QUARESIMALE (XXI)

QUARESIMALE (XXI)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)


PREDICA VENTESIMAPRIMA

Nella Feria sesta della Domenica terza.

Del Giudizio particolare
che si farà d’un’anima considerato
nel processo, nelle difese, nella sentenza.


Cum venerit ille, nobis annunciabit omnia.

San Gio.: cap. 4.

Non vi predico miei R. A. cose lungi dalla nostra età, da’ nostri secoli, ben sapendo non avere i sacri oratori, più difficile impresa per eccitare nelle udienze cristiane il timor de mali futuri. So che Aristotele al secondo de suoi libri, m’insegna, che l’apprensione delle calamità future, ma lontane, non è potente ad indur la paura in cuor degli uomini: Remota namque nimium, non timent. I dolori, i crepacuori, gli spasimi vicini del Giudizio particolare, e non dell’universale v’annuncio; e con questo v’affogo le vostre parole in gola, e vi schiaccio in bocca quel baldanzoso parlare… Eh, che prima d’arrivare a quel dì tanto terribile, si ha da passare un mare lungo e largo di più secoli. V’affogo, dico, le parole in bocca per additarvi, come il dì del Giudizio per ciascheduno di noi, non è più lontano del dì fatale della nostra morte. A questo giudizio, dunque, particolare che segue subito dopo la morte, presento questa mattina il peccatore, perché ne senta il processo, ne faccia le difese, e ne oda la sentenza, giacché queste tre cose devono concorrere in ogni giudizio ben formato. Figuratevi miei UU. il processo formato, steso già per mano de’ diavoli, e sappiate che per molti di voi si considera cominciato fino dalla puerizia, perché sin d’allora principiaste a peccare, e pare che facessero a gara per introdursi dentro di voi malizia e uso di ragione, sicché si  può dire che molti di voi furono simili a quei serpi, i quali hanno tossico prima d’aver denti per diffonderlo. Orsù state attenti al contenuto del vostro processo, poiché uditene le accuse, possiate prepararvi alle difese, per evitare quella sentenza d’eterna dannazione, che vi sovrasta. Nello spaventoso processo si contiene come voi peccaste in pensieri, parole ed opere. I delitti dell’adolescenza fono stati discorsi lascivi, parole sporche, giuramenti falsi, roba tolta di casa o per crapule o per giuochi, o per offendere Dio con detrimento della famiglia, con perdita della reputazione nella servitù; peggio: sono stati omicidi d’uomini, se non nati che potevano nascere, vizi che non si possono nominare, e sol s’esprimono con i carboni delle incenerite Pentapoli, e poi tanti pensieri laidi che non hanno numero, finiscono di colmare l’enormità della vostra adolescenza alla quale non volle cedere punto la vostra gioventù, mentre non contento di seguitare ancor da giovane le medesime laidezze, che commetteste nella adolescenza, v’aggiungeste le brame incessanti delle donne altrui; di queste andaste in cerca nelle strade, per le case, nelle Chiese, i vostri occhi, non guardavano che per incenerire l’altrui anima; non la perdonaste né a condizione, né a stato, né alle spirituali parentele, né tampoco al proprio sangue. – La virilità non fu inferiore alla gioventù. E che non faceste cresciuti all’esser d’uomo? Non cessaste punto dalle iniquità già dette ed a queste accompagnaste gl’odi, i rancori, gli sdegni, ma chinaste la ruina di quella famiglia, tramaste, alla vita altrui, sfregiaste con indegne mormorazioni l’onestà delle fanciulle, l’onor delle maritate, foste spergiuri ne’ giuochi, bestemmiatori nelle bettole, sacrileghi nelle Chiese. La vostra vecchiaia poi portò seco quanti vizi ho narrato, e v’aggiungeste la sordida avarizia, l’indegno interesse che vi fece perdere talmente di vista il Cielo, onde più neppur per ombra, pensaste né a limosine dovute, né a soddisfazione de legati pii. Ecco formato il processo ed i peccatori. Queste fono le accuse ancora, contro di voi o donne, con l’aggiunta della vostra superbia, della vostra dissoluta vanità, della vostra sfacciataggine nel farsi vedere scoperte nel seno, scoperte nelle braccia. Negate, se potete queste accuse, e ributtate come falso questo processo; bisogna a vostro marcio dispetto, che confessiate esser vero quanto s’è narrato. Padre di famiglia, madre di famiglia, v’è di peggio per voi. Sapevi che i vostri figliuoli versavano marcia di disonestà, e non vi rimediavi; sapevate che le vostre figlie si disfacevano contemplate alle finestre, sulle porte, nelle Chiese, non solo non le gridavate, anzi facevate loro animo. Che confusione sarà la vostra alla veduta d’un sì formidabile processo. Ma respirate, poiché qui termina. Qui termina, finito il processo! Mi meraviglio di voi, vi sono altri delitti. Vi sono quei peccati commessi dal vostro prossimo, ma con la vostra cooperazione. Sentitemi: in tre modi si coopera agli altrui peccati. Prima che si commettono, quando si commettono, e dopo commessi. Prima che si commettano, vi si concorre con l’esempio: padre di famiglia, madre di famiglia contro di voi contiene il processo, quei cattivi esempi che date a’ figli bestemmiando, mormorando, giuocando, spergiurando, perché tanto v’adornavi, vi specchiavi, perché discorrevi con tanta libertà con gl’uomini altrui. Padrone, quante volte siete concorso al peccato degl’altri, con istigare or questo ed or quello al male, quante volte avete mandate quelle imbasciate, quei biglietti, quei regali, avete fatto lavorare le feste, e vi siete fatto assistere per difesa nelle vostre iniquità. Sacerdote, Curato, confessore, quante volte col male esempio, siete concorsi ne’ peccati altrui, mentre vi siete fatti vedere maneggiare meglio le carte da giuocare che quelle del Divino Officio, vi siete fatti vedere ridere per le Chiese, immodesti nel coro, discorrere con libertà secolaresca con le donne, anche voi ne festini, anche voi, perdonatemi se lo dico, negli amori. Oh che processo formidabile è mai questo! E questo vuol dire concorrere al peccato prima che si commetta. Or vediamo ciò che dica il processo di quei peccati, ai quali siete concorso quando si commettono. E non è forse vero che volete complici nelle vostre iniquità? Voi chiamaste quel giovinetto, e con chiamarlo, chiamaste fuoco dal Cielo per incenerirvi; Voi seduceste quella donzella, per altro sì buona. Voi faceste mancar di fede a quella maritata. Voi poneste il ferro in mano di quel tale, perché foste complice nelle vostre vendette. Voi lo chiamaste per compagno ne vostri furti. Oh che processo formidabile è mai quello! E non vi spaventa? Spaventatevi dal riflettere, che vi sono notati anche quei peccati a’ quali siete concorso dopo che si sono commessi con approvarli, con lodarli, con esaltare le scelleraggini de’ perversi. Voi v’inorridite ad un processo sì formidabile! Ed è pur vero che non è ancor terminato, perché vi sta registrato tutto il Bene che non si fece; bene s’udì Messa, ma standovi con irriverenza, mescolandovi discorsi non solo impropri, ma talora indegni; si dissero le devozioni, si recitò la Corona, ma piene di distrazioni, ma col cuore sugli amori, negl’interessi, alle vendette; vi confessaste, ma senza dolore, ma senza proposito; vi comunicaste, ma senza preparazione, senza rendimento di grazie. O poveri peccatori, e non inorridite ad un processo sì formidabile fabbricato contro di voi? Spaventatevi; perché non è ancor finito; non solo vi sta registrato il bene che non si fece, ma il bene che si poteva fare e non si fece. Si poteva slargar la mano alle limosine, ma per far quelle commedie, quei teatri, quei festini, per trattenersi in quei giuochi, per comparir con più fasto, per non dir con più scandalo, nelle vanità del vestire, non se ne fece altro. Si poteva visitare quell’infermo, far quell’opera pia, ma per trattenersi a quel ballo, a quella veglia, a quel ridotto di mormorazioni, non si fece. V’ingannate, o peccatori, se credete chiuso il processo, dopo tante accuse, poiché vi resta il male che potevi evitare e non evitaste; potevi con l’autorità che avevi in reprimere la sfrenatezza de’ dissoluti, e non lo faceste; potevi con una riprensione far tacere quella lingua mormoratrice, con un castigo frenar quella bestemmiatrice, una limosina mandata a tempo teneva in piedi quell’onestà, un sussidio caritativo impediva quell’offesa di Dio; ma voi nulla faceste. Io per me confesso di restar sbalordito ad un processo di tal sorte, e voi peccatore, e voi peccatrice, che dite? Voi tacete; così è, perché … iniquitas oppilabit os suum: voi tacete? Voi, voi che avanti il confessore stesso gettavate in altri la colpa con dire d’essere stati violentati; voi che la gettavate fino in Dio con dire che eravate stati fatti in quel modo, che eravate nati sotto quel pianeta, che non sapevate che farvi, voi tacete? Voi che travestivate il peccato per una leggerezza, per una facezia, per un bel garbo. Voi che non solo scusavate i vostri eccessi, ma li giustificavate; voi, dici, tacete? Così è, perché …iniquitas oppilabit os suum. Sovvengavi, che quel convitato infelice, che non portò alla Mensa Reale un vestimento da nozze, allorché fu interrogato dal Re medesimo: Quomodo huc intrasti, non habens Vestem nuptialem? Come ardiste d’entrare qua, sì mal vestito? Avrebbe questi potuto dire per sua discolpa: io come povero non potevo far queste spese, e rivestirmi alla grande, poteva afferire che, indebitato, non aveva danaro con cui riscuotere gl’abiti da festa, che aveva un impegno. Io, poteva soggiungere, sono stato colto all’improvviso da’ vostri messaggeri, e la fretta, non m’ha dato tempo di procurarmi miglior arredo; poteva insomma dire: Sire, la mira che ebbi ben grande d’ubbidire prontamente agl’ordini di Vostra Maestà, la tema di non mostrar poca stima de’ vostri favori con farvi aspettare, sono stati la cagione di comparire al vostro cospetto sì male all’ordine. Tutto questo, e molto più, poteva dire l’infelice convitato, e pure non disse nulla, e perdette di subito la parola At ille obmutuit. Or se costui nulla rispose restando attonito, pure poteva addurre molte scuse … che risponderete voi peccatori, allorché subito morti sarete condotti al Tribunale Divino? Converrà con silenzio approvare il processo. Non avrete scuse che valgano. Sebbene, non essendo dovere, che in questo giudizio manchi ciò che non deve mancare mai ad ogni altro, che vale a dire, dare ai rei un avvocato, convien darglielo. Ed io appunto voglio assumermi questo ufficio. Il fatto non può negarsi, i peccati si commisero, al processo nulla può opporsi. Ecco dunque che m’accingo a difendervi o peccatori. Grande Iddio nelle di cui mani sta posta la vita, e la morte, non si nega che questi poveri peccatori non abbiano rotta la vostra santa Legge: ma se a tanto eccesso si condussero, fu o per ignoranza o per necessità, non capirono mai quanto gran male fosse contravvenire a’ vostri ordini, mai capirono che l’odio del vostro cuore, fosse così grande verso il peccato, non poterono mai comprendere, che la pena stabilita contro di loro nel vostro tribunale fosse tanto eccessiva. Ma che dico! Mentre invece di sminuire i vostri delitti, così difendendovi li accresco, invece d’allegerirveli, li aggravo, mercé che sento rispondermi: se non capirono queste verità fu tutta loro colpa; fu perché immersi nell’affetto delle crapule, delle lascivie, de’ beni caduchi di questo mondo, a guisa di brutti insensati tenevano sempre gl’occhi in terra senza mai volerli alzare alla considerazione attenta de’ beni, e de’ mali che ne scopriva loro la fede. Oculos suos statuerunt declinare in terram. Dicano, se possono, che loro non parlasse il cuore, la coscienza, l’Angelo Custode, non ce lo dicevano in privato i confessori, i predicatori in pubblico; se ciò volessero negare, le mura stesse di questa Chiesa, i confessionari, nonché i Sacerdoti, li smentirebbero, e seppur non l’udiste fu vostra colpa, perché a bella posta voleste star lontani da quella scienza di vita che sola poteva darvi salute, e perciò invece, nei giorni festivi, di frequentare le devozioni, i Sacramenti, le prediche, attendevi a spendere il tempo in bestemmie, in amori, in passatempi, in ubriachezze e disonestà. La scusa adunque dell’ignoranza, non la posso più addurre. Deplorerò per tanto la vostra disgrazia con lo Spirito Santo, dicendo: Ignorans ignorabitur. Ma perché non voglio abbandonarvi, finché posso per difendervi, dirò al vostro e mio Giudice Iddio: le colpe descritte nel processo sono vere, le confessiamo, non le neghiamo; sol diciamo che se peccammo non si poté di meno, non fu malizia di volontà, fu colpa di necessità; più volte l’oltraggiammo il vostro Santissimo Nome con replicate bestemmie, è vero: ma à ciò ci costrinse l’insolenza de’ nostri figliuoli, la consorte sì impaziente, fu l’impeto della collera, che ci suggerì ad un tratto quelle orrende parole alla lingua. Ma Signore! Come era mai possibile mantenere la famiglia senza quelle frodi nel vendere, senza quelle bugie, senza quegli spergiuri? Come si poteva praticare con gl’altri compagni senza apprendere i loro costumi, e senza lasciarsi persuadere da’ loro perversi esempi e più perversi consigli? Ah miei Uditori, ho fatto quanto ho potuto per difendervi, ma le scuse son frivole, e le difese non bastano a ricoprirvi, neppur quanto bastarono a ricoprir la Confessione de’ nostri primi Padri nella loro disubbidienza, che necessità, sento rispondermi … che violenza? che non potere? Peccarono, perché vollero peccare e peccarono mentre altri simili a loro non peccarono; peccarono, mentre io, dice Iddio, gl’offrivo il mio braccio per sostenersi; non v’è dunque scusa che vi discolpi; vi dirò con l’Apostolo: Inescusabilis es o homo, inescusabilis es.. – Peccatori, voi sentite; le vostre difese sono dalla verità buttate per terra, onde a mio credere, non vi è altro scampo per evitare la sentenza terribile, che buttarsi al patrocinio di qualche grande in Cielo. Su, ricorrere a quel servo di Dio, Giovanni di Dio. Egli può molto, perché con l’eccessiva carità verso de’ poveri si guadagnò gran posto in Paradiso; ahimè, che egli non vuole aiutarvi, perché sempre disprezzaste i poverelli, e foste verso di loro un tiranno; Francesco Saverio apostolo dell’Indie asserì di sua bocca di poter qualche cosa in Cielo: egli è amato da Dio, perché con zelo indefesso procurò la salute delle anime; ma no: non vuole patrocinarvi, perché voi del tutto dissimili a lui, andate sempre in cerca di farle perdere. O Dio! E che farete? Non vi perdete di speranza; Giovanni Gualberto è Principe del Soglio Celeste per quel perdono sì generoso dato all’inimico, allorché poteva saziare la sua spada sitibonda del di lui sangue; ma no, neppure egli vuole aiutarvi, perché voi sempre fomentaste nel vostro cuore odii, sdegni, vendette; mai voleste perdonare. Stanislao Koska giovane tutto pietoso della minima Compagnia, fu sì caro a Dio per la sua purità, che per saziare la sua fame del Pane di Vita, glielo fece porgere per mani Angeliche: ah che neppur egli vuole assistere a vostri bisogni, perché viveste sempre impuri; v’aiuterà Francesco d’Assisi, che per avere lasciato tutto il suo nel mondo, gode sì gran posto in Cielo… non già, sento rispondermi; perché per succhiare il sangue de’ poveri foste sanguisughe spietate. Non so più che suggerirvi, miei Uditori, se non vi aiuta il vostro Custode destinato alle vostre difese; appunto non è dovere, mentre sempre sprezzaste e le sue difese, ed i suoi consigli. Ecco l’ultimo rifugio: ricorrete a Maria, rifugio vostro, perché de’ peccatori. Ah che non è più tempo. Luna non dabit lumen suum; non ne vuole saper niente, troppo spesso con i peccati gli trafiggeste in seno il suo Figliuolo Gesù. Che sarà dunque di voi o peccatori? Le accuse del processo son vere, le difese non valgono, la protezione de’ Santi, né della Vergine non si possono avere. Dunque? Dunque alla sentenza, Dio ci aiuti! Ecco che sopra quel medesimo letto, che forse più volte servì all’infelice morto per trono d’incontinenza, s’alza il Tribunale Divino, e quivi a Cristo in Maestà terribile si conduce l’anima miserabile, cinta non di catene, ma di peccati, e quivi ferma ed attonita mira quella Faccia del Redentore adirata, che porta seco tale spavento, che considerata, fece dire al Crisostomo: Satius est mille fulmina sustinere, quam adverso Deo stare. Vorrei più tosto mille fulmini piombati sopra di me dal Cielo, che vedere il volto di Dio irato. Ed è pur vero, che questo è un principio de’ terrori. Assiso poi Cristo nel Trono ordina agli Angeli suoi, che si ponga sopra la testa di quell’anima infelice la corona, che si poteva competere per la ragione che aveva alla gloria; ma che? Subito gli vien tolta da’ demoni, che gli dico no: il Paradiso non è per te, giacché lo vendesti per odii, per crapule, per interessi, per vanità, per lascivie. O che terrori, o che spaventi! Ed a questi succede la sentenza, che a guisa di fulmine esce dalla bocca di Cristo, allorché rivolto all’anima gli dice: Recede a me maledicte in ignem æternum; va’ maledetto nel fuoco eterno: ed in così dire, rivolto a’ diavoli, dirà loro: ecco che Io vi consegno quest’anima, tormentatela, laceratela, sbranatela, giacché Io gl’ho scagliato in faccia col mio Sangue l’eterna dannazione. S’apre allora nella stanza del morto un invisibile foro per cui quell’anima non scende, ma precipita all’inferno tre mila miglia sotto del suo letto. Così termina l’anima infelice in quell’istesso luogo, ove lasciò il corpo estinto, condannata, dannata. Sacerdoti Ministri di Dio qual sarà la vostra sentenza in quel Tribunale Divino? Voi che parlate di laidezze, che mangiate il Pane d’Angeli peggio che non fareste quello de’ cani. Sacerdoti che assolvete chi non lo merita, dando veleno, invece d’antidoto. Donne, dame, anche voi comparirete al Tribunale di Cristo, che per trattarvi come meritate vi darà vesti di fiamme con le quali coprite la vostra immodestia, vezzi di serpi che v’adornino il collo, conciature di rospi, che v’abbiglino la testa. Cavalieri uomini, finiranno i vostri odii, le vostre superbie, a fronte di Cristo adirato. Mercadanti i guadagni di tanti traffici illeciti, di tante sacrileghe usure non valgono per placarlo; anche a voi dirà: all’inferno, all’inferno, e con voi stia in eterno chi visse e morì peccatore. Che rispondete ad una sì formidabile sentenza di vostra eterna morte? Niente! Così è; ma tutti come avverte Sant’Agostino: Ecce nihil respondere potero, sed demisso capite præ confusione coram te stabo confufus. Non risponderete con parole, ma con silenzio piomberete tra’ diavoli.

LIMOSINA
Vorrei che i miei Uditori riflettessero per ridurli a far limosina, a ciò che l’Angelo disse a Tobia: Bonum est eleemosynas magis, quam thesauros auri recondere; è meglio assai dispensare il danaro a poveri, che accumularlo; la ragione sembra un paradosso , e pure è verità infallibile. Sentite! Voi di tutto il vostro, altro non ritenete per voi, se non quello che date a’ poveri; quel che avete e non lo date non è vostro; solamente è vostro quello che date; E la ragione si è, perché tutto ciò che possedete e non lo date, un altro l’acquisterà dopo la vostra morte; ma quello che date a’ poveri, voi stessi ne sarete in terra i testatori, per efferne in Cielo gl’eredi: Quod Pauperi non dederis, dice San Pier Crisologo, habe bit alter, tu solum quod Pauperi dederis, hoc habebis.

SECONDA PARTE.

Orsù ditemi (contentatevi che lo gran predicatore moderno, a gran parte di voi noto, per le sue stampe) orsù ditemi, che vi pare di questa bella favola, che io v’ho raccontata questa mattina del futuro Giudizio? Oh Padre, voi mi rispondete, e che dite favola? Voi burlate… no; dico da senno, come favola? Ricordatevi che parlate con chi ha fronte bagnata d’acque sacrosante Noi crediamo il Divino Giudizio, è istoria Evangelica, è verità eterna. Se così è, dunque mi consolo; confesso il vero, che mi credeva che, non dico tutti, ma buona parte teneste per favola il mio racconto; come per favola lo tiene una gran parte del mondo cristiano; sì cristiano; cattolico? Si Cattolico: perché dunque voi mi replicate non si riempiono le carceri della Sacrosanta Inquisizione? Perché l’Inquisizione terrena non condanna se non quei che appaiono increduli. V’è però l’Inquisizione Celeste, che condanna ancor quelli che non appaiono increduli, ma lo sono. Se bene che sto io a slongarmi, veniamo al punto per vedere se si, o no, tenete per favola il Divino Giudizio. Non voglio parlare io in adunanza sì degna. Parli a voi il sapientissimo Vescovo Salviano: Che dite o savissimo prelato, tra miei Uditori v’è chi stimi per favola il Divino Giudizio? Ecco, che egli risponde, e per non offendervi così parla: Niuno crede di dover esser giudicato, se non procura evitar la sentenza di dannazione. Nemo est qui se judicandum a Deo certus fit, qui non præstet, ut pro bonis operibus præmia capiat. Bene bene, credete favola il Divino Giudizio? No, dunque, che fate per rendervi benevole il Giudice? Io vedo che quando pende una vostra causa in un tribunale, voi cercate avvocati, pagate procuratori, stentate, spendete lettere commendatizie, che non fate? E per avere favorevole Cristo? Nulla! Se vi chiede frequenza de Sacramenti? Nulla. Una piccola devozione? Nulla. Una limosina? Nulla. Una mortificazione? Nulla. Si lasci quell’amicizia? Nulla. Si perdoni? Nulla. Mi meraviglio di voi che così operate ed a voi dico che tenete per mera favola il Divino Giudizio. Non creditis, no, et licet velitis asseverare verbis crudelitatem vestram; torno a dirvi, non creditis; altrimenti converrà che vi dica che voi teniate il Tribunal di Cristo per tribunal di ciarle, e Cristo per un Dio di stucco, non creditis : Non me lo credete? Vel fo toccar con mano: ecco, perché non solo non procurate l’amicizia di questo Giudice, ma la nemicizia, strapazzandolo. Voi lo credete Giudice, e Giudice vostro, e lo maledite in ogni giuoco? Voi lo credete vostro Giudice, e lo bestemmiate? Voi lo credete vostro Giadice, e francamente contravvenite a ‘ suoi Comandamenti? Non creditis. Ma a vostro marcio dispetto quello non credete, toccherete con mano. Il Santo Vescovo Corrado allorché nella sua camera stava preparandosi alla predica, che nella mattina seguente doveva fare al popolo, si vide aprire su gl’occhi scena funesta: vide venire un signore d’alta maestà, che assiso in gran trono, era assistito da gran numero di personaggi, i quali tutti stavano in atto d’assistere ad un gran giudizio. Quand’ecco che per mano de’ diavoli fu condotto uno ben vestito ma con benda sul volto, e fu presentato avanti quel tribunale, con esporre che quello era uno vissuto tra l’ambizione e la crapula, onde si doveva all’inferno; ciò sentitosi dal Giudice, disse a quel misero, che si difendesse; ma egli disperato, rispose, è vero, è vero … merito l’inferno. Se così è, dunque, portatelo, disse Cristo, alle fiamme eterne; tanto bastò, perché quei diavoli seppellissero subito nel fuoco quell’anima infelice. Stava, come potete credere tutto attonito, e fuori di se il santo Vescovo, a questa orribile visione, quando alzatosi Cristo Giudice in piedi, se ne partì, e dietro ad esso seguirono tutti quei Santi Assessori, i quali nel passare avanti a Corrado, gli dicevano: Reliquum est, dum tempus habemus, operemur bonum; Non resta altro o Corrado, dicevano quei Santi, se non che mentre v’è tempo, far del bene. Non vi è altro miei Uditori. A questo Tribunale s’ha da venire, non v’è altro, salvo che vivere bene, purgar l’anima dalle colpe ed inserirvi delle opere buone.