DOMENICA IN ALBIS o OTTAVA DI PASQUA.
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Stazione a S. Pancrazio.
Privilegiata di 1 classe. – Doppio maggiore. – Paramenti bianchi.
Questa Domenica è detta Quasimodo (dalle prime parole dell’Introito) o in Albis (anticamente anche post Albas), perché i neofiti avevano appena la sera precedente deposte le vesti bianche, oppure anche Pasqua chiusa, poiché in questo giorno termina l’ottava di Pasqua (Or.). Per insegnare ai neofiti (Intr.) con quale generosità debbano rendere testimonianza a Gesù, la Chiesa li conduceva alla Basilica di S. Pancrazio, che all’età di quattordici anni rese a Gesù Cristo la testimonianza dei sangue. Così devono fare i battezzati davanti alla persecuzione a colpi di spillo cui sono continuamente fatti segno; devono cioè resistere, appoggiandosi sulla fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, risorto. In questa fede, dice S. Giovanni, vinciamo il mondo, poiché per essa resistiamo a tutti i tentativi di farci cadere (Ep.). È quindi di somma importanza che questa fede abbia una solida base e la Chiesa ce la dà nella Messa di questo giorno. Base di questa fede è, secondo quanto dice S. Giovanni nell’Epistola, la testimonianza del Padre, che, al Battesimo del Cristo (acqua), lo ha proclamato Suo Figliuolo, del Figlio che sulla croce (sangue) si è rivelato Figlio di Dio, dello Spirito Santo che, scendendo sugli Apostoli nel giorno della Pentecoste, secondo la promessa di Gesù, ha confermato quello che il Redentore aveva detto della propria risurrezione e della propria divinità. Nel Vangelo vediamo infatti come Gesù Cristo, apparendo due volte nel Cenacolo, dissipa l’incredulità di San Tommaso e loda quelli che han creduto in Lui senza averlo veduto.
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.
V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Introitus
1 Pet II, 2. Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja.
[Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia.]
Ps LXXX: 2. Exsultáte Deo, adjutóri nostro: jubiláte Deo Jacob. [Inneggiate a Dio nostro aiuto; acclamate il Dio di Giacobbe.]
– Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja.
[Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia.]
Kyrie
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
Gloria
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.
Oratio
Orémus.
Præsta, quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui paschália festa perégimus, hæc, te largiénte, móribus et vita teneámus.
[Concedi, Dio onnipotente, che, terminate le feste pasquali, noi, con la tua grazia, ne conserviamo il frutto nella vita e nella condotta.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Joannis Apóstoli. – 1 Giov. V: 4-10.
“Caríssimi: Omne, quod natum est ex Deo, vincit mundum: et hæc est victoria, quæ vincit mundum, fides nostra. Quis est, qui vincit mundum, nisi qui credit, quóniam Jesus est Fílius Dei? Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine. Et Spíritus est, qui testificátur, quóniam Christus est véritas. Quóniam tres sunt, qui testimónium dant in coelo: Pater, Verbum, et Spíritus Sanctus: et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, et aqua, et sanguis: et hi tres unum sunt. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est: quóniam hoc est testimónium Dei, quod majus est: quóniam testificátus est de Fílio suo. Qui credit in Fílium Dei, habet testimónium Dei in se”. – Deo gratias.
“Carissimi: Tutto quello che è nato da Dio vince il mondo: e questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede. Chi è che vince il mondo, se non colui che crede che, Gesù Cristo è figlio di Dio? Questi è Colui che è venuto coll’acqua e col sangue, Gesù Cristo: non con l’acqua solamente, ma con l’acqua e col sangue. E lo Spirito è quello che attesta che Cristo è verità. Poiché sono tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo: e questi tre sono una cosa sola. E sono tre che rendono testimonianza in terra: lo spirito, l’acqua e il sangue: e questi tre sono una cosa sola. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore. Ora, la testimonianza di Dio che è maggiore è questa, che egli ha reso al Figlio suo. Chi crede al Figlio di Dio, ha in sé la testimonianza di Dio”.
Il Vangelo ci presenta la storia come una grande lotta del bene contro il male, della verità contro l’errore, e viceversa. A chi la vittoria? Ai figli di Dio, risponde la Epistola di quest’oggi, dovuta a San Giovanni, l’autore del quarto Vangelo. L’insieme delle forze del male, le negative forze dell’errore, delle tenebre e del gelo, ha un nome classico: si chiama il mondo; l’antitesi, l’antagonista di Dio, l’anti-Dio. Un anti-Dio in carne ed ossa, realissimo a suo modo, d’una realtà empirica e grossolana. Gente che c’è, che parla, che si agita, che si dà delle grandi arie e del gran daffare, che assume volentieri pose trionfatrici. Apparenza e menzogna nota, proclama l’Apostolo. La Vittoria non è del mondo, il mondo è l’eterno sconfitto. Vince Dio e chi nasce da Dio: i figli di Dio. Un altro termine prediletto del quarto Vangelo, che qui riappare: i nati di Dio. E chi è che nasce da Dio? A chi è perciò riservata la vittoria? Potremmo adoperare una frase del quarto Vangelo: « Hi qui credunt in nomine eius: » i credenti in Lui. C’è la frase precisa anch’essa nella nostra Epistola: « gli uomini di fede ». La Vittoria che vince, abbatte, schiaccia il mondo, è la nostra fede: « Hæc est Victoria quæ vincit mundum, fides nostra! – La nostra fede! Fede, badate, non credulità. C’è l’abisso fra le due cose, per quanto molti le scambino. La credulità è una debolezza di mente. Il credenzone è un vinto, vinto dalle illusioni a cui (stolto!) egli dà una consistenza che non hanno. Perché anche senza essere credenzoni o troppo creduli, si può avere una fede non davvero religiosa o punto religiosa. Si può aver fede in un uomo; si può aver fede in un’idea, non divina. La fede di cui parla il Vangelo è sempre e sola fede religiosa, sanamente, profondamente religiosa: la fede, grazie alla quale noi siamo i figli di Dio, è qualcosa che viene da Lui e va a Lui. Fede buona nella Bontà; una fede, certezza immota, assoluta, profonda. – Il mondo non ha questa fede. Il mondo è scettico. Ha della fede, non la fede; degli idoli; non Iddio, il mondo. Non crede nella bontà amorosa e trionfatrice. Crede alle passioni, non alla ragionevolezza. Crede ai ciarlatani, non agli Apostoli. Crede all’astuzia, non alla verità. Noi siamo invece uomini di fede, gli uomini della fede, noi Cristiani. Noi crediamo alla carità, alla bontà di Dio, della Realtà più profonda, più vera, più alta: Dio! È la formula che adopera per altre volte lo stesso Apostolo: « nos credidimus charitati. » Sono tutte formule che si equivalgono: siamo figli di Dio, crediamo nel Suo Nome, abbiamo fede nella Sua bontà. Questa fede è la nostra forza. Chi crede davvero alla Bontà sovrana, dominatrice, divina, è buono; comincia dall’essere o per essere buono. Egli stesso combatte, lotta per bontà, lotta fiduciosamente, colla fiducia della vittoria. Perché sa di essere dalla parte di Dio e di avere Iddio dalla parte propria. « Si Deus prò nobis quies contra nos? » Credere alla vittoria è il segreto per conseguirla. E infatti nella storia, chi l’abbracci nel suo meraviglioso complesso, trionfa la bontà, trionfa Dio. Lo scettico ha dei trionfi apparenti e momentanei… i minuti. La fede ha per sé i secoli: trionfa con infinito stupore di chi credeva superbamente di aver potuto costruire un edificio sulla mobile arena dello scetticismo. Teniamo alta come segnacolo di vittoria la bandiera della nostra fede.
(P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.
(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)
Alleluja
Alleluia, alleluia – Matt XXVIII: 7. In die resurrectiónis meæ, dicit Dóminus, præcédam vos in Galilæam.
[Il giorno della mia risurrezione, dice il Signore, mi seguirete in Galilea.]
Joannes XX:26. Post dies octo, jánuis clausis, stetit Jesus in médio discipulórum suórum, et dixit: Pax vobis. Allelúja.
[Otto giorni dopo, a porte chiuse, Gesù si fece vedere in mezzo ai suoi discepoli, e disse: pace a voi.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joannes XX: 19-31.
“In illo témpore: Cum sero esset die illo, una sabbatórum, et fores essent clausæ, ubi erant discípuli congregáti propter metum Judæórum: venit Jesus, et stetit in médio, et dixit eis: Pax vobis. Et cum hoc dixísset, osténdit eis manus et latus. Gavísi sunt ergo discípuli, viso Dómino. Dixit ergo eis íterum: Pax vobis. Sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Hæc cum dixísset, insufflávit, et dixit eis: Accípite Spíritum Sanctum: quorum remiseritis peccáta, remittúntur eis; et quorum retinuéritis, reténta sunt. Thomas autem unus ex duódecim, qui dícitur Dídymus, non erat cum eis, quando venit Jesus. Dixérunt ergo ei alii discípuli: Vídimus Dóminum. Ille autem dixit eis: Nisi vídero in mánibus ejus fixúram clavórum, et mittam dígitum meum in locum clavórum, et mittam manum meam in latus ejus, non credam. Et post dies octo, íterum erant discípuli ejus intus, et Thomas cum eis. Venit Jesus, jánuis clausis, et stetit in médio, et dixit: Pax vobis. Deinde dicit Thomæ: Infer dígitum tuum huc et vide manus meas, et affer manum tuam et mitte in latus meum: et noli esse incrédulus, sed fidélis. Respóndit Thomas et dixit ei: Dóminus meus et Deus meus. Dixit ei Jesus: Quia vidísti me, Thoma, credidísti: beáti, qui non vidérunt, et credidérunt. Multa quidem et alia signa fecit Jesus in conspéctu discipulórum suórum, quæ non sunt scripta in libro hoc. Hæc autem scripta sunt, ut credátis, quia Jesus est Christus, Fílius Dei: et ut credéntes vitam habeátis in nómine ejus.” –
“In quel tempo giunta la sera di quel giorno, il primo della settimana, ed essendo chiuso le porte, dove erano congregati i discepoli per paura de’ Giudei, venne Gesù, e si stette in mezzo, e disse loro: Pace a voi. E detto questo, mostrò loro le sue mani e il costato. Si rallegrarono pertanto i discepoli al vedere il Signore. Disse loro di nuovo Gesù: Pace a voi: come mandò me il Padre, anch’io mando voi. E detto questo, soffiò sopra di essi, e disse: Ricevete lo Spirito Santo: saran rimessi i peccati a chi li rimetterete, e saran ritenuti a chi li riterrete. Ma Tommaso, uno dei dodici, soprannominato Didimo, non si trovò con essi al venire di Gesù. Gli dissero però gli altri discepoli: Abbiam veduto il Signore. Ma egli disse loro: se non veggo nello mani di lui la fessura de’ chiodi, e non metto il mio dito nel luogo de’ chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non credo. Otto giorni dopo, di nuovo erano i discepoli in casa, e Tommaso con essi. Viene Gesù, essendo chiuse le porte, e si pose in mezzo, o disse loro: Pace a voi. Quindi dice a Tommaso: Metti qua il dito, e osserva le mani mie, e accosta la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma fedele. Rispose Tommaso, e dissegli: Signor mio, o Dio mio. Gli disse Gesù: Perché hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro che non hanno veduto, e hanno creduto. Vi sono anche molti altri segni fatti da Gesù in presenza de’ suoi discepoli, che non sono registrati in questo libro. Questi poi sono stati registrati, affinché crediate che Gesù è il Cristo Figliuolo di Dio, ed affinché credendo otteniate la vita nel nome di Lui” (Jov. XX, 19-31). »
Omelia
(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.
LA PERSEVERANZA DOPO LA PASQUA
Quando tornò a casa Tommaso, uno dei Dodici, detto il Gemello, un’ondata di gioia l’accolse, e tutte le facce dei discepoli, rapite ancora nella divina ebbrezza, gli furono d’attorno. «Oh, Tommaso, se fosti rimasto con noi avresti veduto anche tu il Signore risorto! ». Siccome teneva un’aria tra melanconica e incredula, si fecero a narrargli tutto per filo e per segno. Era oscuro e le porte erano chiuse, quando senza muovere battente Gesù si trovò in mezzo a loro, e mostrava ad ognuno le palme piagate e il costato squarciato; e per due volte aveva detto: « A voi sia pace! ». Pax vobis. Ma in quell’atmosfera accesa d’esultanza e d’amore, Tomaso lasciò cadere, gelida e amara, la parola del suo cuore chiuso: « Non credo ». Gesù fra loro? Ma non poteva essere. Egli era morto, e la sua spoglia straziata chiusa da un masso enorme nella caverna scura; era custodita ancora dalle guardie di Pilato. Gesù rivivente? Ma come poteva rivivere quel corpo; dove piaga si era aggiunta a piaga, dove non una fibra era rimasta intatta? Come poteva palpitare ancora quel cuore perforato dalla lancia? « È inutile! — ribatteva alle insistenze dei compagni, — se io non metto il dito nel posto dei chiodi, se io non metto la mano nel suo costato, non credo ». – E otto giorni dopo Gesù venne ancora. Tommaso. c’era, stavolta; il Risorto esclamò: « Pace sia con voi». Pax vobis. Poi chiamò l’incredulo: « Qua, il tuo dito. Qua, la tua mano! ». In tutta la sala fatta silenziosa, scoppiò un grido: « Signore mio e Dio mio. Non sulla gioia dei discepoli, non sulla incredulità di Tommaso, ma sull’augurio del Maestro divino dobbiamo fermare la nostra attenzione. « A voi sia. Pace! ». Risorgendo da morte non altra parola, non altro dono recò ai suoi se non la pace: quella che Egli aveva firmata tra Dio e l’umanità con il suo sangue. Pax vobis! è pur questo ancora il dono e la parola che Gesù reca ad ognuno che ha compiuto in questi giorni il suo dovere pasquale, e credo che nessuno tra voi resti escluso. Dopo d’aver confessati bene i peccati, dopo d’esservi cibati della Sacra Ostia, avete sentito la sua voce ripetervi in fondo al cuore: « A te sia pace. Dio è placato e ti ama ». Sì, oggi tutti siamo in pace col Cielo; io lo spero. Però quel che importa è che questa pace non duri appena una o due settimane, ma sempre. Non venga più, dunque, il peccato a rapirci il dono della risurrezione. Nessuno si renda meritevole del rimprovero che S. Paolo fece ai Galati. Aveva a loro annunziato il Vangelo, li aveva battezzati, li aveva entusiasmati nella Religione nostra: ma appena fu lontano, quelli dimenticarono ogni cosa e ritornarono alla vita di prima. S. Paolo lo seppe, e scrisse a loro una lettera di rimproveri e di lacrime: « In così poco tempo avete saputo abbandonare Cristo? Avete cominciato nel fervore e finite nella disonestà! O stolti, chi vi ha illusi a disubbidire alla verità? ». O insensati Galatæ, quis vos fascinavit non obœdire veritati? (Galat., III, 1). Non basta dunque aver fatto pace con Dio, bisogna adesso mantenerla, continuando in grazia, poiché soltanto chi avrà perseverato fino alla fine si salverà. Perseveranza ci vuole! e la perseveranza dipende da Dio e da noi. Se dipende da Dio preghiamolo; se dipende da noi, vigiliamo. – 1. DIPENDE DA DIO: PREGHIAMOLO. Udite un paragone che una volta portava Gesù alle turbe. « Se alcuno pensa di edificare una torre, prima si ritira in casa e calcola un progetto preventivo di spesa e considera se le sue ricchezze basteranno a tener fronte all’impresa, e se mai qualche amico lo aiuti con prestiti… ma non si mette all’opera all’impensata, altrimenti correrebbe il rischio di non poter condurre a termine la costruzione e di abbandonarla a mezzo, fra lo scherno della gente: « Guardate il tale! ha cominciato a fabbricare e non ho potuto finire » (Luc.; XIV, 28-30). Or bene, noi dobbiamo cominciare l’ardua fabbrica d’una vita nuova, una vita di pace e in grazia: se ci ritiriamo a riflettere sui mezzi che disponiamo, bisogna concludere che da soli ci mancano le forze per durarla anche un giorno solo. C’è però un nostro grande Amico, ricchissimo e potentissimo, che appena lo preghiamo, supplisce ad ogni nostra debolezza: Dio. Senza la preghiera è quindi impossibile la perseveranza. Ma con la preghiera ogni difficoltà sparisce, ogni tentazione si dissolve, la nostra debolezza trionfa. Prima che S. Agata fosse martirizzata, il tiranno volle tentare ogni seduzione per indurla al peccato; ma ogni sua arte riuscì inutile perché la santa pregava. « Sarebbe più facile, — disse il tiranno — sarebbe più facile ammollire i macigni e il diamante, cambiare il ferro in piombo, anziché cambiare l’animo di Agata e sviarla dall’amore di Gesù Cristo e dal proposito della castità ». Che bella testimonianza! Noi invece siamo come fogliette di pioppo tremanti ad ogni vento; siamo come cera che si liquefa al primo caldo; siamo come rugiada che svanisce al primo raggio. Quante volte è bastato un pensiero ozioso, uno sguardo, una parola, un sorriso per travolgerci in rovina! Perché? Perché non si può perseverare senza l’aiuto di Dio. Quest’aiuto, che il Signore pietoso non nega mai, lo si ottiene con la preghiera e con i Sacramenti. – Per essere più preciso, vi ricorderò che Dio ha diviso il tempo in giorni, in settimane, in mesi, in anni: e noi ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, ogni anno abbiamo bisogno del conforto divino a perseverare. Ed allora ogni giorno ci sia la preghiera del mattino e della sera col Rosario; ogni settimana, nel giorno festivo, la Messa e la spiegazione della Dottrina cristiana; ogni mese la Confessione e la Comunione, — questo è solo un mio consiglio ma tanto giovevole; ogni anno la Pasqua sia santificata con un esame di coscienza generale e con l’adempimento esatto del dovere pasquale. Queste pratiche non vi sembrino esagerate: siamo pronti a ben maggiori fatiche per conservare le ricchezze del mondo, e ci rifiuteremo vilmente quando si tratta di conservare la pace e la grazia, che sono ricchezze di paradiso? D’altronde a chi le eseguirà, io assicuro da parte di Dio la perseveranza fino alla fine. – 2. DIPENDE DA NOI: VIGILIAMO. S. Gerolamo dice che noi viaggiamo carichi d’oro: è il gran tesoro della grazia di Dio, della pace sua santa. Non lasciamoci derubare. Temiamo i ladri astuti e feroci che stanno nascosti dentro e fuori di noi. Vigiliamo, ché nel cammino della vita dobbiamo essere non degli sventati, ma dei prudenti. Vigilate! Quando Antonio fu all’età di trentacinque anni volle recarsi in un antico romitaggio, dove avrebbe potuto lodare Dio in tutta povertà e penitenza. Ma l’infernale nemico tentò d’impedire il proposito eroico e gettò, sulla via per dove doveva passare, un dischetto d’argento. « Lo raccoglierà, — pensava il demonio, — tornerà indietro per spendere la moneta, o donarla: e poi probabilmente dimenticherà il romitaggio ». Ma appena s. Antonio vide il dischetto d’argento luccicare davanti a’ suoi passi, conobbe l’inganno, e gridò come se il demonio lo potesse sentire. « Quest’argento sia teco in perdizione ». Una fiammetta, una boccata di fumo e il dischetto scomparve. L’astuzia del tentatore non è mutata neppure dopo mill’anni. Egli sa del vostro proposito di perseverare dopo la Pasqua e sulla strada per dove passate getta, come luccicanti monete, i suoi inganni. È quel ballo, è quella persona, è quel ritrovo, è quel piacere, è quel libro… Non raccogliete, per amor di Dio, il dischetto d’argento infernale: fuggite l’occasione! e voi pure gridate: « Questa lusinga sia teco in perdizione ». In un attimo ogni tentazione, tutto si dissolverà in vano fumo, davanti ai vittoriosi, Resistete giorno per giorno! « Ma io sono giovane e come potrò resistere per venti e quarant’anni in una vita pura, ritirata, cristiana? Ho già provato altre volte: per un giorno, per una settimana ho resistito, ma poi le forze mancarono, le passioni ingagliardirono, e cedetti… ». Risponderò ancora con un esempio dei Padri del deserto, assai sperimentati nei combattimenti spirituali. Vivevano nell’eremo due Egiziani, che da poco avevano abbracciato quella vita santa, e, si capisce, il demonio li spingeva ad abbandonarla. Per superare questa tentazione, essi decisero di aspettare fino alla stagione seguente: « Ecco l’inverno! — si dicevano; — passiamolo ancora qui: del resto è tanto breve; ce ne andremo a primavera ». L’inverno passava ancora in santità ed orazione. « Ecco la primavera! — dicevano poi; — è cosa tiepida che piace perfino nel deserto. Ce ne andremo in autunno ». E così di stagione in stagione, rimasero cinquant’anni nella solitudine e morirono in pace. Altrettanto fate voi, o Cristiani, che desiderate perseverare in grazia. « Da Pasqua a Pentecoste non ci sono cent’anni: resistete fino allora: poi dopo una bella Confessione e una fervorosa Comunione, deciderete. — E da Pentecoste alla Sagra o all’Ufficio Generale, o alle S. Quarant’ore, o al Giorno dei morti… non è un’eternità: resistete fino allora ». E così di periodo in periodo, tutta la vita passerete nella santa perseveranza di Pasqua. – Tre convalescenti si presentarono al medico. Erano appena usciti da malattia gravissima, e tutti e tre — temendo la ricaduta — ricorsero pieni di fiducia al loro dottore per domandargli consigli. I consigli furono uguali a tutti: prendere maggior nutrimento; astenersi da certe bevande e da certe vivande irritanti; accorrere dal medico senza indugi appena i sintomi del male riprendessero a manifestarsi. Il primo convalescente, ritornato a casa sua, dimenticò ogni prescrizione medica, anzi se ne rise: ma d’improvviso il male lo riprese e lo strappò nella tomba. Il secondo convalescente preferì ascoltare per metà i consigli del dottore: prese maggior nutrimento, ma non si astenne dai cibi proibiti; e neppure lui godette salute. Il terzo invece eseguì scrupolosamente ogni comando e, appena temeva un assalto del vecchio male, ricorreva al suo medico: così poté campare lieto e sano fino alla più tarda età. Tra i fedeli che dopo la santa Pasqua vogliono perseverare nella salute dell’anima, noi distinguiamo tre categorie. Alcuni non ricordano nemmeno uno dei consigli ricevuti in confessione: maggior nutrimento di preghiere, ed essi non pregano mai; astensione dai cibi irritanti, ed essi amano invece cose, luoghi, persone pericolose; farsi vedere frequentemente dal medico, ed essi non si confessano più d’una volta all’anno. Costoro ricadranno in peccato peggio di prima, e sempre con minor speranza di risollevarsi. Altri prendono sì un maggior nutrimento di preghiere, una maggior frequenze di Sacramenti; ma non fuggono le occasioni peccaminose. Costoro non potranno mai perseverare, perché chi ama il pericolo in esso perisce. Infine, c’è un piccolo gruppo che eseguisce scrupolosamente i tre consigli. E vi assicuro che son costoro quelli che non perderanno mai la pace pasquale e cammineranno con Gesù risorto fino alla morte e poi per sempre di là. In quale categoria ci poniamo noi? — 1. LA FEDE DONA LA PACE ALLA MENTE. Santa Perpetua, perché cristiana, fu trascinata davanti al giudice e condannata alle fiere. Questa donna, così gentile e affettuosa che un giorno era stata rimproverata dal rigorista Tertulliano perché baciava il suo bambino con troppo amore, non tremò davanti alla morte, ma parve sorridere. Quando in mezzo al circo, in cospetto del popolo africano, vide contro di lei venir la mucca infuriata, congiunse le mani e si protese verso la bestia come se si preparasse a pregare sulla culla del suo bimbo addormentato. Al primo assalto fa travolta dalla polvere, ma non le fu recato alcun male. Ed ella si alzò da terra senza turbarsi e riannodò modestamente le chiome che s’erano scompigliate nell’urto e scosse la polvere dagli abiti, ed aspettò la morte come si aspetta una sorella che venga… Ma chi poteva dare a una donna tanta serena pace da curarsi ancora del decente aspetto della sua persona, proprio quando la soprastava un tragico martirio? La fede. Dice la fede: quaggiù non è la nostra dimora, ma solo una valle di patire. Dice la fede: chi perde la vita per amor del Signore, la ritroverà. Ella credeva fermamente, e di che cosa poteva temere? Oh se si avesse fede, non si bestemmierebbe la Provvidenza di Dio quando ci manda le croci! Se si credesse un po’ di più alle verità del Vangelo che il prete ogni festa spiega nella Chiesa, nel mondo non ci sarebbe tanta gente che ad ogni piccola sventura cerca la morte! Guardate i fanciulli: essi sono sempre beati: perché credono alla loro mamma. Noi pure saremo beati, se crederemo a Dio nostro Padre, con la fede d’un fanciullo. Ecco perché Gesù risorto rimproverò Tommaso il gemello e gli disse: « Tommaso non essere incredulo. Beati quelli che, pur non vedendo, crederanno ». – 2. LA CONFESSIONE DONA LA PACE AL CUORE. Un missionario del secolo XVIII predicava in un paese alpestre di Francia. Narra il P. Monsabré che una volta entrò in quella chiesa ad ascoltarlo anche un ufficiale di cavalleria avvolto nel suo mantello. Il suo sguardo nero e profondo era irrequieto e sembrava un lampo che guizzasse fuori dalla nuvolaglia che s’accozzava in quel cuore in tempesta. Tratto tratto ansimava, premendosi la mano sul cuore tumultuoso. E Dio volle che il missionario parlasse proprio della confessione. La parola suadente del prete gli penetrava in cuore e alla fine risolvette di buttarsi ai piedi del confessore. Il missionario lo raccolse con amore e lo aiutò a confessarsi davanti a Dio. Quando quell’ufficiale dall’ampio mantello uscì dalla Chiesa, piangeva e volgendosi ad alcune persone disse: « In vita mia non ho provato una pace così pura e così soave come quella che il ministro di Dio mi ha procurato col mettermi in grazia. E credo che neppure il re, che servo da trent’anni, può essere più felice di me ». Pasqua è venuta: ma è venuta la pace nei nostri cuori? Se in noi non c’è pace è forse perché ci siamo confessati male, o fors’anche non ci siamo confessati? Il peccato è come un tarlo che rode senza posa il nostro povero cuore: ed esso non muore se non col perdono di Dio che si riceve ai piedi del confessore. Ecco perché Gesù, apparendo quella sera nel cenacolo, dopo aver detto: « La pace sia con voi » si curvò sopra degli Apostoli e alitando sopra le loro fronti disse: « Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete, sarà perdonato; a chi non perdonerete non sarà perdonato ». Come il Divin Padre aveva mandato Gesù, così ora Gesù manda i suoi discepoli a portare la pace nel mondo. Ma pace non ci può essere se non nella coscienza pura. E Dio istituì perciò il Sacramento della purificazione. – L’OSSERVANZA DELLA LEGGE DI DIO METTE LA PACE IN OGNI NOSTRA AZIONE. Un giorno Dio comandò a Saul di muovere sopra gli Amaleciti, di saccheggiare e incendiare ogni cosa. E Saul piombò contro i nemici di Dio e stravinse: però volle risparmiare il re, forse per far più bello il suo trionfo; volle ancora risparmiare alcune pecore col pretesto di sacrificarle a Dio. Di ritorno dalla guerra, il profeta mosse ad incontrarlo e gli disse: « Hai tu distrutto ogni cosa? » – « Ho compiuto la parola del Signore » rispose Saul. Ma in quel momento le pecore belarono. « Ma io odo un belare d’agnelli » disse il profeta. Saul titubò un istante cercando una scusa: « Fu il popolo che ha voluto che si risparmiassero i capi migliori per farne sacrificio ». Samuele si adirò. « Poiché tu hai gettato dietro alle tue spalle la parola di Dio, ecco: Dio ti ripudia e non ti vuol più re ». È il caso di molti Cristiani. Durante la quaresima hanno ravvivato la loro fede, nei giorni di Pasqua hanno fatto anche la Comunione, eppure nel loro cuore non sentono la pace che Gesù risorto portò ai suoi discepoli. Oh, non basta la fede, quando non si agisce ancora nella luce della fede! Oh, non basta la confessione quando si conservano in cuore certi attaccamenti al peccato. Et quæ est hæc vox gregum? Cos’è questo belar d’agnelli? Non aveva Dio imposto la distruzione d’ogni cosa? E perché allora si è voluto continuare in certe amicizie, in certe compagnie, in certi desideri che la legge del Signore proibisce? Perché in fondo al cuore cova ancora quell’astio o quell’attacco alla roba d’altri? Perché si è voluto risparmiare il re degli Amaleciti, ossia la propria passione predominante? Qual meraviglia allora se la pace del Signore non è venuta dentro di noi? La pace di Dio è solo nell’osservanza dei comandamenti di Dio. Pax multa diligentibus legem tuam, Domine! – Irrequietum est cor nostrum, donec requiescat in Te. L’anima ardente di S. Agostino cercava la pace. E dalle spiagge della sua Africa d’oro si volge alle mondane cose con tormentose domande: chiedendo pace. Ma gli aranceti e gli olivi in fiore di Tagaste e tutto il verde pendio sembravano rispondergli: — Quello che tu cerchi non è qui tra le nostre fronde agitate dal vento: cerca più in su! E S. Agostino cerca il mare: ma le onde e gli infiniti increspamenti del mare nel loro perpetuo ondulamento gli rispondono: « Quello che tu cerchi non è qui nelle nostra eterna agitazione: più in su!» E S. Agostino leva gli occhi sopra il cielo stellato della sua Africa d’oro. Ma gli astri dicono: « Quello che tu cerchi non è qui: ché noi siamo, come il tuo cuore, sempre vaganti: più in su ». « Dio! ». – Egli solo, quando vive nella nostra mente, nel nostro cuore, in tutta la vita nostra, Egli solo è la nostra pace. Ipse est pax nostra (Ef., II, 14).
Offertorium
Orémus
Matt XXVIII:2; XXVIII:5-6.
Angelus Dómini descéndit de coelo, et dixit muliéribus: Quem quaeritis, surréxit, sicut dixit, allelúja.
[Un Angelo del Signore discese dal cielo e disse alle donne: Quegli che voi cercate è risuscitato come aveva detto, alleluia.]
Secreta
Suscipe múnera, Dómine, quaesumus, exsultántis Ecclésiæ: et, cui causam tanti gáudii præstitísti, perpétuæ fructum concéde lætítiæ.
[Signore, ricevi i doni della Chiesa esultante; e, a chi hai dato causa di tanta gioia, concedi il frutto di eterna letizia.]
Præfatio
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
Paschalis
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre: Te quidem, Dómine, omni témpore, sed in hac potíssimum die gloriósius prædicáre, cum Pascha nostrum immolátus est Christus. Ipse enim verus est Agnus, qui ábstulit peccáta mundi. Qui mortem nostram moriéndo destrúxit et vitam resurgéndo reparávit. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:
[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare: Che Te, o Signore, esaltiamo in ogni tempo, ma ancor piú gloriosamente in questo giorno in cui, nostro Agnello pasquale, si è immolato il Cristo. Egli infatti è il vero Agnello, che tolse i peccati del mondo. Che morendo distrusse la nostra morte, e risorgendo ristabilí la vita. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.
Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:
Pater noster
qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.
Agnus Dei
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.
Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
Communio
[Joannes XX: 27] Mitte manum tuam, et cognósce loca clavórum, allelúja: et noli esse incrédulus, sed fidélis, allelúja, allelúja.
[Metti la tua mano, e riconosci il posto dei chiodi, alleluia; e non essere incredulo, ma fedele, alleluia, alleluia.]
Postcommunio
Orémus.
Quæsumus, Dómine, Deus noster: ut sacrosáncta mystéria, quæ pro reparatiónis nostræ munímine contulísti; et præsens nobis remédium esse fácias et futúrum.
[Ti preghiamo, Signore Dio nostro, che i sacrosanti misteriose tu hai dato a presidio del nostro rinnovamento ci siano rimedio nel presente e nell’avvenire]
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)