QUARESIMALE (XIX)

QUARESIMALE (XIX)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile, 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)

PREDICA DECIMANONA
Nella Feria quarta della Domenica terza.


Gli spasimi del peccatore moribondo; per il mondo che lascia; per la severità del Giudizio che gli sovrasta; per l’eternità delle pene che aspetta.


Morte moriatur. San Matteo cap. 15

Preparatevi pure, o peccatori, a provare i giusti sdegni dell’ira divina. Si protesta Cristo in San Matteo con quelle parole … morte moriatur, che non solo vi vuole morti, ma morti di morte; che vale a dire di quella morte già preveduta dal Profeta Reale allorché disse: mors peccatorum pessima: sarete dunque percossi da Dio, se non vi emendate, da questo fulmine di pessima morte. Santi, che foste interpreti delle Sacre Carte, diteci in che consisterà questa pessima morte de’ peccatori. Ecco che dall’Eremo di Chiaravalle mi risponde San Bernardo, dicendomi: sarà pessima, in amissione Mundi, in severitate judicii, in horrore inferni, che vale a dire, sarà pessima la morte de’ peccatori per la perdita che sanno del mondo, allorché muoiono; per la severità del Giudizio che incontrano dopo morte; per la sentenza, che li condanna alle pene eterne dell’inferno. Cominciamo dal primo. Come non volete che sia pessima la morte del peccatore, mentre dovendo morire, non solo deve lasciare, ma deve rubarsi tutto dalla morte, che nell’Ecclesiastico vien chiamata: dies finitionis; perché la morte non è altro che un finire del mondo per chi muore. Se la morte, dunque, è un finire del mondo per chi vive, datemi attenzione, e poi rispondetemi mentre io con voi così discorro. Se voi sapeste di certo che tra cinque o sei anni dovessero rovinare tutte queste case, sprofondare tutte queste campagne, il mondo tutto ridursi in cenere, ditemi, che conto dovreste voi fare della vostra roba, de’ vostri passatempi, delle vostre amicizie? credete voi che tanto facilmente offendereste Dio, per condiscendere ad un amico, per soddisfare ad un piacere, ad un capriccio? Certo che no, mentre sapeste che in breve tempo tutto il mondo dovesse ritornare al suo niente. Or io vi dico: e non è forse tuttuno, o che il mondo finisca e voi restiate; o che resti il mondo, e voi finiate di vivere? Non ve ne ha dubbio: morto che sarete voi, il mondo è finito per voi, e pure vi state attaccati come se mai dovesse finire; e pur talora manca nel più bello. – La sanguisuga, allorché dal cerusico vien attaccata ad una vena, vi si attacca con una avidità grandissima. Qui vi succhia, gode, si gonfia, e si satolla di quel sangue che tanto avidamente brama. E si crede d’aver sempre a seguitare in quel contento; ma che? Nel più bello viene il cerusico, la stacca dalla vena, la pone in un tondo, la taglia per il mezzo, e gli fa rendere tutto quel sangue, che ha bevuto, e col sangue gli toglie la vita. Questo stesso interviene a’ peccatori. Si crede colui di aver sempre il sangue de’ poverelli con defatigarli nelle liti, con succhiar loro il sangue: si crede doversi sempre ingrassare con la roba altrui, con portare a’ mercanti la roba cattiva e venderla per buona; gli armenti, i bestiami infetti ed esitarli per sani; con promettere a chi lavora il danaro, e poi volergli dar la roba, di più della peggiore, ed a gran prezzo; ma che ne segue nel più bello de’ suoi acquisti sì ingiusti? Viene la morte, lo taglia per il mezzo  e lo fa vomitare quanto ha radunato in questo mondo, senza lasciargli più che uno straccio da rinvoltare il suo cadavere: Divitias quas devoraverit, evomet. Così pur quel superbo si crede d’aver sempre a sopraffare i minori, a vendicarsi d’ogni piccolo oltraggio, anche con vendette trasversali, ed ecco nel meglio de’ suoi disegni, delle sue vendette, viene la morte; lo taglia per il mezzo; e buttandolo in una sepoltura, lo fa pascolo de’ vermi, e si verifica quello d’Abdia al quarto: Si inter sydera posueris nidum tuum, inde detrabam te. Si credevano di dover sempre tendere insidie, ora all’onestà di quella donzella, ora all’onore di quella maritata, al decoro di quella vedova, senza perdonarla neppure al proprio sangue: ed ecco che nel più bello vien la morte, tagliandoli per il mezzo gli strappa a forza da tutte le più care conversazioni. Non occorre altro: la morte si chiama: dies finitionis, presto ha da finire tutto il mondo per te, e de’ tuoi piaceri non ti ha da rimaner altro che il travaglio di averli goduti. Ed ecco la morte pessima in ammissione mundi. –  Tutto è vero: sento chi mi replica… ho da morire, ha da finir tutto; ma intanto io mi scapriccio, vivo a mio modo, e godo. Oh stolto, che sei! Mentre così discorri, tu godi mentre vivi in peccato? Il tuo godere è come i frutti di Sodoma, belli al di fuori, ma cenere dentro. Tu ridi, tu burli, tu scherzi, l’apparenza è bella, ma se ti miro il cuore, non trovo che il mondo ne’ suoi diletti t’abbia mai dato altro che amarezze. Ecco, che ve lo mostro. Volete sapere come tratta il mondo co’ peccatori? Come il cacciatore con suoi cani. Se ne esce di casa il cacciatore con il suo cane al cusso e, veduta la fiera gli lascia il cane che con ogni sforzo fra balze e fra spine la segue; e finalmente animato dalle voci del padrone, che grida: piglia, piglia … gli riesce tutto ansante e mezzo morto l’afferrarla. Ma che? Ecco che il padrone crudele gli è alla vita e gli dice: lascia, lascia; onde il cane è costretto a lasciare quella preda, che credeva dovesse satollarlo ed altro non resta al meschino che la fame; e per lui è uno stesso il conseguire quel che cerca ed il perderlo. Così appunto ha da intervenire a te, misero peccatore. Ora il mondo, che è il tuo padrone crudele, ti dice: Piglia , piglia, piglia quella roba che non è tua, non pagar mercedi; non soddisfare a’ legati pii; dilata i confini del podere, tieni corte le misure, scarsi i pesi: piglia, piglia; pigliati quel piacere che non è lecito, quella vendetta; e tu insensato, come se avessi da godere di un gran bene, t’affatichi, ti sfianchi, ti sfiati per conseguirlo; ed ecco che nel più bello ti senti intimare dalla morte: lascia, lascia, lascia ricchezze a chi non si ricorderà mai di te; lascia il tuo corpo a chi lo porrà fotto terra dentro il sepolcro; lascia i tuoi amori a chi li andrà raccontando per suo passatempo e per tua grandissima infamia. Lascia, lascia. Son vere sì o no queste cose che ti dico? Certo, che non le puoi negare, ma te le immagini, te le figuri oh quanto lontane, e questa è la maggior pazzia; perché non t’accorgi, che la morte ti viene incontro a gran passi: Memor esto, quoniam Mors non tardat, ti dice lo Spirito Santo, tu la credi lontana molte miglia, e forse ella sta per battere all’uscio della tua camera. Chissà, che forse ora non ti lavori nelle tue vene quel veleno che tra pochi giorni ti metta nel sepolcro? Forse ora si distilla quel catarro che ti ha da soffocare; forse la morte ha teso l’arco e tu vivi del tutto spensierato? – Nella nobilissima città di Siena vi fu un cavaliere di prima nascita, il quale trattenendosi un dì tutto sano in quel luogo che chiamasi Banchi, per certi suoi domestici affari; vide alla lontana venire una compagnia di Confrati col cataletto, e voltatosi a chi seco tratteneva, disse loro: dove va, per chi serve questa bara? Varie furono le risposte, che gli furon date; la verità però è che colto da accidente inaspettato quel cavaliere, se ne morì subito, e quella bara servì per lui. Credete voi che questo cavaliere si aspettasse allora la morte? Memor esto quoniam mors non tardat … intendetela: la morte non tarda, è vicina ed oh quanto vicina se la vide quell’indegno giovane che, stato lontano per qualche tempo dall’amica, volle ripassar per quella strada, e dare il solito cenno; sicché fattasi alla finestra la rea femmina gli disse: so che m’avete abbandonato. Non sarà mai vero, rispose il giovane; appunto, replicò la donna; voi più non mi amate. V’amo tanto, riprese l’uomo, che per voi darei tutta la parte del Paradiso che mi tocca; e di fatto la diede, poiché soffocato da una piena di catarro, appena proferita l’esecranda bestemmia, restò ivi morto, spettacolo infelice della Divina Giustizia. Su, dunque, staccatevi; altrimenti la vostra morte sarà altresì terribile in severitate Judicii. – Tu fai bene, o peccatore, o peccatrice, che appena spirata, appena uscita l’anima dal tuo corpo, subito in quella medesima stanza ove Dio t’ha tante volte tollerato nelle tue disonestà, in quella medesima s’alza il Divino Tribunale; sicché subito morto devi comparire avanti Cristo Giudice per esser giudicato, secondo le tue opere, o buone o ree. Or dimmi: e non è vero, che tu tutto attonito e spaventato dirai col Santo Giob: quid faciam, cum surrexerit ad judicandum Deus? A qual partito ti appiglierai? ad uno di questi due converrà che t’appigli da fuggire dagli occhi del Giudice; o ad ingannarlo… ma che dissi? come potrai fuggire dagli occhi di Dio? questo è impossibile; mentre Egli è quel Dio di grandezza eguale alla sua forza: Deus Judex fortis; basterà solo che tu miserabile lo veda per rimanere in un stesso tempo atterrito ed inorridito. L’allodola, allorché vede lo Sparviero ne concepisce tal timore, che si è veduta volare a piombo dentro le fiamme d’un acceso forno. Sarà tale il tuo terrore alla presenza di Cristo Giudice, che per fuggirne volentieri t’andresti a seppellire nelle fiamme dell’inferno? Quis mihi det, ut in inferno protegas me, et abscondas me, donec pertranseat furor tuus? Fuggire dunque non potrai essendo più facile fuggire dal mondo e da se stesso, che da Cristo Giudice. Quid facies, dunque, che farai? Ricorri alla frode: procura d’ingannarlo. Ingannare il tuo Dio; Cum surrexerit ad
judicandum Deus
. Appunto Egli è quel Dio che tutto vede: intuetur cor, agli
uomini si può dare ad intendere quello che si vuole, ma non a Dio scrutatore de
cuori! – Non so, se camminando di notte tempo, vi siate mai abbattuti in certi legni
putridi; se allora v’avrete fissati gli occhi, vi saran parsi luminosi; ma se poi li avrete rimirati di giorno chiaro, gli avrete scorti per mezzo fracidi, per legni sol buoni ad esser gettati nel fuoco. Che voglio dire? Voglio dire che in questo mondo siamo tra
le tenebre, e ci può riuscire talora il far comparire per luce quel che è tenebre; poco penerà colui che nega quella pace a dire, che lo fa per zelo della giustizia; oh che bella luce a chi non vede il fondo putrido di quel cuore! Ma in faccia a Dio non potrà dir così; si vedrà allora, che non era zelo, ma rabbia. Riuscirà facile a quel marito l’ingannare la sua moglie, con riprenderla di gelosa, con assicurarla che l’amicizia con colei non è mala, che vi tratta innocentemente; ma quando si farà giorno alla venuta del Giudice, chiaramente si vedrà che l’amicizia era un continuo peccare. Ancor tu donna, potrai con i tuoi inganni, con le tue finzioni farti tenere per donna da bene, onorata; che vai alla Chiesa per mera devozione, quando vi vai non con altro fine che per concludere con gli occhi e con i gesti quei trattati d’amore indegno. Ma quando si farà giorno, alla presenza del sommo Giudice, si scopriranno le tue laidezze: Hæccine est urbs perfecti decoris? Questa è quella donna, si dirà, che quando più spacciavasi per onesta, allora più nefande commetteva in segreto le laidezze; e con le laidezze andava mescolando i Sacramenti! Questa è quella Giovane che diceva che i suoi amori erano tanto innocenti, ed erano tanto infami? Questa è quella donna, che protestavasi senza errore; e cambia confessore per non essere ripresa, e talora taceva i peccati, vergognandoli di confessarli chi non ebbe rossore di commetterli: Hæccine est urbs perfecti decoris? Adesso puoi negar quei furti, quelle scritture, quel debito, quelle lettere, quei memoriali, quelle mormorazioni; ma nel tremendo Giudizio tutto scoprirà. Che farai dunque? quid facies cum surrexerit ad judicandum Deus?
non si può far altro, per non aver la morte pessima ancora in severitate Judicii che mutar vita. – Appigliatevi ancor voi a questo partito: lasciate l’amicizia, fate la pace; restituite l’altrui. Non vi sapete risolvere? Perciò la vostra morte sarà pessima in severitate Judicii. Oh Dio! Volete sapere perché i peccatori non si risolvono? perché si figurano Iddio sempre amorevole, e Gesù sempre loro Avvocato; senza riflettere che, quanto è maggiore ora la sua misericordia, tanto poscia sarà più severa la giustizia: tacui, patiens fui sicut parturiens loquar. Avete mai fatto riflessione all’orologio, che se ne va per molto tempo cheto cheto: ma come giunge l’ora si mette tutto sossopra; si sconvolge, si fa sentire per tutto … tacui, patiens fui, dice Dio, pareva che io non vedessi le tue iniquità; e perché? Perché non era giunta l’ora del giudizio; ma giunta quell’ora, mi farò sentire a tutto il Paradiso, come appunto si fa sentire la donna a tutta la casa, allorché è oppressa da’ dolori di parto: sicut parturiens loquar, e così parlando vi farà provare la morte pessima nelle fiamme dell’inferno: in horrore inferni.

LIMOSINA

 Volete esser ricchi? Non vi stancate più ne’ mercati, per le fiere, ne’ traffici. Honora Dominum de tua fubstantia, dice Iddio, et implebuntur horrea tua, saturitate vino torcularia tua redundabunt. Fate limosine. e poi vedrete, che vi si empiranno i magazzini di grano, d’ottimo vino le cantine. Eccovi ricchi: Che dite? Negate che siano parole di Dio? Se sono di Dio, credete non possa adempirle? Questo sarebbe un trattar Dio da fallito? Se credete che Egli non voglia mantenerci la parola: questo è trattarlo da falso. Provatelo; probate me super hoc, e vedrete!

SECONDA PARTE

Sarà dunque pessima la morte del peccatore per l’orrore dell’inferno. Vedrà il misero spalancato sotto de’ suoi piedi l’inferno, cioè una prigione, le di cui mura siano di fuoco, di fuoco la volta, di fuoco il pavimento, i ferri di fuoco, l’aria di fuoco, Or io ti dico: ti daria l’animo per tutti i beni del mondo d’entrarvi dentro, e trattenerviti per una mezza giornata? Ah stolto! Ed è pur vero che sei sì privo di senno, che per cose molto minori, per un sozzo piacere, per 9un piccolo interesse, per un sfogo d’odio, accetti di buona voglia di stare in una somigliante prigione, non solo col corpo, ma con l’anima per tutti i secoli senza fine. Senti quel che ti dice Isaia al cap. 33. Quis poterit habitare de vobis cum igne devorante? Aut quis habitabit ex vobis cum ardoribus sempiternis? Rispondi tu a questa interrogazione del Profeta: come potrai stare tra le fiamme per tutta un’eternità? Hai mai provato ciò che sia fuoco? Certo, perché tu sei quello che hai paura infin d’una favilla che ti schizzi in mano e non puoi soffrirla: come dunque ti eleggi di stare in una fornace, che distruggerebbe i monti? Montes a facie ejus diffluerent, a guisa di cera, non per breve tempo, ma finché Dio sarà Dio. Domanda parere se sia bene per lo sfogo delle passioni guadagnarsi un inferno; a quella moglie scellerata di santo marito  come si riferisce nelle Vite de’ Santi Padri: … vivevano insieme marito e moglie; e quanto uguali di nascita, tanto erano diversi di costumi: santo il marito, perversa la consorte. Venne al suo fine il marito; ed alla vita santamente menata corrispose una morte all’apparenza funesta, poiché piena di pene di tormenti e di agonie tremende. Morto il marito restata libera di sé la rea consorte, si diede con maggior libertà allo sfogo delle passioni, conducendo la sua vedovanza tra suoni, canti, balli e bagordi. Finalmente venuta a morte questa rea femmina, passò all’altra vita con una tal quiete che parve piuttosto la sua morte un placido sonno. La figlia, che era stata spettatrice e della vita santamente menata dal padre, ma sempre tra disgusti ed amarezze, e della vita della madre sempre condotta tra piaceri peccaminosi, e della morte dolorosa del padre, e della morte quieta della madre, andava fra se stessa pensando a qual delle due vite dovesse appigliarsi. Allorché dunque più che mai trovavasi perplessa, ecco che si vide comparir davanti un uomo di aspetto venerando, il quale le disse: che pensieri sono i tuoi, o donzella? Io già li so; teme la fanciulla; la rincorò il vecchio venerando e gli soggiunge: io non son qui per nuocerti, non temere; so che tu vivi irresoluta, né sai determinarti se devi prendere la strada penosa di tuo padre o la lieta di tua madre. Vieni e non temere; e la condusse sulla cima d’un monte, ove introdotta in una gran città, la vide tutta lastricata d’oro e ricoperta di gemme: s’inoltrò, e dentro un palazzo alla reale vide suo padre risplendentissimo e lo riconobbe per beato: gli parlò, si rallegrò, si consolò; voleva trattenersi, ma non glielo permise il vecchio venerando, e condottola giù del monte, la guidò dentro un’oscurissima grotta, ove la giovane intimorita sentendo urli, e strida spietate, non aveva cuore da inoltrarsi; pure rincorata dal condottiere s’inoltrò e vide da lungi una ardentissima fornace, ed in mezzo ad essa la misera madre che ardeva, ed arrabbiata altro non faceva che bestemmiare. Quanto fosse il dolore, ed il terror della figlia, immaginatevelo. Fu tale che, partita da quello spettacolo ritirossi dal mondo a vivere vita santa a similitudine del padre. Muta vita peccatore, perché se tu balzi colaggiù in quella fornace, alzerai il capo da quell’incendio doppo mille, e mille anni, e perché …  griderai, mi tengono in questo zolfo ardente? Ecco la risposta, perché non desti quella pace; perché non ti riconciliasti col prossimo tuo; su dunque, replicherai, mi mandino al mondo e mi farò calpestare da’ miei nemici; mi lascerò fare in pezzi e poi bacerò loro i piedi: odi la risposta: non v’è più tempo; Juravit per viventem in sæcula sæculorum. quia tempus non erit amplius, ardi, brucia. Alzerai la testa e dirai: perché mi tengono in questi incendj? Perché non volete restituire il mal tolto: … lasciate, replicherai, che torni a vivere e dispenserò tutto per limosina sino a morir di fame; ma la risposta sarà: non v’è più tempo, Juravit, etc … Alzerai la testa da quelle tenebre e dirai attonito perché tra tanti tormenti che ancora non hanno fine? Perché vivesti tra gli amori, perché non portaste rispetto neppure alle maritate; neppur la perdonaste al proprio sangue; perché vestiste scandalosamente, e tiraste più d’uno alle disonestà. Lasciate, dirai, che io torni in vita e non solo non prenderò diletti illeciti, ma punirò le mie carni con ogni più rigorosa asprezza; vestirò con tutta modestia senza ombra di vanità: … non è più il tempo, Juravit …. Bisognava pensarvi prima, onde allora non potrai far altro che fremere, arrabbiarti e maledir sopra ogni altro te stesso: … peccator videbit et irascetur, dentibus suis fremet et tabescet, e tutto ciò senza rimedio, perché … desiderium peccatorum peribit ….

QUARESIMALE (XX)