QUARE ERGO RUBRUM EST INDUMENTUM TUUM, ET VESTIMENTA TUA SICUT CALCANTIUM IN TORCULARI? … ET ASPERSUS EST SANGUIS EORUM SUPER VESTIMENTA MEA, ET OMNIA VESTIMENTA MEA INQUINAVI . – Gestito dall'Associazione Cristo Re Rex Regum"Questo blog è un'iniziativa privata di un’associazione di Cattolici laici: per il momento purtroppo non è stato possibile reperire un esperto teologo cattolico che conosca bene l'italiano, in grado di fare da censore per questo blog. Secondo il credo e la comprensione del redattore, tutti gli articoli e gli scritti sono conformi all'insegnamento della Chiesa Cattolica, ma se tu (membro della Chiesa Cattolica) dovessi trovare un errore, ti prego di segnalarlo tramite il contatto (cristore.rexregum@libero.it – exsurgat.deus@libero.it), onde verificare l’errore presunto. Dopo aver verificato l’errore supposto e riconosciuto come tale, esso verrà eliminato o corretto. Nota: i membri della setta apostata del Novus Ordo o gli scismatici ed eretici sedevacantisti o fallibilisti, o i "cani sciolti" autoreferenti falsi profeti,non hanno alcun diritto nè titolo per giudicare i contenuti di questo blog. "
Ricordate, o giovani, quella statua colossale veduta in sogno dal re Nabucodonosor? Capo d’oro, petto e braccia d’argento, ventre e cosce di bronzo, gambe di ferro, e pie’, parte di ferro e parte di creta. Il re guardava e guardava; quand’ecco staccarsi dal monte e rotolare sino ai piè della statua un sassolino; e al primo urto ridurla in frantumi. — Oh come mai un picciol sasso struggere un sì immane colosso? — Non v’accorgete? era di più metalli mal legati fra loro. Oh fosse stato tutto d’un pezzo, il sassolino non l’atterrava di certo. – Gli è per dirvi, che gli uomini a me non piacciono, non paiono uomini veri, se non son tutti d’un pezzo, e d’un colore; cioè fermi, costanti, consentanei sempre a sé medesimi. Questi cosiffatti uomini non c’è sasso, grande o piccolo, che li faccia vacillare. Ma gli altri, che, acconciandosi a tutti i capricci della GRAN BESTIA, mutano idee, parole, fatti, come le brache e la giubba, ad ogni mutar di stagione, son come la statua sopradetta, che ogni sassolino fa crollare; son la veste d’Arlecchino, cucita a cento toppe disuguali: e la porta appunto Arlecchino, vedete! Perché è personaggio tutto da ridere. O vorreste esser uomini da ridere, essere arlecchini anche voi?… No, cari giovani; credete a me, non vi torna conto: la merce è in ribasso. Ce n’ha già tanti degli arlecchini! E son coloro, per lo più, che non solo s’inchinano ai ciarlatani che parlano e ai ciarlatani che scrivono, di che testé vi ho parlato; ma anche alle vicende dei fatti. Uomini, vo’ dire, i quali loro regola di pensare e d’operare pigliano dagli avvenimenti del giorno. Or come non v’ha cosa più incerta e mutabile degli umani avvenimenti, sarà egli a stupire ch’ei riescano arlecchini in grado superlativo? – Frutto di tal sistema è la famosa teorica, che chiamano de’ fatti compiuti, la cui scoperta doveva. Toccare a questo secolo idolatra della forza. Volete che ve ne spieghi? … Ecco: un furbo ma prepotente, un Nabucodonosor qualunque tenta una solenne bricconeria. La gli riesce? Cosa fatta capo ha: bisogna gridargli l’evviva, e tristo a chi osi zittirgli contro. – Ma a questa stregua (voi dite) dovrassi gridar viva all’assassino, anzi alla tigre che sbrana il viandante? … — Ma! Che ne so io? Dimandatene ai ciarlatani. – Io dico che questo è il peggiore degli scandali, plaudire ai tristi fatti, e che di questo scandalo, il mondo, dall’alto al basso ne è pieno. Or voi, se a cosiffatto scandalo non volete soccombere, adusatevi per tempo ad aver sempre per regola del vostro pensare ed operare, non il fatto mutabile e contingente, ma la ragione e la fede che mai non muta. Solo a tal condizione riuscirete uomini tutti d’un pezzo, da reggere, non ai sassolini soltanto, ma ad ogni grandine di sassi vi scaglino addosso gli amici della BESTIA, i ciarlatani del mondo. – Del resto il mondo, vedete, fu sempre sossopra lo stesso; umile adoratore della forza e de’ fatti compiuti. Guardate Gesù Cristo. Quando lo videro preso, condannato, inchiodato e morto su una croce, i più crollarono il capo e dissero: — Ormai siam chiari: ei non era che un uomo. — E l’inganno fu sì generale, che per poco non vi cascarono gli stessi discepoli. Quei d’Emmaus: Nos sperabamus! — Sclamavano mesti e sfiduciati; quasi volesser dire: – Fummo corbellati per bene! — Ecco i giudizi regolati sul fatto. Ma intanto che avvenne? Passavano pochi anni, e quel Cristo, a cui davan torto perché s’era lasciato crocifiggere, abbatteva l’idolatria, conquistava il mondo. – Simile accadde nei primi secoli del Cristianesimo. I Cristiani erano oppressi, perseguitati, uccisi a milioni dai Nabucodonosorri del romano impero. — Dunque han torto, dunque e’ sono una man di scellerati, dunque: morte ai Cristiani! I Cristiani alle fiere! -— urlava il popolazzo, Ecco logica del mondo! – E forsechè da que’ tempi in qua il mondo ha cambiato vezzo o natura?… Quando a’ principii del secolo ci saltò sul collo quel gran demonio di Napoleone, chi seppe tenersi dall’incensate e dagli applausi? I preti (ce l’ha detto Balbo) e co’ preti pochi altri che ricusarono curvar le ginocchia innanzi a Baal. Del resto neppur certi ingegni, neppur gli scrittori nostri, neppur. quel gran poeta che fu Vincenzo Monti stette saldo alle mosse. E me ne spiace, povero Monti! che, oltre l’alto ingegno, aveva un’anima bella, un cuor d’oro. Ma era debole, e sì lasciò spaventare dalla BESTIA, si lasciò imporre dai fatti; e così, dopo aver levato a cielo nel Pellegrino apostolico, e nella bellissima cantica in morte di Baswille, Roma cristiana e la Religione, e il Papa; si lasciò tirare a scrivere in servizio di Napoleone, certi versacci; che poi ebbe a provarne rimorso e rossore. – O vedete, giovanetti miei! Se persino i Monti cascano, che vorrà essere delle basse colline !… – Che se poi dal primo Napoleone volessi far salto al terzo, e dal terzo a questi giorni nostri … Quasi quasi mi vien voglia d’aprirvi anche una volta la mia Lanterna magica; ma la è un tantino pericolosa; lasciamola lì. E poi; e poi se la riapro dove si va a finire con questa benedetta CODA ?…. – Sicché, per far più presto e non abusare più avanti della vostra pazienza, vi dirò: cari giovani, datevi un’occhiata dattorno: che fatti si presentano al vostro sguardo? … Non vedete? In Russia i Cattolici polacchi pigliati a schioppettate, perché credono che il Papa è Papa: in Prussia Vescovi e preti spogliati, imprigionati, esigliati, perchè credono che il Papa è infallibile; in Isvizzera suppergiù le stesse delizie, e per soprassello i parroci deposti, cacciati dalle loro parrocchie: da ultimo persino al di là dei mari, nel lontano Brasile, castigarsi un Vescovo perché osò dire scomunicati i framassoni. — Ecco i fatti, ecco la forza. E i burattini, gli arlecchini, i ciarlatani, i devoti dei fatti compiuti… o cheti, o batter le mani. – Ma lode a Dio, che accanto a tanta viltà ecco levarsi maestoso l’eroismo degli uomini forti, degli uomini tutti d’un pezzo, che negano adorare lo BESTIA. Ecco i Cattolici polacchi di Dziéelow; di Dolhi, di Pratolina far siepe de’ lor petti alle lor chiese’ minacciate, e gridare agli incalzanti soldati: — tirate pure; non apostateremo giammai! — e cader morti a diecine. Ecco l’arcivescovo di Posen Ledokowski spogliato, multato, condannato, avviarsi sereno e tranquillo alla prigione d’Ostrowa fra il plauso de’ suoi Cattolici e de’ suoi Vescovi; che pubblicamente si dichiarano parati con lui in carcerem et in mortem ire. Ecco il Nunzio pontificio Lachat, e il vescovo di Ginevra Mermillod, ecco i parrochi, della libera Svizzera multati e proscritti, scuoter la polvere de’ loro calzari e pigliare animosi le vie dell’esilio: ed ecco i lor fedeli parrocchiani, il dì della festa, varcare a migliaia il confine per vedere ed ascoltare i pastori loro strappati dalla forza. Ecco il giovane Vescovo di Pernambuco, Oliveira, accoglier pentiti a’suoi piedi ben dugento franco-muratori, e lieto di tanta vittoria darsi in mano a’ suoi nemici. Ed ecco, ecco da ultimo, nel bel centro di questa cara nostra Italia, un santo e fortissimo Pontefice che a castigo dell’Infallibilità che Dio gli ha data, i potenti della terra hanno abbandonato; levarsi gigante sul mondo accasciato appié della forza, e coll’immutabile parola; coll’ammirabile esempio, ispirare a migliaia di Vescovi, di preti, dì fedeli il suo stesso eroismo. — Questi, o carissimi giovani, questi i fatti che rigenerano il mondo, questi gli esempi che dovete imitare.
CONCLUSIONE
Qui fo punto, o cari giovani, non senza pena di lasciarvi di lasciarvi, ma non senza una dolce speranza che torneremo a parlarci un’altra volta. Vi ho mostrato in due libretti, quanto brutta e feroce e schifosa la GRAN BESTIA dell’umano rispetto, e vi ho incuorato a combatterla animosamente; vi ho scaltriti intorno alle difficoltà e ai pericoli di questa battaglia, vi ho additate e quasi messe in mano l’armi più acconce a riuscir vincitori; finalmente vi ho mostrato quanto vili e miserabili e schifosi coloro che alla BESTIA s’inchinano e le bruciano incensi, come al contrario quanto forti e generosi quegli altri, che riescono combattendo senza posa, ad abbattere il mostro e metterselo sotto i piedi. — Ora a voi tocca, o giovani cari, la scelta. Volete abbandonare l’onorata schiera dei valorosi e dei forti, per imbrancarvi cogli abbietti e coi vili?… No, no; eternamente no! Troppo generosa anima avete. Voi ve la terrete coi firti. Vi toccherà faticare; soffrire, combattere; ma n’avrete, certo e soprabbondante ristoro, la più bella, la più splendida delle vittorie. Udite ancora un esempio… – Quel Nabucodonosor; di cui sopra ho parlato, aveva a volte di strani e terribili capricci. Già pativa della malattia del Dio-Stato; una malattia cui van soggetti i re; specie a’ dì nostri; e com’essi de’ Cattolici che si inchinano al Papa, così egli adombrava di quegli Ebrei che osavano adorare il Dio d’Israele. — Che Dio d’Israele (disse un giorno). Qui non ci ha altro Iddio fuori di me. E detto fatto, ordinò una statua, non già quella che aveva sognato, composta di tanti metalli, ma tutta di fino oro, alta la bagatella di sessanta cubiti, che rappresentava la sua divina persona. E fattàla collocare in mezzo a una grande pianura, e convocati alla festa della dedicazione i satrapi, i principi, i prefetti, i magistrati e gli altri dignitari dell’impero, fra un’onda immensa di popolo; comandò che al suon della reale fanfara tutti dovessero prostrarsi a terra e adorarla, sotto pena di esser gettati in una ardente fornace. Demonio d’un re! Gli ordini furono appuntino eseguiti. Nella gran pianura di Dura fa eretta la statua, convennero principi e popolo, suonò la fanfara, e giù tutti colla fronte per terrra. Solo tre giovanetti ebrei (quanto mi piace pensar erano giovani!) stettero’ ritti in piedi dando in giro con occhio di compassione, e di sprezzo all’immensa pianura, tutta gremita di schiene curve, come di vili, giumenti. E ci fu chi li adocchiò in quell’atto; e acceso di un santo zelo per la gloria del dio-re, corse ad informarnelo. – Sappi, o re, che i giovinetti ebrei Anania, Azaria e Misaele non hanno adorata la tua statua. — Il re li fa chiamare: — È vero che vi ricusate d’inginocchiarvi alla mia statua? — Vero (rispondono a fronte alta e sicura); perocché noi non adoriamo che un sol Dio, il Dio d’Israele. E quanto a quella tua statua… gli è inutile che ci comandi, non l’adoreremo in eterno. — Il re monta sulle furie; ordina s’accenda la fornace sette volte più del consueto, fa prendere e legare i giovani, e così belli e vestiti com’erano, gettarveli dentro. Voi sapete il miracolo. Quel fuoco non ebbe sui giovanetti altra efficacia che di bruciar le funi che li tenevano avvinti, e così liberi e sciolti se la passeggiavano tra le fiamme stridenti come in prato di fresca verzura, lodando e benedicendo il Signore finché cavati di là entro, si trovò che il fuoco non avea bruciato loro nemmeno un capello. Di che que’gran principi e satrapi e magistrati, che poc’anzi s’erano inchinati alla statua, e lo stesso re superbissimo, dovettero inchinarsi a loro che avean ricusato inchinarsi. – E così accadrà pure di voi, miei cari giovani se terrete alta verso il cielo la fronte, negando piegarla davanti al simulacro della BESTIA. Lasciate pure che tutti s’incurvino, lasciate che ridano di voi e della vostra ostinazione a tenervi su ritti, mentre tutti strisciano a terra; nessun male potran farvi; anzi, o tosto o tardi, saranno lor malgrado costretti a rendervi giustizia: mentre voi, operando francamente il bene, n’avrete le benedizioni di tutti gli uomini di buona volontà, e tocco il termine di vostra mortale carriera, potrete presentarvi a Dio e dirgli con santa fiducia: — Signore, non ho servito che a voi:
I. Gloriosissimo S. Giuseppe, che per quell’alto pregio che aveste di essere sposo della gran Madre di Dio, e d’avere sopra del Figlio di Lei e Salvator nostro autorità, onore e provvidenza di padre, intercedeteci, vi preghiamo, di niente più apprezzare al mondo che la grazia di Gesù e la protezione di Maria, onde ci rendiam degni della vostra e loro compagnia nel cielo. Gloria.
II. Gloriosissimo S. Giuseppe, per quel carattere esimio che fu in voi riconosciuto dallo stesso oracolo divino di Uomo Giusto, e per quella estensione di potere che vi fece proclamare da Pio IX Patrono di tutta la Chiesa, ottenete ancora a noi di vivere sempre da veri giusti con Dio, col prossimo e con noi stessi; con Dio, non cercando che la sua gloria, col prossimo amando tutti come fratelli, e con noi medesimi travagliando incessantemente per la nostra e la comune santificazione. Gloria.
III. Gloriosissimo S. Giuseppe, per quell’inesplicabil contento che provaste al termine dei vostri giorni nell’esalare l’estremo spirito fra i casti amplessi di Gesù e di Maria, impetrate ancora a noi simil grazia affinché, confortati alla morte dai SS. Sacramenti, le ultime nostre voci non facciano che ripetere, Gesù, Giuseppe e Maria, vi raccomando l’anima mia. Gloria.
Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)
IN VENEZIA, MDCCXI (1711)
PREDICA DECIMAQUINTA Nella Feria sesta della Domenica seconda.
Si mostra che chi mal vive mal muore.
Malos male perdet . San Matteo al 21.
E dove mai cadrà fulmine sì spietato dell’ira divina, malos male perdet? Se vivranno male si perderanno eternamente? Io non credo già mio Signore, che minaccia sì terribile sia inviata a questa città tanto cattolica. S’intimi a Ninive ogni sterminio, come scellerata; ma non già a N.N. perché dedita alla pietà porge incenso a Santi, ed adorazioni al vero Dio; ma piaccia pure al Cielo che l’iniquità ancor tra voi non abbia innalzato trono sacrilego, e perciò meriti l’espressa denunzia di Cristo, malos male perdet. Se voi al pari de’ vangelici vignaioli avete talmente strapazzato il vostro Padre di famiglia Iddio, che a guisa di nemici più fieri, non contenti d’oltraggiarlo nel suoi servi, e vostri prossimi, percuotendoli con mormorazioni, lapidandoli con ingiurie, ed uccidendoli con strapazzi, avete per ultimo ardito di mettere le mani addosso all’erede suo Figlio, ammazzandolo, apprehensum occiderunt, che altro potrete aspettarvi, che l’esecuzione della sentenza, malos male perdet; giacché, e sarà l’assunto del mio discorso, così sentono i Santi, così parla Dio, tanto richiede ogni ragione, ogni giustizia, tanto comprova l’esperienza. Un gran punto s’agita questa mattina UU. miei cari; si tratta di sapere qual speranza possa avere di morir bene chi vive male. Voi peccatori non siete buoni giudici per decidere questo punto perché siete in causa propria. Che si ha dunque da fare? Ecco, per accertar la verità negli interessi temporali, si ricorre a’ periti e saviamente si pratica. Per indagar dunque la verità in negozio di tanto momento ricorriamo ai periti; e quali sono i periti in simile materia? E chi non lo sa? I Santi Padri e Dottori della Chiesa; diteci dunque o Santi il vostro parere; qual speranza date voi di morir bene a chi mal vive? Ecco che risponde il Dottor massimo di Santa Chiesa, hoc timeo, hoc verum puto, quod ei bonus non est finis, cui semper mala vita fuit. Io per me, dice il Santo, non sono sì fuori di me, che possa dar speranza di morir bene a chi visse male; anzi hoc verum puto, stimo di certo che morirà male. Odo il Santo Vescovo d’Ippona Agostino, che risolutamente afferisce, vix potest bene mori, qui male vixerit, è un gran miracolo, che ad una vita cattiva succeda una morte buona. E Bernardo Santo, Abbate di Chiaravalle, così dall’eremo suo si protesta: Mors peccatorum pessima, quorum nativitas mala, vita pejor, fu mala la vita de’ peccatori, pessima sarà la morte. Quanto dicono questi, crediatemi miei UU. che tanto afferiscono quanti furono Santi Padri. Leggeteli ad uno ad uno e tutti a chiare note vi risponderanno, che la speranza di morir bene in chi mal vive, è sì tenue, che può dire ridursi al nulla. È pur familiare tra voi quel proverbio così celebre: dicami la vita che fai, e ti dirò la morte che farai. E pure così non fosse, vi sarà taluno tra miei UU.. che pretenderà dare una mentita a tutti i Santi Padri, mostrando di tenere tutto il contrario; e, se ciò non farà con le parole, lo praticherà con i fatti, menando una vita scellerata! Deh sciocchi non vi lasciate lusingare dal peccato, date retta ai Santi Padri che afferiscono esser cosa quasi infallibile, che chi mal vive, mal muore. Chi è più in pericolo di sbagliare in un tanto negozio, essi o voi? Voi che non sapete nulla delle cose dell’anima, che già vi siete messa sotto de’ piedi per sfogar quella vendetta, per ritener quella roba non vostra, per continuare in quella disonestà, o pur essi che l’hanno posta in sicuro e regnano in Cielo? Eglino sono gli intendenti, ed a loro bisogna credere. Io vedo che nelle cose di mondo non credete a voi se non siete pratici, ma bensì ai periti. Vi fu una dama di gran conto, la quale per più anni portò al dito un anello in cui credeva che fosse legato un ricco diamante, ma s’ingannò, e fu miracolo, che in materia di vanità s’ingannasse una femmina, ed in sentirsi dire da un’orefice perito in simili gioie: questo non è diamante, ma brillo; tanto bastò, perché ella deponesse come vile ciò che prima pregiava come prezioso. Così si pratica nelle cose di mondo, si crede a’ periti; ma non già negli interessi dell’anima; poiché, quantunque tutti i periti asseriscano esser questa la legge universale, che chi mal vive, mal muoia, e che la speranza di morir bene e viver male, non è diamante, ma brillo, ad ogni modo si segue nella pessima vita. Sarebbe stata una sciocca, una stolta quella dama, se contro l’asserzione di quell’orefice perito avesse voluto tener per diamante quello che era brillo. E non sarete voi iniqui, peccatori, se invece di credere ai Santi, che sono i periti, vorrete credere a voi nulla intendenti dell’anima. Quando non vi bastasse l’autorità de’ Santi per arrendervi a credere esser tenuissima la speranza di salute in chi mał vive, ed esser quali indubitata una mala morte, vi convincano le parole di Dio. Attenti, è Dio che parla. Si secundum carnem vixeritis, moriemini … se vivrete secondo i dettami del senso, morirete di mala morte e vuol dire: avrete una pessima morte, se non lascerete quegli amori peccaminosi, quelle laide amicizie, quelle pessime corrispondenze; avrete pessima morte, se non fuggirete le occasioni di peccare, che è quanto dire veglie, balli, feste, giuochi, ove per esperienza sapete che per lo più l’anima vostra resta uccisa dal peccato mortale. Così parla Iddio; ed in un altro luogo soggiunge: Impii in puncto ad inferna descendunt, gli empi fanno una pessima morte, che è quanto dire, quelli che covano odi in cuore, che scrivono lettere cieche, che formano memoriali indegni che fanno quanto possono per atterrare l’inimico; che è quanto dire, morirete male voi tutti che ritenete mercedi, che falsificate pesi, che v’ingrassate con la roba altrui. Così parla Iddio; ed in un altro luogo si fa sentire: Iniqui Regnum Dei non possidebunt, morirete male o voi, che siete irriverenti nelle Chiese, o voi sfacciati ne’ templi; intendetela, quæ seminaverit bene, hæc et metet, se vivrete bene, morirete bene; se male, male. E chi non spaccerebbe per stolto quel villano che avendo seminato orzo, pretendesse di raccogliere grano; che, avendo piantato querce, aspettasse che producessero limoni. Se seminerete iniquità, alla morte raccoglierete iniquità. È pazzia, questo è un pretendere di dare un pugno in Cielo, questo è un pretendere tirare con un carbone nero una linea bianca. Padre di famiglia; che tu pretenda di vivere con nemicizie, con pratiche, con tanti mali esempi a’ figli, e poi morir bene? me la rido! Ecclesiastico: che tu pretenda di strapazzare o lasciare l’Offizio, di dir la Messa con tanto poco decoro, di farti vedere nelle botteghe, nelle feste etc., e poi morir bene è pazzia; parroco, che tu pretenda di non far niente del tuo offizio, e poi morir bene? È pazzia, padrone che tu pretenda di non aver cura de’ servitori, delle donzelle e sai, e vedi e dissimuli, e poi morir bene? È pazzia. Piano, volete toccar con mano, che morirete male? Qua, ditemi, dove morirete? E chi lo sa! E non lo sapete? Padre no; pure, dove credete? In questa mia patria; ma perché non a Venezia, a Bologna? Non ci andate voi? Padre sì, ma per lo più sto in Patria, onde è quasi indubitato, che morrò in Patria … Male, voi morirete in Patria, perché per lo più state in Patria. Voi morirete in peccato, morirete male, perché per lo più state in peccato, a mala pena state in grazia di Dio quel giorno della Comunione: chi mal vive, mal muore. Prendete pure tutta la Sacra Scrittura, leggetela e rileggetela, e da per tutto troverete minacce che chi mal vive, male altresì muore. Che dite, che rispondete? E non tremate a proteste sì orribili della Divinità? Sto a vedere, che voi dopo aver data una mentita ai Santi, abbiate altresì ardire di darla a Dio. Chi mal vive, mal muore, questa è legge assai universale, e vi vuol di molto per dispensarla. Or pensa, peccatore qual merito abbia tu presso la Divinità, perché a favor tuo dispensi a questa legge; anzi rifletti, che la tua vita quasi necessita Dio a confermarla sopra di te a tua rovina. Temono i Santi di morir male, e non temono i perversi. Tanto appunto successe nel vascello del disubbidiente Profeta Giona. Si sollevò, come sapete, quella gran tempesta di mare, e da tutti si temeva lo scompaginamento del legno e la perdita delle robe e delle vite. Tutti per tanto quanti erano marinai, quanti passeggeri altamente temevano, e tutti si affaticavano ammainando le vele, vuotando la sentina, alleggerendo il Vascello, chi dava ordini, chi consiglio, chi aiuto, tutti piangevano, tutti gridavano, tutti sospiravano, e Giona? E Giona, che era il delinquente, quello per cui si era sollevata la tempesta, profondamente dormiva senza punto risentirsi al grande strepito, Jonas dormiebat sopore gravi, né mai si svegliò, finché il pilota non lo scosse e gli disse: surge, invoca Dominum Deum tuum. O quanto spesso succede: chi è innocente teme, chi è colpevole nulla paventa. I Santi temono di morir male, e son Santi; e voi colpevoli vi credete dover morir bene? Eh pazzi che siete … Quid tu sopore gravi deprimeris. Surge, surge, invoca Dominum, sorgi dalle tue disonestà, altrimenti morirai male; Surge da quelle bestemmie, altrimenti andrai in un luogo ove bestemmierai per tutta l’eternità; surge … torno a dire, temono i Santi e tu non vuoi temere? Se io leggo gli scritti di San Bernardo, io vedo che egli spesso si protesta con i suoi monaci d’aver gran paura di perdersi; e pure, se si scorre la sua vita, si trova che quella purità che trasse dal ventre materno, quella conservò illibata fino all’ultimo fiato; che per avere incautamente mirato una femmina, ne fece tal penitenza, che si ridusse in fin di vita; troverete che egli abbandonando le ricche facoltà, si rinchiuse in un chiostro a menar vi vita austerissima; che fu sì mortificato negli occhi, che sempre li tenne bassi, sì mortificato nel gusto, che sol si cibava di foglie cotte, ed il suo pane era o di orzo o di miglio; e pure egli torna a protestarsi d’avere gran paura d’una mala morte. Né solo Bernardo con una vita da santo temeva, ma temeva altresì quel gran lume delle Spagna Giovanni d’Avila, che dopo aver consumata tutta la vita in servizio di Dio arrivò a temere di morir male; e perciò richiedeva un anno di vita per piangere le sue colpe; temeva altresì quella serafina d’amore Maria Maddalena de Pazzi, che in tutta la sua vita conobbe solo Cristo per amarlo, e se stessa per strapazzarsi, e pure prima di morire richiede al suo confessore, se morirà bene o male. Dio immortale, teme di morir male un Bernardo, che con quella purità che nacque, con quella morì, e spera di morir bene quello che superò l’età con la malizia, e che fino dalla puerizia principiò ad imbrattarsi nelle lascivie, e pur finora segue? Teme morir male chi sempre procurò salvar anime, e spera di morir bene chi sempre le condusse al precipizio? Fin ne’ postriboli? Teme di morir male chi amò sempre Gesù, e strapazzò se stessa, e spera di morir bene chi sempre vilipese Dio, conculcando i suoi Divini precetti, mettendosi sotto de’ piedi quelli della Chiesa, e spera di morir bene chi sempre visse tra le crapule, tra feste, tra conviti, tra veglie, tra gli amori indegni? Eh toglietevi di capo questa pazzia, ed intendetela una volta esser questa la legge assai universale che: chi mal vive mal muore. – Se per farvi risolvere a credere questa verità non vi basta né l’autorità de’ Santi, né le parole di Dio, né pure il timore di quelli che, quantunque fossero vissuti bene, temevano di morir male, vi convinca la ragione, ed è, che non merita d’avere una buona morte chi non se ne cura, e nulla opera per averla chi la disprezza posponendola a tutte le cose del mondo, e chi fa quanto può per non averla buona. Non parlo in aria, no! Cominciamo e cominciamo. Non è dovere, che Dio dia una buona morte a chi non se ne cura; e perciò nulla opera per averla. Cosa fate voi per avere una buona morte? Nulla! Dunque non ve ne curate. Attenti, ve lo dimostro. Pensieri, parole ed opere devono trafficarci una buona morte . I pensieri vostri sono di Paradiso o d’inferno? D’inferno, d’inferno, così non fosse. Li vostri pensieri sono tutti intenti alla vendetta, alle crapule, alle disonestà, e piaccia a Dio che neppure per un’Ave Maria si pensi al Cielo. Le vostre parole son di Paradiso, o pur d’inferno? Imprecazioni, bestemmie, spergiuri, toglimenti di fama, ragionamenti sporchi, sono il pascolo delle vostre lingue, e Dio sa, se un quarto d’ora s’impieghi in dir la corona. Le opere sono di Paradiso o di dannazione? Traffici illeciti, laide disonestà, furti e rapine occupano tutto il giorno, sicché a mala pena si ode la Messa ne’ di festivi. Questo è il vivere di non pochi Cristiani, pensare, parlare ed operar da demoni, e poi pretendere una buona morte. O che pazzia, voi non operate nulla per averla, onde mostrate non curarvene punto e poi la sperate? Eh via, ogni ragion vuole che non si dia una buona morte a chi non se ne cura. – Qua fronte, grida Sant’Agostino , postulas quod promisit Deus, et non facis, quod jussit Deus? E come speri d’avere una buona morte se altro non fai che procurarla pessima con i peccati? Non è dovere, no, che si dia buona morte a chi non se ne cura, nulla operando per averla; e molto meno è giusto, che si dia a chi la disprezza, posponendola, a tutte le cose del Mondo. Non è vero eh? Rispondimi iniquo, che vuoi tu, una buona morte, o la vendetta? La vendetta. Vuoi una buona morte o quella vanità scandalosa? La vanità. Una buona morte, oppur seguitare tra gli amori, tra le laide amicizie? Seguitar tra’ piaceri. Dunque, se tu la disprezzi, posponendola a tutte le cose del mondo, non è dovere che tu l’abbia. E se non è dovere che si dia una morte buona a chi la disprezza, posponendola a tutte le sue passioni, molto meno è dovere che si dia a chi fa quanto può per non averla. Voi sì con i vostri peccati fate quanto potete per non avere una buona morte, e stimolate Dio a permettervene una pessima. Voi sapete che quei contratti usurari, quantunque comincino col nome di Dio, si finiscono però con la dannazione de’ contraenti, e pur li volete fare. Voi sapete che salendo quelle scale dell’amica scendete quelle dell’inferno, e tanto volete tornarvi. Voi sapete che tanto è trattar con quel compagno, quanto imbrattarsi di lascivie, e pur non lo lasciate. Se andate a quei ridotti, a quelle bettole, a quei giuochi, voi sapete che mai ne uscite senza aver macchiata l’anima, e pur ritornate. Questo è fare quanto si può per avere una mala morte, e poi la sperate buona? O stolti; non l’avrete, no, troppo vi raccomandate per averla pessima. O questo no, Padre, che dite? O questo sì, vi rispondo io. Sentite bene. Voi peccatori iniqui per avere una pessima morte ne porgete tutto di quasi memoriali a Dio; Come è possibile? Eccolo. Sappiate, che ogni qual volta voi commettete un peccato mortale, voi porgere quasi un memoriale al diavolo, acciò che egli lo presenti a Dio ed in esso stanno scritte queste parole espressevi dalle vostre pessime operazioni. Signore, nelle di cui mani sta il salvarmi o dannarmi, vi supplico che mi neghiate il Cielo, e mi diate inferno, che è quanto dire una pessima morte. Quanti, o quanti ne avete finora inviati al tribunale di Dio di questi memoriali per mano de’ diavoli e poi siete sì sciocchi, che vi stringete in pugno una buona morte. Chi mal vive mal muore, questa è la legge assai universale. Se volete una buona morte, bisogna morire al peccato e vivere a Dio. Bona mors est, dice San Bernardo, si peccato moriaris, et justitiæ vivas. Quando finora non siate restati convinti a capire questa verità, vi strozzi almeno la ragione d’una certa equità, che porta seco non dover fare una buona morte a chi visse male. Non v’è chi dubiti che Dio vuole, che differentemente sia trattato il reo dall’innocente, l’iniquo dal giusto. Alzate dunque le pupille vostre al Cielo, e rimirate colassù nel Paradiso Luigi Gonzaga della Minima mia Compagnia, e rimiratelo con quelli occhi che ve lo vide la Serafina di Firenze Maria Maddalena de Pazzi, allorché tutta estatica esclamò o che gloria è mai quella di Luigi figlio d’Ignazio. Or sappiate, che questa gran gloria gli fu guadagnata con una santissima vita, che vale a dire, per mezzo d’una purità angelica, la quale non gli permetteva di rimirare in volto neppure la propria madre, per mezzo d’un staccamento totale da tutte le creature del mondo; e questa vita gli partorì una morte giocondissima tra le braccia di Gesù e di Maria. Or ditemi: qual ragion mai vuole che quel giovinotto simile à Luigi nell’ età, ma dissimilissimo ne’ costumi, perché tutto disonesto e tanto attaccato alle creature, dovesse poi sortire una simil morte? Appunto, chi mal vive mal muore, così ogni ragione d’equità richiede che abbia morte buona chi visse bene, mala chi visse male. Ecco lassù la Vergine e Martire Santa Lucia, ella gode la Gloria del Paradiso, ella tripudia tra quello stuolo di vergini; ella vive e vivrà sempre beata; ma perché? Perché mentre visse, visse innocente, visse illibata, visse tra patimenti e morì tra’ martiri, e questa vita innocente, condotta tra tante pene, gli meritò una giocondissima morte. Or qual ragion vuole che quella donzella d’età poco o nulla dissimile a Lucia, ma dissimile ne’ costumi, perché dedita ai balli, alle veglie, agli amori, debba poi avere una buona morte? Appunto, appunto, ragion vuole, che muoia bene chi visse bene, e male chi male. Vedete Santa Monica, ella è in Cielo, ma come visse, quante lacrime sparse perché il suo figliuolo si convertisse a Dio. Parmi di vedere tra quegli splendori di beatitudine quella gran regina di Francia per nome Bianca, la quale altra preghiera non mandava a Dio, salvo che gli facesse morire il suo figlio, quando dovesse offenderlo, ed un tal vivere partorì a questa, quella felice morte che fece. Or come pare a voi, che sarebbe giustizia che una simile morte sortissero quelle madri le quali non solo non allevano bene i figli, ma li lasciano tra gli amori, e molte volte chiudono gli occhi ai peccati? No, no, non è dovere che abbiano queste scellerate madri quella morte gioconda, che si concede alle Sante. Del pari dunque ha da essere trattato da Dio chi, simile a Francesco d’Assisi, rinunziò quanto aveva e tutto diede per limosina, con chi succhia il sangue de’ poveri, e tutto dì li spoglia? Una egual morte gioconda ha da sortire chi simile a Giovanni Gualberto perdonò all’inimico, e chi si porta da Caino fratricida? E sarà dovere che un Sacerdote, che visse scorretto, immodesto nel parlare, sfacciato nel guardare, che interveniva a balli, che mentiva gli abiti sacri, che fomentava amori, faccia una morte simile a quella di chi con mani pure e con cuore angelico sempre offriva l’Ostia adorata? No, che non sarà, no; levatevi di testa questa presunzione di morir bene se vivrete male, perché balzerete nell’inferno. Sì, sì, morirete male o giovani che, divenuti avvoltoi, andate in preda anche delle colombe di Dio. Voi, che singolarmente ne’ dì festivi andate in Chiesa con tanta baldanza, che pare che per i Santi sia, non il giorno della festa, ma della berlina. Voi o padri e madri di famiglia, che usurpate la roba altrui per lasciar ricchi i vostri figli. Sappiate tutti voi, che per voi, se non muterete vita, non vi è buona morte. Dunque o peccatore mio amatissimo, e vorrai perderti? Non sia mai vero; vivi bene per morire bene, ma se vivrai male, male altresì morirai. – Se bene pensate, se i peccatori ciechi per la passione, hanno mente da conoscere esser questa ragion d’equità, che chi mal vive mal muoia. Se così è, già che i peccatori sono grossolani, né restano convinti, salvo o da quel che vedono con gli occhi corporali, o dalla esperienza di casi seguiti. Questa dunque sia l’ultima batteria che vi convinca, mettendovi avanti gli occhi un funestissimo caso di chi, se visse male, male altresì morì. Vergine Santissima assistere al funesto racconto, e voi UU. non vi distraete. Viveva in una Terra della Marca non ha molti anni, un giovine con una rea compagna. Quando, una sera, allorché cenavano, cadde giù nella stanza un piccolo sassolino; credette il giovine ingelosito, che fosse segno di qualche corrispondenza con altro; poi finita la cena cadde un altro sassolino, sicché il giovine allora più che mai ingelosito, dié su le furie, e principiò non solo a sgridare, ma a percuotere la scellerata compagna, volendo che ella confessasse quali altre corrispondenze tenesse. Asseriva la donna non aver altra amicizia che la sua, lo giurava, l’attestava con mandarsi orride imprecazioni, e tutto ciò si udiva da una vicina, che a muro a muro le stava a lato. Quando (o caso orrendo) cadde loro addosso tutta la casa e li uccise vivi e li seppellì morti. Corsero i vicini al fracasso, si pose il popolo a levar via i materiali per ritrovar quei due corpi che, in quanto alle anime, certo non poteva ritrovarle, perché eran perdute, e fu cosa veramente di stupore, veder che sotto i sassi eran rimasti interi, non che i piatti anche i vetri, acciò si sapesse che diede la morte a quegli empi, non la disgrazia, ma Dio. Chi mal vive mal muore. La volete intendere sì o no? Rispondetemi, volete morire da buoni Cristiani? Padre sì. Padre no, perché avete un sì nella bocca, e cento no nelle mani. No, che non vuoi morir bene o giovane, perché hai un parlar sì laido che se la tua lingua non fosse di carne, lo diverrebbe. No o mormoratore, che laceri la fama altrui, che non porti rispetto né ad età, né a sesso, né a condizione. No, o potente, che t’ingrassi col sudore de’poverelli, e fai sacrificio alla tua ambizione ed al lusso con le loro lacrime. No, o avaro, che per la roba male acquistata lasci in testamento a i figli la dannazione. No o pittor sacrilego, che con i tuoi sozzi pennelli fai lance a Cristo e stiletti alle anime. No, no, che non vi volete salvare o peccatori qualunque vi fiate se non mutate vivere, perché chi mal vive mal muore. Deh per amor di Dio, vi dirò con Salviano: miserere animæ tuæ, cujus vides miseratione me frangi … abbiate compassione della vostra povera anima, di cui vedete quanta ne ho io, che non perdono a fatica per salvarvela, e credo che darei anche il sangue, quando tanto bisognasse. O quanto desidero che vi salviate; ma son costretto a dire col mio Saverio: ego id quod valde cupio, tam parum spero, quanto più lo desidero tanto meno lo spero. Deh per l’amor che portare a Maria non vi fidate, mutate vita se volete fare una buona morte. Miseri voi, che quando sarete laggiù dannati, ahi, ahi, direte, che non abbiamo voluto credere né ai Santi, né a Dio, né cedere alla ragione, né ad ogni dover di giustizia, né pure alla stessa esperienza, che chi mal vive mal muore. Ed ora conviene, che non solo lo crediamo, ma lo proviamo.
LIMOSINA Qui in Nomine Christi, dice il Damasceno, pauperibis subvenit, centuplum recipiet, chi dà ai poveri per amor di Dio, riceverà il centuplo. Non poteva tollerare l’Imperatrice Sofia, che Tiberio suo consorte fosse tanto liberale verso de’ poveri, e lo rimproverava, dicendogli che per sovvenire i mendici avrebbe impoverito il regno. Non così la discorreva Iddio, che un giorno nel levarsi da un pavimento una croce, gli fece trovare tant’oro che formava un tesoro, ed indi a poco fece pervenire nelle sue mani un tesoro molto maggiore nascosto già da Narseste in una cisterna, in cui erano tanti milioni d’oro, che per trasportarli al palazzo vi fu necessaria la fatica di più uomini e di più giorni.
SECONDA PARTE.
Miei UU. il mio discorso non ha mostrato altro se non che chi male vive, mal muore; ora faccio un passo più avanti e dico … e chi mal muore sarà finito per sempre, non potrà sperar mai di mutare stato, no, mai, mai. Si ceciderit lignum ad Austrum aut ad Aquilonem, in quocunque loco ceciderit, ibi erit. O che protesta da far raccapricciare ancora un animo di macigno. Da quella parte, dice l’Ecclesiastico, dalla quale cadrà l’albero quando verrà tagliato, da quella dovrà rimanersene immobile. Se cadrà all’austro, rimarrà all’austro. Se cadrà all’aquilone, rimarrà all’aquilone: Si ceciderit lignum ad Austrum, aut ad Aquilonem, in quocunque loco ceciderit, ibI erit. Per austro s’intende la parte de’ predestinati; per aquilone s’intende la parte de’ presciti; da quella dunque dalla quale cadrà l’uomo, quando a guisa di albero sarà reciso dalla mano implacabile della morte, da quella dovrà restar per tutti i secoli, o eterno pianto, o eterno riso, o eterna povertà, o eterna ricchezza o eterna miseria, o eterna felicità. Chi però saprà dire a ciascuno di noi qual sorte finalmente ci toccherà? eh non è difficile indovinarla. Quando si sega un albero, da qual parte viene a cadere? Da quella dalla quale pende: se pende a destra, cade a destra, se pende a sinistra, cade a sinistra. Orsú, non accade più cercar altro: peccatore, peccatrice, da qual parte pendi tu ora? pendi sempre a sinistra? Sempre compiacere il diavolo. Tu sempre pendi a sinistra, e poi pretendi, morendo, cadere a destra? Pretendi morir come un Santo fra le braccia d’un Crocifisso? Oh quanto t’inganni. Se vuoi cadere a destra, pendi a destra, che vuol dire, muta vita! Ahimè, che cotesta tua vita non è da chi brama fare una buona morte, e perché? Chi mal vive, mal muore, tale è la legge, e legge assai universale. Può avvenire qualche volta il contrario, non lo nego, ma questo è per accidente, e però che prova? Chi dai casi accidentali vuol prendere a regolarsi in opere di momento, è uno scimunito. Ma la misericordia di Dio non è grandissima? Certo, certissimo. Ti basti di sapere che ella ha tollerato ancor te fino al giorno d’oggi, guarda se è grandissima! Ma che? Questa misericordia, benché grandissima, non lascia andare all’inferno tanti Gentili, tanti Turchi, tanti Tartari, tanti Ebrei? Che meraviglia però, se lasci anche andarvi un Cristiano par tuo, abusandosi sempre de’ suoi favori. Anzi mira quanto io discorra diversamente da te. Tu dici che Dio ti donerà dopo una cattiva vita una morte buona, perché è misericordioso, ed io ti dico, che per questo medesimo che Egli è misericordioso, non vorrà donartela. Se Dio è misericordioso, a chi deve, come tale, aver più riguardo? Alla salute particolare d’un solo, come sei tu, o alla salute universale di molti? Alla universale di molti, non ve ne ha dubbio; ma quanti prenderebbero cotesto cattivo esempio, se essi vedessero che tu, dopo una vita menata contro ogni regola di ragione, sortissi fortunatamente una morte, qual fanno i giusti. Quanto però rimarrebbero nel loro cuore scandalizzati i pusilli, quanto tituberebbero i buoni quanto trionferebbero gli empi, e quante anime conseguentemente verrebbero a perdere il Cielo per una che l’acquistasse; adunque spetta alla misericordia divina, siccome ancora, alla divina Giustizia, disporre in modo le cose, e permettere, che per lo più, chi visse male muoia male, altrimenti qual dubbio, che tutto il mondo verrebbesi a popolare d’iniquità, che si diserterebbero i chiostri , che si desolerebbero i cleri e che appresso il volgo ignorante rimarrebbero in derisione tutti quei Macari, quegli Arsenj, quegli Ilarioni, quei che vollero comprare a così gran costo ciò che da’ Cristiani, anche perfidi, anche protervi si soleva ottenere a sì vil prezzo. È grande dunque la misericordia di Dio, è grande, grandissima, ma per chi la vuole usare, non per chi la vuole abusare, altro è ricorrere alla misericordia di Dio dopo il peccato, altro è peccare perché rimane il ricorso alla misericordia; il primo è volere che la misericordia perdoni il peccato, il secondo è volere che lo protegga, e questo non sarà mai. Adunque, che si ha da fare? Mutar vita.