QUARESIMALE (XXXV)
DI FULVIO FONTANA
Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ
Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)
IN VENEZIA, MDCCXI (1711).
PREDICA TRENTESIMAQUINTA
Nella Feria desta della Settimana Santa.
Nella Passione del Redentore si dimostra la gravezza del peccato mortale.
Passio Domini Nostri Jesu Christi
Ahi, Ahi, che vedo? Sacre pareti, e perché vi rimiro spogliate d’addobbi, prive di
luce, e ricoperte di lutto? E perché senza arredo, e senza Sacrifici gli altari? Già sentii flebile il vostro canto o addolorati Sacerdoti; e che strane mutazioni son queste? Ma e dove è il mio Cristo? Io qui non lo vedo, privo di Lui, se Egli non mi assiste, come potrò proferir parola? Non avrò lingua che valga, spirito che possa. Deh Ministri riveriti del Tempio rendetemi l’amoroso mio bene: deh non tardate! Ahimè non v’è Gesù, sento rispondermi dallo sconsolato Clero, è morto Gesù! Morto Gesù? Misero, e che farò? Infermi, siete privi di medico, è disperata la vostra salute. Figli, deplorate pure la perdita del vostro Padre. Eccovi o vassalli senza sovrano, senza duce ai soldati. Eccovi tutti a guisa di pecorelle smarrite senza Pastore Divino. Qual sarà dunque il mio rifugio tra tante turbazioni? Non gli Apostoli, perché accorati li vedo posti in fuga; non gli Angeli, perché addolorati spargono lagrime; non la Vergine, perché trafitta nel cuore da duolo acutissimo; non l’Eterno Padre tutto intento a scaricar le pene de’ peccatori sopra l’innocenza del Figlio. Tu sola mi resti o croce amata. Tu sarai per me arca di salute, portandomi sicuro fra l’onde del Sangue d’un Dio morto per me, morto per noi. Tu colonna di fuoco, guidami senza inciampo, ed a guisa di mosaica verga, aprimi sicuro il sentiero nel Mar Rosso del Sangue Divino. Quei chiodi trafiggano l’animo de’ peccatori; quella spongia zuppa di fiele gli faccia conoscere il tossico del peccato; quei martelli spezzino il lor cuore indurato nelle colpe; servano le corde per raffrenar le passioni, la lancia uccida i vizi, e quel vivo Sangue grondato dalle vene di Gesù, esiga balsamo di lagrime veramente penitenti dagli occhi di quanti m’odono. O Crux Ave spes unica, hoc passionis tempore, piis adauge gratiam, reisque dele crimina.
Passio Domini Nostri Jesu Christi.
Voci di poche parole, ma che? Ogni lettera è una pena, ogni sillaba è una spada, ogni parola è una carneficina. Ascoltanti per narrarvi la dolorosissima passione e morte del Redentore, vero parto delle nostre iniquità, che vale a dir la più funesta tragedia, che mai si rappresentasse dal mondo, e fu sì strana che necessitò tutta la natura a partorir inauditi portenti. Il Sole addolorato si ritirò lasciando tra le tenebre il mondo. Si spaventarono scossi da fieri terremoti per compassione gl’interi monti di durissimi macigni, e le pietre stesse par che lacrimassero per il dolore. Or quando a me non riesca questa mane con un simile racconto farvi conoscere la gravezza del peccato mortale, converrà che io dica di voi: o vivete senza fede, o campate senza cervello, e di me converrà asserire col filosofo, oleum, operam perdidi. M’accingo dunque all’opra, e vi rappresento la gravezza del peccato col farvelo vedere punito da Dio non già in un mondo di scellerati affogati nell’acque del diluvio: non nelle Pentapoli, ridotto d’iniquità e perciò incenerita dal fuoco che miracolosamente cadde dal cielo; non nelle pestilenze che arrivarono ad uccidere trentamila persone in un sol dì; ma nel suo Unigenito Figliuolo, non perché sia peccatore, poiché peccatum non fecit, ma perché è Egli pagator della pena per i nostri peccati. Grande Iddio, che grande enormità bisogna che sia questo peccato, mentre Voi non solo lo volete punito nel vostro innocentissimo Figlio, ma punito altresì con tormenti acerbissimi. Peccatore, peccatrice, portati meco all’orto di Getsemani, e quivi attentamente rimira Cristo Figlio di Dio tutto mesto, tutto addolorato col cuor tutto in angosce, giacché cæpit pavere, tedere, et mestus esse. Ed odi il Profeta, che dice: attritus est propter scelera nostra, Egli è in tale stato per i nostri peccati. Ah peccato, maledetto peccato, tu dunque hai gettato con la faccia sul suolo, procidit in faciem suam, quel Monarca che dié l’essere a’ cieli vastissimi di mole, agilissimi di moto, che sopra vi sparse stelle fisse ed erranti in grandezza smisurata, in numero senza numero, in vaghezza bellissime. Tu dunque tieni prostrato a terra quel Signore che con un sol fiat formò una terra da ripartir in monti, da piegarsi in valli, da tendersi in pianure, e l’arricchì con selve, con miniere, con ogni specie di viventi. Quel Signore che con un sol fiat dié l’essere ad un mare fecondo di tanti pesci, padre di mostri, d’isole, di fiumi. Ah peccato mortale quanto sei grave, mentre abbatti nell’ombra tua quel Re che ben s’intitola: Rex Regum et Dominus Dominantium, quel Re che senza il di cui volere non batte palpebra animale che viva in terra, non guizza nell’onde pesce che vi nuoti, non spiega piuma augello che voli, e che con sole tre dita regge la gran machina dell’universo; né solo l’abbatti, ma tu sei quel che li cavi a viva forza sangue dalle vene distillato in sudori, ed in tal copia che ne scorre a rivi: Et factus est sudor ejus sicut gutte sanguinis decurrentis in terram. Voi vi stupite che la pena di Cristo nell’orto avesse tanto di forza da spremergli sudori di sangue, cesserà però la meraviglia, se rifletterete alle parole del Profeta: Dolor meus in conspectu meo semper, che nell’orto a Cristo gli si rappresentò tutta insieme la dolorosissima Passione, e questa gli portò tutta insieme un acerbissimo dolore. E perché meglio capiate la grandezza di questo dolore, figuratevi un poco la pena che avrebbe provato il re Baldassarre, il quale morì trucidato improvvisamente nel proprio letto a furia di pugnalate, se molto tempo prima si fosse sempre veduti avanti quei pugnali ignudi che gli si dovevano immergere nel seno. Così appunto seguì in Cristo, giacché nell’orto tutta in una occhiata vide la sua dolorosissima passione, flagelli, chiodi, disprezzi, strapazzi, croci, carnefici, ignominie e morti. O che pena! Miratelo dunque così asperso di sangue, mentre a me pare che a voi rivolto dica: Popule meus, quid feci tibi, aut quid molestus fui, responde mihi! Dimmi popolo mio, altrettanto ingrato, quanto amato, dimmi, in che ti offesi mentre tanto m’oltraggi con i peccati, fino a spremermi sudori di vivo Sangue. Miei UU., ecco il Figlio di Dio prostrato nell’orto di Getsemani, cioè a dire attraversato nelle strade peccaminose delle vostre colpe; voglio ora vedere se avrete ardir di porre il piè su questa faccia divina per passar a goder i vostri malnati piaceri. Interessato, passerai tu sul petto di Cristo, per arrivar’a quell’ingiusto guadagno. Vendicativo, passerai a calpestar Cristo per correre a danneggiar il tuo nemico. Sensuale non t’inorridisci di non metterti sotto pié Gesù, che ti sta dicendo: sopra di me hai da passar per andar a quella casa, a quel ballo, a quella veglia, a quegli amori, a quelle disonestà. – Appunto, i peccatori non odono, ed hanno gli occhi chiusi per conoscer la gravezza del peccato; onde è che l’eterno Padre, quasi che non bastasse aver punito il peccato con i sudori di sangue sparsi dal Figlio, vuol punirlo con maggiori patimenti, acciò più spicchi la gravezza del delitto. Ecco pertanto, che Giuda l’indegno, portatosi dagli scribi con bocca sacrilega si fa intendere, quid vultis mihi dare, ego eum vobis tradam. Ah Giuda sacrilego, che fai? Tu Apostolo, tu discepolo amato del Signore, tu dunque ti fai capo per tradirlo? Cieli, qual calamità più deplorabile, qual afflizione più inconsolabile,
che ricevere il danno, donde s’aspettava l’aiuto? Ah indegno, sacrilego, stimaste trecento denari poco unguento di Maddalena, e sol trenta prezzi il Sangue di Cristo? O pazzo mercadante che sei, tu vendi Cristo a chi non lo stima; va’, e vendilo a Maria la peccatrice, che, se sopra la sua testa versò unguento di tanta valuta, considera a che prezzo ne comprerebbe la vita; va’, e vendilo ai Re Magi, che vennero fino dall’ultimo Oriente alla stalla di Betlemme per comprarne con tesori il gradimento della loro servitù. – Giuda non ode, e però stabilita la vendita di Cristo per trenta danari, accompagnato da sbirraglia, e soldatesca, ubbriacato dall’interesse, senza saper quel che faceva, al dir di Cirillo, s’invia all’orto, quivi trova Gesù, lo saluta, lo bacia, Ave rabbi, osculatus est eum. Ecco venduto Gesù, e perché? Ahi, che non ho cuore da dirlo. Giuseppe, voi ben sapete, che fu venduto per odio da ‘ fratelli traditori; ma o quanto diversamente da Gesù. Legano, i fratelli, Giuseppe con lunghissime corde, lo cavan fuori della cisterna per darlo in mano degli Ismaeliti; finalmente a guisa di schiavo, viene e legato, e posto sopra velocissimi dromedari, senza che gli giovino né le preghiere, né le lacrime. Povero Giuseppe, ti compatisco, sei venduto crudelmente da’ tuoi fratelli; consolati però alquanto, perché essi ti vendono, perché tu non abbia a morire, melius est ut venundetur. Questa grande ingiuria d’esser venduto per essere ucciso, non tocca a te, tocca a Gesù, Filius hominis tradetur, ut crucifigatur. Dio immortale, si può sentire barbarie più spietata? Io non ho mai letto, che nessun uomo venduto anche nelle battaglie più sanguinose, sia stato venduto per esser ucciso, ma so bensì, che per questo sono stati venduti, perché gli si conservi la vita; ma non è così per Cristo; Cristo è venduto, perché a guisa di vil giumento, sia condotto al macello. E Voi o Padre Eterno, permettete tradimenti sì esecrandi nella Persona del vostro Figlio? Sì, dice Dio, sì, perché i peccatori, vedendo punita l’ombra del peccato, ne arguiscano la gravezza, e più non pecchino, e per questo stesso non sono contento del tradimento, se non seguono gli effetti. Ecco dunque, che gli empi il cingono, come famelici lupi un innocente Agnello, e lo conducono a casa di Anna, ove precorsa la fama della di Lui prigionia, era di già aspettato. Deh spettacolo! Ecco il Re della gloria nell’umile sembiante di reo porre i piedi in quella sala, in cui siede, architetto di questa tragedia, l’iniquo Pontefice; trionfa la malizia, comanda l’ingiustizia. Ecco che gli assessori del concilio cospirano contro di Lui: sederunt principes, et adversum me loquebantur. Chi lo taccia nella dottrina, chi l’accusa come distruttore del Tempio, chi lo dichiara ribelle. Quando un soldato con mano temeraria ed armata di ferro, e vestita d’adulazione, non meno percuote la faccia, che gravemente macchia l’innocenza del Salvatore con quelle amare parole: Sic respondes Pontifici? Angeli, e che fate, vi dirò col Crisostomo, qui hæc intuemini, quomodo manus continere potestis? So pur che uno di voi, in vendetta d’una sola bestemmia, immerse la spada nel sangue di cent’ottanta cinque mila persone, non debiscit hic terra? E perché non t’apri o terra, tu, che non sostenesti i tumultuanti? Non Cœlum jaculatur fulmina. Cielo e perché non piombi fulmini sopra questi empi, tu che con fiamme ardenti, consumasti i soldati ad una voce d’Elia. Deh non lasciate impunita la mano di quel temerario, che certo altro non poteva esser che un ministro d’inferno: Unus assistens ministrorum. Niuna creatura si risente per vendicar l’oltraggio fatto al Creatore; e Gesù senza un principio di risentimento, accepit iniuriam, (come disse Ruperto) et servavit patientiam, tollerò pazientemente l’ingiuria per insegnarci che tali devono esser le vendette cristiane. – Confesso il vero, miei UU., che io inorridisco alla rimembranza di tanti patimenti ed oltraggi tollerati da Cristo. Ma perché, mio Dio, affligger tanto il vostro Divino Figliuolo? Se pur Voi volevate per mezzo suo la nostra redenzione e salute, bastava senza altro, un sospiro che uscisse dalle sue labbra divine. Così è, dice Dio, bastava un suo sospiro; ma intanto l’ho voluto sotto i rigori di tanti patimenti, in quanto bramavo che gli uomini dal veder che Io così ho trattato il mio Figlio per i peccati degli uomini, ne arguissero la gravezza dei medesimi peccati per sempre fuggirli. Oh mio Dio, torno a dirvi, bastava, perché gli uomini sapendo, che il vostro Divino Figliuolo avesse dato questo sospiro, che era di valor infinito, non avrebbero peccato. Taci, non è vero mi risponde Iddio; e non vedi tu, che quantunque Io le mostri la gravezza con aver sottoposto il mio Figlio a sudori di sangue, ai tradimenti d’un Giuda discepolo, ed alle ignominie nel tribunale di Caifa, alle ignominiose guanciate d’un temerario ministro, ad ogni modo peccano? E giacché non bastano a quel giovane lascivo, a quella donna impudica, a quell’usuraio, a quel mormoratore i patimenti tollerati dal mio Figlio finora, per fargli conoscer la
gravezza dei suoi errori, ecco, che sono contento di vederlo spasimare sotto de’ flagelli. Oh peccato, maledetto peccato, quanto sei spietato mentre sottoponi un Dio alle battiture per mano di carnefici. Giunto Cristo al Tribunale di Pilato, s’ode dalla bocca dell’infingardo presidente, vinto dalla fierezza del Popolo e dall’implacabile sdegno degli Giudei, l’orribile sentenza: Corripiam ergo illum, et dimittam. Piano, o Pilato, tu condanni senza dar le difese a chi ti si suppone per reo; una simil barbarie non si pratica neppure con gli uomini più ribaldi; giacché le leggi non consentono, che si condanni chi non ha fatto le difese, nunquid lex judicat hominem, nisi prius audierit ab ipso. Così è, ma non così si tratta con Cristo. Io so, che quando quei marinai che conducevano Giona, restarono chiariti esser lui il reo, e per lui star in pericolo d’annegarsi, non corsero già, senza udirlo, a gettarlo in mare; non per verità, ma gli vollero prima dar le difese, ne fecero consulta, ne formarono processo, e diligentemente l’interrogarono… chi sei tu, onde vieni, dove vai? E finalmente dovendolo pur sentenziare, mai vennero alla sentenza di morte, finché il misero non confessò di sua bocca il peccato e non giunse a dire: propter me tempestas orta est. Così si praticò con Giona reo da quei barbari, ma non così da’ Giudei con Cristo: si condanni senza sentirlo, vada sotto de’ flagelli. Ecco, che lo spogliano delle sue vesti. Cieli, accorrete con le vostre nuvole, e voi Angeli, perché non volate a ricoprire con le vostre ali il mio Gesù per liberarlo da tanta confusione. Ah Padre Eterno, perché non concedere al vostro Unigenito quelle grazie, che a tanti vostri servi partecipate, rendendoli invisibili allo sdegno de’ nemici, alla vendetta, alla crudeltà de’ tiranni. So pur che ad Agnese crebbero miracolosamente i capelli in modo che tutta la ricoprirono: Barbara fu nascosta sotto il manto d’un’insolita chiarezza, e le tele di ragno occultarono il Santo Martire Felice. Ma, quanto son pigre le creature insensate, tardi gli Angeli, lento l’Eterno Padre a sovvenirlo, tanto sono pronti a ferirlo i suoi nemici. Questi, spronati dall’ordine di Pilato, accesi dalle promesse de’ Giudici, inseriti da demoni, senza veruna compassione fecero un crudelissimo scempio delle Carni innocenti di Gesù: chi lo percuote con mazzi di spine, chi con nodosi bastoni, chi con verghe di ferro che armate d’uncino, col ritirar il colpo, tiravano seco a pezzo la carne, ed insieme gareggiavano i carnefici chi di loro meglio colpiva e più profondo ne lasciava nelle sacratissime spalle il solco, e quasi che angusto campo alla di loro barbarie fossero le sole spalle di Gesù, cingono il capo con le sferze, pestano il petto; l’impiagano: Caditur totoque sagris corpore dissipatur, nunco ventrem, nunc brachia, nunc crura cingunt, vulnera vulneribus, plagas plagis recentibus addunt; fu sentimento di S. Lorenzo Giustiniano. – Deh cessate, o manigoldi, cessate vi prego da tanta barbarie , dovria ormai bastare al vostro sdegno; non vedete che Ei è tutto sangue quello che vi sta sotto flagelli non è già un duro sasso, un pezzo di marmo; è Ei un uomo di complessione la più delicata e gentile che possa formar natura; ma che, quantunque al dir del Nazianzeno, scorresse a guisa di fiume il sangue, fluebat sanguis et de Paradiso illo cœlesti flumina manabant; ad ogni modo io parlo a sordi, a’ quali la crudeltà ha impietrito nel petto i cuori, ha tolta ogni pietà, non odono le mie voci, intenti solo ad aggiunger ferite a ferite, a rompergli l’ossa tanto che, se lo vedeste, miei riveriti ascoltanti, direste col Profeta che Egli è tutto una piaga: a planta pedis usque ad verticem capitis, non est in eo sanitas. – Ma, mio Dio, se volevate che il vostro Unigenito Figliuolo spargesse sangue, e così palesasse al mondo la gravezza del peccato, una sola stilla che avesse versato avrebbe fatto conoscere abbastanza quanto sia grave il peccato. Non è vero, dice Dio, non è vero, t’inganni, perché quantunque il mio Figlio n’abbia sparso non una stilla, ma un lago, ad ogni modo i peccatori non lo stimano di quel gran peso, ch’ei è, per
che di continuo lo commettono. Ad ogni modo quel mercante non cessa di far contratti illeciti, di spacciar la roba cattiva per buona, di guadagnar nell’usure. Ad ogni modo non lascia di mormorare quella lingua scomunicata, di spergiurar, di bestemmiare sacrilegamente. Ad ogni modo quel giovane si vuol distruggere negli amori; e quella giovane, che si è messa sotto de’ piedi la vergogna, vuol incenerire affatto la pudicizia. Se così è, mio Dio, che questi peccatori non vogliono stimar il peccato, quantunque lo veggano così punito nel vostro Gesù innocentissimo, grondante Sangue per noi sotto de’ flagelli. Che farete? che farò? darò nuovi segni della gravezza col sottoporre il mio Figlio a nuovi tormenti. O Peccato, maledetto peccato e quanto sei terribile, mentre da’ flagelli passi a tormentar Gesù con acutissime spine e pur Ei non ha, né può aver mai colpa, che sarà di voi, o peccatori, che sarà di voi che n’avete la colpa incarnata, incancherita fino dentro l’ossa. Ecco Gesù per scherno fatto re da burla, vestito d’uno straccio di consumata porpora, e coronato con una corona di pungentissime spine, la quale non solo gli cingeva le tempia, ma gli copriva il capo, né qui finisce la giudaica perfidia, e barbarie, o per dir vero i miei, i vostri peccati, poiché quelli empi prendono bastoni, la percuotono, e la calcano, sicché profondamente immersa, fino al cervello, con dolorosissimo squarcio uscivano le punture per la fronte, e per le tempia. A questo doloroso tormento, uniscono gli scherni, e per argomento d’un regno fallito, consegnandogli una canna per scettro, piegano le ginocchia, lo salutano e lo percuotono, et genuflexo illudebant Ei. Onde Crisostomo ebbe a dire: quod siebat in Christo, ultimus contumeliæ terminus erat. Chi può ridir, nonché comprendere, l’estrema agonia di Cristo nostro bene con sì fatto tormento. Questo solo delle spine, quando bene altri non n’avesse sofferti, bastava a togliergli la vita; quantula est spinæ punctura, quantum hominem domat, disse colui. Quel leone incontrato da San Girolamo nelle solitudini della Siria, per una spina fitta in un pie’ riempiva le selve d’urli e di strepito i boschi. Or se una spina nel piè d’un feroce leone, tanto lo crucia, che diremo di Cristo forato in tanti luoghi, e sì sensitivi e delicati, nei quali durando questa corona fino allo spirar fu continuo, né mai interrotto lo spasimo. Debuit plane mori, dice San Lorenzo Giustiniano, tanto dolore transfixus; ma se non morì, fu effetto dell’amor che lo preservò dalla morte, senza punto mitigargli la pena. Deh riconosci, o peccatore in queste spine, in questo sangue che gronda, la gravezza del tuo peccato, e però detestalo, e sollecito corri ad esporre le tue piaghe mortali alle punture di queste spine sacrosante, per farne uscire la velenosa putredine delle tue scelleraggini, altrimenti, io ti dico, che queste medesime spine ti trafiggeranno un dì talmente il che spremerai dolorosi sospiri, ma senza prò.
LIMOSINA.
Cristo oggi per voi dà il suo sangue, voi per Lui date il vostro denaro. Oggi è quel giorno, in cui Cristo si vende e si compra. Se Giuda lo vende per avarizia, voi potete comprarlo con liberalità. Cristo è vostro, se slargerete la mano con i poveri.
SECONDA PARTE
Così non fosse come quivi ci farà taluno, che ostinato ne’ suoi peccati, non ne vorrà confessar la gravezza, quantunque sappia che questi hanno esposto Gesù ai flagelli, alle spine. Se così è, mio Dio, bisognerà usar con costoro lo stratagemma di Pilato, e fargli veder cosa hanno operato con le loro iniquità. Orsù attenti UU.: dì tu Pilato ai circostanti: Ecce Homo; dico io a voi (e figuratevi di veder lo spettacolo che io vi rappresento) Ecce Homo. Ecco Gesù: eccolo piagato da capo a piedi. Eccolo grondante vivo sangue. Eccolo scarnificato fino all’ossa da duri flagelli. Eccolo re da burla, coronato di spine che trapanandogli il sacro capo gli fanno grondar rivi di sangue. Eccolo, più in sembianza di morto che di vivo. Ecco, ecco, o peccatori, la pietosa immagine delle vostre crudeltà. E voi non vi risolverete a detestar quel peccato, che per la sua gravezza ha causato tanto male? I fratelli di Giuseppe, doppo averlo venduto, per farlo creder dal lor padre divorato da qualche fiera, presero la veste dell’innocente fratello e, tinta di sangue, la mandarono a Giacobbe, a cui fecero dire: vide, si tunica filii tui fit, an non. Mira, se questo abito sì lacero sia del tuo figlio. Videte, videte, dirò io; mirate miei ascoltanti, se questo ha il vostro Gesù, Figlio del Padre Eterno, tutto livido, tutto lacero, tutto ferito, e poi dite, e direte bene: Færa pessima devoravit eum, la fiera più crudele, che trovar si possa in tutto l’universo; questa l’ha ridotto ad un tale stato. E qual è questa fiera? Il peccato mortale, quegli odii, quelle lascivie, quelle vanità, quelle mormorazioni, quell’interesse l’hanno scarnificato l’hanno svenato, l’hanno trasfigurato in modo che più non si conosce: færa pessima devoravit eum. È fiera passione il peccato, ma non agli occhi del peccatore che, quantunque veda sì maltrattato Gesù, non per questo vuole asserirne la gravezza; anzi lo stima cosa da nulla. Onde, mio Dio, se non ne date nuovi segni, non so qual profitto riportarne questa mane dalle vostre parole proferite per mia bocca. Bene, dice Dio, darò segni maggiori della gravezza del peccato, perché farò veder punito il mio Figlio per i peccati degli uomini con una condanna, la più luttuosa, che sia mai seguita al mondo. Cieli, e che sento? Non occorre altro, voglio trovar modo, che i peccatori confessino la gravezza del peccato, e perciò vengo a questi eccessi. Ecco, dunque, che Pilato spaventato al nome di Cesare, ed abbattuto dal brutto mostro dell’interesse, che fa tanta strage negli uomini, pensando che non gli bastasse, per non esser colpevole, lavarsi in pubblico le mani, se le lavò senza riflettere che tutta l’acqua del mondo non poteva mondar una lordura che neppur potevasi dallo stesso fuoco dell’inferno; concede la licenza bramata al popolo, che grida: crucifige, crucifige, e lo consegna alla croce. O barbarie, o crudeltà inaudita ne’ secoli. In questo mondo, non v’ha dubbio che molti innocenti sono stati condannati anche alla morte, o perché non si sia conosciuta la loro innocenza o per l’ingiustizia del Giudice; ma avvertite, che per questi che son morti innocenti, non sono stati fatti morire come innocenti, ma gli si sono inventati i delitti, si sono fatti apparire per rei, e come tali sono stati sentenziati e morti; Gesù solo è stato quello che è stato condannato a morte non solo innocente, ma dichiarato innocente. È innocente, ma muoia; è giusto, ma muoia; è benefico, ma muoia, nullam invenio in eo causam; si può trovar barbarie maggiore? Vi basta l’animo a voi metter le mani col ferro alla vita ad un vostro cagnolino che non v’abbia fatto mal veruno, ma sempre fedelmente servito? No, no, inorridite! E pure così si tratta Cristo, si dichiara innocente, e si condanna alla morte de’ rei; non accade altro, ecco Cristo condannato alla croce dalla perfidia de’ Giudei, mi disdico, dalla gravezza de’ nostri peccati. Or io rivolto a voi, miei UU., parlo: già i Giudei vollero Gesù Crocifisso, si agita di nuovo la medesima causa avanti di voi. Dite, su, miei UU., che volete, che si faccia del nostro Gesù? Dal vostro arbitrio dipende se s’abbia da uccidere o da liberare; da un cenno, da un sì, da un no, dalla vostra bocca aspetta Cristo la sentenza: lo volete libero o crocifisso? Vivo o morto? lo restituite a Maria, o lo consegnate al Carnefice? Qui non parlo del passato; già so, che da primi anni incominciaste a gridar Crucifigatur. Ciò che più mi trafigge l’anima, è che sento fin dal fondo di certi cuori ostinati quelle voci arrabbiate crucifige, crucifige; dunque io vi risponderò: Regem vestrum crucifigam. Che male vi fece mai questo buon Signore, che lo volete morto? In che mai vi disgusta, già che ne volete bever il Sangue svenato? Empi, scomunicati peccatori, voi siete sì peggiori di Giuda: gridò ei appena preso il denaro: peccavi, tradens sanguinem justum, si stimò degno di morte. E tu Cristiano lo vedi vicino a morte ed ad ogni modo stai risoluto di seguitar la tua libidinosa e sanguinaria vita, e gridi: Crucifige, crucifige. Volete dunque, o Peccatori, che Ei muoia? Muoia, muoia. Mio Signore, udite i lascivi prima di lasciar le loro disonestà, i superbi prima che perdonar le loro ingiurie, gl’ingordi, prima che restituir l’altrui roba, vi vogliono morto. Alla morte, mio Gesù, alla morte, bisogna morire. Ah peccato, maledetto peccato tu sei il carnefice crudele. E voi peccatori, non volete ancor conoscerne la gravezza, mentre ei è quello che consegna Gesù al piacer degli Ebrei per farlo morire? Ecco, che gli presentano l’obbrobrioso strumento di morte, la croce, ed Egli caramente se la stringe al seno, ed immedesimandosi quasi con quella per forza d’affetti, richiama subito alle labbra il cuore, e con mille tenerissimi baci, su di quella lo rovescia. Indi postasela sulle spalle, così addolorato per la corona di spine, così indebolito per il sangue versato, s’incammina verso il luogo del supplizio, ma per la sua stanchezza e per il peso della croce, abile a stancar un uomo ancorché robusto,
non tanto cammina, quanto strascina le sue misere membra. O impietà non più udita! O inumanità negli annali de’ tiranni più barbari non più letta! Si suol pur per pietà agli altri poveri delinquenti nasconder i coltelli e le mannaie, si velano loro gli occhi alla presenza de’ tormenti, gli usano in quel punto termini di molta carità; ma ahi, che a Cristo nostro innocentissimo Signore non si ha questa compassione; gli si pone per suo maggior tormento, non solo avanti agli occhi, ma sopra le sue divine spalle lo strumento dell’obbrobrioso supplizio. Giunto il nostro Gesù al Calvario distesa la croce, preparati i chiodi disposti i ministri, gli si comanda che sopra d’essa si corichi: obbedisce Cristo, e steso sopra della croce, distende subito quella destra, che sparge benedizioni, al chiodo. Conficcata questa, con incredibile scatenamento viene stirata la sinistra perché arrivi al foro. Il simile si fa de’ piedi, et crucifixerunt eum. E
con queste parole, vinte dall’atrocità del ifatto, le penne degli Evangelisti, compendiarono con mestissimo silenzio il principal mistero della nostra redenzione. Quel grande Alessandro, che con tante spese e sudori avea procurato di dar la morte a Dario; con tutto ciò, quando poi giunse al cospetto del suo cadavere esangue, non poté raffrenar le lacrime, anzi che toltasi la sua clamide d’indosso, con essa lo coprì, lo rinvolse. E contro al cadavere del mio Gesù, tutto lacero e stracciato, si cavan fuori le lance, per passare con un colpo spietato il cuore? Unus militum lancea latus ejus aperuit. A me non resta fiato da esclamare: ah lacrime, sospiri, pianti, voci di duolo venite al mio seno, ai miei occhi, alla mia lingua. Fu antico costume, al narrar delle sacre Carte, che scopertosi un omicidio, e non sapendosi l’uccisore, s’esponesse a pubblica vista il cadavere, e ne corresse l’obbligo a ciascuno de’ cittadini por la mano sopra l’estinto corpo, affermando con solenne giuramento non esser egli il reo d’un tal misfatto. A voi ora mi rivolto, RR. AA., e rinnovando l’antico costume, v’obbligo a stender la mano sopra l’estinto Gesù, e con solenne giuramento attestar non aver voi parte nel sacrilego deicidio. Avverti, tu sei spergiuro, o iracondo? Se ti chiami innocente, perché l’uccideste nelle vendette? Non tender la mano, o disonesto, le tue lascivie diedero la morte al Redentore. I vostri lussi, le vostre crapule, le irriverenze ne’ templi, gli strapazzi a’ genitori, le vanità immodeste, vi condannano per rei di morte data ad un Dio. Deh per pietà, se già il crocifiggeste con i peccati, non vogliate più crocifiggerlo con nuove iniquità, acciò che Egli non debba slontanarsi da voi anche visibilmente. Appunto allontanossi da un Cristiano colà nel Brasile. Commise questi una tal disonestà, allorché portava legata al collo. l’immagine di Gesù Crocifisso; dopo il calor del peccato, postasi la mano al petto, vi trovò bensì il laccio senza esser mutato, e sciolto il nodo, ma non Gesù, per quell’atto, doppiamente crocifisso. Stordito dalla novità, si rimirava d’intorno, ed alla fine corso l’occhio al più lontano e nascosto cantone della camera, ivi mira, ah disperato, il Signor Crocifisso, poiché ivi era fuggito per l’orrore delle sue impurità, ed ivi si stava accantonato il Monarca del mondo, che tollerando pazientemente la croce, non poteva sopportar la croce di quel disonesto ribelle. Ma che, il mirare dal reo, Cristo, e il disfarsi in pianto, fu tutto una cosa; se lo ripose sul petto, ma più dentro il cuore; lo legò col suo laccio, ma più con la carità; e per non perdere un’altra volta il suo caro fuggitivo, lavò in perpetue lacrime il fallo commesso, e serbò fede perpetua al suo amatissimo Gesù. Oh quante volte dovrebbe fuggirsene da molti il Crocifisso giacché molti l’hanno crocifisso con i peccati. Or, se errammo con questo Cristiano del Brasile, piangiamo altresì con lui, né mai più crocifiggiamo Gesù. Padre Eterno, io spero di potervi assicurare che questo popolo qui presente mai più crocifiggerà coi peccati il vostro Figliuolo Gesù. Ecco, che con le voci del cuore apertamente si protestano, Anima mea illi vivet: non vogliono più moderati affetti, non più sensuali piaceri: illi vivet. Vivrà ai suoi ossequi, alla sua gloria, all’osservanza della sua legge. Deh gradite Padre Eterno questi sentimenti, e confermate l’esecuzione d’essi col Sangue preziosissimo del vostro Unigenito, e mosso a compassione delle nostre iniquità; placatevi alla vista di queste piaghe, parce populo tuo; condonate le colpe sue a questo popolo che, umilmente prostrato ai vostri piedi, chiede il perdono, benedic hereditati tuæ, e dategli ora la vostra santa benedizione, per caparra dell’eterna in Cielo.
LIMOSINA
San Pier Damiano dice che in questo giorno in cui Cristo dà a noi la limosina, dando il suo corpo alla morte per noi, voi non avete da negar la limosina a’ suoi poverelli. Elemosynam fecit tibi, corpus suum tradendo, o tu elemosynam illi, fac, bucellam panis porrigendo pauperi. Starò a veder che Giuda venda Cristo per trenta danari, e voi non vogliate comprarlo con altrettanto danaro distribuito a’ poveri.
TERZA PARTE.
O non posso capire, come possa darsi il caso che chi considera un Dio morto in croce per redimerlo, possa indursi a peccare. Ma, oh ingratitudine, o pazzia dell’uomo, che non fa conto d’un sì gran benefizio, perché pecca. Arrossitevi, o Cristiani, al racconto di gratitudine praticata dai Gentili. Riferisce Senofonte, che Ciro re di Persia, avendo appresso di sé prigionieri Tigranes, Figlio del Re d’Armenia, e la di lui sposa Armena; rivolto un giorno a Tigranes, dissegli che pagherebbe a chi ponesse in libertà Armena vostra Consorte. Al che prontamente Tigranes: libenter vitam dabo, darei di buona voglia e sangue e vita. Risposta tanto stimata da Ciro, che ad ambedue concesse la libertà, parendogli che un affetto sì nobile, non una, ma cento ne meritasse. Or mentre lieti i due sposi tornavano alla patria, rivolto ad Armena Tigranes: vedeste, dissegli, o sposa, le grandezze immense di Ciro? Il superbo Palazzo, che per architettura eccede l’arte: vedeste l’oro, le gemme, gli abbigliamenti delle sale, i parati delle stanze, superano la stima. Le tavole d’avorio, le statue e di metallo e di marmo; le porte, le finestre intarsiate d’argento; le sedie, i letti, i padiglioni tessuti di broccato e tempestati di gemme? Non ha pari questa reggia, per certo, nel mondo. Sposa, che dite, non ammiraste un tanto splendor in corte sì magnifica? Allora Armena mostrossi totalmente nuova al discorso ed al racconto, e dissegli: nulla di ciò io vidi, amato consorte, né a me fu possibile applicar la vista a tali cose, mentre assorta, e quasi fuori di me, tutta ero intenta nella considerazione del vostro amore, che per la mia liberazione offerse sangue e vita, né fu possibile che in altro io potessi fissar le mie pupille, che in quello, che liberale del proprio sangue l’offriva tutto per me… nihil aliud spectare poteram, quam illum, qui vita sua me redempturum se confirmavit, ne ego servirem. Risposta fu questa superiore all’esser di donna; ma che avrebbe mai detto, se avesse trovato, non chi gl’avesse offerto e vita e sangue, e quanto avea per redimerla dalla cattività, ma l’avesse redenta come ha fatto per noi Cristo nostro Redentore? Io resto fuori di me, e voi non potrete far di meno di non darvi per vinti, al racconto. Io resto fuori di me, dico, al ricordarvi ciò che racconta Valerio Massimo d’un soldato di Gneo Pompeio, combattendo con uno di Sertorio, dopo vari colpi di spada, afferratolo per un braccio, lo trapassò con più ferite, e crudelmente l’uccise; indi curioso di vedere chi fosse, ed avido delle spoglie, gli scoprì il volto, e con orror riconobbe aver ucciso l’unico suo caro ed adorato fratello. Diede l’infelice all’accidente inaspettato un profondo sospiro, pianse e percosse il petto e tra le smanie d’un immenso dolore, chiedeva dell’errore replicato perdono al fratello estinto, ma non ne sentendo l’assoluzione, tutto frenetico , e tutto fuor di sé, impugnata quella medesima spada imbrattata di sangue fraterno, se la voltò con la punta al petto, e lasciandovisi cadere, spirò l’anima sopra il cadavere del fratello. Noi sappiamo, riveriti AA., che finora con i peccati Cristo, offendendolo, strapazzandolo, ed a guisa di nemico ferendolo con tante stoccate quanti finora sono stati i peccati, finalmente l’abbiamo ucciso. Può esser veramente, che le passioni furiose o l’ignoranza nostra ci abbiano tanto accecati sicché, bene non conoscessimo chi Egli fosse. Ma ora volete sapere chi era quel Cristo da voi barbaramente ucciso ed a qual stato e forma l’abbiano ridotto i vostri peccati, vi metterò avanti gli occhi l’oggetto più lacrimevole che mai vedesse il mondo. Testimoni qui v’invoco Angeli Santi, che in questo giorno sì amaramente piangeste, siate presenti a veder l’eccesso de’ nostri falli. E voi, Maria Addolorata, che in questo dì da spada di dolore foste trafitta, mirate ora dal Paradiso l’assassinio che abbiam fatto miseri noi del vostro Santissimo Figlio. Maria Regina di Scozia, essendogli stato ucciso il marito, venuta in Edemburgo, che è la città regia, si studiò di commuovere il popolo a pietà del morto principe comparve dunque tutta vestita a bruno, scapigliata nel crine, e tutta molle di pianto, e si fece portare avanti un lugubre stendardo in cui con vivi colori era dipinta la morte indegna dell’amato consorte; giaceva di steso il re trucidato, tutto intriso di sangue, con una sembianza egualmente amabile e miserabile, in atto di moribondo, esalando l’ultimo spirito sì malconcio dalle ferite de’ congiurati, che rendeva orrore. Tanto bastò, perché nel popolo si suscitasse un’altissima commozione, di modo tale che fremendo, riempì l’aria di clamori, e di gemiti. Io quanto a me non so figurarmi mezzo più opportuno per intenervi, che porvi avanti gli occhi lo stendardo funesto del Crocifisso Signore, e forse e senza forse, potrà più la vostra vista che la mia lingua ad ammollirvi. Ecco, ecco la dolorosa Immagine di Gesù, ecco il crudo scempio, che del Figlio di Dio han fatto i vostri, i miei peccati. Mirate come trafitto da spine nella testa, così l’hanno trafitto i miei pensieri d’amore, d’odio, di vendetta. Osservate quelle mani grondanti vivo sangue, così l’han traforate le mie mani rapaci, vendicatrici, così le mie mani stesse alla robba altrui, alle vendette; quella bocca è stata attossicata dalle parole licenziose, dalle mormorazioni, spergiuri, bestemmie etc. Quelli occhi trapassati anche essi da spine, ne sentirono le punture di quegli sguardi immodesti nelle piazze, nelle strade, nelle Chiese. Quei piedi traforati si dichiarano piagati da quei balli e salti fin d’allora che ti portaste a quelle case, a quei ridotti. Quel costato santissimo è aperto dalle brame indegne, che vi covaste, divise in tanti odii, in tanti amori, in tanti interessi pieni d’usure e tutte insomma quelle membra santissime si dichiarano maltrattate, percosse e lacerate dalle nostre iniquità. Se così è, guerra, guerra, vendetta, vendetta contro del peccato, né mai con esso facciam pace, giacché ha tolto a voi, mio Bene, la vita. Confessiamo la nostra indegnità, vi domandiamo perdono, misericordia, ed a questa ricorreremo nella adorazione de’ vostri santissimi piedi, dove prostrati, con vivo affetto diremo: Tu Rex gloria Christe; Tu Patris sempiternus es Filius. Tu devicto mortis aculeo, aperuisti credentibus regna Cœlorum. Te ergo quæsumus tuis famulis subveni, quos prætioso Sanguine redemisti.
QUARESIMALE (XXXVI)