QUARESIMALE (XXVII)

QUARESIMALE (XXVII)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)


PREDICA VENTESIMASETTIMA
Nella feria sesta della Domenica quarta.


Le tribolazioni sono segni dell’Amore Divino; ci riducono a
Lui e ci danno l’eterna salute.


Domine ecce quem amas infirmatur. San Gio: cap. 11.

Chi professa d’esser seguace del Vangelo, non solo riverentemente deve baciare la mano liberale di Dio, quando piena di benedizioni tutte le sparge a nostro pro; ma ancora, quando armata di flagelli, si fà vedere fulminatrice a’ nostri danni. E chi v’è tra voi uditori che non sappia tutto operarsi da Dio a nostro benefizio, e che le tribolazioni che Egli ci manda, sono finissime dimostrazioni del suo amore.  Stolto, dunque, dicasi colui che detesta i colpi della mano divina, che con mostrarli in apparenza crudele, è in fatti ministra d’ogni nostro bene. Facciano coloro che senza considerare l’utilità grandi, che alla giornata ci apportano le tribolazioni, usano talvolta, anche con bocca sacrilega, lamentarsi di Dio invece di rendergli umilissime grazie, certi che quella destra che li percuote, sol li tormenta per renderli più degni del Paradiso. Ben l’intese questa verità nelle Spagne Teresa Vergine sposa di Cristo, mentre di continuo esclamava … aut mori, aut pati. Signore, diceva ella, o moltiplicate le pene, o troncate la vita, così parlava Santa Teresa. Con questo suo parlare pretendo far capire a’ miei uditori questa verità. Le tribolazioni esser segni dell’Amore divino, queste ridurci a Lui, e darci l’eterna salute. – Prima di dar principio, stabiliamo punti di Fede: sia il primo non v’esser caso, non v’esser fortuna in questo mondo, e questo caso, e questa fortuna, che va per bocca degl’uomini non avere altro essere, che nell’opinione de’ stolti. Iddio solo esser quello che manda, opera, e permette il tutto. Secondo: che Dio nel travagliarci ha comunemente la mira a purgarci da’ vizi, e promuoverci alla virtù, a guisa di un orefice, che nel porre l’oro nel fuoco nulla più pretende, che purgarlo dalla terra, e farlo crescere di splendore, e di stima. Poste queste verità infallibili, dico assolutamente non essere paradosso, no, che le tribolazioni siano segni dell’Amore Divino. Date d’orecchio a David, che parla e con voi discorre, o tribulati, egli si protesta, che sino dalla gioventù imparò sì bella lezione; le tribolazioni esser segni dell’Amore di Dio, mentre lo cavarono dalle miserie del peccato: Deus docuisti me a juventute mea, quantas ostendisti mihi tribulationes multas malas; quasi dir volesse, ecco che appena nato mi convenne strozzar orsi, e sbranar leoni, fatto giovine mi portai a cimento con i giganti; passato che io fui dalla capanna al soglio reale, ebbi trentasette anni di guerra con i Filistei, tollerai le congiure d’un figlio e le maldicenze e le percosse d’un Semei; quantas tribulationes multas, malas; ma il termine di questi travagli mostrò l’Amor di Dio verso di lui mentre egli stesso stesso esclama: Et conversus vivicaste me, o de abyssis terræ, iterum reduxisti me. Sì, sì, le tribolazioni furono a David veri pegni dell’Amor divino. Le tribolazioni lo saranno a voi. Taci, dunque, o tribulato, prendi dalla mano amorosa di Dio le afflizioni, se ti manca roba, se perdi la sanità, quantunque fossi oppresso da turbini di disgrazie,  la tua bocca non esali sospiri di risentimento; ma impara tutto operarsi da Dio per l’amor che ci porta. Confermi le parole di David il Santo Giob, e voi frattanto uditori riflettete che sull’altezza del trono, siedono talora col monarca i precipizi reali. Nacque egli tra le grandezze, fu allevato tra le adorazioni, ebbe tributo da tutte le felicità, ed ora eccolo non più principe nel soglio, ma, mendico nel mondezzaro, si vede ridotto ad estreme miserie; i palazzi son diroccati da’ fulmini, i figli sepolti tra le rovine, i sudditi fono diventati nemici ed egli da capo a piedi si rimira coperto da piaghe verminose, e pure se darete orecchio alle sue voci proferite tra tante calamità, le sentirete espresse su queste parole: Hæc mihi consolatio, ut affligens me, dolori non parcas. Vermi, diceva egli, figli delle mie postemme, rodete pure le mie carni, succhiate il mio sangue tanto io bramo da voi, hæc mihi consolatio: tanto diceva un innocente, un santo, benché si vedesse così piagato, così travagliato perché tutto riconosceva per finezza dell’Amor divino. E voi peccatori macchiati d’ogni vizio non volete riconoscere le tribolazioni per segno dell’amor di Dio! Ben l’intese Maurizio, il quale tolto dal trono, e portato, sul palco, mostrò di ricevere le tribolazioni per pegni dell’Amor divino, rifletté egli, esser asceso da bassa condizione all’altezza del soglio imperiale, e dubitando, per i suoi peccati, che una felicità temporale, gli poteva togliere l’eterna, presa la penna in mano, scrisse un’umilissima fupplica a quanti vivevano religiosi nella Grecia, nella Palestina, nell’Egitto, pregandoli che da Dio gli ottenessero, qualche certo contrassegno di salute. Piacque alla Maestà Divina la preghiera, e per mezzo de’ suoi servi gli fece rispondere: Te, totamque familiam tuam Deus collocat inter electos. Che egli, con tutti di sua casa si sarebbero falvati. Or sentitene di grazia segni di salute, e poi dubitate, se potete, non amarvi Iddio quando vi tribola. Ecco, che per accertar Maurizio d’eterna felicità, si turba a’ suoi danni il Cielo, ode da chiunque ha dono di profezia, minacce orribili; vede uno de’ monaci più modesti portarsi con ferro nudo alla mano in ogni contrada della città, annunziando stragi all’Imperial casa, si sente Maurizio ne’ sogni stessi citato per reo, indi a non molto si vede dal popolo tumultuante tolta di testa l’imperial corona, di dosso l’ammanto reale, e di mano lo scettro regio, ed innalzarsi su’ propri occhi, Foca all’imperio; per ordine di cui, carico Maurizio di catene vien condotto al palco, per assistere, testimonio infelice, alla barbara uccisione di cinque suoi cari figli; assiste ma senza turbarsi; giacché nell’odio di Foca riconosceva mascherato il Divino Amore, e con cuore magnanimo, finché la spada non gli tolse la testa, altro non diceva, che quel di David Justus es Domine, et rectum judicium tuum. Non vorrei già, che tra miei uditori si trovasse chi pietoso compatisse la calamità di questo principe, quasi che troppo travagliato da Dio; poiché mostrerebbe di non conoscere i certi pegni dell’Amor divino. Poveri noi, se rei di gravi peccati, saremo privi di tribolazioni. Noi felici, se a guisa di Maurizio interpreteremo per il meglio le sventure di questo mondo. Intellige, dirò io con Sant’Agostino a chi m’ascolta, medicum esse Deum et tribulationem medicamentum esse ad salutem, non pœnam ad damnationem. Intendetelao Cristiani! Cristo è medico amoroso, e l’amare medicine che ci porge per mezzo delle tribolazioni, son segni certi del suo amore. Contentatevi a questo proposito d’udire un bel fatto accaduto a Crisippo gran filosofo. Vide egli un giorno Ciro re di Persia, il quale de’ due figli che aveva, sol si mostrava crudele verso quello che viveva con tutta bontà ed obbedienza, e pur questo gridava, questo batteva, dove l’altro disobbediente e ritroso, mai era punito. Quando un giorno nuovamente vedutolo sotto la sferza paterna, gli si fece avanti con libertà filosofica, gli tolse la sferza di mano, gli disse: io non l’intendo, voi percuotete il buono, e non castigate il cattivo. Allora Ciro rivolto al filosofo gli disse: or l’intenderai! Sappi che, quem impunitum relinquo nihil est possessurus, quem vero percutio Regni futurus est hæres.  Questo figlio che punisco, questo è l’erede del regno, lo batto per farlo più degno dell’imperial corona. Cari uditori, se saremo tribolati, saremo figli eletti per il Paradiso. Gaude sub flagellis, dice Sant’Agostino, flagellat enim, ut ad bæreditatem erudiat. – Ricordatevi finalmente delle belle parole di Tobia all’Angelo, quia acceptus. eras Deo, necesse fuit ut tentatio probaret te: Non si può, no, esser caro a Dio senza travagli e croci, questi sono i certi segni del suo amore. Né solo son segni dell’Amore divino, ma ci conducono a Lui. Ricordatevi un poco di quei discepoli montati insieme con Cristo nella nave, e sovvengavi che fintanto che l’acque furono tranquille, placido il mare, quieti i venti, mostravano i discepoli di curarsi poco del Maestro che lo lasciarono solitario dormire sopra una sponda; ma quando poi il mare cominciò a turbarsi, motus magnus factus est in mari, quando in un subito gonfiare l’onde s’offuscò il cielo, si scatenarono i venti, e scaricarono le nubi con pioggia talmente dirotta che già temevano di sommergersi, tutti allora ricorsero a Cristo, gli si affollarono d’intorno, e gridavano piangenti: Domine salva nos perimus. Così segue di noi, dice Sant’Agostino, si cessaret Deus et non misceret amaritudines oblivisceremur eum. Se fossimo sempre in calma ed Iddio non ci travagliasse, non si ricorderemmo di Lui. Ah che certamente mai, mai, il figliuol prodigo darebbe ritornato dal padre se egli non si fosse veduto vicino a morir di fame. Allora disse: ibo ad patrem. Così fate voi, andate da Dio, ricorrete alle orazioni, fate limosine, digiuni, pellegrinaggi. Quando? quando dalla sua santa mano siete percossi. Sant’Antonino Arcivescovo di Firenze narra un caso degno, successo a lui medesimo. Racconta dunque, come passando un dì per una strada, gli vennero alzati gli occhi, e vide sopra il tetto d’una povera casa, un coro d’Angeli, che vi stavano con segni di gran giubilo; stupito il Santo volle indagarne la causa: batte all’uscio, gli fu aperto, entrò, salì la misera scala, e giunto ad una piccola stanza, vide una povera madre con due figlie nubili, le quali attente al lavoro procuravano di sollevare la propria miseria con il ristoro di poco pane e di poca acqua. Vi trovò una somma pace, e contentezza, onde mosso a compassione il Santo, gli lasciò una larga limosina, assicurandole che per l’innanzi non sarebbero vissute in tanta miseria ed a tal effetto gli assegnò una certa risposta delle rendite ecclesiastiche: A mala pena entrò questa piccola fortuna in quella casuccia che subito non solo le figlie ma la madre ritirata dal lavoro, principiarono ad ornarsi, a trattenersi alle finestre, ad amoreggiare. Quando ritornato il Santo Arcivescovo per quella strada, vide non più il coro d’Angeli, ma di demoni; attonito a tal aspetto entrò in casa e non vi trovò più né quel ritiro, né quella modestia di prima; sì eh, disse non sia il vero mai, che le entrate ecclesiastiche debbano servire a sollievo de’ demoni; gli levò tutto, tornarono alla povertà di prima, e tornate alla primiera povertà, tornò la stessa devozione a Dio. Non accade altro, le tribolazioni ci riducono a Dio. Così è, così è, bonum mihi, dite pure col santo David, quia humiliasti me. Fortunati noi se saremo tribolati, avremo l’amore di Dio, le tribolazioni ci condurranno a Lui, e ci daranno eterna salute. Ditemi. Per qual causa son a voi sì cari i signori medici? Non per altro, se non perché ne’ nostri mali sono il mezzo di nostra salute. Ma avvertite vi amareggeranno il palato con l’Aloe, v’altereranno lo stomaco con amarissime pillole, vi metteranno in rivolta tutti gli umori con antimonio. Non m’importa, tutto deve conferir salute, e perciò, tutto si abbracci. Perché sono a voi sì cari i cerusici? Perché all’occorrenze o di febbri o di cancrene o di posteme ci guariscano. Ma piano… Voi non considerate quei tanti ferri, che portano seco; con essi vi segheranno le vene, vi staccheranno la carne viva dall’osso, gli ossi stessi ve li segheranno per levarvegli dalla vita. Non importa, voi mi rispondete, e voi ancora alla occorrenza direste loro ciò che Teodorico al suo Medico, se voi, al par di lui stringeste scettro. Udite di grazia con quali belle parole dichiarò questo monarca, suo primo medico un uomo intelligentissimo nella professione. Tu solo, dissegli, fra tanti vassalli che mi obbediscono potrai con lodi, e con mercedi opporti alle mie brame, tormentar le mie voglie, e mortificarmi in ogni parte del mio corpo. S’abbraccino dunque le tribolazioni, non si ributtino, ma si stringano al seno, merceché son segni dell’Amor divino, che ci riducono a Lui e che ci danno vita eterna. Delicati mei ambulaverunt vias asperas. È vero son grandi i travagli, ma questi ci conducono al Cielo. Se vi volle giungere una Liduina, bisogno’ che si contentasse di giacere pazientemente per trent’otto anni in un povero letticciuolo afflitta da paralisi, da convulsioni, da cancrene, a tal segno che era venuta una viva immagine della morte. Ambulavit vias asperas. Se vi volle giungere un Britio convennegli tollerare pazientemente di essere a guisa d’un infame deposto dalla dignità episcopale, per una falsa calunnia … ambulavit vias asperas. Se vi volle giungere una Godolena, le convenne pure tollerare pazientemente di esser come schiava strapazzata con modi orribili dal bestial suo marito. Eh via … delicati mei ambulaverunt vias asperas. Bell’impresa di nobil ingegno fu quella che mostrava un animaluccio, detto Pirale, entro le fiamme d’una fornace, ove esso viveva, prodotto col motto Moriar si evasero; non ha questo insetto altra vita, che quella che gli viene somministrata dalle fiamme del fuoco, da cui, se esce, è certo di morire, come pesce fuori dell’acqua. Somiglianti a questo animale sono gli uomini, i quali se non si trattengono nelle fiamme della tribolazione non vivono vita di grazia, e non conseguono Gloria di Paradiso ma stanno in pericolo di morire, perché privi di quel pane di vita della tribolazione, che li conserva; Moriar, dunque, dica ognuno a se stesso … moriar si evasero. Se io non sarò travagliato, se non avrò persecuzioni, se vivrò vita troppo felice in questo mondo. Ah, che dubito di non morire eternamente. Dica altresì ciascuno: Vivam si sustinuero, se tollererò le fiamme di questo fuoco delle tribolazioni, certo il Paradiso sarà mio, Vivam si sustinuero. Questa è la strada regia e battuta, la quale addirittura conduce alla gloria. Per multas tribulationes oportet intrare in Regnum Dei. Se si compra il Regno de’ Cieli, i patimenti sono il prezzo; se s’ottiene per amicizia, non sono amici se non quelli che patiscono; tutti i predestinati, dice Ezechiele, portano la Croce segnata in fronte; tutti gli eletti del popolo di Dio, dice Mosè, passano per il Mar Rosso delle tribolazioni; tutti gli innocenti, dice Paolo Apostolo, sono soggetti alla continua persecuzione. Quoniam ad requiem, è ragione di Sant’Ambrogio, non ni si per laborem et ad gaudia, non ni si per tristitiam pervenitur. Non troverete, no, che s’arrivi al Cielo, senza fatiche. Non vi sia per tanto tra’ miei uditori, chi di buona voglia non abbracci le tribolazioni; servaci dunque, dirò io con Pier Damiano, per modello del nostro vivere la bella natura dell’incenso; questo voi sapete bene, che non tramanda odore, quando, grondi dal suo ceppo felice, colà nell’Arabia, o pure si conservi in vasi d’oro. Allora solo riempie di non ordinaria fragranza, e Chiese, e case, salendo fino all’Empireo, come in trionfo, quando tormentato dal fuoco, e da esso totalmente disfatto; questa è l’idea che la Maestà divina ha formata per chi vuole l’eternità: non solo non dobbiamo sfuggire ciò, che ci attrista, ma dobbiamo andarci incontro. Ecco le parole del Santo: Sicuti aromata fragrantiam suam non ni si cum incenduntur expandunt, ita et sancti viri. Ogni qualunque volta c’imbatteremo in spine di triboli, benché acutissime, la nostra mano prontamente le colga, se le rivolti al petto, se le conficchi in cuore, benedicendo Dio, che con segni di tanto amore ci tiri a sé, e ci dia caparra del Paradiso, ho finito. Miei Uditori, tra le tribolazioni vi vorrei simili alla conchiglia: questa al riferire di Plinio, nulla patisce ancorché il mare sia agitatissimo dalle tempeste: Possono bene le balene ed ogn’altro pesce versar sopra d’esse fiumi di spume, ma non per questo la conchiglia si turba. Fate, che l’Oceano fino dal profondo si sconvolga, ella però niente si agita; ma se l’aria si rannuvola, e se anche leggermente lampeggia e tuona il cielo, la conchiglia si sconcia, e la perla s’impallidisce. Voi siete in questo mondo e, con essere in questo mondo, siete in un mare, agitati da mille travagli, non vi turbate punto quantunque questi crescano a dismisura, riceveteli con cuore allegro, e volto sereno, già che sono segni dell’Amore divino, ci tirano a Lui, e ci servono di caparra al Paradiso. Allora solo turbatevi, quando sapete d’aver la coscienza macchiata da peccato mortale, perché allora con fondamento potrete temere, che se non vi emenderete con sollecita Confessione, i travagli presenti di questo mondo siano per essere principio de’ futuri nell’altro … che Dio non voglia.

LIMOSINA
La maggiore delle miserie che tema un uomo, il maggiore de’ travagli, è la paura d’impoverire, e questa è la cagione, perché molti si ritirano dal far limosine. Non abbiate paura d’impoverire per sovvenire ai poveri. Non abbiate paura, che per questo capo vi venga danno, anzi starete male se non farete limosine; l’aver molto è causa ben spesso del nostro male. Prosperitas multorum perdet illos, dice lo Spirito Santo a guisa di quelle madri che dando a balia i loro figliolini infettano talora se medesime con quella copia di latte che sì utilmente potevano deviare in sostentamento de’ propri parti. Fate dunque limosina abbondante.

SECONDA PARTE.

Quando a voi per motivo di sollievo a’ vostri travagli, e per tollerare pazientemente non bastasse il sapere che sono segni dell’Amor di Dio, che ei tirano a Lui, e ci dà caparra di salute; v’addurrei un altro motivo, il quale, benché basso e vile, ad ogni modo per taluno, sarà efficace. Voi che vi protestate d’esser tanto travagliati, non guardate a chi gode maggiori facoltà, a chi vive con maggior splendore, a chi sta bene di salute, ma voltate gl’occhi indietro, che troverete che tanti e tanti da più di voi per la nascita, da più di voi per la grazia di Dio, che conservano nel loro cuore, stanno peggio di voi. E voi, che state ne’ peccati e che vi continuate, vi lamentate; mi meraviglio di voi! Entrate un poco nelle carceri, e vedrete di quei che vi marciscono anche innocenti, che non vedono mai raggio di luce, privi d’ogni conversazione, e ciò che più li fa inorridire, è che dopo questi tuoni, temono che loro cada in capo il fulmine di sentenza a morte. Entrate un poco negli ospedali, e mirate tanti languenti, quali abbruciati nelle viscere da rabbiose febbri, quali spasimanti per dolori acutissimi; quante bocche vedrete aperte da ferite mortali, che domandano pietà, e quanto volentieri cambierebbero il loro male con voi, che vi dichiarate i più infelici del mondo. Tacete, tacete; Padre? E che volete? Voi siete nobile, comodo, non avete di che lamentarvi. Non voglio sentire le vostre querele. O Padre v’ingannate, sono disgraziatissima, tribolatissima. E perché? Perché non ho la gioia, non ho la veste così sfoggiata, non posso mantenere tanta servitù … Eh tacete, son querele sciocche, e se tutto aveste, tutto servirebbe per ribellarvi a Dio. Alle tribolazioni, uditori miei, vogliamo o no, bisogna starci soggetti. Per tanto io devo avvertirvi, che uno de’ maggiori errori che si commetta da’ tribolati è, che nel tempo delle tribolazioni si lascia Dio, quando più che mai converrebbe cercarlo. O quanto sono mai pusillanimi alcuni, i quali appena tocchi da leggier colpo di fortuna lasciano di frequentare i Sacramenti, trascurano le Orazioni, né più esercitano opera alcuna di pietà cristiana. Se la tempesta deserta il podere, se la vigna un anno non frutta, se il campo non rende, se il negozio va male, subito si sospende la celebrazione di quella Messa, quella limosina, quell’opera buona, che soleva farsi. Ah sciocchi, ah stolti, voi lasciate di ricorrere a Dio, allorché siete più bisognosi del suo aiuto? Questo è l’inganno del diavolo, anzi quanto maggiori sono i travagli, tanto più frequenti devono essere l’opere pie, se volete che cessino i travagli; e poi perché quando i ricolti, o qualche altro accidente rende più scarsa di danaro la vostra casa, subito si mette l’occhio a risecar l’opera pia. E perché più tosto non si dice così: le entrate questo anno non ocorrispondono, dunque meno spesa ne’ teatri, nelle vanità, ne’ giuochi, negli ornamenti; o donne meno spesa in tante cose superflue, nelle quali trovate da buttar tanti danari quanti mai volete. Di più; quando l’entrate sono scarse, volete risecar l’opere pie, e quando sono abbondanti, volete raddoppiare i lussi, ma non il bene. Aprite gl’occhi o miei uditori, all’inganno del diavolo, non cessate dal far bene per qualsisia tribolazione che avvenga alle vostre case, anzi accrescetelo… Che sarebbe però, se quivi fosse taluno, il quale invece di ringraziare il Signore delle tribolazioni che gli manda per sua salute, bestemmiasse sacrilego la sua sorte, e mordesse per così dire quelle mammelle che gli danno nutrimento. Sarebbe costui vero fratello dell’empio Re Acaz, il quale, come un rospo velenoso accrebbe veleno sotto le sassate. Che farà Iddio di quest’anime indegne, che lo maltrattano perché sono tribolate: le getterà da sé come inutili al disegno che aveva d’inserirle in Cielo … Argentum reprobum, dice Geremia, vocate eos quia Dominus projecit illos· Tremiamo, miei uditori, a minaccia sì spaventosa: guai a chi diventa peggiore per le tribolazioni, che Dio gl’invia, io per me credo, che questi tali picchino alle porte dell’inferno per esser ammessi in compagnia di coloro, i quali flagellati da Dio, come dice San Giovanni, si rivoltarono alle bestemmie, e non alla penitenza, Blasphemaverunt Deum Cœli præ doloribus, non egerunt pœnitentiam. Deh per l’amore che portate all’anime vostre imparate a conoscere nelle avversità non solo l’Amor divino, ma le vostre scelleratezze, e ricordatevi, che quando peccaste faceste un debito con Dio. E se lo faceste, perché dunque dolervi, che Dio voglia esser pagato. Prendete per tanto tutto dalla mano divina, e dite con cuor contrito: … iram Domini portabo quoniam peccavi ei. Sentite, è aforismo de’ signori medici, che quæ solent prodesse et non profunt malum, un pessimo segno è, che quei medicamenti che sogliono giovare non giovino: voi siete infermi, siete alterati da tanta malignità, quanti ne racchiudono in se tanti peccati mortali, che avete commessi e con ragione potete dire, sana me Domine, quoniam infirmus sum. Orsù ecco, che Dio, Celeste Medico adopra le tribolazioni, che sono i rimedi delle vostre infermità; ma avvertite, che se queste non vi giovano per farvi tornar a Dio. Malum, malum; pessimo segno, e posso dubitare, che per voi non vi sia più speranza di salute. Date mente voi, che non prendete le tribolazioni con pace per sconto de’ vostri peccati, date mente, è Dio che parla per Geremia, percussi te, castigavi te, t’ho battuto, t’ho flagellato con le tribolazioni ma tu, invece di ravvederti ti sei indurato nel peccato, dura facta sunt peccata tua. Orsù senti, sai che ne seguirà? O Dio, tremate ed inorridite, non vi è salute per te, sarai dannato, insanabilis dolor tuus , etc

QUARESIMALE (XXVIII)