LO SCUDO DELLA FEDE (243)
LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (12)
SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA
Mons., BELASIO ANTONIO MARIA
Ed. QUINTA
TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908
CAPO III
IL SACRIFICIO DIVINO
Il Canone.
Siamo giunti al terribile momento dell’Azione la più tremenda per cui eseguire con dignità è ordinato il Canone, il qual nome significa la grande regola. In esso sta, come in grandi caratteri, scolpita la legge eterna immutabile della sostanza, dei modi dell’esecuzione del gran Sacrificio da offrirsi per tutto l’universo. S. Gregorio e s. Cipriano chiamano il Canone « la preghiera per eccellenza, » il Pontefice Vigilio « il testo della preghiera canonica, » tanti altri Padri (Ben. XIV.) « l’Azione; » perché in esso si compie l’Azione delle azioni, l’azione più grande, più perfetta, anzi più divina, che per gli uomini sì possa fare nella Chiesa, per virtù di Gesù Cristo; regolare cioè la legittima consacrazione del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, e il sacrificio che si fa di essi a Dio in ricognizione della sua Divinità. – Fermarci a far questione per trovare l’autore di alcune sue parti particolari, o a cercare chi l’abbia ordinato e così ridotto, né giova, né piace, né abbiam tempo da sprecare in ciò, che non è di grande importanza. Solo osserveremo, che di molte e delle più solenni e più comuni, e pubbliche orazioni, e dei riti più universalmente ricevuti, per lo più s’ignora l’autore. E doveva essere così; perché l’autore non ebbe poi la parte maggiore nella loro istituzione. Sovente esso interpretava, e traduceva in atto un’idea, che era nel popolo cristiano, e che dove più, dove meno, si manifestava in qualche modo: sicché egli collo stabilire il rito e dar la forma all’orazione, non altro faceva che coglierne la più vera espressione, e la più rispondente all’idea, purgandola da ogni inutile ingombro. Piuttosto a consolazione dei fedeli tradurremo ciò che insegna lo Spirito Santo, per mezzo del Concilio generale di Trento, intorno al Canone stesso. (Sess. XXII, cap. 4). Dice adunque il sacro Concilio: « E conveniente che le cose sante siano santamente amministrate; ed essendo questo (della s. Messa) il santissimo di tutti i sacrifici, la cattolica Chiesa, perché degnamente e con la dovuta riverenza venisse offerto ed adempiuto, già da molti secoli istituì il sacro Canone, d’ogni errore così depurato, che niente in esso si contenga, che non sappia specialmente di certa santità, e pietà, e le menti sollevi in Dio, perocché esso consta, e delle stesse parole del Signore e delle tradizioni degli Apostoli, e delle pie istituzioni dei Pontefici. » E questo basta, perché, derivato a noi da queste fonti così pure e santissime, noi lo veneriamo come cosa tutta celeste, anzi come dono fattoci da Dio, nella sua carità, per alimentarci la divozione. Noi lo teniamo in conto di un misterioso componimento, in cui sono espressi i segreti adorabili dell’amor santo di Dio. Perché ci pare di scorgere nei riti i tratti più espressivi, e nelle parole i più santi affetti, che ci rivelano le ragioni più intime, che legano a Dio la sua sposa, la Chiesa. La Sapienza divina, dice lo Spirito Santo, si ha fatto un talamo nuziale in sulla terra (S. Thom. in Off. SS. Sacram.). Questo talamo è l’altare, vero santuario degli amori divini; ed il canone è l’epitalamio dello sposalizio di Dio coll’umanità. In esso troviam compendiati e spiegati i più reconditi misteri della Natura Divina; in esso appare nella sua grandezza la tremenda giustizia eterna, e si scorge come essa s’accorda in pace colla misericordia, e come questa trionfa. Del qual trionfo della misericordia sulla giustizia di Dio si manifesta quella bontà sua essenziale, che alimenta la beatitudine del paradiso. Così il canone contenendo in sé tanti misteri divini, adombrati nella santità dei riti, è quasi come quella gran nube che involgeva l’uomo eletto a parlar con Dio sul monte Sinai, la quale nella grandezza sua e maestà, e nei baleni di vivissima luce, di che sfolgorava, dava segno della presenza di Dio, che dentro ad essa compariva, e si manifestava a quegli argomenti. – Noi ci avvicineremo tremanti, e coll’anima umiliata, e lasceremo che parli in esso lo Spirito di Dio, e la sua sposa, la Chiesa, e solo ridiremo quel poco che abbiamo imparato da coloro, che furon degni per la loro santità di farsi più dappresso a contemplare. Quali oggetti! quali idee per un credente in questo istante! La terra non fu mai meglio in armonia col cielo. In cielo la Trinità augustissima sul trono d’inaccessibile luce, e intorno intorno le schiere dei Principi angelici, e di tutte le Virtù dei cieli; mentre l’Agnello Divino, sull’altare d’oro si presenta innanzi, e rompe il misterioso sigillo al Libro che contiene i secreti della Divinità, i quali fino agli Angeli eran nascosti; e tutta la Corte celeste si prostra cantando il trisagio dell’eternità. In terra tutti i fedeli genuflessi intorno alla croce vessillo di loro speranza sull’altare: alla loro testa il Sacerdote, che innalza le braccia innanzi al Crocifisso, quasi ponendo la sua testa sotto il Capo di Gesù coronato di spine, le mani su quelle sante Mani insanguinate, il petto sul Petto divino squarciato. Tutto assorto in Gesù Cristo, cogli occhi in cielo, quasi vi cerchi il volto del suo divin Padre, stende le palme, come per slanciarsi a Lui: e contemplando nella SS. Trinità Dio nell’alto della sua intima Vita Divina adora il Padre col Figlio in seno a lui generato ab eterno, e lo Spirito Santo, che dal Padre e dal Figliuolo procede; e insieme col Figlio, che si fa Agnello Divino sull’altare celeste, cade anch’esso sull’altare terrestre per trovare in cielo la redenzione. – Per esprimere quest’atto di adorazione, s’inchina, s’inabissa nel suo nulla, e cadendo colle mani giunte si mette come vittima legata; bacia l’altare, e coll’anima bacia in cielo le soglie dell’eterno trono. – Poi sorge, e comincia a trattare i più cari interessi, per cui Egli quella missione divina ha intrapreso. – Noi qui ci ricorderemo del prefazio, di quel cantico, che lasciò per dir così nell’anime del Sacerdote e dei fedeli quale una certa vibrazione e una eco di armonia celeste, che continua nei movimenti degli affetti, come dopo la scossa continua a vibrare ancora la corda od il metallo sonante. Ben qui a lui ancora nell’estasi dell’armonia di paradiso, fluiranno come espressioni spontanee quei gemiti inenarrabili, che lo Spirito Santo mette in bocca alla sua Sposa divinizzata: e sono queste le orazioni del canone. Buon Dio! Ci voleva proprio lo Spirito del Signore nella Chiesa, per dir quello, che si conviene, in un istante così tenero e così tremendo, così terribile, e così consolante. Prega il Sacerdote in secreto: e questo silenzio esprime il nascondersi che fece Gesù, quando non era ancora venuta l’ora sua. Veramente in questo terribile momento l’anima ha bisogno di non esser da rumore di parole disturbata dal suo raccoglimento con Dio (Innoc. III, lib. 2, Myster. Miss. cap. 54, et lib. 3, c. 1.). Veramente inspira anche grande venerazione il veder il popolo col Sacerdote all’altare pregar segretamente, quando lo Spirito del Signore opera segretamente sotto il velo dei simboli il gran mistero (Bened. XIV. lib. 2, c. 23, 16). Le anime adunque si hanno qui da trovare sole con Dio: e davanti a Dio che si sacrifica vogliono lagrime e non parole. Giova, ripeterlo: noi esitammo qui, se tornasse meglio tentare la spiegazione, o metterci di conserva col lettore a meditare ciascuna parola nel silenzio del labbro, e nella profonda umiltà del cuore. Ma abbiamo sperato di non riuscire inutili, se cercheremo d’inspirarci ai pensieri dei Santi, nell’esporre così sante orazioni. Ecco la prima, che procureremo di spiegare.
Art. I.
PRIMA PARTE DEL CANONE.
Orazione I: Te Igitur.
« Voi adunque, o clementissimo Padre, per Gesù Cristo Figliuol vostro e Signor nostro, supplichevoli preghiamo, e vi chiediamo che vi degniate di aver per accettevoli, e benedir questi, (qui fa tre segni di croce sull’offerta colla destra stesa nel pronunciare le seguenti parole) questi + doni, questi presenti, questi sacrifici santi, illibati, che noi vi offriamo in prima per la Chiesa vostra, santa, cattolica; cui vi preghiamo che vi degniate di purificare, custodire, adunare, e reggere per tutto il mondo universo, insieme col vostro servo, il Papa nostro (e qui nomina il sommo Pontefice) ed il nostro Vescovo (nomina il Vescovo), e con tutti gli ortodossi cattolici adoratori dell’apostolica fede. »
Esposizione di quest’orazione.
Pertanto il canone comincia colle parole: « Te igitur, Clementissime Pater, Voi adunque, o Padre,la cui clemenza è infinita, ecc. ecc. »Alcuni autori con bizzarria piuttosto, che conacume e solidità di ragione vorrebbero, che laChiesa avesse incominciata questa importantissimapreghiera col T; perché la lettera T ha forma dicroce.Ma noi avvertiamo ora per sempre, che le pratiche della Chiesa sono semplici, ma piene di maestà,e non bisognose di fantastiche interpretazioni,che pendano all’inezia, come è questa, di che noinon ci cureremo. La quale nacque forse dal vedere il pio uso di mettere, di fianco alla prima preghiera del canone, stampata l’immagine del Crocifisso: pratica suggerita dalla pietà dei fedeli, che spiega essere intenzione della Chiesa, che noi accompagniamo questa tremenda azione colla mente tutta piena delle idee della passione e della morte del Salvatore benedetto. « Voi adunque o clementissimo Padre, noi preghiamo supplichevoli ecc. ecc. » Questa congiunzione adunque fa intendere, che questa preghiera, come abbiam detto, è una continuazione del prefazio. In esso, reso omaggio di profonda umiltà al Signore dei cieli gli abbiam detto: « Egli è giusto e ragionevole e salutare di rendere grazie a Voi, Signore santo, Padre onnipotente, eterno Iddio ; » continuiamo ora qui la preghiera: Voi adunque, o clementissimo Padre, noi preghiamo supplichevoli ecc. Ammiriamo tratto di confidenza devota, in cui il Sacerdote parla a Dio come a tenerissimo Padre. E per giustificarsi di tal atto, che dovrebbe sembrar ardimento, gli mette dinanzi, per ossequiosa scusa, che il figlio suo Gesù ci acquistò il merito, e ci ottenne il diritto di chiamar Padre Iddio, soggiungendo subito: « Per Gesù Cristo, Figlio vostro, e Signor nostro preghiamo, e vi chiediamo di avere bene accetti, e di benedire questi doni, questi presenti, ed officiose offerte, questi sacrifici santi. » – Li segna di croce perché siano bene accolti dal Padre, vedendoli sotto la croce del suo Figliuolo. I tre segni poi esprimono che questo gran mistero si verrà compiendo dalla santissima Trinità ( Marsebius, Sum. Christ. 3 p.). È pure devota e commovente la spiegazione di questi tre segni di croce, che dà il Serafico Bonaventura (Esp. Miss. c. 4, 1. 7). Il primo segno, dice egli, significa 1’atto della carità del Padre verso di noi, che il proprio Figlio non risparmiò, come c’insegna l’Apostolo: ma ce lo diede per la salute di tutti. Onde possiam dire: «questo è dono vostro, perché da Voi ci fu dato. » Il secondo esprime quell’atto, in cui Gesù si abbandonò nella morte l’anima sua, e coi scellerati venne riputato: e qui possiam dire: « queste offerte sono nostre; perché il Redentore, che ci fu donato, è nostro. » Il terzo par voglia esprimere il tradimento di Giuda, con cui diede Gesù col bacio in mano ai nemici; e qui noi ancora possiamo dire nell’offrire « ma questo ora è santo sacrificio illibato , in cui non ha più parte umana malvagità. » – Giova qui osservare, che queste tre diverse espressioni di doni, presenti, santi sacrifizi illibati, non sono già una semplice ripetizione della stessa cosa; ma contengono tre idee diverse. Chiamasi l’offerta in prima doni, e sono doni la sostanza del pane e del vino presentata a Dio per essere trasmutata nel Corpo e nel Sangue di Gesù. No! l’oblazione non poteva essere fatta di una sostanza più conveniente. Dovendo noi rendere a Dio tutto che abbiam ricevuto, scegliamo una porzione di quella cosa, che maggiormente concorra al nostro sostentamento: e nell’offrirgliela preghiamo Dio di aggradire ciò ch’Egli ha posto nelle nostre mani (Paralip. XXIX, 14.). Così confessandogli con umiltà, che i doni che gli offriamo, come ogni cosa, sono già suoi, è un atto di giustizia che noi esercitiamo, essendo l’umiltà vera giustizia: poiché l’umiltà è virtù, che di tutto il bene rende l’onore a Dio. Ora, come tutto ciò che è bene, viene da Dio; (così conviene intenderla), la prima giustizia è rendere a Dio del tutto almen l’onore, come dice il Salmo: « Non a noi, non a noi, o Signore, ma al nome vostro date gloria » (Psal. CXIII.). Ci si perdoni di questo che ripetiamo qui: perché crediamo dover ripetere con Ss. Agostino che il primo, il secondo, il terzo fondamento della santificazione delle anime è sempre questa primiera giustizia, l’umiltà. Chiamansi poi questi doni col nome di presenti, cioè di offerte officiose, presentate da noi come un regalo nostro: così dicendogli doni, si confessa che sono cosa, che viene direttamente da Dio; dicendogli offerte officiose, o presenti, si dice in certo qual modo, che in essi si offerisce anche qualche cosa del nostro (Ugo, De sanct. Vict.). E qui nel modo più delicato diamo gloria alla bontà di Dio che benignamente alla nostra povertà ha provveduto, rendendo proprii di noi, o personali questi doni suoi. Invero il pane ed il vino sono doni suoi materiali, ma e’ sono anche nostri: perché la terra, che li produce per comando di Dio, ce li somministra rispondenti alle nostre fatiche. Sicché sono doni di Dio, e frutto del nostro lavoro. Ma elevando poi il nostro pensiero, sentiamo nella fede di poter dire, che sono doni e presenti nostri anche il Corpo e il Sangue SS., in che il pane ed il vino verranno trasmutati. E questo è il più gran trovato della divina bontà, che la mostra veramente infinita, e vince di lunga mano le più grandi speranze dei Profeti. Dio pagò egli stesso la divina giustizia per noi: e, si veda raffinamento di carità! ci volle anche risparmiare la vergogna di fare per noi il pagamento gratuito, senza nulla metterci del nostro, ma il prezzo del riscatto ci pose in mano, lo fece nostro, e di vera nostra ragione: e poi disse: « pagate. » Ci risparmia così quella naturale timidità di comparire debitori, e colle mani vuote ((3) Cesar. Oraz. del S. Natal.). Esso ci ha provvista la vittima; ma l’ha fatta nostra. L’infinito debito noi pagheremo, sì noi veramente pagheremo, e con valsente di nostra proprietà !… Qual sarà adunque questo presente di nostra ragione?….. Qual sarà?… Forse Gesù Cristo in Persona?! Sì proprio il Corpo e il Sangue di Gesù, che essendo Dio fatto uomo, si è fatto porzione di nostra natura; fratello nostro, a noi donato dal Padre: Ah! noi siamo d’avviso che neppure gli Angioli vanno al fondo di tanto mistero, vero Subisso d’amore divino! Chiamansi infine santi sacrifici illibati: santi, perché sono riservati a Dio solo, ed a Lui solo vengono offerti in ricognizione del suo supremo dominio: sacrifizi, perché rendono al gran Monarca dell’universo l’onor dovutogli da tutto il creato. In essi il supremo suo dominio è riconosciuto. In essi lasciando noi nelle mani di Lui l’offerta dei frutti della terra e dei nostri sudori, Dio trasmuta il dono terreno in un santo Sacrificio mondissimo, che sarà il vero olocausto per l’intera consumazione della vittima a gloria di Dio; e sacrificio eucaristico, offerto in ringraziamento; come pure vera ostia pacifica e sacrificio propiziatorio, che riconcilierà gli uomini a Dio, ed otterrà la remissione dei peccati; sacrificio accettevole impetratorio, che impetrerà tutte le grazie a favore degli uomini. Il che tutto già abbiam toccato, ed avremo occasione di esporre ancora con maggiore chiarezza. Da ultimo sacrifizi illibati, integerrimi, siccome li ha fatti Dio, senza che né uomo, né spirito immondo vi possa metter sopra la mano ad usurparli, o profanarli. Illibati, dice anche Innocenzo III (1), cioè immacolati; perché senza macchia e di cuore e di corpo devono essere offerti, sicché niente vi sia frammesso, che degno non sia dello sguardo santo di Dio. Essendo questo, pertanto, il santo Sacrificio illibato, affrettiamoci, che questa è l’occasione più bella, di presentar con esso le nostre suppliche, e chiedere ciò che più ci sta a cuore. Quindi continua l’orazione. « I quali sacrifici, vi offeriamo per la Chiesa vostra santa, cattolica. » Anche Gesù Cristo faceva per essa la sua preghiera, e raccomandava di porre gl’interessi di essa in cima di tutti i nostri voti. « Cercate, dice Egli, prima il regno di Dio e la sua giustizia », ed il regno e la sua giustizia sta nel trionfo della Chiesa Cattolica. Quindi il Sacerdote la raccomanda subito in prima.