando l’ingratissimo imperatore, intollerante di vedersi debitore d’un inferiore, chiamato a sé il capitano della giustizia, sotto pretesto che il cortigiano avesse ardito di sfoderar ferro alla imperial presenza, ordina che pubblicamente gli sia tagliata la testa. S’eseguì l’empio comando con universale stordimento di quelli che videro palpitante sopra d’un palco colui che si credevano dover esser ammesso a parte del trono. Ecco il fatto esecrando. Ditemi, qual è il vostro sentimento verso del re? Io per me credo che, assieme con me, se voi l’aveste tra le mani, lo lacerereste con le unghie e lo sbranereste con i morsi. Ma piano, piano, perché un simil parlare è un sentenziar contro di voi. Certo è, che Dio ha fatto a voi maggiori benefici di quelli che Basilio ricevette dal cortigiano; finalmente il beneficio ricevuto da Basilio non fu altro che esser liberato dal pericolo della morte. Ma Dio immortale, da quanti mai di questi pericoli v’ha liberato Iddio nel corso de’ vostri anni, sì in terra, come in acqua, sì dal fuoco, come da aria; da uomini, da demoni. Ditemi, non sareste voi già ad abbruciar nell’inferno se Dio avesse dato licenza a quella febbretta che vi succhiasse le vene, a quel catarro che vi chiudesse le fauci, ad una cancrena che vi rodesse le viscere; a quella goccia che vi colpisse il cuore; ma no, Iddio vostro benevolo ha sfoderata la spada, v’ha liberato da tanti mali, e voi qual pariglia, qual guiderdone gl’avete reso? Udite, avete pigliato in mano martelli e chiodi, e di nuovo siete tornati a crocifiggerlo, iterum crucifigentes Filium Dei; e perché dunque sdegnarvi contro Basilio, mentre più ingrati e traditori siete voi verso di Dio? Arrossitevi della vostra ingratitudine, pensate alla corrispondenza dovuta, se non volete che quanto prima, diluvino sopra della vostra casa severissimi castighi.

LIMOSINA

Dio è verso di voi tutto benefico; e voi come fate benefizio ai poveri? Chiedete un poco a quel mendico a quanti ha egli oggi domandata la limosina: a venticinque persone, quanti l’hanno fatta? Dio sa, se neppur uno. Sono i poveri ridotti a tal segno, che possono dire col paralitico, Hominem non habeo. Perché infracidiscano nelle carceri i poveri prigioni, Hominem non babeo, non hanno chi stenda la mano a beneficarli. Perché stentano negli ospedali gl’infermi? Hominem non babeo, non hanno chi li soccorra; perché si muoiono di fame, quelle povere verginelle, chiuse ne’ sacri chiostri? Perché non son sovvenute da mano misericordiosa; perché vi sono di quegli uomini, i quali vogliono più tosto satollar le lupe d’un postribolo, che le Spose di Cristo.

SECONDA PARTE.

Navigava Alessandro il Grande per suo diporto, sopra d’un legno nel fiume Eufrate, a vista di quella sì felice e sì bella parte dell’Asia, compiacendosi col guardare, col godere, che l’occhio ancora si stendesse al possesso delle sue vittoriose conquiste. Sorgevano a tre ordini i remi, co’ quali volava sull’acque; quando non so se fosse o rabbia di vento, o insidia di fiume, cadde al monarca di capo il diadema in mezzo alla corrente; ma un nocchiero prestamente gettatosi a nuoto, tosto il ritolse all’acque, e per esser più libero con le braccia al nuotare, si pose il diadema in capo, e coronato si presentò al re. Mirollo Alessandro e tutto insieme premiò il valor delle braccia con isborsargli un talento, e punì la temerità del capo con fargli troncar la testa. Ecco le parole di Plutarco, Homini pro eo recuperato talentum donavit, sed quod illud capiti suo indigne posuerat, caput abstulit. Volle Alessandro esser riconosciuto per Signore non solo con la beneficenza, ma anche col castigo. Così appunto farà Dio, si farà conoscere per Dio con severi castighi a chi non l’ha voluto conoscere a caratteri di beneficenza. – Tanto appunto intervenne ad Eva prima fra le donne e madre di tutti i viventi. Sposa d’Adamo, compendio delle maraviglie Divine. Fu Eva sì ricca, che ebbe la monarchia dell’universo in dote; per sua stanza le fu assegnato un Paradiso di delizie. E che più poteva bramare, e pur fra tanti e segnalati favori non si lasciò mai cader dalla bocca una parola di gratitudine verso del suo Benefattore, anzi trasgredì i suoi comandi. Bene, eccola dunque, incorsa nelle mortali miserie, eccola diseredata di quel gran bene che godeva; bandita dal Paradiso, e sottoposta a’ dolori del parto esclama: possedi hominem per Deum. O Dio, eccola grata, eccola riconoscente de’ benefici divini. Non vi meravigliate, dice qui il Seleuciense, se Eva non volle riconoscere Dio a caratteri di beneficenza quando gli diede l’essere, quando la concede in moglie a marito sì qualificato, Lo riconosce ora, come punitore del suo fallo, docta cognoscere punitorem. O quanti sono i figli, quante sono le figlie d’Eva oggidì, i quali, allorché sono felicitati da Dio e favoriti con continue grazie, chiudono gl’occhi e vivono alla cieca, senza dare un minimo tributo al Benefattore Divino. So ben io perché così operano, mio Dio, la cagione è: perché troppo li beneficate. Deh, da’ benefici passate a’ castighi; fate che quel padre di famiglia perda l’annata, infirmategli la sanità, mandategli i travagli, e vedrete che apriranno gli occhi, e diranno come Eva: Ah, che non avendo voluto riconoscere Iddio a caratteri di beneficenza, adesso lo riconosco a’ castighi, doctus sum cognoscere punitorem. Che s’ha dunque da fare, mi dirà taluno, per corrispondere a’ Divini benefici? De’ quali tutti, ancorché miserabilissimi, o per nascita o per roba, siete circondati. – Che si ha da fare? Vivere secondo i suoi Comandamenti. Attenti, v’ha beneficato Iddio concedendovi la prole che bramavate; allevatela col suo santo timore. V’ha fatto nobile e ricco, sovvenite i poveri, e non v’insuperbite: ha posta la vostra bottega in credito, avvertite di non abusarvene con usure o con traffici illeciti. V’ha concesso sposa di vostro genio, vivasi dunque con fedeltà e pace; Vi perdonò i vostri peccati, perdonate voi le ingiurie al vostro nemico. La lingua detesti gli errori che commise ne’ giuramenti, nelle bestemmie, nelle mormorazioni! Gli occhi paghino con lagrime quei tanti sguardi che macchiarono e la propria e l’altrui coscienza; e finalmente corrispondete a quel gran benefizio de’ sacrosanti Sacramenti. Non ve ne abusate, e frequentateli almeno ogni mese, per estirpare i vizi, o per accrescimento di virtù. Sento voci di popolo obbligato, che mi risuonano alle orecchie. Padre … siamo
dolenti d’aver offeso un Dio che tanto c’ha beneficato, e per assicurarsi quanto
è possibile di non volerlo più offendere, vi preghiamo, che supplichiate l’Eterno Padre, che ci dia grazia di non commettere più peccati. Sì lo voglio fare, ed acciò che la supplica sia più accetta, la voglio stendere col sangue medesimo del suo Figlio. Angeli Santi, giacché le mie mani non ardiscono tanto, prendete voi vi prego, dal Sacro Costato qualche goccia di quel Sangue Divino, perché con esso stenda il memoriale. Ecco che do principio. Noi peccatori ben conosciamo d’aver corrisposto a’ vostri benefici con offese, e però pentiti di cuore ne domandiamo il perdono, con un fermo proposito di non più peccare. Fermate… Padre, fermate! E qual voce ardita m’interrompe opera sì degna? Fermatevi dico, voi stendete il memoriale a nome di tutti, ed io non prometto, non voglio abbandonar l’amicizia, non voglio licenziar di casa, voglio passeggiar quella strada, quella Chiesa ha da essere il teatro de’ miei amori. Fermate, dico, io son madre di famiglia, non prometto, no, perché ho caro che la mia figlia segua gli amori, la voglio comportar libera nel parlare, e sfrontata nel vestire, ed io non son decrepita e perciò bramo di vedere ed esser veduta. Fermate, vi dico, io son mercadante; non prometto, perché l’usura mi porta degl’utili, e le bilance non giuste mi danno de’ guadagni, né voglio restituire la roba male acquistata. Angeli, Angeli, dove siete … avete inteso? Tornate, vi supplico a ripigliar quel Sangue adorato, riponetelo nel Divin Costato, giacché i peccatori non vogliono che io con esso stenda la supplica. Ma no, lasciatelo, che giacché non lo vogliono per la salute, l’abbiano senza rimedio per loro perdizione. Ecco, che tutto io ve lo scaglio sull’anima, o peccatori ingrati a’ divini benefici; abbiasi da voi ostinati, da questo Sangue prezioso la dannazione, questo assai più del fuoco vi bruci nell’inferno; questo sia la bevanda, che assai più vi tormenti del piombo liquefatto; prendete iniqui, che io vi affogo dentro, perché v’abbiate un naufragio eterno, ed impariate a vostro costo che, chi non vuol conoscere Dio benefico, lo provi severo punitore per tutta l’eternità…

QUARESIMALE (XXXVIII)

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “QUUM DIUTURNUM”

Breve Lettera Enciclica, la Quum diuturnum, con la quale S.S. Leone XIII convoca un Concilio riservato a tutti i Vescovi dell’America Latina nella città sede della Sede Apostolica per promuovere, a maggior gloria di Dio ed a beneficio di tutti i popoli di quelle Nazioni, il Regno di Dio in terra. Questo succedeva nel 1898, mentre oggi dopo quasi un secolo e mezzo, si indicono sinodi per onorare le diaboliche divinità (Pachamama docet, abominevole sacrilego rito Maya della anti-Messa lanciato in Messico, il rito rosa+croce del signore dell’universo…) o per sdoganare e spacciare, sotto false teorie neo-sodomitiche di una lussuria mai vista sulla faccia del pianeta, mascherate col nome modernista ed ingannevolmente altisonante di “Gender”, il solito peccato che grida vendetta agli occhi di Dio… e tutti gli abomini del senso più depravato. Ma calma, il “pusillius grex” sa bene che la vera Chiesa è fedele al mandato di Cristo, ai Padri della Chiesa, alla teologia Scolastica, al sacro Magistero, per cui, alla luce della rivelazione e della dottrina, comprende perfettamente che quella è solo una mistificazione della setta satanica insediata nei palazzi apostolici dell’Urbe e dell’orbe intero, che cerca di trascinare con sé all’inferno quanti più tiepidi e confusi falsi cristiani, ignari colpevolmente della dottrina e della dogmatica cattolica, dalla quale avrebbero potuto e dovuto rendersi conto facilmente da chi fossero guidati, non certamente a popolare e costituire il Regno di Dio, bensì a sprofondare nel fuoco infernale dello stagno eterno della dannazione. Terribile sarà poi il giudizio per i finti o i veri prelati e religiosi che coscientemente sono stati ipocriti complici per salvaguardare i loro onori e prebende, essi che sapevano e dovevano difendere il gregge che Gesù Cristo aveva loro affidato e da essi invece esposto e consegnato ai lupi famelici ed ai demoni ruggenti. Che Dio abbia pietà di loro per i quali noi preghiamo perché possano ravvedersi quanto prima con sincero pentimento ed a gloria di Dio.

Leone XIII
Quum diuturnum

Lettera Enciclica

Indizione del concilio plenario dell’America Latina
25 dicembre 1898

Quando ripercorriamo il lungo corso del nostro Pontificato, vediamo che non abbiamo mai tralasciato nulla che riguardasse il rafforzamento e la promozione del Regno di Dio presso codeste genti. Certamente è tuttora presente in voi, venerabili fratelli, il ricordo delle azioni da noi compiute, con l’aiuto di Dio, a vostro favore. Non abbiamo affidato invano quei servizi della nostra prudenza al vostro zelo e alla vostra diligenza. Ora vogliamo che sia manifesta una nuova prova del nostro affetto verso di voi; cosa che già da tempo era nei nostri desideri. Infatti, fin dal tempo della celebrazione del IV centenario della scoperta dell’America, abbiamo cominciato a pensare con insistenza al modo in cui avremmo potuto mettere in rilievo le comuni origini latine, che il nuovo mondo detiene per più della metà. Arrivammo alla conclusione che a tale scopo la cosa migliore sarebbe stata che voi tutti, Vescovi di queste contrade, vi foste riuniti, su nostro invito e con la nostra autorità, per deliberare. Eravamo infatti convinti che, mettendo insieme la vostra sapienza e i frutti della prudenza che ciascuno di voi ha tratto dalla propria esperienza, avreste provveduto convenientemente affinché presso quei popoli, legati da una stessa stirpe o da una affine, si mantenesse salda l’unità della Disciplina ecclesiastica, si rinvigorissero i costumi degni della Fede cattolica, e la Chiesa si segnalasse pubblicamente per il comune impegno dei buoni. Mi persuadeva poi grandemente a tradurre in atto questo intendimento, il fatto che voi, interpellati al riguardo, aveste accolto con forte assenso una tale proposta. – Quando poi giunse il momento di attuare l’iniziativa, lasciammo a voi, venerabili fratelli, il compito di scegliere il luogo in cui vi sembrava opportuno tenere questo concilio. Dichiaraste allora, in massima parte, che sareste venuti assai volentieri a Roma, anche perché per molti di voi sarebbe stato molto più semplice raggiungere questa sede che non qualche altra lontana città americana, per la grande difficoltà di viaggiare in cedesti posti. All’annuncio di questa vostra scelta, non potemmo che dare il nostro più pieno assenso, perché essa conteneva un segno non piccolo del vostro amore verso questa Sede Apostolica. Anche se Ci dispiace, per le condizioni in cui ora ci troviamo, che Ci sia tolta la possibilità di trattarvi, mentre sarete a Roma, tanto dignitosamente e liberalmente quanto vorremmo. Perciò la Sacra Congregazione [per interpretare gli Atti] del Concilio [di Trento] ha il mandato da Noi conferitole di convocare per il prossimo anno a Roma il Concilio di tutti i Vescovi delle Nazioni dell’America Latina, e di emanare le norme adeguate che esso dovrà seguire. Intanto, come auspicio dei celesti favori e come testimonianza della nostra benevolenza verso di voi, venerabili fratelli, e verso il clero e il popolo a ciascuno affidato, impartiamo di tutto cuore l’apostolica benedizione.

Roma, presso S. Pietro, proprio il giorno della nascita di nostro Signore Gesù dell’anno 1898, XXI del Nostro pontificato.

DOMENICA DI PASQUA (2023)

DOMENICA DI PASQUA (2023)

DOMENICA DELLA RISURREZIONE.

Solennità delle Solennità.

Stazione a Santa Maria Maggiore!

Doppio di I cl. con ottava privilegiata. – Paramenti bianchi.

Come a Natale, così a Pasqua, la più grande festa dell’anno, la Stazione si tiene a S. Maria Maggiore.

Il Cristo risuscitato rivolge anzitutto al divin Padre l’omaggio della sua riconoscenza (intr.). La Chiesa a sua volta ringrazia Iddio di averci, con la vittoria del Figlio Suo, riaperto la via del Cielo e lo prega di aiutarci a raggiungere questo bene supremo (Oraz.) Come gli Ebrei mangiavano l’Agnello pasquale con pane non lievitato, dice S. Paolo, così noi pure dobbiamo mangiare l’Agnello di Dio con gli azzimi di una vita pura e santa (Ep., Com.) cioè, esente dal fermento del peccato. Il Vangelo e l’Offertorio ci mostrano la venuta delle Marie che vogliono imbalsamare il Signore. Esse trovano una tomba vuota, ma un Angelo annunzia loro il grande Mistero della Risurrezione. Celebriamo con gioia questo giorno nel quale Cristo, risuscitando, ci ha reso la vita (Pref. di Pasqua) ed affermiamo con la Chiesa, che « il Signore è veramente risuscitato » (inv.); secondo il suo esempio, operiamo la nostra Pasqua, o passaggio, vivendo in modo da poter dimostrare che noi siamo risuscitati con Lui.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.

R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps CXXXVIII: 18; CXXXVIII: 5-6.

Resurréxi, et adhuc tecum sum, allelúja: posuisti super me manum tuam, allelúja: mirábilis facta est sciéntia tua, allelúja, allelúja. 

[Son risorto e sono ancora con te, allelúia: ponesti la tua mano su di me, allelúia: miràbile si è dimostrata la tua scienza, allelúia, allelúia.]

Ps CXXXVIII: 1-2.

Dómine, probásti me et cognovísti me: tu cognovísti sessiónem meam et resurrectiónem meam. 

[O Signore, tu mi provi e mi conosci: conosci il mio riposo e il mio sòrgere.]

Resurréxi, et adhuc tecum sum, allelúja: posuísti super me manum tuam, allelúja: mirábilis facta est sciéntia tua, allelúja, allelúja.

[Son risorto e sono ancora con te, allelúia: ponesti la tua mano su di me, allelúia: mirabile si è dimostrata la tua scienza, allelúia, allelúia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Deus, qui hodiérna die per Unigénitum tuum æternitátis nobis áditum, devícta morte, reserásti: vota nostra, quæ præveniéndo aspíras, étiam adjuvándo proséquere. 

[O Dio, che in questo giorno, per mezzo del tuo Figlio Unigénito, vinta la morte, riapristi a noi le porte dell’eternità, accompagna i nostri voti aiutàndoci, Tu che li ispiri prevenendoli.] 

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 1 Cor V: 7-8

“Fratres: Expurgáte vetus ferméntum, ut sitis nova conspérsio, sicut estis ázymi. Etenim Pascha nostrum immolátus est Christus. Itaque epulémur: non in ferménto véteri, neque in ferménto malítiae et nequitiæ: sed in ázymis sinceritátis et veritátis.” 

[“Fratelli: Togliete via il vecchio fermento, affinché siate una pasta nuova, voi che siete già senza lievito. Poiché Cristo, che è la nostra pasqua, è stato immolato. Pertanto celebriamo la festa non col vecchio lievito, né col lievito della malizia e delle perversità, ma con gli azimi della purità e della verità”.] .

Fratelli: Togliete via il vecchio fermento. Comunque si vogliano intendere queste parole, che l’Apostolo indirizza ai Corinti, è certo che li esorta a vivere santamente, lontani da ogni peccato, tanto più che si avvicinava la solennità di Pasqua. « Non c’è uomo che non pecchi », dice Salomone (3 Re, VIII, 46). E si pecca non solo venialmente: da molti si pecca mortalmente con la più grande indifferenza. Forse cesserà il peccato di essere un gran male, perché è tanto comune? Una malattia non cessa di essere un gran male, perché molto diffusa; e il peccato non cessa di essere il gran male che è, perché commesso da molti. Dio, autorità suprema, ci dice: «Osservate la mia legge e i miei comandamenti» (Lev. XVIII, 5). E noi non ci curiamo della sua legge e dei suoi comandamenti, che mettiamo sotto i piedi. Quale guadagno abbiamo fatto col peccato, e qual vantaggio riceviamo dal non liberarcene? Se non hai badato al peccato prima di commetterlo; consideralo almeno ora che l’hai commesso. Col peccato avrai acquistato beni, ma hai perduto Dio. Avrai avuto la soddisfazione della vendetta; ma ti sei meritato un condegno castigo; perché « quello che facesti per gli altri sarà fatto per te: sulla tua testa Dio farà cadere la tua mercede » (Abdia, 15). Se non aggraverà su te la sua mano in questa vita, l’aggraverà nella futura. Avrai provato godimenti terreni, ma hai perduto il diritto ai godimenti celesti. Ti sei attaccato a ciò che è momentaneo, ma hai perduto ciò che è eterno. Ti sarai acquistata la facile estimazione degli uomini, ma hai perduto l’amicizia di Dio. Hai abusato un momento della libertà; ma sei caduto nella schiavitù del peccato. « Che cosa hai perduto, che cosa hai acquistato?… Quello che hai perduto è più di quello che hai acquistato » (S. Agostino Enarr. in Ps. CXXIII, 9). – Il peccatore, però, da questo stato di perdita può uscire, rompendo le catene del peccato. Egli lo deve fare. Dio stesso ve lo incoraggia: « Togliti dai tuoi peccati e ritorna al Signore » (Eccli. XVII, 21), dice Egli. « Io non voglio la morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via, e viva… E l’empietà dell’empio non nuocerà a lui, ogni qual volta egli si converta dalla sua empietà » (Ezechiele XXXIII, 11…. 12). Non si è alieni dal ritornare a Dio; ma non si vuole far subito. Si vuole aspettare in punto di morte. Ma la morte ha teso le reti a tutti i varchi, e frequenti sono le sue sorprese. Può coglierci da sani, quando nessuno ci pensa; può coglierci da ammalati; quando non si crede tanto vicina, o si crede di averla già allontanata. Non sono pochi quelli che muoiono senza Sacramenti, perché si illudono che la malattia non sia mortale, o che il pericolo sia stato superato. E poi, non è da insensati trattare gli affari della più grande importanza, quando non si possono trattare che a metà, con la mente preoccupata in altre cose? E nessuno affare può essere importante quanto la salvezza dell’anima nostra; ed è imprudenza che supera ogni altra imprudenza volerlo trattare quando il tempo ci verrà a mancare, quando non avremo più la lucidità della mente. – Nessuno che è condannato a portare un peso, aspetterebbe a levarselo di dosso domani, se potesse levarselo quest’oggi. Nessuno che ha trovato una medicina, che può guarire una malattia recente, si decide a prenderla quando la malattia sarà inveterata. Nel nostro interno c’è la malattia del peccato; non lasciamola progredire. Un medico infallibile, Gesù Cristo, ci ha dato una medicina per la nostra guarigione spirituale, la Confessione; non trascuriamola.

[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]

Alleluja 

Alleluia, alleluia Ps. CXVII:24; CXVII:1 Hæc dies, quam fecit Dóminus: exsultémus et lætémur in ea. 

[Questo è il giorno che fece il Signore: esultiamo e rallegriàmoci in esso.] 

V. Confitémini Dómino, quóniam bonus: quóniam in saeculum misericórdia ejus. Allelúja, allelúja. 

[Lodate il Signore, poiché è buono: eterna è la sua misericòrdia. Allelúia, allelúia.] 

1 Cor V:7 V. Pascha nostrum immolátus est Christus. 

[Il Cristo, Pasqua nostra, è stato immolato.]

Sequentia

“Víctimæ pascháli laudes ímmolent Christiáni. Agnus rédemit oves: Christus ínnocens Patri reconciliávit peccatóres. Mors et vita duéllo conflixére mirándo: dux vitæ mórtuus regnat vivus. Dic nobis, María, quid vidísti in via? Sepúlcrum Christi vivéntis et glóriam vidi resurgéntis. Angélicos testes, sudárium et vestes. Surréxit Christus, spes mea: præcédet vos in Galilaeam. Scimus Christum surrexísse a mórtuis vere: tu nobis, victor Rex, miserére. Amen. Allelúja.” 

[Alla Vittima pasquale, lodi offrano i Cristiani. – L’Agnello ha redento le pecore: Cristo innocente, al Padre ha riconciliato i peccatori. – La morte e la vita si scontrarono in mirabile duello: il Duce della vita, già morto, regna vivo. – Dicci, o Maria, che vedesti per via? – Vidi il sepolcro del Cristo vivente: e la gloria del Risorgente. – I testimónii angélici, il sudàrio e i lini. – È risorto il Cristo, mia speranza: vi precede in Galilea. Noi sappiamo che il Cristo è veramente risorto da morte: o Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi. Amen. Allelúia.]

Evangelium 

Sequéntia  sancti Evangélii secúndum Marcum. 

 Marc. XVI:1-7.

“In illo témpore: María Magdaléne et María Jacóbi et Salóme emérunt arómata, ut veniéntes úngerent Jesum. Et valde mane una sabbatórum, veniunt ad monuméntum, orto jam sole. Et dicébant ad ínvicem: Quis revólvet nobis lápidem ab óstio monuménti? Et respiciéntes vidérunt revolútum lápidem. Erat quippe magnus valde. Et introëúntes in monuméntum vidérunt júvenem sedéntem in dextris, coopértum stola cándida, et obstupuérunt. Qui dicit illis: Nolíte expavéscere: Jesum quǽritis Nazarénum, crucifíxum: surréxit, non est hic, ecce locus, ubi posuérunt eum. Sed ite, dícite discípulis ejus et Petro, quia præcédit vos in Galilǽam: ibi eum vidébitis, sicut dixit vobis.” 

[In quel tempo: Maria Maddalena, Maria di Giacomo, e Salòme, comperarono degli aromi per andare ad úngere Gesú. E di buon mattino, il primo giorno dopo il sàbato, arrivarono al sepolcro, che il sole era già sorto. Ora, dicevano tra loro: Chi mai ci sposterà la pietra dall’ingresso del sepolcro? E guardando, videro che la pietra era stata spostata: ed era molto grande. Entrate nel sepolcro, vídero un giovane seduto sul lato destro, rivestito di càndida veste, e sbalordirono. Egli disse loro: Non vi spaventate, voi cercate Gesú Nazareno, il crocifisso: è risorto, non è qui: ecco il luogo dove lo avevano posto. Ma andate, e dite ai suoi discepoli, e a Pietro, che egli vi precede in Galilea: là lo vedrete, come vi disse.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA GIOIA PASQUALE

Sulle colline d’oriente aleggiava una bianca speranza. In quel lume mattutino, astratte ancora nell’angoscia dei giorni precedenti, già le pie donne ascendevano al Sepolcro divino, portando profumi. Erano quattro, perché a Maria di Magdala e a Maria di Betania s’erano accompagnate Giovanna di Cusa e Salomè. Quando furono al Sepolcro, ammutirono dallo spavento: la grossa pietra di chiusura era rovesciata indietro. Avevano dunque profanato la salma di Gesù? Timorose entrarono: un giovinetto, seduto a destra, pareva aspettarle. « Non vi spaventate! Cercate forse Gesù Nazareno? Ma è già risorto: non è più qui ». Le donne, tutte e quattro, trepidanti di spavento e d’allegrezza, si precipitarono fuor del sepolcro. Il sole, che s’era oscurato nell’ora della morte, sfolgorava, come mai, giù dai monti annunciando la resurrezione. Alleluia! Alleluia! Cristo è risorto: la morte fu vinta; fu vinto il peccato; fu vinto l’inferno. Alleluia! squillano le campane nel cielo di primavera, in ogni angolo del mondo sotto ogni latitudine. Alleluia! oggi risuona sui monti silenziosi, oggi, sulle pianure tumultuanti. Alleluia! Oggi si ripete tra gli ardori della zona equatoriale come fra le capanne incavate nel ghiaccio dagli esquimesi; accanto alla pagoda di Brahama, presso la moschea di Maometto: dovunque un missionario cattolico ha levato una croce, ha innalzato un altare. È Pasqua: è il giorno sospirato, il principio d’ogni nostra letizia, il fine d’ogni dolore. Cristo non è più lacero, non è più crocifisso, non è più morto; ma integro, glorioso, trionfante. Alleluia! Dal giorno della Resurrezione tutto è diventato gioia per i veri discepoli di Gesù Cristo: gioia è vivere; gioia è morire; gioia è risorgere nella propria carne. – 1. GIOIA È VIVERE . Vi sembrerà strano udire che gioia sia per noi la vita quando continuamente sperimentiamo d’essere in una valle di lacrime, ove non passa giorno senza una pena.  Eppure è così: noi abbiamo il mezzo per trasformare la nostra vita di sofferenza in una vita di santa letizia. Ce lo insegna S. Paolo: Ut quomodo Christus resurrexit a mortuis, ita et nos in novitate vitæ ambulemus. Come Cristo risuscitò da morti, così ancor noi dobbiamo risorgere dal peccato e camminare per una via nuova. Sopra questa strada nuova del bene, dell’onestà, della fede, noi troveremo la gioia di vivere. Guardate il popolo di Israele fuggitivo dal servaggio brutale degli Egizi: Faraone col ferro alla mano; coi carri, con un esercito d’armati li rincorre, li incalza, li raggiunge, ormai è sopra a loro; gli Israeliti ansanti sono stretti tra il mare che mugghia davanti, e le lance che trafiggono alle spalle. Terribile agonia. Alza Mosè la verga e tocca le onde: ecco, e i flutti si calmano e il mare sì divide dal mare ed una strada si apre sul fondo e tutto il popolo del Signore si precipita per quella. Il sentiero riesce così delizioso che invece d’arena e di ghiaia è lastricato di fiori. Campus — così lo descrive la Storia Sacra — germinans flores de profundis aquarum. Questa è un’immagine delle anime devote che fanno veramente Pasqua: voltano le spalle all’Egitto dei mondani piaceri e dei peccati e camminano dietro a Gesù risorto. Voltiamo anche noi le spalle alla nostra vita passata lontano dalla legge di Dio, dai santi Sacramenti, e proveremo nel nostro cuore una gioia ed una pace non gustata fin qui. Davide esclama: « Il Signore non lascia mancar nulla a quelli che camminano nell’innocenza ». Non dico che non ci saranno più dolori; ma anche i dolori toccati dalla croce di Gesù, come da una verga miracolosa, diverranno gioie essi pure. « Ogni pena mi è diletto » canta S. Francesco. E santa Teresa di Lisieux meravigliata, diceva: « Come va, Signore, che anche in mezzo ai dispiaceri non posso più patire? ».2. GIOIA È MORIRE. La cosa più paurosa che v’è sulla terra è la morte. Sentirsi male in tutto il corpo, non trovar sollievo un istante per giorni e veder il mondo sfumar in una nebbia densa, non sentir più nulla, scendere sotterra nell’oscurità, tra le zolle grevi e fredde del camposanto… Oh è terribile! Ma Gesù Cristo, risorgendo per propria virtù, ha reso lieta la morte e piena di beate speranze. Per il navigante che ha traversato gli oceani in burrasca è forse spaventoso entrare un bel mattino nelle acque placide del porto? Per il soldato che è vissuto mesi e mesi nel fango d’una trincea, tra l’ululo dei proiettili e gli scoppi terribili delle bombarded, è forse spaventoso il giorno in cui potrà ritornare al suo paesello, nella sua casa, rivedere suo padre che l’attende sulla soglia, con le braccia spalancate per comprimerlo in estasi sul suo cuore? Per l’operaio che ha lavorato duramente per tutta la settimana, e s’è logorato sulla fatica, è forse spaventoso il sopraggiungere della sera del sabato, quando lo chiamerà il padrone, per donargli una generosissima ricompensa? Così è la morte per i veri Cristiani. « Per me — scriveva s. Paolo — morire è un guadagno (Philip., I, 21). io desidero la morte, perché mi unirà a Cristo (Philip., I, 23). Ma quando, finalmente, sarò liberato da questo corpo mortale? » (Rom., VII, 24). Il vecchio Vescovo Ignazio d’Antiochia, pochi giorni prima del martirio così scriveva ai Romani: « Quando godrò la felicità di essere dilaniato dalle belve feroci? « Ah, si affrettino a farmi morire e a tormentarmi; di grazia, non ri risparmino. Se le belve non verranno da me, le obbligherò io a sbranarmi ». – « Perdonatemi, figliuoli, questi trasporti! so quello ch’è bene per me. Che mi si faccia soffrire il fuoco, le croci, le zanne delle bestie feroci; sono pronto a tutto purché possa godere Gesù Cristo ». Ecco che cos’è la morte: il principio dell’eterno godimento. I primi Cristiani chiamavano il giorno della morte dies natalis, giorno di nascita perché chi ha vissuto cristianamente, morendo nasce alla vera vita, quella del Paradiso. Santa Teresa esclamava: « Io muoio di non poter morire ». E quando in Roma scoppiò la peste, S. Luigi Gonzaga con le lacrime scongiurò i superiori suoi di lasciarlo andare negli ospedali ad assistere gli appestati. « Ma non sai che la peste ti può colpire, e tu sei tanto giovane? ». Il Santo desiderava la morte. Ed una sera tornò a casa dopo aver assistito i moribondi, dopo aver baciato le loro piaghe violacee, tornò giulivo, ma con il male nel sangue. — Padre, — diceva al suo confessore prima di morire — mi permette che mi flagelli. « Non vedi che neppure ne hai la forza? ». — Mi farò battere, da capo a piedi, da un compagno. « Non parlare così… ». Lieta è la morte per i Cristiani perché dietro la morte c’è la vita. C’è il Paradiso. C’è Gesù risorto, là, ad aspettarli nella sua gioia eterna. – 3. GIOIA È LA RESURREZIONE DELLA CARNE. Una madre, a cui da poco tempo eran morti due figlioli, udì parlare del giudizio finale e della resurrezione della carne. « Dunque, — diceva estasiata — i miei due figliuoli li vedrò ancora, ancora potrò accarezzarli? Vedrò il loro viso buono, li bacerò ancora, ma non più piangendo come li baciai, freddi freddi, prima di ricomporli nella bara. Ma quando sarà? ». « Quando le trombe degli Angeli squilleranno l’ora del giudizio finale ». E quella madre, quasi impaziente di rivedere i suoi figli: « E perché — disse — quel giorno non è domani? ». Chi non piange qualche caro parente defunto? Forse la madre, forse un fratello, forse lo sposo? Quante volte non ci assale un violento desiderio. di rivederne le fattezze, di riguardare nei loro occhi mesti; di riudire la loro voce quale l’udimmo in ore beate? Ebbene, il mistero della Pasqua ci dona una grande consolazione. Noi li rivedremo: non solo rivedremo i loro spiriti, ma anche i loro corpi gloriosi, li rivedremo così come li abbiamo conosciuti e amati sopra la terra. La resurrezione di Gesù Cristo è garanzia della nostra resurrezione. I membri di un corpo devono essere conformi alla testa. Ora, Cristo nostro capo è risorto con la sua carne da morte e non muore più. Per conseguenza gli uomini che sono le membra di Cristo risorgeranno essi pure coi loro corpi e non morranno più. Ma, allora, il terribile giorno dell’ira di Dio — dies iræ — per i Cristiani sarà un giorno di gioia, il giorno della gioia completa. – Alleluia! È passato l’inverno della maledizione, è venuta la primavera dell’amore; è passata la schiavitù del demonio, comincia il dolce regno di Dio. Alleluia! gioia è la vita; gioia è la morte; gioia il risorgere. Ma chi ci rese così lieta l’esistenza? Gesù Cristo. Fu Lui, con la sua incarnazione, con la passione, con la resurrezione. Se dopo tutto questo c’è ancora qualcuno che non ama nostro Signor Gesù Cristo, sia scomunicato (S. PAOLO). — LA NOSTRA RESURREZIONE. La resurrezione spirituale che ogni Cristiano deve compiere, è il principio della gloriosa resurrezione dei nostri corpi. Omnes quidem resurgemus (I Cor, XV, 51). – 1. LA NOSTRA SPIRITUALE RESURREZIONE. Un granello di frumento un giorno cadde dalle mani del seminatore nel solco violetto d’un campo smosso di recente: e sparì nella terra.  Il granello sentendosi oppresso mormorò « Io muoio ». Caddero le piogge autunnali a macerare il terreno ed una grande umidità penetrò fino a lui. Il povero granello sentendosi tutto rammollito, mormorò con un fil di voce: « Io muoio ». Non più calore, non più luce, non più sole. Il granello, sentendosi fradicio, sospirò senza voce: « È finita! ». No, no, piccolo granello, non è finita! Ed eccolo mandar fuori impercettibili radici, e poi uno stelo esile come un ago, che passò nella terra e giunse nel sole, poi crebbe fino a dare una spiga stupenda. Ecco simboleggiato quello che ogni Cristiano deve compiere in se stesso dopo che Cristo è morto e risorto per noi. Dobbiamo cominciare una vita nuova: ma prima però è necessario distruggere la vecchia vita: quella in cui il peccato ci ha induriti e chiusi come un seme. Bisogna quindi lasciarci cadere nel solco sotto la terra: ossia ritirarci nel silenzio della Chiesa e nella preghiera, e decidere quello che bisogna fare per la salute nostra eterna. Decidere con fermezza e con coraggio, se vogliamo veramente risorgere. Non importa se bisognerà lasciare certe abitudini che ci sono care o comode; non importa se saremo costretti sotto al duro giogo della mortificazione nei nostri sensi, e se ci sembrerà di morire come il piccolo granello di frumento. Via, dunque, dal nostro cuore affetti o relazioni impure: basta con quei luoghi, con quelle amicizie, con quei divertimenti; basta con gli odi, con le gelosie, con l’avidità del denaro, della roba altrui. Bisogna risorgere! Non spaventatevi se questa resurrezione dello spirito vuol dire prima sacrificio e rinnegamento: Iddio saprà infondere a queste lotte intime e dure tanta gioia che voi stessi ne sarete meravigliati. Ernesto Psicari, il convertito nipote di Renan, esclamava: « Mio Dio! Non avrei mai creduto che fosse così facile e così soave l’amarti! ». – 2. LA NOSTRA CORPORALE RESURREZIONE. S. Monaco scita, gran servo di Dio, morendo, atteggiò le labbra a un sorriso. I circostanti, piangendo, gli chiesero perché sorridesse ed egli rispose semplicemente: Ho sorriso perché voi avete paura della morte, mentre essa è così amabile! ». Ed aveva ragione. Ma cos’è la morte, dopo che Cristo l’ha vinta, risorgendo? Non è più l’inesorabile dea che con la falce spinge nelle tenebre i poveri uomini, ma essa per il Cristiano non è che una breve partenza dell’anima dal corpo. È l’anima che saluta il suo corpo: « A rivederci, fratello! abbiamo combattuto insieme la battaglia del Signore, abbiamo servito il nostro Padrone, gioendo e patendo insieme. Ora sei stanco e ti lascio riposare: ma dopo il tuo breve sonno, allo squillar della tromba angelica, ritornerò a riprenderti, ma per godere, sempre, senza stancarti più! ». – Ecco perché S. Francesco cantava: « Lodato sia il mio Signore, per la sorella morte corporale! ». Resurrexit: non est hic. O morte, dov’è la tua vittoria? Se Cristo, primizia dei dormienti, è risorto, anche noi tutti dobbiamo risorgere nella nostra carne. Omnes quidem resurgemus: è dogma di fede. Cristo è il nostro capo: noi siamo le sue membra: e tutti con Lui formiamo un corpo unico. Ma ogni membro segue le sorte del capo: e s’Egli muore, tutte le membra morranno; ma s’Egli risorge tutte le membra risorgeranno. Cristo è passato — avanti a noi — con la sua voce; e vuole che tutti lo seguano, portando la croce. Ma Cristo è gloriosamente risorto: e perché tutti quelli che l’avranno seguito nel patimento, non lo dovranno seguire nella gloria? La morte è pena del peccato: ma il peccato fu asterso da Cristo: anche la morte, dunque, dovrà essere infranta. Resurgemus! È questo il grido di Giobbe: « So che il mio Redentore vive. Ma so anche che, nell’ultimo giorno, io pure risorgerò a vederlo con questi occhi miei ». È il grido dei Maccabei morenti: « Tu, o tiranno, potrai disperdere le nostre povere ossa, ma il Re immortale le farà risorgere ». È la parola chiara e infallibile di Dio: « Io sono resurrezione e vita » E allora: dove è, o morte, la tua vittoria se discendiamo nella fossa solo per aspettare la resurrezione? Et exspecto resurrectionem! – Prepariamoci alla gloriosa resurrezione dei corpi, con la resurrezione dal peccato e dalla tiepidezza. Filippo II di Spagna vegliò una notte intera per scrivere una lettera di somma importanza al Papa. Quand’ebbe finito, distratto dalla fatica e dal sonno, invece di versarvi la sabbia per asciugare, vi rovesciò l’inchiostro. Filippo impallidì: ma poi raccogliendo il suo coraggio, disse: « Cominciamo da capo ». Oh! se nella nostra vita ci sono stati dei momenti di sonno e di distrazione, in cui abbiamo rovesciato l’inchiostro dei peccati sull’anima nostra, oggi — che è Pasqua — è proprio il momento opportuno di dire: « Cominciamo da capo ».

IL CREDO

Offertorium 

Orémus 

Ps. LXXV: 9-10.

Terra trémuit, et quiévit, dum resúrgeret in judício Deus, allelúja. 

[La terra tremò e ristette, quando sorse Dio a fare giustizia, allelúia.]

Secreta

Súscipe, quaesumus, Dómine, preces pópuli tui cum oblatiónibus hostiárum: ut, Paschálibus initiáta mystériis, ad æternitátis nobis medélam, te operánte, profíciant. 

[O Signore, Ti supplichiamo, accogli le preghiere del pòpolo tuo, in uno con l’offerta di questi doni, affinché i medésimi, consacrati dai misteri pasquali, ci sérvano, per òpera tua, di rimédio per l’eternità.] –

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

Paschalis

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre: Te quidem, Dómine, omni témpore, sed in hac potíssimum die gloriósius prædicáre, cum Pascha nostrum immolátus est Christus. Ipse enim verus est Agnus, qui ábstulit peccáta mundi. Qui mortem nostram moriéndo destrúxit et vitam resurgéndo reparávit. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare: Che Te, o Signore, esaltiamo in ogni tempo, ma ancor piú gloriosamente in questo giorno in cui, nostro Agnello pasquale, si è immolato il Cristo. Egli infatti è il vero Agnello, che tolse i peccati del mondo. Che morendo distrusse la nostra morte, e risorgendo ristabilí la vita. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio 

1 Cor V: 7-8

Pascha nostrum immolátus est Christus, allelúja: itaque epulémur in ázymis sinceritátis et veritátis, allelúja, allelúja, allelúja.

[Il Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato, allelúia: banchettiamo dunque con gli àzzimi della purezza e della verità, allelúia, allelúia, allelúia.]

Postcommunio 

 Orémus.

Spíritum nobis, Dómine, tuæ caritátis infúnde: ut, quos sacraméntis paschálibus satiásti, tua fácias pietáte concordes. 

[Infondi in noi, o Signore, lo Spírito della tua carità: affinché coloro che saziasti coi sacramenti pasquali, li renda unànimi con la tua pietà.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (246)

LO SCUDO DELLA FEDE (246)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (15)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

2. Contempliamo, come si rivela la essenziale Bontà di Dio, per salvare gli uomini, nel SACRIFICIO che si rinnova nella SANTA MESSA, che soddisfa i sommi bisogni dell’umanità.

La Messa è Sacrificio Latreutico, di adorazione.

Il primo bisogno dell’uomo è l’essere giusto: e la prima sua giustizia è render tutto a Dio, da cui tutto ha ricevuto. L’uomo posto a capo di tutte le creature in terra, poiché partecipa di tutte, ha un sublime dovere da compiere a nome di tutte. Esso, vivendo sulla terra, da tutte le cose che lo circondano assorbe gli elementi, gli assimila a se stesso, li tramuta, gli unifica nell’unità della sua persona, umanizza, per dire e personifica in sé le materiali cose. La terra, le piante, gli animali entrano in certe proporzioni in lui: e come egli ha in sé una porzione di tutte le cose, così è il rappresentante di tutte. Molteplice ed uno, comunica, se così ci lice spiegarci, il suo sentimento alle cose di questo mondo della materia, ed alle corporali cose impresta della sua mente e del suo cuore, per conoscere ed amare il Creatore e Padre di tutto. Più ancora, terreno del corpo colle creature terrene; ma spirituale dell’anima slanciasi in un orizzonte più sublime, nel mondo degli spiriti. Contempliamo! Egli si eleva fino al cielo ….. ha una missione da compiere a nome di tutti gli esseri di questa cerchia mondiale col Signore dei mondi. Lo ha da adorare, cioè rendergli l’onore dovuto. L’onore dovuto in giustizia deve essere grande secondo la grandezza di Lui, che si deve onorare: Un amico con un saluto si onora abbastanza; ad un personaggio di merito illustre, si riconosce il merito suo al nostro rispetto con un inchino; a render omaggio alla maestà del sovrano, s’inchina davanti la bandiera della nazione che pende dai suoi cenni; al rappresentante del Dio in terra, il Pontefice, si baciano i piedi. A terra adunque, a terra innanzi a Dio, cadiamo subissati nel nulla della nostra miseria! Anzi vorremmo fare di più… deh! non possiamo far altro che innalzare i voti dell’umiltà al Padre di tutti i beni, e domandargli il mezzo da poterlo onorare! « Deh! Venga ogni uomo, deve dire col filosofo Platone interprete dei voti dell’umanità, deh! Venga chi ci aiuti ad adorare Dio in modo degno di Dio! » O diremo meglio colla parola che sa dire tutti i bisogni dell’uomo; deh! venga Colui, che nel più gran libro del mondo è chiamato col nome più bello «Il desiderato delle genti. » Sì, è venuto il Mediatore divino, e Dio Uomo, è Gesù Cristo! – Egli è Verbo divino, per cui furono fatte tutte le cose. Egli, come, per provvedere in natura ai bisogni della vita materiale nel tempo ha posto i viventi intorno ad un serbatoio inesauribile di alimenti, che è la terra: così al bisogno che hanno gli uomini di Dio, provvide divinamente facendosi Uomo-Dio, e ponendosi in sacrificio in mezzo a noi. Lasciamo fare a Lui. Egli, Creatore che è della materia e dello spirito, piglia nella mano onnipotente il pane ed il vino; trasmuta la loro sostanza nella sostanza del suo Corpo e Sangue; sicché il pane non è più pane, il vino non è più vino: ma sono transustanziati in Lui; e Gesù sotto le specie delle materiali cose, uomo con noi, Dio col Padre, cade sull’altare, adora Dio umanamente in modo degno di Dio! Deh! Questo è un ingegno divino; e nessun degli uomini, e neppur degli angeli sarebbe giunto a questo Mistero; ma ora che ci è rivelato con una lucidezza che spaventa il pensiero, pare a noi di poter dire, che senza il sacrificio della santa Messa il mondo non giungerebbe ad ottenere il suo fine, il mondo sarebbe (oh! ci si perdoni l’ardita espressione) un’opera fallita in man di Dio…; ma nella santa Messa il Padre che ab eterno conosce se stesso nel Figlio, e per Lui misura, per così dire, la forma della sua Divinità nella Sostanziale sua Immagine, vedendo Gesù, che gli cade a nulla umiliato, annientato davanti per dargli onore, da tale subisso d’umiltà e di ossequio si vede a riflettere pel Divin Figlio tale un grandissimo onor smisurato, che corrisponde alla grandezza di Dio. Così anche noi veniamo a conoscere la grandezza di Dio medesimo; vediamo che vi si voleva un Dio per adorarlo divinamente; né Dio stesso poteva aspettarsi un’adorazione maggiore! Gloria a Lui, gloria a lui per sempre!

È Sacrificio Eucaristico di ringraziamento.

Chi è Dio? Se interroghi l’universo, chi è Dio?dice s. Bernardo, l’universo ti risponde: è il Principio e il Fine di ogni cosa. Egli crea gli esseri aparteciparlo, li vivifica a sentirlo, crea le anime aconoscerlo, le santifica a meritarlo, le perpetua all’immortalità, per alimentarle di sua beatitudine eterna. Così perché tutto viene da Dio, è primaria giustizia, di tutto ringraziare Dio. Ringraziare vuol dire: rendere il merito del ben ricevuto al donatore, e come dicono i latini referre gratias, cioè riportare all’Autore del bene, se non la grazia ricevuta, almeno la gratitudine pel bene che si gode dalla sua bontà. Noi l’abbiamo conosciuto e come Dio è il gran Padre di tutti; su, su, adunque ritorniamo a Lui, per benedirlo, per amarlo per sempre. Figliuoli degli uomini, perché vi perdete in questi nonnulla della terra? Sentite il cuore che vi palpita in seno? Il palpito del cuore è uno slancio del cuore umano, irrequieto sempre, finché non giunga ad essere beato in Dio: e la vita del Cristiano deve essere un continuo tendere a Dio, elevarsi a Dio, riferire tutto a Dio: sì, la vita nostra è ringraziare Dio. Ah! la Madre Chiesa, che esprime il rapporto degli uomini con Dio, questa sposa divina che ben conosce addentro il Cuore di Dio abbassato cogli uomini, non seppe chiamare meglio il suo Gesù in Sacramento, che col nome di Eucaristia, che vuol dire Ringraziamento: perché qui la vita di Gesù è vita di ringraziamento! Veramente è da piangere di consolazione nel vedere come la Chiesa, quando canta il Te Deum in ringraziamento intorno al ss. Sacramento, ci fa levare in piedi, quasi ci pigli per mano, e poco men che non diciamo, ci pigli in braccio nei trasporti di sua gratitudine e mettendoci in seno a Gesù nel Sacramento, ci voglia dire: « su figliuoli, su lodiamo Dio: Te Deum laudamus; e non saremo delusi d’ogni bene noi, che in Lui speriamo: In te, Domine, speravi, non confundar æternum! » La Messa adunque è il gran Sacrificiodel più degno ringraziamento al gran Padre dellabontà. -E qual ringraziamento nella Messa! Gesù è quicon noi: fu d’uopo che si sacrificasse? Ed è sacrificato…Come l’ha promesso, qui piglia in braccioi figli del suo Sangue, e corre dall’altare inseno al Padre a portargli l’umana natura divinizzata e degna di amarlo eternamente. Noi rapiti;colle lagrime di gratitudine infinita possiamo esclamare: « Buon Dio, ecco, ecco che il bene viene dallavostra bontà, e che alla vostra bontà ritorna a rimeritarvi!Dio onnipotente! No, non potevate dall’operadella vostra creazione aspettarvi di più diquanto vi vien offerto. Sì, veramente la terra ha dato il frutto suo, quando dalla terra s’innalza il Verbo vostro ad offrirvisi, in ringaziamento. » Anche pare a noi di poter dire (ci perdoni ancora, se nella povertà del nostro linguaggio non troviam parola umana a dire propriamente così divini misteri) che in Gesù Cristo in sacrificio facciamo a Dio godere quasi moltiplicati gli atti della intima Vita sua divina!… Cielo e terra, contemplate il mistero!… Adoriamo….. Qui sull’altare il Padre si specchia nel divin Figliuolo; dall’altare il Figlio torna in seno al Padre: e dall’uno e dall’altro spira l’Amore Divino, che coopera alla grand’opera della carità. Grand’Iddio! possiamo noi farci d’appresso, e più fortunati che il vostro servo Mosè, contemplarvi così vicini?…. Oh, ammirabil mistero!….. Ci pare di comprendere ora ciò che ci aveva detto Gesù: che ci avrebbe attirati a Sè, per portarci col Padre suo in Paradiso. Egli ecco, è qui; e noi gli siamo d’intorno, anzi siamo incorporati con Lui: da Lui spira lo Spirito Santo, che lo porta in seno al Padre: e con Gesù…. (ma ardiremo di dirlo ?) ha da portar noi e sommergerci nell’oceano di sua Beatitudine eterna !…. Oh subisso di divina bontà! c’ingolferemo ben addentro… in paradiso!

È Sacrificio propiziatorio.

Si offre per espiare i peccati; essendo che ogni pontefice, dagli uomini assunto, viene costituito a trattar per gli uomini con Dio, e per offrire doni e sacrifici per li peccati (Hebr. VII, 2.); e a redimere ì peccati, fa d’uopo che si versi il sangue in sacrificio (Ibi, IX, 22). Vi è qui un mistero profondo, la cui verità, mentre è sentita sì vivamente dalla intiera umana famiglia, ed ha nella storia dell’uman genere troppe prove della sua esistenza, trova una ragione solamente nella Religione cattolica (Rossely. loc. cit.). Ecco difatti il peccato, insegna S. Tommaso, entra per tutti gli uomini per la generazione umana (S. Thom. q. 4, De malo, art. 1, in corp.). Questa si comincia a trasfondere in essi per un elemento di cui il materiale principio è il sangue: Dio poi crea l’anima, la quale, unita alla carne irrorata di sangue, si trova per la viziata generazione in peccato (« Quanti nacquero dal sangue e dalla carne non diverranno figliuoli di Dio. » Io 1). Ora nei sacrifici, per dare soddisfazione del peccato, pare che non si sappia far meglio che versare il sangue, siccome il primo veicolo materiale della umana natura, che dal primo uomo in tutti sì trasfonde viziata in peccato. E che fa adunque Gesù Cristo nella santa Messa? Egli buttando via dall’altare santo ogni altro sangue di vittima morta, che non può piacere al Dio vivente; Egli Pontefice che mai non muore, offre, per man del Sacerdote, se stesso come vittima immortale e santissima. Così sull’altare mostrando il suo Sangue dal Corpo diviso, e come versato sull’altare, sotto la forma della specie del vino divisa dalla specie del pane, si presenta misticamente svenato. Par dunque che dall’altare in quest’atto gridi all’offesa Divinità: « Grande Iddio, nella carne e nel sangue voi foste oltraggiato! Guardate come la Carne ed il Sangue mio paghino il fio di tutti i peccati. Foste Voi offeso nella carne umana: ora io vi rendo soddisfazione in carne divina. » Così Egli glorifica colla maggiore soddisfazione che dir si possa la giustizia del Padre. Ah, peccatori! fortunati noi di aver in mano tanta redenzione! Ripariamo sotto all’altare; affrettiamoci a presentare Gesù Redentore per noi sacrificato, per ottenere colla conversione la remission del peccato. E per meglio intendere che nel Sacrificio sì rimettono i peccati, osserveremo come s. Tommaso (In. 4, Santen. dist. 12, q. 2, art. 2.), che la ss. Eucaristia è Sacramento ed è Sacrificio. In quanto è Sacramento essa produce l’effetto suo in ogni vivente, in cui ritrova lo stato di grazia, ch’è la vita dell’anima. In quanto è sacrificio, ottiene l’effetto per tutti quelli pei quali viene offerto, ancorché non abbiano lo stato di grazia e la vita dell’anima in atto, ma che possono solo averla: e perciò, se li trova disposti, ottiene loro la grazia in virtù di quel vero Sacrificio, da cui ogni grazia in noi discese, e scancella in loro i peccati, in quanto impetra loro la grazia della contrizione: poiché da questa offerta placato Iddio concede grazia e dono di penitenza, e rimette anche i più grandi delitti (Conc. Trid. s. 22, De sacra Euch. cap. 25). Non andando più in là, contempleremo nel canone Gesù, che offre la grande soddisfazione. In quanto poi alla pena, che i peccatori si sono meritata, si fa un vero pagamento nella Messa: ma nella misura che piace alla divina misericordia; e questo anche per le anime del purgatorio (Ben. XIV, De sac. Miss. lib. 2, cap. 13, n. 17). Il che faceva dire a s. Agostino, che nel Sacrificio si fa rimessione dei peccati (Quæst. 57, in Levit.), come s. Cipriano aveva chiamato il Sacrificio medicamento ed olocausto per sanare le infermità nostre, e per purgarci delle iniquità. Noi abbiamo dunque sull’altare tutto il nostro tesoro e la ragione di tutte le nostre speranze. Ah sì, diceva s. Paolo: Guardate, guardate sempre in Gesù Salvator nostro!

È Sacrificio impetratorio.

Tutti i popoli nell’universo corrono nei loro bisogni agli altri, e sperano pei sacrifici ottenere i favori del cielo. Ma la Chiesa cattolica, offrendo il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, sola può dire di avere un diritto alle grazie divine, avendo in mano il valsente da comperare il Paradiso. Gesù, dice san Paolo, l’ha amata fino a donarsi a Lei come tutto suo: ed Ella può dire di buona ragione: « Signore, le grazie che vi domandiamo sono già nostre, perché  le ha guadagnate coi suoi meriti il vostro Figlio. » Innalzando al trono delle misericordie i voti delle anime bisognose, può esclamare confidente: « O Signore, abbisognano di un dono grande, immenso, come sono infiniti i bisogni dei cuori, in cui tutto che vi entra di bene, tranne voi, grande Iddio! Non fa altro che scavarne il vuoto e renderli più affamati. Voi avete promesso di esser la grande mercè: ebbene ve la domandiamo pel Sangue di vostro Figlio. O Padre, o Padre nostro, voi ci avete dato il Figlio: e come mai ci potete negare gli altri doni, anche i più preziosi? Se ci perdonaste nemici, quale vi sarà grazia che ci potrete negare, divenuti che siamo vostri figliuoli pel Figlio vostro divino? » Si racconta, che il santo Vescovo Porfirio venuto a Costantinopoli per supplicare l’imperatore, affinché si degnasse pigliare sotto la sua protezione il suo povero popolo nella lontana città di Gaza angariato dai pagani e tagliuzzato, non poteva ottenere udienza mai! Egli ricorse alla pietà dell’imperatrice, la quale ben combinò con lui che ella avrebbe ottenuto dall’imperatore che gli battezzasse egli stesso, il sant’uomo, il bambino suo, e che battezzato lo presenterebbe all’imperatore con una supplica legata alla manina del bimbo, messa sul cuoricino. Sorpreso l’imperatore! Lesse la supplica, e intenerito alle lacrime assicurò del suo favore il Vescovo: così ebbe questi salvato il suo popolo. Buon Dio! e noi metteremo per man di Maria tutta bagnata di Sangue sotto la croce, sul Cuore di Dio il Figlio suo sacrificato con una lettera; e che cara! che santa lettera! La lettera sono le Piaghe, la lettera è il Cuore ss., che geme Sangue e dice tutti i nostri bisogni!… Bene il venerabile curato d’Ars diceva piangendo sull’altare: « Padre, vi offro in dono il vostro Figlio: ma voglio in cambio la salvezza delle anime; » e l’otteneva !….. Deh! pigliamoci sul cuore Gesù e gridiamo : « Grande Iddio, ci dovete salvare ! O gran Monarca della bontà, Voi pioverete conforti, grazie, misericordie sui figli del Sangue del vostro Figlio. » Taciamo! Il Sacrificio di un Dio vuole lacrime e non parole! Noi verseremo lagrime nel contemplare estatici lo spettacolo della bontà del Signor nostro Gesù Cristo, nell’atto che si sacrifica. Uomini, volete fare tutto ciò che dovete con Dio?….. Ah! poverini! correte in braccio alla Madre nostra che grida: « Emmanuele! Dio è con noi!… il DESIDERATO DELLE GENTI, lo l’ho in seno, e adempie a tutto nel sacrificio Latreutico, Eucaristico, Satisfattorio, Propiziatorio! » Uniamoci, uniamoci insieme con Gesù nel sacrificio in tenerissima umiltà.