VIVA CRISTO RE! (19)

CRISTO-RE (19)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XXIII

CRISTO, RE DELLE MADRI.

Nel presente capitolo esamineremo la più alta missione che Dio abbia dato alla donna: la missione della maternità. Dio ha fissato una missione peculiare per ogni essere di questo mondo. Qual è la missione primaria, la più peculiare, la più importante della donna? La missione di essere madre. E non solo in senso fisico, ma anche in senso spirituale. È questo il punto che vorrei sottolineare in modo particolare a quelle ragazze addolorate che, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, non sono riuscite a sposarsi. Devono rendersi conto che, nonostante tutto, questo non impedisce loro di aspirare alla maternità, anche se solo in senso spirituale. Infatti, è lo stesso spirito che spinge una donna a esercitare il suo ruolo di madre curando ed educando i figli, così come quello che opera in un’infermiera, in un’insegnante, in una religiosa, in una catechista per svolgere il suo compito. – Se nelle pagine precedenti ho mostrato quanto la donna, in generale, debba a Cristo, permettetemi ora di sottolineare quanto debba a Lui come moglie e madre. – La nascita di Nostro Signore Gesù Cristo segna l’ora della redenzione per la sposa e l’ora della gloria per la madre. Ora di redenzione, perché il Signore ha restaurato l’unità, la santità e l’indissolubilità del matrimonio. Le sue parole sono per sempre memorabili: “Non avete letto che Colui che all’inizio creò il genere umano creò un solo uomo e una sola donna e disse loro: “Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne”? Ciò che dunque Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX, 4-5.6). E in un’altra occasione il Signore dice: “Chiunque divorzia dalla propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio, e chiunque sposa colei che è divorziata dal marito commette adulterio” (Lc XVI:18). Donne, madri, non sentite quanto amore per voi emana da queste parole del Signore? Ma c’è di più: sapete chi ha promulgato il primo decreto in difesa delle donne? GESÙ CRISTO stesso, quando pronunciò le seguenti parole: “Avete udito che fu detto ai vostri anziani: “Non commetterete adulterio”. Ma io vi dico che chiunque guardi una donna con desiderio cattivo di lei ha già commesso adulterio nel suo cuore” (Mt V,27-28). Donne, non sentite l’immensa gratitudine che dovete a Gesù Cristo? – Cosa deve una donna a Cristo? Innanzitutto, gli deve l’indissolubilità del matrimonio. Quanto sarebbe triste la situazione delle donne ancora oggi se un marito potesse divorziare dalla moglie quando vuole! Una donna sacrifica tutto al servizio del marito e dei figli: la sua bellezza, la sua forza, la sua giovinezza; ebbene, è lecito divorziare quando la sua bellezza è svanita? E quanti lo farebbero se fosse possibile! Spesso la Chiesa deve subire rimproveri rabbiosi da parte di donne divorziate civilmente che vorrebbero risposarsi: “La Religione cattolica è crudele, antiquata, non ha cuore, non mi permette di sposarmi! – Ma donna, non ti rendi conto che la Chiesa ti sta difendendo, non vedi che sta difendendo la tua dignità specifica, la tua condizione di compagna, non di serva, dell’uomo? Madre, devi mostrare una gratitudine speciale al Signore. Devi essergli grata perché non è più lecito che il marito prenda il bambino dal tuo seno e lo abbandoni, condannandolo a morire di fame. È merito di Gesù Cristo! Gesù Cristo, che ha steso la mano per benedire i piccoli di entrambi i sessi e ha detto: “Chi accoglie un bambino nel mio nome, accoglie me” (Mt XVIII, 5). – Quali sono i benefici che le madri devono a Cristo? Ecco il primo: la Vergine Maria, la cui figura esaltata dice a tutti gli uomini con quale alta considerazione dobbiamo trattare le madri. Tutto ciò che di sublime la Chiesa ha saputo creare nell’arte e nella liturgia, nelle immagini, nelle statue, nelle pietre preziose, nella musica, nel canto, nella poesia, lo ha posto ai piedi della Vergine Madre; e questo culto della Donna Benedetta, radicato in tutto il mondo, sta proclamando a gran voce il grande rispetto dovuto alle madri, soprattutto alle madri cristiane. “Madre cristiana!” Mentre scrivo questa parola un mare di sentimenti si agita in me. “Madre cristiana!” Mentre la scrivo, penso a tutti i dolori e alle fatiche di una vita piena di sacrifici. “Madre cristiana!” L’amore più grande che possa entrare in un cuore umano. Quanto l’umanità deve ai sacrifici delle madri! Non ci sono parole per descriverlo. Guardate il famoso scienziato, che è diventato tale grazie alle cure prodigategli dalla madre! Guardate il Sacerdote, come lo ha preparato l’amore di sua madre! Guardate la madre che veglia di notte al capezzale del figlio malato; guardate la preghiera delle madri, che sale incessantemente al cielo! Quanti altri esempi potremmo fare…! Considerate tutte queste cose e forse arriverete a capire cosa significhi l’amore di una madre cristiana. – In verità, tra i doni che Dio ci ha concesso, non ce n’è uno più eccelso di questo: aver avuto una madre fervente e cristiana. Donna che hai il titolo di madre, sii veramente una madre cristiana! Una madre è stata sepolta. La figlia sedicenne si precipitò verso la bara gridando: “Madre mia, portami con te!” Che lode per una madre! Che conforto ricordare una madre così!

II

Abbiamo visto a quale altezza Cristo abbia innalzato la dignità di una madre; studiamo ora come essa si sgretoli, come tale dignità perisca se si rinuncia a Cristo. Contempliamo una bella immagine della Vergine con il Bambino Gesù in braccio. Se dovessimo fare una statistica per sapere quale soggetto è stato più trattato dai pittori, credo che non potrebbe essere altro che quello della Vergine con Cristo, diverso da quello della Vergine con il Bambino in braccio. È la maternità, il compito più importante del mondo! Ma oggi viviamo in un mondo in cui si cerca in tutti i modi di privare la donna della sua più alta dignità. Oggi è di moda evitare la maternità, persino vergognarsi della maternità. Un simile peccato non è nuovo tra gli uomini; ma non è mai stato così diffuso come oggi, diventando addirittura uno stile di vita, un modo di pensare, un’intera mentalità anti-vita o contraccettiva. Come canta l’allodola nelle mattine di primavera; come gorgheggia l’usignolo; come cinguettano gioiosi gli uccelli canori di Dio! Perché, perché tutto questo? Per amore dei “piccoli”. Ogni canto, ogni nido, tutta la poesia della vita è per loro, per i pulcini. Anche il lupo più feroce, o la leonessa più feroce, rabbrividiscono di tenerezza quando si prendono cura dei loro piccoli nella giungla. Ma nella specie umana non è lo stesso, ci sono madri che guardano con orrore e persino con odio l’arrivo di una nuova prole, per chiudere la strada prima che i poveri piccoli abbiano avuto la possibilità di nascere. La bestia selvaggia si lascia uccidere per difendere i suoi cuccioli; la donna moderna fa il contrario, fa di tutto perché il suo bambino non venga concepito e, se viene concepito, che non nasca… con una freddezza spaventosa, per puro egoismo, perché non disturbi minimamente il suo benessere? Ecco quanto si abbassa la madre quando l’umanità si separa da Cristo. Essere madre ha sempre significato molta abnegazione, molta mortificazione, molti sacrifici; ma oggi significa non di rado avere un eroismo da martire! Se, in questi tempi, la moglie vuole essere madre, deve essere pronta a subire gli attacchi più duri. Il marito, l’amica, la vicina di casa, la portinaia, la sarta, la manicure…; tutti cercheranno, prima in modo cauto e subdolo, poi in modo palese, di farle capire che ciò che desidera è una temerarietà, una vera e propria barbarie, che i tempi non lo permettono. Madri, volete un pensiero che vi consoli in questi tempi? Pensate al severo rimprovero che Nostro Signore Gesù Cristo rivolse al fico sterile. Pensate alla Beata Vergine che, apprendendo per rivelazione dal cielo i misteri della sua divina maternità, scoppiò in un canto di gioia santa e traboccante: “L’anima mia glorifica il Signore… perché Colui che è potente ha fatto in me grandi cose…” (Lc 1, 46.49). Alzate gli occhi verso questa Madre Santissima, che ci mostra tra le sue braccia il Figlio amato, invitandoci a essere vere madri! Pensate all’umanità, perché siete il suo sostegno. E pensate anche alla patria eterna, che non potrete certo conquistare con i divertimenti, gli studi o il prestigio umano…, ma con l’alta missione a cui Dio vi ha chiamate, la buona educazione dei figli, come vi avverte l’Apostolo (I Tim II, 15), e compiendo fedelmente i vostri doveri di moglie e di madre.

* * *

Vorrei concludere queste righe con il caso tragico e sublime narrato nel libro II (capitolo XXI) dei Re dell’Antico Testamento. Saul, re degli Israeliti, aveva punito molto severamente i Gabaoniti; questi si vendicarono crudelmente crocifiggendo i suoi due figli e cinque nipoti sulla cima di un monte e, per rendere più dura la punizione, non permisero che fossero sepolti. Ed ora arriva una scena agghiacciante: Resfa, la moglie di Saul, appare e fa la guardia ai sette cadaveri per tutta la notte… per evitare che vengano fatti a pezzi dagli sciacalli. A tal fine, accende un fuoco e inizia a gridare per spaventare le bestie selvagge e farle fuggire… Sorge il giorno: i rapaci affamati si posano sui morti… e la donna lancia pietre contro di loro per tutto il giorno, affinché non si avvicinino… E così trascorre giorni e settimane, sempre di guardia accanto ai cadaveri dei suoi figli e nipoti. Per sei mesi! Alla fine i gibeoniti hanno pietà della madre e le permettono di seppellirli…. Che testimonianza del cuore di una madre! Eppure, in questo caso, la madre stava solo difendendo i cadaveri dei suoi figli morti. Voi, madri cristiane, difendete le anime vive e immortali dei vostri figli! Donne, siate orgogliose della vostra maternità, proprio ora che è così screditata. Prendete Nostro Signore Gesù Cristo come vostro Re, quando tanti Lo rifiutano. Madri: la vita familiare è malata, voi potete curarla! Madri, la vita sociale è malata e voi potete curarla! Madri, l’umanità intera è malata e voi potete curarla! Che il Signore del cielo faccia conoscere alle donne la grande missione a cui le chiama. Solo così il futuro della società e della Chiesa sarà sicuro.

CAPITOLO XXIV

CRISTO, RE DELLA MORTE

Cristo è Re non solo della vita, ma anche della morte.

La Chiesa dedica un mese intero, il mese di novembre, soprattutto ai defunti, e con questo ci dice di tenere sempre ben presente la morte. Dobbiamo dare sollievo ai nostri cari defunti, ma dobbiamo anche ricordare sempre la morte, in modo da acquisire la forza d’animo e la serenità che deriva dalla consapevolezza che siamo solo di passaggio. La Chiesa sembra indifferente quando ci grida: “Uomini! Ricordatevi dei vostri cari morti; ancor più: ricordatevi anche della vostra morte”. Ma ci parla della morte non per spaventarci, ma per incoraggiarci. I cimiteri ci annunciano la verità, anche se ci addolora; e per non farci disperare, la croce sta sopra le tombe. Cristo, re della morte, ci porta la resurrezione. Ma cosa ci predica la Chiesa nel ricordarci la morte? Ci predica una grande verità, una verità spaventosa: la vita dell’uomo su questa terra dura pochi decenni, e poi è finita. Tutti dobbiamo morire: io come voi. “Perché pensarci, perché rovinare il nostro buon umore”, si dice. E ci sono davvero molti che non vogliono pensare alla morte, in questo grave momento. Vivono come se dovessero vivere sempre in questo mondo, ma come si ingannano! Che si pensi o meno alla morte, ci si avvicina ad essa di momento in momento; la differenza tra l’uno e l’altro è che l’uomo che pensa spesso alla morte cessa di temerla. La morte è senza dubbio un potere spaventoso. Andate nei cimiteri…, cosa leggete sulle tombe? Che il bambino, l’uomo adulto, il vecchio, il potente come il debole, il povero come il ricco, tutti devono morire.

Ave, Cesare, morituri te salutant! Ti salutiamo, Cesare, noi che stiamo per morire. Questo è il grande grido che l’umanità grida incessantemente al passaggio della morte…; ma questo Cesare non lo perdona mai. Alza la mano per farci morire, non per esercitare la misericordia. Siamo condannati a morire dalla nascita. Il sonno, il cibo, i vestiti, il riposo, non sono che tentativi di sopprimere la morte. Alla fine essa vince! Quante cose ci dicono quei morti silenziosi: “Io ero come te, tu sarai come me”! Che ci si pensi o che lo si dimentichi, poco importa. “Vegliate, perché nell’ora che meno ve lo aspettate, il Figlio dell’uomo verrà”, dice il Signore. TALLEYRAND, il famoso politico francese, aveva molta paura della morte. La parola “morte” non poteva essere pronunciata in sua presenza. Non osavano dirgli della morte dei suoi migliori amici, tanto che non sapeva nemmeno che alcuni di loro fossero morti. Ma invano vegliava, invano si difendeva: un giorno si ammalò anche lui. Supplica il suo medico: “Le darò un milione di franchi per ogni mese che riuscirò a prolungare la mia vita”. Invano… Quando arrivò la sua ora, morì anche lui… “Quando venne la sua ora…” Come faccio a sapere che tra un anno non sarà arrivata anche la mia ora! “Chissà quando arriverà”, dice qualcuno per consolarsi? Sì, anch’io dico la stessa cosa, ma con un tono diverso: “Chi sa quando arriverà? Stiamo tutti in guardia, per evitare di fare la fine del maggiordomo di Re Salomone. È una vecchia leggenda. Si racconta che la morte bussò una mattina alla porta dell’intendente di Salomone e lo guardò in modo così strano, con tale sorpresa, che il potente cortigiano si sentì gelare il sangue nelle vene. Corse dal re: “Mio signore, grande re”, disse, “sono sempre stato un tuo fedele vassallo, non negarmi ora una richiesta: dammi il tuo destriero più veloce”. Il re non poteva rifiutare una simile richiesta e l’accolse. L’intendente saltò in sella al cavallo e…. Avanti, per fuggire in ogni caso!…. Per tutto il giorno spronò il suo cavallo ansimante…; voleva andare lontano… il più lontano possibile, per sfuggire alla morte… Quando scese la notte, cavaliere e cavallo si fermarono esausti per riposare un po’, lontano, sul ciglio della strada. Quando l’intendente salta, quasi senza forze, fuori dalla sella, mio Dio, cosa vede lì? Chi è seduto sul ciglio della strada, a guardare il cavaliere stanco? La morte. Il maggiordomo, esausto, si arrende al suo destino e dice: “Vedo che non posso scappare da te; eccomi, prendimi. Ma prima rispondi a una sola domanda: “Stamattina, quando sei entrato nella mia stanza, perché mi hai guardato con tanta sorpresa? – Perché avevo ricevuto l’ordine di prenderti al tramonto, qui, su questa strada. Sono rimasto sorpreso e mi sono detto: sarà una cosa difficile, quel posto è così lontano. Ma vedo che comunque sei venuto…”. La morte stava portando via l’amministratore. Cosa avverte il Signore… “Vegliate, perché il Figlio dell’uomo viene nell’ora che non vi aspettate” (Mt 24,42). La morte parla anche dell’orrore del peccato. La morte fa paura, perché? Perché la morte dell’uomo non faceva parte del piano originale di Dio, quindi cos’è il peccato agli occhi di Dio quando lo punisce con la morte? I nostri primi genitori, mangiando il frutto proibito, hanno mangiato anche la morte. Il piano originale di Dio prevedeva che anche il nostro corpo fosse immortale. Ma dopo il peccato, questo corpo è diventato fragile come un vaso di terracotta (è la stessa Sacra Scrittura a dirlo). E ancora più fragile: un vaso, se non viene danneggiato, può durare secoli. Ma la vita di un uomo è di circa “settant’anni, o forse ottanta”; in ogni caso, per quanto possa essere conservata, si risolve in un pugno di cenere. Che cosa sarà dunque il peccato, quando una tale punizione è stata meritata da Dio? Alla luce di questi principi, possiamo ancora avere un concetto frivolo della vita? I trappisti si salutano spesso in questo modo: Memento mori, “Pensa alla morte”. Anche noi dobbiamo meditare spesso su di essa. Soprattutto nelle ore di tentazione. – Lo specchio di NUMA POMPILIO, l’antico re romano, aveva un teschio come cornice con questa iscrizione: Hoc speculum non fallit: “Questo specchio non inganna”. Anche il pensiero della morte non inganna: sotto il suo suo influsso si dissipano molte tentazioni di peccato. Perché vivere da cristiano è talvolta difficile, e morire da Cristiano è facile: la morte, invece, è difficile per coloro per i quali la vita è stata facile. E la morte sottolinea la vanità del mondo. Essa proclama a gran voce la grande verità: non temere quando soffri, non fidarti troppo quando tutto va bene. – HORMIDA, un illustre persiano, si recò una volta a Roma, a quel tempo capitale del mondo. Al momento di congedarsi, l’imperatore romano gli chiese: “Cosa ne pensi di Roma? Non vorresti rimanere qui?” “Mio signore”, rispose il persiano, “in nessuna parte del mondo ho visto bellezze così ammirevoli. Ma se posso parlare sinceramente, vi dirò che queste bellezze non mi hanno abbagliato. Infatti, tra colonne, archi di trionfo, palazzi e templi magnifici, ho visto anche delle tombe; quindi gli uomini muoiono a Roma come in Persia? Quando ho scoperto questa verità, la bellezza più luminosa si è oscurata davanti ai miei occhi”. Questo persiano aveva proprio ragione. Anche io sono colpito da un pensiero ogni volta che mi trovo in un cimitero: “Se tutti questi morti, che riposano qui a migliaia, venissero ora resuscitati con il permesso di vivere, per esempio, per un anno, cosa accadrebbe? Vivrebbero con la stessa frivolezza, commetterebbero lo stesso numero di peccati della loro prima vita? Avrebbero una così bassa considerazione dei precetti divini? Sanno già che la bellezza, la ricchezza, la vanità, tutto, tutto passa”. Ma questo non è che un sogno di fantasia: i morti non possono tornare, non è più dato loro di riparare a ciò che hanno fatto. Ma si può ancora riparare. Pensate! Non avete forse offeso il vostro vicino, con il quale avreste dovuto fare pace? Non possedete denaro, oggetti di valore, che avete acquisito illegittimamente e che dovreste restituire? Non c’è nessuno a cui dovreste dire: “Oh, non fare, non fare quello che hai imparato da me? Potete ancora riparare a tutto. Non rimandate, non dite: lo farò. Non c’è potere al mondo capace di trattenere nel corpo l’anima che sta prendendo il volo: né le medicine, né le migliori cure prodigate ai malati, né i singhiozzi dei presenti; per quanto atroci siano le sofferenze che torturano il malato, egli non può morire prima, e per quanto possa ancora desiderare di vivere, non può vivere più a lungo di quanto la misteriosa legge di Dio gli permetta. Confessate, dunque, che è una follia pensare costantemente al corpo e trascurare l’anima! Non vedete come gli uomini dimenticano rapidamente i morti e come vanno facilmente a divertirsi quando lasciano il cimitero? Non capite come crolla rapidamente l’opera principale della vostra vita? Non pensate come coloro che non si sono mai stancati di lodarvi in vita vi dimenticheranno dopo la morte? Considerate, dunque, quanto sia pericoloso cercare il favore degli uomini e non cercare l’approvazione del Dio eterno. Per le stesse ragioni, la morte rende più importante la vita terrena. La morte non è la fine di tutto. Quando l’uomo muore, arriva il giudizio. “È tutto finito”, singhiozza la vedova mentre il marito morente esala l’ultimo respiro. Ah, non è così. Perché se fosse tutto finito… Ma non è finita. Al contrario: proprio morendo, siamo all’inizio: all’inizio della vita eterna. E tutto dipende da questo: come ho vissuto, in che stato sono morto. Spesso nei necrologi leggiamo queste parole: “Morto inaspettatamente”. Inaspettatamente? Ma quasi tutti noi non moriamo “inaspettatamente”? Non solo chi muore di infarto, ma anche la persona più gravemente malata, perché…. non si aspettava ancora la morte”. Tutti sappiamo che moriremo; ma tutti crediamo che non moriremo adesso. Pertanto, dobbiamo aspettarla, dobbiamo essere preparati. Non sapete dove vi aspetta la morte: aspettatela ovunque.

II

Le tombe ci ricordano la nostra morte! È qualcosa che ci rattrista, che ci toglie lo spirito. E cosa annuncia la croce sulle nostre tombe? Ci dice che c’è vita nell’aldilà, che Cristo è il Re sulla morte, perché Cristo è risorto dai morti e ha vinto la morte. Il cimitero è un terreno sacro, è il grande campo coltivato da Dio. I semi, le persone, sono stati seminati in esso affinché un giorno germoglino e si diffondano nella vita eterna. C’è una vita oltre la morte! Sì, chi vive per Cristo non teme la morte. – Il grande missionario SAN FRANCESCO SAVERIO morì consumato dalla febbre lontano dalla sua patria, su una piccola isola al largo della Cina, pronunciando queste parole: “Signore, in Te ho sperato; non sarò mai confuso”. – SAN CARLO in tutta la sua vita non fece altro che vivere per Cristo, ma guardò a Lui; così poté dire sul letto di morte: “Eccomi, vengo”. – SAN VINCENZO DI PAOLO morì con queste parole: “Che Egli stesso compia in me la sua santa volontà”. – SAN ANDREA AVELLINO sentì il colpo della morte sull’altare quando pronunciò queste parole, Introibo ad altare Dei: “Mi accosterò all’altare del Signore”. Durante le persecuzioni, un diacono in Africa stava giustamente cantando l’Alleluia pasquale dal pulpito, quando una freccia gli trapassò la gola e dovette finire l’Alleluia davanti al trono di Dio. Non importa… Cristo è il Re della morte! – Nella cattedrale di Santo Stefano a Vienna, c’è un monumento tombale che affascina. In groppa a un destriero agitato, un giovane principe in cotta di maglia sale su una collina fiorita. Ai piedi della collina si trova una fontana. Dietro di essa si nasconde la perfida Morte; la sua falce è nascosta dai bellissimi fiori. Il cavaliere si china verso la fontana; i riccioli dei suoi capelli gli cadono sul viso; nello specchio limpido dell’acqua, la volta azzurra del cielo. Si alza in piedi. La morte è su di lui. Nessuno è ancora riuscito a sfuggire a un simile colpo… E trecento anni fa, un cavallo tornò indietro senza il suo cavaliere, e il suo proprietario fu sepolto in quella chiesa. Oggi mi fermo davanti al monumento. L’iscrizione è stata cancellata dal tempo e non posso nemmeno chiedergli: “Bel cavaliere, come ti chiamavi? Nel fiore degli anni sei stato colpito dalla morte!”. Ma la sua anima vive! Facciamo un passo avanti. Un ampio sarcofago di pietra nella Chiesa. Molto tempo fa le spoglie del potente re, dominatore del mondo, davanti al quale si prostrarono migliaia di vassalli, si ridussero in polvere; ora anche lui è polvere. Non ci fermiamo nemmeno davanti al suo monumento, perché altri ricordi ci chiamano. Le pareti sono piene di lapidi di marmo con iscrizioni dorate. Corona, trionfo, sfarzo, benessere, bellezza, giovinezza, potenza…; queste sono le parole che ci è ancora permesso leggere sulle lastre consumate dal tempo, e da esse scaturisce la lezione: tutto questo splendore, tutta questa gloria, appartengono ormai al passato. Ma le loro anime continuano a vivere! Premo la mia fronte ardente contro il marmo freddo e grido alle profondità delle tombe: “Tu, eroico capitano; tu, nobile giovane; tu, principessa dal bel viso; tu, re sovrano; tutti voi che siete qui ridotti in cenere, avete pensato alla morte durante la vostra vita? Se lo avete fatto, ora sarete contenti di averlo fatto…”. Nessuno risponde, non sento altro che il battito del mio cuore. E nel momento in cui il pensiero schiacciante della morte mi opprime, sull’altare maggiore si sente il Vangelo della Messa per i morti: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv XI, 25-26). Parole consolanti! …. La Santa Messa continua e risuona il mirabile prefazio: “È veramente giusto e necessario, è nostro dovere e nostra salvezza renderti grazie sempre e dovunque, o Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. Nel quale rifulse per noi la speranza della felice risurrezione, affinché noi, che siamo rattristati dalla certezza della morte, fossimo confortati dalla promessa della futura immortalità. Perché per i tuoi fedeli, Signore, la vita non si spegne, ma solo si trasforma, e mentre la nostra casa terrena si sgretola, acquistiamo una dimora eterna in cielo…”. Cristo è la risurrezione e la vita. La nostra vita non si spegne, ma viene solo trasformata e ci viene preparata una dimora eterna in cielo. Cristo, nostro Signore Gesù Cristo! Tu sei anche il Re della morte!

* * *

Il momento della morte è difficile. Nessuno, per quanto vicino, può aiutarci a superarlo. Dobbiamo intraprendere da soli il cammino più difficile della nostra vita. Tuttavia… c’è una mano a cui possiamo aggrapparci. Una mano che è stata trafitta sulla croce. Una mano che ha teso la mano della misericordia al ladrone crocifisso. Una mano che si è posata nel perdono sul capo della Maddalena pentita…. La morte è una cosa terribile. Ma coloro che sono guidati da Cristo lungo il difficile cammino della vita non saranno oppressi; la prova non sarà difficile per loro. Come faccio a saperlo? Me l’ha detto una bambina. Una bambina malata. Uno dei miei colleghi Sacerdoti fu chiamato a confessare una bambina che stava morendo. La bambina era malata da tempo; sapeva che la morte si stava avvicinando; ma era così tranquilla che il Sacerdote le chiese: “Non hai paura della morte, bambina mia?” “Prima la temevo, ma da quando è successa quella cosa della vespa, non la temo più”. “Della vespa?” “Beh, sì. Ero seduto in giardino e all’improvviso è arrivata una grossa vespa che ronzava, ronzava e io avevo paura che mi pungesse…; ho gridato: Mamma! E mia madre mi ha sorriso e mi ha abbracciato, coprendomi completamente, e mi ha detto: Non avere paura, piccolo mio. E la vespa svolazzò… e ronzò…, salì sul braccio di mia madre e la punse…, e mia madre continuò a sorridermi: “Non ti fa male, vero? Guarda, sarà così anche con la morte, non ti farà male, perché il suo pungiglione è stato spezzato prima nel Cuore di Nostro Signore Gesù Cristo. Da allora non ho più paura della morte!”. – Che Nostro Signore Gesù Cristo ci conforti quando arriva la nostra ora e ci faccia vivere il pensiero che il pungiglione della morte è stato spezzato nel Suo Cuore…, nel Suo Sacro Cuore.

VIVA CRISTO RE (20)

QUARESIMALE (V)

QUARESIMALE (V)


DI FULVIO FONTANA
Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)


PREDICA QUINTA
Nella Feria feconda della Domenica prima

La terribilità dell’Universale Giudizio; per gl’orrori che precedono; per la severità dell’esame; per la sentenza, che sovrasta.


Cùm veneris Filius Hominis in majestate sua et omnes Angeli cu meo, tunc sedebit super sedem majestatis suæ, et  congregabuntur ante eum omnes gentes, et separabit eos ad invicem.


Così con quel che segue, descrive San Matteo la venuta di Cristo per giudicare il mondo.

Io per me son fuori di me; ne so con quali parole, con quai periodi abbozzar lo spavento di quella tremenda giornata, in cui saranno giudicati i vivi e i morti. So che sarà dies Domini, che vale a dire, dies irae, dies calamitatis et miseriae, giorno di sdegno, di furori, di stragi. Padre amato, Padre San Francesco Saverio; voi, che sì bene imprimeste nella mente de’ vostri UU. il terrore di questo giorno; Voi Vergine Santissima, che ben lo comprendete, avvalorate lo spirito mio abbattuto; il mio cuore, che palpita, la mia lingua che trema mentre io senz’altro principio, do principio. Preparate pure R. A. il vostro cuore ai terrori, agli spasimi: mentre io procurerò mettervi sotto gl’occhi la spaventosa giornata dell’Universal Giudizio. Girolamo ne’ suoi volumi, e Iddio si nell’Apocalisse, come nell’Ecclesiastico ce lo descrive così: ecco, che in un subito si vedrà ricoperto di densissime nuvole il cielo; finché, dalla serenità di un giorno allegro si passerà alle tenebre d’una oscurissima notte, la quale altro lume non riceverà, che dalla luna grondante vivo sangue, da’ lampi spaventosi che atterreranno da’ fulmini spietati che inceneriranno. A’ terrori del cielo corrisponderanno gli spettacoli del mare, il quale tutto tumido e fluttuante s’alzerà per quaranta cubiti sopra l’altezza de’ monti più rilevati, indi abbassandosi si profonderà fino a perdersi di veduta, mutando in tanto le acque in color di sangue, e sangue putrefatto; li pesci  e mostri marini, ancorché mutoli per natura, unitisi a gran schiere insieme, assorderanno d’insoliti clamori, e cielo e terra e in questa, ancor essa moribonda, ogni fiera, perché senza cibo, e senza riposo si stannerà da’ suoi covili gemendo e urlando, ogni erba de’ prati gronderà vivo sangue, ed in solite locuste, simili nella faccia all’uomo, ne’ denti al leone, nella coda agli scorpioni; s’avventeranno con fieri morsi ai peccatori, e ne faranno scempio crudele. Né qui finiscono gli orrori, poiché una grande aquila volando per l’aria griderà con voci di tuono, veæ veæ hominibus in terra, guai, guai a’ peccatori! Indi ferite da un Angelo più stelle ne cadranno pezzi a sterminio della terra. Dopo, scesi sopra di essi due milioni di Angeli sterminatori, guarniti di corazze impenetrabili di giacinto, scorrendo qua e là, su mostruosi cavalli a guisa di leoni di fuoco, faranno strage d’una gran parte degli uomini. – Ed è pur vero che questi preludi d’una giornata così tremenda, non son soli, v’è di peggio, perché unitamente à questi portenti armerà Iddio tutte le creature a danni del peccatore, pugnabit omnis creatura contra insensatos. Alle armi, alle armi dunque … orsi, tigri, pantere alle armi, non siete più soggette all’uomo. Fuori dalle vostre foreste, sfogate le vostre crudeltà sopra de’ peccatori. Leopardi, lupi, leoni alle armi, alle armi. Fuori delle selve, andate in traccia de’ scellerati. Sfogate la vostra ferocia, uccideteli, sbranateli, divorateli, serpenti, vipere, draghi, rospi, basilischi, alle armi contro degli iniqui. Fuori de’ vostri covili, infondete pestiferi veleni nelle carni ammorbate de’ perversi, ribelli al vostro Creatore. E voi terremoti non siate contenti delle stragi di Ragusa, delle rovine di Rimini, dello sterminio di Catania, ma smuovete da’ fondamenti ogni città, ogni terra, ogni castello; e fate che restino estinti e sepolti in un medesimo tempo tutti i peccatori. Voi fiere pestilenze non vi contentate degli spettacoli che cagionaste nella città di Napoli e di Genova a nostri tempi; mentre ne consegnaste alla morte fino a trenta mila in un sol dì; uccidete in ogni città, in ogni castello, in ogni contrada, quanti vivono nemici di Dio. O che orrori, o che miserie! veder tutte le creature sì irragionevoli, come insensate, armarsi contro del genere umano, e farne strage. Pensieri miei disperati io non so dove mi sia. – E pure non ho detto nulla, a paragone di quello che mi resta, poiché vi rimane la strage del fuoco divoratore. – Sono ormai scorsi sessanta e più anni, da che quel monte sì celebre, perché sì spaventoso del Regno di Napoli, detto il Vesuvio, aperta un’ampia bocca, vomitò un torrente di fuoco, che misto di zolfo, pece e bitume, durò ad ardere per dodici giorni nelle acque del mare vicino. Avereste veduto scagliarsi all’insù da quella accesa fornace nembi di grosse pietre, che con strepito di tuoni, e con violenza di fulmini, cadendo poi giù abbattevano case, uccidevano bestie e stritolavano uomini. Ah che prima di restare inceneriti e sepolti gli avreste sentiti esclamar: misericordia, è venuto il Giudizio, misericordia! Ma, se io fossi stato presente a queste dolorose esclamazioni, gli avrei con rimprovero, schiacciate le parole in bocca: sciocchi, che dite, il giorno del Giudizio? Eh mi meraviglio di voi, altro orrore, altro incendio sarà quello del giorno estremo. Questo fuoco che vomita il Vesuvio è fuoco prodotto dalla natura; ma quello del dì del Giudizio verrà dall’ira giusta di Dio implacabile. Questo esce da un sol monte; ma quello, secondo Alberto Magno, cadrà giù per ogni parte, scatenato dal cielo, sboccherà vomitato all’insù da mille voragini dell’Inferno. Il Giudizio eh, è venuto il Giudizio? Sciocchi tacete. Questo fuoco del Vesuvio scaglia ceneri, e sassi; ma quello assai più impetuoso sbalzerà in aria le stesse montagne. Questo riduce in cenere poche terre, e con esse gli abitatori, ma quello con mordacissima rabbia diramandoli in mille torrenti divorerà tutti gli uomini; incenerirà tutti i Regni; struggerà tutto il mondo. E voi dite: è venuto il giorno del Giudizio? Qua, qua miei UU. se così è, come è verissimo, che sarà allora delle vostre ville de’ vostri palazzi, de’ vostri poderi? Cenere, cenere! Che sarà de’ vostri magnifici sepolcri, delle gloriose inscrizioni, degli ameni giardini? O Dio, cenere, cenere! Che sarà, o dotti, de’ vostri libri, delle vostre statue, o eroi; delle vostre città, o principi? Cenere, cenere! Cenere dunque saranno, o donne, o dame, quelle camere, ove si giocava con tanta soddisfazione; quelle sale ove si ballava con tanto brio? Cenere dunque saranno quelle carrozze seguite da cavalieri! Cenere quelle vesti si pompose e alla moda; cenere, cenere insomma quei lisci, quegli ornamenti quelle gioje, quelle vanità, tutto sarà cenere, perché tutto prima fu fuoco: erunt omnes superbi, et omnes facientes iniquitatem stipula. (Malac. 4). Iddio farà appunto come suol farsi nelle guerre più fiere e più sanguinose; ove nè pur si perdona agli alloggiamenti nemici per dare à divedere la strage, che poi si farà degli avversari. Si abbrucci, dirà, la terra; ardano i cieli; tutto s’incenerisca; ma dico: e perché la terra? che ci ha da fare per se medesima? Che male commisero i cieli? Servirono, sento rispondermi, materialmente di agio, d’ajuto e d’instrumento agli uomini per peccare. Ardono i cieli, perché mandarono le loro influenze amorevoli sopra de’ peccatori. Arda la luna, si abbrucci il sole perché somministrarono luce agli empi. Arda la terra, perché gli somministrò le vettovaglie. Cælum novum, terra nova; qui si fa a guerra finita; si brucino tutti gli alloggiamenti, tutto s’incenerisca. Le leggi umane vogliono che, allorché si commettono delitti enormi, non potendosi avere il delinquente, si confischi la casa. In questo giorno terribile, quantunque il delinquente sia già tra i ceppi, e catene per esser condannato, la sua casa non farà confiscata, ma bruciata. Io per me son fuori di me; e se qui non cessano i preludi di giornata sì spaventosa, non so che dirmi di più. Non sai che dire di più? E non senti ciò, che si conclude dalle sacre carte, che tutti questi orrori, questi portenti, questi spaventi sono principio della funestissima tragedia? Hæc autem sunt initia dolorum. Dunque, preludio delle miserie d’un mondo, sono spettacoli spaventosissimi, scatenamento di creature, un fuoco divoratore? Così è. Date d’orecchio, e ne sentirete l’intimazione. Olà, che strepito è quello che sento? Dite, chi dà fiato à quelle trombe che mi spaventano? Gli Spiriti Angelici, sento rispondermi, che posti a’ quattro angoli del mondo rimbombano alle porte di N. e intimano ai mortali il risorgere, a tutti il comparire al divino tribunale: Surgite mortui, venite ad Judicium. Alzatevi su voi, che tenete i piedi sopra di quei Sepolcri, non sentite colaggiù lo strepito delle ossa, che si vogliono unire insieme? Ecco che la cenere s’ammassa in carne: ecco stesi sulla testa i capelli: eccoli in quella forma che vissero: o come si affrettano per andare al Divino Giudizio! vedete: parte ne vanno a mano dritta, e sono gli eletti: parte a mano manca, e sono i reprobi. Chi è quella che tutta scarmigliata nel crine, tutta piangente negl’occhi, tutta sospiri e singulti se ne va al Tribunale? chi è? È quella che entrava nelle Chiese tutta brio, tutta fasto, e vi veniva per esser vagheggiata, tutta ornata nel capo, tutta scoperta nel seno e braccia, appunto, non può essere, non può essere! E io vi dico , che è essa. O se io potessi essergli vicino, le direi: eh non credevi signora, che dovesse mai giungere questo giorno? Io ve lo dissi; peggio per voi. Se quando entraste in Chiesa, allor che io predicavo del Giudizio, invece di dar mente a tanti saluti che v’insuperbivano, invece di tante cerimonie superflue, voi vi foste messa ad udirmi di proposito, non vi trovereste in questo stato. E quell’altra chi è? Ella è quella che si faceva precedere i servitori à capo scoperto ne’ tempi più rigidi del verno, volendo più rispetto à sé che a Dio. Ma dove sono quei Sacerdoti, da’ quali si faceva servire con tanta temerità? fino à farsi dare e di braccio, e da bere? Dove quel cavaliere che da per tutto l’accompagnavano? Non vi è niuno; se ne va sola soletta al divino tribunale. Su fido cameriere, correte ad acconciare la vostra signora; non vedete come ella è lurida, lercia? su portate le vesti più belle; prendete le gioie più preziose, deve andare avanti non d’un monarca terreno ma d’un Dio: Che vesti, che gioje? sento rispondermi non vi è più tempo; non fervono più a nulla. E quello, che tutto tremante e pieno di paura se ne va al tribunale, chi sarà mai? Egli è quel cavaliere à cui il dono della nobiltà non servi che per accrescere superbia; non intendendo, che l’obbligo di cavaliere è d’esser cortese. E quell’altro, che tanto ricco nel mondo, or del tutto è spogliato, qual sentenza riceverà? Pessima, perché nega ai poveri un piccolo sussidio; e quel ch’è peggio, non ha il capitale d’un’opera buona. Fermatevi dove vi ponete! Non è questo il vostro luogo. Andate a mano sinistra tra i reprobi, tra i dannati; e perché? Io fui fedele al mio consorte: così è, ma infedele al vostro sangue, permetteste alle vostre figlie non solo gli amori, ma le cadute ancora. Olà voi a mano manca nel numero de’ presciti? Padre fui fedele alla consorte, sì, ma posta sotto de’ piedi la reputazione del mondo, vi metteste ancora la legge di Dio, contentandovi delle leggerezze peccaminose della vostra consorte, e che talora servisse ad altro letto. E voi dove andate? Son Sacerdote! bene, ma maneggiate Cristo con mani sacrileghe, e con cuore immondo. Ma ohime, che vedo? Ecco, ecco schiere d’Angeli guerriere, che precedono al grande Iddio, millia millium ministrabant Ei, et decies centena millia assistebant Ei. O Dio! quale sarà l’orrore, quale la confusione, e lo spavento del peccatore, non in vedersi schierato a fronte un esercito d’uomini vili, ma d’Angeli così potenti, che un solo in breve ora uccise più di settanta mila Assiri, ed in tanto numero che, secondo una sentenza di San Tommaso, potriano dividersi in trenta mila milioni d’Eserciti, ognuno de’ quali fosse composto di trenta mila milioni di Combattenti e poi così nemici de’ peccatori, che se Iddio loro il permettesse, scenderebbero fin giù nell’Inferno per lacerar quanti vi sono quivi dannati. Angeli, Angeli ho gran timore di voi, non lo nego; ma troppo , ahi troppo mi fa gelare il sangue nelle vene il Dio degli Angeli. Eccolo, eccolo in nubibus Cæli in potestate magna, et majestate; eccolo, eccolo con la gran guardia di tuoni, di fiamme, di turbini, di fulmini, e di tempeste … circuitu ejus tempestas valida: già risuona con Eco funestissima la Valle destinata al Giudizio: già gemono gli Abissi, già si scuote la Terra e tremano i Cieli. Che farete, miseri, allorché vedrete quell’istesso Signore, che oltraggiaste, comparire per esser vostro Giudice severo? Ah, che se voi poteste, per non vederlo, vi cavereste gli occhi di propria mano. – Il Re Saule, essendo vinto in battaglia da’ Filistei, contro de’ quali si ricordava d’aver tante volte mossa la guerra, temé sì altamente di andar vivo nelle loro mani, che si appoggiò col petto sopra la punta della sua spada per far più tosto una morte da disperato. Ma voi infelici non solamente non potrete darvi la morte; non potrete cavarvi gli occhi; ma neppur calarli per non veder la faccia fulgorante dello stesso Dio, contro del quale avete mossa guerra fierissima d’amori, d’odii, d’interessi, … videbunt, in quem transfixerunt; non accadde altro, il trono è innalzato posuit in Judicium Tronum suum. – Quà dunque tutti a render conto. Non  occorre o miserabili, che inorriditi voltiate le spalle, né che invochiate i monti, ché vi ricoprino. Già Dio si è dichiarato per Amos, che si absconditi fuerint in vertice caunelli, inde scrutans auferam eos. Qua, qua dunque tutti, ove severamente s’intima un’inevitabile redde rationem villicationis tuæ. Redde rationem o Ecclesiastico: rendete conto di quelle Chiese alla vostra cura commesse, di quelle entrate lasciatevi per ornamento degli altari, per aiuto de’ poveri; come dispensaste il Sangue di Cristo nelle Confessioni; con che purità lo maneggiaste all’altare; con che carità lo distribuiste a’ popoli; con che zelo toglieste gli abusi, emendaste i peccatori, assisteste a’ moribondi, ajutaste le anime ricomprate da Cristo e a voi raccomandate? Redde rationem, rendete conto di quell’offizio, che tante volte lasciaste, che con tanta irriverenza diceste; di quel coro, a cui assisteste con tante risa, con tante ciarle, con tante immodestie; rendete conto. Redde rationem o religioso: vi chiamai alla sicurezza del chiostro, e voi sempre desideraste d’uscirne; vi levai dalle occasioni di peccare, e voi sempre ne andaste in cerca. Rendete conto di quella obbedienza che prometteste, e sì male osservaste; di quella povertà contro la vostra professione abborrita; di quella castità oltraggiata con sacrilegi. Qua, qua padri di famiglia, rendete conto di quei figli male allevati, di quelle sostanze dissipate, di quella moglie strapazzata, di quel servitore non pagato, perché insegnaste ai figli più le bestemmie, che le orazioni? Perché impediste a quel figlio l’ingresso alla Religione; riafferraste per forza nel monastero quella figliuola? Perché non pagaste quel legato; dissipando più tosto il danaro in giochi, in bettole, in capricci? rendete conto. Madri, eccovi al tribunale! Rispondete, perché insegnaste à quella figlia più ad esser bella che buona, più vana che modesta? Perché l’allevaste più per il mondo, anzi per l’inferno tra gli amori, che per Dio alla pietà. Al tribunale, al tribunale o figli, rendete conto di quella età più innocente macchiata con sordidezze; di quelle parole di oltraggio a’ maggiori; di quelle sostanze prese senza licenza, dissipate non solo senza utile, ma con precipizio dell’anima ne’ vizi: Rendete conto di quelle scelleraggini insegnate a’ compagni, di quel tempo perduto con tanto vostro danno ne’ carnevali, tra i giochi, tra gli amori, tra i peccati. Qua, qua tutti … – Redde rationem o superiore, de’ tuoi sudditi; o suddito di quelle irriverenze; donna, di quelle vanità; conontadino, di quei poderi; bestemmiatore, mormoratore, di quella lingua sacrilega. Ebbene; cosa dite? che rispondete a queste interrogazioni? Bisogna pure che tutti si palesino i vostri peccati. Voi adesso potete nascondere, potete celare le vostre iniquità; ma in quella tremenda giornata tutte si hanno da manifestare. Eh Padre, non è possibile che si abbia da sapere ogni mia azione peccaminosa. Non vi lusingate, peccatori, perché delle vostre iniquità non se ne ha da perdere il conto, fallire il numero, d’imbrogliare le circostanze; tutte ad una ad una farà la Divina Sapienza comparire le vostre colpe ne’ libri con ogni aggiustatezza tenuti, ne’ registri con ogni fedeltà custoditi. E quando anche questi mancassero in quel giorno di tutta giustizia, accuseranno i vostri delitti gli Angeli, che sempre vi custodirono, e mai riconosceste; il confessore, che per troppo rigido fuggiste; quel compagno sì buono di cui vi burlaste: vi accuseranno, sì, v’accuseranno le mura stesse delle Chiese profanate con irriverenze; sarebbe, quasi dissi, poco male; diciamola, interdette con laidezze; v’accuseranno i sassi di quelle piazze passeggiate con tanto scandalo; quelle camere, quelle segretissime stanze, ove occultamente peccaste. Ma quando ben altri non v’accusasse, v’accuserà la vostra propria coscienza, testimonio fedele de’ vostri misfatti: si publica fama te non damnat, propria conscientia te condemnat. Peccavimus direte, o peccatori, accusando voi stessi; peccavimus dai primi giorni della fanciullezza fino agli ultimi della vecchiaia: e a far bene il conto abbiamo commesso più colpe che non sono i giorni, e forse l’ore del nostro vivere: peccavimus in ogni luogo, senza riguardo a Chiese, a piazze a strade, a monasteri di cacre vergini: peccavimus con ogni sesso, con ogni condizione di persone, in tutti i tempi, nelle feste, ne’ lavori, di giorno, di notte, dopo correzioni infinite, dopo ispirazioni incessanti, dopo rimorsi amarissimi, dopo aver tante volte promesso l’emendazione, il tutto disprezzando iteratamente: peccavimus…  Che farò io miserabile in mezzo di tante accuse; se tremarono al pensiero di questi ultimati processi le colonne più stabili della Chiesa? Miro attonito, un Benedetto, senza colore un Bernardo, atterrito un’Ignazio, ricoperto di sacco e di cenere con un David, un Francesco d’Assisi: Hi qui oderunt adventum Judicis, quid facient? Esclama Gregorio, si terrore tanti Judicis, etiam qui diligunt, contremiscunt. Olà, cheti, silenzio. Io per rivelazione di Dio ho da pubblicare in presenza di questo popolo il più orrendo peccato, che abbia mai commesso in vita sua uno di voi, che state ad udirmi? Che dite? udite: Un giorno, dirò meglio; di mezza notte il Signore: ma no, che non è questo luogo da giudicare, ma da compungere. Or se Dio veramente me lo rivelasse, dirò col Crisostomo, e volesse, che io qui dicessi: il signor tale, la signora tale nel tal giorno, commise il tal delitto; e ciascuno di voi sa quello potrei dire. Ditemi, che fareste al solo sentirlo pronunziare? certo, che fuggireste a seppelirvi in uno di questi sepolcri, almeno per l’eccessiva vergogna prendereste bando da tutti per sempre. Or qual sarà la vostra confusione in quel giorno; quando, non uno, ma tutti i vostri peccati, non in presenza di poco popolo, ma dell’intero universo, in faccia degli amici, de’ cittadini, de’ nobili, de’ cavalieri, de’ parenti, del marito, del padre, de’ superiori, di tutti insomma, a suono di trombe infernali, a grida de’ diavoli, dalla voce stessa di Dio, quante mai commetteste scelleraggini, tante ne saranno pubblicate? Un certo giovane si era dato si dissolutamente à piaceri impuri, che all’anima nulla più pensava, come se anima non avesse; per farlo risolvere à cambiar vita niente giovavano, né le correzioni de’ parenti, né le ammonizioni degli amici, né le riprensioni de’ confessori; non vi restava per tanto altro rimedio che dal cielo: questo vi adoprò Iddio. Comparve al giovane dissoluto il Signore una notte, quando egli più profondamente dormiva, e fattosi vedere accompagnato da schiere Angeliche, in majestate sua. E che fa, disse rivolto agli Angeli, questo audace, che vive ostinato nel peccato? O muti vita, o si citi subito a questo mio tribunale per riportarne il dovuto castigo; così disse, e disparve la visione. Si destò il giovine, ma tanto atterrito, che
levatosi dal letto, si vide incanutito per lo spavento. Col pelo mutò il vizio, poi che confessatosi visse santamente. Argomentate or voi da questo racconto quanto sarà terribile quel giorno, mentre la sola immagine compilata in sogno poté rendere dentro una notte d’un giovine un vecchio canuto. Su, dunque, si muti vita: si lascino i traffici illeciti, gli odi bestiali, le amicizie indegne, e non s’indugi, se non si vogliono provare i rigori funestissimi di quella estrema giornata, nella quale non vi è speranza di dovere essere aiutato da chi che sia. Se voi speraste, o miei UU. di poter trovare in quel giorno terribile rifugio, o aiuto, v’ingannate. E chi volete, pazzi che siete, che vi soccorra in die furoris Domini? non vi saran per voi né Santi, né avvocati, né protettori; tutti contro di voi saran la causa di Dio. Spererete forse nell’Angelo custode; ma come? se esso terrà in quella giornata la spada per eseguire la sentenza; forse ricorrerete alla Vergine? Non già; perch’Ella nasconderà bellissima Luna i suoi raggi, ed in quel dì funesto … non dabit lumen suum: forse da questo Cristo cercherete pietà; ma come? Se Egli severissimo Giudice vi rimirerà più che torbido; e sarà quello che, per uffizio griderà redde rationem! Non vi sarà dunque soccorso: sarà finita per voi: e voi a questa verità non temete, non tremate? non vi risolvete ad abbandonare i peccati, a dare di bando a’ vizi, à ben confessarvi? Avvertite, che se indugiate, verrà, così non fosse! verrà tempo, che vorrete pentirvi, e non vi pentirete, e non pentendovi, proverete i rigori del Divino Giudizio, che porta seco una irreparabile sentenza di dannazione … Dio non lo voglia.
LIMOSINA.
Negli umani Giudizi è proibito al Giudice da tutte le leggi il prender regali, per il pericolo che si corre di dar la sentenza più a favore del regalo che della giustizia. Nel supremo Tribunale del Giudice eterno le cose vanno al contrario; perché la volontà del Giudice è legge d’ogni rettitudine. Si dichiara Cristo che in quel giorno la  sentenza favorevole si darà solo a chi regala secondo la sua possibilità: quod uni ex minimis meis fecistis, mihi fecistis. Fate dunque a gara di regalare il Giudice Cristo nella Persona de’ poverelli, se volete poter sperar la sentenza in favore.

PARTE SECONDA

Il processo è finito, il reo è convinto; resta la formidabil sentenza, da cui dipenderà l’eternità o di pene, o di premio: Venite benedicti;… discedite a me maledicti; queste due cose finiranno i tempi, stabiliranno l’eternità. Se così è, come potrà cadere in mente de’ miei UU. di più peccare? Tumanama Satrapo nativo delle Indie Occidentali, dove la gente usa scimitarre di legno, accusato di non so qual delitto a Vasco Nugnez, uno de’ Conquistatori di quei Paesi, si pose avanti ad esso ginocchioni, e dopo aver detto le sue ragioni, messa la mano sul pomo della Spada del Nugnez, proruppe, piangendo, in queste parole: E potete voi credere, che a me sia neppur caduto in mente d’offendervi; mentre so, che portate qui al fianco una spada, che divide in un sol colpo un uomo da capo a piedi? Ah miei UU., chi ben considera questa spada terribile, che metterà divisione tra gli eletti ed i reprobi, questo Cortello ex utraque parte acutus, che uscirà dalla bocca d’un Dio fulminante; come è possibile, che possa indursi a peccare? Sì, sì udiamone la pronunzia, perché ci rimanga ben fissa nel cuore. Su, su, dirà Iddio; vengano al possesso del Paradiso quel sacri Pastori, che presiederono vigilantissimi al mio gregge, e con essi, su venga quel sacro Clero che con vita ecclesiastica edificò le città. Su, su, al cielo o religiosi che viveste penitenti nelle celle, astinenti ne’ refettori, salmeggianti ne’ chori, che imitatori del vostro gran Padre, foste indefessi ne’ studj Santi, abbatteste eresie, e confutaste i nemici della Chiesa. Su, su, voi, che predicatori evangelici propagaste la mia gloria. Su, su, Servi di Maria mia Madre, che con pietà animaste i popoli alla di Lei devozione. Al Cielo, o dame, che viveste senza vanità . Al Cielo o cavalieri che viveste senza fasto. Al Cielo mercanti, artisti, che senza frodi trafficaste. Al Cielo in somma voi tutti che viveste osservanti de ‘ miei precetti: su, su, Venite Benedicti Patris mei; possidete paratum vobis Regnum; risponderanno i giusti a questo con un volo, che gli porterà dietro a Cristo verso l’Empireo. Venite, venite, ripiglierà il Redentore, voi, che chiamati obbediste, e dietro a me portaste la croce; venite liberi dal mare delle tribolazioni, vestiti di stole bianche lavate nel bagno del mio salutifero Sangue. Venite alla vita o Martiri, voi, che per me sopportaste la morte: venite al possesso de’ miei beni, voi, che per me vi spogliaste di tutto il mondo. Venite alla corona o Vergini, che per me immacolate vi conservaste, al premio, al premio per la battaglia, che sosteneste, al riposo, per le fatiche che tolleraste. Al Cielo, per la terra che calpestaste, o miei Santi: venite a benedire in eterno il mio Padre, che ab eterno v’ha benedetti. Venite Benedicti Patris mei; possidete paratum vobis Regnum. O Dio, che feste, che trionfi, che giubili saranno allora nel cuore de’ beati! – Non così per voi ribelli ecco la vostra sentenza: Discedite a me, partitevi da me vostro Dio, vostro Principio, vostro ultimo Fine; partitevi da me vostro Redentore; da me, che per voi mi feci Uomo, né mai cessai di piangere, e penare per vostro amore; da me, che per salvarvi m’esposi a croce, a morte; Discedite dal mio regno, da’ miei beni, dal mio Paradiso: Discedite, partitevi dal cospetto di questi Santi, che mi circondano, di questi Martiri miei soldati, di queste vergini mie spose: Discedite partitevi dalla faccia della mia Madre che adirata non può vedervi. Discedite a me maledicti, partitevi da me, maledetti da me, maledetti dal mio Padre, maledetti nell’anima, maledetti nel corpo, maledetti nell’intelletto, nella volontà maledetti ne’ vostri compagni, maledetti nel tempo, maledetti per sempre; avete amata la maledizione, eccola: Discedite a me maledicti, e dove? In ignem æternum. Non vi caccio da me, perché viviate a capriccio, come avete fatto finora, ma per rinchiudervi in una prigione; non vi scaccio da me, perché vi portiate a quelle veglie, a quei balli, a quelle feste: ma in ignem, al fuoco, in una prigione ove il tetto, le mura, il pavimento farà di fuoco: né qui finisco in ignem æternum nel fuoco eterno, eterno, eterno, che non avrà mai fine, e appena proferitasi dalla bocca di Dio quella parola æternum, appena fulminata questa sentenza, punto non di tarderà ad eseguirla. Voi ben sapete che appena Mosè ebbe finito di parlare contro i due ribelli di Dio Datan e Abiron; e subito si aprì sotto de’ piedi la terra, e vivi vivi se l’inghiottì. Così avverrà in quell’istante. Appena Cristo avrà finite di sentenziare contro i reprobi, che verrà subito a spalancarsi per mezzo la gran valle di Giosafatte, e gli assorbirà subito nel suo fondo, ibunt hi in fupplicium æternum. – Miei UU. unum de duobus, grida il Crisostomo, ha da toccare a voi, a me; o la salute, o la perdizione, o il Cielo o l’inferno, l’esser benedetti, o l’esser maledetti in eterno, e a noi sta l’eleggere: pensate a’ casi vostri, che io per me ho pensato ai miei, ed andate in pace.

QUARESIMALE (VI)