DOMENICA III DOPO PASQUA (2023)

DOMENICA III DOPO PASQUA (2023)

Semidoppio. • Paramenti bianchi.

La Chiesa è nella gioia perché Gesù è risuscitato e ci ha fatti liberi (All.). Essa dà quindi gloria a Dio (Intr.) e ne canta le lodi (Off.). « Ancora un poco di tempo e non mi vedrete più, aveva detto Gesù nel Cenacolo, allora piangerete e vi lamenterete; ancora un poco di tempo e mi rivedrete e il vostro cuore si rallegrerà » (Vang.). Gli Apostoli, vedendo Gesù risuscitato, provarono quella gioia che risuona ancora nella liturgia pasquale; e come la Pasqua è un’immagine della Pasqua eterna, questa gioia è la stessa che avrà la Chiesa quando, dopo aver, nel dolore, generato anime a Dio, vedrà Gesù apparire trionfante nel cielo alla fine dei secoli, tempo assai breve, se paragonato all’eternità (Mattutino). « Egli allora cambierà la nostra afflizione in un gaudio che nessuno potrà più rapirci » (Vang.). Questo gaudio santo comincia già su questa terra, poiché Gesù non ci lascia orfani, ma viene a noi per mezzo dello Spirito Santo; e nella grazia sua siamo colmati di gioia nella speranza di una felicità avvenire. Non attacchiamoci ai vari piaceri del mondo, dice San Pietro, noi che siamo stranieri e viandanti avviati verso il cielo al seguito del divino Risuscitato, ma osserviamo i precetti tanto positivi, quanto negativi del Vangelo (Ep.), affinché, facendo professione di Cristianesimo, possiamo evitare quello che disonora questo nome e praticare quanto vi è conforme (Or.) e giungere cosi alla celeste Gerusalemme. « Uno dei sette Angeli mi disse: Vieni e ti mostrerò la novella sposa, la sposa dell’Agnello. E vidi Gerusalemme che scendeva dal cielo, ornata dei suoi monili, alleluia. Come è bella la sposa che viene dal Libano, alleluia » (Respons.). L’eucaristico e divino alimento delle anime nostre protegga i nostri corpi (Postcomm.), affinché mitigando in noi l’ardore dei desideri terrestri, ci faccia amare i beni celesti (Secr.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXV: 1-2. Jubiláte Deo, omnis terra, allelúja: psalmum dícite nómini ejus, allelúja: date glóriam laudi ejus, allelúja, allelúja, allelúja.

[Giubila in Dio, o terra tutta, allelúia: innalza inni al suo Nome, allelúia: dà a Lui gloria con le tue lodi, allelúia, allelúia, allelúia.]

Ps LXV: 3 Dícite Deo, quam terribília sunt ópera tua, Dómine! in multitúdine virtútis tuæ mentiéntur tibi inimíci tui.

[Dite a Dio: quanto sono terribili le tue òpere, o Signore. Con la tua immensa potenza rendi a Te ossequenti i tuoi stessi nemici.]

Jubiláte Deo, omnis terra, allelúja: psalmum dícite nómini ejus, allelúja: date glóriam laudi ejus, allelúja, allelúja, allelúja.

[Giubila in Dio, o terra tutta, allelúia: innalza inni al suo Nome, allelúia: dà a Lui gloria con le tue lodi, allelúia, allelúia, allelúia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio 

Orémus. – Deus, qui errántibus, ut in viam possint redíre justítiæ, veritátis tuæ lumen osténdis: da cunctis, qui christiána professióne censéntur, et illa respúere, quæ huic inimíca sunt nómini; et ea, quæ sunt apta, sectári.

[O Dio, che agli erranti mostri la luce della tua verità, affinché possano tornare sulla via della giustizia, concedi a quanti si professano cristiani, di ripudiare ciò che è contrario a questo nome, ed abbracciare quanto gli è conforme.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli: 1 Pet II: 11-19

“Caríssimi: Obsecro vos tamquam ádvenas et peregrínos abstinére vos a carnálibus desidériis, quæ mílitant advérsus ánimam, conversatiónem vestram inter gentes habéntes bonam: ut in eo, quod detréctant de vobis tamquam de malefactóribus, ex bonis opéribus vos considerántes, gloríficent Deum in die visitatiónis. Subjécti ígitur estóte omni humánæ creatúræ propter Deum: sive regi, quasi præcellénti: sive dúcibus, tamquam ab eo missis ad vindíctam malefactórum, laudem vero bonórum: quia sic est volúntas Dei, ut benefaciéntes obmutéscere faciátis imprudéntium hóminum ignorántiam: quasi líberi, et non quasi velámen habéntes malítiæ libertátem, sed sicut servi Dei. Omnes honoráte: fraternitátem dilígite: Deum timéte: regem honorificáte. Servi, súbditi estóte in omni timóre dóminis, non tantum bonis et modéstis, sed étiam dýscolis. Hæc est enim grátia: in Christo Jesu, Dómino nostro.”

(“Carissimi: Io vi scongiuro che da stranieri e pellegrini vi asteniate dai desideri sensuali, che fanno guerra all’anima. Tenete una buona condotta fra i gentili, affinché, mentre sparlano di voi quasi foste malfattori, considerando le vostre buone opere, diano gloria a Dio nel giorno in cui li visiterà. Per amor di Dio siate, dunque, sottomessi a ogni autorità umana; sia al re, che è sopra di tutti, sia ai governatori come da lui mandati a far giustizia dei malfattori e a premiare i buoni. Poiché questa è la volontà di Dio, che, operando il bene, chiudiate la bocca all’ignoranza degli uomini stolti. Diportatevi da uomini liberi, che non fate della libertà un mantello per coprire la nequizia, ma quali servi di Dio. Onorate tutti, amate la fratellanza, temete Dio, rendete onore al re. Servi, siate con ogni rispetto sottomessi ai padroni, e non soltanto ai buoni e benevoli, ma anche agli indiscreti; poiché questa è cosa di merito; in Gesù Cristo Signor nostro”).

L’obbedienza e l’autorità come principio

(G. Semeria: Epistole della Domenica – Milano – 1939)

Tutta l’Epistola di questa domenica, terza domenica di Pasqua, è degna del suo autore umano e delle circostanze storiche in cui gli accadde di scrivere. San Pietro, Apostolo dell’autorità tratta precisamente dell’autorità per garantirne i diritti. Ma non si circoscrive nel suo mondo religioso, non chiede obbedienza solo ai pastori d’anime, va oltre si direbbe guardi di preferenza, almeno a momenti, l’autorità civile. Certo egli pensa a quel mondo romano che dopo essere stato il mondo della violenza, volle essere il mondo della legge. E si preoccupa, il Pontefice, ormai romano anch’esso, di quel mondo in cui vive, se ne preoccupa in due modi, per due ragioni. Intanto quel mondo ha un suo valore spirituale, morale, vero e proprio in quanto non è pio e non vuol essere il mondo della violenza bruta e dell’arbitrio personale, quel mondo non bisogna guastarlo per pretesa, neppur per pretesi interessi spirituali superiori come certi fanatici sarebbero pronti a fare; bisogna conservarlo. Il Cristianesimo assume il suo ufficio di conservatore della civiltà. Conservarlo per se stesso, conservarlo anche per creare uno scandalo civile alle coscienze di fronte all’invito religioso del Vangelo. – Ma per conservare quel mondo civile bisogna custodire, rafforzare il principio, uno dei principi su cui regge, che è proprio l’autorità col suo correlativo: l’obbedienza. L’autorità principio unificatore, l’autorità rappresentanza dell’intero collettivo di fronte alla somma degli interessi individuali, somma concorrente. – Il Cristianesimo per bocca dei suoi primi propagandisti più autorevoli, Pietro e Paolo, vi apporta il suggello di una vera e propria consacrazione, il paganesimo, in fondo, ha avuto – se è limitato al concetto di autorità per forza, o delle autorità entusiasmo – nell’un caso e nell’altro, un concetto personale dell’autorità, la persona del monarca (comunque poi si chiami chi comanda). Nel paganesimo, e dovunque il paganesimo, il laicismo civile risorge, comanda il più forte, in ragione ed in nome della sua forza. Il monarca è il potente, uomo o classe. – Che se poi si esce da questa situazione così precaria e avvilente, vuoi per chi comanda, vuoi per chi obbedisce, è per il rotto della cuffia dell’entusiasmo, il mito, il feticcio. Il monarca è Cesare, tutti lo acclamano e lo adulano. Di fronte alla sua autorità personale e mitologizzata l’obbedienza è servilità, una schiavitù dorata, schiavitù sempre. Il monarca nei due casi comanda, s’impone perché è lui. Il padrone sono me. Si fabbrica sull’arena mobile. Se la forza vien meno? Se l’entusiasmo si sgonfia? Che cosa succede? Dove va a finire la società di cui l’autorità è anima, vita, forza stabile, è verso la spersonalizzazione dell’autorità. L’autorità principio sostituita dall’autorità persona. E noi abbiamo di questo sforzo una formula magica nell’epistola di oggi. – « Obbedite ai vostri capi legittimi anche quando, anche se essi sono cattivi ». È l’ipotesi più terribile. La bontà e la qualità che sembra essenziale in chi comanda. Passi pure la mancanza di genio, d’ingegno, ma la bontà! La funzione del comando è proprio una funzione morale e moralizzatrice. E l’Apostolo è ben lontano dal negare in chi comanda l’utilità, la preziosità della bontà. Un buon monarca è il piu grande dono di Dio a un popolo. Ma non bisogna edificare lì; neppur lì, su questa facoltà preziosissima. Guai! Si tornerebbe al personalismo; l’obbedienza è alla discrezione dei sudditi e possono giudicare le qualità personali. E perciò obbedite ai vostri capi sempre, perché sono capi, qualunque siano le loro qualità o i loro difetti… anche ai personalmente cattivi. Purché non comandino il male, purché non si erigano comandando né contro Dio, né contro la coscienza. – I Cristiani sono così i sudditi migliori, i più fidati dell’impero … d’ogni impero, d’ogni stato civile, diremmo oggi in linguaggio moderno. E perciò sono ciechi i governi che combattono il Cristianesimo, si danno la zappa sui piedi. Sono miopi i governi che accarezzano la Religione per secondi fini, sono savi oltreché onesti, i governi che favoriscono senza ipocrisie, equivoci e sottintesi il Cristianesimo: lavorando in apparenza per la Religione, lavorano in realtà abilmente ed efficacemente per sé.

Alleluja

Allelúja, allelúja. Ps CX: 9 Redemptiónem misit Dóminus pópulo suo: alleluja.

[Il Signore mandò la redenzione al suo pòpolo. Allelúia.]

Luc XXIV: 46 Oportebat pati Christum, et resúrgere a mórtuis: et ita intráre in glóriam suam. Allelúja.

[Bisognava che Cristo soffrisse e risorgesse dalla morte, ed entrasse così nella sua gloria. Allelúia.]

Evangelium

Joannes XVI: 16; 22

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Módicum, et jam non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me: quia vado ad Patrem. Dixérunt ergo ex discípulis ejus ad ínvicem: Quid est hoc, quod dicit nobis: Módicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me, et quia vado ad Patrem? Dicébant ergo: Quid est hoc, quod dicit: Modicum? nescímus, quid lóquitur. Cognóvit autem Jesus, quia volébant eum interrogáre, et dixit eis: De hoc quaeritis inter vos, quia dixi: Modicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me. Amen, amen, dico vobis: quia plorábitis et flébitis vos, mundus autem gaudébit: vos autem contristabímini, sed tristítia vestra vertétur in gáudium. Múlier cum parit, tristítiam habet, quia venit hora ejus: cum autem pepérerit púerum, jam non méminit pressúræ propter gáudium, quia natus est homo in mundum. Et vos igitur nunc quidem tristítiam habétis, íterum autem vidébo vos, et gaudébit cor vestrum: et gáudium vestrum nemo tollet a vobis.”

 (“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Un pochettino, e non mi vedrete; e di nuovo un pochettino, e mi vedrete: perché io vo al Padre. Dissero però tra loro alcuni dei suoi discepoli: Che è quello che egli ci disse: Non andrà molto, e non mi vedrete; e di poi, non andrà molto e mi vedrete, e me ne vo al Padre? Dicevano adunque che è questo che egli dice: Un pochetto? non intendiamo quel che egli dica. Conobbe pertanto Gesù che bramavano d’interrogarlo, e disse loro: Voi andate investigando tra di voi il perché io abbia detto: Non andrà molto, e non mi vedrete; e di poi, non andrà molto, e mi vedrete. In verità, in verità, vi dico, che piangerete e gemerete voi, il mondo poi godrà: voi sarete in tristezza, ma la vostra tristezza si cangerà in gaudio. La donna, allorché partorisce, è in tristezza, perché è giunto il suo tempo, quando poi ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’affanno a motivo dell’allegrezza, perché è nato al mondo un uomo. E voi dunque, siete pur adesso in tristezza; ma vi vedrò di bel nuovo, e gioirà il vostro cuore, e nessuno vi torrà il vostro gaudio”.).

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

GIOIE E DOLORI

Era l’ultima volta che Gesù parlava a’ suoi discepoli prima di morire. Guardandoli con la tenerezza di un padre che sta per partire, li mette in guardia dai pericoli del mondo, e dalle illusioni di un roseo avvenire. Diceva: « Tra poco e non mi vedrete; un altro poco e mi rivedrete ». Gesù alludeva alla sua morte vicina, e alla sua resurrezione. Gli Apostoli non capivano nulla e Gesù, che leggeva a loro negli occhi, aggiunse: « In verità vi dico che voi gemerete e piangerete; il mondo invece godrà ». Non scandalizzatevi; Cristiani, se Dio ha spartito le cose del mondo così che ai cattivi toccassero le gioie e ai buoni rimanessero soltanto le lacrime e i dolori. Non scandalizzatevi perché nel Vangelo d’oggi c’è una parola che spiega tutto: « Modicum! ». Spesso ci capita d’ascoltare i Cristiani a lamentarsi: « A questo mondo più s’è cattivi e più si ha fortuna. C’è della gente che non va in Chiesa, non rispetta nessuna legge, eppure è sempre beata: non malattie in casa; non odiosità fuor di casa; hanno roba; hanno danaro; hanno tutto. Noi invece non possiamo mai tirare avanti liberamente: è la morte, è una disgrazia, è un affare che va a male, e sempre c’è da piangere… ». Ricordiamoci della parola del Signore: « Modicum »: poco. Quaggiù tutto dura poco. Poco il dolore e poco la gioia. Non dobbiamo attaccare quindi il nostro cuore a cose che durano tanto poco; ma dobbiamo cercare il nostro bene dove durerà sempre: in Paradiso. Meditiamo la parola di Gesù, e ne otterremo conforti e speranze per il travaglio duro della nostra vita. – 1. VOI PIANGERETE MENTRE IL MONDO GODRA’. Quando noi osserviamo la vita pagana delle nostre città, e nei giorni di festa anche nei piccoli paesi, così buoni una volta, ci par di riudire il canto dei voluttuosi, come è scritto nel libro della Sapienza: « Circondiamo le nostre tempia di rose prima che marciscano: non ci sia piacere da noi non provato, non ci sia peccato da noi sconosciuto ». Coronemus nos rosis! È una folla di uomini, di donne, di giovanetti che, a coronarsi di queste rose, si riversano ogni giorno nelle sale dei teatri, dei cinematografî, dei balli… E dentro si vede, si ascolta, si ride, si salta; e si vende l’anima al diavolo. Intanto si perde l’amor della propria casa, dei propri figli; i figli sono spine per questi gaudenti, e allora li rifiutano conculcando ogni legge umana e divina. Coronemus nos rosis! È un’altra folla di persone che avida legge i libri, riviste, giornali. Sono romanzacci dove le infamie più vergognose riempiono le pagine; sono novelle fetide di corruzione e di incredulità; sono figure impudiche che ridestano nei sensi il fuoco delle passioni. A quelle letture la mente si popola di fosche immagini, il cuore si accende a desideri impuri, la notte è profanata da sogni brutti. L’anima è invasa da una nebbia grassa che non lascia intravedere Dio: e non si prega più. Coronemus nos rosis! È un’altra folla ancora che vive soltanto per il gioco, e nel gioco consuma il tempo e magari tutto il denaro della famiglia. Per il gioco commettono ingiustizie, si tralascia il Rosario in famiglia, si perde la Messa e la dottrina cristiana. Quanta gioventù sciupa tutta la festa negli sports! Che cosa ci potranno dare, domani se non hanno mai sentito parlare della loro anima, dei loro doveri? La rosa del piacere si vuole e non la spina del dovere. Voi, invece, o buoni Cristiani, voi soffrite nella mortificazione del vostro corpo e delle vostre passioni, voi soffrite nell’osservanza della legge di Dio. Ed è giusto che sia così, ce lo dice Tertulliano: « Nostræ cœnæ, nostræ nuptiæ nondum sunt » (De Spect., 28). Il tempo dei nostri festini e delle nostre nozze non è giunto ancora, per ciò non possiamo gioire coi mondani. Quaggiù siamo in viaggio: e quando si cammina non ci si può fermare a divertirsi, altrimenti non si arriva più alla mèta. Quaggiù abbiamo dei grandi affari: amare Dio, salvare l’anima. Ma se qualcuno ha la testa nei divertimenti, non può combinare nessun affare buono. Quaggiù è tempo di battaglia: i soldati che in guerra s’abbandonano alle mollezze, come quelli d’Annibale a Capua, non avranno forza per vincere. Consoliamoci però, non sarà sempre così. Anzi questo tempo è breve: Modicum. Un poco, e poi le rose dei mondani marciranno, e le nostre spine fioriranno un’eterna primavera. – 2. IL VOSTRO PIANTO DIVERRÀ GIOIA. Un giorno a S. Giovanni fu concesso di contemplare i Santi in gloria. Stavano nella luce, nella gioia, nel canto, davanti al trono dell’Agnello. Vestivano con lunghe stole bianche ed agitavano nelle mani palme stupende. S. Giovanni rimase estatico. Uno di essi, vedendo senza dubbio lo stupore dell’Apostolo, gli domandò: « Questi che vedi vestiti di bianche stole, chi sono? Donde vennero? ». E Giovanni dovette confessare la propria ignoranza. « Sappi, gli fu detto allora, che essi sono venuti da una grande tribolazione ». Venir dalla tribolazione! Ecco il miglior titolo per godere in Paradiso. Rallegratevi tutti voi che soffrite, perché siete sulla via del gaudio; tra poco ogni vostra lacrima sarà un sorriso; ogni vostra pena una eternità di gioie. È sulla via della gioia quel giovane onesto che, mentre vede i suoi compagni correre ai divertimenti, frequenta la Chiesa e l’oratorio. È sulla via della gioia quel buon padre di famiglia che è pronto a patir anche la fame, pur di non violare la legge del Signore! È sulla via della gioia quella buona donna, dimenticata da tutti, forse disprezzata anche da quelli che tanto ama, che tutto riceve dalle mani di Dio e soffre con rassegnazione. Vediamo ora un’altra scena del Vangelo. La scena è divisa in due. In basso un orribile abisso pieno di fuoco; e nel fuoco un uomo brucia e urla: « Abramo! Abramo! » In alto una regione purissima di luce, di melodie. In quella luce, tra quei fiori, tra le musiche, vi è un altro uomo che beatissimo gode. « Abramo! Abramo! », si urla disperatamente dall’abisso ardente. Abramo ascolta quel pianto lungo e straziante. « Abramo, abbi pietà di me. Mandami Lazzaro e digli che col suo dito mi lasci cadere una goccia d’acqua sulla lingua, ché son tutto una fiamma ». E Abramo a lui: « Ti ricordi quando tu vestivi di porpora e bisso e banchettavi ogni giorno nel tuo palazzo? Allora Lazzaro pieno di ulceri giaceva sulla tua porta, e bramava le briciole cadute dalla tua mensa per placare la sua fame. Ma nessuno gliene dava: solo i cani gli lambivano le piaghe cancrenose. Sappi dunque ché tu in vita avesti le gioie, e Lazzaro ebbe i dolori. Ora, e per sempre, Lazzaro godrà e tu soffrirai ». Ecco, o Cristiani, i due destini dell’uomo: goder per pochi anni e soffrire per tutta l’eternità, oppure, soffrir per pochi anni e godere per tutta l’eternità. Quale scegliete per voi? – La sponda è fiorita e dolce è il pendio. In lontananza si estende radioso il sole che tramonta, un vasto strato d’acqua che somiglia ad uno specchio. Sopra una barchetta abbellita da nastri, dei giovani in abito festivo si divertono graziosamente cantando. Sulla riva, un fanciullo sorride e tende le braccia. « Vieni! Vieni! », dicono i gitanti. « SÌ, SÌ! ». E nel momento in cui il piccolo legno tocca il lido, nel momento in cui il fanciullo si slancia, un braccio vigoroso lo trattiene e lo porta via. È suo padre. « Cattivo! » dice il fanciullo tentando di svincolarsi. Il giorno dopo, una barca vuota e sbattuta dalle onde venne a cozzare contro la sponda. Il fanciullo ancor triste e di cattivo umore, a quella vista comprese la disgrazia a cui era sfuggito; e gettandosi al collo del padre, lo baciò, singhiozzando di tenerezza: « Grazie, Grazie! ». Quante volte ancor noi, mentre sognavamo giorni tranquilli, affari deliziosi, onori, gioie, mentre sognavamo di slanciarsi in barca a traversare, cantando, il lago della vita, abbiamo sentito un braccio vigoroso strapparci dalle nostre illusioni. Era una disgrazia, una malattia, una calunnia, la miseria, l’umiliazione… O meglio, era la vigorosa mano del nostro Padre celeste. Noi in quel momento abbiamo imprecato contro Dio, e forse ancora oggi imprechiamo… Ma verrà un giorno in cui sapremo il perché d’ogni nostra pena e comprenderemo come sarebbe stata la nostra rovina, quella gioia che noi tanto agognavamo. Allora anche noi, come il fanciullo della leggenda, getteremo le braccia in collo a Dio, e piangendo di riconoscenza, gli diremo: « Grazie, buon Dio, d’avermi fatto soffrire! ». — IL DOLORE CRISTIANO. S. Agostino dice che due amori hanno fatto due città del mondo: Civitates duas fecerunt amores duo. L’uno è l’amore di Dio che ha formato la città dei buoni, i quali vivono neldolore e nel rinnegamento d’ogni passione. L’altro è l’amore dell’io che vuol la soddisfazione delle proprie voglie ed ha formato la città del mondo che ama la pazza gioia. Mundus gaudebit. Ma perché Gesù ha voluto serbare il dolore per i buoni? Ecco: dal giorno cheAdamo e Eva si ribellarono per superbia a Dio, nella nostra natura, ferita dal morso del demonio, si levò un istinto peccaminoso che prepotentemente ci spinge verso ciò che è proibito. Sul nostro occhio è venuto come un velo di polvere che ci fa piacere ciò che ci dovrebbe far paura, che ci tinge di bei colori ciò che in realtà è assai brutto. L’inganno di cui si sentiva vittima anche San Paolo quando scriveva: « Non comprendo quel che faccio: poiché il bene ch’io voglio non lo compio, mentre il male che nonvorrei lo faccio ». Per vincere quest’inganno è necessaria un’acqua che deterga quella polvere dai nostri occhi, che ci faccia vedere le cose secondo la fede e non secondo il mondo. Quest’acqua misteriosa sono le lacrime: il dolore. Allora non lamentiamoci della nostra croce, ma portiamola con gioia dietro a Gesù Cristo che ce ne ha dato il primo e insuperabile esempio.Il dolore è la medicina amara che ci guarisce: esso ci stacca dalle cose mondane e ci merita il Paradiso.1. CI SI STACCA DALLE COSE VANE DEL MONDO. A Cortona viveva una donna assai ricca. Il suo nome era tristamente famoso: Margherita. Ella non aveva altra ambizione che quella di apparire, null’altra brama che di godere. Chissà quanti richiami Dio aveva già lanciati al suo cuore ardente: ma sempre invano. Deus quos amat castigat. Una sera Iddio la chiamò col dolore. L’uomo, col quale conviveva, non era tornato come al solito, colle prime ombre della notte: eppure dall’alba era partito col suo cane per la caccia. Margherita s’impensierì, poi si agitò, poi non ebbe più pace in quell’aspettativa crudele. Finalmente s’udì un lungo latrare: era il cane fedele, ma col pelo arruffato, ma con macchie di sangue sul pelo. E con più giri circondò la padrona e coi guaiti le significò che l’invitava a seguirlo. Era notte. E Margherita corse nel buio, per viottoli sassosi e spinosi dietro alla bestia che abbaiava incessantemente. Quando il cane si fermò, nel folto dei cespugli, la donna intravvide il cadavere intriso di sangue. Urlò di dolore, pianse, si stracciò le vesti come una pazza. Ma da quella sera i suoi capelli furono cosparsi di cenere, le sue gote rigate di pianto, le collane e le perle vendute per i poveri, gli abiti di seta cambiati con sacco, la sua splendida dimora abbandonata per la nuda cella del convento. E cominciò a pregare, a vegliare, a macerarsi, ad amar Dio con l’ardenza dei Serafini. La gaudente divenne la penitente, la peccatrice si fece una santa. Chi ebbe tanta forza da strapparla così decisamente dalla sua perduta via? Il dolore! – Ed anche noi possiamo vedere ai nostri giorni queste belle trasformazioni operate dal dolore e dalla croce. Chi ha persuaso quell’uomo, che da molti anni non faceva la Pasqua, ad accostarsi ai sacramenti? La morte di una sua bambina; un disastro finanziario; un’umiliazione in società. Quand’è che quella donna è tornata modesta, seria? Dopo la morte di suo marito, dopo quella malattia che l’ha condotta in fin di vita, dopo quella tribolazione in famiglia. Le disgrazie, le croci ci privano delle gioie quaggiù. Ma che cosa sono questi beni terreni? Sentiamo Salomone: « Ho detto allora a me stesso: godiamo di tutti i beni, andiamo in mezzo a tutte le delizie…; mi feci palazzi e giardini, limpidi laghi bagnavano al basso le mie foreste; possedevo numerosi greggi e le mandrie più belle d’Israele; avevo vasi d’oro e d’argento; avevo servi ed ancelle, cantori e cantatrici. Avevo tutte le delizie degli uomini. Niente ho negato alle brame degli occhi miei, nessuna voluttà ho negato al mio cuore. Chi più di me ha divorato tutto il fremito gioioso dei piaceri, e l’ebbrezza dei sensi? Ed ho veduto che il riso è una menzogna e la gioia un inganno. Niente sotto il sole ha valore: tutto è vanità e amarezza dell’anima ». Il cuore dello stolto sogni la gioia! Mundus gaudebit. Il cuore del sapiente ha cara la tristezza! Vos autem contristabimini. Se il dolore non fa altro che distaccare da una falsa felicità, non lamentiamoci più contro la divina Provvidenza, ma baciamo con riconoscenza quella mano che ci percuote per nostro bene.2. CI MERITA IL PARADISO. In una chiesa di Pisa, Cristo apparve a S. Caterina da Siena, mostrandole due corone: l’una d’oro, l’altra di spine. E le diceva: « Tu devi portare queste due corone ma in tempi differenti: se porti ora quella d’oro, quella di spine l’avrai per tutta l’eternità ». Caterina rispose: « O Signore, voi sapete che la mia scelta è fatta da lungo tempo… ». E stendendo le braccia, prese la corona di spine, la baciò e se la pose in capo. Ecco perché i santi, che sono i veri sapienti della vita, hanno portato con gioia la croce; anzi l’hanno cercata con desiderio. Il fratello di S. Pietro Apostolo era giunto nelle sue peregrinazioni apostoliche fin nell’Acaia, ove s’attirò le ire del proconsole. Fu rinchiuso in un carcere e poi condannato al supplizio della croce. Ma quando, accompagnato dagli sgherri, legato, battuto, egli vide da lontano comparire la sua croce, le protese le braccia ed eruppe in un cantico stupendo: « Salve, crux! quæ diu fatigata, requiescis exspectans me suscipe me, et redde Magistro meo ». Salve, o croce, bramata da lungo tempo! prendimi nelle tue braccia e rendimi a Gesù. Questi devono essere i sentimenti dei veri Cristiani davanti alle tribolazioni della vita. Senza patire non si entra nel regno eterno della gioia. Per multas tribulationes oportet nos intrare in regnum Dei (Atti, XIV, 21). Il Paradiso è l’eredità dei figli di Dio. E non si è figli di Dio, se non si è fratelli di Gesù Cristo, unico Figlio naturale di Dio. Ma come si può pretendere di essere fratelli di Cristo, quando cerchiamo la corona di rose mentre Egli è coronato di spine? Quando ci rifiutiamo di portar, come Lui, la nostra croce? Si quis vult post me venire abneget semetipsum, tollat crucem suam. Prendiamo dunque la nostra croce da portare, ed il pensiero del premio che ci aspetta c’infonderà coraggio: Quia non sunt condignæ passiones huius temporis ad futuram gloriam. – Suor Teresa del Bambino Gesù aveva avuto l’incarico di assistere una suora vecchia e inferma. Tutte le sere alle sei meno dieci doveva interrompere la sua meditazione per condurla in refettorio. Questo servizio le costava assai, perché sapeva la difficoltà o meglio l’impossibilità di contentare la povera inferma. Quando la vedeva scuotere l’orologio a polvere doveva armarsi di santo coraggio e cominciare una sequela di cerimonie. Doveva smuovere e tirare una panca, ma sempre al medesimo modo, sorreggerla per la vita e accompagnarla leggermente. Se per disgrazia le sfuggiva un passo falso, subito si sentiva un aspro rimbrotto « Ma buon Dio, andate troppo lesta, così mi fate rovinare ». Se poi andava piano « Muovetevi dunque, non sento più la vostra mano. Lo dicevo che eravate troppo giovane per accompagnarmi! ». Una sera d’inverno, che faceva freddo ed era buio, mentre compiva questo penoso ufficio, la piccola santa udì venir da lontano il suono armonioso di molti strumenti: e subito si presentò alla sua fantasia la ricca sala dorata, le luci, i profumi, il fruscìo delle vesti di seta e le mille cortesie. Mundus gaudebit! Ed ella era là, sola: nel freddo, nel buio, nello squallore ruvido del chiostro; ella che era pur giovane e ricca; ella che era stata abituata alle squisitezze d’una soave famiglia signorile: era là con gli occhi pieni di lacrime accanto a quella vecchia monaca crucciosa che la tormentava… Vos autem contristabimini! Ma ora la piccola santa non soffre più. Ora ogni cuore le offre un palpito, ogni Chiesa un altare. Ed ella è beata e gloriosa tra le armonie degli Angeli ed il sorriso del suo Sposo diletto Gesù. Così sarà pure dei nostri dolori, se sapremo accettarli come cristiani. Tristitia vestra vertetur in gaudium.

IL CREDO

Credo in unum Deum, Patrem omnipoténtem, factórem cœli et terræ, visibílium ómnium et invisibílium. Et in unum Dóminum Jesum Christum, Fílium Dei unigénitum. Et ex Patre natum ante ómnia sæcula. Deum de Deo, lumen de lúmine, Deum verum de Deo vero. Génitum, non factum, consubstantiálem Patri: per quem ómnia facta sunt. Qui propter nos hómines et propter nostram salútem descéndit de coelis. Et incarnátus est de Spíritu Sancto ex María Vírgine: Et homo factus est. Crucifíxus étiam pro nobis: sub Póntio Piláto passus, et sepúltus est. Et resurréxit tértia die, secúndum Scriptúras. Et ascéndit in coelum: sedet ad déxteram Patris. Et íterum ventúrus est cum glória judicáre vivos et mórtuos: cujus regni non erit finis. Et in Spíritum Sanctum, Dóminum et vivificántem: qui ex Patre Filióque procédit. Qui cum Patre et Fílio simul adorátur et conglorificátur: qui locútus est per Prophétas. Et unam sanctam cathólicam et apostólicam Ecclésiam. Confíteor unum baptísma in remissiónem peccatórum. Et exspécto resurrectiónem mortuórum. Et vitam ventúri sæculi. Amen.

Offertorium

Orémus

Ps CXLV: 2 Lauda, anima mea, Dóminum: laudábo Dóminum in vita mea: psallam Deo meo, quámdiu ero, allelúja.

[Loda, ànima mia, il Signore: loderò il Signore per tutta la vita, inneggerò al mio Dio finché vivrò, allelúia.]

Secreta

His nobis, Dómine, mystériis conferátur, quo, terréna desidéria mitigántes, discámus amáre coeléstia.

[In virtú di questi misteri, concédici, o Signore, la grazia con la quale, mitigando i desiderii terreni, impariamo ad amare i beni celesti.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

Paschalis

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre: Te quidem, Dómine, omni témpore, sed in hac potíssimum die gloriósius prædicáre, cum Pascha nostrum immolátus est Christus. Ipse enim verus est Agnus, qui ábstulit peccáta mundi. Qui mortem nostram moriéndo destrúxit et vitam resurgéndo reparávit. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare: Che Te, o Signore, esaltiamo in ogni tempo, ma ancor piú gloriosamente in questo giorno in cui, nostro Agnello pasquale, si è immolato il Cristo. Egli infatti è il vero Agnello, che tolse i peccati del mondo. Che morendo distrusse la nostra morte, e risorgendo ristabilí la vita. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joannes XVI: 16 Módicum, et non vidébitis me, allelúja: íterum módicum, et vidébitis me, quia vado ad Patrem, allelúja, allelúja.

[Ancora un poco e non mi vedrete più, allelúia: ancora un poco e mi vedrete, perché vado al Padre, allelúia, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.

Sacramenta quæ súmpsimus, quæsumus, Dómine: et spirituálibus nos instáurent aliméntis, et corporálibus tueántur auxíliis.

[Fai, Te ne preghiamo, o Signore, che i sacramenti che abbiamo ricevuto ci ristòrino di spirituale alimento e ci siano di tutela per il corpo.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (249)

LO SCUDO DELLA FEDE (249)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (18)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

ART. VI

ORAZIONE VI DEL CANONE:

NOBIS QUOQUE PECCATORIBUS Etc.

Orazione.

Il sacerdote colla mano destra si percuote il petto e dice con voce poco alzata: « A noi pure peccatori, vostri servi, che speriamo nella moltitudine delle vostre miserazioni, degnatevi di donare qualche porzione e società coi vostri santi Apostoli e martiri (Alcuni autori osservano la differenza tra la invocazione fatta dei Santi nell’orazione Communicantes, e quella di questa orazione. Nella prima la Chiesa ha nominato gli Apostoli che fondarono la Religione, e quelli che la difesero col sangue; in questa mette innanzi i nomi dei Santi che la onorarono colle loro virtù nei differenti stati della. vita: quindi s. Giovanni, o il Battista, come il più santo degli uomini, a capo di tutti i Profeti, o Giovanni Apostolo, come vuole Innocenzo III, pel privilegio della verginità; Stefano, come il primo dei Diaconi, Mattia, che rappresenta gli Apostoli e che non fu nominato nell’altra commemorazione, perché non era ancor Apostolo nel tempo della Passione, e si nomina qui dopo Stefano, che lo ha preceduto nel martirio; Barnaba che rappresentamtutti i discepoli; Ignazio tutti i Vescovi; Alessandro tutti i successori di s. Pietro; Marcellino tutti i Sacerdoti; Pietro Esorcista, tutti i ministri minori; Felicita, Perpetua rappresentano le madri e tutte le sante donne; le altre vergini e martiri, gloria del loro sesso vengono rappresentate dalla fanciulla Agata, da Lucia, da Agnese, da Cecilia, da Anastasia. Così la Chiesa conforta tutti i fedeli, e fa loro osservare che in cielo il santo Padre celeste ha preparati molti seggi nell’eterna sua magione, Pigli conforto anche il minimo dei figliuoli; perché mentre l’uno si santifica coll’esercizio delle eroiche virtù, gli altri si santificheranno colla fedeltà nelle opere più minute; e tutti insieme renderanno quella bella varietà, di cui è decorata la Sposa del Signore. Questa è la dottrina insegnata da Gesù Cristo, che i minimi agli occhi del mondo sono talvolta i più grandi eroi agli occhi di Dio, che misura i suoi doni e pesa i meriti colla bilancia della sua giustizia. Sicché nel gran giorno delle rivelazioni vedremo forse, che chi ha convertito i regni, sono le preghiere di una femminetta, che, piangendo a piè dell’altare, diceva sovente col Sacerdote: Nobis quoque peccatoribus), con Giovanni, Stefano, Mattia, Barnaba, Ignazio, Alessandro, Marcellino, Pietro, Felicita, Perpetua, Agata, Lucia, Agnese, Cecilia, Anastasia, e tutti i vostri Santi: fra il consorzio dei quali ammetteteci, vi preghiamo, non estimando Voi il merito nostro; ma concedendoci il vostro perdono. (Qui giunge le mani e continua) Per Cristo Signor nostro. » « Per cui Voi, o Signore, sempre create tutti questi beni, (fa tre segni di croce sopra la SS. Ostia ed il SS. Calice nel dire): li + santificate: li + vivificate: li + benedite: e li donate a noi. » (scopre il Calice, genuflette, prende il Sacramento colla destra, tenendo colla sinistra il Calice, fa tre segni di croce coll’ Ostia SS. da un labbro all’altro del Calice, mostrandolo come nostro, dice: « Per + Esso, e con + Esso, ed in + Esso (fa due segni di croce tra il calice ed il proprio petto) a Voi Dio Padre onnipotente nell’unità dello Spirito + Santo (eleva per poco il SS. Calice colla SS. Ostia,) è ogni onore e gloria. (Ripone la SS. Ostia, copre il Calice, genuflette, sorge e dice:) Per tutti i secoli dei secoli. » al popolo risponde:) « Sia così! »

Esposizione dell’orazione Nobis quoque peccatoribus.

Alto silenzio! Si rappresenta l’ora dell’agonia di Gesù in croce. Allora fremeva la natura inorridita: era un tetro silenzio tutto d’intorno: oramai il deicidio era compiuto, e il popolo cominciava a sentirsi atterrito nel vedersi le mani bagnate del Sangue d’un innocente, del Sangue, ah! come lo mostravan quei segni, del Figliuol di Dio. Pur taluni briachi di rabbia insultavano ancor sotto alla croce a Gesù: ed Esso nell’atto di spirar l’anima santa fa quasi causa comune coi suoi nemici: e così come era, colle braccia allargate anche sopra di loro, rompe quel tristo silenzio coir questa preghiera divina: « Padre, perdonate a tutti, anche a questi, ché non sanno ben ciò che fanno! » Fatta questa preghiera, al ladro che gli gemeva allato in quell’ora, da Lui veniva assicurato il paradiso; ed i crocifissori si battevano il petto anch’essi! Con questo pensiero il Sacerdote, in ispirito crocifisso in Gesù Cristo, sta colle braccia prostese sopra tutti i fedeli; e pensando in quell’istante a tanti peccati, che gridano vendetta innanzi al trono di Dio, e fra quelli sentendo anche le sue proprie colpe, lascia cadere giù le braccia sull’altare; e a questo attaccandosi, come ferito nel cuore, alza la voce, si chiama con tutti in colpa e mette tale gemito: « siam peccatori! » Ma che? appunto pei peccatori grida misericordia questo Sangue effuso sull’altare da Gesù. Sangue propiziatore! Mentre il sangue di Abele giusto e di molti Profeti e santi chiama vendetta dalla terra, che ne fu bagnata; questo Sangue di Gesù fa sentire dall’altare accenti di propiziazione! Così mentre per noi grida sull’altare il Sangue di Gesù Cristo, pigliamo cuore e gridiamo noi pure qui d’intorno: « Anche a noi, o Signore, anche a noi peccatori degnatevi dare una parte di paradiso! » Una parte di paradiso adunque cogli Apostoli, coi Martiri, coi Confessori, colle Vergini, colle Madri sante, con tutti i Beati. Nomina qui i santi, i cui nomi sono nell’orazione. (Noi cercammo di esporre la ragione del nominare quelli particolarmente nella nota di sopra). Noi dobbiamo far con essi un vero commercio, una comunione di santi. Hanno essi tanti e così grandi meriti; e noi, per noi, mettiamo innanzi i meriti di Gesù. Perciò giunge le mani il Sacerdote, attaccandosi vivamente a Gesù, quasi dicesse ancora con maggior istanza: « Per Cristo Signor nostro vogliamo coi Santi e con Maria il paradiso, benché peccatori; perché appunto proprio pei peccatori si è sacrificato Gesù. » Qui adunque abbiam ragione di esclamare ancora: « Fortunati i peccatori convertiti quando hanno tale Redentore divino! » – Ora non possiamo a meno di fermarci a considerare la più miracolosa operazione di Dio, vogliam dire la ristorazione e rinnovazione della povera umanità, operata a piè della croce con tale prodigio della creazione assai più grande, come osserva l’Angelico (S. Th. 1, 2, q. 113, a. 9). Poiché, se per creare l’universo bastò la parola onnipotente di Dio; per redimere gli uomini dalla caduta e ristorarli dai veri mali, che sono i peccati, ci volle il Sangue di Dio medesimo. Questo Sangue poi gli restituisce all’innocenza ed alla santità con infinito vantaggio quando si convertono. Ben ora è da parlare colle lagrime, più che colle parole, osservando con s. Cipriano, come appiè della croce anche i malfattori hanno parte alle consolazioni degli innocenti. Appiè della Croce diffatti, si trovava Maria SS. ed il ladro condannato al patibolo, così sotto la croce l’uomo della colpa veniva ravvicinato alla creatura più innocente e più santa; tanto che Gesù or parla col ladro, come parla con Maria SS.; anzi col ladro con maggior pietà; perché, com’egli è più miserabile, cosi ha bisogno di più grande misericordia: e se dice a Maria: « Madre, ecco i vostri figli, ora che mi perdete per loro; » rivolto al ladro: « Figliuolo, gli dice, piglia cuore, oggi tu meco sarai in paradiso! » Così il rimorso, che senza la redenzione doveva terminare nella disperazione, distrutto il peccato sotto la croce di Gesù Cristo, anche il rimorso si cangia in dolore consolante, anzi si solleva a speranza di paradiso! Noi non crediamo di poter spiegare meglio questo pensiero di così grande conforto, che col mettere innanzi tradotta in atto tanta misericordia in un peccatore riottoso fino al punto di morte. Allora quando l’uomo indurito sente il nulla dell’umana impotenza, sopra l’abisso dell’inferno mette un grido di terrore e chiama aiuto!… Accorre il Sacerdote e trova l’anima sepolta in una invecchiata carnalità, dentro un cuore di macigno. Allora quest’operatore di prodigi di grazia, che sull’altare s’indentifica con Gesù Cristo, innalza il Crocifisso a lato del letto: e con Gesù dalla croce mostra al cielo le mani piene di Sangue; con Gesù grida al Padre: « Perdonate a questo meschino: esso ignorava ciò che faceva; e se in esso si è consumata l’umana perversità, noi abbiamo per esso consumato il sacrificio: Consumatum est. » Allora apre misticamente il Costato di Gesù Cristo, e dal Cuor di Gesù fa scendere col Sangue l’Acqua di grazia ristoratrice. – Poi con Gesù chinando come dalla croce il capo a lui sul letto, gli giura all’orecchio, che già in cielo si fa gaudio maggiore pel suo ritorno alla grazia, che non si faccia pel possesso di cento giusti. Si; si fa gaudio perché oggi il figliuolo perduto torna al Padre suo in cielo!… Il moribondo fidato a quel labbro sacramentale e nella serena confidenza con cui gli parla l’uomo di Dio, sul letticciuolo della morte vede brillarsi un raggio di luce celeste…; fino sulla sponda della bara respira un’aura di consolazione… e trova un po’ di riposo nell’agonia!… Poi con un moto di pentimento osa stendere le braccia rassegnate a Dio. Oh! ve’ che una lagrima insanguinata riga le guance riarse dalla morte! Il Sacerdote pronto la raccoglie, e la presenta nel calice di Gesù Cristo al Padre del gran perdono. Il perdono! consoliamoci è già concesso…. Ecco il Sacerdote sclama nella cameretta: « Pace a quelli che abitano in questa casa: è vero che noi non siamo degni: ma fa coraggio, o fratello, accogli il Figliuolo divino, che ti manda il Padre per condurti seco a vita eterna… » (Rit. Rom.). Oh… Oh! Chi è mai allora in quella camera paurosa? Allora là è Gesù crocifisso: e vi è il Sacerdote bagnato del suo Sangue nel Sacrificio: vi sono gli angeli che aspettano: vi sarà certo Maria che guarda dal cielo, e si abbassa appiè della croce col Figlio dei suoi dolori: vi è finalmente il peccatore giustificato, che spira in morte, o meglio! respira nella vita eterna, portatovi nel Costato di Gesù Cristo! L’ uomo non ha egli bisogno di questa fede? Noi benediciamo i bravi Sacerdoti che non risparmiano disagi per correre, forse con pericolo della vita, ad assistere i moribondi. Oh i santi uomini! essi imitano Gesù che pur nelle angosce della sua agonia, dimenticando i suoi tormenti assisteva il ladro morente, con divino amore.

L’ OFFERTA.

Esposizione del!’orazione: Per quem omnia etc.

« Pel Quale Voi sempre tutti questi beni create ecc. ecc. »

Gesù Redentore col distruggere il peccato ristora non solo e ricrea l’umana natura, ma riordina e rinnovella. la creazione, in cui venne il disordine per lo peccato. Il Sacerdote già consolato della riconciliazione dei peccatori, in questo sublime e santissimo istante cogli occhi della fede domina tutto il creato, e lo contempla nel Verbo divino, che tutto sostiene con la parola dell’onnipotenza. Dal Redentore divino vede come effondere si debba su tutte le creature l’influsso vivificante del suo Sangue ristoratore in sacrificio. Questa è l’opinione di molti Padri. Origene diceva (Uezio. Orig, lib. 2, cap. 2, q. 3, n. 20): il Sangue sparso sul Calvario non è stato utile solamente per gli uomini, ma anche agli Angeli, agli astri, ad ogni creatura. S. Gerolamo asseriva (Ep. 59, ad Avitum), che la croce del Salvatore aveva le cose che sono in terra, ed anche quelle che in cielo, pacificate. Al dolcissimo s. Francesco di Sales era di gran consolazione affermare che Gesù Cristo aveva sofferto per gli uomini e per gli Angioli (Lett. lib. 5, p. 38). Finalmente all’uopo nostro diceva s. Giovanni Grisostomo: « noi offriamo pel bene della terra, del mare e di tutto l’universo. » Perché noi saldiamo questo pensiero con tante autorità? Perché ci annoia fermarci in inutili e minute questioni di certi espositori dei riti così santi e di alti misteri significanti.  Su, su per man colla madre, e nella luce del suo tempio, giacché ci è dato vedere nell’intelligenza delle cose divine mentre andiam roteando su questo piccolo mondo, diciam con Origene ancora: l’altare era in Gerusalemme, e il Sangue della vittima bagnò l’universo. Perché piacque a Dio, dice s. Paolo (Colos. I, 20, Eph. I, 10), riconciliar tutte le cose per mezzo di Colui, che è il principio della vita, il primogenito dei morti, avendo pacificato pel Sangue sparso sulla croce quanto è in terra e quanto è in cielo. Basti! Noi adoriamo l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo, e cantiamo colla Chiesa: Terra, pontus, astra, mundus quo lavantur flumine (Inno del ven.). Oh si! la terra, il mare, le stelle, e l’universo tutto, si! tutto s’ha da purificare nel Sangue di Gesù Cristo, Redentore del cielo e della terra: e con tanta abbondanza di redenzione dinanzi, che farà il Sacerdote? Accenna Gesù misticamente crocifisso, e prega il Monarca dell’universo di rinnovar per Gesù tutta la creazione, cioè d’immergerla per Esso nella fiamma del vivificator suo Spirito, e riordinarla tutta a gloria del Creatore, a Sé; ed in essa a noi somministrare tutti i beni, secondo il disegno dell’eterna bontà nella misura della misericordia divina, di cui dà spettacolo sull’altare.

« Pel quale Gesù Voi tutti questi beni create ecc. ecc. »

Bene a ragione: perché è Gesù il Verbo onnipotente; e come per Esso sono fatte tutte le cose, e senza di Esso niente fu fatto; così per Esso solo devesi ristorare, e quasi ricreare la creazione. E lo farà volentieri secondo i segreti disegni di sua sapienza il Padre, che nel primo istante del tempo, nel creare l’universo, mirava già al Sacrificio, che il Verbo suo Figlio gli avrebbe offerto. Egli per questo con tanto amore lavorava la creta, che del suo soffio animava (Apoc. XIII); fino d’ allora pensava che vedrebbe sotto la specie di quei doni presentarsi in offerta l’Unigenito; e già divinamente se ne compiaceva. Bene osserva s. Tommaso, che nel nominare l’atto della creazione il Sacerdote non fa il segno di croce coll’atto di benedire, perché la benedizione di Dio a noi non viene dal primo atto della creazione, ma sì dalla redenzione operata dal mistero della croce (Tetul.) « Li santi+ficate, li vivi+ficate, li bene+dite e li donate a noi ecc. ecc. » Fa tre croci nel pronunciare queste parole. L’abbiamo già detto: la Redenzione è la ristorazione della creazione, che nel ministero della croce fu rinnovellata. « Li santificate » adunque vuol dire: « grande Iddio, per questo vostro Figlio tutte le creature riordinate a servire alla gloria di Voi,Creatore santissimo: così che fino un po’ di pane e un po’ di vino per Lui santificati non sono più dessi, ma diventano Corpo e Sangue suo; restandone solo le specie distinte e separate, a rappresentare la memoria della sua morte in croce: nel cui mistero tutte le cose riordinate e raddrizzate a servizio vostro; e in questo servizio ordinato consiste appunto la santità degli esseri tutti. » – « Li vivificate: » mentre il Verbo spira e mantien negli esseri la vita, qual mistero si opera qui? … I doni di Dio pel Redentore diventano alimento, che vivifica all’immortalità le nostre persone. « Li benedite e li date a noi; » per Gesù Redentore nostro si diffondono di fatto in tutte le creature le benedizioni, e massimamente in noi, a cui col dare il Figlio con bontà meravigliosa e al tutto divina, ci donate l’Autore, e la sorgente di tutte le benedizioni: il quale ricevendo noi degnamente, saremo da Lui santificati, vivificati e benedetti. Il Sacerdote continua l’azione; e pare a noi qui, che ci dica d’attaccarci a Gesù e di contemplare con tutta l’anima in Lui crocifisso il compimento del mistero ineffabile della Redenzione. Grande Iddio! E questo appunto l’istante, in cui si ricorda l’agonia di Gesù! Il Sacerdote si addentra nel mistero , e per farsi più presso, come Maria ss. sotto la croce, e cospergersi l’anima del Sangue di Gesù Cristo, scopre il calice! Alla vista di quel preziosissimo Sangue si prostra per terra adorandolo in compunzione. Con un cuor tutto pieno d’inesprimibili affetti, gettatosi fra le braccia di Dio, gli prende nel seno il Corpo del suo divin Figlio, e tenendolo sollevato sopra quel Sangue, a rappresentarlo così come era agonizzante in croce, fa con esso tre croci in segno delle tre ore di sua agonia (D. Thom. 2 p., q.83, a 5, et Bonav. in expos. Miss.). Vogliamo aggiungere ancora col Dottore angelico, come quelle tre croci ricordano anche le tre orazioni, piene di tanta pietà, che fece Gesù sulla croce. La prima in quella preghiera di carità al tutto divina, in cui diceva al Padre: « perdonate a questi; essi non san ciò che fanno. » La seconda quando disse con tanta tristezza: « Dio mio, Dio mio, m’avete adunque abbandonato? » La terza quando disse con maggior tenerezza: « nelle vostre mani, o Padre, raccomando lo Spirito mio! » Aggiungeremo altre spiegazioni seguenti. Eccoci adunque rappresentato qui innanzi agli occhi Gesù, per tutte quelle tre ore pendente in croce, che gronda vivo Sangue da tante lacerazioni. Segna ancor due croci fuor del calice, per indicare che da quel corpo esce il Sangue, e si separa l’anima nel momento della morte. Inoltre queste tre croci mettono dinanzi all’anima nostra da contemplare Gesù, che patì nel corpo pei flagelli, e per le ferite; patì nell’anima per la tristezza, pel tedio, per l’orrore: patì nell’onore per gli scherni e per le contumelie (S. Thom. 3 p. q. 49, a 5). Poi colle due croci fuori del calice si vuol significare (Merati, lib. I, p. I, pag. 571, et D. Thom. loc. cit.), che nel Redentore santissimo patì Dio impropriamente per l’unione ipostatica del vero Dio e del vero uomo nella sola Persona di Gesù Cristo.. – Patì adunque sì veramente Dio Figlio ma non il Padre e lo Spirito Santo: perciò fa le due croci fuori del calice, per significare che queste due Divine Persone non isparsero il sangue, perché non s’incarnarono. Diciamo ancora a consolazione delle anime devote, che quelle croci (D. Thom., 2 p., q. 85, a. 5.) danno a divedere, che la consacrazione del Corpo ss., e l’accettazione di questo Sacrificio e le grazie copiose che ne derivano, sono frutto della passione divina. Così si può trovar pascolo di tenera pietà nel considerare quelle tre croci fatte e questo punto. Insomma, tutte le create cose con noi debbono dar gloria a Dio. L’uomo, direm con Bossuet, impresta il suo cuore alle creature a lodar Dio umanamente; Gesù impresta il suo cuore a noi uomini a rendergli gloria e grazie divinamente.

Alza fra le mani il ss. Calice e sopra esso il ss. Corpo.

Esposizione di questa ultima Elevazione.

In quest’istante alza il Corpo ss. che là sulla croce pendeva svenato, alza anche di sotto nel calice il Sangue, che appunto sul Calvario grondava sotto la croce, e restava là sparso per terra! Il canone è per terminare. È questo forse il più tenero istante: popolo, popolo, e voi, anime buone, contemplate in silenzio il morente Gesù, che, come spirante misticamente, dall’altare vola in seno al Padre, e gli va a dire tante cose, proprio tutte per tutti noi! Deh! che dirà mai Gesù mostrandosi in quest’atto come una vittima svenata innanzi al Padre?… Padre santo, crediamo che grida col Cuore squarciato Gesù, questi meschinelli che mi ho intorno, sono figlioli del mio Sangue, mi costano tanti dolori, me li copro colle mie Piaghe, me li voglio salvi in paradiso!… » E noi qui con Gesù? Deh, che fortunato istante!… Ecco Gesù elevato dal Sacerdote che stringendo tra le mani la Santa Ostia par si tenga a Lui vivamente attaccato. Si è proprio Gesù che di mezzo a noi gettandosi in braccio al Padre, abbassa a noi l’amorevole sguardo per dirci: O figliuoli del mio Sangue, su qui con me, e sia pur grande l’altissimo Iddio, fate coraggio, insieme con me, colla mia parola istessa chiamatelo col nome di Padre…. e noi affrettiamoci di alzare le grida intorno a Gesù: « o Padre santo! Noi infelici abbiamo la testa tutta piena di cattivi pensieri; ma deh guardate Gesù; vi presenta la testa che fu coronata di spine per noi! Padre! abbiamo gli occhi e la bocca brutti di peccati; guardate il vostro Figlio; vi presenta gli occhi grommati di Sangue per le nostre cattive occhiate, la sua bocca pesta di pugni per le bestemmie, piena di Sangue per gli indegni discorsi! Padre, abbiamo le mani piene d’opere male: guardate Gesù; vi presenta l’una e l’altra mano squarciata e piena di Sangue per le cattive nostre azioni! Padre, abbiamo i piedi contaminati, perché andiamo colle persone pericolose nei luoghi cattivi, andiamo lontani dalla Chiesa, dai Sacramenti, ci andiamo a perdere; guardate il vostro Figlio, vi presenta l’uno e l’altro piede trafitto dai chiodi per noi! Ah Padre santo! Abbiamo il cuore guasto noi; ma Gesù ha qui il Cuore che geme Sangue, il Cuor che arde, e tien sempre viva questa ferita, fin che non ci abbia tutti con Lui ad ardere nell’eterno amore in paradiso » (Alla beata vergine Margarita Alacoque, quando Gesù in una apparizione ordinava che s’istituisse la festa del sacro Cuore suo (come si fece), compariva Egli col Cuor aperto dalla ferita e ardente di fiamme; e tale si vuole dipinto dalla pietà de’ fedeli, che sentono la verità del Mistero, e lo contemplano innamorati, lasciando i giansenisti a cinguettare!). Sarà questa sempre la più amabile preghiera. L’eterno Padre, contemplando sull’altare questo spettacolo del Figliuol suo, che in tanto abisso di umiltà, al cospetto della terra e del cielo, buttandosi sacrificato dinanzi alla Maestà sua divina, La glorifica di così infinita soddisfazione, abbraccia sull’altare il suo Gesù; e vedendosi fra le braccia il Figlio come svenato pei peccati degli uomini, che sono poi alla fine creature così da poco, stringendo fra le mani il Capo languente del suo Gesù: » Figliuol mio, Figliol mio! par che debba esclamare, è troppo ciò che tu fai pel Padre, restituendogli, anche quei figliolini che aveva perduto; » e bacia in volto tremante per amore il Figliuolo, in che si compiace eternamente. Qui è da richiamare alla mente, che nell’atto dell’offerta, nel calice col vino, che doveva diventare Sangue di Gesù, si mescolava un po’ d’acqua, per significare il popolo dei fedeli, che qui si hanno da unire con Gesù, come l’acqua si è col vino mischiata, confusa e insieme offerta. Ora adunque qui Gesù (come dalla croce spirava l’anima in braccio al Padre) si getta dall’altare in braccio al Padre, e gli porta seco in seno le anime dei redenti. Il Padre bacia in fronte il suo Figliuolo e in Lui abbraccia e bacia in fronte anche le povere nostre persone… Ma oimè che tentiam noi…. meschini! con così povere parole umane spiegare cose così sante e al tutto divine?… É meglio nel silenzio del labbro rapiti in cielo contemplare i beati con noi estatici a tanta bontà divina che provano gaudio di sempre nuova beatitudine nel vedere Gesù gettarsi dall’altare in seno al Padre, e dirgli con parola divina: « Padre, questi figliuoli noi vogliamo in beatitudine in paradiso! » – Ecco, ecco, tutti i beati adorano genuflessi, acclamano col loro cantico immortale all’Agnello divino, a Gesù Cristo, e per esso al Padre onnipotente nell’Eterno Amore, onore e gloria per tutti i secoli in paradiso (Apoc. III, 12). Per tutti i secoli in paradiso?… Ah non solo là in paradiso, ma il Sacerdote per dare avviso, che in quest’istante si compie invisibilmente tanto mistero, quanto appunto compie anch’esso il canone santo, alza la voce e ripete: « per tutti i secoli dei seccai, » invitando il popolo di terra a far eco al paradiso. Il popolo risponde: « Amen » Si sì, a Gesù Redentore, Primogenito dei morti, Principe dei re della terra, che così ci ha amati, e ci ha lavati dei nostri peccati col proprio Sangue; che fece noi regno e Sacerdoti suoi: a Dio suo Padre gloria ed impero per tutti i secoli dei secoli (Apoc. 1, 5, 6.). Deh! ammessi a partecipazione di tanto mistero, ascesi sul monte delle divine agonie, immersi nel lavacro del Sangue di Gesù Cristo, fermiamoci sulla sacra vetta un istante col cuore che scoppia, e con Gesù che si slancia in Paradiso, per la via del cielo, rispondiam colle lacrime: « Amen, Amen, sì verremo, sì veniamo a benedirlo là con parole che… ancor non conosciamo! »