LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (10)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (10)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni)

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

AI 20 MILA CHE COMPRARONO E A1 100 MILA CHE LESSERO IL LIBRO DELLA GRAN BESTIA: DUE PAROLE.

Dio vi benedica gli occhi, le mani e le tasche, o carissimi giovani, che correste in tanta folla a vedere la Gran Bestia, e faceste sì buon viso, non dico a lei brutta e schifosa che è, ma a me, che mi sono ingegnato di dirvene tutto il male che si merita. Ma voi non vi siete accorti, o cari giovani, d’ una cosa. Tutti attenti, curiosi, incantati, cogli occhi tondi e colla bocca aperta a guardar di faccia il mostro, rivederne il pelo, osservar le zanne e gli artigli …. vi siete dimenticati di dargli una giratina per di dietro. Vi sareste accorti che gli mancava la Coda. Oh perché mo? lasciarlo senza coda il bestione? Forse che non ne ha da natura? — Oh si che ne ha! e come lunga! Ma la fu colpa della mia fretta; colpa, dico, che ora intendo correggere, appiccando alla BESTIA, con questo altro libretto, la sua brava Cona; e così avrete tutta la BESTIA intera e nel suo genere perfetta. Leggete e divertitevi. Se anche questo mio lavoretto vi torna gradito, spero non tarderemo a rivederci.

F. MARTINENGO, P. D. M.

I.

PRINCIPIIS OBSTA.

Vecchia sentenza, nata ancor prima che nascesse la nostra lingua italiana (e di fatto è scritta in latino); e vuol dire, cari giovani, che in tutte cose convien badar bene ai principii, e se trattisi di male semenze, soffocarle tosto in sul primo germogliare. Più vecchio ancora (e più autorevole; perché scritturale) quel detto: qui spernit modica paulatim decidet. Sprezzi le piccole cose, il piccolo male? Bada! a poco a poco crescerà, diverrà grande e ti trarrà in rovina. A che consuona quel che dice con espressiva metafora un Apostolo: Quantus ignis quam magnam sylvam incendit! che Dante traduce: Poca scintilla gran fiamma seconda. Insomma è la storiella del zolfino, che perpetuamente in mille guise si ripete. Tonio sta novellando sull’aia cogli amici, accende la pipa, e il zòlfino mezzo acceso butta là, senza pensare che proprio là c’è il pagliaio. Di li a poco pagliaio, stalla, casuccia tutto una fiamma. Dio mio! Quantus ignis quam magnam sylvam incendit! – Ma a che mira tutto questo preambolo? Ad avvertirvi, miei cari giovani, che se volete che la GRAN BESTIA non vi metta l’ugne sul groppone, vi bisogna star desti con tanto d’occhi aperti ai primi assalti che la vi darà. V’ho già detto che a combatterla dovete incominciar subito; ora aggiungo, che dovete combatterla non solo nel molto, ma anche nel poco: non solo allorché aprendo la bocca e mostrando le zanne, minaccia divorarvi, ma anche quando, traendo la lingua, dà vista di volervi soltanto leccare. La è una bestia traditora, proprio come è il gatto, vedete! Scherzate col gatto, e se non è oggi è dimani, una buona sgraffiata non potrà mancarvi. Ma a me piace persuadervi per via di fatti. Sentite. Bertino, giovinetto di buon? Indole e di migliori costumi, usava famigliarmente con un suo cugino maggiore due o tre anni di lui. Chiamavasi Angelo, ma era ben altro; ché non tardò ad entrargli in certi propositi, i quali….non istavan mica bene. Bertino, ben educato, n’ebbe pena, e non volle più andarci con quell’impudente: ma la mamma che il teneva per uno stinco di santo, tanto bene sapeva infingersi! n’ebbe dolore, e se ne corrucciò col suo Bertino: . – Che non vai più col cuginetto?.. Già due volte che viene a chiamarti nel passeggio, e tu….— Che ci voleva a rispondere: Guarda, mamma mia buona; la cosa sta così e così? Bertino invece non n’ebbe il coraggio e tornò coll’Angelo cattivo. O giovanetti, se avete una mamma buona, come la penso io; una di quelle mamme, che nei figli, più che la grazia fallace e la vana bellezza, amano l’innocenza e la virtù, e tremano al sol pensarli viziosi e corrotti…. giovani cari, per una mamma cosiffatta non abbiate segreti: è l’angelo visibile che Dio vi ha dato: guai, se le chiudeste il cuore! Così fece pur troppo Bertino, e contro coscienza tornò a trattare col tristo compagno, contro coscienza ne udì cattivi discorsi e peggiori consigli, contro coscienza ne accettò un libro…. Quando il cugino gliel’offerse, il primo pensiero fu di rifiutarlo; la coscienza dentro gridava: no, non devi pigliarlo; il compagno insisteva: piglia, piglia…. Purché nol veda tua madre… che hai paura ti abbruci le tasche? — Be, lo piglierò’ (pensò allora Bertino), lo piglierò per cessar l’ importunità; non fia però mai vero che lo legga. — Ma quando l’ebbe addosso, gli parve averci l’inferno; lottò due giorni contro la. Tentazione d’aprirlo; finalmente (era da prevedersi) la curiosità. vinse. Una sera, assicuratosi che la mamma dormiva, si chiuse nel suo stanziolino, accese il lume, aperse tremando il libro, e vi stette sopra gran parte della notte. Il dimani. a ora tarda si levava pallido, col volto contraffatto, con due occhi che facevano paura. Quel libro maledetto gli aveva abbruciato; non: le tasche, ma l’anima. Povero Bertino; povero Bertino! Fu quello il principio di sua rovina. A venticinque anni, consunto nel vizio, morì. – Or  che ne dite della Bestia, giovinetti? L’ha la coda lunga si o no? Oh se l’infelice avesse avuto coraggio di troncarla risolutamente fin da principio!.. Tant’è, principiis obsta e « Poca scintilla, gran fiamma seconda! » … tenetelo a mente! Ma via! che vengo a contristarvi con esempi funesti? Voi sarete giovani franchi, di coscienza non solo, ma di coraggio: voi imiterete quel bravo giovinotto di nome Cesare, che io conobbi, or ha parecchi anni, studente all’università. Com’era bel giovane e ardito che figurava tra i primi, avean pigliato ad aliargli dattorno certi corbacci, coll’intento di tirarlo a una loro società, che dicevano di beneficenza, e non era in sostanza che la Massoneria. Ma Cesare, che sapeva per bene dove il diavolo tien la coda: — Sentite (disse ai compagni che l’importunavano) di ‘società io ne ho già tre, dalle quali non posso levarmi: la mia famiglia, la mia patria, la Chiesa. Ho quindi legami e doveri, come figlio, come italiano e come Cristiano. Più di così (confesso la mia debolezza) non posso portarne. Sicché abbiatemi per iscusato, e più non se ne parli. — I compagni non s’ardirono rifiatare, e Cesare fu libero per sempre dalla loro importunità. Felice, che seppe opporsi ai principii del male, e spegnerne prontamente la prima scintilla. Quell’atto di franchezza il rese libero e franco per tutta la vita. –  Attenti dunque, o giovanetti, attenti ai primi assalti della BESTIA; non arrestatevi a disputare con lei, voi non dovete concederle nulla, assolutamente nulla; ella è bestia Lig si DE 3 sì spietata e vorace, che se le darete il mignolo, v’abbranchera la mano, tutto il braccio e, tira, tira, vi strascinerà in perdizione.

II.

IL VISIBILE E L’INVISIBILE.

Gran danno, che Dio, coscienza, onestà, virtù sian cose che non si veggono nè si toccano; di che, quando vengono nel nostro spirito a battibecco con ciò che vediamo cogli occhi e tocchiam colle mani, pue troppo, il più delle volte ne vanno al disotto. Così è; il sensibile ci assorbe, ci rapisce così, che non ci lascia pensare a ciò che è sovrasensibile e spirituale. E questa è appunto la principale cagione per cui l’uomo sovente lasciasi imporre da altri nomini di quelle cose che fanno a sassate con Dio, colla coscienza. e col dovere; – Dio! … dov’è Dio? chi lo vede? chi lo tocca?.. E il dovere…. di che colore è egli il dovere? E la coscienza?… è vero che è fatta a maglia?… Pur troppo! Ce n’ha tante di cosiffatte!… Or bene, se abborrite, o cari giovani, dall’avere una coscienza cosiffatta, bisogna v’atteniate sodi a questo gran principio: che nostra regola di pensare e d’operare non dobbiamo cavarla dal sensibile, da ciò che si vede, si sente e si tocca; ma dai principii eterni della verità e della giustizia, i quali partendo, quai raggi luminosi, da Dio che non muta si riflettono nell’anima nostra immortale fatta a somiglianza di Dio. Per tal modo riesce l’uomo a formarsi Una coscienza e quindi un abito di operare diritto, uniforme e costante e poi quello che fa i caratteri forti ed elevati, de’ quali, mi pare, v’ho parlato nell’altro mio libretto della BESTIA. Ma se al contrario torrete a regola del pensare e dell’operar vostro il sensibile, come esso varia e si muta continuamente; così mutabile e vario sarà l’operar vostro; abbraccerete oggi come bene ciò che ieri fuggivate per male, e viceversa; e così, lascia e tira, tira e lascia, vi formerete la coscienza che abbiam detto di sopra, una vera maglia, anzi una rete maledetta, nella quale finirete col rimanere voi stessi malamente arreticati. –  Dicono che la volpe dorme con gli occhi aperti. Io nol so, che non ho mai vedute volpi a dormire; ma ben posso dirvi, cari giovani, che gli occhi aperti dovete tenerli ben voi, e dico gli occhi dell’anima; acciocché nel vivere e nell’operar vostro non v’accada di lasciarvi così, allucinare dalle cose visibili e mutabili di questa bassa terra, da dimenticarvi che sopra il vostro capo si spiega cotesto magnifico padiglione de’ cieli. — È un ricordo che davami a suo modo quel buon vecchio di mio nonno (Dio lo riposi!), il quale, fattomi osservare certe galline, che, appena spiovuto, uscivano in cortile e correvano ai laghetti qua e là lasciati dalla pioggia: — Guarda, guarda che fanno, mi diceva. — Bevono, risposi. — Bevono si; ma osserva il modo che tengono nel bere: chinano il capo; mettono il becco in molle, poi si levano su…. vedi, vedi!… Ed io che vedeva: — o perché fanno così, nonno? — Per insegnarci, Cecchino mio, che noi Cristiani non s’ha a star sempre con gli occhi o col capo all’in giù, come il porco, che pur rificca il grifo nel brago, ma ogni tanto levarci col pensiero e cogli affetti al cielo, dove sta di casa il Signor nostro Iddio. — Questo ricordo vorrei teneste bene a mente, miei cari giovani; abituandovi a pensar qualche cosa che non sia materia e fango; per esempio: Dio, l’anima, la virtù… e delle stesse cose sensibili che vi cadono sotto gli occhi servirvi come di tanti scalini da salire in alto, come v’ammonisce il poeta là dove dice, che le cose belle di quaggiù Sono scala al Fattor, chi ben l’estima. E già ce n’aveva avvisati un filosofo dell’antichità, il quale, benché pagano, tutta la sua filosofia riepilogava in questo grande ammonimento: sequere Deum. — Ma come seguir Dio (mi domandate) s’Ei non si vede? — Appunto guardandolo con. gli occhi dell’anima (vi rispondo); e così avvezzarci a contemplarlo come nostro Signore, anzi buon Padre, che sempre ci vede e ci benefica e ci ama: temer quindi d’offendere gli occhi suoi, più che gli occhi di qualsivoglia mortale. Di che ci lasciò bell’esempio Abramo, il gran patriarca lodato da s. Paolo, perché camminava sempre alla presenza di Dio invisibile, come se cogli occhi realmente il vedesse: invisibilem tamquam videns sustinuit. — E così il pensiero di quel grand’occhio aperto sopra di voi, vi sarà d’un possente aiuto a salvarvi fin dalle prime e più lievi tentazioni dell’umano rispetto: vinta la BESTIA al primo assalto, vi darà buona speranza. di vincerla sempre.

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (11)