QUARE ERGO RUBRUM EST INDUMENTUM TUUM, ET VESTIMENTA TUA SICUT CALCANTIUM IN TORCULARI? … ET ASPERSUS EST SANGUIS EORUM SUPER VESTIMENTA MEA, ET OMNIA VESTIMENTA MEA INQUINAVI . – Gestito dall'Associazione Cristo Re Rex Regum"Questo blog è un'iniziativa privata di un’associazione di Cattolici laici: per il momento purtroppo non è stato possibile reperire un esperto teologo cattolico che conosca bene l'italiano, in grado di fare da censore per questo blog. Secondo il credo e la comprensione del redattore, tutti gli articoli e gli scritti sono conformi all'insegnamento della Chiesa Cattolica, ma se tu (membro della Chiesa Cattolica) dovessi trovare un errore, ti prego di segnalarlo tramite il contatto (cristore.rexregum@libero.it – exsurgat.deus@libero.it), onde verificare l’errore presunto. Dopo aver verificato l’errore supposto e riconosciuto come tale, esso verrà eliminato o corretto. Nota: i membri della setta apostata del Novus Ordo o gli scismatici ed eretici sedevacantisti o fallibilisti, o i "cani sciolti" autoreferenti falsi profeti,non hanno alcun diritto nè titolo per giudicare i contenuti di questo blog. "
(G. Riva: Manuale di Filotea – XXX ed. Milano, 1988)
Questa festa in cui si commemora la incarnazione del Verbo nel seno verginal di Maria, fu celebrata fino dai tempi apostolici, ond’è che si hanno su di essa due Omelie di San Gregorio il Taumaturgo, il quale nell’anno 246 fu fatto Vescovo di Neocesarea.
1. Immacolata Maria, che specialmente per la vostra umiltà e verginità meritaste di essere, a preferenza di tutte le donne più famose, eletta a Madre del vostro Creatore, ottenete a noi tutti la grazia di sempre amare, e di sempre praticare come Voi queste due sì belle virtù, onde meritarci a Vostra somiglianza, l’aggradimento del nostro Signore. Ave.
II. Immacolata Maria, che vi turbaste nel sentire celebrate da un Angelo le vostre lodi, ottenete a noi tutti la grazia di avere anche noi, a somiglianza di Voi, un sentimento così basso di noi medesimi, che, disprezzando le lodi della terra, attendiamo solo a meritarci l’approvazione del Cielo. Ave.
III. Immacolata Maria, che preferiste il pregio di Vergine alla gloria di Madre di Dio, quando questa non si fosse potuto conciliare coi vostri angelici proponimenti, ottenete a noi tutti la grazia di essere, a costo di qualunque sacrifizio, sempre fedeli nell’osservanza della Legge santa di Dio e delle nostre buone risoluzioni. Ave.
IV. Immacolata Maria, che con umiltà non più udita, Vi chiamaste ancella di Dio quando l’Arcangelo Gabriele vi preconizzava per di Lui Madre, ottenete a noi tutti la grazia che non c’insuperbiamo giammai per qualunque dono più singolare ci venga fatto da Dio, ma che anzi ci serviamo di tutto per più avanzarci nella via della virtù, ed unirci più strettamente al vero Fonte di felicità. Ave.
V. Immacolata Maria, che per la salute degli uomini non ricusaste l’incarico di divenir Madre del Redentore, quantunque conosceste con chiarezza il dolorosissimo sacrifizio che ne avreste dovuto fare un giorno sopra la croce, quindi la passione amarissima che avreste dovuto Voi medesima sostenere con Lui, ottenete a noi tutti la grazia che non ci rifiutiamo giammai a qualunque sacrificio che da noi richieda il Signore per la gloria del suo Nome, e la salute dei nostri fratelli. Ave.
VI. Immacolata Maria, che col fiat da Voi proferito nell’accettare l’incarico di divenir Madre del Verbo, rallegraste il cielo, consolaste la terra, e spaventaste l’inferno, ottenete a noi tutti la grazia d’aver sempre una gran confidenza nel vostro santo patrocinio, affinché per Voi veniamo noi pure a godere il frutto di quella Redenzione così copiosa di cui foste, o gran Vergine, la sospirata cooperatrice. Ave.
VII. Immacolata Maria, che con un miracolo tutto nuovo diveniste Madre del Verbo, senza macchiare menomamente la Vostra illibatissima purità, ottenete a noi tutti la grazia di essere sempre così riservati e modesti negli sguardi, nelle parole e nel tratto, che non veniamo mai a macchiare la castità conveniente al nostro stato. Ave.
VIII. Immacolata Maria, che contraeste una relazione così intima con tutta la SS. Trinità da diventar nel tempo stesso Figlia del Divin Padre, Madre del Divin Figlio, e Sposa dello Spirito Santo, ottenete a noi tutti la grazia di tener sempre l’anima nostra così monda, che meritiamo di essere con verità il tempio vivo del Padre che ci ha creati, del Figliuolo che ci ha redenti, e dello Spirito Santo che ci ha santificati. Ave.
IX. Immacolata Maria, che aveste la gloria singolarissima di portare nel Vostro verginal seno Colui che i cieli e la terra non sono capaci di contenere, ottenete a noi tutti la grazia di esercitarci continuamente, a somiglianza di Voi, nell’umiltà, nella penitenza, nella carità e nell’orazione, onde ricevere degnamente e con frutto lo stesso vostro divin Figliuolo, quando sotto le specie sacramentali si degna di venire dentro di noi; e fate ancora che siamo graziati di questa visita al punto della nostra morte, onde potere svelatamente contemplarlo, amarlo e possederlo con Voi in compagnia degli Angeli e dei Santi in Paradiso. Ave, Gloria.
DI FULVIO FONTANA Sacerdote e Missionario DELLA COMPAGNIA DI GESÙ
IN VENEZIA, MDCCXI (1711)
PREDICA VENTESIMA Nella Feria quinta della Domenica terza.
Il peccato mortale, traditore in Cielo, traditore in terra, traditore sotterra.
Socrus autem Simonis tenebatur magnis febribus. San Luca cap. 25
Ecco che questa mattina voglio scoprirvi a vostro gran vantaggio chi sia quello che vi tenga oppressi da febbri maligne, da febbri pestilenziali. Guardate gli tolgo la maschera d’in sul volto, eccolo: egli è il peccato mortale. Olà, uditemi; poche parole: Non è il peccato mortale qual molti se lo figurano un fiore con cui deliziarsi, ma una febbre pestifera che uccide. Apprendetelo, per sempre evitarlo, per quello che è ed è appunto qual io ve lo farò vedere traditore in Cielo, traditore in terra, traditore sotterra .. – O vive senza fede, o campa senza cervello chi non riconosce il peccato mortale per il maggior traditore del mondo. Al Cielo, al Cielo, per vederne i primi tradimenti. E voi portinai celesti contentatevi d’aprirci un sol piccolo cancello, per cui miriamo non la Gloria che vi fa beati; non siamo degni, che neppur uno de’ vostri splendori scintilli sulle nostre fronti; non pretendiamo con una tal veduta restar colmi di gloria, ma di spavento. Su, dunque, affacciatevi, il cancello celeste è spalancato; vedete voi colà quelle immense sedie d’oro tempestate tutte di zaffiri e diamanti? Queste furono preparate per gli Angeli, ed in quella sì risplendente a mano dritta doveva star lucifero, ed in quella a questi più prossima, Belzebud; ed ora quegli Spiriti celesti, che cavati dal seno del niente, furono collocati nel Cielo Empireo, dotati di sommo ingegno, di somma bellezza, immortali, capaci di vedere Dio, ora dico, stanno sopra sedie di fuoco giù nell’inferno. E d’onde mai, voi mi direte, mutazione sì strana? Non per altro, io vi rispondo, gemono, e gemeranno nell’inferno creature sì nobili, se non perché si collegarono col peccato mortale, s’opposero superbi al mistero loro proposto dell’Incarnazione, e ricusarono d’adorare il Figlio d’una Vergine. Voi ben sapete esser proprio di quei traditori che vogliono fare strani tradimenti, insinuarsi per via d’amicizia. Così appunto fece la scaltrita Semiramide, la quale domandò in grazia e con finta di scherzo amoroso a Nino suo marito, di concederle che lei un giorno solo sedesse nel trono come regina, e padrona assoluta. Si contentò l’incauto re. Si diede l’ordine d’obbedienza alle guardie. Ed ecco che la regina con apparenza d’affettuoso giuoco fece toglier di capo al marito il diadema, di poi la spada dal fianco, poscia il manto reale d’indosso, e finalmente ordinò che spietatamente gli si troncasse la testa. Cosi fa con voi il peccato mortale, s’insinua come se voglia scherzare, ma vuole uccidere. Così appunto fece con gli Angeli, se gli mostrò l’amico più caro che potessero avere, mentre gli disse che ribellandosi a Dio, sarebbero stati simili a Lui, similis ero Altissimo, e poi tradendoli, gli fece tutti piombar negli abissi. Ora io dico, se il peccato mortale, accolto una sola volta in un solo pensiero nel seno di quegli Spiriti che stavano per stabilirsi Principi del Soglio eterno, sì enormemente li tradì; come non tradirà voi, che l’ammettete nel cuore con pensieri, con parole, e con opere? Ah peccato, maledetto peccato ed è pur vero, quantunque ognuno ti conosca per traditore, non tutti però come tale ti sfuggono. E se fu traditore nel Paradiso Celeste, non lasciò d’esserlo ancor nel terrestre. Date d’occhio a quel bel recinto di mura sì ben disposto; quelle colonne di marmo finissimo che sostengono la gran machina, quei simulacri d’alabastro formati così al vivo, son lavoro di Dio. Questo è il Paradiso terrestre, miratelo pure al di fuori, perché l’entrarvi non è possibile. Sta sull’atrio un Cherubino del Cielo, il quale con una fiamma di fuoco nella destra, minaccia incendio a chi ardisce sol d’accostarsi. Non ha però questo Cherubino Celeste potuto tener lontano il peccato mortale; egli v’è entrato da traditore, poiché sotto specie d’amicizia si è insinuato con Adamo, ed Eva con le finte parole: Eritis sicut Dii … Voi sarete come Dei, se trascurando il precetto divino, gusterete del pomo vietato. Volete altro? Li ha traditi, ed oltre ad averli scacciati da un delizioso possesso, ha partorito a noi posteri quel gran fascio di mali che assedia la nostra vita: povertà, malattie, ignoranze, nemicizie, carestie, pestilenze, tempeste, liti, guerre e stragi. – Ora io replico, se il peccato mortale tradì Adamo, che pur era sì savio, per la trasgressione d’un sol precetto, come non tradirà voi tanto trascurati e che trasgredite e conculcate, quasi dissi, ogni precetto, senza rispetto né alla Chiesa né a Dio? Ah peccato, maledetto peccato, conviene esclamare, quantunque conosciuto per traditore, ad ogni modo vi è chi t’ama, t’accarezza. Sovvengavi che il mondo fece già lega ed amicizia col peccato, e fu allorquando … omnis caro corruperat viam suam, onde non fu meraviglia che soggiacesse a tradimenti. Fabbrica pure, poteva dire a Noè, l’arca; devi però sapere che le tue fatiche serviranno più per animali che per uomini, giacché il peccato della disonestà ha chiamate al tradimento le acque. Ecco che si aprirono le cataratte del Cielo, si ruppe ogni argine a’ fiumi, ogni lido al mare, il mondo si sommerse, e naufragarono alla rinfusa uomini e donne, nobili e plebei, poveri e ricchi, e tutti vi restarono miseramente sepolti. Salite pure, poteva dire, nella parte più alta delle case, portatevi sulla cima dell’Alpi; più fabbricate, se avete tempo, torri che superino d’altezza i monti più sublimi dell’Armenia, tanto le acque vi giungeranno; avete fatto lega col peccato, il peccato v’ha tradito, tanto basta, perché restiate sommersi. Immaginatevi pure tutto il mondo sepolto sotto le acque del diluvio e poi col vostro pensiero formate un monte di tutte le ossa di questo mondo sepolto sotto le acque del diluvio alzando gli occhi, attoniti sopra le alte rovine, esclamate, l’iniquo traditore che ha fatto macello di tanti uomini è stato il peccato mortale, e pur vi è al mondo chi l’accarezza. – Così è, l’accarezza quel giovane che non fa altro che sfogare gli appetiti, e contentare il senso; l’accarezza quel coniugato che, scordato della fede giurata alla consorte, alla Chiesa, a Dio, contamina l’altrui letto; l’accarezza quella femmina vana che sbracciata, scollata e spettorata si fa vedere per le strade, per le piazze, e nelle Chiese con tal portamento di vita, che par cerchi far copia di sé; l’accarezza quell’ecclesiastico che non si vergogna lordare un abito sì sacrosanto con le sozzure, di strapazzare la M D. ne’ pubblici ridotti, tra giuochi, tra balli, tra le crapule; non è così? Così non fosse! Dunque, rientrate in voi stessi, e perché più sollecitamente dobbiate farlo, ve lo pongo sotto gli occhi in altri tradimenti. – Vedete colà quella statua di sale; sappiate che qui furono cinque Città nobili, popolate ed amene, ed è pur vero che ora neppur v’apparisce vestigio, anzi il fetore che esala quel terreno ricoperto da un lago bituminoso, non può tollerarsi. Anche queste città, ed è pur vero, si lasciarono tradire dal peccato mortale, il quale sorto specie d’amicizia gli promise ogni piacer di senso, e poi gli diede un diluvio di fuoco. Avreste veduto scendere dalla sua sfera quell’elemento ed a guisa di spaventosa pioggia, piombar sopra delle case, non accadeva, che i miseri fuggissero all’aperto, perché ivi giungeva il fuoco, se si ritiravano ne’ gabinetti, vi penetrava; se rintanavansi nelle cantine, anche colaggiù correva il fuoco portatovi per mano del peccato. Quel che a me spiace, è che a queste fiamme delle città incenerite per tradimento del peccato, molti e molti si riscaldano senza temer d’essere bruciati, come se fosse fuoco di paglia. E quali strumenti non ha mai adoprato il peccato per tradire il peccatore? Non fu contento di prender l’acque dalle nuvole nel diluvio, il fuoco dal cielo, che anche il mare volle ministro de’ suoi tradimenti. Giungete meco col pensiero fino al Mar Rosso, e quivi vedrete un orribile tradimento in persona di Faraone, perché fece lega col peccato, perseguitando il Popolo eletto: vide Faraone una strada in mezzo all’acque, per cui passava il popolo di Dio, si crede anch’egli poter passare con egual felicità, ma il peccato traditore … Equum , et Ascensorem dejecit in Mare, sommerse Faraone con tutto l’esercito, giacché quella strada sicura agl’Israeliti tornò a rimaner coperta dall’onde, sicché vedeanli divorare dall’acque soldati, armi e cavalli, e galleggiar piume, e bandiere di quella barbara gente. Peccato, intendetela, tradì Faraone ostinato; tradirà voi peccatori ostinati, voi, che volete morto l’inimico, non vi succederà, il peccato tradirà voi, e resterete sommersi nel Mar Rosso del vostro sangue. Voi siete ostinati come Faraone, non volete palesar quel peccato, potreste risanare passando per il Mar Rosso del Sangue di Gesù nella Confessione. Bene, non volete, resterete sommersi in un mare di fuoco. Quando voi non foste abbastanza persuasi da questi sì enormi tradimenti per fuggire il peccato, voglio mostrarvene de’ maggiori. Uscite dal nostro mondo, e dopo averlo conosciuto traditore in Cielo ed in terra, osservatelo traditore spietato sotterra. Quivi in quei cupi abissi lo conoscerete per tale in quelle profonde caverne che furono stanze d’esilio doloroso ai Santi Patriarchi ed a tanti giusti che non ebbero ingresso al Cielo, finché Cristo non l’apri loro col suo Sangue preziosissimo. Che sono abitazione di tanti morti senza Battesimo e d’innumerabili anime purganti. Sebbene, a che trattenermi in queste carceri, per conoscere come spietato carnefice il Peccato mortale? Basta che diate d’occhio a quella carcere la più orribile, la più spaventosa, la più spietata, che possa mai immaginarsi: Aprite, dunque, quella voragine profondissima, mirate che caligini, che fuoco, che fetore di cloaca pestifera, udite che strida di disperati. Vedete là tante anime immerse in stagni di fuoco e zolfo, che si dibattono rabbiosamente, che disperatamente bestemmiano; immaginatevi che sono di quelli, i quali simili a qualcheduno di voi, fecero lega ed amicizia col peccato mortale, ed il peccato li tradì da carnefice spietato, contentarono anch’essi, come voi, gli appetiti della carne con piaceri infami, sfogarono i rancori del cuore con crudi risentimenti, Fornicatoribus et Omicidis pars eorum in stagno ardentis ignis, sulfuris. Osservate quelle che stanno con la bocca arsa, con la lingua nera, con gli occhi spaventati e che fan forza per rompere quelle catene di fuoco, con le quali sono strettamente legate. Sapete chi furono? furono certe anime timide, che non si vergognarono di commettere il peccato, ma bensì di confessarlo, e furono sì sfacciate, che ardirono di comunicarsi in peccato mortale ed ora il peccato che le tradì si porta con esso loro da vero carnefice. Volgete lo sguardo a quelle truppe d’anime, che sono colà legate insieme e che sono circondate da tanti neri demoni, i quali soffiano in quei carboni, perché più penetranti facciano sentire i loro ardori … colligata est iniquitas in fascicules ad comburendum. Quei sono tutti Cristiani che di quando in quando ancor’essi andavano alla predica e tornando a casa, qualche volta dicevano: veramente il predicatore ha ragione, ma frattanto seguivano a tenersela con il peccato mortale che ora da lui sono stati traditi. – O Dio! E perché mi stanco nel narrarvi i passati tradimenti, o nel riflettere a’ futuri, mentre ogni peccatore lo può riconoscere traditore di se medesimo? E non è forse stato il peccato, che vi ha tradito nella reputazione, nella roba, nella sanità, nella vita? Certo che sì, crediatelo Tertulliano, il quale asserisce, che il peccare è appunto fondare un censo, nel quale, oltre al capitale della pena eterna, a cui soggiace il peccatore rimane anche sottoposto agl’annuali frutti, a’ quali và soddisfacendo con le calamità e perdite temporali; sopra di che scrisse a meraviglia. Idelberto attende miserias hominum intuere cineres, vectigalia peccati sunt; e che altro sono le perdite della riputazione, della fama, se non che peccati census, et vectigalia, interessi e frutti che da noi esige il peccato traditore. Non voglio che crediate a Tertulliano, ma a voi o peccatori. Se io domandassi a quella fanciulla: perché tanto amaramente piangete? … o Padre che volete dire? Ben v’intendo voi siete pianta giovine, ed il frutto è già maturo; Padre sì, non ho faccia da comparire; ma sorella, vi risponderò: quando vi fu detto, non trattate così alla domestica con quel vostro padrone, non andate in quella casa, non scherzate con quel servitore, non amoreggiate con chi non è vostro pari … se voi aveste obbedito, non sareste in questi cimenti; avete voluto accarezzare il peccato, ed egli v’ha tradito. – Il Peccato tradisce anche nella riputazione e non vuole intendere, così l’avesse inteso quella donna, la quale, perché volle anticipar le nozze, scoperta prima da’ domestici e svergognata nel pubblico, fu costretta a pianger prima vedova, che maritata. Così l’avesse inteso quella maritata, che mancando di fede al marito, a Dio, mancò di credito nella Patria. Così l’avesse inteso quell’avaro, che credendo di poter sempre celare i suoi traffici illeciti, le sue usure, finalmente scoperto, ne riportò l’infamia dovuta. Quell’uomo peraltro savio ed accreditato, ha perduta da reputazione, perché non sa staccarsi da quella rea femmina. Così pure quel Sacerdote, quel religioso, perché non si ritirano da quella casa, in cui si manca di fede a Dio, contaminando la castità promessa. Né solo è traditore, perché toglie la riputazione, ma perché invola anche la roba, quando pertanto le liti vi tolgono le ricchezze, i tribunali vi levano i danari, quando la vostra casa vi par divenuta casa di miserie, non date la colpa a’ vicini perché v’odiano, ai parenti perché v’invidiano, non mi state a dar la colpa alla fortuna che questa mai non fu né mai farà che nel cervello de’ pazzi: dite pure, ed allora direte la verità: la vera cagione della sterilità ne’ miei campi, della mortalità ne’ miei armenti, dello scapito ne’ miei traffici, della perdita delle liti, di tutte le mie disavventure, non è altro che quel traditore del peccato mortale, miseros facit populos peccatum; dite pure, le mie ingiustizie, le mie usure, quelle bestemmie, tante mormorazioni, tanti odii che ho covato in cuore, questi sì, questi sono i traditori della mia casa, della mia famiglia, della mia persona. Ed è pur vero che, quantunque questo maledetto peccato sia a suon di tromba dal lume della ragione dichiarato per un acquedotto avvelenato, e per una sorgente di tutti i mali, tuttavia sempre si trova chi va alle sue sponde, chi assedia le sue rive e beve come nettare il velenoso fondaccio de’ suoi stomachevoli umori. – Racconta Niceforo, che Foca imperatore vedendosi altamente odiato da’ suoi, e dubitando di tradimenti, per assicurarsi la vita, fece ridurre il suo palazzo a modo di Cittadella inespugnabile ad ogni assalto, ma mentre s’alzavano le mura, nel più buio della notte dalla parte del mare s’udì una voce spaventosa che gridò: ferma, ferma imperatore! Che pretendi? Alza pur le mura fino al cielo che tanto saranno basse se non ne scacci il peccato. Si vel ad cœlum muros educas, intus cum sit malum, urbs captu facilis est. Così per appunto seguì, già che nello stesso giorno che fu compita la fabbrica, l’imperatore fu tradito … urbs captu facilis est ed io dirò: Domus vestra captu facilis est. Vi sono nemicizie nella vostra casa, vi sono trame di vendette, dunque io la vedo in rovina … Domus vestra captu facilis est. Se nella vostra famiglia vi sono disonestà, mormorazioni, bestemmie, la vostra casa sta per cadere; se siete profanatori delle Chiese, disturbatori della pace, la vostra casa non può durare, vi è dentro chi presto la tradirà. – Vedete là 8nel vostro paese quell’uomo? egli era comodo, ora è miserabile, perché? Perché il peccato l’ha tradito; prese una nemicizia, e v’ha logorato tutto il suo; ebbe poi una amicizia, e gli ha succhiato quanto avea; si diede al giuoco, alle crapule, e si rovinò; e pure voi altri stolti, benché abbiate sugli occhi questi esempi, tanto volete l’amicizia di questo traditore. Ah, peccato maledetto, com’è possibile che ognun non ti fugga, mentre sì bruttamente tradisci ancor nella sanità? Volete vedere se sia vero che tradisca anche nella sanità? Mirate quei giovani senza colore in viso, senza fiato sulle labbra, senza forze nella vita, pieni di quel male, che dicono venir di là da’ monti, il peccato li ha traditi. Venite col vostro pensiero agli ospedali per vedere i tradimenti del peccato. Osservate quel ferito, or sappiate ch’egli andò per dare, e ricevette: il peccato dell’odio l’ha posto in letto; mirate là quell’altro con la testa spaccata, ne fu causa il peccato dell’amore indegno, un suo rivale lo percosse; su, passate ora alle carceri, e dite: chi vi tiene miseri quelle catene al piede, chi quei ceppi? Il peccato del furto! Chi vi stende sugli eculei? Le false testimonianze, le accuse a torto. Dove va colui, condotto con tanta comitiva? Al patibolo, alla forca, chi ve lo conduce? La Giustizia, ma il tradimento l’ha avuto dal peccato; dite pure: Ah peccato, maledetto peccato, vero traditore, mentre non sazio di tradire nella reputazione, nella roba, nella sanità, tradisci ancor nella vita, e dopo aver lasciato il corpo estinto sopra la terra, seppellisci l’anima nell’inferno. Volete vedere che sia vero? Udite: s’amavano con indegno amore in una città della Sicilia un indegno giovane ed una sfacciata donzella; quando un dì si abbatté a passare dalla casa dell’amica il giovane, e fu appunto quello in cui a causa di purga s’era cavato sangue, invitato dunque dalla rea compagna a salire le scale, le salì l’infelice, ma per traboccare da più alto nell’inferno. Si cenò allegramente, ed allegramente pieni di vino e di disonestà, si diedero in preda al sonno, che questa volta non fu immagine di morte, ma vera morte: dormiva il giovine quando, scioltasi la fascia del salasso, s’allargò di nuovo la ferita, ed apertasi la vena, il sangue agitato e commosso da’ passati disordini, uscì in sì gran copia, che l’infelice morì prima di risvegliarsi; destatasi frattanto la rea femmina, trovando il letto allagato di sangue, tenta destar l’amante, che già vegliava tra’ tormenti d’inferno; indi, acceso il lume, mirò e vide con orrore il funesto tradimento del suo peccato; pianse, e con egual dolore deplorava la morte dell’amante ed il pericolo della propria vita, se dalla Corte se gli si fosse trovato in casa il cadavere; onde consigliatasi con la madre, anch’ella vituperosamente intrigata in questa tresca diabolica, deliberarono di strascinarlo ambedue avanti della porta d’una vicina Chiesa; seguì tutto prosperamente, ed apertasi sul far del dì la Chiesa, fu collocato quel morto nella bara a vista d’ogn’uno. Era riuscito alla madre ed alla figlia celar con felicità la loro ignominia, cavandosi di casa il cadavere, ma non era soddisfatta la Divina Giustizia, che voleva vittima della propria disonestà anche la femmina. Impazzita dunque questa e d’amore e di dolore, non sapea trovar luogo, non poteva raffrenare né pianti né sospiri; sicché la madre pensando di poterla alquanto quietare, con condurla, come una del vicinato alla Chiesa, per vedere lo spettacolo, la condusse, ma con esito assai più funesto, poiché la giovane a vista dell’amante steso su quella bara, diede in sì alta disperazione, che tratto prestamente un coltello di tasca, e gridando in pubblica Chiesa: io son quella che ho dato morte a costui; son io, son io, io merito di morire; ed accompagnando a queste voci il colpo che si vibrò nel cuore, si diede la morte, volando ad abitar nell’inferno con chi visse nel mondo lasciva. Intendetela, così tradì quest’indegni il peccato; così tradirà voi, se non mutate vita, lasciando il vostro corpo ai vituperi del mondo, e l’anima al fuoco eterno.
LIMOSINA I campi innaffiati dall’Indo sono sì fertili, che in un anno medesimo danno due raccolte ed i pascoli de’ prati vicini al Nilo sono sì ubertosi, che gl’armenti ivi partoriscono due volte. Per noi, RR. AA., fecondissime terre sono le mani de’ poveri, nelle quali ci consiglia sì spesso la Divina Scrittura a seminare le nostre sostanze, assicurandoci del centuplo in questa vita, e della salute eterna: Promissionem vitæ, quæ nunc est, futuræ.
SECONDA PARTE
Il Profeta Reale, voglio per ultimo vi confermi di propria bocca se veramente sia traditore il peccato; voi ben sapete, che quando si sollevò nel popolo quell’orribile pestilenza, che in poche ore fece uno scempio di sessanta mila persone, se se ne fosse domandata la cagione agli astrologi, avrebbero subito ritrovato nel cielo qualche capo di medusa ed addottolo per autore di tante stragi; ed i naturali avrebbero risposto, che un alito contagioso, uscito all’improvviso da qualche apertura insolita della terra, avesse con tanto danno infettato quel popolo; e tra’ politici non farebbe mancato chi avesse dubitato di peste fatta a mano con polveri e porcheria, sparse a bello studio da’ popoli confinanti, loro nemici, per rovinar quel Reame allora si florido d’Israele. David però senza tanti discorsi ed interpretazioni ne assegna la vera cagione, attribuendo scempio sì grande al suo peccato. Questo riconobbe per stella maligna, per alito pestilente, per nemico persecutore: Ego, ego sum qui peccavi, ego qui malum feci. Egli è purtroppo vero, il peccato è la vera cagione di tutti i mali; il peccato si è quel ribaldo in Cielo, quel traditore in terra, nel mondo, quel Carnefice spietato sotto terra. Egli è quello che toglie reputazione, roba, sanità e vita. Voi, lo so, v’opponete al mio discorso, e dite: Padre, io non so tante cose, io ho il peccato in me, lo sopporto nei figli e talor lo voglio nella moglie, o almeno chiudo gli occhi, e non vedo che questo peccato mi tradisca, anzi la mia casa è in buona stima, sto bene di facoltà, di sanità e se ho da dire il vero, il peccato me le accresce, perché tengo corte le misure, e scarsi i pesi; ho fatto instrumenti falsi, ho gabbato vedove, ho ingannato pupilli, e pur le cose vanno di bene in meglio; ho anche qualche omicidio sulle spalle, non mantengo la fede alla consorte e non vedo questi tradimenti. Non v’ha dunque tradito il peccato mortale? No? Dunque non vi tradirà? O questo non lo potete dire. È ben vero che sommamente mi condolgo con voi, giacché non siete stati traditi dal peccato finora, con cui avete fatto lega, perché vuol dire, che per voi macchina un tradimento molto maggiore, vi vuol tradir di là con pena eterna. Datemi mente. È vero che la pena è l’ombra della colpa, in questo però non imita la natura dell’ombra, perché d’ordinario ella va distante dal corpo che la produce. Che voglio dire, per parlar più chiaro, che Dio non paga né in contanti, né ogni sabato, ma scrive al libro i peccati l’un sopra l’altro e quando sono arrivati ad un certo segno, allora vibra fulmini per incenerire e roba e case e persone. Voi che avete fatto lega col peccato mortale, perché non vi vedete castigati subito, vi date ad intendere che Dio dorma, e perché lo vedete tardare, stimate che non sia più per venire; v’ingannate, verrà, e verrà di certo, e se tarda, sarà più risentita la sua venuta. L’arciere, quanto più tien teso l’arco, tanto più scocca risoluta la sua saetta: Dio vi liberi, che Dio non vi castighi, che il peccato non vi tradisca in questo mondo, perché potreste stimar certa la dannazione. O di qua, o di là bisogna infallibilmente pagarla. Orsù dunque, si lasci l’amicizia di questo peccato mortale che, se alletta, domani vi tradisce. Sentite questo caso. Dormiva una smisurata serpe in una selva, stesa per lungo in terra quando abbattutosi un infelice viandante a passarvi vicino, la crede un albero di quel bosco buttato a terra, e vi sipose su a sedere per riposarsi: ma ché, la serpe premuta, si risentì, ed accesa di sdegno, cinse con la lunga sua corporatura l’infelice passeggero, e tiratolo nella sua tana, a membro a membro, lo divorò. Voi tutto dì volete porre i vostri riposi, le vostre consolazioni, i vostri sollievi nel peccato mortale. Volete amicizia con lui, orsù non dubitate, sarete traditi, praticherà con voi le sue benevolenze, i suoi amori ed i suoi abbracciamenti saranno indirizzati a condurvi in una caverna, dove in eterno abbiate da penare tra gl’incendi. Pensate, e risolvete se vi torna conto d’avere quest’amicizia col peccato mortale, che fu ribaldo in Cielo, traditore nel mondo e carnefice spietato sotto terra.