LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (14)
LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI
dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni
SESTA EDIZIONE – TORINO I88O
Tip. E Libr. SALESIANA
IX.
LE TROMBE DEL CIARLATANO E PRIMA I GIORNALI.
Voi dunque dovete guardarvi dalle dottrine che spaccia il gran ciarlatano il mondo: e. ciò non solo nei punti, che ho toccato del suicidio e del duello, ma in tutto che dice ed insegna, perché il mondo, per vostra regola, oltr’essere, un gran ciarlatano, è anche un gran pazzo: non basta; ma di ciarlatani e di pazzi ai suoi servigi ne mantiene una baraonda senza fine, che d’ogni parte vi assiepano, vi circonvengono, vi stordiscono, v’intronano … Carro vuoto (dice bene quel proverbio) fu maggior fracasso. E col fracasso appunto, col vociare alto e sonoro, col piglio di gran baccalari, e’ s’ingegnano supplire alla buona ragione che lor manca. Chi ha la ragione dalla sua non ha mestieri di gridar tanto alto: pur pure in mezzo a questo gran buscherio che ci fanno d’attorno, non disdirà anche a noi alzar un tantino la voce, come si fa in una conversazione, quando un qualche trombone ci assorda; che se vogliamo farci intendere, ci è forza anche noi, date le spalle a monna creanza, alzar un tantino il corista. E di tromboni e di trombe il gran ciarlatano ne ha a dovizia, dalle qual v’è d’uopo guardarvi, se no, ne avreste sì intronate le orecchie, che vi ne verrebbe il capogiro. – Prima tromba, cari giovani, sono i giornali; parlo de’ cattivi, s’intende cioè, per nostra disgrazia, dei più e vi domando; lo sapete voi che di venti e più anni questi sono un flagello, una piaga del nostro bel paese, peggiore di tutte insieme le dieci piaghe d’Egitto? Oh potessi dirvi l’un cento del male che fanno a furia di ciarlatanesche strombazzate. – Platone che dalla sua repubblica volea cacciati i poeti, fu tacciato di soverchio rigore; ma se i poeti d’allora erano come i nostri giornalisti d’adesso, credo che ogni onesto gli batterebbe le mani. A ogni modo togliete pur via i giornali, e statevi tranquilli, che la repubblica letteraria non avrà a patirne detrimento. Ora frattanto, mentre che ci sono, e’ bisogna guardarcene come dal contagio, e voi, miei giovani, se ascoltate il mio consiglio, non li leggerete, non li guarderete nemmeno. Ei vi pervertirebbero in poco d’ora le idee, il giudizio, il buon senso, le idee, il giudizio, il buon gusto … Sì, anche il buon gusto. E che avreste a impararci, in grazia, da quello scrivere contorto, smanioso, barbaresco che fanno i più dei giornalisti, che hanno sempre Italia sulla punta della penna, e non sanno rabberciare a garbo un periodo, esprimere italianamente un concetto, e questo dolcissimo idioma che Dio ci ha dato, che pare un’emanazione del nostro bel cielo, lo sformano, lo snaturano, l’imbrattano a tutto pasto, infarcendolo di solecismi e di barbarismi da spiritarne cani? O povera nostra, lingua; a che mani ci sei venuta! – Per carità, giovani cari, se punto vi cale de’ vostri studi, del buon giudizio, del buon gusto, e sapere scrivere due righe d’italiano, leggete, non osa sì, che fate bene; ma! intendiamoci; buoni libri, si: giornalacci, poi, no, no mai! – E questo che ho detto, notate, è che non ancora il men male. Se dalla lingua passiamo al pensiero, dallo stile ai concetti, dalla scorza al midollo, Dio mio! che idee stravolte! che granchi! che bestialità!… E non è mica sempre facile, ad un giovane specialmente, di accorgersene; perchè in difetto d’altre cose, questi, cosiffatti. Scribacchini hanno sì bene appresa l’arte di falsar le idee, le parole, i nomi stessi delle cose, che uno più non ci si raccappezza. Togliete ad esempio Libertà; chi ne capisce più nulla?… Tolleranza; la levano a cielo, ma poi guai a chi non pensa e dice e fa come loro. Indipendenza; ed essi per primi si danno devotissimi servi alla GRAN BESTIA, e non restano dal lisciarle, la coda.; Amor di patria; eh via! L’udimmo tanto menare e rimenare da certe bocche questo nome così sacro, che ormai un uomo one non osa più proferirlo. – Che se poi, non paghi alla politica, e’ t’entrano, come suol dirsi, in sacrestia, apriti cielo!. spacciano di quelle che non hanno vabbo nè mamma. — Ma e chi son dunque costoro, che ci appestano l’aria? Italiani? Che volete vi risponda?.., In Italia, almeno la maggior parte, sì, pur troppo! ci son nati: ma italiani non oserei dirli davvero; anzi né italiani né Cristiani, che si putono di barbaro e di volteriano a mille miglia. Giovani, il più, di primo pelo, teste intronate che suonano a fesso come le campane rotte, saggiati appena i primi studi, odorato alla larga un po’ d’enciclopedia alla moderna, letto un buon dato di robaccia forestiera, imparati certi paroloni e frasi sonanti da tener a bada il popolino, ecco che s’impancano a maestri d’Italia, anzi di tutto quanto il genere umano: essi gli organi della pubblica opinione, essi gli educatori delle plebi; questo, se nol sapete, il loro apostolato, questa la loro missione. Boom!.. E chi glie ne diede, in grazia? Il gatto ?…. E così, con sì bei titoli e santissimi fini, s’accomodano coraggiosamente nascosti dietro il nome d’un paltoniere qualunque a frecciare non visti il terzo ed il quarto, lanciar la pietra e nasconder la mano, gettare del loro fango su tutto e su tutti…. Giù lo maschera, vigliacchi! Uscite dalla macchia e combattete a viso aperto, se ne avete il cuore!…. Oh quante vergogne di meno, se ci calasse dal cielo un buon governo che avesse coscienza e coraggio di intimar loro: — Volete parlare al pubblico? E voi mostrategli il viso. Ciarlatani,. pazienza; ma ciarlatani camuffati da eroi, non ne vogliamo, non ne vogliamo. — Recatomi un giorno da un amico e non trovatolo in casa, mentre stava aspettandolo, mi misi, così per far ora, a leggere su un giornaluzzo che trovai li, quello che chiamano elegantemente, l’articolo di fondo. Lo scrittore parla solla gravità d’un Catone in Utica, in persona prima plurale, come i grandi personaggi fanno, e trinciava a dritto ed a rovescio, non sol di politica, ma e di filosofia, di teologia; di storia, e di non so quante altre cose: strafalcioni che Dio vel dica! Tornato l’amico: – chi è (l’inchiesi) che scrive di queste babbuassaggini? — Il tal di tale, mi risponde. Non potei tener le risa. Era il più gran lasagnone di questa terra, un giovinastro sciupato che io, anni avanti, aveva avuto scolaro, e so quanto pesava! Ché senza fargli torto, è sempre stato il più asino tra gli asini. Oh vedete, giovani miei, come anche gli asini in questa nostra felicissima età, possono impennar l’ali e volarsene alle stelle! Tant’è; Sic itur ad astra. E mi sovvenne la nota favoletta d’Esopo. —L’asino, coperto d’una pelle di leone, andava attorno spaventando eli animali: e veduta la volpe, volle provarsi a farle una grossa paura anche a lei. Ma la volpe che è volpe: — ti conosco al raglio — e se ne rise, Or di cosiffatti asini, vo? sappiate, miei cari giovani, che ce n’ha un buon dato. Ma io mi starò contento a dirvi di uno che conosco assai bene, camuffato, non da leone, ma da cittadino; il quale, udito ch’era uscito il libretto della Gran Bestia, tratto senza dubbio da simpatia di razza, volle vederlo; ma trovatovi cose che forse non pensava, cioè, che della BESTIA ne dico corna ad ogni pagina, volle pigliarne una sua vendetta. — O quale? Sentite. Mi stampò contro un articoluzzo di poche righe, intitolandolo: Risum teneatis, che vuol dire: si tenga dal ridere chi può. E fece bene a darne avviso al lettore, perché davvero son tutti da ridere gli argomenti che mi sfodera contro. Ne volete sentire?… Sì, ve li copierò tali e quali: è bene che pigliate un’idea della sodezza con che ragionano certi giornali. Attenti.
1° Argomento. Mi chiama un tal reverendo, non sappiam bene, aggiunge (ehi, sentite plurale? Cavatevi la berretta e zitti!) non sappiamo bene se prete o frate … Balordo! Bastava leggere il frontespizio per saperlo.
2° Argomento. — Ignoriamo (bravo! È proprio il verbo dell’asino, e messo così al plurale, ha certa maestà!) ignoriamo se il rev. Autore abbia relazione col rev. anonimo che propaga lunari e libri ascetici editi da una società di corvi e gufi per istruire il popolo. — Non vi spaventate, cari giovani, di quei corvi e gufi: son parole e non più; parole d’effetto magico… pei gonzi. Quanto alla sostanza; lo ‘scrittore ignora. Ebbene io gli lascerò la sua ignoranza che gli sta tanto bene, e gli dirò: — Confutate il libro, se vi basta la vista, poi parleremo delle relazioni e dell’anonimo.
3° Argomento. — Dice che riporta un brano dell’opuscoletto (ahi! Perché sbranarmelo così il poverino!) come prezioso saggio dell’istruzione fornita dagli affigliati (eleganza di moda) della società di s. Vincenzo. — Brrrr!…. libera nos Domine! Ma come il sa egli che sono affigliato, se ignora persino chi io mi sia?
4° Argomento. — Reca quel tratto o brano del capo XIII, dove: mostro colla Scrittura, coi Padri e cogli interpreti alla mano; che la colpa di Adamo fu in gran parte effetto della stolta condiscendenza d’Adamo alla donna; per indi dedurre che non piccola parte ebbe in essa, e nelle miserie che ne conseguitarono, l’umano rispetto; e finite quelle mie parole, conchiude secco secco così: — O sei un gran pazzo, o un gran citrullo: punto e basta. E grazie del complimento! Che ne dite, cari giovani? Non son proprio le carezze dell’asino? E così avete un’idea delle valide ragioni, o meglio dei raglioni sonori, con cui, in prima persona plurale, con pochi paroloni di civiltà moderna, e con meno fatica, si può confutare, nel secolo decimonono, un buon libro qualunque. Che ne pensate? C’è egli da spaventarsi o da ridere? … Per me, questa volta almeno, do tutte le ragioni alla volpe.