QUARESIMALE (XXXII)
DI FULVIO FONTANA
Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ
Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)
IN VENEZIA, MDCCXI (1711)
PREDICA TRENTESIMASECONDA
Nella Feria quinta della Domenica di Passione.
Si palesano le finezze di Dio per ridurre il peccatore a penitenza, e le miserie che li sovrastano, abusandosene.
Remittuntur ei peccata multa. San Luca al 7.
Non aveva ancora Marco Antonio Imperatore ben stretto lo Scettro in pugno nel comando di Roma e dell’Impero, quando la consorte Faustina tentò porgli in cuore sentimenti di vendetta contro Avidio Cassio ed altri suoi e rivali e ribelli. Ma rivoltosi il Monarca alla troppo appassionata consigliera, così rispose: Cassio, è vero, ha offeso un Imperatore Romano che non è suo pari, e per questo stesso voglio perdonargli, per non farmi pari a lui nelle passioni . Ego ejus liberis parcam, et Genero, et Uxori, nihil enim est, quod Imperatorem Romanum melius commendes gentibus quam clementia; Io stimo che un imperatore di Roma non possa rendersi più glorioso presso le genti, che con la clemenza; sarà sempre mio assioma che per rendersi schiavo un mondo, non avrà Roma le migliori catene della clemenza. Questi erano o miei Uditori i sentimenti cortesi del monarca romano; ma o quanto di gran lurga maggiori sono quelli del Monarca Celeste. Egli pure dice: Nihil est, quod Imperatorem Cælestem magis commendet gentibus, quam clementia, e questa è quella, che oggi appunto pratica con la Maddalena, mentre gli concede il perdono di tutti i suoi peccati, che pur furono molti: remittuntur ei peccata multa. Rallegratevi pure anime peccatrici, se pur qui ve ne è alcuna; siete cadute questa volta in buone mani, in un Dio tutto clemenza, tutto bontà, tutto misericordia; e però altro non brama, che poter dire a ciascuno di voi: Remittuntur tibi peccata, ed acciocché tocchiate con mano, che io non mento, voglio questa mane mostrarvi quanto Dio faccia per ridurre a sé le anime, e potergli poi dire: remittuntur tibi peccata. Sia straordinaria l’attenzione, perché straordinaria riesca la confusione in quel peccatore che ostinato non si volesse arrendere alle finezze d’una tanta clemenza. Contentatevi che io sul bel principio vi spieghi l’operare di Dio con la bella differenza che passa tra due mestieri ambedue ordinati al medesimo fine; e sono la pesca e la caccia; ambedue questi mestieri non hanno altra mira che far preda; ma quanto diversamente operano! Il pescatore si studia di lusingare il pesce con cose dolci, con paste medicate con esche amabili, a procura quanto può di non spaventarlo, onde cerca di non esser veduto, sta in silenzio, e tende le sue insidie tra le tenebre della notte, e l’inganna di modo tale che il pesce, quantunque preso, quantunque prigione, talor non se ne avveda. Non così però fa il cacciatore: esce questi in campagna con gran strepito di cavalli e di cani, dà fiato al corno, e quasi voglia portar guerra alle selve, sfida con le grida a scappar dalla tana gli orsi e dalla grotta i cinghiali, e con lance, con spiedi e con archibugi dà fuga alle fiere, le assale, le trafigge, le ferma, le uccide, e spesso del lor sangue ne porta tinte le mani, macchiati i panni. Da questa diversità d’operare, voi con me ne deducete che uno vuol la preda per amore, l’altro per forza. Così è, ed appunto di queste due forme si serve Dio per guadagnare a sé i peccatori. E prima si serve di quella di pescatore, indi di cacciatore. Uditene Geremia, che apertamente ve l’esprime al 16. Ecce ego mittam eis Piscatores et piscabuntur eos, et post hæc mittam eis venatores, et venabuntur eos. Ponete cura, o miei UU., a quelle paroline post hæc, le quali significano che Dio si vuol valere prima della pesca, che è quanto dire delle dolci chiamate, et post hæc … e se queste non giovano, alla caccia, allo strepito, al sangue, alla morte. E che ciò sia vero, mirate quello che fa. Ecco, che si accorge che quel mercante tutto dedito all’interesse, falsifica pesi, scorta misure, bagna le seti, tiene all’umido i grappi; che quel nobile non paga mercedi, non soddisfa legati pii, e se ne vive pieno d’ambizione, e gonfio di vendette; vede che tanti e tanti, vivendo tra le lascivie si sono slontanati da Lui, recesserunt ab Eo, e però par che gli dica: e perché avete potuto dare a me le spalle, ed al demonio il cuore? No, no, lo voglio io, Præbe mihi cor tuum, dammi il tuo cuore, ed indirizzalo per la strada del Paradiso, et dirige cor tuum per viam rectam. Ben si avvede che quella femmina tanto vana, va tanto lungi da Lui ed Egli le dice: revertere ad me et ego suscipiam te; lo so benissimo, tu vinta o dalla passione sfrenata dell’amore, o dalla ingordigia dell’interesse, sei caduta, m’hai trafitto il cuore, ad ogni modo son pronto a riceverti nello stesso cuore da te ferito. Dovrei senza altro, per avermi tu sì barbaramente offeso, muoverti guerra, eppure Io ti perdono, e ti chiedo pace. Cari miei uditori, quante volte avete sperimentato questi tratti di finissima dolcezza, usati da Dio per togliervi dal peccato? Egli si è diportato con voi a guisa d’una madre amorosa intorno ad un suo figlio ammalato, insieme e svogliato che, per farlo cibare si protesta di perdonargli ogni strapazzo e gli offre donativi. Tutto è vero, mio Dio, tanto voi praticate col peccatore egli simile a quel fiume colà nella Scitia, che ne’ calori più fervidi si fa gelato: egli, dico, alle vostre divine dolcezze sempre più s’indurisce. Mio Dio, giacché il Peccatore indurisce alle vostre finezze che con tanto amore lo chiamano a penitenza, non ve ne curate, e lasciate, che a briglia sciolta corra tanto che giunga fino all’inferno, ed ivi sprofondi per eternamente dimorarvi. No, no, dice Iddio; a me l’anima del peccatore costa sudori, sudori di sangue sparsi colà nell’orto del Getsemani; a me costa strapazzi, obbrobri e percosse tollerate ne’ tribunali d’Anna, Caifa e Pilato. Troppo mi preme la sua salute che tanto mi costò, e perciò voglio tentare tutti i mezzi per indurlo a lasciare la mala pratica, a deporre gli odii, a staccare il cuore da quell’interesse che l’accieca, e perché veda l’oppressione de’ pupilli, la rovina delle vedove che cagiona, e giacché non basta averlo pregato a vivere secondo i miei voleri, voglio ricordargli, per motivo d’obbedirmi, i benefizi che gli ho fatti. Sentite giovane, uomo o donna che siate, voi m’offendeste tutto dì con quei vostri sì scorretti costumi, con quegli spergiuri, con quelle bestemmie, eppure Io son quello che v’ho dato l’essere, avendovi cavato dal nulla; Io son quello, che v’ho organizzato quel corpo che avete, arricchito di tre potenze, memoria, intelletto e volontà; Io son quello che vi mando ricchezze, Io vi mandai quella eredità, Io vi riempii quelle casse d’argento, quegli scrigni di gioie; per me fruttano quei poderi, per me vi rendono quei censi, per me vi vivono gl’armenti, per me vi giungono in porto felicemente quelle mercanzie che vi sono di tanto guadagno. Io fui che vi conclusi quelle nozze tanto desiderate, che vi concessi quella figliolanza che tanto bramavi; per me godete quei titoli, quelle dignità, quegli onori. Chi vi liberò da quel colpo di quel rivale, se non Io? chi vi scansò da quelle insidie che vi tramava l’inimico? Chi v’esimé dalla voracità di quelle onde che stavano già per sommergere il legno? Chi vi sottrasse in somma da quei tanti pericoli se non Io? e perché dunque, se tanto v’ho beneficato, non solo in quanto spetta al corpo, ma molto più intorno all’anima; mentre v’ho comportato, v’ho tollerato ne’ peccati, acciò venisse a penitenza; perché dunque rispondete con ingratitudine a’ miei benefizi? E non siete voi quello che più volte avete detto farvi Iddio assai più di quello che meritate? Avete pur confessato di propria bocca che, al pari d’ogn’altro siete stato favorito dalla mia beneficenza? Come è dunque possibile che una tal memoria non v’induca ad arrendervi a mutar vita? Non occorre altro; obblighi pure Iddio certa razza di peccatori con replicati benefici, e li troverà simili a quelli de’ quali scrisse il Martire Sant’Ignazio quibus cum benefeceris pejores fiunt; i benefici li fanno peggiori. Fu penna d’oro la vostra, o Clemente Alessandrino, allorché scriveste: nunc homines, tanto magis impii, quanto Deus benignior est, quanto Dio è dolce con certi peccatori, tanto essi sono amari verso di Lui, sicché possono assomigliarsi a quelle perfide vipere che tanto più si fanno crude, quanto più è dolce il canto che talora sentono. Orsù dunque, se così è, non più benefici, mio Signore, lasciate imperversare questi empi, e giacché vogliono perdersi, si perdano. No, no, dice Iddio, non lo comporta né il mio amore, né lo sborso del sangue fatto per riscattarli. Vuoi tu, che lasci perirli, mentre per loro mi sono sottoposto alla spietata flagellazione nel pretorio di Pilato, ove molti manigoldi, dandosi la muta l’un con l’altro mi flagellarono sì spietatamente, che con ritirare il colpo, ritiravano a brano a brano anche la carne, e ne fondavano i solchi fino alle ossa? Non sia mai vero; li aiuterò, perché si ravvedano; farò che quel lascivo, quell’interessato, quel vendicativo, s’imbatta in quel buon religioso, col quale venendo a discorrere dell’altra vita e della eternità, ne ritragga vivi sentimenti di compunzione, e li vada a confessare; farò che venga alla predica, ed ivi gli toccherò il cuore talmente che, se non sarà più che di sasso, certo s’intenerirà; gli manderò una ispirazione sì gagliarda al cuore, ed una cognizione sì viva dello stato miserabile in cui si trova, trovandosi in peccato mortale, che se non ha cieca affatto la mente, mi darà orecchio; gli farò capitar un libro in mano ove, leggendo la vita d’uno de’ miei Santi, s’arrossisca in vedersi tanto dissimile, e così si converta; farò che oda una Messa per le anime del Purgatorio, che visiti una immagine della Vergine mia Madre, e nel medesimo tempo non lascerò di picchiargli al cuore, e di fargli conoscere che sta con un piede nel mondo ed ormai con tutti due nell’inferno. Cercherò con queste batterie di ridurlo a penitenza. Ditemi, ha pur usati Iddio questi stratagemmi con voi, e voi? Eh, mio Dio, ancorché seguitiate, non vi riuscirà, perché un tal peccatore, per potersi rivoltare tra’ pantani del senso, non farà conto né delle parole de’ religiosi, né della lettura de’ libri spirituali, di nulla, di nulla, volendo vivere a capriccio nelle proprie soddisfazioni, e così si paleserà sempre più ingrato, e perciò torno a dirvi, Signore: lasciatelo andare. No, no, non lo comporta il mio amore, replica Iddio; oltre di ché l’anima sua costa a me le ferite che tante acutissime spine fecero nella mia testa, e fu sì acerbo il dolore che una sola di quelle spine saria bastante, fissa in testa ad un leone, ad ucciderlo, e vuoi che lasci in abbandono un’anima che a me costa sì caro prezzo? Non sarà mai vero! Terrò bensì altra strada, e giacché né le preghiere, né i benefici, né gli stratagemmi del mio amore possono far breccia nel suo cuore, verrò alle minacce. Porgete le orecchie a quanto vi dico, o peccatori, è Dio che parla, e voi siete da Lui minacciati. Udite, ed inorridite; così si legge nel Levitico al 26: Urbes vestras redigam in solitudinem, disperdamque terram vestram, et evaginabo gladium meum post vos, eritque terra vestra deserta, et civitates vestræ dirutæ; Io, Io, dice Iddio, distruggerò da’ fondamenti, o gente peccatrice, le vostre città, e farò de’ vostri edifici polvere e pietre; Io, Io muterò i chiodi della mia Croce in coltelli, acciò vi fiano strumenti di piaghe orribili, come vi furono di salute, e farò che delle vostre città, terre ed averi, altro non rimanga salvo che la memoria, che vale a dire, carestie che vi affamino; terremoti che vi subissino; malattie che vi uccidano; pestilenze che vi desolino. Non sono queste, o miei uditori, minacce che debbano entrar per un orecchio ed uscire per l’altro, è Dio che parla, ed è quel Dio che, se la sa dire, la sa anche fare, e la farà, come l’ha anche eseguita altre volte; e perché vuole che siano e stimate, e credute, e temute; per questo, non in un solo lungo le intima, ma in molti. Dalle sacre Carte, per Isaia, si fa sentire egualmente formidabile, allorché dice: Veæ, veæ, qui trahitis iniquitatem, guai, guai a voi che principiaste a peccare, né mai la finite; e per Osea non meno spaventoso si fa udire, Veæ eis, cum recessero ab eis, guai a quei peccatori, che m’hanno abbandonato, perché li abbandonerò. Le vostre minacce, o mio Dio, non fanno un colpo al mondo nel cuore di quel peccatore, voi parlate al vento, e gridate al deserto, tanto è risoluto di condursi viva quella pratica alla sepoltura, allorché egli vi andrà morto, allora lascerà di mormorare, allora abbandonerà quei tanti vizi, che gli hanno oppresso il cuore, ed uccisa l’anima. Dunque, mio Dio, mutate modo: vi vuol altro che minacce con costoro, che sono appunto di quelli de quali scrisse San Saverio, isti facere que placent, volunt audire, que displicent non sustinent; dunque abbandonateli, toglieteli la vostra santa mano di testa, dateli in totale potere delle loro passioni; No, dice Iddio, no, non lo comporta il mio cuore amoroso, neppur lo comporta quell’obbrobrio a me sì doloroso di vedermi esposto con una canna in mano, coronato di spine, e schernito a guisa di re da scena, e con un tal patimento sofferto per l’anima del peccatore, vuoi, che l’abbandoni? Non sarà mai vero; farò così, gli farò sentire le minacce più da vicino, cioè nel nuovo testamento, poiché se quelle del vecchio, come troppo lontane, non gli facessero colpo glielo facciano queste. Udite le minacce di Cristo nel nuovo Testamento Veæ vobis, dice per San Luca, qui ridetis nunc, guai a voi che, invece di piangere, perché m’offendete, vi ridete d’avermi offeso, verrà tempo, che piangerete. All’Evangelista si soscrive Santa Brigida con una rivelazione avuta dal suo Gesù. Brigida, dice Cristo, se i peccatori, udite le mie minacce, diranno, aspettiamo ancora un poco, non è ancor tempo di mutar vita, io dico che siccome cacciai Adamo dal Paradiso terrestre, e flagellai Faraone con dieci piaghe, castigherò costoro prima di quello che si credono; giuro che, se non faranno penitenza, io mi vendicherò di loro nell’ira mia. Infelicissimi peccatori, che rispondete a queste voci di Dio? Deh riflettete, che i colpi di Dio saranno pesanti, onde a voi rivolto con San Lorenzo Giustiniano, esclamo: disce quæ peccatoribus Deus comminetur, ut Deum timeas, aprite le orecchie a queste divine minacce, per non ne avere a provare spietati gli effetti. Dio immortale, io so pure che, quando il leone ruggisce dall’alto, gl’animali tutti temono e tremano, e voi alle voci tremende di questo Leone di Giuda non vi atterrite? Dio, Dio, come è possibile che queste orribili minacce non vi atterriscano? Una gran principessa disse ad un gran cavaliere, vi meritereste che io vi facessi gettar la testa a’ piedi; ed è pur vero, che questa, quantunque non fosse minaccia di farlo decapitare, ad ogni modo, atterrito morì in tre dì accorato. E voi che fate che non temete, non tremate, non tramortite? Non occorre altro, Signore, costoro non vi credono, potete minacciare quanto volete, tanto vogliono continuare a peccare; la vera sarebbe lasciarli in impietate sua, voltargli le spalle; o questo no, dice Dio, non lo comporta il mio amore; non lo vogliono queste piaghe, che sono prezzo sborsato per la loro salute; userò loro un altro stratagemma, e dalle minacce della lingua passerò a mostrargli i castighi che sono usciti dal braccio mio onnipotente, a danni di chi non mi ha voluto obbedire. Sentite UU., voi strapazzate quel Dio che fece strage d’innumerabili Amorrei, non solo con le spade, ma per seppellirli anche vivi con grandini di pietre; quel Dio che nella città di Gerico piantò fiero coltello nelle viscere degli abitatori e fece che si troncassero alla rinfusa vene nobili e plebee, che senza riguardo s’immergessero le aste micidiali anche nel petto delle donzelle innocenti e de’ teneri pargoletti. Voi offendete quel Dio che fece sanguinoso sterminio di ventitré mila idolatri per vendicare l’ingiuria venutagli dalla adorazione del vitello d’oro, e ben dovevano cadere morti a’ piedi di quella bestia quelli che tante volte vi si erano inchinati vivi. Quel Dio che ricoprì le campagne empiendo i cuori di formidabile orrore con i tronchi e lacerati cadaveri di cento ottanta mila assiri. Quel Dio, che diede la morte, dopo innumerabili stenti, a seicento mila guerrieri che si portavano alla Terra di Promissione. Peccatori miei, vive, sì, vive anche oggi quel braccio tremendissimo di quel Dio, che farà scempio non inferiore nelle vostre vite, se non vi convertite a Lui con penitenza. Grande Iddio, tanto si teme quel giudice, e tanto si rende formidabile a’ malfattori non con altro che con mostrar loro le veglie, i cavalletti, le verghe, le manette, le funi con cui egli può tormentare, ed è possibile che non si abbia da temer quel Dio il quale ha un apparato immenso di mali che ogni dì Ei fa vedere nelle nostre case, nei nostri parenti, ne’ nostri amici, tormentati chi da dolori intensissimi di viscere, chi da crucio di denti, chi da spasmo di calcoli di pietre, di dolori di testa colici etc…. Nelle nostre città con terremoti, con pestilenze; nelle nostre campagne con tempeste che desertificano, con venti che bruciano; con inondazioni che portan via intere campagne; con mortalità negli armenti. Io non la so intendere; chi ha più strumenti da tormentare quel giudice terreno che voi tanto temete, o questo Giudice Celeste di cui vi ridete? Dico di più, che il giudice terreno ha il termine prescritto dalle leggi nel tormentare, tante ore di corda, e non più; tante di veglia, e non più. Quelli che può dare Iddio a voi, eccedono talora i confini degli anni, ed anni, a segno tale, che molti e molti per non vivere in quei tormenti, si sono dati la morte. Eh, temete questo Dio! Come è possibile che non vi moviate a queste verità? Ditemi, o Grande Iddio della eternità, avete voi forse bisogno, per popolare il Paradiso, di questi iniqui, di questi scellerati? No! Dunque, abbandonateli affatto, giacché si vede che l’ostinazione gli ha chiuso il cuore. Così dici tu, mi replica Iddio, ma non così parlo Io; a me, queste anime, benché perverse, sono costate la vita data sopra d’una Croce in mezzo a due ladri, a guisa d’un infame; il mio amore non comporta che Io li abbandoni fino all’ultimo, e però voglio dare l’ultima batteria a questi cuori ostinati, per vedere se vogliano una volta risolversi ad abbandonare il vizio; voglio che dagli stermini del corpo, si passi a mostrargli le rovine dell’anima. Non farete nulla, mio Dio, perché costoro tanto stimeranno l’anima in altri, quanto in sé, e la stimano sì poco che, quasi dissi, vi chiamano mercadante mal pratico, in aver comprata l’anima con tanto prezzo, mentre loro la danno per poco e niente. Non importa, il mio amore mi spinge a fare questa ultima prova. Ecco dunque, o peccatori, ciò che Iddio vi espone per mezzo di più rivelazioni, vi fa intendere lo sterminio di tante anime perdute, perché vissero come voi. Or trenta, or sessanta mila ne vide in un sol colpo dannate nel tribunale di Dio un’anima santa. Ecco vedersi cader colaggiù nell’inferno da un Servo di Dio, le anime in sì gran numero, che si eguagliavano ai fiocchi della neve, quando cade più folta. Vi confermi questa verità la bocca d’un dannato nella città di Parigi. Venne a morte un nobile cancelliere; era questi amatissimo dell’Arcivescovo, il quale su quell’ultimo andò a visitarlo, e lo pregò, che dopo la sua morte volesse apparirgli per dargli qualche ragguaglio di ciò che gli fosse accaduto all’altra vita. Promise il moribondo, e morì. In capo ad un mese, allorché l’Arcivescovo se ne stava studiando, si vide comparir l’amico già morto, si spaventò alla vista. Indi preso cuore, l’interrogò perché fosse venuto … per mantenervi la promessa, replicò il morto, e che gli faceva sapere esser egli dannato sì per la sua superbia, sì per le sue disonestà. Indi gli soggiunse, che all’inferno vi fioccano le anime del mondo, come le nevi fioccano nell’inverno sopra della terra, … sicut nix ruit de cœlo, ita animæ ruunt in infernum; e ciò detto, dato un strillo orribile, sparì. UU. miei, come fiocchi di neve si va all’inferno; quanta ragione, quanto motivo avete voi di temere se non vi ravvedete, e se ci balzate, miseri voi, quis ex vobis poterit habitare cum ardoribus sempiternis, rispondete ad Isaia, come potrete stare tra quelle fiamme? Rispondimi donna che tanto accarezzi la tua carne, che la vesti con tanta delicatezza, che non puoi soffrire una punta d’ago, il quale t’insanguini leggermente la pelle, come potrai poi resistere a quelle mannaie, dalle quali ti sentirai smembrare, disossare, e tritare con eterna carnificina? Che dici uomo sì diligente in procacciarti tutti i tuoi comodi, poteris habitare cum ardoribus sempiternis, tu non puoi ora patire la puzza d’un poverino il quale ti si avvicini, come potrai reggere a quelle cloache d’inferno, dove resterai appestato per tutta l’eternità? Che dite voi, Sacerdote sì trascurato in adempire i vostri debiti, poteris habitare cum ardoribus sempiternis, voi, che non potete stare per lo spazio d’un’ora in quel Coro della vostra Chiesa modestamente, senza scomporvi, senza guardare, senza parlare? Come potrete stare per tutti i secoli eterni assiso non sopra un seggio di vita noce, ma bensì stirato negli eculei su letto di fuoco? Che dici vendicativo, che dici disonesto, che dici? poteris, poteris… Sebbene, perdonatemi, più che a voi, debbo io parlare a me. Che sarà di me se io non piango davvero i miei peccati, se cerco la stima, se procuro i comodi? come potrò stare a’ piedi di lucifero per un’intera eternità? Ed è pur vero, così non fosse, che qui vi farà qualche peccatore sì ostinato, che non vorrà arrendersi neppure alla denunzia di castighi sì formidabili, che pur sono il precipizio dell’anima. Si, se così è, che qui sia chi voglia seguitare ad esser empio ad onta di questo ultimo stratagemma di Dio per farlo ravvedere, lo sia, e se ama perire, perisca il misero. Esca, dunque, dalla di lui mente ogni raggio di luce celeste, e si adempia il detto d’Isaia, schiantandosi dalle loro viscere il cuor di carne, in sua vece ve se ne ponga uno di sasso. Vada pur di male in peggio, e così venga a cadere sopra di lui il castigo più spietato di Dio che è il non castigarlo in questa vita; ecco, che lo prendo dal Salmo centesimoquarto, e lo fulmino a danno degli ostinati. Inorridite: exacerbavit Dominum peccator, il peccatore ha esacerbato Iddio, adunque Iddio severamente lo castighi, qual sarà il castigo, secundum multitudinem iræ suæ non queret, lo lascerà con i suoi peccati in cuore e con la briglia sul collo; e da questo che ne verrà? Non quæret, e non curandosi più Iddio, il precipizio sarà indubitato. Eh mio Dio, giacché voi siete il gran Leone di Giuda, fate in pezzi questi capretti presciti, per darli in tutti i secoli a masticar nell’inferno; è dovere che una volta giungano colaggiù, ove già sono tanti anni che vi si incamminano, non vi sia più per loro misericordia, non vi ha più speranza d’emendazione; vadano, vadano colaggiù, ed il più fiero carnefice, che li tormenti, non sia né il fuoco, né i diavoli, né tutto il resto che compone quell’abisso di tormenti, ma la bontà vostra abusata … Or chiudasi l’inferno, mentre v’arde il peccatore ostinato.
LIMOSINA.
Vi sono ancora degli ostinati in non voler far limosine: bene. Or sentite Gedeone agli abitatori di Socoth là nel deserto, perché non vollero sovvenire i poveri suoi soldati affamati: fece questa terribile intimazione, cum reversus fuero conteram carnes vestras cum spinis, tribulisque deserti; al mio ritorno farò una vendetta sì esemplare della vostra crudeltà, che trascinerò i vostri corpi tra le macchie di questo incolto paese, affinché non ne rimanga memoria. UU., quanto è più possente Iddio che Gedeone, tanto sarà più terribile la vendetta che Egli eseguirà contro di quelli che sono ostinati in non sovvenire i poverelli, cum reversus fuero conteram. Farà Iddio un fascio di ricchi e delle ricchezze e di quanti, potendo, non sovvennero i poveri, e darà fuoco a tutto, senza che vi sia mai acqua che possa spegnere un sì grande incendio.
SECONDA PARTE
Io mi stupisco, come mai quelli i quali sanno che Dio ha la spada sfoderata contro di loro e li ferisce, e tanto pecchino, che Dio ha il flagello alla mano in tante disgrazie, che gli manda, e ad ogni modo l’oltraggiano. E prima di me, con occhio attonito si stupì Isaia, allorché disse: Ecce tu iratus peccavimus, tu sei adirato con noi, e tanto noi pecchiamo. Riflettete, ascoltanti, che il Profeta non dice peccavimus et tu iratus es, perché questo lo capirei; ma dice iratus es, peccavimus. O questa sì, che è cosa degna di sommo stupore, sapere che Iddio è adirato con noi, e tanto offenderlo. E non è vero, che taluno di voi è stato più perverso, dopo d’esser stato castigato ed avere conosciuta l’ira di Dio nelle tempeste che v’hanno desertato le campagne, e tanto avete peccato. Avete conosciuta l’ira di Dio nella mortalità dei vostri armenti, e tanto avete seguitato ad una accumular roba con danno del vostro prossimo. Iratus es, peccavimus; o questo sì che non intendo: avete conosciuta l’ira di Dio, allorché vi fu alla vita quel rivale per uccidervi, e tanto avete seguitato ad andare in quella casa. Non più, non più, verrà al castigo, accadrà a voi come all’infelice Nabucco. Sentitene il caso funesto. Si porta Daniele al cospetto di questo superbissimo principe, e con autorità di Profeta gli intima da parte di Dio che egli tra poco sarebbe scacciato dal trono e cambiato in fiera, sarebbe passato alla selva, per ivi vivere; che però l’esortava a ricomprare con limosine i suoi peccati, ad abbassar la sua alterigia, ad alimentar famelici, a vestire ignudi. Voi vi crederete, che l’empio regnante alle parole del Profeta balzasse giù dal trono, e buttatoglisi a’ piedi offrisse tutti i suoi tesori per ricattarsi dall’imminente castigo. Appunto, appunto; nulla perciò intimorito nonché compunto, seguitò a vivere più empiamente che mai. Un anno intero gli concesse Iddio di tempo per ravvedersi; quando ecco, che dalle minacce passò al castigo. Ecco che un dì, mentre se ne passeggiava orgoglioso per la sua sala, ammirando la sua reggia, esaltando la sua potenza… vox de Cœlo ruit, calò una voce precipitosa dal Cielo, la quale gridò: alle selve, alle selve; tibi dicitur Nabuchodonosor Rex, cum bestiis erit habitatio tua. Appena udite queste voci, si sentì subito l’empio Re cambiare e sembianza, e voglia e costumi; si squarciò le vesti sul petto, e mandando per voce un alto muggito, tutto apparve a guisa di bestia, e buttatosi per terra, se ne fuggì alla selva per viver da bestia. Cari miei uditori, quanto tempo è che Dio v’intima castighi, non un anno come a Nabucco, ma tre, ma quattro. Quanto tempo è che vi dice, che mutiate vita, che lasciate la pratica, etc.. E voi? Verrà al castigo, vi cambierà in bestia, e vi metterà ad abitar tra’ diavoli. – Racconta Plutarco, che a tempo suo cadde in Roma un fulmine, e non fece altro male, che sciogliere ad un soldato una scarpa. Li peccatori si figurano che i fulmini della Divina Giustizia siano di questa tempra; sicché, dopo il tuono di tante minacce, non debbono mai cadere, e pur cadendo, poco o nulla di male abbiano a fargli. Si figurano costoro un Dio simile a loro, che non odii il peccato, giacché essi non l’odiano; existimasti inique, quod ero tui similis, e quando pure credano che Egli abborrisca le ingiurie fatteli, se lo figurano come il re delle api, sempre col miele d’una misericordia continuata, e senza pungolo da vendicare i suoi oltraggi. Dio è misericordioso, sì, ma è anche giusto. È benigno tra noi quel principe, che piangendo soscrive la sentenza di morte contro il malfattore, ma non per questo lascia di soscriverla, perché così vuole il giusto. È misericordioso Iddio e si duole d’avere a condannare quell’anima da lui creata per esser Stella del Cielo, alle fiamme dell’inferno; ma non resta però di condannarla, richiedendo così la sua Divina Giustizia, per la di lui ostinazione nel male. Lasciate, o peccatori, la mala vita, perché Iddio non potendo più soffrire la vostra ostinazione, lascerà di far con voi le amorose parti di Padre e si vestirà di quelle di Giudice, ed allora siete spediti. Che si ha dunque da fare? Ritornare a Dio, e ritornarvi sollecitamente con un’ottima Confessione, abbandonando col peccato l’occasione del peccato, altrimenti io vi dico, che Dio vi volterà le spalle, e vi dannerete. Non vi negherà mai la grazia sufficiente con cui vi potreste salvare, ma non vi salverete, perché non ve ne valerete. Pensate a’ casi vostri.