UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “DEPUIS LE JOUR”

Depuis le jour è un’Enciclica scritta in francese ed indirizzata ai Vescovi di Francia, ma rivolta in pratica a tutti i Vescovi e Sacerdoti cattolici di ogni tempo e di ogni luogo, e che serve oggi a noi per capire cosa significhi essere un Sacerdote cattolico vero per distinguerlo dalle sue contraffazioni moderniste attuali. In particolare acquistano un peso straordinario le seguenti parole: « In presenza degli sforzi concordi dell’incredulità e dell’eresia per consumare la rovina della fede cattolica, sarebbe un vero delitto per il clero rimanersene esitante e inerte. In mezzo a un così vasto dilagare di errori, di un tal conflitto di opinioni, egli non può venir meno alla propria missione che è di difendere il dogma attaccato, la morale travisata e la giustizia così spesso misconosciuta. Ad esso spetta di opporsi come un baluardo all’errore invadente e alla mal dissimulata eresia; ad esso sorvegliare i movimenti dei fautori dell’empietà che insidiano la fede e l’onore di questa cattolica contrada, ad esso smascherare le loro frodi e additare le loro insidie; ad esso premunire i semplici, rafforzare i timidi, aprire gli occhi ai ciechi. » Se questi insegnamenti fossero stati recepiti ed applicati dai Sacerdoti, Vescovi e prelati tutti, essi non sarebbero caduti nel tranello del falso Concilio c. d. Vaticano II, e nelle trappole di tutti gli abomini dottrinali postconciliari ancora oggi in costante “evoluzione”. Se si fossero preparati in modo coscienzioso e zelante, come il loro ruolo richiedeva, avrebbero preso le distanze dalle eresie pur grossolane professate dagli antipapi che si sono susseguiti dal 1958 in poi sino ad oggi. Invece per rispetto umano, per mantenere cariche e prebende, e per somma ignoranza teologica dogmatica e morale, si sono adattati alla falsa fede, diciamolo chiaramente: sono caduti nella totale apostasia. Questo ha permesso al Signore per setacciare e separare la crusca dal fior di farina, … purtroppo molta crusca e pochissima farina. Godiamoci questa bella Enciclica, ricca di dottrina, sapienza umana, morale, dottrinale e disciplinare di S. S. LEONE XIII.

Leone XIII
Depuis le jour

Lettera Enciclica

La formazione del clero in Francia

8 settembre 1899

Fin dal giorno in cui siamo stati elevati alla Cattedra pontificia, la Francia è stata l’oggetto costante della Nostra sollecitudine e del Nostro particolarissimo affetto. Nel corso dei secoli, infatti, mosso dagli insondabili disegni della sua misericordia sul mondo, proprio in essa Dio ha scelto di preferenza gli apostoli destinati a predicare la vera fede fino ai confini della terra, e a portare la luce dell’Evangelo alle nazioni ancora immerse nelle tenebre del paganesimo. Egli l’ha predestinata ad essere il difensore della sua chiesa e lo strumento delle sue grandi opere: “Le imprese di Dio per mezzo dei Franchi”. A una così alta missione, corrispondono evidentemente numerosi e gravi doveri. Desiderosi, come i Nostri predecessori, di vedere la Francia portare fedelmente a compimento il glorioso mandato di cui ha ricevuto l’incarico, le abbiamo già più volte rivolto, durante il Nostro lungo pontificato, i Nostri consigli, il Nostro incoraggiamento, le Nostre esortazioni. Lo abbiamo fatto in modo del tutto speciale nella Nostra lettera enciclica dell’8 febbraio 1984, Nobilissima Gallorum gens, e nella Nostra lettera del 16 febbraio 1892, pubblicata in lingua francese e che comincia con queste parole: Au milieu des sollicitudes. Le Nostre parole non sono rimaste infruttuose, e Noi sappiamo da parte vostra, venerabili fratelli, che una gran parte del popolo francese mantiene sempre in onore la fede dei suoi avi e adempie con fedeltà i doveri che essa impone. Non possiamo d’altra parte ignorare che i nemici di questa fede non sono rimasti inattivi, e che sono giunti ad allontanare da ogni principio religioso un gran numero di famiglie che, per questo motivo, vivono ora in una deplorevole ignoranza della verità rivelata, e in una completa indifferenza per tutto ciò che riguarda i loro interessi spirituali e la salvezza delle loro anime. – Se dunque, e a buon diritto, Ci congratuliamo con la Francia per il suo essere un focolare di apostolato per le nazioni infedeli, dobbiamo anche incoraggiare gli sforzi di quelli fra i suoi figli che, arruolati nel sacerdozio di Gesù Cristo, lavorano all’evangelizzazione dei loro compatrioti, e alla loro difesa contro l’irrompere del naturalismo e dell’incredulità, con le loro funeste e inevitabili conseguenze. Chiamati dalla volontà di Dio ad essere i salvatori del mondo, i sacerdoti devono sempre, e prima di tutto, ricordarsi di essere, in virtù dell’istituzione stessa di Gesù Cristo, il “sale della terra” (Mt V,13), per cui s. Paolo, scrivendo al suo discepolo Timoteo, conclude a ragione “che devono essere esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza” (1Tm IV, 12). – Che tale sia il clero di Francia, preso nel suo insieme, è per Noi sempre, venerabili fratelli, una grande consolazione il venirlo a sapere, sia mediante le relazioni quadriennali che Ci inviate sullo stato delle vostre diocesi, in conformità con la costituzione di Sisto V; sia mediante le comunicazioni verbali che riceviamo da voi, quando abbiamo la gioia di intrattenerci con voi e di ricevere le vostre confidenze. Sì, la dignità della vita, l’ardore della fede, lo spirito di dedizione e di sacrificio, lo slancio e la generosità dello zelo, la carità inesauribile verso il prossimo, la vigoria in tutte le nobili e feconde imprese che hanno come scopo la gloria di Dio, la salvezza delle anime, il bene della patria: queste sono le tradizionali e preziose qualità del clero francese, alle quali Noi siamo ben felici di poter rendere qui una pubblica e paterna testimonianza. Tuttavia, proprio a motivo del tenero e profondo affetto che gli portiamo; e insieme per adempiere al dovere del Nostro ministero apostolico, e per rispondere al Nostro vivo desiderio di vederlo rimanere sempre all’altezza della sua grande missione, abbiamo deciso, venerabili fratelli, di trattare nella presente lettera alcuni punti che le attuali circostanze raccomandano con la massima urgenza alla coscienziosa attenzione dei primi pastori della chiesa di Francia, e dei sacerdoti che lavorano sotto la loro autorità. – In primo luogo è assolutamente evidente che quanto più un ufficio è elevato, complesso, difficile, tanto più lunga e accurata deve essere la preparazione di coloro che sono chiamati ad adempierlo. Esiste forse una dignità sulla terra più alta di quella del Sacerdozio, e un ministero che impone una responsabilità più pesante di quello che ha per oggetto la santificazione di tutti gli atti liberi dell’uomo? Non è forse del governo delle anime che i Padri con ragione hanno detto che è “l’arte delle arti”, cioè il più importante e il più delicato di tutti i lavori ai quali un uomo possa applicarsi per l’utilità dei suoi simili “ars artium regimen animarum” Nulla dunque dovrà essere trascurato per preparare ad adempiere degnamente e con frutto siffatta missione coloro che sono chiamati da una vocazione divina. – Prima di tutto è necessario discernere, fra i fanciulli, coloro in cui l’Altissimo ha deposto il germe di una tale vocazione. Sappiamo che, in un certo numero di diocesi di Francia, grazie alle vostre sapienti raccomandazioni, i Sacerdoti delle parrocchie, soprattutto nelle campagne, si applicano, con uno zelo e una abnegazione degni di ogni lode da parte Nostra, a dare inizio essi stessi agli studi elementari dei fanciulli nei quali abbiano riscontrato serie disposizioni alla pietà e attitudini al lavoro intellettuale. Le scuole presbiterali sono così come il primo gradino di questa scala ascendente che, prima per mezzo dei seminari minori, poi per mezzo dei seminari maggiori, farà salire fino al sacerdozio i giovani ai quali il Salvatore ha ripetuto la chiamata rivolta a Pietro e Andrea, a Giovanni e Giacomo: “Lasciate le vostre reti; seguitemi; vi farò pescatori di uomini” (Mt IV, 19). – Per quel che riguarda i seminari minori, questa validissima istituzione è stata spesso paragonata a quei vivai dove sono riposte le piante che esigono cure speciali e assidue, per mezzo delle quali soltanto esse possono portare frutti e compensare delle loro fatiche quelli che si dedicano alla loro coltivazione. Noi rinnoviamo a questo riguardo la raccomandazione che, nella sua enciclica dell’8 dicembre 1849, il nostro predecessore Pio IX rivolgeva ai Vescovi. Questa si riferiva a una delle più importanti decisioni dei padri del Concilio di Trento. La chiesa di Francia può davvero farsene gloria, per averne fatto tesoro in questo secolo presente, poiché non vi è nessuna delle 94 diocesi di cui si compone che non sia dotata di uno o più seminari minori. – Noi sappiamo, venerabili fratelli, con quali sollecitudini circondate queste istituzioni così giustamente care al vostro zelo pastorale, e Noi ci rallegriamo con voi. I sacerdoti che, sotto la vostra alta direzione, lavorano alla formazione della gioventù chiamata ad arruolarsi successivamente nei ranghi della milizia sacerdotale, non potranno mai meditare a sufficienza davanti a Dio l’eccezionale importanza della missione che voi loro affidate. Non si tratta affatto per loro, come per la generalità dei maestri, di insegnare semplicemente ai fanciulli gli elementi delle lettere e delle scienze umane. Questa è solo la parte minore del loro compito. Bisogna che la loro attenzione, il loro zelo, la loro dedizione siano incessantemente vigili e attive, per studiare continuamente, da una parte, sotto lo sguardo e alla luce di Dio, le anime dei fanciulli e gli indizi significativi della loro vocazione al servizio dell’altare; dall’altra, per aiutare l’inesperienza e la debolezza dei loro giovani discepoli, a proteggere la grazia così preziosa della chiamata divina contro tutte le influenze funeste, sia esteriori che interiori. Debbono dunque adempiere un ministero umile, laborioso, delicato che esige una costante abnegazione. Per sostenere il loro coraggio nel compimento dei loro doveri, avranno cura di ritemprarlo alle fonti più pure dello spirito di fede. Non perderanno mai di vista che non debbono preparare per delle funzioni terrene, legittime e onorevoli che siano, i fanciulli di cui formano l’intelligenza, il cuore e il carattere. La Chiesa li affida a loro perché diventino capaci un giorno di essere Sacerdoti, cioè missionari dell’Evangelo, continuatori dell’opera di Gesù Cristo, distributori della sua grazia e dei suoi sacramenti. Questa considerazione tutta sovrannaturale si compenetri continuamente alla loro duplice azione di professori e di educatori, e sia come quel lievito che deve essere impastato con il miglior frumento, secondo la parabola evangelica, per trasformarsi in un pane fragrante e sostanzioso (Mt XIII, 33). – Se la preoccupazione costante di una prima e indispensabile formazione allo spirito e alle virtù sacerdotali deve ispirare i maestri dei vostri seminari minori nelle loro relazioni con gli allievi, è ancora a questa medesima idea principale e direttrice che dovranno riferirsi il piano di studi, e tutta l’economia della disciplina. Non ignoriamo, venerabili fratelli, che, in una certa misura, siete costretti a tenere conto dei programmi dello stato e delle condizione poste da quest’ultimo per il conseguimento dei gradi universitari, poiché, in un certo numero di casi, questi gradi sono necessari per i Sacerdoti utilizzati sia nella direzione dei liberi collegi, posti sotto la tutela dei Vescovi o delle Congregazioni religiose, sia per l’insegnamento superiore nelle facoltà cattoliche che voi avete così lodevolmente fondato. D’altra parte, è di supremo interesse, per conservare l’influenza del clero sulla società, che questo conti nelle sue fila un numero molto elevato di Sacerdoti che non siano inferiori in nulla per la scienza, di cui i gradi sono la constatazione ufficiale, ai maestri che lo stato forma per i suoi licei e per le sue università. – Tuttavia, e dopo aver dato a questa esigenza dei programmi la parte richiesta dalle circostanze, bisogna che gli studi di coloro che aspirano al sacerdozio restino fedeli ai metodi tradizionali dei secoli passati. Sono questi che hanno formato gli uomini eminenti di cui la chiesa di Francia va orgogliosa a così giusto titolo, i Pétau, i Thomassin, i Mabillon e tanti altri, senza parlare del vostro Bossuet, chiamato l’aquila di Meaux, perché, sia per l’elevatezza dei pensieri, sia per la nobiltà del linguaggio, il suo genio aleggia nelle più sublimi regioni della scienza e dell’eloquenza cristiana. Ora, è lo studio delle belle lettere che ha potentemente aiutato questi uomini a diventare così validi e utili operai al servizio della Chiesa, e li ha resi capaci di comporre delle opere veramente degne di passare ai posteri e che contribuiscono ancora ai nostri giorni alla difesa e alla diffusione della verità rivelata. Sono proprio le belle lettere infatti, quando sono insegnate da abili maestri cristiani, quelle che sviluppano rapidamente nell’anima dei giovani tutti i germi della vita intellettuale e morale, e insieme contribuiscono a dare al giudizio rettitudine e ampiezza, e al linguaggio eleganza e distinzione. – Questa considerazione acquista una speciale importanza quando si tratta della letteratura greca e latina, depositaria dei capolavori di scienza sacra che la Chiesa conta a buon diritto fra i suoi tesori più preziosi. Mezzo secolo fa, in quel troppo breve periodo di vera libertà, durante il quale i Vescovi di Francia potevano riunirsi e concertare le misure che ritenevano le più idonee a favorire i progressi della Religione e, nello stesso tempo, le più favorevoli per la pace pubblica, parecchi dei vostri concili provinciali, venerabili fratelli, raccomandarono nel modo più esplicito lo studio e l’esercizio della lingua e della letteratura latine. I vostri colleghi di quel tempo deploravano già il fatto che, nel vostro paese, la conoscenza del latino tendesse a diminuire. – Se, dopo parecchi anni, i metodi pedagogici in vigore negli istituti statali riducono progressivamente lo studio della lingua latina, e sopprimono le esercitazioni di prosa e di poesia che i nostri predecessori ritenevano a buon diritto che dovessero avere un posto rilevante nelle classi dei collegi, i seminari minori si guarderanno bene da queste innovazioni ispirate da preoccupazioni utilitaristiche, e che si volgono a danno della solida formazione dello spirito. A questi antichi metodi, tante volte giustificati a motivo dei loro risultati, Noi applicheremo volentieri il motto di s. Paolo al suo discepolo Timoteo, e con l’Apostolo noi vi diremo, venerabili fratelli, “Custoditene il deposito” (ITm VI, 20), con cura gelosa. Se un giorno, Dio non voglia, dovessero completamente sparire dalle altre scuole pubbliche, i vostri seminari minori e i liberi collegi li custodiscano con una intelligente e patriottica premura. Imiterete così i sacerdoti di Gerusalemme che, volendo sottrarre ai barbari invasori il fuoco sacro del tempio, lo nascosero, in modo tale da poterlo ritrovare e così restituirgli tutto il suo splendore, quando i giorni cattivi fossero passati (2Mac I,19-22). – Una volta in possesso della lingua latina, che è come la chiave della scienza sacra, e con le facoltà dello spirito sufficientemente sviluppate mediante lo studio delle belle lettere, i giovani che si votano al sacerdozio passano dal seminario minore a quello maggiore. Qui si prepareranno, mediante la pietà e l’esercizio delle virtù clericali, al ricevimento degli Ordini sacri, nel tempo stesso in cui si dedicheranno allo studio della filosofia e della teologia. Lo abbiamo detto nella Nostra enciclica Æterni Patris, di cui raccomandiamo nuovamente l’attenta lettura ai vostri seminaristi e ai loro maestri, e lo diciamo basandoci sull’autorità di s. Paolo: è per le vane sottigliezze della cattiva filosofia, “per philosophiam et inanem fallaciam” (Col II, 8), che lo spirito dei fedeli si lascia il più delle volte ingannare e che la purezza della fede si corrompe fra gli uomini. Noi aggiungevamo, e gli eventi che si sono compiuti negli ultimi vent’anni hanno ben tristemente confermato le riflessioni e i timori che allora esprimevamo: “Se si considerano le condizioni critiche del tempo in cui viviamo, se si abbraccia col pensiero lo stato degli affari sia pubblici che privati, si scoprirà agevolmente che la cagione dei mali che ci opprimono, come di quelli che ci minacciano, consiste nel fatto che erronee opinioni circa tutte le cose divine e umane, si sono, dalle scuole dei filosofi, infiltrate poco a poco in tutte le classi della società, e sono giunte a farsi accettare da un gran numero di intelligenze”. – Noi riproviamo nuovamente queste dottrine che della vera filosofia hanno soltanto il nome, e che, frantumando la base stessa del sapere umano, conducono logicamente allo scetticismo universale e alla irreligione. È per Noi fonte di grande dolore il venire a sapere che, da alcuni anni, alcuni Cattolici hanno creduto di potersi mettere al seguito di una filosofia che sotto lo specioso pretesto di liberare la ragione umana da ogni idea preconcetta e da ogni illusione, le nega il diritto di affermare qualsiasi cosa al di là delle sue proprie operazioni, sacrificando così ad un soggettivismo radicale tutte le certezze che la metafisica tradizionale, consacrata dall’autorità degli spiriti più vigorosi, dava come necessario e incrollabili fondamenta alla dimostrazione dell’esistenza di Dio, della spiritualità e immortalità dell’anima, e della realtà oggettiva del mondo esterno. È profondamente deplorevole che questo scetticismo dottrinale, di importazione straniera e di origine protestante, abbia potuto essere accolto con tanto favore in un paese giustamente celebre per il suo amore per la chiarezza delle idee e per quella del linguaggio. Noi sappiamo, venerabili fratelli, fino a che punto voi condividiate a questo proposito le Nostre giuste preoccupazioni, e contiamo sul fatto che raddoppierete la sollecitudine e la vigilanza per allontanare dall’insegnamento dei vostri seminari questa fallace e pericolosa filosofia, mettendo più che mai in onore i metodi che raccomandiamo nella Nostra Enciclica sopra citata del 4 agosto 1879. – Meno che mai in questo nostro tempo, gli allievi dei vostri seminari minori e maggiori potrebbero restare estranei allo studio delle scienze fisiche e naturali. Bisogna dunque che vi si applichino, ma con misura e in saggia proporzione. Non è dunque affatto necessario che, nei corsi di scienze, collegati allo studio della filosofia, i professori si sentano obbligati ad esporre dettagliatamente le infinite applicazioni delle scienze fisiche e naturali ai diversi settori dell’industria umana. È sufficiente che i loro allievi ne conoscano con esattezza i principi fondamentali e le principali conseguenze, per essere in grado di rispondere alle obiezioni che gli increduli traggono da queste scienze contro gli insegnamenti della rivelazione. – È importante soprattutto che, per almeno due anni, gli alunni dei seminari maggiori studino con il massimo impegno la filosofia razionale, che, come diceva un dotto benedettino, D. Mabillon, onore del suo ordine e della Francia, sarà loro di grande utilità non soltanto per insegnare loro il retto modo di ragionare e di formulare i retti giudizi, ma per renderli anche capaci di difendere la fede ortodossa contro gli argomenti capziosi e spesso sofistici degli avversari. – Vengono poi le scienze sacre propriamente dette, cioè la teologia dogmatica e la teologia morale, la sacra Scrittura, la storia della Chiesa e il Diritto canonico. Sono queste le scienze proprie del Sacerdote. Egli ne riceve una prima iniziazione durante il suo soggiorno nel seminario maggiore; ma dovrà proseguirne lo studio per tutto il resto della vita. La teologia è la scienza delle cose della fede. Essa si alimenta, come dice il papa Sisto V, a quelle sorgenti sempre zampillanti che sono le sacre Scritture, le decisioni dei Papi, i decreti dei Concili. Chiamata positiva e speculativa, o scolastica, a seconda del metodo che si usa nello studiarla, la teologia non si limita a proporre le verità da credere: ne scruta l’interiore profondità, ne mostra i rapporti con la ragione umana, e con l’aiuto delle risorse che le fornisce la vera filosofia, le spiega, le sviluppa e le adatta perfettamente a tutte le necessità della difesa e della propagazione della fede. A somiglianza di Bezaleel, al quale il Signore aveva donato uno spirito di sapienza, di intelligenza e di scienza, affidandogli il compito di costruire il suo tempio, il teologo taglia le pietre preziose dei dogmi divini, le adatta con arte, e con l’accorgimento con cui le dispone ne fa risaltare lo splendore, l’incanto e la bellezza. – Lo stesso Sisto V considera a buon diritto questa teologia (ed egli parla proprio della teologia scolastica) come un dono del cielo e richiede che sia mantenuta nelle scuole e coltivata con grande passione, essendo quanto vi è di più fruttuoso per la Chiesa. – C’è bisogno a questo punto di ricordare che il libro per eccellenza in cui gli allievi potranno studiare con il più grande profitto la teologia scolastica, è la Somma teologica di s. Tommaso d’Aquino? Vogliamo dunque che i professori si facciano premura di spiegarne a tutti i loro allievi il metodo e i principali articoli relativi alla fede cattolica. – Raccomandiamo ugualmente che tutti i seminaristi abbiano in mano e rileggano spesso il libro d’oro, conosciuto con il nome di Catechismo del Santo Concilio di Trento o Catechismo Romano, dedicato a tutti i Sacerdoti incaricati della cura pastorale (Catechismus ad parochos). Ragguardevole per la ricchezza e l’esattezza della dottrina e insieme per l’eleganza dello stile, questo Catechismo è un prezioso riassunto di tutta la teologia dogmatica e morale. Chiunque lo possieda a fondo, avrà sempre a sua disposizione le risorse sul cui fondamento un Sacerdote potrà predicare con frutto, assolvere degnamente all’importante ministero della confessione e della direzione spirituale delle anime, ed essere in grado di confutare vittoriosamente le obiezioni degli increduli. – Per quanto riguarda lo studio delle sacre Scritture. Noi richiamiamo di nuovo la vostra attenzione, venerabili fratelli, sugli insegnamenti che abbiamo dato nella Nostra Enciclica Providentissimus Deus della quale desideriamo che i professori diano conoscenza ai loro discepoli, aggiungendovi le necessarie spiegazioni. Essi li metteranno in guardia soprattutto contro le pericolose tendenze che cercano di introdursi nell’interpretazione della Bibbia, le quali, se dovessero prevalere, non tarderebbero molto a distruggerne l’ispirazione e il carattere soprannaturale. Sotto lo specioso pretesto di sottrarre agli avversari della parola rivelata l’uso di argomenti che potrebbero sembrare inconfutabili contro l’autenticità e la veracità dei libri santi, alcuni scrittori cattolici hanno creduto che fosse di grande utilità l’adottare anche loro queste argomentazioni. In virtù di questa strana e pericolosa tattica, hanno così lavorato con le proprie mani ad aprire delle brecce nelle mura della città che avevano invece la missione di difendere. Nella Nostra Enciclica sopra citata, come anche in un altro documento, Noi abbiamo fatto giustizia di queste dannose temerarietà. Pur incoraggiando i nostri esegeti a tenersi al corrente dei progressi della critica, Noi abbiamo saldamente mantenuto i princìpi sanciti in questa materia dall’autorevole Tradizione dei Padri e dei Concili, e rinnovati ai nostri giorni dal Concilio Vaticano. – La storia della Chiesa è come uno specchio nel quale risplende la vita della Chiesa attraverso i secoli. Molto più ancora della storia civile e profana, essa dimostra la sovrana libertà di Dio e la sua azione provvidenziale nel susseguirsi degli eventi. – Quelli che la studiano non debbono mai perdere di vista che essa racchiude un insieme di fatti dogmatici, che si impongono alla fede e che non è permesso a nessuno di mettere in discussione. Questa idea direttrice e soprannaturale che presiede ai destini della Chiesa è nello stesso tempo la fiaccola la cui luce illumina la storia. Tuttavia, e poiché la Chiesa, che continua fra gli uomini la vita del Verbo incarnato, si compone di un elemento divino e di un elemento umano, quest’ultimo dev’essere esposto dai maestri e studiato dagli allievi con grande onestà. Come è detto nel libro di Giobbe, “Dio non ha bisogno delle nostre menzogne”. Lo storico della Chiesa sarà tanto più efficace nel far emergere la sua origine divina, superiore ad ogni concetto di ordine puramente terreno e naturale, quanto più sarà stato leale nel non dissimulare nessuna delle prove che gli errori dei suoi figli, e talvolta anche dei suoi ministri, hanno fatto subire nel corso dei secoli a questa sposa del Cristo. Studiata in questo modo, la storia della Chiesa, da sé sola, costituisce una magnifica e convincente dimostrazione della verità e della divinità del Cristianesimo. – Infine, per completare il ciclo degli studi con i quali i candidati al Sacerdozio debbono prepararsi al loro futuro ministero, bisogna menzionare il Diritto canonico, o scienza delle leggi e della giurisprudenza della Chiesa. Questa scienza si collega con dei legami molto stretti e logici a quella della teologia, di cui mostra le applicazioni pratiche a tutto ciò che riguarda il governo della chiesa, l’amministrazione delle cose sante, i diritti e i doveri dei ministri, l’uso dei beni temporali, di cui essa ha bisogno per l’adempimento della sua missione. “Senza la conoscenza del diritto canonico (dicevano molto bene i Padri di uno dei vostri concili provinciali) la teologia è imperfetta, incompleta, simile a un uomo che fosse privo di un braccio. Proprio l’ignoranza del Diritto canonico ha favorito la nascita e la diffusione di numerosi errori sui diritti dei Romani Pontefici, su quelli dei Vescovi, e sulla potestà che la Chiesa tiene dalla propria costituzione, di cui proporziona l’esercizio alle circostanze”. – Riassumeremo tutto ciò che abbiamo appena detto sui vostri seminari minori e maggiori con queste parole di s. Paolo, che Noi raccomandiamo alla frequente meditazione dei maestri e degli alunni dei vostri atenei ecclesiastici: “O Timoteo, custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza, professando la quale taluni hanno deviato dalla fede”. – Ora poi vogliamo rivolgere a voi la parola, figli carissimi, a voi che, ordinati Sacerdoti, siete diventati cooperatori dei vostri Vescovi. Noi conosciamo, e il mondo intero le conosce come Noi, le qualità che vi distinguono. Non vi è un’opera buona, di cui voi non siate gli ispiratori o gli apostoli. Docili ai consigli che Noi abbiamo dato nella Nostra Enciclica Rerum novarum, voi andate al popolo, agli operai, ai poveri. Voi cercate in tutti i modi di venir loro in aiuto, di moralizzarli, e di rendere la loro sorte meno dura. A tale scopo voi promuovete delle riunioni e dei congressi; fondate dei patronati, dei circoli, delle casse rurali, degli uffici di assistenza e di collocamento per i lavoratori. Vi date da fare per introdurre delle riforme nell’ordine economico e sociale, e per un così difficile lavoro non esitate a fare notevoli sacrifici di tempo e di denaro. Sempre per questo voi scrivete libri e articoli nei giornali e nelle riviste periodiche. Tutte queste cose, di per sé, sono lodevolissime e voi date prove inequivocabili di buona volontà, di intelligenza e di generosa dedizione ai bisogni più urgenti della società contemporanea e delle anime. – Tuttavia, fratelli carissimi, Noi crediamo di dovere richiamare paternamente la vostra attenzione su quei principi fondamentali ai quali non mancherete di conformarvi, se volete che la vostra azione sia realmente fruttuosa e feconda. – Ricordatevi prima di tutto che, per essere utile al bene e degno di essere lodato, lo zelo deve essere “accompagnato dalla discrezione, dalla rettitudine e dalla purezza”. Così si esprime il grave e dotto Tommaso da Kempis.Prima di lui, S. Bernardo, la gloria del vostro paese nel dodicesimo secolo, questo apostolo infaticabile di ogni causa grande che toccasse l’onore di Dio, i diritti della Chiesa e il bene delle anime, non aveva timore di dire che “separato dalla scienza e dallo spirito di discernimento o di discrezione, lo zelo è insopportabile: … che quanto più lo zelo è ardente, tanto più è necessario che sia accompagnato da questa discrezione che mette l’ordine nell’esercizio della carità e senza la quale la stessa virtù può diventare un difetto e un principio di disordine”. – Ma la discrezione nelle opere e nella scelta dei mezzi per farle riuscire è tanto più necessaria ai giorni nostri, che sono ancora più torbidi e irti di più numerose difficoltà. Tale atto, tale misura, tale pratica di zelo potranno anche essere per se stessi eccellenti, ma, viste le circostanze, produrranno soltanto degli effetti incresciosi. I Sacerdoti potranno evitare questo inconveniente e questa sciagura se, prima di agire e nell’azione, avranno cura di conformarsi all’ordine stabilito e alle regole della disciplina. Ora, la disciplina ecclesiastica esige l’unione fra i diversi membri della gerarchia, il rispetto e l’obbedienza degli inferiori verso i superiori. Noi lo abbiamo detto poco tempo fa nella Nostra lettera all’Arcivescovo di Tours: “L’edificio della Chiesa, di cui Dio stesso è l’architetto, riposa su di un fondamento visibilissimo, prima di tutto sull’autorità di Pietro e dei suoi successori, ma anche sugli Apostoli, e i successori degli Apostoli, che sono i Vescovi; al punto che. ascoltare o disprezzare la loro voce, equivale ad ascoltare o a disprezzare Gesù Cristo stesso”. – Ascoltate dunque le parole rivolte dal grande martire di Antiochia, s. Ignazio, al clero della Chiesa primitiva: “Tutti obbediscano al Vescovo, come Gesù Cristo ha obbedito al Padre….Senza il Vescovo non fate nulla di ciò che riguarda il servizio della Chiesa, e come nostro Signore non ha fatto nulla senza il Padre, voi, Sacerdoti, non fate nulla senza il vostro Vescovo. Tutti i membri del presbiterio siano a lui uniti, come sono unite all’arpa le sue corde”.Se, al contrario, voi, come preti, operate al di fuori di questa sottomissione e di questa unione ai vostri Vescovi, Noi vi ripeteremo ciò che diceva il Nostro predecessore Gregorio XVI, cioè che “per quanto è in voi, voi distruggete da cima a fondo l’ordine stabilito con così grande provvidenza da Dio, autore della Chiesa”. – Ricordate anche, figli Nostri cari, che la Chiesa è paragonata a ragione ad un esercito schierato in battaglia, “sicut castrorum acies ordinata” (Ct VI, 3), perché essa ha il compito di combattere i nemici visibili e invisibili di Dio e delle anime. Ecco perché s. Paolo raccomandava a Timoteo di comportarsi come un buon soldato di Cristo Gesù” (2Tm II, 3). Ora, ciò che costituisce la forza di un esercito e contribuisce maggiormente alla vittoria, è la disciplina, è l’obbedienza esatta e rigorosa di tutti a coloro che hanno il compito di comandare. – Proprio qui lo zelo intempestivo e senza discrezione può facilmente diventare la causa di grandi disastri. Ricordatevi uno dei fatti più memorabili della storia sacra. Non mancavano certamente né di coraggio, né di buona volontà, né di dedizione alla causa santa della religione quei sacerdoti che si erano raccolti attorno a Giuda Maccabeo per combattere con lui i nemici del vero Dio profanatori del tempio, gli oppressori della loro nazione. Tuttavia, avendo voluto sottrarsi alle regole della disciplina, si impegnarono temerariamente in un combattimento nel quale furono vinti. Lo Spirito Santo ci dice di loro “che essi non erano della stirpe di quei valorosi, per le cui mani era stata compiuta la salvezza di Israele”. Perché? Perché essi avevano voluto obbedire soltanto alla loro ispirazione e si erano lanciati avanti senza attendere gli ordini dei loro capi. “In die illa ceciderunt sacerdotes in bello, dum volunt fortiter tacere, dum sine consilio exeunt in prælium. Ipsi autem non erant de semine virorum illorum, per quos salus facta est in Israel” (1Mac 5,67.62). – A questo riguardo, i nostri nemici possono servirci di esempio. Essi sanno molto bene che l’unione fa la forza, “vis unita fortior“; non mancano così di unirsi strettamente quando si tratta di combattere la santa Chiesa di Cristo. – Se dunque, cari figli Nostri, e questo è certamente il caso vostro, voi desiderate che, nella terribile lotta ingaggiata contro la Chiesa dalle sette anticristiane e dalla città del demonio, la vittoria resti a Dio e alla sua Chiesa, è assolutamente necessario che voi combattiate tutti insieme nel massimo ordine e con rigorosa disciplina sotto il comando dei vostri capi gerarchici. Non vogliate ascoltare quegli uomini nefasti che, pur dicendosi Cristiani e Cattolici, seminano la zizzania nel campo del Signore e gettano la divisione nella sua Chiesa attaccando, e spesso anche calunniando, i Vescovi, “posti dallo Spirito Santo a pascere la Chiesa di Dio” (At XX, 28). Non dovete leggere i loro opuscoli, né i loro giornali. Un buon Sacerdote non deve autorizzare in alcun modo né le loro idee, né la licenza del loro linguaggio. Potrà forse mai dimenticare che, il giorno della sua ordinazione, ha promesso solennemente al suo Vescovo, di fronte al sacro altare, “obedientiam et reverentiam“? Innanzitutto però, cari figli Nostri, ricordatevi che la condizione indispensabile del vero zelo sacerdotale e il pegno migliore del successo nelle opere alle quali l’obbedienza gerarchica vi consacra, è la purezza e la santità della vita. “Gesù ha cominciato con il fare, prima di insegnare” (At I,1). Come lui, il Sacerdote deve con la predicazione dell’esempio preludere alla predicazione della parola. “Vedendoli, infatti, sollevati in una sfera più alta, al di sopra degli affanni del secolo (dicono i Padri del Concilio di Trento), gli altri guardano a loro come ad uno specchio e da essi traggono l’esempio da imitare. È assolutamente necessario, perciò, che i chierici, chiamati ad avere Dio in eredità, regolino la loro vita e tutti i loro costumi in modo tale che negli abiti, nel modo di comportarsi, di camminare, di parlare e in tutte le altre azioni, mostrino soltanto un atteggiamento serio, equilibrato e pieno di religiosità. Fuggano anche le mancanze leggere, che in essi sembrerebbero grandissime, perché le loro azioni possano ispirare a tutti un senso di venerazione”. – A queste raccomandazioni del santo Concilio che Noi vorremmo, cari figli Nostri, incidere nei vostri cuori, verrebbero sicuramente meno i Sacerdoti che adottassero nella loro predicazione un linguaggio poco in armonia con la dignità del loro Sacerdozio e con la santità della parola di Dio; che assistessero ad assemblee popolari in cui la loro presenza servisse solo ad eccitare le passioni degli empi e dei nemici della Chiesa, e li esponesse alle ingiurie più grossolane, senza vantaggio per nessuno, e con grande stupore, se non anche scandalo, dei pii fedeli; che assumessero le abitudini, i modi di essere e di agire, e lo spirito dei secolari. Certamente il sale deve essere mescolato alla massa che deve preservare dalla corruzione, nel tempo stesso in cui difende se stesso da questa, sotto pena di perdere ogni sapore e di non essere più buono ad altro che ad essere gettato fuori e calpestato (cf. Mt V,13). – Allo stesso modo il Sacerdote, sale della terra, nel suo contatto obbligato con la società che lo circonda, deve conservare la modestia, la serietà, la santità nel suo contegno, nei suoi atti, nelle sue parole, e non lasciarsi invadere mai dalla leggerezza, dalla dissipazione, dalla vanità delle genti del mondo. Bisogna, al contrario, che in mezzo agli uomini egli conservi la sua anima così unita a Dio, che non vi perda nulla dello spirito del suo stato e non sia costretto a fare davanti a Dio e alla sua coscienza questa triste e umiliante confessione: “tutte le volte che sono stato fra i laici, ne sono ritornato meno Sacerdote”. – Non potrebbe essere proprio per avere messo da parte, con uno zelo presuntuoso, queste regole tradizionali della discrezione, della modestia, della prudenza sacerdotale, che alcuni Sacerdoti considerano sorpassati, incompatibili con i bisogni del ministero nel tempo presente, i princìpi di disciplina e di condotta che essi hanno ricevuto dai loro maestri del seminario maggiore? Li si vede andare, come per istinto, incontro alle innovazioni più pericolose di linguaggio, di comportamento, di relazioni. Parecchi, ahimè, impegnati temerariamente su sdrucciolevoli pendii dove da se stessi non avevano la forza di mantenersi saldi, disprezzando gli avvertimenti caritatevoli dei loro superiori o dei loro confratelli più anziani e più ricchi di esperienza, sono giunti a delle apostasie che hanno rallegrato gli avversari della Chiesa e fatto versare amarissime lacrime ai loro Vescovi, ai loro fratelli nel Sacerdozio e ai pii fedeli. Sant’Agostino ce lo dice: “Più si procede con forza e rapidità, quando si è al di fuori del retto cammino, più ci si smarrisce”.Ci sono sicuramente delle novità vantaggiose, capaci di fare avanzare il regno di Dio nelle anime e nella società. Ma, ci dice il santo Vangelo (Mt XIII, 52), è al “Padre di famiglia” e non ai figli, o ai servitori, che spetta esaminarle e, se lo giudica opportuno, dare loro il diritto di cittadinanza, accanto agli usi antichi e venerabili che compongono l’altra parte del suo tesoro. – Quando non molto tempo fa Noi abbiamo adempiuto al dovere apostolico di mettere in guardia i Cattolici dell’America del Nord contro certe novità che tendevano, fra le altre cose, a sostituire ai princìpi di perfezione consacrati dall’insegnamento dei dottori e dalla pratica dei santi, delle massime o delle regole di vita morale più o meno impregnate di quel naturalismo che, ai nostri giorni, tende a penetrare dappertutto, Noi abbiamo altamente proclamato che, lungi dal ripudiare e rigettare in blocco i progressi compiuti nei tempi presenti, Noi vogliamo accogliere assai volentieri tutto ciò che può aumentare il patrimonio della scienza o generalizzare maggiormente le condizioni della prosperità pubblica. Ma Noi avemmo cura di aggiungere che questi progressi non avrebbero potuto servire efficacemente la causa del bene, se si fosse messa da parte la saggia autorità della Chiesa. – Terminando questa lettera, ci è gradito applicare al clero di Francia quanto abbiamo scritto un tempo ai Sacerdoti della Nostra diocesi di Perugia. Riproduciamo qui una parte della Nostra lettera pastorale che rivolgemmo loro il 19 luglio 1886. “Noi chiediamo agli ecclesiastici della Nostra diocesi di riflettere seriamente sui loro sublimi doveri, sulle condizioni difficili che attraversiamo, e di fare in modo che la loro condotta sia in armonia con i loro doveri, e sempre conforme alle regole di uno zelo illuminato e prudente. Così, coloro stessi che sono nostri nemici cercheranno invano dei motivi di rimprovero e di biasimo: “qui ex adverso est, vereatur, nihil habens malum dicere de nobis“. – Quantunque di giorno in giorno si moltiplichino le difficoltà e i pericoli, il pio e fervente Sacerdote non deve per questo scoraggiarsi; non deve abbandonare i suoi doveri, né arrestarsi nell’adempimento della missione spirituale che ha ricevuto per il bene, per la salvezza dell’umanità e per il sostegno di quell’augusta Religione di cui è l’araldo e il ministro. Perché è soprattutto nelle difficoltà, nelle prove, che la sua virtù si afferma e si fortifica: nelle più grandi sventure, in mezzo alle trasformazioni politiche e agli sconvolgimenti sociali la sua azione benefica e civilizzatrice si manifesta con maggiore splendore. – Per discendere alla pratica, noi troviamo un insegnamento perfettamente adatto alle circostanze nelle quattro massime che il grande apostolo s. Paolo dava al suo discepolo Tito. Offri in ogni cosa il buon esempio nelle tue opere, nella tua dottrina, nella integrità della tua vita, nella gravità della tua condotta, non adoperando se non parole sante e irreprensibili.Noi vorremmo che ogni membro del nostro clero meditasse queste massime e vi conformasse la sua condotta. “In omnibus tè ipsum præbe exemplum bonorum operum“. Offrite in ogni cosa l’esempio delle opere buone, cioè di una vita esemplare e attiva, animata da un vero spirito di carità, e guidata dalle norme della prudenza evangelica, di una vita di sacrificio e di lavoro, consacrata a far del bene al prossimo, non già per vedute terrene e per una transitoria ricompensa, ma per uno scopo soprannaturale. Date l’esempio di quel linguaggio, semplice a un tempo e nobile ed elevato, di quella parola sana e irreprensibile che confonde ogni umana opposizione, mitiga l’antico odio che ci ha giurato il mondo e ci concilia il rispetto e la stima degli stessi nemici della Religione. – Chiunque si è votato al servizio del santuario è stato obbligato in ogni tempo a mostrarsi come un vivente modello, un esemplare perfetto di tutte le virtù; ma questo obbligo è molto più grande quando, in seguito agli sconvolgimenti sociali, si cammina su di un terreno difficile e incerto, dove ad ogni passo possono trovarsi imboscate e pretesti di attacco…

In doctrina“. In presenza degli sforzi concordi dell’incredulità e dell’eresia per consumare la rovina della fede cattolica, sarebbe un vero delitto per il clero rimanersene esitante e inerte. In mezzo a un così vasto dilagare di errori, di un tal conflitto di opinioni, egli non può venir meno alla propria missione che è di difendere il dogma attaccato, la morale travisata e la giustizia cosi spesso misconosciuta. Ad esso spetta di opporsi come un baluardo all’errore invadente e alla mal dissimulata eresia; ad esso sorvegliare i movimenti dei fautori dell’empietà che insidiano la fede e l’onore di questa cattolica contrada, ad esso smascherare le loro frodi e additare le loro insidie; ad esso premunire i semplici, rafforzare i timidi, aprire gli occhi ai ciechi. Una superficiale erudizione, una scienza volgare non bastano a tutto ciò; ci vogliono degli studi solidi, profondi ed assidui, in una parola, un insieme di conoscenze dottrinali capaci di lottare con la sottigliezza e la singolare astuzia dei moderni nostri contraddittori…

In integritate“. Nulla prova meglio l’importanza di questo consiglio, della triste esperienza di ciò che intorno ci accade. Non vediamo infatti che la vita rilassata di certi ecclesiastici discredita e fa disprezzare il loro ministero e cagiona scandali? Se alcuni uomini, dotati di uno spirito brillante e ragguardevole disertano qualche volta le schiere della santa milizia, e si ribellano alla Chiesa, a questa madre che nell’affettuosa sua tenerezza li aveva preposti al governo e alla salute delle anime, la loro defezione, i loro traviamenti non hanno per lo più altra origine che la loro indisciplinatezza e i loro cattivi costumi…

In gravitate“. Per gravità bisogna intendere quella condotta seria, piena di ponderazione e di tatto, che deve essere propria del ministro fedele e prudente che Dio ha eletto al governo della sua famiglia. Costui infatti, ringraziando Dio di essersi degnato elevarlo a tale onore, deve mostrarsi fedele a tutte le sue obbligazioni, nel tempo stesso che misurato e prudente in ogni suo atto; non deve lasciarsi per nulla dominare da vili passioni, ne trascinare a parole violente ed eccessive; deve compatire con bontà le sciagure e le debolezze altrui, fare a ciascuno tutto il bene che può disinteressatamente, senza ostentazione, mantenendo sempre intatto l’onore del suo carattere e della sua sublime dignità…”. –

Noi torniamo ora a voi, figli Nostri cari del clero francese, e abbiamo la salda fiducia che le Nostre prescrizioni e i Nostri consigli, ispirati unicamente dal Nostro amore paterno, saranno compresi e accolti da voi, secondo il senso e la portata che Noi abbiamo voluto loro dare indirizzandovi questa lettera. – Noi ci aspettiamo molto da voi, perché Dio vi ha riccamente dotati di tutti i doni e di tutte le qualità necessarie per operare cose grandi e sante a vantaggio della Chiesa e della società. Noi vorremmo che neppure uno tra voi si lasciasse macchiare da quelle imperfezioni che diminuiscono lo splendore del carattere sacerdotale e nuocciono alla sua efficacia. – I tempi attuali sono tristi; l’avvenire è ancora più oscuro e minaccioso; sembra annunciare l’avvicinarsi di una spaventosa crisi di sovvertimenti sociali. Bisogna dunque, come Noi lo abbiamo detto in diverse circostanze, che si mettano in onore i salutari princìpi della Religione, come quelli della giustizia, della carità, del rispetto e del dovere. Spetta a noi imprimerli profondamente nelle anime, particolarmente in quelle che sono schiave dell’incredulità o agitate da funeste passioni; spetta a noi di far regnare la grazia e la pace del nostro divino Redentore che è la Luce, la Risurrezione, la Vita, e di riunire in lui tutti gli uomini, malgrado le inevitabili distinzioni sociali che li separano. – Sì, più che mai, i giorni in cui viviamo reclamano il concorso e la dedizione di Sacerdoti esemplari, pieni di fede, di discrezione, di zelo, che, ispirandosi alla dolcezza e all’energia di Gesù Cristo di cui sono i veri ambasciatori, “pro Christo legatione fungimur” (2Cor V, 20), annuncino con una coraggiosa e indefessa costanza le verità eterne, che sono per le anime i semi fecondi delle virtù. – Il loro ministero sarà faticoso; spesso anche penoso, specialmente nei paesi in cui le popolazioni, prese soltanto dagli interessi terreni, vivono nell’oblio di Dio e della santa religione. Ma l’azione illuminata, caritatevole, infaticabile del sacerdote, fortificata dalla grazia divina, opererà, come ha sempre fatto in tutti i tempi, incredibili prodigi di risurrezione. – Noi salutiamo con tutti i nostri voti e con gioia ineffabile questa consolante prospettiva, mentre, con tutto l’affetto del Nostro cuore, concediamo a voi, venerabili fratelli, al clero e a tutti i cattolici di Francia, la benedizione apostolica.

Roma, presso San Pietro, 1’8 settembre dell’anno 1899, ventiduesimo del Nostro pontificato.

DOMENICA II DOPO EPIFANIA 2023

DOMENICA II DOPO L’EPIFANIA (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani,

comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio – Paramenti verdi.

Fedele alla promessa che aveva fatta ad Abramo ed ai suoi discendenti, Dio inviò il Figlio suo per salvare il suo popolo. E nella sua misericordia, Egli volle anche riscattare tutti i pagani. Gesù è il Re che tutta la terra deve adorare e celebrare come suo Redentore (Intr., Grad.). Morendo sulla croce Gesù è diventato il nostro Re, e col S. Sacrifizio – ricordo del Calvario – applica alle nostre anime i meriti della sua redenzione ed esercita quindi la sua regalità su di noi. Così col miracolo delle Nozze di Cana – simbolo dell’Eucaristia – Gesù manifesta per la prima volta in modo aperto ai suoi Apostoli la sua divinità, cioè il suo carattere divino e regale, ed è allora che « i suoi discepoli credono in Lui ». – La trasformazione dell’acqua in vino è il simbolo della transustanziazione, che S. Tommaso chiama il più grande di tutti i miracoli, e in virtù del quale il vino Eucaristico diviene il Sangue dell’Alleanza di Pace (Or.) che Dio ha stabilito con la sua Chiesa. E poiché il Re divino vuole sposare le nostre anime, è con l’Eucaristia che si celebra questo sposalizio mistico, poiché essa aumenta la fede e l’amore che ci fanno membri viventi di Gesù nostro Capo. (« L’unità del corpo mistico è prodotta dal vero corpo ricevuto sacramentalmente » – S. Tommaso). Le nozze di Cana raffigurano anche l’unione del Verbo con la Chiesa sua sposa. « Invitato alle nozze – dice S. Agostino – Gesù vi andò per confermare la castità coniugale e per mostrare che Egli è l’autore del Sacramento del Matrimonio e per rivelarci il significato simbolico di queste nozze, cioè l’unione del Cristo con la sua Chiesa. In tal modo anche quelle anime che hanno votato a Dio la loro verginità, non sono senza nozze, partecipando esse con tutta la Chiesa a quelle nozze in cui lo Sposo è Cristo ».

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXV: 4

Omnis terra adóret te, Deus, et psallat tibi: psalmum dicat nómini tuo, Altíssime.

[Tutta la terra Ti adori, o Dio, e inneggi a Te: canti salmi al tuo nome, o Altissimo.]

Ps LXV: 1-2

Jubiláte Deo, omnis terra, psalmum dícite nómini ejus: date glóriam laudi ejus.

[Alza a Dio voci di giubilo, o terra tutta: canta salmi al suo nome e gloria alla sua lode.]

Omnis terra adóret te, Deus, et psallat tibi: psalmum dicat nómini tuo, Altíssime.

[Tutta la terra Ti adori, o Dio, e inneggi a Te: canti salmi al tuo nome, o Altissimo.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, qui coeléstia simul et terréna moderáris: supplicatiónes pópuli tui cleménter exáudi; et pacem tuam nostris concéde tempóribus.

[O Dio onnipotente ed eterno, che governi cielo e terra, esaudisci clemente le preghiere del tuo popolo e concedi ai nostri giorni la tua pace.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom XII: 6-16

“Fratres: Habéntes donatiónes secúndum grátiam, quæ data est nobis, differéntes: sive prophétiam secúndum ratiónem fídei, sive ministérium in ministrándo, sive qui docet in doctrína, qui exhortátur in exhortándo, qui tríbuit in simplicitáte, qui præest in sollicitúdine, qui miserétur in hilaritáte. Diléctio sine simulatióne. Odiéntes malum, adhæréntes bono: Caritáte fraternitátis ínvicem diligéntes: Honóre ínvicem præveniéntes: Sollicitúdine non pigri: Spíritu fervéntes: Dómino serviéntes: Spe gaudéntes: In tribulatióne patiéntes: Oratióni instántes: Necessitátibus sanctórum communicántes: Hospitalitátem sectántes. Benedícite persequéntibus vos: benedícite, et nolíte maledícere. Gaudére cum gaudéntibus, flere cum fléntibus: Idípsum ínvicem sentiéntes: Non alta sapiéntes, sed humílibus consentiéntes.

[Fratelli, avendo noi dei doni differenti secondo la grazia che ci è stata donata, chi ha la profezia (l’eserciti) secondo la regola della fede; chi il ministero, amministri, chi l’insegnamento, insegni; chi ha l’esortazione, esorti; chi distribuisce (lo faccia) con semplicità; che fa opere di misericordia, con ilarità. La vostra carità non sia finta. Odiate il male; affezionatevi al bene. Amatevi scambievolmente con amore fraterno, prevenendovi gli uni gli altri nel rendervi onore. Non pigri nello zelo, ferventi nello spirito, servite al Signore. Siate allegri per la speranza, pazienti nella tribolazione, assidui nella preghiera. Provvedete ai bisogni dei santi; praticate l’ospitalità. Benedite quelli che vi perseguitano: benedite e non vogliate maledire. Rallegratevi con chi gioisce; piangete con chi piange, avendo gli stessi sentimenti l’uno per l’altro. Non aspirate alle cose alte, ma adattatevi alle umili.]

 P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

LA CARITÀ PIÙ DIFFICILE.

San Paolo in materia di carità è un Maestro straordinario; grande in tutto, è grandissimo in questo. Assurge al grido più sublime, discende alle considerazioni più pratiche e in questo terreno pratico che pare umile, spiega un’abilità, una finezza che lo mette in contrasto, vittorioso da parte sua, con le idee che hanno più facile e maggior voga nella società. Ecco qua un binomio nel quale si riassume l’esercizio pratico della carità: « gaudere curri gaudentibus, flere cura flentibus ». Dove il consiglio o precetto di piangere con chi piange appare a tutti un precetto caritatevolissimo. Non è egli giusto e bello compiangere chi soffre? aiutarlo, per stimolo di compassione sincera a non soffrire più? a superare il suo dolore? È così bella e caritatevole questa funzione del piangere coi dolenti che per molti la carità predicata da Cristo si riduce lì. La carità per lo meno più autentica, più meritevole è questa. Gli altri, quelli che non soffrono né punto né poco anzi godono, se la scialano, se la ridono, che bisogno hanno di carità? O come la possiamo esercitare verso di loro? Come possiamo essere con loro e verso di loro caritatevoli? Domanda che S. Paolo non ammette in quanto tendono a rimpicciolire l’esercizio della carità nel campo della miseria umana. La. carità spazia in termini più vasti. È possibile anche coi felici, solo che è più difficile. È molto difficile. Impietosirsi cogli infermi è più facile. Strano, ma vero. E neanche strano. Il nostro egoismo in fondo è carezzato, vellicato, soddisfatto quando vede soffrire gli altri, quando incontra il dolore. E assumiamo volentieri l’attitudine della pietà perché è un’attitudine universalmente apprezzata, facciamo il gesto del soccorso perché esso pare a tutti un bel gesto. Ci dà una doppia superiorità, la superiorità di chi non soffre e quella di chi benefica. Impalcatura psicologica che crolla quando il nostro prossimo è fortunato; quando invece di passare lagrimando dalla gioia al dolore, dalla ricchezza alla povertà, dalla salute alla malattia, passa allegramente, ridendo, cantando dal dolore alla gioia, e per esempio dalla povertà alla ricchezza. Quando una famiglia ricca per un rovescio diventa povera, quanti dicono, e abbastanza sinceramente: povera gente! e piangono e aiutano. Ma quando accade il rovescio, quando il povero diventa ricco sono molti che si rallegrano sinceramente? Attenti a questo sinceramente! Perché la commedia delle congratulazioni la recitano molti, troppi: ma è una commedia. Sotto sotto, dentro di sé, in realtà crepano d’invidia. Il buon Cristiano, il vero caritatevole si rivela in quel « gaudere cura gaudentibus » prima e più che nel « flere cura flentibus », nel partecipare alle altrui gioie prima e più che nel dividere gli altrui dolori.

Graduale

Ps CVI: 20-21

Misit Dóminus verbum suum, et sanávit eos: et erípuit eos de intéritu eórum.

[Il Signore mandò la sua parola e li risanò: li salvò dalla distruzione.]

V. Confiteántur Dómino misericórdiæ ejus: et mirabília ejus fíliis hóminum. 

[V. Diano lode al Signore le sue misericordie e le sue meraviglie in favore degli uomini. ]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps CXLVIII: 2

Laudáte Dóminum, omnes Angeli ejus: laudáte eum, omnes virtútes ejus. Allelúja.

[Lodate il Signore, voi tutti suoi Angeli: lodatelo, voi tutte milizie sue. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem. [Joann II: 1-11]

In illo témpore: Núptiæ factæ sunt in Cana Galilaeæ: et erat Mater Jesu ibi. Vocátus est autem et Jesus, et discípuli ejus ad núptias. Et deficiénte vino, dicit Mater Jesu ad eum: Vinum non habent. Et dicit ei Jesus: Quid mihi et tibi est, mulier? nondum venit hora mea. Dicit Mater ejus minístris: Quodcúmque díxerit vobis, fácite. Erant autem ibi lapídeæ hýdriæ sex pósitæ secúndum purificatiónem Judæórum, capiéntes síngulæ metrétas binas vel ternas. Dicit eis Jesus: Implete hýdrias aqua. Et implevérunt eas usque ad summum. Et dicit eis Jesus: Hauríte nunc, et ferte architriclíno. Et tulérunt. Ut autem gustávit architriclínus aquam vinum fáctam, et non sciébat unde esset, minístri autem sciébant, qui háuserant aquam: vocat sponsum architriclínus, et dicit ei: Omnis homo primum bonum vinum ponit: et cum inebriáti fúerint, tunc id, quod detérius est. Tu autem servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc fecit inítium signórum Jesus in Cana Galilaeæ: et manifestávit glóriam suam, et credidérunt in eum discípuli ejus.

[In quel tempo: Vi furono delle nozze in Cana di Galilea, e li vi era la Madre di Gesù. E alle nozze fu invitato anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la Madre di Gesù disse a Lui: Non hanno più vino. E Gesù rispose: Che ho a che fare con te, o donna? La mia ora non è ancora venuta. Disse sua Madre ai domestici: Fate tutto quello che vi dirà. Orbene, vi erano lì sei pile di pietra, preparate per la purificazione dei Giudei, ciascuna contenente due o tre metrete. Gesù disse loro: Empite d’acqua le pile. E le empirono fino all’orlo. Gesù disse: Adesso attingete e portate al maestro di tavola. E portarono. E il maestro di tavola, non appena ebbe assaggiato l’acqua mutata in vino, non sapeva donde l’avessero attinta, ma i domestici lo sapevano; chiamato lo sposo gli disse: Tutti servono da principio il vino migliore, e danno il meno buono quando sono brilli, ma tu hai conservato il vino migliore fino ad ora. Così Gesù, in Cana di Galilea dette inizio ai miracoli, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

IL PRIMO MIRACOLO E I SUOI SIGNIFICATI

C’era uno sposalizio a Cana, paese lontano un tre ore di strada da Nazareth. Qualcuno degli sposi doveva essere parente della Santa Famiglia, perché la Madonna era stata invitata e si trovava là. Anche Gesù era stato invitato e vi giunse con un gruppo di discepoli. O perché non avevano fatto bene il calcolo, o per l’improvviso arrivo dei discepoli condotti da Gesù, sul più bello del banchetto, il vino venne a mancare. Maria fu la prima ad accorgersi dell’imbarazzo, e si chinò verso suo Figlio sussurrandogli: « Non c’è più vino ». Gesù le rispose: « E che c’entriamo noi? La mia ora non è questa ». Il cuore delle madri va più in là di quel che le parole dei figli suonano: e Maria, non persuasa d’aver ricevuto un rifiuto definitivo, osò dire ai servi: « State pronti al cenno ». E il cenno fu che riempissero d’acqua fino all’orlo le sei idrie di pietra che stavano lungo il muro fuor della sala, di cui ciascuna era capace di cento litri circa. Tutta quell’acqua fu vino. Il direttore di tavola, come ne assaggiò, fece una faccia piena di meraviglia, non sapendo spiegarsi di dove quel vino eccellente giungesse. Ma ben lo sapevano i servi. Questa trasformazione dell’acqua in vino è il primo miracolo di Gesù e i suoi discepoli lo videro e credettero in Lui. Quando l’acqua diviene vino sull’istante; senza preghiera, senza movimento di mani, senza emetter voce, senza fare un comando, ma soltanto per un atto interiore di volontà, bisogna pur confessare che si è alla presenza non di un uomo, ma di Dio stesso. Ma la trasformazione miracolosa avvenuta alle nozze di Cana è un segno preannunziatore di altre più alte e misteriose trasformazioni. Quel Gesù che trasmuta acqua in vino di nozze saprà trasmutare il contratto matrimoniale in Sacramento, gli uomini in figli di Dio. – 1. IL CONTRATTO MATRIMONIALE TRASMUTATO IN SACRAMENTO. S. Francesco di Sales aveva ospite in casa da alcuni giorni un suo amico. Ed ogni sera, fatto un poco di conversazione, lo accompagnava fino alla sua camera. L’altro protestava e non voleva che un Vescovo si disturbasse tanto per un laico. « Amico mio, non siete voi sposato? ». « Non ancora ». Allora avete ragione di protestare: vi tratterò con più confidenza e minori riguardi ». Per il santo dunque una persona sposata doveva essere circondata di una maggior venerazione. Perché? per la dignità del sacramento del matrimonio che conferisce agli sposi una grazia che li rende capaci d’amarsi soprannaturalmente, e di educare i figli per il Paradiso, e di sopportare con serenità i pesi del loro stato. – Appunto per santificare le nozze, Gesù volle trovarsi a quelle di Cana. Come ha preso la lavanda a simboleggiare e a conferire la grazia che lava dal peccato originale, nel Battesimo, così ha preso il mutuo e perpetuo impegno degli sposi a donarsi l’uno all’altra per simboleggiare la sua unione con la Chiesa e per conferire la grazia d’amarsi indissolubilmente come Egli e la Chiesa si amano. Perciò in Cristo e nella Chiesa il matrimonio è diventato un grande sacramento. Se è un Sacramento, ed un Sacramento dei vivi, bisogna prepararsi con retta intenzione; accostarsi con pura coscienza; perdurarvi secondo la legge di Dio. a) Prepararsi con retta intenzione: non per calcoli umani, né per stimoli unicamente passionali. « Stammi a sentire: — diceva l’Angelo Raffaele al giovane Tobia — io ti mostrerò chi sono quelli sui quali può prevalere il demonio. Quelli che vanno al matrimonio dimenticando Dio, solo per sfogare la propria libidine, come il cavallo ed il mulo che non hanno intelletto: su quelli il demonio ha potestà ». Ma Tobia pregava: « Signore, tu sai ch’io prendo moglie non per lussuria, ma per desiderio di figli nei quali il tuo Nome sia benedetto nei secoli dei secoli » (Tob., VI, 16 – 17; VIII, 9). – b) Perdurarvi secondo la legge di Dio: non significa appena la condanna di ogni infedeltà, ma anche la condanna di ogni uso del matrimonio che non rispetti il fine per cui il Signore l’ha istituito. – 2. L’UOMO TRASMUTATO IN FIGLIO DI DIO. Quel Gesù che alle nozze di Cana trasmutò l’acqua fredda e insapora in vino, forte e generoso, nelle mistiche nozze della Divinità con la umanità avvenute nella sua Incarnazione trasmutò noi da poveri decaduti figli di Adamo in figli di Dio. Come rami di un ulivo selvatico siamo stati staccati dal vecchio e maligno tronco, siamo stati innestati nel divino ulivo Gesù, ed ora assorbiamo la linfa della sua vita, e uniti a Lui possiamo produrre frutti degni della Santissima Trinità. Orbene, ogni innesto richiama una doppia ferita: una nel tronco che deve ricevere il ramo, l’altra nel ramo che deve essere tagliato via dal ceppo maligno. Cristo ricevette la sua ferita sul Calvario. Noi dobbiamo infliggercela di giorno in giorno per strapparci ai desideri e alle opere degli figli del secolo, per vivere soltanto nei desideri e nelle opere di figli di Dio. Liberato dalla schiavitù egiziana, attraversando il deserto verso la Terra Promessa, il popolo d’Israele arrivò alla frontiera del paese degli Edomiti, pagani e crudeli. Mosè inviò alcuni messaggeri al loro re, che dicessero così: « Ci sia concesso di passare attraverso il tuo territorio. Non devasteremo i tuoi campi, né assaggeremo l’uva dalle tue vigne, né berremo l’acqua dei tuoi pozzi: ma andremo per la via maestra, finché avremo oltrepassato i tuoi confini» (Num., XX, 14-17). – Liberati dalla schiavitù del demonio, fatti figli di Dio in viaggio nel deserto di questa vita verso il Paradiso promesso, dobbiamo anche noi attraversare un territorio pagano e pericoloso assai alle nostre anime. Nessuno si lasci incantare dai vigneti del mondo, pieni di lusinghe ma fatali; nessuno abbeveri la sua sete di felicità alle acque contaminate della lussuria e dell’orgoglio e dell’avarizia. Avanti per la strada maestra dei comandamenti, senza voltarsi a destra o a sinistra, diritto fino al regno eterno del Padre celeste dove ci è preparato un posto con eterno amore. – Ricordate la meravigliata espressione del direttore di tavola: « Tutti bevono prima il vino migliore e serbano per ultimo lo scadente… tu hai fatto il contrario ». Sono gli stolti seguaci del mondo che eleggono il vino buono e allegro per questa vita e nell’altra si riserbano lo scadente… Noi Cristiani, seguaci dello Sposo divino Gesù, in riconoscenza delle preziose trasmutazioni che per nostro amore ha operata, eleggiamo per questa vita il vino amaro della mortificazione, ed Egli nell’altra ci riserberà quello ottimo del gaudio eterno.LA MADONNA A NOZZE.Questo fu il primo miracolo di Gesù ed accadde alla presenza di Maria, per sua intercessione. A considerarlo attentamente, si rivela la bontà e la potenza di Maria.1. LA BONTÀ DI MARIA. a) La Madonna è la prima ad accorgersi del serio imbarazzo in cui si trovano sposi. Essi, forse, non lo sapevano ancora, e già il cuore della Madre divina è trepidante per loro: le pare già di assistere alla delusione, alla meraviglia e alle proteste dei convitati che si trovano senza vino nel momento in cui lo si desidera maggiormente; di assistere allo sgomento e alla vergogna degli sposi novelli che si vedono offuscata anche l’ora più gioiosa della vita. Ella si preoccupa e soffre come di una sventura sua, capitata nella propria casa. Noi, chiusi nel cerchio dei nostri interessi personali, noi egoisti e dimentichi di chi soffre nell’anima e nel corpo, come siamo indegni d’essere figli d’una Madre così buona! Sappiamo che ci sono nazioni intere a cui manca il vino della fede, e ci sono missionari estenuati e insufficienti perché senza mezzi; sappiamo che anche nelle mostre parrocchie il male e l’ignoranza trionfano perché i Sacerdoti non bastano, se non sono aiutati; eppure viviamo nella beata indifferenza, come se fossero bisogni le pene che non ci riguardano. Sappiamo che non lontano da noi c’è una famiglia in miseria, c’è un infermo, c’è una disgrazia; sappiamo che, mentre cade la neve e tira il vento freddo, c’è gente senza casa, o senza coperte, o senza fuoco, o senza scodella di minestra calda; noi bene pasciuti, ben riscaldati, allegri e sani, ci chiudiamo nella felicità di casa nostra. Non si arriva talvolta a provare un istintivo e malvagio senso di gioia per qualche infelicità toccata agli altri, quasi che l’umiliazione altrui aumenti la nostra gloria, quasi che il dolore altrui aumenti il nostro benessere? E, per contrario, non si arriva a provare un istintivo e malvagio senso di pena per la fortuna toccata ad altri? Perfino nella preghiera, portiamo il nostro egoismo, la grettezza del nostro cuore, e, pregando non ci ricordiamo che dei nostri dolori, dei nostri bisogni. La vera preghiera dei figli di Dio non è egoistica, ma s’impietosisce anche dei dolori e alle disgrazie altrui, allarga le braccia verso i peccatori, gli infedeli, le anime purganti, la gerarchia ecclesiastica, il Papa, la Chiesa universale, la gloria immensa di Dio. Non viviamo soli al mondo, Cristiani, ma siamo uniti tutti in una sola famiglia che è la Chiesa, siamo membri di un sol corpo che è il mistico Corpo di Cristo. Niente è più contrario alla religione dell’individualismo egoistico. Torniamo alla Madonna, e aggiungiamo un’altra riflessione sul suo buon cuore. b) La Madonna non sa criticare. Un’altra persona al suo posto, vedendo mancare il vino, avrebbe fatto due sorte di ragionamenti. Avrebbe detto: « Che gente irriflessiva, senza giudizio, senza avvedutezza! Ti fanno un banchetto, invitano gente, e non pensano a provvedere almeno l’indispensabile. Se adesso resteranno scornati, se lo sono meritato: un’altra volta ci penseranno meglio ». Oppure avrebbe detto: « Che spilorci! come si fanno compatire in una circostanza in cui anche i più miserabili sanno apparire signori! Pretendevano che si venisse a festeggiarli bevendo più acqua che vino ». Simili pensieri non attraversarono mai, neppure lontanamente, il cuore di Maria. Ella non sa criticare, sa provvedere e aiutare. Invece sono moltissimi che sanno inasprire le sofferenze altrui con i loro giudizi, le loro assennate disapprovazioni, i loro pareri per l’avvenire, ma non muovono un dito per correre efficacemente. Oh; sapessero almeno tacere! c) La Madonna non sa tardare. Un’altra persona al suo posto non si sarebbe mossa, dicendo fra sé e sé: « Aspettiamo che me lo dicano ». Invece la Madonna non sa aspettare: benché non informata, ella indovina la situazione; benché non pregata, soccorre liberamente. La bontà di Maria vede due cose nel nostro cuore. La prima è che spesso siamo così distratti, così pieni di sonno, che non ci accorgiamo neppure d’essere sull’orlo dell’abisso; come i due sposi non s’accorgevano che non c’era più vino. Siamo tutti come i bambini che si mettono nei pericoli senza saperlo. Ma una madre non aspetta che il suo fanciullo la chiami, ma ella accorre quando un veicolo, una bestia, o qualsiasi altro accidente minaccia la sua vita. Chissà quante volte la Madonna è accorsa a salvarci, ha interceduto e pianto per noi! Se avesse aspettato sempre che la pregassimo, a quest’ora forse saremmo già all’inferno. – Come sei buona, dolce madre Maria, non ho parole per ringraziarti! La Madonna sa un’altra cosa di noi. Ed è che ci brucia terribilmente aprire agli altri la nostra miseria, abbassarci a chiedere aiuto: si preferirebbe soffrire, anche morire. E Maria, la buona, la dolce Regina, c’insegna che la carità migliore si deve fare senza essere richiesti e senza umiliare, e, se fosse possibile senza farsi conoscere da nessuno, neppure dal beneficato. Nei « Promessi Sposi » gran libro di sapienza cristiana, c’è un buon sarto che doveva aver imparato dalla Madonna a far la carità. Era povero, ma sapeva di una persona più povera di lui, benché non gli avesse detto nulla. Un giorno di festa mise insieme in un piatto delle vivande che erano sulla tavola, e aggiuntovi un pane, mise il piatto in un tovagliolo, e preso questo per quattro cocche, disse alla sua bimbetta maggiore: « Va’ qui da Maria vedova; lasciale questa roba, e dille che è per stare un po’ allegra co’ suoi bambini. Ma con buona maniera ve’: che non paia che tu le faccia l’elemosina. E non dir niente, se incontri qualcheduno; e guarda di non rompere ». (cap. XXIV). – Osservate il delicato accorgimento di accettare qualcosa dai bambini. Cristiani, mandate spesso i vostri bambini a fare l’elemosina. Osservate ancora che saggi avvisi dà il sarto, soprattutto non dimenticate le parole: « … che non paia che tu le faccia l’elemosina ». Cristiani, dobbiamo essere riconoscenti ai poveri quando si degnano d’accettare il nostro superfluo, perché essi ci arricchiscono nel cuore di bene essenziali.2. LA POTENZA DI MARIA.La parte più interessante del miracolo di Cana è in quel sommesso dialogo di Maria con Gesù. C’è come un combattimento tra la misericordia e la giustizia, tra l’ansioso cuore d’una madre e la volontà imperscrutabile dell’Onnipotente, tra la Madonna e Dio. Il meraviglioso è che vince la Madonna. O Vergine potentissima, vinci, anche per noi, così! Dice Maria sottovoce: « Gesù, non hanno più vino ». Risponde Gesù: « Né io, né tu abbiamo colpa; noi non c’entriamo ». La Madonna non è contenta: il suo amore non si volge soltanto a quei casi dove in qualche modo è interessata; la sua carità non cerca mai il proprio tornaconto. Ripete Maria sottovoce: « Gesù, non hanno più vino ». Risponde Gesù: « Lascia andare! Non è questo il momento per farmi conoscere Figlio di Dio ». Solo una madre sa capire perfettamente le parole di un figlio; e la Madonna sentì che sotto a quel no, in fondo in fondo tremava un sì. Subito ne approfittò con un atto che diremmo audace, se non fosse della Vergine prudentissima. – Chiamò i servi e li mandò davanti al Figlio pronti a ricevere ordini. E Gesù disse loro: « Riempite d’acqua le sei pile ». Come ella udì, tremò tutta di gioia. Aveva vinto. Aveva ottenuto di far lieti due cuori. La Madonna è vittoriosa! E che vittoria! Ciascuna pila conteneva più di cento litri: bastava dunque che l’acqua d’una sola fosse tramutata in vino. Ma la Madonna non fa le grazie su misura, Ella abbonda e sovrabbonda, è magnificentissima. Le sei pile si trovarono tutte colme di gustoso e redolente vino. I due sposi ne ebbero per quel giorno e per un anno intero. Cristiani, nella nostra vita manca forse il vino del fervore, dell’amore di Dio. Purtroppo da tanti e tanti l’amor di Dio non si conosce neppure. Amore alla carne, amore ai danari, amore agli onori, amore a questo mondo bugiardo: ecco quel che hanno in cuore. Se ci troviamo in questo numero, preghiamo Maria perché per noi si rivolga a dire al suo Gesù: « Non hanno più vino ». Pregatela così, e sentirete un generoso vino, dolce e forte, riempire i vostri cuori, e vi troverete cangiati da quei di prima.Può darsi che qualcuno, pur convinto della bontà e della onnipotenza di Maria, non osi invocarla per sé, perché da moltissimo tempo in balìa del vento d’ogni più brutto piacere, più non l’ha pregata e forse l’ha oltraggiata. Ora è triste in fondo al cuore, vorrebbe ritornare, ma dispera. Per costui voglio ricordare una graziosa leggenda tessuta intorno a un convento di Vienna, detto il convento della Celeste Portinaia. Si racconta che, moltissimo tempo fa, la suora portinaia di quel convento, disamorata della vita claustrale, fu presa da una forte smania di ritornare al mondo e appressare le sue smunte labbra al vino della felicità mondana, Una notte, che tutte le suore dormivano nella pace purissima, ella non poteva dormire per la veemenza di quel desiderio. La sciagurata non era cattiva ma debole, e ad un certo momento non seppe più resistere. Si alzò, discese in portineria, aprì; poi prese la chiave e il suo velo di suora e li depose dietro la statua della Vergine Maria che stava vicino alla porta, con queste parole: « Regina del Cielo, ecco la chiave; fate di buona guardia al convento… » E, senza voltarsi, uscì. La notte oscura era senza stelle. Per sette anni visse nel mondo e bevve al suo calice lunghi sorsi, ma non erano di felicità. Il mondo è cattivo, bugiardo, ingannatore; non era vino quello che dava alla sua sete, ma liquidi melmosi e piccanti ed esasperanti. La delusione fu terribile. Dopo sett’anni quella povera suora senza velo, umiliata, distrutta, pentita, con la promessa d’una severa penitenza, colla volontà d’un totale rinnovamento, s’avvicinò al suo chiostro. Era ancora notte, ma una notte piena di stelle. Il cuore le batteva forte. Fece per bussare alla porta, ma era aperta: dietro la statua della Vergine c’era un velo e le chiavi. Il suo velo e le sue chiavi. Al giorno dopo riprese il suo ufficio di portinaia, senza che alcuno facesse meraviglie del suo ritorno o le dicesse alcunché. Nessuno si era accorto della sua lontananza perché la Vergine benedetta s’era messa ogni giorno il suo velo, aveva preso la sua sembianza, ed aveva fatto al suo posto la portinaia. Cristiani, se delusa dagli avvelenati piaceri del demonio e del mondo, un’anima vuol ritornare a bere il vino casto della pace e della gioia di Dio, per quanto male abbia commesso, non abbia disperazione o timore veruno. Troverà la porta aperta. Una dolce madre, da tanto tempo, gliela tiene aperta, aspettando, piangendo, pregando.LA SANTA MESSA. L’ora sua era un’altra: e venne nell’ultima cena quando non l’acqua in vino, ma il vino cambiò nel suo Sangue vero. E quel Sangue lo diede da bere alle anime nostre. Sciens Jesus quia venit hora in finem dilexit eos. E istituì la S. Messa. Un umile Sacerdote sale l’altare, offre a Dio una sottile ostia di pane sulla paterna, e il vino nel calice; pronunzia quelle medesime parole che disse Gesù Cristo nel cenacolo, ed ecco quel pane e quel vino diventano il vero corpo e il vero sangue del Figlio di Dio. O res mirabilis! Meraviglioso mistero: i nostri occhi, le nostre mani non s’accorgono di nulla, tutto rimane come prima per i sensi. Ma i cieli sono spalancati, Dio si è fatto presente, intorno prorompono i cori angelici nell’altissimo cantico: santo! santo! santo!Nel Vangelo si legge di un uomo che fu disavveduto. Possedeva un campo con un tesoro nascosto e non lo sapeva. Poteva farsi ricchissimo come un re, e invece si è lasciato comprare il terreno da un altro più furbo che scovò il tesoro e se lo fece suo. Anche nei nostri paesi, anche tra le nostre case, a pochi passi dal nostro uscio, c’è un tesoro che noi non sappiamo. C’è una favolosa ricchezza alla portata delle nostre mani e non l’afferriamo. Potremmo diventare ricchissimi, non di danari, ma di grazia e di meriti per il cielo; invece non ce ne curiamo. Io voglio mostrarvi oggi questo tesoro, perché tutti ne possiate approfittare: è la santa Messa. Nulla sopra la terra v’è di più sublime. Nulla sopra la terra v’è di più utile.1. NULLA DI PIÙ SUBLIME. L’Apocalisse (c. IV-V) descrive una gran visione. Nel cielo s’ergeva un trono altissimo, in giro stavano ventiquattro seniori vestiti di bianco e coronati d’oro. Ed ecco in mezzo al trono ed ai seniori venne un Agnello ritto in piedi, ma come ucciso. Tutti si prostrarono davanti a Lui ed avevano in mano cetre e le coppe d’oro piene di profumi e cantavano un cantico nuovo, dicendo: « Degno è l’Agnello di ricevere la gloria e la benedizione, perché è stato ucciso e col suo sangue ci ha redenti ». Quest’agnello che sta ritto come un leone e pure è ucciso, questo agnello che sta sul trono e ci redense col suo sangue, è figura di Gesù Cristo che sull’altare, nel Sacrificio della Messa, sta ritto come sacerdote offerente ed è ucciso come vittima offerta. – Nel giorno del S. Natale, nella Chiesa, si ricorda la nascita del Signore: ma non è vero che in quel giorno il Signore nasca nuovamente. Nel giorno di Pasqua e della Pentecoste si celebra la resurrezione di Cristo e la discesa dello Spirito Santo: ma non è vero che in quel giorno Gesù risorga nuovamente, e lo Spirito Santo nuovamente discenda. Invece nella S. Messa non v’è appena una rappresentazione, un ricordo della morte del Signore, ma è lo stesso sacrificio della croce che avvenne un giorno tra spasimi e sangue sul Calvario che ora qui si rinnova senza spasimo e senza sangue, ma in tutta la sua realtà. – Infatti, medesimo è il Sacerdote, medesima è la vittima, medesimo è il Dio a cui si offre. – Sulla croce fu Gesù Cristo che placò la maestà offesa del divin Padre, offrendogli la sua vita: la sua povera vita passata in miseria, in fatica, in dolore, morendo di sua propria volontà (perché se voleva poteva non morire) egli la pose nelle mani di Dio come prezzo del nostro riscatto. E poi, chinato il capo, spirò. Ebbene, il Sacerdote che celebra la S. Messa non è che un rappresentante del vero Sacerdote Gesù Cristo. È Cristo che celebra, è Cristo che, per nostra salute, transustanzia il pane e il vino nel suo sangue e nel suo corpo, è Cristo che si pone sull’altare, vero e vivo ma come ucciso, Vidi agnum stantem tanquam occisum. Ecco la sublimità della S. Messa. O res mirabilis! sole della Chiesa, cuore della fede, salute delle anime nostre! Se ascoltando la S. Messa, pensassimo sempre che ascendiamo il Calvario per assistere alla morte di Cristo, non ci verremmo con aria distratta ed annoiata e con abbigliamenti immodesti! La Maddalena sotto la croce non certo vestiva e trattava come quand’era creatura perduta del mondo. E pure non pochi Cristiani assistono al divin Sacrificio senza una preghiera, sbadigliando, o peggio, con chiacchiere, con risa, con sguardi sacrilegamente profanatori. Se chi contamina l’opera di Dio sarà maledetto (Geremia; XLVIII, 10); maledettissimo colui che ne contamina l’opera più sublime: la santa Messa.2. NULLA DI PIÙ UTILE. Povero figliuolo! d’inverno camminava, lacero e scalzo, per le vie di Ravenna con le mani arrossate dal freddo e screpolate dal gelo, abbandonato da tutti fuor che dalla fame; di primavera, appena la bella stagione col suo lume nuovo e con il suo alito tiepido svegliava le erbe nei campi e le gemme sugli alberi, gli mettevano in mano una verga lunga, e lo cacciavano tutto il santo giorno a pasturare i porci. Non così aveva sognato l’avvenire del piccolo Piero la mamma sua! Morendo, aveva affidato al fratello maggiore, e l’aveva scongiurato perché lo trattasse bene e lo crescesse buono. Invece il fratello maggiore non gli dava che tante botte e poco pane ed al piccolo Piero non restava al mondo che piangere e patir la fame. Un giorno in cui l’angoscia del suo stato lo tormentava più che mai, camminando per una via solitaria vide luccicare qualcosa. Si curvò: una moneta d’oro. Sobbalzò di gioia il cuore del fanciullo, ché gli pareva d’aver trovato un gran tesoro. Come spenderla? La sua miseria, i suoi patimenti, la sua fame quanti consigli non gli davano mai! Ma alla fine decise di donarla a un Sacerdote perché gli celebrasse la S. Messa. Fece così. Di lì a pochi giorni, provò quanto sia utile all’uomo il sacrificio dell’altare. Damiano, un altro suo fratello, venne a sapere, chi sa come, le pene del fratellino; lo prese con sé, lo fece studiare, e gli volle tutto il bene che dalla morte di mamma più nessuno gli aveva voluto. E il piccolo custode dei porci crebbe, e divenne celebre nel mondo per la sua scienza e per la sua santità. Fu segretario di papa Clemente II, e poi fu Cardinale. E noi lo veneriamo come Santo: S. Pier Damiano. Oh benedetta la Messa che tanto gli giovò! Benedetta la Messa perché nulla v’ha di più utile: sia per i vivi che per i morti. – a) Per i vivi: ci allontana i castighi di Dio. Molti si meravigliano come il Signore non sia più l’antico delle armate, che appariva tra i fulmini e le nubi, l’antico Dio che per un sol adulterio fece passare a fil di spada 25.000 persone della tribù di Beniamino, che fece morir di peste 70 mila uomini per la superbia di Davide, che atterrò 50.000 Betsamiti per un solo sguardo curioso. Se Dio non manda il diluvio di acqua o quello di fuoco non è già perché gli uomini siano migliori, ma perché sulla terra, in ogni parte, si celebra la S. Messa. Ecco il sole di S. Chiesa che dissipa le nubi temporalesche e riconduce il sereno, ecco l’arco di perdono e di pace che congiunge la terra col cielo. Dio non solo perdona, ma tutto concede quello che gli chiediamo per mezzo della S. Messa. Quando abbiamo da impetrare una grazia che ci preme, forse la propria vocazione, forse la conversione d’una persona cara, forse anche una grazia materiale, ascoltiamo la S. Messa: Dio che in essa ci dona perfino il suo Unigenito, quale altra grazia ci potrà rifiutare? – b) Per i morti: S. Gerolamo afferma che quando si celebra per un’anima purgante, quel fuoco voracissimo sospende il suo tormentoso vigore per tutto il tempo che la Messa dura. E la madre di S. Agostino, sul letto di morte, nel tremito della agonia, raccolse le forze per supplicare alcuni sacerdoti che, lei morta, la ricordassero al santo altare.Ci sono, nella vita, certi giorni d’oscura angoscia in cui l’anima è oppressa da un incubo immenso e la morte ci appare come una liberatrice. In tale stato, racconta una leggenda, si trovava un principe di Germania e il demonio lo stimolava a stringersi un laccio intorno al collo, a gettarsi da un ponte, a bere il veleno. Una volta che già stava per finirla con quella disperata vita, trovò una persona amica che gli disse: « Se vuoi la pace del tuo cuore, ascolta la S. Messa tutti i giorni ». Gradì il consiglio quel principe di Germania e così fece per molti mesi. Ma un giorno, non so per qual impedimento, indugiò tanto che venendo alla chiesa, prima di giungervi udì da un contadino che la Messa era già finita, e non ve n’erano altre. Allora, turbato, cominciò a piangere, pensando se quello non fosse l’ultimo della sua vita. Il contadino, stupito di quelle lacrime e di quei sospiri, gli disse: «Signore, non V’affliggete: se mi date il vostro mantello rosso io vi venderò la Messa che ho ascoltato ». « Ma non sai — rispose l’altro — che la Messa non si può vendere? ». « Che me ne importa! — soggiunse loscamente il contadino. — Pur che mi diate il vostro mantello rosso io ve la cedo ». « Prendete pure, — concluse il principe — per una Messa darei anche la casa e la vita ».E ognuno proseguì il suo cammino.Prima di sera, tristi cose si narravano in paese. Alcuni avevano visto nella faggeta un uomo appeso ad un albero per un mantello rosso; vestiva da contadino e la sua faccia era come la faccia di Giuda. Questo fatto di due cose ci rende istruiti: Se vogliamo essere felici anche in mezzo alle tribolazioni, ascoltiamo la Santa Messa tutti i giorni. Guai a quelli che vendono la S. Messa, ossia tralasciano d’ascoltarla, e forse in giorno di festa, per amor di denaro o di divertimento o di pigrizia.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps LXV: 1-2; 16

Jubiláte Deo, univérsa terra: psalmum dícite nómini ejus: veníte et audíte, et narrábo vobis, omnes qui timétis Deum, quanta fecit Dóminus ánimæ meæ, allelúja.

[Alza a Dio voci di giubilo, o terra tutta: cantate un salmo al suo nome: venite, e ascoltate, voi tutti che temete Iddio, e vi racconterò quanto Egli ha fatto per l’anima mia. Allelúia.]

Secreta

Oblata, Dómine, múnera sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda.

[Santifica, o Signore, i doni offerti, e mondaci dalle macchie dei nostri peccati.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joann II: 7; 8; 9; 10-11

Dicit Dóminus: Implete hýdrias aqua et ferte architriclíno. Cum gustásset architriclínus aquam vinum factam, dicit sponso: Servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc signum fecit Jesus primum coram discípulis suis.

[Dice il Signore: Empite d’acqua le pile e portate al maestro di tavola. E il maestro di tavola, non appena ebbe assaggiato l’acqua mutata in vino disse allo sposo: Hai conservato il vino migliore fino ad ora. Questo fu il primo miracolo che Gesù fece davanti ai suoi discepoli.]

Postcommunio

Oremus.

Augeátur in nobis, quǽsumus, Dómine, tuæ virtútis operatio: ut divínis vegetáti sacraméntis, ad eórum promíssa capiénda, tuo múnere præparémur.

[Cresca in noi, o Signore, Te ne preghiamo, l’opera della tua potenza: affinché, nutriti dai divini sacramenti, possiamo divenire degni, per tua grazia, di raccoglierne i frutti promessi.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (235)

LO SCUDO DELLA FEDE (235)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (5)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

LA MESSA

PARTE I

LA PREPARAZIONE

CAPO III

Art. IV.

L’EVANGELO.

Preparazione per leggerlo al popolo.

Ecco finalmente il tempo salutato per tanti secoli dai Profeti (Heb. I, 1), che il videro collo spirito del Signore; ecco l’ora che ha fatto giubilare col pensiero i santi Patriarchi (Jov. VIII, 56), in cui finalmente avrebbe parlato agli uomini Iddio di sua bocca. Ecco Gesù Cristo, che parla nel suo santo Vangelo; perocché quando i fedeli ascoltano la lettura del santo Vangelo, è il Verbo eterno che riflette sui cuori un raggio diretto della Divinità; è il Verbo eterno che si abbassa, e cerca in certo qual modo ancora incarnarsi nel cuor dell’uomo (Orig. Hom. 53 in Matt,), informando l’anima colla parola divina: « Beati quelli che sono di Dio, e perciò ascoltano la sua parola (Luc. XI.).» – Una volta una buona donna, che dovette essere una madre, bevendo le parole di vita, che fluivano dal labbro di Gesù Cristo, ne andò sì ripiena di consolazione, che si mise ad e clamare: Beate le viscere che ti hanno portato; beato il seno che ti ha allattato, o Gesù! » E Gesù Cristo, forse per farle meglio gustare la sua ventura: « che anzi, le disse, beato chi ascolta la parola di Dio, e la custodisce nel cuore. » Quasi volesse dire: la mia Madre sì veramente è beata; ma la ragione più bella di tenerla per tale, è perché ha ascoltata e custodita la mia parola (Beda, Homil. Lib. 4, c. 40, in Luc. II); e questa beatitudine, o buona donna, ecco, la puoi tu pure godere. Questa beatitudine nella Messa è assicurata a ciascun di noi se vogliamo ascoltare e conservare nel cuore la lettura del santo Vangelo. Prepariamoci intanto colla devota considerazione dei riti, che la accompagnano. In quest’istante la Chiesa si prepara per godere della sua ventura. Gli accoliti portano in mano i candelabri ardenti, e si presentano dall’uno all’altro lato dell’altare per accompagnare il santo verbo di Dio, che è 1’Evangelo. Il turiferario si affretta ad agitare il braciere infuocato; affinché consumi il prezioso profumo innanzi alla Divinità nel momento, che si degna parlare cogli uomini, per accendere in essi la carità. L’accolito presenta al Sacerdote l’ardente turibolo. Il diacono, che tiene in mano affidata la navicella, che porta dalle più lontane regioni il peregrino profumo, bacia la man del Sacerdote, e lo prega di benedirlo, affinché non sia indegno di Dio. Il Sacerdote versa l’incenso a consumarsi in forma di croce, affinché quell’offerta dell’incenso, che rappresenta la povera gratitudine nostra pel gran dono del santo Vangelo, possa venire accetta a Dio per la memoria di quella grande offerta, che gli ha fatto il Figliuol suo sopra la croce. – Il diacono va a prendere il libro del santo Evangelo, e lo pone in mezzo dell’altare come in trono, sopra le spoglie dei martiri, che versarono il sangue per sua difesa, e sotto la croce su cui sta come agnello svenato Gesù, che ruppe i suggelli, e diede da leggere scritto tutto col suo sangue il gran libro dei Misteri di Dio.

Il libro del Vangelo.

Due cose sono necessarie all’anima cristiana, cioè la luce della verità, e il pane della vita; e Gesù (Imit. Chr. lib. 4) gliele provvide e amministra dall’altare. Preparato il popolo dopo l’umile confessione colla remissione dei peccati, colle benedizioni e colle preghiere, e dispostolo nella lettura dell’epistola cogli ammonimenti, colle promesse, colle figure, e colle profezie a ricevere la pienezza della verità; ora il Figliuol di Dio stesso di sua bocca vuole ammaestrarlo, per dargli poi il pane della vita. Sull’altare è il libro dell’Evangelo: in esso non più figure enigmatiche, non più segni oscuri; ma è il gran profeta della Chiesa cristiana, è il gran dottore della giustizia, il legislatore del Nuovo Testamento; anzi, molto più che profeta, dottore e legislatore, è il Desiderato delle genti, è Gesù Cristo stesso, che dice le sue parole, come amico ad amici. Oh bontà del divino Gesù! sì veramente ci si donò tutto, interamente: mentre sotto i veli del Sacramento ci vuol donare se stesso prima colla sua viva parola spira in noi l’alito della carità, affinché possiamo vivere a Lui uniti. Gesù è il Verbo di Dio, è presente in ogni luogo, e nella sua eternità i tempi altro non sono che un tutto presente. Egli è dunque qui, e nel Vangelo vivifica la sua parola, che diventa parola viva sul labbro suo. Egli è proprio Lui, che qui ora vagisce bambino, fanciulletto vive soggetto a Maria e a Giuseppe nella casa di Nazaret: ci dice beati noi, che viviamo fra le tribolazioni con quell’amabile parola: ci comunica di sua mano: ci guarda in volto grondante di sangue in passione: ci tira sotto la croce con ansioso lamento; ci piove il sangue sulle persone; ci fa metter la mano nel suo Costato; non ci abbandona più; ci piglia in Cuore, per portarci in paradiso. Ci pare adunque vedere Gesù nel Vangelo. – A differenza di ogni altra parola consegnata nei libri, che è cosa morta, e quasi scheletro di pensieri e materiale segno di alcune idee, qui la parola del Vangelo è quella medesima, che, spirando da Dio per mezzo del consostanziale suo Verbo, diede l’essere ed il movimento a tutte le cose, e che poi uscita di bocca al Verbo stesso umanato a foggia di Spirito animatore, ebbe corsa e rinnovata la faccia della terra. Qui questa parola nel libro del santo Evangelo, e dallo Spirito di Dio vivificata, è come un raggio di vera luce vivida ed immortale; ella è il verbo del Verbo divino; e, non sapendo dir meglio, diremo, che ella è come una emanazione continua, che esce dal seno della Divinità ovunque presente! La Chiesa in fatti le adopera un culto particolare, anzi le presta adorazione come a cosa divina; perciò il Sacerdote, che sempre nel pregare, pronunciando il santo Nome di Dio, si volge, e s’inchina alla croce, se gli avviene di nominarlo nel leggere il Vangelo, s’inchina al libro stesso, come a Gesù Cristo in persona, adorandolo nella sua parola. – La Chiesa poi confida così nella virtù di quella parola, che l’usa come una potenza a fugare il demonio. Quindi nel dare benedizioni e nell’assistere ai moribondi, fa che si legga porzione del santo Evangelo; perché allo scintillare di quella luce divina fuggano le potenze delle tenebre, come da fulmine che le percuota. Per questa ragione alcuni degli antichi fedeli si portavano con tenera venerazione il santo Vangelo sempre sul seno; altri ne appendevano al collo alcuni versetti; altri non contenti d’averlo avuto indivisibil compagno nel pellegrinaggio della vita, morivano stringendoselo al cuore, volevano che si ponesse sul petto seco nel sepolcro, testimonio delle fede, argomento della speranza d’aver a risorgere, e mallevadore della vita eterna. Così sul petto dell’Apostolo S. Barnaba si trovò nel  sepolcro scritto di propria mano l’Evangelo di S. Matteo. – Furono poi nelle chiese con ogni più fina cura dai fedeli guardati i sacri codici evangelici, e si conservarono in ceste d’oro tempestate di gemme (S. Greg. Turon., De glor. confess. Cap. 63); e nei tesori delle cristiane antichità li troviamo coperti d’oro e d’argento, ricchi d’ogni più prezioso ornamento e del più squisito lavoro. Come osserva s. Clemente Alessandrino, Gesù nel Vangelo non solo ci comunica la sua dottrina; ma ci si rimette sotto gli occhi quasi presente nei misteri, e in tutte le azioni della sua vita; e così continuerà quasi presente a parlare di sua bocca ai fedeli Egli stesso fino alla consumazione dei secoli. Quindi negli antichi concili, come in quello di Efeso ed in tutti i concili ecumenici (Baronius. Annal. Eccles., 325, n. 40), si collocò il libro dell’Evangelo in maestoso trono, perché fosse testimonio parlante delle verità, che con lui concordi lo Spirito Santo avrebbe coll’ispirazione dichiarato pel ministero dei Padri. Ancora al tempo presente. quando Si vuole attestare la verità con un solenne giuramento, si mette dinanzi il Vangelo, s’accendono i lumi, simbolo della fede, con cui si adora il Verbo del Dio vivente in esso, e mentre stende la mano, chi intende giurare, con quell’atto solenne fa appello alla veracità di Dio, che si adora presente chiamandolo testimonio e giudice del vero, che si protesta di dire. – Gioverà qui ricordare un bel fatto. A Cesarea di Palestina viveva s. Marino, uno dei primi ufficiali della corte del governatore; e gli toccava per ragion di grado di essere fatto centurione. Un cotale suo competitore, per escluderlo da questa carica va, e denunzia lui essere Cristiano, e perciò per legge escluso, perché non sacrificava agli imperadori. Aceo governatore il dimanda se fosse vero; e Marino a lui francamente: « Sono e mi glorio d’essere Cristiano. » Il governatore gli dà tre giorni di tempo. Era in sull’uscire dal Pretorio, e gli si fa incontro Teoteno Vescovo, che lo prende per mano, lo mena innanzi all’altare, e, sollevatagli la clamide, gli scopre la spada al fianco; e, facendogli posar una mano sull’elsa e l’altra sul libro del santo Evangelo, « Marino! gli dice quel santo Vescovo, eleggi o questa, o questo: o la spada, o l’Evangelo. » Marino, senza esitare, prende il Vangelo, se lo pone sul petto, e, « questo dice, sì, questo eleggo. » E il Vescovo: « ben sia teco, ché hai scelto il tuo migliore. Statti fermo con Dio, e va in pace. » Esciva di chiesa, e andava a versare il sangue in supplizio a difesa dell’Evangelo, che aveva scelto per sua porzione. – In tante persecuzioni i martoriati fedeli, nella consolazione di possederlo, dimenticavano il furore delle tempeste, e con esso rifugiati negli antri, gli cantavano allegre lodi d’intorno, e si lasciavano tagliuzzare le membra, ed abbruciar vivi, piuttosto che consegnare una copia di questo libro, che ci tramandarono in eredità col loro sangue (Cantù, vol. 5, Persecuzioni, Storia Univers.). Qui ci pare di vedere gli antichi fossori raccogliere le salme dei fedeli squartati, comporle nei sepolcri, e quasi a consolare quei cadaveri mutilati orribilmente, porger sul petto una particella del divin libro e dire: « riposate, povere membra, riposate per poco qui nel tempo: risorgerete presto alla vita eterna, che v’è promessa: e questo libro nel dì della manifestazione presenterete come titolo della vostra fede e dell’eredità del paradiso. »

I.

Il canto del Vangelo.

Perché, come osserva s. Tommaso nell’Evangelo s’istruisce il popolo perfettamente, la Chiesa lo fa leggere dal diacono ministro maggiore: e mentre il suddiacono sta già pronto appiè della predella per accompagnarlo alla tribuna, quegli prostrato  sui gradini dell’altare, è tutto in preparare l’anima sua. Colle mani giunte sul petto, cogli occhi fissi alla terra, tremante pel grande incarico a cui sobbarcare si debbe, quest’uomo ripieno dello spirito di Dio non sa fare altro, che dire gemendo: « mondate il cuor mio ed il mio labbro, o Dio onnipotente; voi, che al profeta Isaia avete le labbra purificate coll’acceso carbon dell’altare. Deh! colla vostra gratuita misericordia degnatevi di mondare questo uomo peccatore, e farvelo degno di servirvi d’organo a parlare al popolo vostro la vostra parola. Fatelo per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore. » Sorge! va diritto in mezzo all’altare, s’inchina in atto di chiedere in grazia, gli sia concesso di prendere il Vangelo. Con quel pegno divino fra le mani cade in ginocchio a piedi del Sacerdote, « O padre, esclamando, o Signore, comandatemi voi affinché da un vostro cenno io prenda ardimento alla grande azione, confortato dalla vostra benedizione. » Il Sacerdote benedice con queste parole: « Dio ti possieda il cuore; Dio ti muova le labbra, affinché colla tua bocca santificata annunci con dignità, come si conviene, la sua parola. Va nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. » – Il diacono bacia la mano ripiena dei balsami del Signore, venerando nel Sacerdote l’autorità che Dio gli ha comunicata; s’inginocchia col suddiacono sotto la croce adorando Gesù; indi, preceduto dagli accoliti cogli accesi doppieri e col sacro fuoco ardente, accompagnato dal suddiacono, portasi alla tribuna, dove depone con gran religione il santo libro, e lo apre: passando esso profondamente tutti s’inchinano innanzi al Verbo di Dio (Mansi, De vero Eccl.). Alla vista di quel libro divino aperto sopra quel trono, pare ai fedeli di vedere sopra il ricco origliere trapuntato d’oro e adorno di fiori, che mai non appassiscono, riposare l’Agnello divino, ritornato a vita immortale dall’altare, su cui fu svenato. Vedon in fatti in quel libro il titolo originale della riconciliazione, la tavola del gran patto stretto tra il cielo e la terra, il pegno dell’eredità del paradiso, promesso ai figliuoli adottati nel Sangue del loro primogenito Figliuolo di Dio; insomma il libro della vita aperto per tutti. Gli splendono i lumi d’intorno, e anticamente nelle chiese d’oriente s’accendevano tutti i lumi per esprimere la letizia e la vigilanza delle anime e lo splendor di verità, che dall’Evangelo si diffonde per tutto l’orbe. – Ciò si fa ancora da noi nella festa della purificazione di Maria, forse per esprimere la luce divina, che Gesù ha portato in terra, e la fiamma della carità, di che fa ardere i cuori, e per festeggiare il Bambino Gesù, che appare nel tempio fra le braccia della Madre Santissima; come pure nella domenica delle Palme si prendono in mano le palme quasi per festeggiare in trionfo Gesù, che viene a parlarci. – Il popolo sorge in piedi come un sol uomo. Anticamente i re deponevano la lor corona, che avevano ricevuta sul capo consacrato per grazia di Dio; (ma allora potevano stare tranquilli che la mano sacrilega dei popoli in rivolta non l’avrebbe mai tocca): i guerrieri sguainavano la spada e l’appuntavano a terra, per mostrarsi assoldati all’Evangelo, e pronti sotto la croce a combattere per la patria e la famiglia, per ogni bene di Dio: monarca, milizia, e popolo sotto il vessillo di Gesù, alla lettura del Vangelo stavano in atto di chi aspetta i comandi di Colui, che li conduce alla conquista del regno de’ cieli. Il diacono grida loro: « Fratelli, il Signore sia con voi: » « e collo spirito tuo » rispondono tutti. « Eccovi ciò che vi dice Gesù nel Vangelo. » Tace un momento, si affretta d’abbruciare l’incenso, in atto di adorare Dio nella sua parola. Momento solenne! Terra, terra, ascolta Iddio medesimo! Figliuoli degli uomini, questa è la parola creatrice, che vi ritorna all’immortalità, per cui ella vi aveva creato! Beato chi l’ascolta, e la custodisce! – Qui è da notare, come il Sacerdote sta sull’altare a piè della croce. Rappresentante di Gesù Cristo, da quell’altezza, quasi dall’alto della casa del Padrone Evangelico, si vede spiegato dinanzi nell’universo il gran campo da farvi la raccolta, e vi spedisce l’operaio. Questo atto del celebrante, che manda il suo ministro a pubblicare l’Evangelo, significa, che dal divin Padre ricevette Gesù ogni potestà sulla terra, e da Gesù Cristo il sacerdozio ha il diritto ed il dovere di conquistare in essa tutte le nazioni alla verità (Natt, XXVIII, 18). Ma sì però che nessuno dei ministri abbia d’arrogarsi questo onore di predicare in nome di Dio, se non è, come l’antico Aronne (Heb. C. 5, v. 4), chiamato da Dio e delegato da chi è posto da lui a reggere la sua Chiesa, coll’ordine della Gerarchia.

La Gerarchia.

Essendo la verità il primo bene degli uomini, ed ogni bene venendo di cielo dal Padre dei lumi, che è Dio; Egli il tesoro delle sue verità affidava alla Chiesa, cioè alla congregazione da lui ordinata degli uomini chiamati a salute, e consegnata come gregge d’agnelli da pascolare e reggere a Pietro ed ai suoi successori (Jo.  XXI, 16). Questa società di fedeli con Dio, non può essere se non che una; perché uno è Dio, ed una sola è la verità, e deve essere universale, cioè cattolica, e nella sua unità abbracciar l’universo, ed illuminare, come il sole, tutta la terra. Gesù Cristo per fondarla sicura in unità, la costituiva sopra una pietra destinata a metter in pezzi coloro, che vi cadranno sopra, e quelli altresì sopra di cui ella cadesse (Matth. XXV, 44); e dava cominciamento al mistero dell’unità della Chiesa collo scegliere dodici fra i suoi discepoli. Ecco la prima separazione, questa degli Apostoli dal resto dei fedeli; ma volendo consumare il mistero dell’unità, fra dodici ne scelse uno; e per porre l’immancabile pietra, sopra la quale meditava di sollevare tutto il suo edificio, scelse Simone, a cui diede il nome di Pietro col dirgli: « Tu sei Pietro, e sopra di questa pietra edificherò la mia Chiesa. » Col mezzo di lui fondò la Chiesa, soggiungendo: « Le porte d’inferno non prevarranno contro di essa, » Poi disse: « Ti darò le chiavi del regno de’ cieli; e qualunque cosa avrai legato sopra la terra, sarà legata ne’ cieli; e qualunque cosa avrai sciolta sulla terra, sarà sciolta anche ne’ cieli. » Con questa parola qualunque ha messo sotto il potere di Pietro il mondo universale; e questo potere dato a lui solo, sopra tutti senza eccezione, porta seco la pienezza, non avendo a dividersi con alcuna altra potenza. Sin qui s. Cipriano, che saldava la sua fede con morir martire per essa l’anno 258. Quindi con tutti ì dottori conchiude Bossuet (Expos. de la Doct. Cathol. Art. 22), ecco che il sommo Pontefice è il centro necessario, è il vincolo immortale dell’unità del corpo di Chiesa santa. Dov’è adunque Pietro ed il Pontefice suo successore, là è la Chiesa (S. Ambr.): e solo in esso i Vescovi trovano l’unità dell’episcopato indivisibile (Bossuet l. c.). – Ed ecco, prosegue Bossuet, il mistero dell’unità cattolica, ed il principio immortale della bellezza della Chiesa. Essa è una nel suo tutto, ed una in ciascun membro; perché v’ha un legame divino, che unisce tutte le parti, che formano il tutto. Non basta che essa sia unita al di dentro dallo Spirito Santo; ma ha altresì un vincolo comune dell’esterna sua comunione, e dee rimaner unita con un governo, in cui l’autorità di Gesù sia rappresentata. Affinché nel governo istituito da Gesù Cristo l’autorità di Gesù fosse rappresentata, bisognava stabilirvi un capo, costituito da Gesù Cristo per condur tutto il gregge nelle sue vie (Bussuet, l. c.). Perché poi il Vangelo doveva propagarsi per tutto il mondo; e gli Apostoli dovevano istituire Vescovi e ministri inferiori in tutti i paesi, in cui avessero portata la luce; bisognava (dicono qui con s. Cipriano nella loro esposizione tutti i Vescovi di Francia dell’Assemblea del 1791), per mantenere nell’unità di una medesima fede e di uno stesso governo tutte le chiese particolari disperse sulla superficie della terra e tutto il popolo immenso delle nazioni, bisognava una potenza superiore, a cui tutte le chiese fossero subordinate, e che potesse reprimere le discordie, che fossero nate in mezzo ad essi. –  Questa potenza, questo capo di tutto il gran corpo è Pietro, l’abbandonar il quale è fonte di scismi e di tutti gli errori di quelli che dicendosi Cristiani, camminano nelle tenebre della notte. Così nell’esposizione suddetta contessano tutti i Vescovi di Francia. – Stabilito il vincolo dell’unità, fondò il ministero dell’Apostolato; cioè ordinò gli uomini destinati ad estendere la Chiesa in tutte le parti del mondo; ed ebbe così Gesù Cristo stabilita nella Chiesa la gerarchia, cioè un’adunanza di uomini subordinata ad un Capo per operare ad un medesimo fine; la quale colla diversità dei gradi e dei misteri forma l’episcopato, poi il clero cattolico. In esso è un Capo, che è il Sommo Pontefice, che con un cenno muove questo gran corpo diffuso per tutto il mondo, e lo  fa agire in ordine al disegno ricevuto da Dio. in esso pure sono i Vescovi, come capitani, che tengono l’ordine, eseguiscono i cenni, e dirigono le mosse, operano entro il cerchio, loro assegnato. Monarchia per l’unità del Papa; aristocrazia per l’unità dei Vescovi; democrazia, perché tratto dal popolo, l’Apostolato cattolico si confonde col popolo in cui trasfonde la sua forza vitale. Questo corpo abbraccia la terra, e mira a conquistar l’universo alla verità del Vangelo. Questi apostoli o missionari hanno già una storia di meravigliose vittorie in loro favore. Senza armi conquistarono i popoli conquistatori; e, quando i barbari invadono i regni, essi li adocchiano come loro facile preda, solita a conquistarli alla civiltà. Combattuti, trionfano morendo; e la loro vittoria è condurre gli uomini a salvarsi in Dio. Son la vera crociata di Dio che il Papa capitana da Roma. Intanto ecco un vero miracolo, il miracolo d’ogni di nella Chiesa Cattolica. – Questo povero vecchio, inerme, sempre guerreggiato, e sempre invincibile, sono ormai quasi duemila anni, che manda i suoi discepoli ad insegnare a tutto l’universo le verità necessarie per far migliori gli uomini. È tutto dire: quest’uomo solo ha fatto più per insegnare la verità, che non tutte le potenze antiche, e tutti i dotti di ogni tempo. Di fatto l’India, la China, l’Egitto, la Grecia, Roma; ecco ciò che ha di grande l’antichità. E che fecero mai tutte queste potenze per istruire e far migliore l’umanità? L’India se seppe alcun vero, lo tenne nascosto per la casta privilegiata; e tutto adoperò a tenere come maledette e schiave nell’ignoranza le caste dipendenti. La China fece delitto dell’uscire ad insegnare il vero agli altri, e decretò pena la testa a chi volesse a lei venire ad insegnarlo. L’Egitto del vero fece un mistero, che tenne celato nei geroglifici, e per giugner a scoprirvi qualche cosa, eh! bisogna ben esser cima di dotto. La Grecia con tutte le sue grazie, collo splendor delle sue parole, con quella potenza di genio, che pareva ispirasse il pensiero fino ai sassi, tradusse in mille forme brillanti il bello, che lusinga i sensi e pascola l’immaginazione; ma insegnò ella un nulla del vero, di che abbisognano gli uomini per divenire migliori? Roma pagana corse il mondo, ma per incatenare i popoli; e, portando seco gli errori di tutti, lasciò tutti schiavi nella più abbietta ignoranza. – Bisogna nondimeno essere sinceri, e confessare la difficoltà. Gli uomini ben sovente non vogliono il vero; e guai a chi a loro dispetto un vero che dispiaccia, voglia insenare! Allora conviene essere disposti a morire per istruirli. Ora conviene egli morire per istruire gli uomini, e farli migliori? Che cosa risponderebbero i dotti a questo quesito? Le scuole antiche avevano già data una risposta simile a quella, che danno i moderni umanitari. I dotti sono sempre usati a raccogliersi nelle loro accademie, meglio ancora sotto l’ombra del trono di un principe palpeggiato e adulato; e, gravemente sdraiati sui loro stalli, sanno leggere le loro dicerie sapute. Così se l’intendono fra loro, e tronfi del loro sapere, sprezzano un volgo ignorante; se pur, politici sino alla perfidia, come il nemico di ogni bene, non tentano i popoli a mangiar il frutto d’una scienza avvelenata, per trasfondere in essi le loro idee, dominare le masse, e strascinarle nel vortice delle rivoluzioni al loro disegno di perdizione. Del resto, i dotti di tutti i tempi, che si vantano maestri dell’umanità, ed anche, a quel che pare, ì giornalisti, che si vendono per tali al popoletto, non si sentirono mai grande vocazione al martirio; e per quanto noi sappiamo, non è mai che se n’ncontri qualcheduno incapricciato d’insegnare a fare il bene a chi vuol dare in cambio la morte. Essi credono essere meglio conservarsi al bene della patria, e lasciar andare a cimentarsi cogli antropofagi, chi? I missionari, cui il sommo Pontefice coi Vescovi di tutto l’orbe, consacrandoli  nell’ordinazione, dà in mano il Vangelo, ed, accennando alla croce, dice con Gesù: « or via andate, insegnate a tutte le creature; » e così gli spedisce colla missione.

La Missione ed i Gesuiti.

Sono mille ottocento e più anni, che per eseguire questo comando, gli apostoli non aspettano che gli uomini vengano a chiedere; ma si gettano per tutte le contrade, attraversano i mari, si arrampicano sulle più dirupate montagne, si inselvano nelle foreste in cerca degli uomini dovunque, d’ogni colore, d’ogni clima per avviarli al Padre loro in Cielo. Corrono essi per ogni verso la terra, assalgono gli uomini, che da sé li ributtano, si attaccano a loro; predicano opportunamente; s’affannano,, gridano tanto e fanno tanto, che impongono a credenza, e mettono dentro, per dir così, a questi per forza la dottrina, che gli ha da salvare. – Ma quali fanno guadagni questi franchi predicatori del vero? Non sapremmo, sé forse questi a certa morte devoti avessero già il bel piacere di essere attaccati al patibolo, come S. Pietro e Perboyfre, o d’essere ammozzati del capo, come san Paolo e il Padre Bernard, o d’essere scorticati vivi, come s. Bartolomeo e Coinay. Sarà forse stato loro gusto particolare il goder dentro in quei raffinati martori d’indescrivibili morti. Certo con quel loro programma, vogliam dire l’Evangelo, da far adottare in pratica, dovettero e dovranno scontrarsi nel mondo con fieri nemici ed accaniti. Eh! ci voleva bel coraggio per venire a Roma, quando gl’imperatori Romani si facevano adorare per déi, ed intimare predicando al Giove del Campidoglio: « uomo di fango, umiliati al Crocifisso, che ti prepara l’inferno, se non diventi di cuore come l’ultimo dei tuoi schiavi. » Gli offesi imperatori, che non si piccavano d’umiltà, gridavano subito: « tagliate la testa a questi nemici, rei della nostra maestà divina. » Venire a dire in mezzo al popolo d’allora: « uomini, rispettate le donne, che sono le sorelle della Madre di Dio; e Dio stringe indissolubile in cielo il matrimonio, che a loro vi lega. » Quegli sguinzagliati, che mutavan le mogli col mutarsi dei consoli, (che alla più lunga a quei dì duravano un anno), gridavano subito: « alle tigri, ai leoni questi perturbatori del popolo romano. » Venire a quei tempi in nome di Dio e dell’umanità oltraggiata ad intimare ai prepotenti padroni, che tenevano due terzi degli uomini in conto di cose da scapricciarsene a volontà: « gli schiavi che tenete in catene, son vostri fratelli; rispettateli, ché son membra del corpo del Figliuol di Dio. » Quei feroci, che trucidavan nel lago Fucino diciannovemila servi per giuoco in una festa data all’imperatore Claudio, e che degli uomini facevan carne da ingrassare le anguille nei serbatoi, gridavano subito furiosamente: « La croce, la croce a questi congiuratori »contro lo stato romano. » Sì, la verità tira addosso l’odio, lo disse il filosofo, lo ripete il volgo, ed il Sacerdote lo prova sempre: perché la verità assale i pregiudizi, combatte le passioni, e ferisce l’egoismo; e pregiudizi, passioni ed egoismo sono gli elementi, che del potente fanno il tiranno. Quindi imperatori, legisti, filosofi, tutti si collegarono per soffocare nel sangue questi predicatori di un vero tanto abborrito. La Palestina, la Grecia, le Gallie, la Spagna, l’Africa, l’Asia e l’Europa tutta sono bagnate dal sangue dei martiri. Roma, basta nominarla, era il macello dei martiri (macellum martyrum). Si scoprono mondi novelli, le due Americhe e 1’Oceania; ed i Sacerdoti sono già là col predicare il vero e farsi ammazzare. La  enumerazione è inutile qui; perché l’odio della verità non è negli uomini un eccesso di furore, che passa; ma è una malattia cronica, che dura da Adamo a noi. Odiare il vero, calunniarlo e tratto tratto rispondere col pugnale alle ragioni, che non si possono altrimenti combattere, è la solita impresa che ha un’antichissima storia, e sempre nuova. Gli annali del mondo sono sempre lì a dire, che da s. Pietro a questo di i Sacerdoti ebbero sempre a combattere; sempre combattuti e sempre freschi, strascinati sul patibolo, muoiono col sorriso del trionfatore sul labbro, guardando sotto il patibolo una turba di prodi, che corrono a raccogliere l’eredità di sangue, successori all’impresa. Ricorderemo gli ultimi tempi, in cui Voltaire: « mi arrabbio, diceva, di sentire sempre a dire, che dodici uomini hanno potuto fare il mondo cristiano; io ho voglia di mostrare, che basta un solo a distruggere il Cristianesimo; » e poi invece stringeva in lega tutti i filosofi e letterati, molti potenti, ministri, e fino alcun re. Allora impaziente vantava già il trionfo, gridando: « Morte ai preti, schiacciamo l’infame (Gesù Cristo !): da qui a cinquanta anni Dio avrà fatta la bancarotta. » E i preti?…. Sentasi ciò che scrive Violet (Barruel), commissario presidente dei carnefici, nell’occasione che vedeva tagliare la testa, e scannare alla rinfusa in una volta 197 preti: « Io mi smarrisco, io strabilio; io non intendo più nulla: i vostri preti vanno alla morte dei carnefici colla medesima gioia come si cercava di salvarne, buttandone dietro ad un uscio .quanti poteva. Bene! I preti nella morte per la verità van proprio a nozze, vanno di fatto a sposare l’anima coll’Eterno Verbo, in seno al Padre in Paradiso. – Questo è il miracolo d’ogni dì nella Chiesa cattolica. In questo istante l’aere è negro; la bufera romba; guizzano or qua or là certi lampi, che la fan vedere spaventosa sul capo: fischiano certe urla che dicono: « Preti, il dì della vendetta è vicino… a momenti!… e il vostro sangue!… » E i preti? I preti sempre al posto. Anzi provocano, per dire così, i nemici; e pare che dicano: « all’erta. all’erta, voi, che ci minacciate la morte dai vostri club: sorprendeteci in chiesa, e ci troverete al posto, a che fare? a predicarvi di salvare l’anima vostra. » I politici adoratori dello stato gridano ai preti: « usurpatori! che volete mettere la mano fino sopra la corona dei re, e disporre delle leggi del matrimonio; » e i preti al loro posto predicano alto: « frenate la carne, e poi andremo d’accordo. » Or ora dappertutto dai nemici si chiamavano i preti avari, sozzi e trafficanti; e i preti da per tutto al loro posto a guadagnarsi, se vien bene, la peste per convertir quelli almeno alla morte. Si, proprio oggi (anno 1854) ì predicatori della cattolica Chiesa, minacciati in Inghilterra, affamati in Irlanda, perseguitati nella Nuova Granata, scannati nella Cina, nel Tonchino, nella Polinesia, questa fazion clericale, così temuta, così calunniata, che fanno? Là ed in certi altri paesi d’Europa… che macchinano?… a che si preparano? Macchinano di salvar tutti, e colgono il momento dell’invasione del colera-morbus per correre al letto dei moribondi ad eseguire il disegno;… e si preparano al martirio!… Anzi il martirio, che taglia la gola, è la breve cosa; ma durarla in mezzo agli insulti e alle calunnie dei vili, alle minacce dei truci, in mezzo alle persecuzioni ipocrite alla sordina; quando col dare un passo indietro, come fa per lo più il ministro protestante, col dire sempre ai dominanti: « va bene, » si potrebbe inebriare ai vapori della popolarità; ed invece trangugiare il calice delle amarezze ogni dì: sia lode a Dio, questa è politica inusitata, questa è virtù che viene dal cielo! « Sì eh! dirà taluno; ma se venisse la persecuzione davvero… allora? » Allora, noi rispondiamo, i predicatori dell’Evangelo, come hanno sempre fatto, esclamerebbero ancora: « Emmanuele! Dio è con noi! » E gli aiuterebbe Iddio. Ecco un bel fatto. – Era appena scoperta l’America, e alcuni missionari colle navi formate di scorza d’alberi si cimentarono sopra il gran fiume, il Rio della Plata, e remigando contro acqua adagino penetrarono in mezzo alle negre selve del Paraguay. I selvaggi, color di rame, stupiti al comparir di quei bianchi in veste nera, s’arrampicavano su per gli alberi, o guatavanli tra le fronde paurose. Quegli europei sapienti incantatori suonavano il flauto, cantavano e facevano graziose moine, per attirare i selvaggi appresso; e intanto vogavano innanzi. Ma i selvaggi nel vederli avanzarsi correvano, come orsi, a rinselvarsi tra le macchie più folte, e nei più oscuri buscioni. Così non veniva loro mai fatto di averne pur uno per convertirli. Eppure prendon terra alla fine. Ora che sarà mai di loro? Essì attraversano foreste e paludi nell’acqua fino alla cintura, s’arrampicano a rocce scoscese, corrono presso ai selvaggi negli sconosciuti deserti, costretti a mangiarsi fino le vesti per non morir di fame: penetrano nei precipizi, frugano per gli antri, dove trovavano spesso serpenti invece di uomini, di cui vanno in cerca, e lì restano divorati dai selvaggi… Ed ecco una delle molte avventure. Un bel di trovano sopra una rupe tutto crivellato di frecce un cadavere, già mezzo dilaniato dagli avvoltoi. Lo riconoscono; era del compagno padre Lisardi gesuita… « Oh sciagura, sciagura! avrebbe esclamato più d’uno di noi.. Che fare adunque in mezzo a queste belve umane, le mille miglia lontani dagli Europei? Chi vuol fermarsi ancora per far Cristiani questi feroci? » In simil frangente il padre compagno col suo breviario sotto del braccio, col Crocifisso fuor della cinta sul cuore, corre sulla rupe vicina, e canta: « Te Deum laudamus etc. »Vi lodiamo o Signore, confessando la vostra bontà! L’America si farà cristiana, perché è bagnata del sangue dei Martiri missionari. » Dunque, se venisse la persecuzione, i Sacerdoti vincerebbero morendo, perché viene da Gesù la virtù della missione. – Per mostrare tradotto in atto nella più splendida maniera il disegno della missione, vorremmo poter esporre qui in compendio la storia di un solo Istituto cattolico, quello della Società di Gesù. « Che cosa è il sacramento dell’Ordine? È il sacramento incaricato di operare e continuare sino alla fine dei tempi il prodigio dei prodigi. Così nella preziosa operetta: La sveglia del popolo (Lez. X). E gli annali delle missioni dell’universo sono lì, per attestare splendidamente questa verità. Ma qui senza nulla sminuire dei meriti luminosi di tutti gli altri apostoli innumerevoli degli Ordini secolari e regolari del clero cattolico; poiché contro quello dei Gesuiti fervono tutt’ora, come quasi sempre, più acre le ire maligne dell’empietà, fermiamo per poco appunto sopra le loro missioni, siccome le più combattute, il nostro sguardo; e si parrà più manifesta la prova, che veramente divina è la virtù che vigoreggia nell’apostolato di quegli uomini, che si assumono la generosa missione di far conoscere il Nome di Dio nella redenzione dell’umanità. Sono più di tre secoli che alla guida del guerriero sant’Ignazio da Loyola questa eletta di prodi sì stringe sotto il vessillo, che ha per impresa — ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO — e per conseguirla si dà in mano al gran Vicario del suo regno in terra. –  Nel lungo tirocinio passando gli ascritti per le molteplici ingegnose prove degli Esercizi di quella Perfezione, che traduce nel Cristiano l’immagine della perfezione celeste, come assunsero il nome, tendono a vivere della vita di Gesù, non avendo altro che un solo volere, fare la volontà del Padre celeste in quella del Superiore. Questi in ogni maniera di disciplina, per tutti i gradi di scuola, come il sacerdotal ministero, forma di essi in segreto ed educatore dei pargoli del Signore, ed il maestro potente in sana dottrina, e l’accademico colto; e il Sacerdote della carità, come il martire delle missioni straniere, gli uomini insomma del più deciso eroismo, strumenti della grazia ad operare i prodigi dell’apostolato. Eccoli nell’esercizio delle svariate loro missioni; collocati nei collegi e nelle scuole, in mezzo ai bimbi sono i padri della tenerezza, gli amici più confidenti dell’altera gioventù, che si tempera al vigor di loro pietà. Diffusi nelle campagne consolano i popoli coll’unzione di lor santità; dappertutto, dove è ignoranza da istruire, e vizio da correggere, virtù da sostenere, e povertà da pascere, dove sono perseguitati da proteggere; e patimenti da dividere, là il gesuita ha la sua porzione. Nelle missioni straniere lo trovi antiquario illuminato, dotto filologo in Oriente, accurato naturalista in cento luoghi delle Americhe, difensore temuto dell’umanità dei poveri schiavi in mezzo alle colonie di quei tiranni europei, che mercanteggiano la carne umana. Di essi introdotti nella Cina, chi si dà maestro dell’imperatore celeste, e in mezzo alla sua corte gira tra le mani i pianeti, accenna le costellazioni, per far dire dalla grandezza del firmamento una parola di gloria al Creatore; chi svolge o disegna carte geografiche, per coglier occasione di parlar del regno di Cristo in terra; chi dà lezioni di geometria, o d’architettura per intromettervi un’osservazione sulla morale cattolica. Perseguitati si ritirano, per ritornare sotto forme novelle; or son merciaioli, che colle loro ceste girano per tutti i viottoli, e trovano da battezzare a migliaia i bambini gettati pascolo gi cani; ora sono medici solleciti al letto dei morenti, per aprir loro, almeno all’uscir dalla terra, le porte del paradiso; penetrano da per tutto; par che si ridano del mandarino, che spia, come del doganiere europeo; che sta a guardia, perché non entrino nei regni. Mirabilmente vari come la carità, che gli inspira, sono invitti e potenti piucché la morte, perché nel morire trovano il loro trionfo; e pure spenti pare che godano il privilegio della risurrezione. Colla irrevocabile decisione del martire in animo, corrono per mille vie al loro scopo. E il loro scopo? Solo si lasci un campo nelle foreste, colla mirabile loro repubblica del Paraguay ne danno prova, è fare il Cristianesimo felice. – Ma il nemico degli uomini, che s’arrabbia d’ogni ben di Dio, come già dalle latebre della terra trasse fuori invasato il serpente, spinge contr’essi da tenebrosi antri arrovellate le segrete società, che dovunque gli assalgono alla vita. Se gli scacciano dai paesi d’Europa, scuotono la polvere della civiltà, che si corrompe avvelenata da quelle, e vanno a crear popoli novelli in mezzo alle orde dei selvaggi antropofagi. Per richiamarli a più miti costumi, facendosi artigiani, coltivatori, tutto a tutti si dedican sconosciuti a benefici ignorati, si consumano della vita in sacrifici inauditi di carità, secondo i nomadi, ridotti nelle loro emigrazioni a mangiarsi fino le vesti; nel pericolo di momento in momento di essere abbruciati vivi trovano in compenso degli indescrivibili stenti nel guadagnar un’anima a Dio, e tengono le persecuzioni in conto di premio. –  Oh! poteva il cielo a questi, che pigliarono a seguire Gesù colla croce così generosi, negar di compiere con Gesù il sacrificio? Ecco che accorda le palme tanto da loro desiderate, e nell’intrepidità dei suoi apostoli si manifesta la gloria di Gesù Cristo. Il padre Daniele corre in mezzo ai suoi neofiti, e li battezza mentre cadono trucidati dai loro assalitori, coperto di frecce come s. Andrea in patibolo predica, minaccia ai barbari la collera di Dio (Charleroix, Hist le la nouv. France, tom. I). Il padre Garnier colpito da due palle sorge di terra, per dare l’assoluzione ad un neofito, che gli spira non lungi, e ricade percosso di scure (ivi). Brèbveuf predica colle labbra tagliate a quelli, che con torchi accesi gli abbruciano tutte le parti del corpo, mentre altri gli divorano le proprie carni sugli occhi; e al giovane padre Lallemant alquanto atterrito dal fuoco, che già l’abbruciava , sorride dai mutilati suoi labbri, per incoraggiarlo dal martirio a volare in cielo. Il padre Bobola spira alla fine tra i barbari, furiosi per non sapere come più spietatamente tormentarlo dopo tali crudeltà, che per ribrezzo rifugge l’animo di ricordare, quasi tardasse a morire in quegli indescrivibili martiri per provare tutta la potenza della grazia nell’apostolo di Gesù Cristo. – Noi non andiamo più in là. Questi sono una vera recluta di venduti alla morte per la crociata di Dio, guardie avanzate, sempre in mezzo al minaccianti pericoli in tutti gli attacchi contro alla Chiesa cattolica. Le prime lance sì rompono in loro; hanno già dato settemila martiri al paradiso; possono essere (dicono taluni) politici, ma la loro politica è diversa da quella del mondo.

Virtù della Missione.

Ma d’onde viene tanta virtù nei missionari dell’Evangelo? Dall’altare noi rispondiamo, dall’altare! Dove i giovani preti vanno a sposare la loro casta colla Persona di Gesù Cristo. La santa Messa è un atto di solenne testamento, saldato coll’effusione del Sangue di Gesù, che a loro lega l’eredità dei suoi patimenti. Che fecero e che fanno madunque gli apostoli di tutti i tempi? Alla mattina posando il capo sul petto a Gesù, mettono la bocca al suo Costato; e ne attingono col suo Sangue quel coraggio, quella fortezza sacerdotale, eredità di eroi. Discendono colla croce in mano, colla fiducia del trionfator sulla fronte, e colla irrevocabile decisione del martire in cuore; invincibili, come chi non teme la morte, gridano agli uomini col fervore della carità: « vogliamo salvarvi! di noi scapricciatevi fino al delirio, imprigionateci; calunniateci; fate di noi come d’agnel da macello: noi neppur zittiremo; ma voi intanto pensate, che mai vi giovano tutte le cose, se voi perdete l’anima per tutta l’eternità? » – Il seme è gettato, la verità ha la forza di attecchire, e dal cielo vien l’incremento. Come l’acqua che cade dal cielo, e per mille canali scorre ad irrigare la terra con un’immensa rete di fiumi, di torrenti, ruscelli e gorelli, e porta d’alto in basso la vita; e l’arida terra ride del più bel verde, e s’abbella di fiori, e lussureggia di porporine e dolcissime frutta, di biade dorate, così per tutto il mondo si diffonde la dottrina del santo Vangelo a ristorare l’umanità riarsa, e consunta dai vizi. L’impero romano n’è subito invaso; Cesare, Pompeo e Crasso, che tanto s’avventurarono colle trionfatrici legioni, sono lasciati indietro da questi avventurieri di nuovo genere, la cui parola si burla dei doganieri della verità. Una mano di ferro al collo del missionario tenta di strascinare oggi in carcere la verità, e la verità corre per le piazze a scorno del carceriere. Ella è luce, calorico, magnetismo, un po’ di tutto, come il fluido elettrico, che si diffonde colla rapidità del baleno e dà scossa a tutto. – Sull’altare adunque mangia il Pane dei forti quest’invincibile generazione d’eroi, i quali, ricevendo il Corpo di Gesù, e bevendo il suo Sangue, diventano inebbriati di carità. La gente, che non intende il mistero, quando li vede affannarsi, venire noiosi a disturbare chi gode i piaceri, e tanto fare e gridare, al tutto di sé spensierati, va dicendo talvolta: « Eh! sono fanatici, o pazzi questi frenetici? » Ed hanno in qualche modo ragione. L’amore è una vera pazzia; ma pazzia sublime, che ispira il coraggio al sacrificio di tutto se stesso. Hanno sì, hanno dentro di sé un fuoco, che li abbrucia, e offusca la mente, e fa loro vedere dappertutto Gesù: vedono Gesù nei poveri più disgraziati e più abietti, e si affrettano a raccoglierli nelle case di carità e li trattano con religioso rispetto; vedono Gesù negli infermi derelitti, e creano gli ospedali, innalzandoli a modo di templi, e collocato sull’altare in mezzo il Crocifisso, in quello adorano il Capo, e tengono in conto di membra gl’infermi stesi sui letti d’intorno; vedon Gesù negli schiavi cui tutte le umane leggi davan diritto di trattare come bestie, e per liberarli da quella legale catena s. Paolino di Nola si vende, S. Pietro Nolasco, San Raimondo di Pennafort, san Felice di Valois, San Pietro Pascal e S. Giovanni di Matha si obbligavano con tutti i loro seguaci a darsi in pegno e restare per essi in catene; vedono Gesù anche nei bambini buttati pascolo ai cani, e corrono a raccoglierli, e li consegnano in braccio alle madri di Carità, perché n’abbiano cura, come del Bambino di Maria Santissima; vedono Gesù negli appestati, e non sapendo staccarsi da quelli, cadono morti sopra i loro cadaveri, e ne portano l’anime abbracciate in paradiso. Insomma credono di vedere Gesù negli afflitti d’ogni maniera, e a tutte le miserie e a tutti i dolori umani consacrano con riti di religione ordini di persone, che servono devote al loro Dio incorporato cogli infelici. E perché non basta l’uomo a tutte le tenerezze della carità, chiamano in aiuto le spose di Gesù Cristo. Oh! al veder timide verginelle in mezzo all’oceano ridere delle tempeste, cui affrontano intrepide per seguire i missionari fino tra i patiboli, come Maria tenne appresso a Gesù fino sotto alla croce; o quando sì scorgono nel manicomi e nelle prigioni, o quando nelle infermerie al letto di chi agonizza msenza una sposa, senza una figlia, senza un parente che s’interessi per loro, sì fanno vedere le notti come apparizioni celesti, tu le diresti angeli, cui Dio impresti un corpo, per portare le consolazioni di madre a quei sofferenti. Che voglion dunque cotesti, che si piglian tanta faccenda? Qual è lo scopo di questa loro missione così svariata ed immensa? Che vogliono? Vogliono chiamare a Gesù, unire a Gesù, consolare in Gesù i loro prossimi sull’altare in terra, per portarli come membra del suo Corpo con Gesù in paradiso. Ecco perché non curati, sprezzati e ributtati corrono appresso ai mondani fratelli, con loro frammischiati in tutte le condizioni della vita. Hanno questa speranza, che gl’incoraggisce fino alla morte. Al tutto, al tutto per loro non vi è condizione, né stato di uomo perduto così, che non sperino di farne ancora un figliuolo da serbare a Dio; e fino quando la terribil giustizia umana col suo braccio di ferro strascina sul patibolo il malvagio, che ella dispera di fare migliore; mentre la fiera vibra il giusto, ma terribile colpo, gridando « muori, o uom di delitto, indegno di vivere in terra; » ancora là corre il Sacerdote, ed abbracciandolo gli grida: « Figliuol del pentimento e del perdono, pel sangue di Gosù Cristo vola in paradiso. » – Ah! s’egli è ver che siamo circondati da tante miserie in vita, s’egli è ver che moriamo, e alla morte ci troviamo sopra l’abisso dell’eternità; è pure Vero, che abbiamo bisogno di un uomo di grazia, qual è il Sacerdote di Gesù Cristo, che ci aiuti con carità! Ma l’uomo della Carità invano si cerca nelle storie di tutte le opere, tra i prodigi di invenzione dell’ingegno umano. Ben, a dir vero, la filosofia, senza il merito di aver mai asciugato una lagrima ad un infelice, avrebbe detto di possederlo quando i filosofi del secolo passato nel Direttorio di Parigi decretavano (Cesari, Fiori di storia ecclesiastica, Ragionamento: S. Vincenzo de’ Paoli.): « una statua all’uomo della carità, a Vincenzo de’ Paoli filosofo. » Che?… Vincenzo de’ Paoli fra quegli alteri sapienti?… Quel rozzo prete? Con quell’ariona di bonomia? Raffazzonato alla grossa? Con quei bimbi raccolti dal fango, involti nella nera sottana, come nel grembiule di una mamma? Il buon uomo Vincenzo farebbe troppo cattiva figura in mezzo a quei filosofi in largo paludamento, dal truce sguardo di tigri, sitibondi di sangue; che ha da fare con quei filosofi quel prete, che non se ne intende? Quegli avevano la lor parola d’ordine: « Schiacciamo l’infame; » e volevano dire Gesù Cristo! Questi predicava ogni dì: « niente altro fuorché Gesù Salvatore del mondo! » Perché quest’uomo della carità era un missionario dell’Evangelio.

VIVA CRISTO-RE (3)

CRISTO-RE (3)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO IV

CRISTO, RE DELLA PATRIA TERRENA

« Il mio regno non è di questo mondo », ci dice Gesù. Il suo regno è il Regno dei Cieli. Pertanto, Cristo è il Re del cielo, della patria eterna. Inoltre, sappiamo che questo mondo che conosciamo finirà un giorno, le stelle si spegneranno… Se un giorno questa terra scomparirà, la cosa più importante per noi è il cielo, la patria eterna. Questo significa che non dobbiamo amare la nostra patria terrena? No, certo che no. Non esiste una religione che insegni l’amore per la propria patria come il Cattolicesimo. Perché i Cattolici cercano di imitare l’esempio del Signore e perché è un comando esplicito della Sacra Scrittura. L’esempio del Signore: mentre un giorno Gesù Cristo guardava la città di Gerusalemme dalla cima del Monte degli Ulivi, pochi giorni prima della sua Passione, improvvisamente non riuscì a contenere la sua emozione ed i suoi occhi si riempirono di lacrime. Pianse per la sua patria e per il suo amato popolo, per non aver risposto all’invito di Dio e per essersi ostinatamente allontanato da Lui. E piangeva anche per ciò che sapeva sarebbe accaduto alla città di lì a pochi anni: Gerusalemme sarebbe stata assediata e distrutta. E con il suo pianto ci mostra il grande amore che aveva per la sua patria. – Il comando esplicito della Sacra Scrittura. In primo luogo, la frase categorica di GESÙ CRISTO: « Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio » (Mt XXII, 21; Mc XII, 17; Lc XX, 25). Una cosa non è in contrasto con l’altra, perché come ci dice l’apostolo SAN PAOLO: « Non c’è autorità se non da Dio » (Rm XIII,1). « Date a Cesare quel che è di Cesare ». Cesare significa il potere terreno, il potere dello Stato. Il Signore ci obbliga a dare allo Stato, alla patria terrena, ciò che gli spetta. Che cosa dobbiamo dargli? Il rispetto che merita, il contributo materiale e l’obbedienza in tutte le questioni in cui ha il diritto di esigere da noi. « Non c’è potere che non venga da Dio ». Vale a dire: si deve obbedire finché il potere terreno non comanda nulla contro la legge di Dio. Si capisce quindi quanto giustamente il Santo Padre abbia scritto nella sua Enciclica, quando ha istituito la festa di Cristo Re: « Pertanto, se gli uomini riconoscono pubblicamente e privatamente l’autorità regale di Cristo, ciò porterà necessariamente incredibili benefici a tutta la società civile, come la giusta libertà, la tranquillità e la disciplina, la pace e la concordia. La dignità regale di Nostro Signore, come rende sacra in un certo modo l’autorità umana dei capi e dei governanti dello Stato, così nobilita i doveri e l’obbedienza dei sudditi ». E il Papa continua: « E se i principi e i governanti legittimamente eletti sono persuasi di governare, più che per diritto proprio, per comando e rappresentanza di Gesù Cristo, non si nasconderà a nessuno quanto dovranno usare santamente e saggiamente la loro autorità, e quale cura dovranno avere, nel dare e nell’eseguire le leggi, per il bene comune e per la dignità umana dei loro inferiori ». – Ma in cosa consiste il vero amore per la patria? È l’attaccamento alla casa in cui siamo nati? Sì, questo è amore per la patria, ma non è sufficiente. Consiste forse nell’amare il nostro popolo, la nazione a cui apparteniamo, il paese che consideriamo nostro? Anche questo è amore per la patria, ma per un Cattolico non è sufficiente. Il patriottismo consiste forse nel combattere per gli interessi della nostra nazione? Anche questo. Ma l’amor patrio di un Cattolico va anche oltre. In cosa consiste l’amore patriottico per un Cattolico? Consiste nell’impegnarsi e lavorare affinché il mio Paese progredisca e si sviluppi il più possibile, materialmente e spiritualmente. L’amore per la patria non degenera in una cieca idolatria della propria, né cerca di annientare le altre Nazioni o di dominare il resto del mondo. L’amor di patria, stimando il proprio popolo, non aborre i popoli stranieri, perché sa che siamo tutti figli dello stesso Padre. Se l’amor patrio è così, se solo ci fossero più persone che amano la propria patria! Allora non ci sarebbero tanti iniqui trattati di pace…. Non c’è dubbio che la Religione Cattolica insegni come si debba amare veramente la patria. L’amore per la patria non consiste tanto nel battere i tamburi, nello sventolare le bandiere e nel gridare “hurrah” fino alla raucedine, ma nel sapersi sacrificare nella monotona esecuzione di un lavoro ben fatto, affinché la patria possa progredire. – Cosa chiede sempre la Chiesa a ciascuno di noi? Uomo, fratello, sii onesto, non macchiare le tue mani e la tua anima. Dimmi, allora, amico lettore: non è questo l’amore patriottico? Oggi che vogliono sistematicamente demolire le fondamenta della società, la famiglia, attraverso il divorzio e la dissolutezza sessuale… né lo Stato né le istituzioni più serie si sentono abbastanza forti per fermare tanto male. Solo il Cattolicesimo osa gridare, consapevole della sua forza: Uomini, fratelli, non è lecito per voi, Cristo lo vieta, non distruggete le vostre case! Ditemi: non è amore patriottico questo? – Oggi, quando il mondo frivolo disprezza la sublime missione dei genitori nella trasmissione della vita, e le leggi civili sono incapaci di porre fine agli orrori dell’aborto e del controllo delle nascite, la sola Chiesa Cattolica preserva il santuario della famiglia dalla profanazione e dall’infanticidio: non è questo amore patriottico?  Oggi, quando i giovani si lasciano corrompere dall’edonismo della società […], e né la scuola, né lo Stato, né spesso la stessa autorità parentale sono in grado di preservarli da tanto male, la Religione Cattolica è l’unica che grida efficacemente: Figli, voi siete la speranza della patria, conservate la purezza delle vostre anime; che ne sarà della patria se la lussuria vi ha reso schiavi? Rispondiamo con la mano sul cuore: non è questo l’amore patriottico?  – E in tempo di guerra? Quando è necessario difendere il Paese sotto attacco, cos’è che dà fermezza agli spiriti?  Non sarò io a rispondere a questa domanda. Ecco un esempio del 1914. Le truppe ungheresi erano stanziate da diverse settimane nelle trincee umide e allagate del fronte serbo. La pioggia cadeva a dirotto, insistente, persistente… È una delle più grandi prove del campo di battaglia, rimanere per settimane in trincea, sotto una pioggia autunnale… Un uomo ha tirato fuori il suo rosario… e in pochi istanti tutti i presenti nella trincea cominciano a pregare con lui. È da qui che i nostri soldati traggono la loro forza di resistenza! Questi uomini amavano la loro patria; davano veramente a Cesare ciò che era di Cesare. – Non dimenticherò mai la grande fede di un soldato gravemente ferito, quando, dopo l’amputazione della gamba, stava morendo nell’ospedale militare. « Padre – disse il povero uomo, gemendo – ah, se fossi morto e stessi vedendo la Vergine Maria! » Nelle parole di questo soldato ferito si rivela la fonte da cui si alimenta il patriottismo.  – Su cosa si basa l’amore dei Cattolici per il loro Paese? Le parole memorabili del Signore non dicono solo « rendete a Cesare quello che è di Cesare », ma anche: « … e a Dio quello che è di Dio ». In altre parole, se diamo alla Patria ciò che le è proprio, lo facciamo perché Dio ce lo chiede. È l’amore per Dio che più ci spinge ad amare la nostra patria terrena. Spesso si sente dire la seguente falsità: il Cattolicesimo parla sempre dell’altro mondo; ammonisce incessantemente, dicendo: « salva la tua anima », e non si preoccupa del mondo terreno. Ma un Cattolico ha non uno, ma due doveri, uno verso la sua patria terrena e, allo stesso tempo, un altro verso la sua anima, per fornire i mezzi per salvarla. Deve dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. In questo modo, il Cattolicesimo è un grande valore patriottico, non solo perché ci impone di pagare le tasse, ma perché ci chiede, allo stesso tempo, di essere onesti e buoni cittadini, obbedendo a Dio. Ci ricorda infatti che se sul “denaro” c’è l’immagine di Cesare: « Rendete a Cesare ciò che è di Cesare », nella nostra anima è incisa anche l’immagine di Dio, che dobbiamo rispettare: « Rendete a Dio ciò che è di Dio ». – Nell’Antico Testamento, il saggio re Salomone chiude il libro dell’Ecclesiaste con queste parole: « Basta con le parole. Tutto è stato detto. Temete Dio e osservate i suoi Comandamenti, perché questo è essere un uomo giusto. Dio infatti sottoporrà a giudizio ogni opera, anche quella nascosta, per vedere se è buona o cattiva » (XII: 13-14). Il Signore non insegna altro quando dice: « Rendete a Dio le cose che sono di Dio ». Niente può darci la felicità perfetta se non una coscienza retta, la convinzione che l’anima sia in ordine e che possa sopportare lo sguardo di Dio con tranquillità.  – L’intera dottrina di Nostro Signore Gesù Cristo è piena di questo pensiero: Salva la tua anima! Non una sola delle sue parole, non una sola delle sue azioni, ha avuto altro scopo che quello di instillare questo grande pensiero nei nostri cuori: Non avete che un’anima, un’anima eterna. Se la conservate per l’eternità, avete salvato tutto; ma se la perdete, a cosa vi servirà guadagnare il mondo intero?  Date a Dio ciò che è di Dio. Tutto ciò che abbiamo è Suo; tutto, quindi, dobbiamo darGli. È nota la similitudine del « Libro della vita », in cui tutte le nostre buone azioni sono scritte per il giorno del giudizio. È solo una similitudine, ma una similitudine profonda, che ci dice che tra il cielo e la terra c’è davvero una contabilità segreta: Dio ci presta un capitale (talenti corporei e spirituali), ed un giorno esige la restituzione del capitale, ma maggiorato degli interessi.  In quale giorno? Non dipende da me. Dove ho vissuto? Non ha importanza.  Quanto tempo ho vissuto? Non importa. Ho avuto un ruolo importante o ho vissuto come uno dei tanti che passano inosservati? Non verrà preso in considerazione! L’unica cosa che conta è se ho dato o meno a Dio ciò che gli appartiene. L’importante non è la quantità o l’entità delle opere realizzate nella mia vita, ma la buona volontà con cui lavoro. – Non è difficile dedurre l’immensa forza che scaturisce da questi pensieri per adempiere ai piccoli doveri della vita quotidiana. E va notato che l’adempimento di tali doveri è spesso più difficile del martirio improvviso; la vita eroica e perseverante in mezzo alla miseria, alle prove, è più difficile della morte in trincea. – Sì, la nostra Religione parla costantemente di vita eterna, di un’altra patria; ma bisogna ammettere che non ci sia pensiero migliore di questo per inculcare l’amore per la patria terrena: Verrà l’ora in cui Dio chiederà la restituzione di tutto ciò che ho, di tutto ciò che mi ha dato; della mia persona e dei miei parenti, amici e conoscenti. La mia persona. Prima che nascessi, Dio aveva elaborato nella sua mente un bellissimo piano per me. Lui mi ha creato. Il dovere che mi incombe è quello di lustrare e realizzare questo bel progetto di Dio nella mia persona giorno dopo giorno. Mi chiederà anche di rendere conto delle persone con cui ho trattato. Non posso passare accanto al mio vicino senza fargli del bene. Dio ha disposto che tutti gli uomini siano al suo servizio. Agli Apostoli ha affidato la fondazione della sua Chiesa; ai confessori l’esempio eroico dell’amore per Lui; ai dottori la lotta contro le false dottrine. A San Francesco d’Assisi, il dare un esempio di povertà… E io?  – Dio vuole che io sia una luce per coloro che vivono nelle tenebre intorno a me; che eserciti la carità verso il mio prossimo, verso coloro che mi sono più vicini. Così facendo, avrò dato a Dio ciò che gli appartiene. E verrà il giorno in cui Dio mi chiederà: sei stato la luce del mondo, il sale della terra, il balsamo delle ferite?  Facciamo un piccolo esame di coscienza: Dio mio, ti ho dato finora ciò che è tuo? Forse la mia vita sta per finire e non me ne rendo conto. Quando verrà il momento in cui Dio mi chiamerà a sé, come mi porrò davanti a Lui? Ho dato a Dio tutto ciò che è di Dio? Rivedo la mia vita: quanto lotto, quanto soffro, quanto lavoro…  per cosa? E perché? Quanto mi sforzo, soffro e lavoro per avere comodità…, per godere…, per accumulare denaro! Ma mi sono curato abbastanza della mia povera, unica anima? Ho dato allo stomaco ciò che gli spetta, non ho risparmiato il corpo, forse gli ho dato più della sua parte…; ma ho dato a Dio ciò che è di Dio? Ho tempo per tutto: divertimenti, amicizie, feste; e per la mia anima…, non ho nemmeno mezz’ora al giorno? Forse ho vissuto così fino ad oggi… Come sarà d’ora in poi?

* * *

Questo è il modo di pensare della Chiesa quando si tratta dell’amore per la patria terrena. Apparentemente non dice molto sull’amor patrio; ma, se riflettiamo profondamente, ci rendiamo conto che religiosità e patriottismo, amore per la Chiesa e amore per la patria, cuore cattolico e cuore patriottico…, non sono incompatibili. – Ancora di più: siamo costretti a confessare che le maggiori benedizioni per lo Stato derivano dalla Religione Cattolica…. Non c’è nessun potere, nessuna istituzione, nessuna società, nessun’altra religione che possa vantare un così lungo elenco di meriti per il bene della patria terrena come il Cattolicesimo. – DANIEL O’ CONNELL è stato il più grande patriota irlandese e, allo stesso tempo, uno dei più ferventi figli della Chiesa Cattolica. E così scrisse nel suo testamento   « Lascio il mio corpo all’Irlanda, il mio cuore a Roma, la mia anima a Dio ». Tutti i Cattolici dovrebbero essere pronti a fare lo stesso: « Lascio il mio corpo al mio Paese, il mio cuore alla santa Chiesa Cattolica romana, la mia anima a Dio ».

VIVA CRISTO-RE (4)

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LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (2)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (2)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

IV.

VILE LORENZO.

Giovani miei, l’avete le ali?… Che ridete? non dico mica le ali degli uccelli !… Dico l’ali del pensiero, della fantasia. Oh l’avete di certo: e che voli!.. Or bene, io non vi domando che un volo di pochi anni per veder giovinotto e studente di legge quel Renzino, che ha incominciato da ragazzo col vergognarsi di sua madre. – Entriamo in quella trattoria. Vedete quella sala, quella tavola, quei piatti che fumano? Son capponi, costolette, bei pezzi d’arrosto… Sentite che odore! e’ portano via il naso, e’ par vi dicano: Mangia! E vedete quella fila di giovinotti che lietamente vociando siedono a tavola, come trinciano e diluviano a due palmenti!… Ma sta: oggi è venerdì, e la santa Chiesa…. Questo pensiero s’affaccia penoso alla mente d’ uno che sta là su quell’angolo… lo vedete? Con quei baffetti biondi, con quegli occhi celesti?… gli è desso Renzino; ché ora tutti chiamano Lorenzo. Oh il bel giovine che s’è fatto. Alto, spigliato, grazioso… Or bene, è la prima volta, vedete, che Lorenzo si trova a una tavola come quella; invitato dai camerata non seppe dir di no, e ora, mentre siede e guarda gli sovvengono certi ricordi della mamma, che gli fan mirare quelle carni con ribrezzo: sbircia sottecchi i compagni, cerca collo sguardo l’insalata, il burro … tende la mano … Ma ecco il vicino frugarlo col gomito, presentargli un bel pollo or ora tranciato; infilzarne una coscia col forchettone,  mettergliela sul: piatto. E come Lorenzo fa atto di schernirsi: – Eh via! Ancor questi scrupoli, Lorenzo mio bello? Mangia, mamgia che non ti farà groppo alla gola … E Lorenzo vien rosso: – Oh, non ho scrupoli io! E abbassa il capo e chiude gli occhi, e addenta le male carni, e le manda giù con angoscia. Non ne gusta neanche il sapore, poveretto! ben sente una voce dentro, che si leva dal fondo del cuore e gli dice: vile! –  Mi contava mia nonna, buon’anima, d’un bell’umor di Cristiano, che trovandosi un giorno nel caso del nostro Lorenzo, seduto in venerdì a una tavola dove andavano in giro vivande d’ogni ragione, tirava giù imperterrito e franco d’ogni piatto che passava, una buona porzione, e s’era magro, mangiava allegramente, se grasso, zittiva al cane, pigliava il piatto, gliel metteva in terra, e: — Mangia, barbone; che buon pro ti faccia! — E come i commensali si mostravano di ciò meravigliati: — Signori, di che si meravigliano? Il mio cane non è mica obbligato al magro: proprio come loro! — Un saputello volle replicare non so che; ma ebbe in risposta un altro frizzo, e si finì con una generale risata. Un’altra volta, berteggiato per la stessa ragione, la prese per un altro verso.— Ditemi, amici: come si chiama chi manca di riguardo a una signora? — Malcreato, villano! — risposero a coro i commensali. — Bene (ripigliò colui) io ci ho una brava signora, vedete, che se mangio di questa roba s’offende, di disgusta, e … – Sarà tua moglie, la conosciamo… una beghina bell’e buona… ; No, mia moglie: è la Chiesa. Questa non la conoscete mica voi?… Tanto bastò per sconcertare i compagni, e si volse ad altro il discorso. Giovinetti miei, è un vile costui? Tutt’altro! E perché?  Perché non silascia comandare agli altri, non si lascia por piedi addosso dalla mala bestia dell’umano rispetto. Ma torniamo ancora una volta al nostro Lorenzo. Coraggio, figliuoli! Un altro volo di fantasia, e vel faccio vedere a quarant’anni.

V.

VILE LORENZONE.

Lorenzo dunque ha quarant’anni, è un avvocato di credito, è ricco, è ammogliato, ha figliuoli, e s’è messo cos’ bene in carne che tutti lo chiamano il signor Lorenzone. Volete vederlo? Venite con me, saliamo quello scalone, spingiamo quella porta…. silenzio: cavatevi i cappelli. Ecco i padri della patria seduti in giro ai loro scanni. Quel là in mezzo dalla fronte calva, dalle folte basette, con gli occhiali montati in oro, è il sindaco; a’ suoi fianchi di qua e di lì i signori della Giunta, il segretario, il cassiere e via gli altri di seguito. Attenti figliuoli miei: l’affare intorno a cui oggi si deve deliberare è di sommo rilievo: ne dipende la pubblica salute. Si tratta nulla meno che d’un convento di monache da mutare in caserma; la macchina è montata da più mesi, una parte dei voti assicurata; ma, ma… tra quei della padri della patria e’ ci ha ancora dei codini… Vedete il signor Lorenzone, quel là in giubba nera, con quel giornale alla mano, che mentre il sindaco parla fa vista di legger la politica, e da quando a quando sbircia di qua, di là i vicini… Egli è desso, proprio il Renzino che abbiamo veduto alle prese co’ monelli; proprio il Lorenzo che sedeva a favola coi compagni d’Università. Sua madre, di cui si vergognava, è morta; ma le sue massime, i suoi consigli gli stanno ancor fitti nel cuore. Egli è in voce di codino, perché va a messa, e tiene due suoi figli in educazione presso i P. Somaschi di Novi. Ora, poi che trattasi di snidare quelle povere monachelle, egli è venuto al Consiglio col fermo proposito di votare per loro. Pensate! ei ci ha una zia là dentro e una cara sorella, alle quali ha promesso colle lagrime agli occhi, che avrebbe fatto di tutto per salvarle; povere colombe spaventate! E anche senza questa promessa, cacciar quelle innocenti, metterle sulla strada… gli sa così villano e crudele!… Ma vediamo che sa fare per esse, ora che siede in Consiglio. – Ecco, il sindaco si leva, parla serio e grave come un Catone. Le parole spirito dei tempi prosperità pubblica, esigenze sociali, progresso, libertà, gli ricorrono ad ogni poco sulle labbra; finché conchiude la sua solenne pappolata col delenda Carthago; e Cartagine, s’intende, sono nel caso nostro le monache. – Dopo il sindaco si levano parecchi altri; parlano, a alcuni pro, alcuni contro la proposta. Ma i primi timidi e rimessi nel dire, si contentano di mostrare la poca utilità che può ricavarsi dalla caldeggiata caserma, l’incertezza che il governo voglia abbigliarsi a uno stabile presidio … Nessuno ardisce difendere a viso aperto le ra, non le nominano nemmeno, quasi il lor nome debba scottar loro la lingua … Gli avversari invece declamano a fronte alta, a voce concitata, con gesti da energumeno. Gridano … passato il Medioevo, caduti i pregiudizi, depurata la religione, brillano sui popoli il sole della libertà; deplorano le vittime rinchiuse del fanatismo, citano, coma storia sacrosanta, la favola della monaca di Cracovia, inveiscono contro i preti e l’inquisizione, deplorano che in tanta luce dei tempiseggano ancora in Consiglio dei Gesuiti !!! … Povero signor Lorenzone! Gli è proprio lui che va a ferire l’amaro sarcasmo… guardatelo; ei trema tutto,abbasso gli occhi, e soffia e si dimena, proprio come sedesse sulle spine, e: – non parlerò (pensa), perché sarebbe un espormi … Ma quanto al mio voto … no, no, bricconi, non l’avrete mai: jamais! Jamais! Dice col Rouher… Ma che? Si viene alla votazione … sperava fosse segreta, e invece è per alzata e seduta. – Chi approva il progetto si alzi! – Grida il Sindaco. E il signor Lorenzone dà uno sguardo in giro, vede i colleghi, quasi tutti levati, e anch’egli … anch’egli si leva. Vile Lorenzone! Ha incominciato da piccolo a vergognarsi di sua madre, ha continuato vergognandosi della Chiesa, ha finito coll’aver vergogna dell’onestà, della virtù, del mdovere. Vile Lorenzone.

VI.

SERVITÙ CHE ONORA

Giovinetti, voi d’anima ingenua e di sentimenti generosi nessuna taccia tanto temete quanto quella di vili, e avete ragione. Ma! badate a incominciare fin d’ora a fuggire ogni viltà. È un cuor bello e generoso che Dio vi ha chiuso nel petto; non l’avvoltolate nel fango. È un’anima libera e immortale la vostra, che riferisce le fattezze degli Angeli, anzi di Dio stesso che l’ha creata a sua immagine e somiglianza: non la degradate, non l’avvilite col farla miserabile schiava. Oh così possa sempre la vostra fronte levarsi incontaminata al cielo e rifletterne la serenità e la luce! – ma quando v’esorto a mantenervi liberi e fuggire coni viltà, non intendo spinGervi a rompere ogni giogo, a sottrarvi a qualunque servitù. V’ha una servitù che avvilisce e degrada, e v’ha una servitù che esalta ed onora. Servitù che degrada, rispettare l’uomo al di sopra di Dio; servitù che onora, rispettare Dio al di sopra dell’uomo. Egli è appunto quest’ultimo, dignitoso rispetto che a quei poveri pescatori usciti dalla scuola di Gesù, e per Gesù imprigionati e percossi, metteva sul labbro delle franche parole: — Se sia giusto che obbediamo agli uomini più che a Dio, giudicatelo voi stessi. — La si sente subito che è una nobile risposta, è  vero? Or fate caso, che all’intimazione di tacere che faceva loro il Sinedrio, quei poveri pescatori avessero cagliato, se ne fossero andati mpgi mpgi a capo basso, corsi a rinchiudersi, e lì zitti! … Che avreste pensato di loro? Tant’è l’uomo sottomettendosi a Dio non si avvilisce, ma si nobilita, non si abbassa ma s’innalza, perché, umiliandosi così, confessa la sua origine divina, si dichiara servo, anzi figlio dell’Altissimo. Or dite; vi può essere sulla terra dignità maggiore di quella di figliuolo di Dio? Di quel Dio, cui servire, regnare est? – Che fate? che fate? — chiedeva già un bell’imbusto a un buon giovinetto, che giunto in chiesa, la prima cosa, si metteva a ginocchi e faceva il segno della croce. E il giovinetto, senza scomporsi: — Adoro Iddio, mio Signore e mio padre; e voi? … siete venuto a bravarlo forse? … Pur troppo si vedono dei giovani, e non sol giovani, ma uomini talvolta dal pelo brizzolato e dalla calva fronte, quand’hanno a recarsi alla messa festiva, cercar l’angolo più riposto ed oscuro di chiesa. – Sarà per pregare con maggiore raccoglimento. – Proprio la scusa che cercano certuni a non parere vigliacchi. Il fatto è che han paura d’essere veduti. Oh i giovani liberi! Oh, gli uomini indipendenti! Oh fior di Cristiani!…. Non s’inginocchiano, non s’inchinano dunque mai costoro? Oh si inginocchiano anch’essi, non dubitate. – Guardate quel giovanotto azzimato alla moda: entra a messa, s’apposta dietro un pilastro, e lì duro, impalato, guardar qua e là, lisciarsi la zazzera, scalpitare come un cavallo, tossire, ammiccare degli occhi… Ma sta: suona un campanello; quel campanello avvisa che il Dio Salvatore discende in quell’istante chiamato dalla voce sacerdotale, in mezzo al suo popolo … Si piega egli il nostro giovanotto? Non c’è caso. Si direbbe che a forza d’amoreggiare i pilastri, per virtù di simpatica assimilazione, sia diventato pilastro anche lui. — Ma che l’ha il filo della schiena tutto d’un pezzo costui? — Oh anzi flessibile, flessibilissimo. Vedetelo nel gabinetto di quel segretario capo, da cui dipende la sua promozione all’impiego, che scappellate, che strisciamenti, che inchini! È par l’altalena, che alla prima scossa va su, va giù, di qua; di là, e stenta un buon tratto a rimettersi in bilico, e posare. – Lascio nel calamaio un visibilio di simili casi, e domando a voi, miei cari giovinetti: non vi fa ribrezzo tanta viltà? E son uomini costoro?.. e voi pensereste farvi uomini simili a loro?… Oh la bella immagine di Dio, come è da tanti vilmente prostituita!… Ma via! lasciamo di rimestar questo pattume e consoliamoci con qualche bell’esempio tratto dalle storie; ché a guardar mondo qual è ai dì nostri, e’ ci sarebbe da perder la fede nella umana dignità. – Arrigo VIII re d’Inghilterra s’annoia della sua legittima moglie Caterina d’Aragona e vuol disfarsene per impalmarsi ad una sgualdrina di Corte, Anna Bolena. Il Papa fermo gl’intima, come 2già il Battista ad Erode, il non licet. Ed egli: — Che Papa, io farò senza. — Scorona, discaccia ed imprigiona la regina, si stringe in nefande nozze alla Bolena, e: — ora il Papa son io, — E nol dice mica per celia! Fa proporre al Parlamento una legge: — Capo di religione il re; chi neghi riconoscerlo e serbi fede al Papa di Roma, la confisca dei beni; la prigione, la morte. — Incredibile a dirsi! Il parlamento piega, la mostruosa legge è sancita. L’anime strappate a Cristo e al suo l’appresentante sulla terra, saranno d’ora innanzi umilissime schiave al più sozzo fra i tiranni, a quel mostro di libidine e di ferocia, che non mai sazio di mutar donne, due ne ripudiò, altre due ne diede in mano al carnefice, e della quinta avrebbe fatto altrettanto, se la morte non s’affrettava a torlo dal mondo. – Ma vivaddio! Non tutte in Inghilterra erano anime di fango. Non parlo de’ vescovi, de’ monaci, dei Sacerdoti che per aver resistito alle inique voglie del re furono a migliaia o giustiziati, o cacciati in esilio: ma pur tra le persone del scolo, tra’ grandi della Corte trovossi un uomo. – Tommaso Moro, gran Cancelliere del regno, uomo d’ingegno e d’ onestà a tutta prova, benemerito da molti anni del re e della patria, aveva adoperato tutto il credito che godeva presso Arrigo per dissuaderlo da rompere il sacro vincolo delle legittime sue nozze, ed avvilirsi a sposar la Bolena. Quando udì la legge della supremazia spirituale del re: – io non mi sottometto (rispose), mel vietano la mia dignità d’uomo e la mia coscienza di Cristiano. — Disse e non dié crollo. Tutti strisciavano a terra; ed egli in piedi. Minacciato, degradato, spogliato de’ beni, chiuso in prigione sta saldo. Gli manda la cara moglie coi figlioletti; entra la misera nel tetro carcere, l’empie di lamenti e di guai, gittasi scapigliata per terra a’ piè del marito, gli tende colle sue braccia i teneri pargoletti, e: — Salvati, deh! Salvati, Tommaso!… Almeno per pietà di questi innocenti… Una parola! dimmi una sola parola … — Ma quella parola il Moro non la dirà, no, non la dirà. Una terribile burrasca, a dir vero, gli agita il cuore: quella vista, quelle parole della sua donna desolata gli danno uno schianto!… Ma l’uomo forte non cede. Leva gli occhi al cielo, indi abbassandoli sulla supplichevole: — Luisa mia (le dice), guarda questa fronte, questi grigi capelli; e di’: quanto può rimanermi di vita sulla terra? Dieci, vent’anni …? Ebbene, sappia che per vent’anni di vita non mi sento di perdere un’eternità – Ha detto e non muta. La donna disperata si ritira; egli fra pochi giorni salirà con pié fermo il patibolo: un popolo immenso, muto per terrore, vedrà la sua nobile testa rotolare nel fango. – Giovani miei, mandategli un plauso. Viva Tommaso Moro! Viva l’uomo ed il Cristiano! E quei signori del parlamento?… un branco di vigliacchi!… Non ragioniam di loro, ma guarda e passa.

VIVA CRISTO-RE (2)

CRISTO-RE (2)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

 CAPITOLO II

CONCETTO DI REGALITÀ DI CRISTO (II)

Perché gli uomini rifiutano Cristo? Perché non vogliono accettare la regalità di Cristo.

Ricordiamo la scena di Betlemme: i tre Magi sono prostrati davanti alla mangiatoia…. Questo Bambino, che essi adorano ed a cui portano in dono, è il Figlio del Dio vivente, il Verbo incarnato, il Sovrano del genere umano. In altre parole, Gesù Cristo è Re, è Figlio, ma è anche Legislatore! Ci ama, ma è anche il nostro Giudice. È gentile, ma allo stesso tempo esigente. E se Lui è il mio Re, allora non posso vivere in modo frivolo come ho fatto finora. Gesù Cristo deve avere voce in capitolo nei miei pensieri, nei miei progetti, nei miei affari, nei miei divertimenti. Ah, ma questo è troppo impegnativo per noi! È troppo difficile per noi e non vogliamo ammetterlo! Perché la semplicità, la povertà, l’umiltà di questo Cristo di Betlemme è un’inesorabile accusa al nostro modo di vivere. Perché se Cristo ha ragione, è chiaro che noi abbiamo torto; il mio orgoglio, il mio incommensurabile desiderio di gloria, la mia smania di piaceri, la mia idolatria di tante cose terrene, la mia adorazione del vitello d’oro non sono giusti. Ecco perché siamo riluttanti a sottometterci al giogo di Cristo. Non voglio Cristo, perché la sua umiltà condanna la mia vanagloria. Non voglio Cristo, perché la sua povertà rimprovera il mio desiderio di ricchezza e di piacere. Non voglio Cristo, perché la sua fiducia nella Provvidenza condanna il mio materialismo e la mia autosufficienza. Ma se Cristo è il mio Re, allora la ragione, il piacere ed il denaro non possono essere i miei idoli. Se Cristo è il mio Re e il mio Dio, non posso fare della ragione o della scienza un idolo. Devo rispettare la scienza, sì, ma non elevarla al rango di divinità. La scienza non può spiegarmi tutto, tanto meno soddisfare il mio desiderio di felicità. Non ci sono mai state così tante scuole e università, così tante biblioteche, così tante risorse per la conoscenza e l’istruzione. Eppure, gli omicidi, la corruzione e la decadenza morale dilagano. La scienza, i libri, la cultura non possono supplire a tutto. E non è forse l’angelo che sapeva di più, lucifero, ad essere precipitato negli abissi più profondi? E non leggiamo forse ad ogni angolo che tra i grandi criminali ci sono uomini altamente istruiti, altamente qualificati, molto astuti e abili? Sappiamo molte cose, sì, ma cosa sappiamo? Costruiamo grattacieli, sfruttiamo le risorse naturali, ci divertiamo, ce la godiamo molto bene… ma non sappiamo essere onesti, non sappiamo perseverare nel fare il bene, non sappiamo essere felici, non sappiamo vivere una vita degna dell’uomo. Cristo è il nostro Re! Che cosa significa? Significa che l’anima è superiore al corpo; che l’integrità morale è più preziosa della conoscenza. Questa fede religiosa vale più della mia carriera o del mio lavoro professionale. Che la Santa Messa ha un valore infinito, che non può essere paragonata a un film. Che un momento di preghiera vale molto di più di un banchetto mondano! Tutto questo significa la regalità di Cristo. – Se Cristo è il mio Re, la moda non può essere il mio idolo. Dove regna Cristo non c’è spazio per la frivolezza. Chi ha Cristo come Re, non può vestirsi, ballare o divertirsi con tanta superficialità e leggerezza…. Molte donne ingenuamente non si rendono conto che il paganesimo sta cercando di rifarsi strada attraverso la moda: attraverso l’abbigliamento indecente, i balli osceni, il veleno diffuso da certi film, il lusso esorbitante…, tutto questo è paganesimo. Se Cristo è il mio Re, non posso bandirlo dalla vita pubblica, che è proprio ciò che il secolarismo sta cercando di fare: espellere il Cristianesimo dal maggior numero possibile di luoghi, strappare sempre più fedeli a Cristo. Se Cristo è il mio Re, non posso adorare il denaro o i piaceri. Perché lo spirito è al di sopra della materia, perché la mia anima è chiamata a vivere la vita di Dio. Ma ci dimentichiamo di Cristo e non abbiamo tempo per nutrire il nostro spirito. E poiché non mettiamo il nostro cuore in Cristo, finiamo per metterlo nelle religioni esoteriche orientali e abdichiamo alla fede cattolica. Ma queste religioni non hanno nulla di nuovo da dirci e sono piene di molti gravi errori. – Ecco, dunque, il motivo del rifiuto della regalità di Cristo…. Non accettiamo Cristo Re perché condanna il nostro stile di vita pagano. Secondo una leggenda, quando il Bambino Gesù era in viaggio verso l’Egitto, in fuga da Erode, tutte le statue di idoli che incrociavano il suo cammino crollarono al suo passaggio… È la stessa cosa che dovrebbe accadere a noi oggi: davanti a Cristo devono cadere tutti gli idoli! Davanti all’umile Gesù Cristo, il mio orgoglio altero deve cadere. Davanti al povero Gesù Cristo, la mia presuntuosa vanagloria e la mia smania di piacere devono scomparire. E quando adoreremo Cristo come Re, allora – solo allora – la società umana sarà guarita dai suoi innumerevoli mali. Tu sei il nostro Sole, che ci dà la vita, che ci dà luce e calore.

CAPITOLO III

I DIRITTI DI CRISTO ALLA REGALITÀ

Che cosa intendiamo per “regalità di Cristo“? Quali sono i diritti di Cristo alla regalità?

Pensiamo che la festa di Cristo Re metta in luce una grande verità: Cristo sarebbe ancora il nostro Re, anche se non l’avesse mai detto, perché ha davvero diritto alla regalità. Cristo è il nostro Re, perché è il nostro Redentore e il nostro Dio. Come Redentore, ha acquistato i suoi diritti su di noi a un prezzo molto alto. “Siete stati riscattati…, non con cose deperibili, non con oro o argento…, ma con il prezioso sangue di Cristo, come di un agnello senza difetti e senza macchia” (I Pietro I:18-19). Nostro Signore Gesù Cristo ci ha comprati “a caro prezzo” (I Cor VI, 20), così che i nostri corpi sono diventati membra di Cristo (I Cor. VI,15). Cristo è il nostro Dio. E Dio è “l’unico Sovrano, il Re dei re e il Signore dei signori” (I Tim VI,15). Dio ha dei diritti su di noi. E notate: la promulgazione dei diritti di Dio è la prima impresa che Nostro Signore Gesù Cristo ha compiuto quando è sceso in questo mondo, quando ha fatto sì che i cori angelici proclamassero la gloria di Dio nella notte della sua nascita. – La prima rivoluzione del mondo, attuata da Adamo ed Eva in Paradiso e ispirata da satana, non fu altro che la proclamazione dei diritti dell’uomo contro i diritti di Dio. Gli stessi fini sono stati perseguiti da molte altre rivoluzioni, come quella francese. Per questo la Redenzione è iniziata facendo il contrario, proclamando innanzitutto i diritti di Dio. Dio è il mio Signore, il mio Sovrano assoluto. Ma non è solo su di me che esercita il suo diritto sovrano. È anche il Signore della famiglia, della scuola, degli enti pubblici, dei media, dei luoghi di divertimento, insomma: il Signore di tutta la società! Accettare di nuovo questo fatto, farlo vivere alle anime, questo è il significato sublime della nuova festa di Cristo Re. Per questo è stata istituita, affinché i Cristiani dimostrino che Dio ha dei diritti sull’uomo e l’uomo ha dei doveri nei confronti di Dio: se Cristo è il nostro Dio, allora è il nostro Re. – Inoltre, la regalità di Cristo è in accordo con lo spirito del Vangelo, come chiariscono molte citazioni della Sacra Scrittura. Nel 2° Salmo è già annunciato che Cristo è consacrato “dal Signore re su Sion, il suo monte santo“, e riceve “in eredità le nazioni e il suo dominio si estende fino ai confini della terra“. GEREMIA dice che Cristo “regnerà come re, sarà saggio e governerà la terra con giustizia e rettitudine” (Ger XIII,5). – Nel prologo del Vangelo di San Giovanni si dice: “In principio era il Verbo…, senza di lui non è stato fatto nulla di ciò che è stato fatto” (Gv I,1.3). All’Annunciazione, l’Angelo Gabriele dice alla Vergine Maria: « Sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, al quale il Signore Dio darà il trono di Davide suo padre e regnerà sulla casa di Giacobbe per i secoli dei secoli”. E il suo regno non avrà fine » (Gv 32-33). E ricordiamo soprattutto il dialogo tra Pilato e nostro Signore Gesù Cristo: “Sei dunque un re?”, chiede il procuratore romano. E il Signore gli risponde con dignità regale: “Rex sum ego!” “Io sono il Re!” (Gv XVIII,37). È vero che prima aveva detto: “Il mio regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, il mio popolo avrebbe combattuto perché non fosse consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di qui” (Gv XVIII,36). Cosa intende Gesù Cristo con queste parole? Cristo è Re, ma non acquisisce i suoi diritti con la forza delle armi e della dinamite; “sfila la spada” (Mt XXVI, 52.), disse a Pietro. Vuole essere il Re della nostra anima, il Re che governa la nostra volontà – Lui è la “via” -, la nostra comprensione – Lui è la “verità” – e i nostri sentimenti – Lui è la “vita”. Sì: Cristo Re è “il sovrano dei re della terra” (Ap I,5), come “ha scritto sulla veste e sulla coscia: Re dei re e Signore dei signori” (Ap XIX,16). Il Padre lo ha costituito “erede universale di tutte le cose” (Eb 1,2), e perciò “deve regnare finché non avrà messo tutti i nemici sotto i suoi piedi” (I Cor XV, 25). – Così vediamo che la Sacra Scrittura proclama esplicitamente la regalità di Cristo. Potremmo fare altre citazioni, ma per me spiccano due frasi del Signore. Voglio insistere su di essi, perché so per certo che avranno una profonda influenza su tutte le anime. Qual è la prima frase? Una frase nota e spesso ripetuta del Signore: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt XXIV, 35; Mc XIII, 31). Che frase impressionante! Osserviamo il contesto. Era notte. Il Maestro era seduto con i suoi discepoli sulle pendici del Monte degli Ulivi…. Davanti a loro c’era il Monte Moriah, coronato dal tempio di Gerusalemme. Stavano riposando, dopo una dura giornata… Uno dei discepoli indica con orgoglio il tempio: “Maestro, guarda le pietre e il magnifico edificio“. E il Signore risponde: “Vedi tutto questo? In verità vi dico che non resterà qui una pietra su un’altra che non venga buttata giù“. Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo presero in disparte e gli chiesero: “Maestro, quando accadrà questo? E quale segno ci sarà che tutte queste cose stanno per compiersi?”…. Questa è la domanda che il Salvatore stava aspettando. Era una notte tranquilla…; il gregge stava intorno al pastore, attento. E il Signore cominciò a parlare loro. Quali persecuzioni dovevano subire per la loro fede! Ma prima li avverte che non devono essere turbati. Poi racconta della distruzione della distruzione del tempio di Gerusalemme. Infine, con molta delicatezza, passa alla catastrofe finale e tira fuori la morale, per la quale aveva detto tutte queste cose: Tutto, tutto ciò che vedete in cielo e in terra perirà: C’è solo una cosa che resiste trionfalmente alla distruzione dei secoli: Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Nessuna frase esprime meglio la regalità di Cristo. Sono passati più di venti secoli da quando Egli ha pronunciato questa profezia e, una dopo l’altra, le sue parole si sono realizzate. Alcuni Apostoli potevano ancora vedere la distruzione di Gerusalemme. L’impero greco è morto: il tempo lo ha spazzato via. Il colossale Impero romano, che, per così dire, conteneva tutto il mondo conosciuto, perì. La stessa cosa è accaduta al Sacro Romano Impero, che è andato in pezzi. Così come l’impero di Napoleone, che comprendeva praticamente tutta l’Europa. E alla fine? Napoleone finì esiliato in un isolotto…. Ed era così anche nei tempi precedenti a Gesù. Pazienti scavi hanno portato in superficie antiche rovine: quelle di Babilonia, Alessandria… Popoli, nazioni, individui, sono nati, cresciuti e passati attraverso la fase della storia… Cosa ci dicono gli antichi imperi in rovina? Il cielo e la terra passano, ma le parole di Cristo Re non passano. E se il Signore apparisse oggi in mezzo a noi e ci conducesse su un promontorio da cui ci mostrerebbe una delle città più popolose del mondo? È una bella notte, e io dico con orgoglio al Signore: “Guardate, Signore, quanti magnifici edifici…, il Parlamento, le chiese, i bei monumenti…. Guardate come sono illuminati… Guardate i grandi stadi e i centri di intrattenimento, come si agitano le folle…”. E il Signore dice: “Tutti questi alberghi, palazzi, monumenti, musei, così magnifici…, tutto, tutto perirà; di tutto questo non resterà che il ricordo…, anzi, non si conserverà nemmeno il ricordo”. E quando sentiamo queste parole, esclamiamo sorpresi: “Signore, non può essere. C’è voluto tanto lavoro…”. Ma così è successo nel corso della storia. Quindici o sedici secoli fa c’era una vita fiorente in Nord Africa, dove oggi non c’è altro che un deserto sabbioso e una o due rovine, dove un tempo c’era un popolo numeroso! Può accadere che tra qualche secolo i popoli dell’Asia invadano l’Europa…; ma anche loro porteranno in sé il germe della morte. Perché tutto ciò che l’uomo può vedere, udire e sentire perirà….. Il cielo e la terra passeranno….. – Ma, Signore, anch’io perirò senza lasciare traccia? Tutto il mio essere desidera vivere per sempre; devo forse perire senza soddisfare il mio desiderio di vita eterna? No. È il Signore che dice: « Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno…”. E chi osserva le parole del Signore vive per sempre. E « chi osserva la mia parola non vedrà mai la morte » (Gv VIII, 51), cioè vivrà per sempre. – O Cristo! Tu sei il Re del tempo e dell’eternità. Le sue parole mi riempiono di fiducia e di incoraggiamento. Cristo è il Re della vita eterna e io voglio cercare in tutti i modi di essergli fedele. Questo è uno dei pensieri che mi colpisce di più quando medito sulla regalità di Cristo. – C’è un’altra frase del Signore che mi affascina molto. Una che mi mostri in tutto il suo splendore le pretese di regalità di Cristo. La frase è questa: « A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra… » (Mt XXVIII,18), tanto che poteva arrivare a dire: « Quando sarò elevato in alto sopra la terra, attirerò a me tutte le cose » (Gv XII, 32). O Signore, come avete potuto dire una cosa del genere? Sembra che non pensiate secondo la prudenza umana. Perché, umanamente parlando, cosa ci si può aspettare? Avevate davanti a Voi la croce, le folle piene di odio, e solo dodici comuni pescatori vi hanno seguito? E questi sono coloro che devono estendere il suo regno? – Vediamo cosa ne è stato della dottrina di Cristo, come si è realizzato parola per parola ciò che Gesù ha proclamato! Il grano seminato da Gesù Cristo crebbe costantemente: Samaria, Cilicia, Cappadocia, Frigia, Atene, Roma, tutti i popoli finirono per schierarsi con Cristo. Allora i popoli barbari piegarono il loro collo rigido sotto il giogo di Cristo… Seguono nuove scoperte: coraggiosi marinai portano la croce sulle rive del Mississippi, nella regione del Gange, presso i discendenti degli Incas, presso le tribù del Rio de la Plata, nei domini della Cina e del Giappone, nelle isole del Mare del Nord, nelle regioni del Polo Sud…. Ovunque si canta lo stesso inno: “Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo…”. In verità, su tutta la terra sventolano i vessilli del Re. In verità, Egli è stato elevato in alto e ci ha attirato a sé. E se, dopo aver contemplato il passato, dessimo uno sguardo alla situazione attuale? Dove, nella storia del mondo, c’è stato un uomo, un sovrano, che ha avuto tanti vassalli come Cristo? Un dominio così vasto, che ha coperto paesi e continenti? Devo citare Cesare, Alessandro Magno, Carlo V, Napoleone? Ma i domini di questi non sono che cumuli di sabbia rispetto a quelli di Cristo. Devo ricordare la marcia trionfale del grande Costantino? Ma non è altro che una passeggiata di bambini se la confrontiamo con le processioni moltitudinarie dei Congressi Eucaristici Internazionali, in cui i bambini di tutte le nazioni del mondo, cinesi e americani, eschimesi, negri, ungheresi, italiani, spagnoli, tedeschi, francesi, inglesi, sfilano insieme, e tutti ci prostriamo con la stessa fede davanti a Cristo Re. – E non dimentichiamo i grandi ostacoli che si sono frapposti al trionfo di Cristo: l’esigente morale cristiana! Gli enormi ostacoli frapposti da ebrei, pagani, turchi, miscredenti, socialisti, massoni… Diplomazia e violenza, astuzia e inganno, falsa scienza e cattiva stampa… da duemila anni fanno di tutto per sconfiggere Cristo. Amico lettore, dimmi un solo fondatore di una religione la cui dottrina abbia combattuto battaglie così dure come quella di Cristo! – Ha solo dodici Apostoli, uomini semplici. Il Venerdì Santo, anche questi sono spaventati e turbati…. Ma arriva la Pentecoste e i suoi discepoli sono già migliaia. Erode giustizia Giacomo, gli Apostoli devono fuggire dalle persecuzioni, eppure il Cristianesimo comincia a diffondersi. Contro di essi si scaglia il più furioso dei persecutori…; ma presto Saulo diventa Paolo, che subito conquista tutta l’Asia Minore per Cristo. A Roma iniziano le persecuzioni: il sangue dei Cristiani viene versato ovunque… e, alla fine, il Cristianesimo conquista Roma e converte tutta l’Europa. – In Francia Voltaire dà l’ordine: “Écrasez l’infâme“: “Schiacciate l’infame”, riferendosi al Cristianesimo. Ma non ci riescono; al contrario, il Cristianesimo si diffonde nel Nuovo Mondo e negli altri continenti…. E come! Non c’è potere, non c’è astuzia, non c’è forza che possa fermarlo. È la marcia trionfale di Cristo Re. “Quando sarò elevato in alto, attirerò a me tutte le cose“. Tutte le cose saranno attratte da Me! E con quale potenza, con quale amore sottomette i cuori! Nessun re può essere paragonato a Lui nell’influenzare i suoi sudditi…. Cristo ha comandato: “Andate e insegnate a tutte le nazioni“; il suo comando è stato adempiuto. Anche oggi risuona la parola di Cristo. Risuona nei palazzi, nei tuguri, ovunque. Gli analfabeti e i saggi lo ascoltano. Il pescatore del villaggio norvegese, il mercante olandese, il contadino della grande pianura ungherese, il minatore inglese, l’operaio industriale tedesco, il “fazendeiro” brasiliano…, tutti ascoltano e leggono le parole di Cristo. Le leggono, le ascoltano… e diventano migliori, e riempiono la loro vita di significato. In verità, vediamo realizzate le parole del Salmista: “La giustizia e l’abbondanza di pace fioriranno nei suoi giorni… ed egli regnerà da un mare all’altro e dal fiume fino all’estremità della terra” (Salmo LXXI: 7-8).

* * *

La notte del 31 del quinto mese dell’anno 737 della fondazione di Roma, l’imperatore Augusto lasciò il suo palazzo in una brillante processione e, alla luce delle torce, attraversò le strade buie di Roma… e si diresse verso il campo di Marte. In mezzo a guerre e problemi continui, il popolo attendeva l’alba di una nuova epoca…, ed ecco che una nuova cometa apparve nel cielo: era il segno che un’epoca migliore stava arrivando, e quella stessa notte il suo avvento doveva essere solennizzato. L’imperatore uscì per offrire un sacrificio agli dei. La notte è illuminata da innumerevoli torce… Una folla addobbata a festa si accalca intorno ai tre altari eretti in onore delle dee della fortuna… Un’intera folla di sacerdoti… Le fiamme si agitano, le trombe risuonano… Improvvisamente ogni rumore cessa, arriva il momento solenne: l’imperatore si alza, va all’altare e offre il suo regno e il suo popolo alla divinità. Il popolo torna con gioia alle proprie case: “È iniziata una nuova epoca, un’epoca migliore!”. Avevano ragione. Ma non nel modo in cui lo immaginavano. – Non fu la cometa a portare un tempo migliore, ma un Bambino che nacque qualche anno dopo alla periferia di Betlemme. Un bambino povero, ma da allora gli dei pagani sono crollati e il mondo misura gli anni in base alla sua nascita. Da allora, ovunque ci siano Cristiani, si sente la preghiera fiduciosa e solenne della Chiesa: Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum, qui vivit et regnat per omnia sæcula sæculorum… Per il nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna nei secoli dei secoli… – Sì, Cristo ha un diritto su di noi, ha un diritto di regalità. Per questo motivo, il giorno di Cristo Re non deve essere solo una festa della Chiesa, ma anche di tutta la nazione, di tutta l’umanità: “Non c’è salvezza in nessun altro, perché non c’è altro nome sotto il cielo dato tra gli uomini per mezzo del quale dobbiamo essere salvati“, si legge negli Atti degli Apostoli (IV, 12). Per questo il Santo Padre Pio XI aggiunge giustamente: « È Lui che dà la vera prosperità e felicità agli individui e alle nazioni: perché la felicità della nazione non viene da nessun’altra fonte che dalla felicità dei cittadini, perché la nazione non è altro che l’insieme concorde dei cittadini ».

È dimostrato. Senza Cristo non possiamo fare nulla. Andiamo a Lui e con Lui vinceremo.

VIVA CRISTO-RE (3)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (1)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (I)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni)

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. e Libr. SALESIANA

AI GIOVANI ITALIANI E CRISTIANI!

 È un libro piccoletto di mole, ma pieno, a mio credere di così sani ed utili ammaestramenti, che tutti, più o meno, dall’alto in basso, ci si può imparare qualche cosa, io pel primo che l’ho scritto: imparare, dico, per la pratica del ben vivere. Cionondimeno a voi mi piace offrirlo in particolar modo, a’ quali ride il bel fior di gioventù, prima, perché vi voglio un gran bene, e poi perché molto spero di voi, tenerelle piante che si raddrizzano ancora. – Voi del resto, o carissimi giovani, letto che avrete il mio libretto, lo porterete alle vostre famiglie, lo farete girare fra le mani di parenti e d’amici, e così farà un po’ di bene anche a loro. È un facile apostolato ch’io vi propongo, più facile a voi che a me, e che più monta, efficace. – V’ha certa gente che un buon libro il rifiuterebbero, o almeno il guarderebbero con sospetto, porto loro dalla mano del prete; nol rifiuteranno, anzi l’avranno caro da quella d’un figlio, d’un fratello, d’un amico. Suvvia dunque, cari apostolini! Aiutatemi a fare un po’ di bene; ed io vi prometto, che questo libretto, come non è il primo, così, a Dio piacendo, non sarà l’ultimo ch’io scrivo per voi.

LA GRAN BESTIA

I.

DUE CHIACCHERE A MO’ DI PREAMBOLO.

Cari giovani, sapete a che numero ascende. la popolazione del nostro pianeta? Una volta dicevasi di ottocento milioni; ora, trovo in una delle Geografie più moderne, la si computa a quasi seicento milioni di più, cioè, a un miliardo e. trecencinquantanove milioni. Quanti uomini, quanti uomini, eh! … Eppure tra tanti, credete a me, tra tanti uomini che vivono al mondo, d’assai pochi potrebbe dirsi questa breve parola: egli è un uomo! E non aveva tutti i torti quel capo ameno di Diogene di correre in pieno giorno con le lanterna accasa per le vie. Gridando a chi l’interrogava, che cerchi? Hominem quæro, hominem quæro. Ma di tanta carestia d’uomini veri, sapreste dirmi il perché? … È a voi più che ad altri, cari giovani, interessa saperlo, a voi, dico, che impazienti di slanciarvi oltre i confini della fanciullezza e della gioventù, andate talvolta sospirando:  Oh quando sarò grande!… oh quando sarò uomo!… Ma via! non tanta premura d’affrettar anni; ché di fretta ne hanno già abbastanza da per loro. Piuttosto venite qui, intanto che gli anni penano a passare e voi vi avvicinate a diventare uomini, sentite un mio consiglio, pensate al modo di dicentare uomini davvero: ché l’esser uomini, per vostra regola, non istà mica soltanto nel Venir su lunghi lunghi come perticoni, e nemmeno nel metter tanto di barba… ma piuttosto nel formarsi un animo indipendente, nobile, virile. E come pochi un animo cosiffatto sanno formarselo, perciò son pur pochi coloro i quali mettendosi la mano al petto, possano dire in buona coscienza lenza a se stessi: — io sono un uomo. Ma e gli altri?… gli altri, mieicari giovani, non sono che uominifinti, uomini di nome…. come queisoldatini di cartone, coi quali vi trastullavateda bambini a tenerli su ritti,metterli in fila, formarne un esercito … Che formidabile esercito! Di lì a pocopassava quel malignuzzo di vostroFratello maggiore, accostavasi, o faceva le viste per vedere, e con un soffio traditore tutte quelle belle file di soldati … giù colle gambe all’aria! Voi adisperarvi e piagnucolare, luia ridere e darvi la baia… O gli ometti di carta!… Ce n’ha tanti, cen’ha tantil!…Or be’, ditemi: di quali uomini voleteessere voi? — Neanco dirlo (mirispondete); noi vogliamo essere nominiveri, noi. — Oh bravi, lo sapevo io che siete giovani di buon gusto e di buone intenzioni: Ma perchéle intenzioni vostre abbiano effetto,non vi basta, no, lo andarvene là là acasaccio e a beneficio di natura (a beneficio di natura vengono su ifunghi e le zucche); ma conviene cipensiate seriamente fin d’ora… – Oh così presto? – Non è mai troppo presto; sentite. – così presto? — è mai troppo presto; sentite. La vita umana può paragonarsi a una fabbrica, a un gran palazzo, supponete, che uno voglia innalzare.  S’ei non piglia a gettare un buon fondamento fin da principio, che cosa avverrà? Man mano ch’ei si travaglia a tirarla su, le fondamenta cederanno, le muraglie faran pelo: e… o la fabbrica n’andrà in rovina, o converrà, per manco male, ridurla ad una povera bicocca. Così è dell’uomo: l’uomo comincia a formarsi da fanciullo, proprio come una fabbrica si comincia dal fondamento. – Or su dunque! quali modi avremo a tenere per incominciare questo benedetto fondamento? – Eh, figliuoli miei! ce ne ha tanti dei modi, ce ne ha tanti, che se avessi a dirvi di tutti, e’ mi verrebbe un librone, che nol reggereste sulle spalle. Bisognerà che mi restringa; mi stringerò a dirvi d’un’ostacolo… Dite, quand’uno ha a fabbricare, qual è la prima operazione che fa? — sgomberare il terreno, levar via gli ostacoli; per esempio, colmar quella fossa, tagliar quelle piante, spianar quel macigno. Or bene, egli è appunto una specie di macigno, una pietra maledetta ch’ io v’insegneròa levar via; una pietra in cui moltihanno dato del naso, e in cui inciampatuttavia la maggior parte degli uomini; una pietra, che intoppa malamente il passo a tanti poveri giovani,li fa cadere, li storpia, li sforma,li guasta in miserabile guisa per tuttala vita. Or questa pietra volete saperequal è? Scommetto che ne avete giàinteso il nome; ma non ci avete posto mente abbastanza: è l’umano rispetto,del quale dico, affermo e sostengo,che se giunge a dominare isentimenti di un giovane, costui saràun ometto di carta, un ometto da ridere,ma uomo vero giammai. – L’umano rispetto! + l’ho detto una pietra d’inciampo, avrei potuto. Dirloanche una fossa maledetta; ma migarba ancor meglio chiamarlo unaGRAN BESTIA, una bestia feroce, tantesono le stragi che fa negli uomini enelle donne, nei giovani e nei vecchi, nei grandi e nei piccoli, in tutti i luoghi, in tutti i tempi, intutte le età della vita. Farò di provarvelo,con ragioni, con fatti, conesempi, in tutti i modi possibili edimpossibili, finché ne siate convinti.Intanto incomincerò dal mostrarvi un tratto gli unghioni e le zanne de bestia crudele; appresso diremo delle stragi che fa.

II.

IL GIOVANE SOGNA, E LA BESTIA MOSTRA GLI UNGHIONI

Portar rispetto agli uomini. è cosa buona, anzi stretto dovere, purché si faccia secondo ragione. Ma se voi pel rispetto degli uomini dimenticate il rispetto a Dio. se voi giungete al punto di mettere il piacere, il giudizio dell’uomo al di sopra del piacere, del giudizio di Dio e della vostra coscienza, allora il vostro diventa un rispetto umano eccessivo, colpevole, mostruoso. – Rispettare l’uomo più che Dio! E non è un delitto, una mostruosità, cari giovani? Anzi più che delitto e mostruosità, è una specie idolatria, è un metter Dio sotto i piedi della creatura. Dio il piedistallo, l’uomo è l’idolo, e voi?… voi gli bruciate l’incenso. – Rispettar gli umani giudizi più che il giudizio secreto della vostra coscienza!… E non vi pare un. avvilimento, una vergogna, un’infame schiavitù? Anzi un incatenare il vostro giudizio, la coscienza, l’anima immortale, e così incatenata gettarla sotto i piedi di quanti. passano per la strada… Pure ahi! quanto facilmente: l’umano rispetto, a guisa di serpe, si striscia e s’insinua nei giovanetti cuori! Ah i cuori dei giovanetti, tanto belli,  tanto cari, tanto ingenui ed affettuosi! –  Cari giovani, non ci è forse età che al paro della vostra senta gli stimoli della gloria e dell’onore. L’istesso desiderio che vi strugge di presto diventar uomini ha in parte suo principio in questa tendenza del cuore. — Cresceremo, entreremo a far da attori sulla scena del mondo, attireremo gli sguardi, ci saremo anche noi per qualche cosa. – E chi mi sa dire i tanti dorati castelli che vi va fabbricando la vostra fantasia! – Filiberto spasima per la carriera dell’armi. Già gli brillano agli occhi due lucenti spalline e un pennacchio svolazzante. Monta su un focoso destriero, galoppa, galoppa, portato dal vento tra armi ed armati… Ecco il nemico: si slancia fra un nembo di polvere e il rombo dei cannoni, rompe le file serrate, e col lungo spadone alla mano sgomina, atterra, disperde quanti tentano fargli resistenza … Dove sono i nemici della patria? … Ei fiero sorride, ripone nel fodero la spada, e coperto di polvere e sudore sen torna tra gli applausi del campo… – Ben altri allori vagheggia Torquato; e col gomito appoggiato al banco di scuola, la guancia distesa nella palma della mano, e il naso a l’aria. — Oh per me (pensa) la guerra la lascio a chi la vuole; a me piace la vita pacifica degli studi. Mio padre ha danaro, mi farò comperare i più bei libri del mondo, studierò notte e giorno, diventerò un dotto, scriverò, darò alle stampe… Ma in questo mentre passa il maestro, gli applica uno scappellotto sul cucuzzolo, e: — bada al compito, acchiappanuvole! – Bartolo ha una parlantina da disgradarne Madonna Civetta: — Mi dicono che ho una lingua da avvocato: ebbene, studierò legge, io. Mah!   non vo’ mica riuscire un avvocatuzzo da dozzina, come ce n’ha tanti! Studierò di buzzo buono, strapperò la mia brava laurea cum laude et cunctis suffragiis, e poi?… E poi m’avranno a sentire tuonar dalla tribuna! – Pippo più forte nell’aritmetica e nel conteggio: — io mi darò al negoziare, non perderò tempo, lavorerò da mattina a sera, vivrò assegnato, terrò conto del denaro, diventerò ricco… Oro, ville, palazzi… belle vesti, carrozze, cavalli… e scappellate di qua, e inchini di là …  – E c’è anche l’abatino in erba il erba che fa i suoi sogni: passeranno gli studi, passerà il seminario… Eh!… se giungo a metter piede sul pergamo!… Che chiesone! che folla di gente!… e tutti a guardar me, zitti, attenti, senza batter palpebra…

Eh via! l’avete finita co’ vostri castelli?… Adesso lasciate parlare un poco a me. Sapete che voglio dirvi?… Che con tutti i sogni d’oro che andate facendo sul vostro avvenire, se avete la disgrazia d’inciampare nel sasso che ho detto, o meglio di lasciarvi mettere i denti addosso da quella brutta bestia dell’umano rispetto, altro che gloria ed onori! Diventerete gli esseri più abietti e ridicoli di questa terra. Vo’ provarvelo co’ fatti alla mano.

II.

VILE LORENZINO

Venite con me… Lo vedete quel portone? È il portone delle pubbliche Scuole. Attenti: suona un campanello, quindi un rumore, un vociare alto e confuso di ragazzi, uno scalpiccio di centinaia di piedi… Son qui, discendono le scale, s’addossano gli uni agli altri, si incalzano, si pigiano, si versano ad ondate sulla pubblica via … paiono un torrente che trabocca e tutto abbatte quanto incontra. — Buon Dio! ma perché condurci a questo spettacolo? E che vi è di buono a guadagnarci, fuorché urti, fischi, calcagnate sulle dita dei piedi e stramazzoni per terra?… – Abbiate pazienza. Aspettate un pochino, tiriamoci da banda lasciamo sfollare la ragazzaglia.. . Lo vedete quel gruppo di cinque o sei che si raccozzano in faccia a poi, che si stringono in cerchio, e parlano sì animati?… guardatene gli atti, uditene le parole. — Renzino, Renzino (grida quel tarchiatello del pel bruno e dalle spalle quadre, con quegli occhi grifagni) Renzino, Renzino, perché non vieni a giocare con noi? — Si, vieni! Stavolta devi venire, — gli gridano gli altri a coro; e gli si stringono ai panni, e fann’atto di volernelo trarre quasi per forza. E Renzino?…. Vedetelo là quel giovinetto biondo dallo sguardo soave, dal sorriso gentile, dagli abiti puliti e ben assestati alla persona, Ne val più lui, che tutta quella marmaglia di ineducati che gli stanno dattorno. Ma ohimé! Tra male gatte è capitato il sorcio, direbbe Dante di lui: e di fatto e’ sta. lì tremante, smarrito, balbettando sue scuse. — Sta volta… abbiate pazienza…… non posso.. A casa. mamma m’ aspetta. — Non l’avesse mai detta questa parola! — Ah sì neh? Gli è per amor della mammina bizzocca! (esclama beffardamente quel dagli occhi grifagni che é il capobanda) E badi ancora alla mamma tu? E qui un po’ l’uno, un po’ l’altro a dargli, ridendo, la baia, e dirgli corna di sua madre: tanto ché il disgraziato s’arrende, e messi in non cale avvertimenti della mamma, Se ne va con loro. D’ora in poi egli proverà un sentimento che non aveva mai provato per l’innanzi: vergogna di sua madre; e veduto in lei, specie dai tristi compagni, s’arrossirà tutto e si farà piccin piccino per nascondersi. Oh Dio! arrossire della propria madre! d’una madre tanto buona! –  Or dite, giovinetti: se invece di cedere vilmente, Renzo avesse alzato quei suoi occhi in fronte ai tristi compagni; e riposto con santa indignazione ai loro scherni, e difeso l’onor di sua madre, non gli avreste battuto le mani? non avreste esclamato: — Bravo! Egli è un uomo? E ora?… ora invece vii sentite (e lo sente li stesso), che ha commesso un atto di viltà: un atto di viltà che influirà su tutta quanta la sua vita.

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (2)

VIVA CRISTO-RE (1)

CRISTO-RE (1)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

INTRODUZIONE

L’11 dicembre 1925, gli annali della Chiesa registrarono un evento di grande importanza: Sua Santità Papa Pio XI, nella sua enciclica Quas primas, istituì una nuova festa; ordinò che una domenica dell’anno fosse consacrata come festa della “Regalità di Cristo”. È un tema così importante che gli dedichiamo questo libro. E nello sceglierlo come tema di questo libro mi sono basato su due considerazioni. La prima è il rispetto filiale e l’omaggio che noi, fedeli Cattolici, dobbiamo mostrare a tutte le parole e le azioni del Papa. È il Capo visibile della Chiesa. E mi preoccupa anche l’importanza del tema. Il tema della nuova festa è così inesauribile che temo non ci sia abbastanza tempo e spazio per svilupparne i punti necessari, cioè per spiegare correttamente la “Regalità di Cristo”. In che cosa consiste la nuova festa e qual è stato l’obiettivo del Papa nell’istituirla? Che cosa significa la Regalità di Cristo e che cosa possiamo aspettarci da essa? Come è migliorata la società da quando si è lasciata guidare da Cristo e che cosa sarebbe senza il Redentore? Cristo è il Re di tutti noi: è il Re della Chiesa, il Re del sacerdozio, il Re dei confessori, il Re dei tribolati, il Re dell’individuo e della società. Politica, matrimonio, sport, educazione, vita morale, infanzia, gioventù, donna, famiglia, dove arrivano quando seguono Cristo e qual è il risultato se fanno a meno di Lui? Questi sono i punti che intendo sottolineare. Chiedo ai miei gentili lettori di seguire il ragionamento con l’interesse e l’attenzione che la parola del Papa e l’importanza dell’argomento meritano.

CAPITOLO UNO

IL CONCETTO DI REGALITÀ DI CRISTO

I

Quando Pio XI istituì questa nuova festa, lo fece pensando al bene che avrebbe portato al mondo intero. Nel farlo, il Papa ha dichiarato esplicitamente che ciò che si aspettava da essa era un “rinnovamento del mondo”. Ha vissuto un’esperienza molto triste. La guerra mondiale si è conclusa con un trattato di pace, per il quale il Papa non è stato chiamato a collaborare. Che “patti di pace” sono quelli in cui il nome di Dio non viene nemmeno menzionato! E le assemblee di pace continuano, ma nessuno pronuncia il nome di Dio? Da qui i risultati che vediamo! Non viviamo in pace e non siamo in pace. Il nostro male sta proprio nel fatto che non siamo abbastanza Cristiani. – Il Papa è la sentinella della torre di guardia vaticana; spetta a lui indicare la strada. È lui che conosce meglio di tutti la salute spirituale del mondo. Cosa ci dice il Papa quando pubblica la festa di Cristo Re? Non avete la pace? Non l’avete perché lo cercate nei modi sbagliati. Si fa a meno di Cristo, quando Egli è il punto focale di tutta la storia. La peste è scoppiata nel mondo, la peste che distrugge le coscienze e la vita morale. Uomini! Questa peste sta corrompendo il mondo! Vi infettate quando bandite Cristo dalla vostra vita! Se continuate così, perirete….. – E ciò che dimostra quanto il Santo Padre abbia ragione è il fatto che non ci spaventiamo nemmeno quando sentiamo il suo grido d’allarme. Quanto poco se ne parla nei media, nelle riunioni, nelle conversazioni…! Dove sta accadendo davvero? Dove se ne parla? Da nessuna parte. E questo dimostra quanto la società sia gravemente malata. Dalle più alte cariche, la nostra attenzione viene attirata dalla malattia mortale di cui siamo affetti e non ci facciamo prendere dal panico, non alziamo nemmeno un dito. – A questo proposito, mi viene in mente un caso curioso. Un medico esperto portò i suoi giovani studenti in un grande reparto ospedaliero, li mise al centro della stanza e fece loro questa domanda: “Ditemi, da lontano, qual è il paziente più gravemente malato?”. Non riuscirono a scoprirlo e nessuno osò rispondere. Quale? Guardate laggiù, in quell’angolo, quell’uomo che è pieno di mosche. È lui. Perché se un malato soffre in pace, con totale apatia, e le mosche gli atterrano sul viso, è segno che la sua fine è vicina…”. – La malattia della società non può più essere nascosta; le ulcere incancrenite stanno già apparendo; ma nessuno cambia posizione, nessuno ha paura…. – Ma dov’è il male, mi chiederanno alcuni, è che la Chiesa è perseguitata, è che non c’è libertà religiosa, è che il patibolo o la prigione attendono il credente? No, non ci sono più persecuzioni come quelle degli antichi Nerone e Diocleziano. La peste di oggi funziona in modo diverso. I suoi bacilli assottigliano l’aria intorno a Cristo e non ci permettono di essere Cattolici nella vita pubblica. Il mondo è un libro immenso; ogni creatura, una sua frase; l’autore, la Santa Trinità. Ogni libro ruota attorno a un tema fondamentale; se volessimo riassumere in una sola parola il pensiero fondamentale del mondo, dovremmo scrivere questo nome: Cristo! Ora non lo vediamo ancora chiaramente; lo capiremo solo quando il segno del Figlio dell’uomo apparirà nel cielo…. Allora vedremo senza nubi e nebbie che Egli era l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine, il centro e la meta. Ma anche se ora non lo vediamo chiaramente, noi crediamo; crediamo che dove manca il segno del Figlio dell’uomo, lì regna l’oscurità, lì il mondo spirituale è eclissato. Il Sole è eclissato per le anime! “Ma noi confessiamo Cristo! Ci consideriamo Cattolici”, potrebbe dirmi il mio amico lettore. Sì, chi altro, chi altro. Ma sono così pochi quelli che vivono Cristo! Cristo è Re nel mio cuore, è vero; Cristo è Re nella mia casa, è vero, ma non basta! Cristo è Re… anche nella scuola, nella stampa, nel Congresso, nella fabbrica, nel comune? Guardiamoci intorno: dove regna la Santa Croce di Gesù Cristo? Lo vediamo sui campanili delle chiese, in alcune scuole, sui letti di alcuni Cattolici. Ma nella vita pubblica, dove regna la Croce di Cristo? Non lo vediamo. – Una notte fredda, una notte senza Cristo avvolge le anime. Cristo, anche per molti di coloro che sono stati rigenerati dal santo Battesimo, non è che un vago ricordo che influenza appena la loro vita. Capite, dunque, qual è lo scopo della nuova festività? Per chiarire questa terribile verità: che Gesù Cristo, il Sole del mondo, non brilla in questo mondo. Nessuno perseguita la Religione di Cristo. Come ci suona questa frase: “non c’è posto per Lui”… Dove l’abbiamo sentita? Ah, sì… La notte di Betlemme: anche lì non c’era nessuno che perseguitasse Gesù…; solo le circostanze politiche, sociali ed economiche erano tali che non c’era posto per Lui. Oggi Cristo non è perseguitato, forse, ma…. “Non c’è posto per Lui”. Dove si può trovare Cristo oggi? Solo in Chiesa. Ma questo non è sufficiente. Ci chiede tutto, perché gli appartiene. Nel momento in cui lasciamo la Chiesa non abbiamo più l’impressione di vivere tra Cristiani. Cristo è il Re, ma noi lo abbiamo spogliato della sua corona e quindi non può regnare.

II

Come siamo arrivati a questo punto? Come il ragno sciocco della parabola di Jörgensen. In una bella mattina un piccolo ragno, attaccato con un filo sottile alla cima di un albero molto alto, scese a terra. Lì trovò un cespuglio di dimensioni più che regolari ed iniziò il suo lavoro: iniziò a tessere una tela. Legò l’estremità superiore al lungo filo con cui era sceso; le altre estremità le fissò ai rami del cespuglio. Il risultato del suo lavoro fu una magnifica ragnatela con la quale riusciva a catturare le mosche con grande facilità. Ma dopo qualche giorno la tela non sembrava abbastanza grande e il ragno cominciò ad allargarla in tutte le direzioni. Grazie al forte filo che scendeva dall’alto, il lavoro poteva essere eseguito alla perfezione. Quando nelle prime mattine d’autunno le perle scintillanti della rugiada mattutina coprivano l’ampia ragnatela, sembrava un velo di pietre preziose che scintillavano ai raggi del sole. – Il ragno era molto orgoglioso del suo lavoro. Stava bene, tanto che ingrassava di giorno in giorno e sfoggiava un addome di tutto rispetto. Non si ricordava più di quanto fosse affamato e stravaccato in cima all’albero qualche mese prima… Una mattina si svegliò di pessimo umore. Il cielo era nuvoloso, non si vedeva una mosca in giro; cosa avrebbe fatto in una giornata autunnale così uggiosa? “Farò almeno il giro della rete”, pensò infine; “vedrò se c’è qualcosa da riparare”. Esaminò tutti i fili, per vedere se fossero sicuri. Non riuscì a trovare il minimo difetto, ma il suo malumore non se ne andò. Mentre brontolava da una parte all’altra, notò all’estremità superiore della rete un lungo filo di cui non ricordava la destinazione. Degli altri fili sapeva molto bene: questo viene qui, alla fine di questo ramo spezzato; quello va laggiù verso la spina laggiù. Il ragno conosceva tutti i rami, l’intera trama della sua tela; ma cosa ci fa qui questo filo? E come se non bastasse, è del tutto incomprensibile che salga verso l’alto, semplicemente in aria. Che cos’è? Il ragno si alzò sulle zampe posteriori e, spalancando gli occhi il più possibile, guardò verso l’alto. Non c’è altro da vedere! Questo filo non finisce mai; da qualsiasi punto di vista lo si guardi, sta salendo dritto verso le nuvole! Più il ragno cercava di trovare la soluzione all’enigma, più si irritava. Ma a cosa serviva quel filo che saliva verso l’alto? Naturalmente, nel mezzo del continuo banchettare con la carne delle mosche, aveva completamente dimenticato che una mattina di mesi fa egli stessa fosse sceso su questo filo. Né ricordava quanto lo stesso filo l’avesse aiutato a tessere la rete e ad allargarla. Aveva dimenticato tutto. Non vide altro che un inutile, interminabile filo che portava verso l’alto; un filo inutile, un filo che pendeva nell’aria…. – Giù! – gridò infine, completamente fuori di sé, e con un solo morso spezzò il filo. La ragnatela crollò all’istante… e quando il ragno riprese i sensi giaceva a terra, paralizzato, ai piedi del cespuglio; la rovina di ciò che era diventata – una splendida ragnatela intessuta di perle e d’argento – l’avvolgeva come un umido brandello di straccio. In quel mattino nebbioso divenne un povero mendicante; in un secondo aveva gettato via tutto il suo lavoro, perché non capiva l’utilità del filo che lo guidava verso l’alto. – Questo per quanto riguarda la parabola di Jörgensen, una parabola dal significato profondo, una parabola che denuncia chiaramente quella colpa, quella malattia radicale di cui la società moderna soffre una crisi così acuta. Non c’è rispetto per l’autorità, non c’è rispetto per la legge. Non c’è rispetto per la conoscenza, per la virtù, per l’esperienza, per l’età. C’è una contraddizione incredibile: mentre c’è un enorme progresso tecnico, l’uomo è sempre più infelice! Perché? Perché solo una parte del nostro essere si è sviluppata. – Se a qualcuno dovessero crescere solo le mani, sarebbe un uomo distrutto. Questo è ciò che sta accadendo alla società: la scienza, la tecnologia, l’industria… si sono sviluppate molto, ma non c’è stato alcun progresso nell’integrità morale! Non c’è da stupirsi che sia un disastro. Che cos’è la storia dell’ultimo secolo se non una triste e sempre più nota apostasia? Nel Medioevo, tutte le manifestazioni della vita erano dominate da Cristo. Oggi non è più così, perché l’alto grado di sviluppo della scienza e della tecnologia ci ha reso orgogliosi e storditi…; da allora il nostro sguardo si è posato esclusivamente sulla terra. – E così continuiamo a vivere, e ci vantiamo! Ma arriva un momento in cui una miniera crolla, un’esplosione distrugge diverse fabbriche, un tornado devasta una regione e uccide centinaia di uomini… Allora l’uomo rabbrividisce per un attimo nella sua piccolezza, vedendo la mano potente di Dio; ma questo dura solo un attimo. Sentiamo quello che sentiva l’Invincibile Armada, il soffio di Dio, capace di disperdere gli eserciti più potenti; ma un attimo dopo, sopra le miniere in rovina, tra le pulsioni di morte dei moribondi, l’uomo senza Dio continua a vantarsi delle sue prodezze. Immaginate la scena: se Cristo scendesse di nuovo sulla terra, sarebbe di nuovo rifiutato come nella notte di Betlemme, quando i suoi genitori cercarono un alloggio per lui.

Dove potrebbe nascere Cristo?

San Giuseppe attraversa molte città e bussa alla porta di molte case. “Non possiamo accoglierne altri, non abbiamo spazio”. Bussa agli studi degli artisti. “Assolutamente no; l’arte non dovrebbe essere influenzata dalla morale”. Bussa agli uffici dei giornali; bussa nei cinema e nei teatri. Non lo lasciano entrare… “Non c’è posto per Lui. Bussa ai cancelli delle fabbriche. “È iscritto al sindacato?” è la domanda con cui viene accolto. “No? Allora perché sei qui?”. Cristo non conta nulla in questo mondo. “Cristo Re!” Oh povero Re senza terra! – Secoli fa i bacilli della pestilenza dell’immoralità si sono infiltrati subdolamente nel sangue dell’umanità; a costo di diluire sempre più la dottrina di Cristo, ora la troviamo tutta corrotta! Il bando di Cristo è iniziato nel mondo delle idee. Giorno dopo giorno pensavamo a tutto tranne che a Dio. La nostra fede diventava sempre più debole. Non è ancora morta, è vero – siamo ancora Cristiani – ma è addormentata. – Se avessimo una lampada di Aladino per scoprire cosa pensano gli uomini! Osservate, dunque, i pensieri di molti Cristiani durante la giornata; sono tanto diversi da quelli che i pagani onesti, i pagani retti, potevano avere prima della venuta di Cristo? Un po’ di gentilezza naturale, di onestà esteriore, di educazione; ma, in fondo all’anima, un mondo gelido, un mondo senza Cristo. E la grande apostasia continuò a parlare. – Parliamo delle cose che pensiamo, delle cose che ci riempiono il cuore. Dall’abbondanza del cuore la bocca parla. Non pensiamo a Cristo, alle sue leggi, alla sua Chiesa; per questo non entrano nemmeno nei nostri argomenti di conversazione. Di quante cose si parla anche tra Cattolici! Lo sport, le vacanze, il divertimento, le acconciature, le mode, il clima, la politica, la viticoltura, il dollaro, il cinema, la salute, le diete, gli studi… ma che dire di Cristo? Non parliamo di Lui, semplicemente perché non ci pensiamo. Siamo pronti a parlare a lungo di qualsiasi sciocchezza, ma arrossiamo a parlare di Dio, che ci ha creati. Facciamo un elenco dei nostri meriti e quando arriva il momento di parlare di Colui davanti al quale tutte le ginocchia devono inchinarsi, quando è il nostro turno di parlare di cose della Religione, ci tiriamo indietro. Nella cosiddetta Europa cristiana, quante volte all’anno si pronuncia il nome di Cristo, per non parlare del nome di Cristo Re! O povero Re bandito!

* * *

Questa è la triste condizione della società moderna. Abbiamo bandito il Re. “Non vogliamo che regni su di noi”. La politica ha detto: “Perché Cristo viene qui? La vita economica ha esclamato: gli affari non hanno nulla a che fare con la moralità. L’industria proclamava: Con Cristo non avremmo fatto tanto profitto. Agli sportelli bancari hanno detto: “Andate via, non avete nulla da cercare tra noi”. Nei laboratori e nelle università: Fede e scienza si escludono…. E, infine, siamo arrivati alla situazione attuale, che sembra scrivere un grande INRI: Cristo non esiste! Il Re è morto! – Poi Papa Pio XI proclama: Alleluia! Gesù Cristo non è morto, ecco il Re, Cristo vive e regna nei secoli dei secoli! Lungi da noi l’idea di annacquare il Cristianesimo! Proclamiamo che Cristo ha un diritto assoluto su tutte le cose: ha un diritto sull’individuo, sulla società, sul mondo e sul mondo, sull’individuo, sulla società, sullo Stato, sul Governo. Tutto è soggetto a Cristo: la stessa politica, la stessa vita economica, lo stesso commercio, la stessa arte, la stessa famiglia, lo stesso bambino, lo stesso giovane, la stessa donna…, tutto, tutto! – Sì, Cristo è il Re di tutti gli uomini, il Re dei Re, il Presidente dei Presidenti, il Governo dei Governi, il Giudice dei Giudici, il Legislatore dei Legislatori! La bandiera di Cristo deve sventolare ovunque: nella scuola, nell’officina, nella redazione, nel Congresso. Viva Cristo Re!

Il miracolo di Cana deve essere ripetuto: Signore, non abbiamo vino, stiamo bevendo acqua putrida a causa di tanto materialismo. Concedici di avere occhi diversi, di guardare tutto in modo diverso, di avere un cuore diverso ed altri desideri…; di vivere un Cristianesimo autentico. – Signore, sii con noi quando preghiamo, affinché sappiamo pregare come hai pregato Tu! Signore, sii con noi quando lavoriamo, affinché sappiamo lavorare come hai lavorato tu! Signore, vogliamo ricordarci di Te quando mangiamo e gioiamo, come Tu hai gioito con gli uomini alle nozze di Cana! Signore, sii con noi quando camminiamo per strada, come hai camminato con i tuoi discepoli sulle strade della Galilea! Signore, vogliamo essere presenti a te quando siamo stanchi e sofferenti, affinché tu possa confortarci e lenirci come hai fatto con i malati! Signore, sii di nuovo il nostro Re! Voi siete la nostra Vita!

VIVA CRISTO-RE (2)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “PERMOTI NOS”

Questa breve lettera Enciclica di S.S. Leone XIII, si indirizzava ai Vescovi ed al popolo belga, in preda a violenti contrasti sociali generati dalle nuove idee della peste socialista a sua volta propagandate e spinte dalle sette sociniane, la c. d. massoneria che tentava di rovesciare l’ordine sociale costituito e soprattutto i costumi, la morale e la fede Cattolica. Naturalmente la tattica principale del diavolo (in greco diaballo significa dividere) è la divisione tra gli uomini, segnatamente i Cattolici, onde romperne la compattezza del fronte unito e poter aggredire facilmente le singole fazioni, o gruppi o singoli così isolati. Il Santo Padre dà disposizioni sia ai Vescovi e prelati, invitandoli a riunire un congresso: « … Il clero dovrebbe aprire la strada, poiché è particolarmente caratteristico per loro essere cauti di fronte alle nuove opinioni, calmare e unire gli animi in nome della Religione e ricordare i doveri dei cittadini cristiani. », sia ai laici cittadini Cattolici: « …. A tal fine, tutti gli uomini buoni dovrebbero dirigere le loro menti escludendo gli interessi di fazione. Devono sostenere senza dubbio l’ordine sacro di Dio e della patria, nella loro legittima lotta a favore della verità, della giustizia e della carità cristiane. Perché è da questo ordine che scaturiscono la sicurezza e la felicità pubblica. » Queste ultime parole in particolare, ma anche tutte le altre considerazioni del Pontefice Romano Vicario di Cristo, sono quanto mai utili anche nei nostri tempi molto più agitati dalle pandemie mondialiste dei globalisti sociniani kazari anti Cattolici e distruttori di tutto l’orbe terraqueo.

PERMOTI NOS

ENCICLICA DI PAPA LEO XIII

SULLE CONDIZIONI SOCIALI IN BELGIO

Ai Vescovi del Belgio.

Poiché nutriamo una speciale amicizia per la vostra nazione, ed in risposta alla richiesta di molti suoi cittadini, abbiamo rivolto una particolare attenzione ad una questione seria per i Cattolici belgi. Sapete bene, naturalmente, a cosa ci riferiamo: la questione sociale. Le accese discussioni su questo tema hanno turbato le loro menti a tal punto da richiedere chiaramente la nostra attenzione e il nostro aiuto.

Disaccordo tra i Cattolici belgi

2. La questione è intrinsecamente molto difficile e, nel vostro Paese, è legata a problemi più grandi. Tuttavia, non abbiamo rifiutato di affrontarla, soprattutto considerando che è necessariamente connessa alla Religione ed al dovere del nostro ufficio. Infatti, anche in questo campo di istruzione ci è piaciuto impartire gli insegnamenti della saggezza cristiana in modo adeguato all’epoca ed alle sue modalità. Ed è piacevole ricordare che queste affermazioni abbiano prodotto notevoli benefici sia per gli individui che per gli Stati, e che questi risultati crescano più del previsto con il passare dei giorni. Questi buoni frutti sono stati prodotti anche tra i Cattolici belgi, la cui prontezza nel dare sostegno a questo tipo di istruzioni è stata straordinaria; tuttavia, questi frutti non sono stati così grandi come ci si aspettava, considerando il carattere speciale del Paese e del popolo. L’ostacolo in questo caso è abbastanza noto. Infatti, pur essendo mossi da buone intenzioni, insistono erroneamente nel consultare altri su queste questioni. Di conseguenza, i molti benefici che cercano non si verificano e, inoltre, fiorisce la discordia tra i Cattolici.

Dibattito sulle scuole

3. Troviamo questo disaccordo tra i Cattolici belgi estremamente difficile da sopportare, per quanto sia nuovo e malvisto. Prima di allora, infatti, il loro accordo reciproco aveva sempre prodotto effetti salutari. La loro unità è stata, naturalmente, chiaramente evidente nel dibattito sulle scuole, per citare un evento recente. In quell’occasione, infatti, i Cattolici di ogni classe erano efficacemente uniti; è stato soprattutto per questo che la vicenda si è conclusa positivamente, a vantaggio della dignità della Religione e della sicurezza dei giovani.

Convocare un Congresso

4. E ora le vostre greggi sono sul punto di subire pericolose perdite sia individuali che di gruppo, perché sono disunite e perseguono obiettivi diversi; vedete quanto siano maturi i tempi per porre una mano risanatrice su questi eventi travagliati. Sosteniamo con forza i vostri sforzi per ripristinare e rafforzare la concordia. La grande riverenza di cui godono i vostri fedeli indica che avrete successo. A tal fine, vi suggeriamo di riunirvi per un congresso non appena sarà possibile organizzarlo. Condividendo i vostri punti di vista in quel congresso, sarete in grado di studiare in modo più dettagliato la portata della questione e di considerare i mezzi migliori per risolverla.

5. La questione non può essere considerata da un solo punto di vista. Riguarda sì i beni esterni, ma ha a che fare soprattutto con la Religione e la morale. È anche direttamente connessa con la costituzione civile delle leggi, così che, in ultima analisi, ha un ampio riferimento ai diritti ed ai doveri di tutte le classi. Inoltre, quando applichiamo i principi evangelici di giustizia e carità a questa questione e alla condotta di vita, vengono necessariamente toccati i molteplici interessi dei privati. E a queste considerazioni vanno aggiunte alcune condizioni degli affari e dell’industria, dei lavoratori e dei proprietari, che sono specificamente peculiari del Belgio.

Le nostre proposte

6. Questi difficili problemi, per i quali il vostro giudizio e la vostra attenzione devono essere risolti, sono di grande importanza e non vi lasceremo senza le nostre proposte in questo caso. In questo modo, dopo la conclusione del congresso, sarà meno faticoso e meno pericoloso per voi decidere, ciascuno nella propria diocesi, i rimedi e le azioni di stabilizzazione adatti alle persone e ai distretti. Tuttavia, con l’aiuto di cittadini idonei, dovreste applicare queste misure in modo che possano avere un effetto simile in tutta la nazione. L’azione intrapresa dai Cattolici a partire dagli stessi punti e percorrendo, per quanto possibile, le stesse strade, deve essere considerata ovunque una sola e medesima azione. Di conseguenza, questa azione deve essere onesta, vigorosa e produttiva. Per facilitare ciò, i Cattolici devono urgentemente desiderare e perseguire solo quegli obiettivi che si ritiene portino veramente al bene comune, a preferenza delle proprie opinioni e interessi personali. Questo garantirebbe: 1) che la religione eccella nella sua funzione e diffonda il suo potere, che porta sicurezza anche negli affari civili, domestici ed economici, in modo meraviglioso; 2) che, unendo l’autorità pubblica e la libertà in modo cristiano, il regno rimanga incolume dalla sedizione e protetto dalla tranquillità;

3) che le buone istituzioni dello Stato, specialmente le scuole per i giovani, siano promosse e migliorate; 4) che il commercio e l’artigianato siano migliorati, specialmente con l’aiuto di quelle società, ognuna con il suo scopo particolare, che abbondano nel vostro Paese e che è desiderabile sviluppare ulteriormente con la religione come guida e sostegno. Non è nemmeno una questione di poca importanza fare in modo che i supremi consigli di Dio siano accettati con la modestia che è ovviamente loro dovuta. Poiché Dio ha disposto che nel genere umano esistano classi diverse, ma che tra queste esista anche un’uguaglianza derivante dalla loro amichevole collaborazione, i lavoratori non dovrebbero in alcun modo abbandonare il rispetto e la fiducia nei confronti dei loro datori di lavoro, e questi ultimi dovrebbero trattare i loro lavoratori con giusta gentilezza e prudente attenzione.

7. Questi sono i principali elementi del bene comune, la cui acquisizione deve essere l’obiettivo dei nostri sforzi. Da questo bene deriva un reale sollievo per alleviare le condizioni della vita mortale e da esso derivano anche i meriti per la vita celeste. Se i Cattolici perseverano nell’amare con maggiore zelo l’ordine insegnato da questa saggezza cristiana e nel rafforzarlo con il loro esempio, il risultato sperato si realizzerà più facilmente. Quando ciò accadrà, coloro che si sono allontanati dal sentiero, ingannati da opinioni sbagliate o da false apparenze, riacquisteranno il senno e cercheranno la protezione e la guida della Chiesa. Sicuramente nessun cattolico che ami veramente la sua religione e il suo Paese rifiuterà di accettare le vostre decisioni. Si rendono conto che ogni miglioramento contribuisce alla stabilità e porta a maggiori benefici se viene introdotto gradualmente e con moderazione.

8. Nel frattempo, la situazione attuale è così grave che un rimedio non dovrebbe essere ritardato. Tale rimedio dovrebbe iniziare con il calmare le menti degli uomini. Pertanto, Venerabili Fratelli, rivolgetevi ai Cattolici in Nostro nome e avvertiteli di astenersi completamente da ogni polemica e discussione su questi temi, sia nelle riunioni che nei giornali e in pubblicazioni simili. In particolare, esortateli a non accusarsi a vicenda e a non anticipare il giudizio del governo legittimo. Poi lasciate che tutti, con animo fraterno e unito, si impegnino con voi a dedicare la massima attenzione e il massimo sforzo per raggiungere il loro obiettivo. Il clero dovrebbe aprire la strada, poiché è particolarmente caratteristico per loro essere cauti di fronte alle nuove opinioni, calmare e unire gli animi in nome della Religione e ricordare i doveri dei cittadini cristiani.

Le nostre aspettative nei confronti dei belgi

9. Abbiamo da tempo abbracciato la nobile nazione belga con il Nostro speciale amore e la Nostra cura, e il Belgio a sua volta, animato dalla religione ancestrale, ci ha offerto molte prove di obbedienza e di amorevole devozione. Non c’è quindi da dubitare che i Nostri figli Cattolici riceveranno ed eseguiranno religiosamente queste esortazioni e comandi con una volontà all’altezza del Nostro proposito di emanarli.

10. Perché certamente non permetteranno mai che le loro discordie diminuiscano e distruggano imprudentemente quella considerazione pubblica per la loro Religione che la loro concordia ha a lungo favorito e che molti Paesi invidiano loro.

11. Agiscano piuttosto nel più stretto concerto per opporre tutti i loro piani e le loro forze alla malvagità del socialismo, che molto chiaramente causerà mali e grandi perdite. Infatti, esso si esercita costantemente e in tutti i modi contro la Religione e lo Stato; si sforza ogni giorno di gettare nella confusione le leggi divine e umane e di distruggere le buone opere della provvidenza evangelica. La nostra voce si è levata spesso e con veemenza contro questa grande calamità, come testimoniano a sufficienza i comandi e gli avvertimenti che abbiamo dato nella Lettera Rerum Novarum. A tal fine, tutti gli uomini buoni dovrebbero dirigere le loro menti escludendo gli interessi di fazione. Devono sostenere senza dubbio l’ordine sacro di Dio e della patria, nella loro legittima lotta a favore della verità, della giustizia e della carità cristiane. Perché è da questo ordine che scaturiscono la sicurezza e la felicità pubblica.

12. È giusto che Noi siamo disposti a riporre la Nostra fiducia e la Nostra aspettativa in queste questioni sulla vostra deliberazione e sul vostro ingegno in particolare. Perciò, mentre imploriamo per voi gli ampi aiuti del soccorso divino, impartiamo con grande amore a voi stessi e al clero e al popolo, a ciascuno di voi la benedizione apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 10 luglio 1895, nel diciottesimo anno del Nostro Pontificato.

DOMENICA PRIMA DOPO EPIFANIA (2023)

DOMENICA I DOPO EPIFANIA (2023)

FESTA DELLA SACRA FAMIGLIA.

Doppio maggiore. – Paramenti bianchi.

« Non conviene forse – dice Leone XIII – celebrare la nascita regale del Figlio del Padre Supremo? Non forse la casa di David, e i nomi gloriosi di questa antica stirpe? È più dolce per noi ricordare la piccola casa di Nazaret e l’umile esistenza che vi si conduce: è più dolce celebrare la vita oscura di Gesù. Lì il Fanciullo Divino imparò l’umile mestiere di Giuseppe e nell’ombra crebbe e fu felice di essere compagno nei lavori del falegname. Il sudore – egli dice – scorra sulle mie membra, prima che il Sangue le bagni; che questa fatica del lavoro serva d’espiazione per il genere umano. Vicino al divino Fanciullo è la tenera Madre; vicino allo Sposo, la Sposa devota, felice di poter sollevare le pene agli affaticati con cura affettuosa. O voi, che non foste esenti dalle pene e dal lavoro, che avete conosciuto la sventura, assistete gl’infelici che l’indigenza affligge e che lottano contro le difficoltà della vita  » (Inno di Mattutino). – In questa umile casa di Nazaret Gesù, Maria e Giuseppe consacrarono, con l’esercizio delle virtù domestiche, la vita familiare (Or.). Possa la grande Famiglia che è la Chiesa ed ogni focolare cristiano esercitare in terra le virtù che esercitò la Sacra Famiglia, per meritare di vivere nella sua santa compagnia in cielo (Or.). – Benedetto XV, volendo assicurare alle anime il beneficio della meditazione e dell’imitazione delle virtù della Sacra Famiglia, ne estese la solennità alla Chiesa universale e la fissò alla Domenica fra l’Ottava dell’Epifania o al sabato che la precede.

Incipit

In nómine Patris, ✝et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Prov XXIII: 24; 25
Exsúltat gáudio pater Justi, gáudeat Pater tuus et Mater tua, et exsúltet quæ génuit te.

[Esulti di gaudio il padre del Giusto, goda tuo Padre e tua Madre, ed esulti colei che ti ha generato].


Ps LXXXIII: 2-3
Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum! concupíscit et déficit ánima mea in átria Dómini.

 [Quanto sono amabili i tuoi tabernacoli, o Signore degli eserciti: anela e si strugge l’ànima mia nella casa del Signore]

Exsúltat gáudio pater Justi, gáudeat Pater tuus et Mater tua, et exsúltet quæ génuit te.

[Esulti di gàudio il padre del Giusto, goda tuo Padre e tua Madre, ed esulti colei che ti ha generato].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére onobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio9

Orémus.
Dómine Jesu Christe, qui, Maríæ et Joseph súbditus, domésticam vitam ineffabílibus virtútibus consecrásti: fac nos, utriúsque auxílio, Famíliæ sanctæ tuæ exémplis ínstrui; et consórtium cónsequi sempitérnum:

[O Signore Gesú Cristo, che stando sottomesso a Maria e Giuseppe, consacrasti la vita domestica con ineffabili virtú, fa che con il loro aiuto siamo ammaestrati dagli esempii della tua santa Famiglia, e possiamo conseguirne il consorzio eterno].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.
Rom XII: 1-5
Fratres: Obsecro vos per misericórdiam Dei, ut exhibeátis córpora vestra hóstiam vivéntem, sanctam, Deo placéntem, rationábile obséquium vestrum. Et nolíte conformári huic sǽculo, sed reformámini in novitáte sensus vestri: ut probétis, quæ sit volúntas Dei bona, et benéplacens, et perfécta. Dico enim per grátiam, quæ data est mihi, ómnibus qui sunt inter vos: Non plus sápere, quam opórtet sápere, sed sápere ad sobrietátem: et unicuique sicut Deus divísit mensúram fídei. Sicut enim in uno córpore multa membra habémus, ómnia autem membra non eúndem actum habent: ita multi unum corpus sumus in Christo, sínguli autem alter alteríus membra: in Christo Jesu, Dómino nostro.


[Vi esorto, o fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi in sacrificio vivo, santo, accettevole a Dio: ad offrire il vostro culto ragionevole. Non vi conformate a questo secolo; anzi riformatevi, rinnovando il vostro spirito, affinché conosciate quale sia la volontà di Dio buona, accettevole e perfetta. Perciocché in virtù della grazia concessami, io dico a tutti voi di non farla da savi più di quello che conviene, ma di essere savi con modestia secondoché Dio dà a ciascuno la misura della fede. Poiché come in un corpo abbiamo molte membra, ma non tutte le membra hanno la stessa operazione, così in molti siamo un corpo solo in Cristo, e ciascuno è membro l’uno dell’altro „]

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

COME SI TRATTA IL CORPO.

… Le parole con cui San Paolo esorta i Romani a trattare il loro corpo per trattarlo cristianamente sono tali da stupire più di uno fra coloro che le leggono per la prima volta o per la prima volta le ascoltano. « Vi scongiuro, o fratelli, in nome della misericordia che Dio ci ha usata, di offrire i vostri corpi come un’ostia viva, santa, che piace al Signore ». E in realtà queste parole senza essere menomamente strane, sono mirabilmente nuove nella storia del pensiero morale dell’umanità. La quale non ha mai potuto e non può eliminare il problema del corpo, della materia. Che fare di questo povero corpo? come trattarlo? C’è un trattamento igienico del corpo che non si può dire epicureo, che non si può neanche dire vizioso e non è virtuosamente eroico, eroicamente virtuoso. Consiste nel far star bene il corpo nel conservarlo sano. « Mens sana in corpore sano ». È un programma tutt’altro che ignobile. Fu il programma classico dell’antichità. Noi lo ripetiamo ancora talvolta ai nostri giovani. E Dio volesse che la preoccupazione almeno della o, dell’igiene, fosse sempre viva e vittoriosa nell’anima della nostra gioventù! Quanti peccati e quante vergogne essa ci risparmierebbe. Ma quando la preoccupazione dello star bene, igienicamente bene, diventi suprema; diventa la grande ispiratrice, la sola e non ci solleva molto in alto, può anche essere egoisticamente bassa. Siamo in un epicureismo sottile e cauto, senza la imprudenza dell’epicureismo volgare: più intelligente dunque dell’epicureismo comune, non più nobile. Più cristiana certo l’austerità scettica di cui abbbiamo una traccia, una formula, anche in San Paolo quando ci dice: « castigo corpus meum et in servitutem redigo ». Voglio dominare, è fiero, dignitoso, alto. Programma imperiale, non dell’imperialismo di esportazione, dell’imperialismo di importazione; non esteriore, ma intimo, che è il più vero. E il mezzo è bellicoso: tratto male il mio corpo: lo picchio, lo fo digiunare, gli misuro avaramente la bevanda dolce, gli interdico il più inebriante (abstinuit vino). È tutto un decalogo austero che sa di stoicismo. Non è stoico nel senso che lo riassorbe anche il Cristianesimo, è stoico nel senso che anche lo stoicismo ci era giunto e vi ci si era fermato. Il Cristianesimo va più in su. Arriva al misticismo. Il corpo penetrato di spiritualità ma in nome e per amore di Dio. Lì è la discriminante, nella finalità suprema, definitiva. Perché siano salvi i diritti dell’uomo, è la finalità stoica. Perché sia salva la dignità dell’uomo la quale non si salva per certo capovolgendo i rapporti tra il corpo e lo spirito, condannando questo alla schiavitù, verso di quello. Bella figura umana la figura di chi serve collo spirito alla carne! di chi si anticipa con quella attitudine la morte! Il corpo deve servire, esso deve spiritualizzarsi, e non lo spirito materializzarsi, ma, nel Cristianesimo tale processo deve compiersi nel nome e per la gloria di Dio. Per offrire a Lui in questo corpo radiosamente spiritualizzato un’Ostia nuova, Ostia viva e non come quella dei vecchi sacrifici che erano carogna, cadavere: Ostia santa, qualche cosa di più che semplicemente buona; santa, tale da piacere a Dio. Il trattamento religioso, divino del corpo! Non si può andare né più in là, né più in su. E tutto questo non riservato a pochi eletti, ma messo alla disposizione di tutti… ecco il Cristianesimo. Ma è il nostro, fratelli?…

Graduale

Ps XXVI: 4
Unam pétii a Dómino, hanc requíram: ut inhábitem in domo Dómini ómnibus diébus vitæ meæ.


[Una sola cosa ho chiesto e richiederò al Signore: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita.]

Alleluja

Beáti, qui hábitant in domo tua, Dómine: in sǽcula sæculórum laudábunt te. Allelúja, allelúja,

[Beati quelli che àbitano nella tua casa, o Signore, essi possono lodarti nei secoli dei secoli. Allelúia, allelúia.]

Isa XLV: 15
Vere tu es Rex abscónditus, Deus Israël Salvátor. Allelúja.

[Tu sei davvero un Re nascosto, o Dio d’Israele, Salvatore. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
S. Luc II: 42-52
Cum factus esset Jesus annórum duódecim, ascendéntibus illis Jerosólymam secúndum consuetúdinem diéi festi, consummatísque diébus, cum redírent, remánsit puer Jesus in Jerúsalem, et non cognovérunt paréntes ejus. Existimántes autem illum esse in comitátu, venérunt iter diéi, et requirébant eum inter cognátos et notos. Et non inveniéntes, regréssi sunt in Jerúsalem, requiréntes eum. Et factum est, post tríduum invenérunt illum in templo sedéntem in médio doctórum, audiéntem illos et interrogántem eos. Stupébant autem omnes, qui eum audiébant, super prudéntia et respónsis ejus. Et vidéntes admiráti sunt. Et dixit Mater ejus ad illum: Fili, quid fecísti nobis sic? Ecce, pater tuus et ego doléntes quærebámus te. Et ait ad illos: Quid est, quod me quærebátis? Nesciebátis, quia in his, quæ Patris mei sunt, opórtet me esse? Et ipsi non intellexérunt verbum, quod locútus est ad eos. Et descéndit cum eis, et venit Názareth: et erat súbditus illis. Et Mater ejus conservábat ómnia verba hæc in corde suo. Et Jesus proficiébat sapiéntia et ætáte et grátia apud Deum et hómines.

[Quando Gesù raggiunse i dodici anni, essendo essi saliti a Gerusalemme, secondo l’usanza di quella solennità, e, passati quei giorni, se ne ritornarono, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, né i suoi genitori se ne avvidero. Ora, pensando che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di cammino, dopo di che lo cercarono tra i parenti e i conoscenti. Ma non avendolo trovato, tornarono a cercarlo a Gerusalemme. E avvenne che dopo tre giorni lo trovarono nel Tempio, mentre sedeva in mezzo ai Dottori, e li ascoltava e li interrogava, e tutti gli astanti stupivano della sua sapienza e delle sue risposte. E, vistolo, ne fecero le meraviglie. E sua madre gli disse: Figlio perché ci ha fatto questo? Ecco che tuo padre ed io, addolorati, ti cercavamo. E rispose loro: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi di quel che spetta al Padre mio? Ed essi non compresero ciò che aveva loro detto. E se ne andò con loro e ritornò a Nazareth, e stava soggetto ad essi. Però sua madre serbava in cuor suo tutte queste cose. E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia innanzi a Dio e agli uomini].

OMELIA

[Francesco Maria Zoppi Vesc. di Massa e Carrara: Omelie, Panegirici e Sermoni, t. I -Milano, 1861)

DOVERI DEI GENITORI VERSO I FIGLIUOLI.

La storia dell’odierno Vangelo ne porge ampio argomento d’istruire tanto i genitori, quanto i figliuoli ne’ più importanti loro doveri, e di presentare sì agli uni che agli altri i più eccellenti loro esemplari. Ricorda ai primi l’obbligo speciale di educare i loro figliuoli nella santa Religione, di conservarveli con vigilanza, di richiamarveli con sollecitudine: ricorda ai secondi il dovere d’essere soggetti prima a Dio, poi ai loro genitori in ogni cosa, in ogni maniera, in ogni età. Presenta ai genitori il grande esempio della saggia educazione che danno Maria e Giuseppe al fanciullo loro Gesù: presenta ai figliuoli l’esempio divino di Gesù medesimo, che tutto si occupa degli interessi dell’eterno suo Padre, e nel resto vive soggetto a Maria e Giuseppe. Ma perché sarebbe per me troppo difficil cosa lo spiegare distintamente e come si conviene tutti questi doveri e molti e gravissimi in breve spazio di tempo, permettetemi, o dilettissimi, ch’io divida quasi in due parti l’odierno Vangelo, e prenda secondo l’ordine a spiegarvi in oggi la prima ed a parlarvi de’ doveri de’ genitori, e rimandi ad altro tempo lo spiegarvi la seconda ed il discorrere de’ doveri de’ figliuoli: permettetemi anzi, che fra i doveri de’ genitori io scelga a trattare di due soltanto che verrò a riscontrare nell’esempio di Maria e di Giuseppe, dell’obbligo cioè di educare i figliuoli loro nella santa Religione, e di richiamarveli quando se ne allontanano: il qual doppio obbligo poi si riduce all’unico e grande di allevarli e conservarli al Signore. Quando i genitori abbiano adempito questo esattamente, ben possono lusingarsi d’averne adempiti tutti gli altri. – Io prendo a trattare questa mattina; come voi vedete, un argomento limitato e ristretto ad uno stato particolare di persone. È nondimeno questo uno stato nel quale penso che la maggior parte di voi debba essere compresa, perché o aveste già o avete al presente o avrete nell’avvenire. de’ figliuoli ad educare. L’ascoltarmi adunque non sarà inutil cosa ai primi per conoscere i loro falli e piangerli, ai secondi per piangerli e correggerli, agli ultimi per prevenirli. – I parenti di Gesù, dice l’odierno Vangelo, andarono a Gerusalemme, come erano soliti di fare nel giorno della festa, cioè nella solennità della Pasqua, e vi condussero seco Gesù già fatto grandicello, e giunto all’età di dodici anni: Cum factus esset Jesus annorum duodecim, ascendentibus illis Jerosolymam secundum consuetudinem diei festi. Quante utili riflessioni avete a fare, o padri, o madri, su questo piccolo tratto del Vangelo! Al tempio come vedete, e non altrove Maria e Giuseppe conducono il loro Gesù, e ad un tempio che non è vicino alla loro casa, come il sono i nostri templi alle vostre; ad un tempio che non è nemmeno posto nella loro città; al tempio di Gerosolima, dove non vi possono arrivare se non dopo di avere camminato a piedi per ben tre giorni: e là il conducono fin da fanciullo per avvezzarlo alle pratiche della Religione; ve lo conducono a celebrare la grande solennità della Pasqua, che non è di sì breve durata, come le sacre nostre funzioni, ma che dura per ben sette giorni; e lo conducono in quella città che non ardiscono di abitare per timore di Archelao, preferendo ora, dice sant’Agostino, il timor di Dio e l’osservanza della legge al timor del tiranno; e non lo affidano ad altri, ma eglino stessi ve lo conducono, se lo tengono sotto gli occhi, e gli presentano in sé stessi l’esempio della religione a cui lo vogliono accostumare.Sebbene che dico io mai? Perdonatemi, o mio buon Gesù, se di voi parlo come d’uno de’ nostri fanciulli che abbisogna di guida, di istruzione, di esempi, di religione; di voi che siete Dio, che siete la via, la verità, l’esemplare, anzi lo scopo di tutta la Religione. Ma è la vostra umiltà che vuol appunto coprire la vostra divinità col velo di una fanciullezza umana agli occhi degli stessi vostri genitori, perché, siccome tutti i figliuoli in voi, così in Maria e Giuseppe tutti i genitori ravvisino il modello della loro condotta. L’esempio luminoso adunque che Maria e Giuseppe quivi presentano, o padri e madri, vi ricorda il primo, il più essenziale de’ vostri doveri, e direi quasi l’unico, perché gli altri tutti o vanno a riferirsi o devono essere subordinati a questo, di allevare cioè sino da’ loro primi anni i vostri figliuoli nella santa Religione; e però di far loro conoscere per tempo Gesù Cristo e la fede e la dottrina di Lui, di inspirare loro sentimenti di pietà; di avvezzarli di buon’ora a venire alla Chiesa, ad assistere con assiduità e divozione al santo Sacrificio, alla divina parola ed agli altri divini misteri e di impiegarveli non solo co’ vostri inviti, comandi ed esempi, ma col condurveli voi stessi. Fa pur consolazione, o dilettissimi, l’ascoltare que’ ben educati figliolini, che slegano la loro lingua balbettando appena per invocare il nome di Dio e di Gesù, che imparano a parlare imparando a pregare, che quasi non conoscono ancora sé stessi, e già conoscono la loro fede, loro religione, il loro Dio. Fa pure consolazione vedere nella buona madre preceduta dalle sue figlioline, quel buon padre e fiancheggiato da’ suoi piccoli figli recarsi dalla casa alla chiesa per presentare queste anime innocenti al Signore, a cui si ricordano d’esserne debitori, e qui porger loro l’acqua benedetta, istruirli a farsi il segno della santa Croce, far loro piegare le ginocchia per riverenza alla maestà del Dio vivente, e, dispostili di poi d’intorno a sé in guisa d’averseli tutti vicini e sotto gli occhi, comporne il loro esteriore nell’atto della maggiore modestia e divozione, e quando suggerire all’orecchio or dell’uno or dell’altro e salutari ricordi ed opportune istruzioni e santi eccitamenti alla fede ed alla pietà, quando alternare con tutti la santa preghiera, quando appagare l’innocente curiosità di ciascuno risvegliata dalle cose sensibili e dalle esteriori cerimonie che loro presenta la santa Religione nella chiesa.Alza l’un d’essi gli occhi, e dimanda che faccia quel Sacerdote all’altare: Sappi, risponde il buon padre, la buona madre, che là si rinnova il grande sacrificio di espiazione offerto già da Gesù Cristo sul Calvario per i nostri peccati: uniamo il nostro spirito a quello del Sacerdote, e rendiamone con lui al Signore i più fervidi ringraziamenti. — Gira l’altro d’intorno gli occhi e chiede di chi sono quelle immagini. Sono le immagini de’ santi che furono fedeli al Signore: quello ha spesa la sua vita in opere di carità, quella in orazioni e penitenze; questo sparse il suo sangue piuttosto che negare la fede di Gesù Cristo, questa piuttosto che perdere la purità: sono nostri avvocati in cielo, nostri esemplari in terra: raccomàndati a loro e prendili ad imitare. – Rivolge questi lo sguardo all’intorno, e chiede che cosa sia questo fonte. Quest’è il sacro fonte del Battesimo, qui si racchiudono le acque salutari che ti hanno mondato dalla colpa originale; qui giurasti eterna fedeltà al Signore; qui ricevesti la stola dell’innocenza che Gesù Cristo ti richiederà nel giorno del tuo giudizio: ah, figliuol mio, guàrdati bene di macchiarla, ovver di perderla; vada il tutto piuttosto che perdere questo tesoro. — Abbassa l’altro gli occhi e domanda della pietra mobile che si vede sotto de’ piedi. Questo sasso chiude le ceneri di tanti e tanti che visser già, e visser sani come tu; tutti abbiamo a finire così; essi ci hanno preceduti; io vi andrò d’appresso; tu non tarderai a seguirmi; non v’ha se non la pietà, se non la virtù che non muoia mai.— E così rispondendo ad ogni altra curiosa loro dimanda; ed eccitandoli con santa industria a farne sempre delle nuove, li avvezzano per tempo a penetrare e gustare, dirò così, lo spirito delle preghiere, de’ riti augusti, de’ santi misteri e fanno loro prendere sino dai primi anni una sincera affezione per la Chiesa, per le sacre funzioni, per la santa religione. – Sì, fanno veramente consolazione, o dilettissimi, queste sante famiglie. E perché non sono frequenti queste consolazioni? Perché tutti i genitori non prendono così a cuore la religione de’ loro figliuoli? Ma vi sono pure di que’ spensierati genitori, i quali o non se ne curano punto, o ne lasciano il pensiero ad altri. Se parliamo delle persone agiate, altri considerano i loro figliuoli come un imbarazzo, e per tenerseli lontani, affidano la loro educazione a persone straniere, e credono poter sgravare la loro coscienza dell’obbligo di istruirli ed educarli nella santa Religione, coll’aggravarne quella o di una donzella priva di lumi per istruirli, di autorità per farsi rispettare e di talenti necessari per riuscire in una sì difficile impresa, o di un servitore mancante per lo più di educazione, e qualche volta anche di religione, capace di guastare l’indole la più felice con discorsi licenziosi, con cattivi esempi; con vili adulazioni, e intento solamente a fare il suo interesse anche col solleticare le passioni e fomentare i vizi del mal affidatogli figliuolo, o di un precettore mercenario, il. quale, purché provveda al suo bisogno, od è indifferente o non si interessa che debolmente della buona riuscita dello sgraziato discepolo. – Altri poi, non curando molto di formare il cuore dei loro figliuoli alla pietà ed alle virtù cristiane, pensano piuttosto ad ornare il loro spirito di quelle scienze profane, che sono inutili per lo più, e molte volte son anzi perniciose all’anima ed alla coscienza: pensano piuttosto ad istruirli minutamente in tutte quelle usanze ed urbanità ed artifici d’eleganza, onde si figura e si piace nel mondo; e chi, dice s. Bernardo, chi procaccia a’ suoi figliuoli onorevole grado nella milizia, chi rango distinto nella magistratura, chi grandi ricchezze e collocamento vantaggioso, e nessuno pensa ad assicurar, loro l’innocenza e la grazia di Dio: Alii militias, alii honores, alii divitias filiis provident, nemo filiis providet Deum. Che se parliamo della povera gente, v’han  tali, che, divenuti genitori prima di saperne i doveri, non possono istruire i loro figliuoli nella Religione che ignorano eglino stessi; e han tali, che, credendo quasi d’aver fatto abbastanza coll’averli generati, li lasciano vagare qua e là in abbandono a sè stessi appena quasi che possono reggersi in piedi e li lasciano marcire nella più crassa ignoranza; v’hanno persino tali, che invece di allevare i loro figliuoli nella Religione; li scandalizzano colla loro condotta; presentano loro l’esempio del vizio e loro insegnano ad offendere Dio prima quasi che lo conoscano. Ecco, o miei cari, la sorgente fatale della depravazione universale de’ costumi, ecco la funesta causa della rovina di tante famiglie e di intere popolazioni. – Ma benché i genitori educassero i loro figliuoli sino dai teneri anni nella Religione e nel santo timor di Dio; avrebbero fatto il più, non avrebbero però fatto ancora il tutto. È per lo più prosperata questa prima e principale loro sollecitudine, e non è sì facile che figliuoli educati per tempo religiosamente si vadano a perdere. Pure avviene che anche i figliuoli meglio allevati siano poi o sedotti od ingannati e divertano dalla buona strada, sulla quale camminavano co’ saggi loro genitori. Bisogna dunque richiamarveli subito; o genitori. Che hanno dunque questi a fare per richiamarveli? Anche in ciò hanno per loro maestri e modelli Maria e Giuseppe. Passati i giorni della festa, prosegue il santo Vangelo, allorquando Maria e Giuseppe se ne ritornavano alla volta di Nazaret, rimase in Gerusalemme Gesù, senza che essi se ne avvedessero: Consummatis diebus, cum redirent, remansit puer Jesus in Jerusalem, et non cognoverunt parentes ejus. Fecero il cammino di un giorno sempre pensando che Gesù fosse colla compagnia; ma arrivata la sera il ricercarono ansiosi tra i congiunti ed i conoscenti, e nessuno seppe darne loro notizia: Existimantes autem illum esse in comitatu, venerunt iter diei, et requirebant eum inter cognatos et notos. Quanto penetrasse il cuore d’entrambi un colpo sì doloroso, lo spieghi chi può misurare il loro amore verso Gesù. Qual dura veglia passarono in quella notte! quanti sospiri amari trassero dal fondo del loro cuore! Tanto non li contristarono i furori di Erode ed i pericoli dell’Egitto. Incominciò fin d’allora Maria a provare il dolore di quella spada che, come le aveva predetto il vecchio Simeone, doveva trapassarle l’anima. Al primo albeggiare del nuovo giorno ripigliarono il viaggio verso Gerusalemme: Et non invenientes, regressi sunt in Jerusalem requirentes eum. Giunti colà, non così premurosa la donna evangelica andò in traccia della perduta gemma per ogni angolo della casa, come solleciti Maria e Giuseppe girano la città in cerca del loro Gesù, ripetendo ad ognuno più col cuore che colle labbra le pietose parole della Sposa de’ cantici: Avete voi forse veduto l’oggetto dell’amor mio? Numquid quem diligit anima mea, vidistis? Dopo tre giorni finalmente venne loro fatto di ritrovarlo nel tempio che sedeva in mezzo ai dottori e li ascoltava, e li interrogava: Et factum est, post triduum invenerunt illum in templo, sedentem in medio doctorum, audientem illos et interrogantem eos. Maria e Giuseppe non aveano colpa alcuna per quello smarrimento di Gesù: Egli non erasi smarrito né per negligenza né per dimenticanza loro. Come potevano infatti dimenticare l’oggetto della loro compiacenza continua e di tutti i pensieri ed affetti loro? Gli avevano soltanto accondisceso che si scostasse talvolta da loro per ricreare or l’uno or l’altro coll’amabilissima sua presenza. Maria e Giuseppe non avevano a temer nulla di male del loro Gesù: avevano già indubitate prove della sapienza di cui era ripieno e della grazia di Dio che era con Lui: n’erano troppo recenti le testimonianze degli Angeli, de’ pastori, de’ Magi, di Anna. E difatti dove il trovano essi mai? Nel tempio. A che fare? Alla pubblica istruzione, ad ascoltare ed interrogare i dottori. E che dicono di lui questi dottori e chiunque lo ascolta? Restano tutti meravigliati, dice il santo Vangelo, della sapienza e delle risposte di lui: Stupebant autem omnes, qui cum audiebant, super prudentia et responsis ejus. Tutto ciò non ostante voi già udiste quanto fosse vivo il rammarico di Maria e di Giuseppe per averlo smarrito; quanto fosse grande la loro sollecitudine nel ricercarlo. – E voi, o padri e madri, che cosa fate per non perdere spiritualmente i vostri figliuoli, che si possono perdere e si perdono certamente? che cosa fate per ricercarli e recuperarli? Vi sono pure genitori così indolenti che vedono i loro figliuoli piegar tosto e sortire dalla giusta strada, e non porgerebbero loro la mano per rimetterli in sentiero, e non darebbero loro la voce che loro darebbe la carità di uno straniero gridando, O figliuol mio, voi fallate la strada. Sanno che quel figliuolo, anziché recarsi alla chiesa od alla scuola, si perde per le strade e per le piazze oziosamente, che si trova spesse volte con quel compagno di sospetta o dubbia condotta, e già il vedono odiare la fatica e la ritiratezza, amare soltanto la dissipazione, l’ozio, il divertimento, il vedono correre di gran passo a traviare miseramente: eppure soffrono il tutto e il lasciano vivere a capriccio per una soverchia indulgenza, per una barbara pietà. Sanno che quella figlia è sovvertita da quel giovane troppo frequente pella casa: che v’hanno fra loro incontri concertati anche fuori di casa; che fervido n’è il fermento, e già ne provano gli effetti nella svogliatezza della figlia, nella trascuranza di tutte le faccende domestiche, nell’allontanamento dalla Chiesa, dall’orazione e dai santi Sacramenti; e la vedono sotto gli occhi loro proprj pericolare; pure se ne tacciono, perché il partito sarebbe o conveniente o il solo per lei, ed arrischiano di vedere la loro figlia perdere malamente la sua innocenza e ripararla peggiormente con un infelice matrimonio. Che se i vostri figliuoli sono già traviati, qual è il vostro dolore, o padri e madri? quale la premura di richiamarli sulla buona strada? Se voi siete di quei genitori ch’ebbero cuore di educarli cristianamente, so bene che non v’ha spada che possa trapassarvi le viscere più crudelmente di questa; so che adoperate e le dolci maniere e le preghiere e le lagrime; so che interponete l’opera de’ parenti, degli amici, de’ conoscenti, le esortazioni e l’autorità delle persone probe e saggie; so che non cessate di mandare sospiri al cielo per riacquistare i perduti vostri figliuoli: e consolatevi pure, ché non saranno inutili le presenti vostre ricerche, e non avrete per l’addietro gettato invano nel loro cuore i semi della virtù, del santo timor di Dio, di una cristiana educazione. Ritornerà, sì, ritornerà la pecorella sviata a rientrare nell’ovile; verrà pentito il prodigo figliuolo a bagnare del più amaro pianto le ginocchia del suo genitore. Un rovescio, la morte di un amico lo colpirà; un’età più matura ammorzerà la passione, richiamerà la riflessione e rianimerà quel sentimento di religione che sino dagli anni teneri gli avete instillato. E se la disgrazia, se gli avvisi altrui non ve lo ridoneranno, se nol troverete tra’ parenti, tra’ conoscenti, il troverete nel tempio, e voglio dire che Dio non sarà insensibile alle orazioni vostre, ai vostri gemiti, alle vostre lagrime: queste vi renderanno lo sviato figliuolo, come già resero a santa Monica il suo Agostino: Non peribit filius istarum lacrymarum. – Ma sgraziati voi e veramente infelici, quando abbiate traviato, o figliuoli di que’ genitori che non ebbero mai a cuore la religione dei loro figliuoli. Chi mai vi richiamerà dalla strada dell’iniquità e della perdizione? I vostri genitori non muoveranno un passo per venirvi a ricercare: vi vedranno con occhio asciutto e tranquillo correre al precipizio. Non isperate ch’essi vi porgano la mano per ritirarvene; non isperate ch’essi vi diano un buon consiglio, un opportuno avvertimento. Se i vostri falli venissero a toccare il loro interesse, avreste bene ad aspettarvi i più pronti ed amari rimproveri; ma perché vanno a ferire solamente il Signore, siate certi del loro silenzio: quant’è da loro potete offendere pure Iddio, ch’essi ve lo lasciano offendere senza turbarvi. Oppure se alzano la voce per riprendervi, non sarà questa la voce di una amorevole, paziente, mansueta correzione, ma la voce di una furia che mena rumore per la casa e per tutto il vicinato; la voce di mille orride imprecazioni; una voce che vi provoca allo sdegno e vi inspira l’odio e la disperazione; una voce che vi getta fuori di strada del tutto, quando già non lo foste; e voi, o figliuolo, sarete obbligato a prendere i partiti più disperati per sottrarvi dalle importune invettive di un indiscreto genitore; e voi, o figliuola, anteporrete qualsivoglia scapestrato giovane piuttosto che patire di continuo i mali trattamenti di una madre furiosa. Oh snaturati genitori! Se l’Apostolo san Paolo dichiara che ha rinunziato alla fede; ed è peggiore di un infedele chi non ha cura de’ suoi, e massime di que’ di sua casa; che avrebbe letto di que’ genitori che, trascurando di allevare i loro figliuoli nella santa Religione, trascurano l’eterna loro salute? Che di que’ genitori, che li lasciano miseramente perire sotto i loro propri occhi? Che di que’ genitori, che sono o l’occasione o ben anco la barbara cagione della perdizione dei loro figliuoli? Che direbbe di que’ mostri che, fattisi nemici della croce di Gesù Cristo, prendono a sacrificare al demonio le anime redente col preziosissimo sangue di Gesù, e scelgono a sacrificare quelle de’ propri figliuoli, delle proprie figliuole? Immolaverunt filios suos et filias suas dæmoniis. Tolgami il cielo ch’io neppur sospetti esservi tra miei uditori alcuno di codesti mostri, e non per altro ho fatto menzione di costoro se non per accrescervi l’orrore in cui già li avete, e perché mandiate fervide preghiere al Signore per la conversione di questi traditori del proprio sangue, che pur troppo vi sono in questa città, e per la salute de’ traditi loro figliuoli. Ma sappiate, o padri e madri, che qualunque vostra trascuranza nell’educare i vostri figliuoli cristianamente, o più o meno partecipa di questa crudeltà. Tenetevi dunque sempre presente il bell’esempio della cura che Maria e Giuseppe si prendono del loro fanciullo Gesù, benché non ne avesse alcun bisogno; e ricevete l’avviso di san Paolo a vostra direzione: Educate, egli dice, i vostri figliuoli nella disciplina del Signore; ma educateli di buon’ora; insegnate loro per tempo i misteri della Religione e le regole del vivere cristiano; maneggiate questi cuori finché sono di cera; coltivate queste pianticelle finché sono tenere ed arrendevoli, e coltivatele pel celeste Padrone. Che se incominciano a piegar malamente e a torcere dalla retta strada, raddrizzateli subito, arrestateli sui primi passi, non tardate a correggerli, ma non per costume, non per mal umore, non per trasporto di collera, sebbene sempre con ragione; con moderazione, e convincendoli dolcemente de loro falli: educateli insomma, e correggeteli nel Signore: Educate illos in disciplina et correptione Domini.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
S. Luc II:22
Tulérunt Jesum paréntes ejus in Jerúsalem, ut sísterent eum Dómino.

[I suoi parenti condussero Gesú a Gerusalemme per presentarlo al Signore.]

Secreta

Placatiónis hostiam offérimus tibi, Dómine, supplíciter ut, per intercessiónem Deíparæ Vírginis cum beáto Joseph, famílias nostras in pace et grátia tua fírmiter constítuas.

[Ti offriamo, o Signore, l’ostia di propiziazione, umilmente supplicandoti che, per intercessione della Vergine Madre di Dio e del beato Giuseppe, Tu mantenga nella pace e nella tua grazia le nostre famiglie.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Epiphania Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia, cum Unigénitus tuus in substántia nostræ mortalitátis appáruit, nova nos immortalitátis suæ luce reparávit. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché quando il tuo Unigénito apparve nella nostra natura mortale, ci riparò con la luce nuova della sua immortalità. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

S. Luc. II: 51
Descéndit Jesus cum eis, et venit Názareth, et erat súbditus illis.

[E Gesú se ne andò con loro, e tornò a Nazareth, ed era loro sottomesso.]

Postcommunio

Orémus.
Quos cœléstibus réficis sacraméntis, fac, Dómine Jesu, sanctæ Famíliæ tuæ exémpla júgiter imitári: ut in hora mortis nostræ, occurrénte gloriósa Vírgine Matre tua cum beáto Joseph; per te in ætérna tabernácula récipi mereámur:

[]O Signore Gesú, concedici che, ristorati dai tuoi Sacramenti, seguiamo sempre gli esempii della tua santa Famiglia, affinché nel momento della nostra morte meritiamo, con l’aiuto della gloriosa Vergine tua Madre e del beato Giuseppe, di essere accolti nei tuoi eterni tabernacoli.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA