LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (5)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (5)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni)

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. e Libr. SALESIANA

IX.

LA LANTERNA MAGICA

Giovinotto mio, che vai leggendo queste carte. Tu sei nuovo ancora nel cammino della vita; facile a lasciarti abbagliare dalle apparenze, credulo e fidente per semplicità di cuore, uso a vedere il mondo attraverso a certe lenti che tutto il coloriscono in vaga tinta di rose. Ma io, a costo anche di guastarti certi bei sogni d’oro, vo’ farti vedere il mondo qual è. Di’, gio0vinotto mio: ti piacerebbe egli trastullarti un pochino colla lanterna magica? … oh, oh! Vedo che ti rallegri e fai festa … Bene, senti: io ce ne ho una lanterna magica, che fa veder le cose proprio al naturale … vuoi farne la prova? – Volentieri, ma amerei sapere quanto si paga. — Oh niente, amico mio, nient’affatto. Purché mi riesca trastullarti alquanto, e metterti a parte dei frutti di quell’esperienza, che alla tua età non puoi avere, io mi terrò per abbastanza pagato. Su dunque! Qui si da spettacolo gratis et amore. Ecco la lanterna, avvicinati, metti l’occhio alla lente…. Che vedi? – Vedo … vedo …  una stanza quadra, spaziosa, con intorno degli scaffali pieni di carte, e nei quattro angoli, quattro scrittoi. A tre di essi vede seduti dei giovani … tre … quattro … sette. Per un poco scrivono in silenzio; poi uno si alza, getta via la penna, si caccia le mani nella zazzera e: – Maledetto mestiere! … Anche gli altri al suo esempio si levano, chi si stira, chi sbadiglia, chi s’accende un sigaro, chi canta, chi suona il tamburo colle dita sui vetri della finestra … Altri fanno a pallottole di carta … due si mettono a giocare … Ma chi sono costoro?- Un momento. Guarda ancora: che vedi? – Oh! In batter d’occhio tutti a posto. Tutti tranquilli, cogli occhi fissi sulla carta, che menano la penna … Ma che è stato? – Guarda a quella porta … – Ah ecco, sì, da quella porta vedo entrare un uomo … – Basta, hai visto abbastanza, or bada a me. Quei giovan i sono impiegati del Ministero; quell’uomo è il capufficio … Ah ridi, neh? … – Già gli è rispetto del superiore … C’è egli poi un gran male? Anch’io alla scuola, se il maestro volta l’occhio, o per poco s’allontana… – Male, male, figliol mio: tu servi all’occhio, ad oculorum servientes, come dice S. Paolo, servi all’umano rispetto. Se appena manca l’occhio dell’uomo, intralasci il dovere, permetti, mio buon giovane, che tel dica; tu se’ già mezzo schiavo della brutta bestia…. m’intendi?… Tienti dunque a mente un ricordo: col cessar la sorveglianza il dovere non cessa; e se l’occhio dell’uomo talvolta si chiude, sta sempre aperto quello di Dio. Hai capito?… Or bene, torna a guardare … Che vedi? – Una cappella … l’altare parato a festa … candele accese… da unorta laterale esce un vecchio mitrato in sacri paramenti… con gran corteggio … È il Papa, son Cardinali; li conosco alla veste rossa che portano … s’accostano, si schierano davanti all’altare, il Papa si segna, comincia la Messa … — Si, bravo, hai bene riconosciuto i personaggi… Ma ora guarda un poco più in là verso la balaustrata… — Oh quanti signori vestiti in nero! Che serietà! che barboni! Che picchiar di petti, che compunzione! Quando si dice devoto femmineo sesso! Quì son tutti uomini, e donne … neppur una! — Passi la riflessione; ma guarda ancora. – Ecco, il Papa si volta, ha la sacra pisside in mano, mostra l’Ostia Santa, poi va a loro, li comunica ….. – Basta, hai visto; or senti me. Quegli uomini tanto devoti, sono i graziati dal Papa: li ha richiamati dall’esilio, ha aperto le loro carceri, li ha ridonati alla patria e alla famiglia … Ora prendono la comunione dalle sue mani. Passeranno pochi giorni e gli grideranno la morte. – Scellerati, sacrileghi! Chi son costoro? – L’imparerai a suo tempo, fanciullo mio. Ora va avanti, torna a guardare: che vedi? – Una contrada di notte … e c’è un fanale, e alla pallida luce che manda, due figure sinistre, ravvolte in ampi mantelli … Ecco, s’abboccano, si stringono la mano di sotto i mantelli … Uno è un giovanotto pallido di primo pelo, l’altro un barbone con du’ occhi sinistri … ha qualcosa che luccica in mano: pare … no … sì, un pugnale. Lo porge al giovane, il giovane lo brandisce, lo bacia, l’alza al cielo, e squassando la chioma, si dilegua fra l’ombre….. Che vuol dire questo? – Torna a guardare, or ora lo saprai. – Oh, oh! Una sala dorata, un andito a colonne … Ma lì, dietro a una colonna c’è uno, un giovane rannicchiato … Che fa? – Fissalo bene in volto. Nol conosci? – Ah, si, proprio lui: quel giovane  che poco fa riceveva il pugnale da colui …  e di fatto nel pugno stretto luccica la lama … Oh me! Costui macchina un delitto di sangue … – Oh via, non ti spaventare. T’assicuro che sangue non ne vedrai. È un vile costui, che dall’umano rispetto lasciossi trascinare alle società segrete, ora per rispetto umano s’atteggia di Bruto… egli è bruto, sì, ma nel senso comune della parola … Su via! Torna, giovane mio, torna a guardare; vedrai un uomo di alta statura … – Si, sì; oh come è lungo, magro …Ha volto pallido, guardo severo … è vestito alla militare, circondato di militari e d’altri … pare un re … – E poi? – Attraversa il salone, entra in quell’andito delle colonne, proprio là dove s’apposta l’assassino … Oh disgraziato d’un re! … – N on temere, dico, non temere di nulla; torna a guardare. Ebbene? – Il re è passato, e colui fugge, pur stringendo il pugnale … – È rosso forse? – No; anzi e’ par più terso e luccicante di prima. – E non te l’aveva detto, che sangue non ne vedrai. Ah la mia lanterna magica! so ben io quel che c’è dentro!… Pure anche qualche scena di sangue potrei fartela vedere: Ma perché avrei a spaventarti, povero giovane? … – Che spaventarmi, ? non sono così di cuore io. Eppoi, se si tratta di farmi un uomo … lasciatemi vedere, lasciatemi vedere ancora! – E tu vedi ancora. Ebbene? – Un bosco … là sul verde spazzo, sotto quella fila di pioppi, accanto a quel canale, due … Uno è un giovinetto biondo, delicato, che mette appena le prime caluggini. È pare smarrito e come fuor di sé … l’altro un barbuto, con cert’aria beffarda … O me! Traggon le spade, di battono, si battono come demoni … tic tac, tic tac … Ahi! Povero giovinetto … vacilla, cade … l’erba è rossa del suo sangue…- Bata, bast: non guardar pià. La vista delle sue crudeli agonie ti darebbe al cuore troppo tristezza … Odi me, invece … Quel giovinetto è di buona famiglia, ben educato, ha padre, madre, sorelle che l’amano. Nata rissa in un caffè tra lui e quel vil barbuto con cui non avrebbe mai dovuto affiatarsi, fu sfidato a duello … Il giovine sapeva il dover suo, ma il rispetto umano lo costrinse ad accettare. Ora è là cadavere insanguinato, e sua madre a stracciarsi i capelli e urlare da forsennata …- Ma via, cacciamo questi trucipensieri:e a trar qualche frutto da quanto hai veduto fa tuo conto che sta dall’alto al basso, dai grandi ai piccoli, dai popoli ai re, così va il mondo. L’umano rispetto, la viltà sua figliuola, e sua madre la paura, comandano a bacchetta, comandano a tutti. – Ma a me no, a me no in eterno! – Bravo giovinotto! Questa sdegnosa protesta mi piace. Ma bada! L’umano rispetto è tal bestia, che torna facile bravarla lontana … Man mano poi che s’appressa, la ti mostra certi unghioni, che anche i forti talvolta ne hanno paura. Sai che mi fa sovvenire la tua nobile protesta? Mi fa sovvenire s. Pietro, il quale al Salvatore, che prediceva la viltà dei discepoli suoi: – t’abbandonino tutti (protestava), non io t’abbandonerò, pronto, se fia d’uopo, a dar vita per te. – E poco dopo le generose promesse, non solo fuggiva come gli altri, ma per rispetto d’una vile fantesca e di pochi soldatacci, rinnegava tre volte il Maestro. – Gli è perciò che mi permetterete, o cari giovani, di prolungare ancora un poco la mia conversazione con voi, foss’anche a costo di annoiarvi un tantino; e lasciata da parte la lanterna magica, che, a dir vero, mostra certe cose un po’ troppo al naturale, ripigli così alla buona il mio ragionare, sempre nell’intento di aggiungervi forza a combattere e vincere e calpestare co’ vostri piedi la mala bestia che è soggetto dei nostri discorsi.     

X.

CHE COS’È IL MONDO.

Si resiste, si contraddice alla ragione, ma non si resiste, non s’osa contraddire allo scherno. Put troppo è un fatto; è l’indole del secolo nostro che va a ritroso pur gridando: viva il progresso! – Dite all’uomo ragionevole che la coscienza non ha ad essere una schiava, che la fa schiava di chi la sacrifica all’umano rispetto; vi darà tutte le ragioni di questo mondo. Ma la ragione che v’ha data a parole, ve la torrà ai fatti, tostoché l’operare da uomo libero e indipendente l’esponga all’altrui scherno.  Lo scherno!… Ma chi è che vi schernisce? Se l’operar vostro è conforme a ragione, chi vi schernisce non può essere che irragionevole. E irragionevole, sapete che vuol dire? Vuol dire, o bestia o pazzo. E voi averne paura? e voi rispettate le bestie ed i pazzi? E alle bestie e ai pazzi sacrificar la coscienza? … andate là che siete un bell’uomo! uomo di carta … anzi no: bisogna dire di peggio; bisogna dire, uomo di fango. E cosa davvero che fa tremare, veder la virtù andarne timida a capo chino, e cerca gli angoli da nascondersi; e il vizio, il vizio invece avanzarsi a fronte levata e farsi largo e dire; son io; lasciatemi passare. Ma questa vittoria al vizio non bisogna lasciarla, no, non bisogna lasciarla; o almeno, se ha da averla, non deve averla né allegra né intera. – ci bravano e ci burlano perché facciamo il bene, perché obbediamo a Dio, perché la nostra coscienza non la vendiamo a nessuno. Ebbene, noi a più forte ragione, burliamoci di loro. E chi son essi da averne paura? son le teste vuote, sono i cuori corrotti, sono i deboli, i vigliacchi, che ci deridono, perché non vogliamo farci vigliacchi al par loro. Non avendo dalla loro la forza morale, e sola rispettabile, della ragione e della virtù, vorrebbero almeno aver quella materiale del numero, e ci tendono la mano, c’invitano, ci allettano in più guise; poi, quando vedono che non vogliamo andare alle buone, tentano atterrirci, spaventarci alle brusche, a furia di risate e di scherni. E noi?… –  No, disgraziati; questa vittoria non l’avrete. Dileggiateci, scherniteci, a vostra posta … i vostri scherni ci fanno pietà. – Così è, cari giovani e così dev’essere. Io non dico (intendiamoci chiaro) non dico, che l’uomo abbia ad essere insensibile agli scherni dei tristi, ma dice che questi scherni, s’egli è uomo davvero, devono destargli in cuore, non paura, ma una santaindignazione: dico, che quand’uno nel fare il bene, si sente tentato di vergogna, deve subito pensare: chi è che mi condanna? – Suol dirsi, il mondo. A proposito di questa esagerazione dei  paurosi, mi ricordo aver udito n giorno un certo bell’umor di predicatore (era un buon frate francescano) il quale la discorreva, press’a poco, in questa forma: – Voi mi parlate del mondo: il mondo osserva, il mondo critica, il mondo ride. Io invece vi parlerò un poco, se il permettete, della vostra paura; e vi dirò innanzi tutto che la paura ha questo di proprio, che esagera in ogni cosa, fa d’un granello un monte, d’un moscerino un liofante. Volete vederlo ai fatti? Il mondo è un pianeta di 6886 miglia di diametro, sulla cui seperfice vivono mille e più milioni di creature simili a voi, distribuite e sparse tra certi gran paesi detti appunto le parti del mondo; e sono, tutti sanno, l’Asia, l’Africa, l’America, l’Oceania e l’Europa. – Ciò posto vediamo un poco, uditori miei, a che si riduce nel caso nostro codesto mondo, che colle sue risa vi fa tanto paura. L’Asia comprende 753 milioni di abitanti, che non solo non vi deridono, ma non sanno nulla né di voi, né di me, neppure se esistiamo. Dunque da codesto vostro mondo incominceremo a tor via la parte più estesa, che appunto è l’Asia. Passiamo in Africa ora. L’Africa conta, presso a poco, un 192 milioni d’abitanti, e questi di voi o di me ne sanno quanto que’ primi. Leviam dunque via anche l’Africa. Saltiamo in America. È un salto un po’ lungo, neh! Ché tra essa e noi c’è un mare, un mare! … che ci volle tutto l’ardimento e il genio di Colombo a valicarlo pel primo. Oh pensate dunque, se così da lontano gli abitanti di quel paese che si calcolano ad 84 milioni, vogliono darsi pena de’ fatti nostri! e togliam via dunque anche l’America. L’Oceania, un formicaio d’isole perdute là in fondo dell’Oceano Australe, non arriva a due milioni, che si danno tanto pensiero di voi, come voi ne date di loro. Dunque scartiamo anche l’Oceania. Che ci resta ancora del mondo? Ci resta l’Europa, che materialmente è la parte più piccola e comprende 300 milioni di abitanti. – Ecco pertanto il mondo, questo gran pianeta terraqueo, che v’incuteva tanta paura, ridotto ad una piccolissima parte, alla più piccola delle cinque. È dunque l’Europa che vi da fastidio? … E via, parliamo un poco dell’Europa. Fratelli, l’Europa ci guarda! Ci gridavano pochi anni fa gli arruffapopolo: ma il fatto è che l’Europa non ci guardava un cavolo, e chi ha senno se la rideva sottecchi, e diceva: Smargiassate!… Or bene, gli smargiassi sareste voi, se vi deste ad intendere che l’Europa tutta s’interessi de’ fatti vostri. A che lo ridurrete dunque questo mondo benedetto? All’Italia? Ma la è ancor tanto grande l’Italia!… Oh via finiamola! siate di buona fede, non vi lasciate corbellare da monna paura, e… confessatelo: tutto il mondo si riduce per voi alla vostra piccola città, al vostro povero villaggio. E anche nella città vostra o nel vostro villaggio, quali e quanti sono gli schernitori che vi dan noia? Continueremo a procedere per esclusione, che è il vero metodo per ridurre le cose al lor giusto valore, e troncar ali a quella pazza della fantasia. Nel vostro villaggio, o città che sia, dovrete confessare innanzi tutto che la maggior parte non vi conoscono o non si curano di voi. Tra quelli poi che han la fortuna di conoscervi quanti saranno? cinquanta? Cento persone ? incominciate a levar via le donne, i fanciulli; e i vecchi. Il bambino è innocente, la donna è pia per natura; e il vecchio. .. Il vecchio la voglia di ridere l’ha perduta, e se rise un tempo; ora che è a quattro dita dal sepolcro, vorrebbe non aver riso. Ma. quanti sono. Dunque cotesti vostri schernitori?… Un otto, un dieci persone?… Ah ecco dunque il mondo ridotto ad otto o dieci persone. E che persone! Giovinastri, capi scarichi, gente data all’ozio, ai vizi… Oh vedete dunque, uditori miei belli, se non avevo ragione di dirvi, che la paura vi mette le traveggole, che la fantasia vi fa gabbo, che l’umano rispetto è uno spauracchio da bambini!… E tirava giù, tirava giù, che era un piacere a sentirlo. Ma io ve la tronco per far presto, e mi contento d’aggiungere una piccola riflessione. Un poeta antico dice del vero savio che: quand’anche tutto il mondo n’andasse in pezzi, e gli rovinasse sulle spalle ei punto ne piglierebbe paura: si fructus illabatur orbis, impavidum ferient ruinæ; or noi, coll’aiuto diquel buon frate, abbiamo analizzato, diviso, frantumato il mondo, e abbiam visto che di tutte le sue rovine e i suoi frantumi non potrà toccarci tutt’al più che qualche sassolino, anzi pochi granelli di sabbia. O sarem savi noi ad aver paura di sì poca cosa ?…

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (6)

VIVA CRISTO-RE (7)

CRISTO-RE (7)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO VIII

COSA SIGNIFICA LA NASCITA DI CRISTO PER IL MONDO?

IL MONDO? – Com’era il mondo prima della venuta di Cristo? L’umanità era in pellegrinaggio sulla terra come i discepoli di Emmaus: come loro, essa camminava stanca e disillusa, senza speranza. Le persone non sapevano per cosa stavano vivendo, non sapevano la cosa più importante: qual è il significato della vita. Un’idolatria sfrenata, un’oscurità spaventosa avvolgeva il popolo. Chi di noi è stato educato alla Religione cristiana fin dall’infanzia non può concepire che i saggi si inchinassero ad una statua di bronzo o ad un idolo di marmo; che i popoli civilizzati adorassero un gatto, una cicogna, un toro o una mucca; che i Romani venerassero gli imperatori. Che stupefacente accumulo di errori! L’umanità, con le proprie forze, non poteva conoscere la via, non poteva conoscere il vero Dio. Dio stesso sarebbe dovuto venire a farsi conoscere da loro. Gli uomini più eccelsi sentivano che mancava qualcosa. Grandi filosofi – Aristotele, Platone – e poeti – Sofocle, Orazio, Virgilio – a volte hanno gridato dal profondo della loro miseria: Vorrei che qualcuno venisse a portarci la salvezza! Il mondo attendeva la venuta di Cristo. La seguente frase è spesso attribuita a Platone: « Non so da dove vengo; non so cosa sono; non so dove vado; tu, Essere sconosciuto, abbi pietà di me ». Lo stesso vale oggi per i popoli che non conoscono Cristo. Al massimo, invocano qualcuno sconosciuto, Colui che è l’origine e la causa di tutto ciò che esiste. Perché l’uomo ha nostalgia di Dio, ha nostalgia di un Salvatore. Isaia lo aveva già predetto secoli prima della venuta di Cristo: « Perché a noi è nato un bambino, a noi è stato dato un figlio”. Egli porterà sulle sue spalle il governo e il suo nome sarà chiamato Meraviglioso, Consigliere, Dio, il Potente, il Padre dell’età futura, il Principe della Pace. La sua sovranità sarà grande e ci sarà una pace senza fine per il trono di Davide e per il suo regno; lo stabilirà e lo sosterrà con diritto e giustizia, da ora e per sempre ». (Is IX: 5-6). Che cosa è diventato il mondo grazie a Cristo? Non spiegheremo ora cosa la scienza, la cultura e le arti umane debbano a Cristo. Solo per quanto riguarda l’arte ci vorrebbero volumi e volumi, un’intera biblioteca, per riassumere l’influenza del Cristianesimo sulla pittura, sulla scultura, sull’architettura, sulla musica. Quello che voglio sottolineare è la grande altezza morale a cui Cristo ha elevato l’uomo. Grazie a Cristo, la vita morale dell’umanità è stata elevata dalle sue fondamenta. Possiamo difficilmente immaginare la corruzione morale con cui gli uomini vivevano prima di Cristo. È vero che non tutto era negativo, che certe virtù venivano coltivate…. Ma che differenza con l’avvento del Cristianesimo. Anche alcune virtù erano poco conosciute o apprezzate prima della venuta di Cristo. Anche alcune virtù erano poco conosciute o apprezzate prima dell’arrivo di Cristo; ad esempio, la purezza, la verginità, la vita familiare: – si pensi a quanto era diffuso il divorzio nell’Impero romano: le donne divorziavano per potersi sposare e si sposavano per poter divorziare; l’apprezzamento della donna – in gran parte dovuto al culto della Vergine Maria; la dignità dei poveri – prima gli schiavi non valevano nulla; il senso della sofferenza – prima regnava una cieca e fatalistica disperazione nelle disgrazie; la stima per il lavoro – prima il lavoro manuale era considerato una punizione. … ecc. Le basi più solide della società civile – le virtù, l’onore, l’integrità morale, il compimento del dovere – non erano promosse dallo Stato, che si limitava a punire i crimini. È soprattutto il Cristianesimo ad averlo fatto. Per questo il Cristianesimo è una delle più grandi forze della civiltà. Per il Cristianesimo l’anima di chiunque – di un bambino povero, di un disabile, di uno zingaro… – vale più di tutto il mondo materiale. E quali meravigliose conseguenze ha questo! Il lavoratore e il datore di lavoro non devono odiarsi a vicenda, perché siamo tutti fratelli e sorelle; né le nazioni devono odiarsi a vicenda. Non esistono persone di minor valore: tutti, compresi i malati, i disabili, i poveri, gli ignoranti… hanno la stessa dignità. Tutto questo significa per il mondo la nascita di Cristo. Egli dà una risposta a tutte le domande ed i problemi che affliggono l’uomo: il senso della vita, la sofferenza, la morte, il problema della felicità, il suo desiderio di vita eterna… Tutta la grandezza spirituale che abbiamo visto negli ultimi duemila anni scaturisce da questa fonte. Cristo si è fatto uno di noi, ha preso la nostra natura, per renderci figli di Dio. Cosa sarebbe il mondo senza Cristo? – Ma è possibile che ci sia ancora chi si considera nemico di Cristo? Sì, purtroppo ci sono. Ma cosa sarebbe l’umanità senza di Lui? Cosa succede al mondo quando si allontana da Cristo? Guardate la vita familiare oggi che la società si è secolarizzata: litigi, divorzi, aborti, contraccezione, resistenza ai piani di Dio. Il bambino non è considerato una “benedizione”, ma una maledizione, un ostacolo . – Volete sapere cosa ne sarà dell’umanità senza Cristo? Guardate il numero di omicidi, suicidi, rapine, rapimenti… che vengono commessi quando non viviamo in Cristo. Che immoralità! Pornografia, tratta delle schiave bianche, balli osceni, ecc. Oroscopi, superstizioni, presagi, spiritismo! – Guardate com’è la gioventù quando manca Dio: droga, violenza, delinquenza, bande, sesso, suicidi. È il mondo senza Cristo! Ma non dobbiamo parlare del mondo che ci circonda, parliamo di noi stessi. Quanto siamo felici quando abbiamo Cristo, quando Egli abita in noi, e quanto siamo infelici quando siamo separati da Cristo dal peccato! Un giorno gli Apostoli pescarono tutta la notte e non presero nulla…. Non presero nulla, perché il Signore non era con loro (cfr. Lc V, 5). È lo stesso per voi. Quando non siete con Cristo, i vostri sforzi sono inutili, non funzionano. Quante volte cadete in tentazione e vi allontanate da Cristo! vi giustificate dicendo che “lo fanno tutti…”. E dopo aver assaporato il piacere proibito, provate disgusto e noia. Guardate la tristezza che riempie la vostra anima! – MAvete rubato: mantenete la calma? Avete calpestato l’onore degli altri: siete tranquilli? Siete caduto nell’impurità: siete tranquillo? Se vi allontanate da Dio, come potete resistere quando la disgrazia si abbatte su di voi? Quando si perdono i genitori, quando si perde la persona più amata, quando ci si sente soli… come si può vivere se Cristo non è con noi? Quando siete sedotti dal peccato, dalla tentazione…, come potete perseverare nel fare il bene se Cristo non è al vostro fianco? Rallegriamoci che Cristo sia venuto nel mondo. Rallegriamoci che Gesù Cristo voglia abitare nella mia anima. Non serve a nulla che Gesù Cristo sia nato a Betlemme, se non abita nella vostra anima. – Il famoso scrittore italiano PAPINI è stato per molti anni un anarchico, un ateo, un convinto oppositore del Cattolicesimo. Un giorno incontrò Cristo e si convertì. Poco dopo si ritirò per quindici mesi e lì, in solitudine, scrisse il suo bellissimo libro La storia di Cristo. La parte del libro in cui descrive la terribile immoralità della vita attuale è impressionante. L’autore lo sapeva bene. Odio ovunque, furto, egoismo, immoralità, violenza! E alla fine del suo libro, questo ex anarchico, questo ex ateo, rivolge a Gesù Cristo una preghiera che potremmo riassumere così: Signore, se Tu fossi un Dio giusto, non ci ascolteresti, per tutto il male che noi uomini abbiamo commesso contro di Te. Quanti Giuda ti hanno tradito e venduto nel corso della storia … milioni di volte! Quanti uomini hanno gridato come i Farisei per duemila anni: Non vogliamo Cristo! Quante volte, per denaro, per una posizione che volevano raggiungere, ti hanno flagellato fino allo spargimento di sangue! Quante volte ti abbiamo crocifisso con i nostri desideri, con i nostri pensieri, con le nostre azioni! Quante, ma quante volte, o Dio misericordioso! Abbiamo bandito Cristo dalla nostra vita perché era troppo puro per noi, gli abbiamo voltato le spalle perché era troppo santo per noi! Lo abbiamo crocifisso, lo abbiamo condannato, perché la sua giustizia condannava la nostra vita peccaminosa! E ora? Ora, quando abbiamo già raggiunto un tale stato di corruzione, ci rendiamo conto di quanto ci manchi. Desideriamo la verità e la rettitudine. Cristo, il nostro unico male è questo: che ti abbiamo abbandonato. Abbiamo tanto bisogno di te! Abbiamo fame e sete di felicità. Siamo malati nell’anima. Siamo disorientati, non sappiamo quale sia la strada. Non sappiamo dove sia la verità. Viviamo senza pace, in una guerra perpetua. Signore, tu sei il nostro Pane. Tu sei l’acqua che sgorga per la vita eterna. Tu sei la via. Tu sei la Vita. Tu sei la nostra pace. Come ti cerca la nostra anima! Vieni, Signore, Gesù! Vieni, Cristo, Re del mondo!

VIVA CRISTO-RE (8)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “PATERNÆ”

Anche in Brasile la Chiesa attraversava momenti di grandi difficoltà sociali, economiche, dottrinali. Ecco perché il Sommo Pontefice dava imbeccate ai Vescovi perché ponessero alla base della loro opera pastorale, una formazione dottrinale e spirituale quanto più perfetta possibile al novello clero in formazione, distaccandolo dal mondo laico e dal suo modo di pensare ed agire non sempre consono alle attività di un vero e degno rappresentante di Cristo. Utilissime raccomandazioni che non sempre sono state seguite per preparare buoni Sacerdoti, non solo in Brasile, ma in tutti i Paesi un tempo cattolici, che proprio per questo, non sono più cattolici, ma immorali e corrotti da costumi pagani di fede masso-modernista antievangelica postconciliare, oggi tronfiamente autoproclamati apolidi globalisti. Tuttavia, non temiamo, Dio sembra dormire, ma ad tratto si sveglierà e come un forte stordito dal vino sbaragliera’ le forse del male adunate per abbattere il Cristianesimo e la sua vera unica Chiesa.

Leone XIII
Paternæ providæque

Lettera Enciclica

La formazione del clero nei seminari del Brasile

18 settembre 1899

Ci rallegriamo vivamente, venerabili fratelli, che sia stato conseguito, soprattutto per il vostro zelo, un non piccolo frutto della Nostra paterna e provvida sollecitudine verso la vostra gente. Aderendo infatti alla Nostra lettera che abbiamo scritto il 2 luglio 1894, con il vostro zelo e la vostra fatica, avete fatto in modo che la pietà venisse risvegliata nel popolo, e l’antica disciplina rivivesse negli uomini rivestiti dell’Ordine sacro. E conosciamo bene quanto lavoro avete compiuto per difendere l’incolumità e i diritti dei membri delle Congregazioni religiose, che sono sopravvissuti dalle antiche famiglie di questa regione, e per riportarli all’antico splendore della loro istituzione. A questi si sono associati in modo validissimo altri fratelli dall’Europa: non hanno ritardato il loro nobile impeto né la lunghezza del viaggio, né l’inclemenza del cielo, né i dissimili costumi. Si aggiungono le numerose Congregazioni istituite più di recente, fatte venire dal vostro concorde zelo, sia per istituire o guidare le case per adolescenti, sia per procedere alle sacre missioni, sia per compiere altre cose nel servizio sacerdotale, per le quali questo clero impari di numero non avrebbe potuto essere sufficiente. Non ultima causa di conforto infine, la offrono i Seminari, che presso di voi sono aumentati di numero o sono stati restituiti alla condizione migliore. – Questi fausti inizi, e i progressi fin qui registrati, fanno crescere la speranza che in poco tempo potrà verificarsi che le sacre gerarchie accresciute da Noi, assicurino a propria volta incrementi di giorno in giorno maggiori. Questo sembrano bene augurarlo sia la vostra provata operosità e riconosciuta diligenza, venerabili fratelli, sia anche il popolo brasiliano, per indole e consuetudine inclinato alla pietà. – Ci sono tuttavia alcune cose talmente necessarie per il progredire della realtà cattolica, che non è sufficiente essersi occupati di loro una volta sola; vogliono essere più spesso ricordate e raccomandate, A queste appartiene in modo particolare la cura che deve essere riservata ai seminari, con la situazione dei quali si collega al massimo grado il successo della Chiesa. Nella disciplina che vi si deve instaurare, preme soprattutto, cosa che alcuni presuli hanno già felicemente eseguito, che gli alunni che hanno la speranza di consegnarsi a Dio mediante gli Ordini sacri, risiedano in dimore separate, ciascuna con distinte regole e leggi, e queste loro case ricevano il nome di seminari; le altre, quelle per educare gli adolescenti ai servizi civili, siano denominate convitti e collegi. Dalla quotidiana esperienza infatti, risulta che i seminari misti sono meno adeguati al proposito e alla cautela della Chiesa; e che quella coabitazione con i laici è la causa per cui il più delle volte i chierici si allontanino dal santo proposito. È conveniente che questi, fin dai primi anni, si abituino al giogo del Signore, si dedichino quanto più possibile alla pietà, siano al servizio delle sacre funzioni, si conformino all’esempio della Vita Sacerdotale. Debbono essere quindi tenuti per tempo lontani dai pericoli, separati dalle cose profane, educati secondo le utilissime leggi proposte da san Carlo Borromeo, come vediamo che si fa nei principali seminari d’Europa. – La medesima ragione di evitare i pericoli, invita a provvedere per gli alunni un soggiorno in campagna durante le vacanze, e a non lasciare che ciascuno ritorni ad arbitrio presso la propria famiglia. Molti esempi di perversità attendono infatti gli incauti, soprattutto in quelle case coloniche, dove le famiglie degli operai vivono ammassate; proprio per questo succede che, cedendo alle giovanili cupidigie, o siano distolti da quanto hanno iniziato, o in quanto futuri Sacerdoti siano di scandalo per il popolo. Raccomandiamo qui vivamente questa cosa, che è già stata sperimentata felicemente da alcuni Vescovi, e ne siamo promotori presso di voi, venerabili fratelli, affinché, una volta resa comune questa legge, possiate in seguito meglio provvedere alla custodia del clero adolescente. – E non è meno auspicabile, cosa che già altra volta abbiamo dichiarato, che con impegno e in modo prudente, si presti grande attenzione allo scrivere e divulgare i giornali cattolici. Difficilmente infatti, questo è il nostro tempo, il popolo attinge le opinioni e modella i propri costumi, da altro luogo che da queste quotidiane letture. Dispiace che talvolta siano lasciate in disuso da parte dei buoni queste armi che, usate dalle mani degli empi con scaltrissimo allettamento, preparano una fine miseranda alla fede e ai costumi. Bisogna quindi affilare lo stilo e incitare alla scrittura, affinché la vanità lasci il posto alla verità e le menti ricolme di pregiudizi obbediscano a poco a poco alla voce della ragione e della giustizia. – Confina con questa utilità quell’altra che consegue dall’accesso dei Cattolici alle cose dello stato e dalla loro assunzione nell’assemblea legislativa. Infatti, si può essere utili ad ogni ottima causa con la voce non meno che con lo scritto, con l’influenza e con l’autorità non meno che con la scrittura. Non sembra poi inopportuno che talvolta possano essere accolti in queste assemblee uomini dell’Ordine sacro; che anzi, anche con questi aiuti, quali sentinelle della Religione, si possono ottimamente salvaguardare i diritti della Chiesa. Bisogna però guardarsi moltissimo dal fatto che in tutto questo non ci sia un tale accanimento, da sembrare di essere spinti più da una miserevole ambizione o da un cieco zelo partigiano, che dallo zelo del bene cattolico. Cosa c’è infatti di più indegno che il lottare fra Ministri sacri, al punto che dalla cura delle cose dello stato, questi introducano nella società la realtà più dannosa, la sedizione e la discordia? Che cosa invero, se scivolando nei progetti dei peggiori, ci si oppone continuamente all’autorità costituita? Tutte queste cose sono di straordinaria offesa per il popolo, e suscitano una straordinaria invidia nel Clero. Il diritto di voto deve essere usato con moderazione; si deve evitare ogni sospetto di ambizione; le funzioni statali debbono essere assunte con prudenza; non ci si deve mai allontanare dall’obbedienza alla suprema Autorità. – Ci è sembrato di nuovo opportuno, venerabili fratelli, esortare a quelle azioni, con le quali in modo adeguato si possa provvedere presso di voi al bene della realtà cristiana. E voglia il cielo che le forze non siano impari alla vostra egregia volontà, e che non sia di impedimento alla messa in pratica degli ottimi progetti la scarsità di denaro. E infatti, come per l’innanzi, non sono più garantite dal pubblico erario le spese per voi, o per le collegiate dei canonici, o per i seminari, o per le parrocchie, o per la costruzione delle chiese. Resta quasi una sola cosa, alla quale ci si possa appoggiare, la volontà popolare di compiere elargizioni. In questo almeno, fornisce una eccellente speranza la consuetudine del popolo brasiliano, per la nobiltà del suo spirito, dispostissima alle elargizioni, soprattutto nelle cose che riguardano il rendere un buon servizio alla Chiesa. E Noi abbiamo illustrato nella Nostra lettera sopra ricordata questo loro merito, quando abbiamo detto, riguardo alla dote da costituire per le nuove Diocesi che sono del tutto prive di beni, che Noi non avevamo nulla da anticipare; che Noi avevamo sufficiente fiducia nella pietà e nella religiosità del popolo brasiliano, e che questo non avrebbe negato l’aiuto ai suoi Vescovi. E volentieri vorremmo presentare come esempio la prodiga liberalità, con la quale i figli dell’America settentrionale gareggiano nell’andare incontro ai loro Vescovi, in numero molto più grande, e ai collegi cattolici, alle scuole, e agli altri pii istituti, se la vostra nazione non abbondasse di bellissimi esempi del proprio paese. Non bisogna poi dimenticare quante ragguardevoli chiese ebbero cura di costruire i vostri antenati, a quanti monasteri fornirono una dote, quante grandiose memorie di cristiana pietà e beneficenza lasciarono a voi. – Ci sono poi a disposizione parecchi modi per soccorrere alle necessità della Chiesa. Fra questi, riteniamo che sia molto utile costituire in ogni Diocesi una cassa comune, nella quale i fedeli conferiscano una offerta annuale, che deve essere raccolta da uomini e donne prescelti fra le persone più illustri, agli ordini e sotto la guida dei parroci. Conviene poi che le prime opere di costoro siano nell’elargizione; cosa che eseguiranno ottimamente se, da redditi sicuri, dei quali, spesso ricchissimi, essi stessi usufruiscono, cederanno qualcosa, e oltre agli incerti proventi si impongano di dispensare una qualche quantità di denaro, a guisa di tributo, Di non minore aiuto possono essere ai Vescovi che sono in difficoltà per mancanza di mezzi, quei monasteri e quelle pie confraternite provviste di beni maggiori. Ma si sarà provveduto al pubblico bene in modo ancora più felice, se quella somma non esigua di denaro che si suole utilizzare per gli spettacoli profani da parte di alcune delle suddette confraternite, verrà destinata alla cassa diocesana. Se alcuni, infine, ricchi di beni di fortuna più di altri, vogliono seguire il lodevole costume degli antichi, e disporre per testamento il compimento di un atto di beneficenza a favore delle pie confraternite o di altre associazioni, li esortiamo con forza, affinché si ricordino di lasciare una qualche somma di denaro ai Vescovi, con la quale questi, così confortati, possano salvaguardare sia le cose della Chiesa che la propria dignità. – Abbiamo portato avanti la vostra causa, venerabili fratelli, Noi stessi, che l’ingiuria dei tempi ha costretto a richiedere con grande insistenza l’obolo di Pietro. Del resto, per prima cosa vi conforti il pensiero della fiducia che deve essere riposta in Dio, “poiché egli ha cura di noi” (1 Pt V, 7); e ricordatevi delle parole dell’apostolo: “Colui che somministra il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, somministrerà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia” (2 Cor IX,10), Il Clero e il popolo, per reggere i quali lo Spirito Santo ha posto voi come Vescovi, abbiano davanti agli occhi quella primitiva generosità del credenti, di quella moltitudine “che aveva un cuor solo e un’anima sola” (At IV, 32); i quali erano solleciti della santa società della Chiesa molto più che della propria prosperità, e vendendo “portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli” (At IV, 34-35), Ricordino le parole di Paolo, con le quali alla fine ci rivolgiamo loro: “Vi preghiamo poi, fratelli, di avere riguardo per quelli che faticano fra di voi, che vi sono preposti nel Signore e vi ammoniscono; trattateli con ogni rispetto e carità a motivo del loro lavoro” (1 Ts V,12-13). – Frattanto a voi, venerabili fratelli, al clero e al vostro popolo, impartiamo con grande amore nel Signore la benedizione apostolica, auspice dei doni celesti e testimone della nostra benevolenza.

Roma, presso San Pietro, 18 settembre 1899, anno XXII del Nostro pontificato.

DOMENICA III DOPO L’EPIFANIA (2023)

DOMENICA III DOPO L’EPIFANIA (2023)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Le Domeniche III, IV, V, e VI dopo l’Epifania hanno il medesimo Introito, Graduale, Offertorio e Communio, che ci manifestano che Gesù è Dio, che opera prodigi, e che bisogna adorarlo. La Chiesa continua, infatti, in questo tempo dopo l’Epifania, a dichiarare la divinità di Cristo e quindi la sua regalità su tutti gli uomini. E il Re dei Giudei, è il Re dei Gentili. Così la Chiesa sceglie in San Matteo un Vangelo nel quale Gesù opera un doppio miracolo per provare agli uni e agli altri d’essere veramente il Figlio di Dio. – Il primo miracolo è per un lebbroso, il secondo per un centurione. Il lebbroso appartiene al popolo di Dio, e deve sottostare alla legge di Mosè. Il centurione, invece, non è della razza d’Israele, a testimonianza del Salvatore. Una parola di Gesù purifica il lebbroso, e la sua guarigione sarà constatata ufficialmente dal Sacerdote, perché sia loro testimonianza della divinità di Gesù (Vang.). Quanto al centurione, questi attesta con le sue parole umili e confidenti che la Chiesa mette ogni giorno sulle nostre labbra alla Messa, che Cristo è Dio. Lo dichiara anche con la sua argomentazione tratta dalla carica che egli ricopre: Gesù non ha che da dare un ordine, perché la malattia gli obbedisca. E la sua fede ottiene il grande miracolo che implora. Tutti i popoli prenderanno dunque parte al banchetto celeste nel quale la divinità sarà il cibo delle loro anime. E come nella sala di un festino tutto è luce e calore, le pene dell’inferno, castigo a quelli che avranno negato la divinità di Cristo, sono figurate con il freddo e la notte che regnano al di fuori, da queste « tenebre esteriori » che sono in contrasto con lo splendore della sala delle nozze. Alla fine del discorso sulla montagna « che riempi gli uomini d’ammirazione » S. Matteo pone i due miracoli dei quali ci parla il Vangelo. Essi stanno dunque a confermare che veramente « dalla bocca di un Dio viene questa dottrina che aveva già suscitato l’ammirazione » nella Sinagoga di Nazaret (Com.). –Facciamo atti di fede nella divinità di Gesù, e, per entrare nel suo regno, accumuliamo, con la nostra carità, sul capo di quelli che ci odiano dei carboni di fuoco (Ep.), cioè sentimenti di confusione che loro verranno dalla nostra magnanimità, che non daranno ad essi riposo finché non avranno espiato i loro torti. Così realizzeremo in noi il mistero dell’Epifania che è il mistero della regalità di Gesù su tutti gli uomini. Uniti dalla fede in Cristo, devono quindi tutti amarsi come fratelli. « La grazia della fede in Gesù opera la carità » dice S. Agostino (2° Notturno).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XCVI: 7-8
Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda]


Ps XCVI: 1
Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ.

Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti.]

Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, infirmitatem nostram propítius réspice: atque, ad protegéndum nos, déxteram tuæ majestátis exténde.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, volgi pietoso lo sguardo alla nostra debolezza, e a nostra protezione stendi il braccio della tua potenza].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.
Rom XII: 16-21
Fratres: Nolíte esse prudéntes apud vosmetípsos: nulli malum pro malo reddéntes: providéntes bona non tantum coram Deo, sed étiam coram ómnibus homínibus. Si fíeri potest, quod ex vobis est, cum ómnibus homínibus pacem habéntes: Non vosmetípsos defendéntes, caríssimi, sed date locum iræ. Scriptum est enim: Mihi vindícta: ego retríbuam, dicit Dóminus. Sed si esuríerit inimícus tuus, ciba illum: si sitit, potum da illi: hoc enim fáciens, carbónes ignis cóngeres super caput ejus. Noli vinci a malo, sed vince in bono malum.

“Fratelli: Non vogliate essere sapienti ai vostri propri occhi: non rendete a nessuno male per male. Procurate di fare il bene non solo dinanzi a Dio, ma anche dinanzi a tutti gli uomini. Se è possibile, per quanto dipende da voi, siate in pace con tutti gli uomini. Non fatevi giustizia da voi stessi, o carissimi, ma rimettetevi all’ira divina, poiché sta scritto: A me la vendetta; ripagherò io », dice il Signore. Anzi, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; perché, così facendo, radunerai sul suo capo carboni ardenti. Non lasciarti vincere dal male; al contrario vinci il male con il bene”. (Romani XII, 16-21).

 P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. (Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

LA VITTORIA DEL BENE SUL MALE.

Questa volta bisogna proprio che ve la legga questa lettera o porzione di lettera di S. Paolo ai Romani, ve la leggo e niente altro. È troppo delicato l’argomento che tratta, è troppo importante lo sviluppo che gli dà. Del resto, purtroppo la sentite così di rado la parola di San Paolo, il grande predicatore della verità. Continua l’Apostolo a dare ai romani i consigli morali più tipicamente cristiani; li chiamo consigli, pensando al tono che è d’esortazione, ma si tratta di precetti belli e buoni. L’Apostolo insiste sul tasto delicato e forte della carità cristianamente intesa, così diversa e superiore alla filantropia. « Non fate del male a nessuno, e fate del bene a tutti gli uomini » frase molto chiara e dove l’accento cade su quel nessuno e quel tutti. Cristiani battezzati di fresco, Cristiani troppo freschi per essere Cristiani profondi, potevano credere che la carità nella sua doppia espressione di non fare del male e di fare del bene, potesse e dovesse restringersi nell’ambito dei fedeli. Per gli infedeli, pei pagani doveva essere, poteva essere un altro conto, un altro affare. Ebbene, no. S. Paolo dissipa l’equivoco. Male un Cristiano non deve fare a nessuno, neanche al più scomunicato dei pagani, e bene a tutti. Ma se non dovendo fare e non facendo del male a nessuno il buon Cristiano non può mettersi in contrasto con nessuno, purtroppo possono gli altri mettersi in contrasto con lui, rompendo quello stato pacifico nel quale sfocia logicamente la carità. L’Apostolo lo sa e perciò soggiunge: « se è possibile e per quanto dipende da voi. Siate in pace con tutti ». Soggiunge così per continuare il filo logico del suo discorso ai Cristiani in caso di confitti che altri (non essi) abbiano suscitato, turbando il pacifico equilibrio della carità. In questo caso il dovere del Cristiano, offeso, oltraggiato, danneggiato è di non farsi giustizia da sé: « non vi vendicate, dice il testo, e continua: rimettetevi alla giustizia di Dio, giusta la frase del V. T.: È mia la giustizia, penserò io a farla ». Dove tocchiamo un’altra volta con mano il mirabile equilibrio del Cristianesimo contrario alla vendetta, ma pieno d’ardore per la giustizia, anzi tanto più dalla vendetta abborrente quanto più alla giustizia devoto. Ogni vendetta individuale rischia di essere un’ingiustizia, perché si fa giudice chi è parte in causa. La giustizia, questa idealità obbiettiva, cristiana per sua natura, non può essere soggettivizzata; o ci si rinuncia, o la si affida a Dio. – Affidato a Dio l’esercizio eventuale, eventualmente necessario, della giustizia, il buon Cristiano anche nel caso di ingiuria sofferta deve riprendere verso il suo offensore l’esercizio della carità. La quale nella fattispecie esercitata verso un nemico, verso chi l’ha demeritata diventa perdono. « Ci penso io alla giustizia, a mettere a posto il malvagio », dice il Signore, e allora a noi non resta che continuare per il solco radioso della carità. E perciò: « se — riprende la parola l’Apostolo Paolo — il tuo nemico (colui che ha voluto essere tale per te) viene ad avere fame, tu, da buon fratello, perché non sei, non puoi, non devi essere altro, tu dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere. Lo richiamerai così, collo spettacolo vivo, edificante della tua bontà indomita ed indomabile, a coscienza più chiara e cosciente della sua malvagità ». – E qui senza tradire il concetto dell’Apostolo, Paolo ha dovuto modificare un po’ le sue parole. Ma il concetto come è bello e profondo! Quando uno ti picchia, tu, secondo la morale del mondo, dovresti, devi picchiarlo: al gesto violento e brutale rispondere con un altro gesto egualmente brutale e violento, scendere anche tu su quel terreno bestiale e brutale, dove si è collocato lui. Dare a lui un cattivo esempio, come egli lo ha dato a te. Il Cristianesimo ragiona ben altrimenti. A chi si brutalizza, bisogna dare esempio di umanità; il Cristiano rimanga al suo posto, alto e nobile, e potrà condurvi l’avversario. E così avrà una vittoria non di Pietro su Cesare, dell’uomo sull’uomo, del più forte e violento sul più debole, no; si avrà la vittoria, una vittoria del bene sul male, del bene che lo ferma sul male che vorrebbe continuare le sue gesta. La Vittoria del bene sul male, il segno e il programma del Cristianesimo che Paolo riafferma a conclusione del suo discorso: « non ti far vincere dal male, ma vincilo tu il male e vincilo col bene, la sola arma efficace all’uomo, « noli vinci a malo, sed vince in bono malum ».

Graduale

Ps CI: 16-17
Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam.

[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: tutti i re della terra la tua gloria.]

V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua

[V. Poiché il Signore ha edificato Sion: e si è mostrato nella sua potenza. Allelúia, allelúia.]

Alleluja

Allelúja, allelúja.
Ps XCVI: 1
Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ. Allelúja.

[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt VIII: 1-13
In illo témpore: Cum descendísset Jesus de monte, secútæ sunt eum turbæ multæ: et ecce, leprósus véniens adorábat eum, dicens: Dómine, si vis, potes me mundáre. Et exténdens Jesus manum, tétigit eum, dicens: Volo. Mundáre. Et conféstim mundáta est lepra ejus. Et ait illi Jesus: Vide, némini díxeris: sed vade, osténde te sacerdóti, et offer munus, quod præcépit Móyses, in testimónium illis.
Cum autem introísset Caphárnaum, accéssit ad eum centúrio, rogans eum et dicens: Dómine, puer meus jacet in domo paralýticus, et male torquetur. Et ait illi Jesus: Ego véniam, et curábo eum. Et respóndens centúrio, ait: Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur puer meus. Nam et ego homo sum sub potestáte constitútus, habens sub me mílites, et dico huic: Vade, et vadit; et alii: Veni, et venit; et servo meo: Fac hoc, et facit. Audiens autem Jesus, mirátus est, et sequéntibus se dixit: Amen, dico vobis, non inveni tantam fidem in Israël. Dico autem vobis, quod multi ab Oriénte et Occidénte vénient, et recúmbent cum Abraham et Isaac et Jacob in regno coelórum: fílii autem regni ejiciéntur in ténebras exterióres: ibi erit fletus et stridor déntium. Et dixit Jesus centurióni: Vade et, sicut credidísti, fiat tibi. Et sanátus est puer in illa hora.

[“In quel tempo, sceso che fu Gesù dal monte, lo seguirono molte turbe. Quand’ecco un lebbroso accostatosegli lo adorava, dicendo: Signore, se vuoi, puoi mondarmi. E Gesù, stesa la mano, lo toccò, dicendo: Lo voglio; sii mondato. E fu subito fu mondato dalla sua lebbra. E Gesù gli disse: Guardati di dirlo a nessuno; ma va a mostrarti al sacerdote, e offerisci il dono prescritto da Mose in testimonianza per essi. Ed entrato che fu in Capharnaum, andò a trovarlo un centurione, raccomandandosegli, e dicendo: Signore, il mio servo giace in letto malato di paralisi nella mia casa, ed è malamente tormentato. E Gesù gli disse: Io verrò, e lo guarirò. Ma il centurione rispondendo, disse: Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; ma di’ solamente una parola, e il mio servo sarà guarito. Imperocché io sono un uomo subordinato ad altri, e ho sotto di me dei soldati: e dico ad uno: Va ed egli va; e all’altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servitore: Fa la tal cosa, ed ei la fa. Gesù, udite queste parole, ne restò ammirato, e disse a coloro che lo seguivano : In verità, in verità vi dico, che non ho trovato fede sì grande in Israele. E Io vi dico, che molti verranno dall’oriente e dall’occidente, e sederanno con Abramo, e Isacco, e Giacobbe nel regno de’ cieli: ma i figliuoli del regno saranno gettati nelle tenebre esteriori: ivi sarà pianto e stridore di denti. Allora Gesù disse al centurione: Va, e ti sia fatto conforme hai creduto. E nello stesso momento il servo fu guarito”.]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

CONFIDENZA IN DIO

A sua cugina che si lagnava d’essere oppressa da tribolazioni d’ogni specie, Santa Teresa del Bambino Gesù rispondeva: « Bisogna aver confidenza in Gesù. Ricordati che è la mancanza di fiducia ciò che maggiormente ferisce il suo Cuore divino ». La santa non poteva trovare risposta migliore. Anche dal Vangelo di oggi risulta che quando più grande è la fiducia in Gesù, tanto più misericordioso è il suo soccorso. Scendeva con le turbe dal monte ed ecco una voce lo ferma. « Signore, se vuoi, puoi mondarmi? ». Era la voce di un povero lebbroso che fidente invocava salute. E Gesù, stendendo la sua mano, lo toccò dicendo: « Voglio ». E subito fu mondato. Alle porte di Cafarnao, un’altra voce lo trattiene. « Signore! il mio giovane servo giace in casa paralitico e muore di spasimo ». E Gesù a lui: « Verrò io e lo guarirò ». Il Centurione, confuso di tanta bontà: « Non son degno che Tu entri in casa mia; basta che tu dica una parola sola ed il mio servo è guarito. Quando io, che pure ubbidisco agli altri, dico ad un soldato: «Va », egli va; ad un altro: « Vieni», egli viene; e al mio servo: « Fa questo », egli lo eseguisce. Non sarai dunque ubbidito Tu, o Signore, a cui tutte le cose sono sottoposte come eserciti disciplinati? A queste espressioni così piene di fiducia, uscite dalla bocca di un uomo che non era giudeo, Gesù si sentì commosso, e rivolto a quelli che gli venivano dietro, esclamò: « In verità, non ho mai trovato nessuno in Israele che m’abbia parlato così. » Questi due miracoli sono stati compiuti da Gesù appena disceso dalla montagna dove aveva dettato al mondo la sua legge d’amore; dove aveva rivelato agli uomini che nel Cielo c’è un Padre che sempre ascolta i figli che lo amano e hanno fiducia in Lui. Sono dunque la riprova pratica di quanto aveva insegnato. Perciò il vero Cristiano è l’uomo che ha posto la sua fiducia in Dio. Egli ripete volentieri: « Mio Dio, tu sai tutto, tu puoi tutto, tu mi ami ». Con questo pensiero abbandona alla Provvidenza come un figlio nelle braccia dei genitori, sia nell’ora delle pene spirituali, sia nell’ora delle pene materiali. – 1. NELLE PENE SPIRITUALI. Sorella Chiara, nella solitudine raccolta del convento di Assisi, passava giornate di cielo. Il giorno in cui S. Francesco le aveva reciso le chiome, con un rito austero, è stato anche l’inizio di una nuova famiglia di anime: dopo di lei altre fanciulle avevano abbandonato la casa per cercare nel chiostro purissima gioia che il mondo non sapeva dare. Ma venne l’ora della prova ed il pericolo fu così grave che se Iddio non l’avesse aiutata sarebbe stato impossibile ogni scampo. I Saraceni avevano invaso le terre di Assisi e in odio al nome di Cristo avevano già posto l’assedio alle mura della città. Il monastero sorgeva proprio vicino alle mura: che sarebbe mai stato di quelle vergini, se vi fossero penetrati gli infedeli? Un giorno quelle bande selvagge tentarono un formidabile assalto. Non si udivano che le rauche minacce di rapina e di morte. – Santa Chiara giaceva inferma e non poteva muoversi, ma sentiva quelle voci di guerra ed il pianto delle sue suore atterrite. Offrì a Dio la vita per la città, pregò, fiduciosa, poi si fece portare sulle mura. Là, sotto gli occhi dei nemici assedianti, raccolse le sue povere forze, si inginocchiò e fece questa preghiera: « Ne tradas bestiis animas confidentes Tibi: non abbandonare, o Signore, alle belve le anime che confidano in Te » (Ps., LXXIII, 19). – Allora fu udita una voce distinta, misteriosa, che disse: « Io vi custodirò, sempre! ». All’istante i Saraceni, presi da indicibile spavento, si diedero a fuga precipitosa e quelli che erano già su le mura caddero a terra accecati (Brev. Rom. 12 agosto). La preghiera confidente era penetrata vittoriosa nei cieli. La nostra anima, quando vi regna la grazia, è la città di Dio; il cuore del giusto è il tempio magnifico in cui il Signore trova le sue delizie, è il mistico chiostro da cui salgono ardenti preghiere, come profumo di incenso. Ma vengono anche per noi le ore della prova, quando Dio permette che satana ci assalga con tutte le forze. Sono le ore della tentazione, quando un desiderio perverso vorrebbe trasportarci a luoghi, a persone, a divertimenti pericolosi. Son le ore dello scoraggiamento, quando le realtà della fede ci appaiono vuote, lontane, fredde, chimeriche mentre le gioie del mondo ci appaiono concrete, vicine, inebrianti. Sono le ore dei dubbi e dei timori, quando i rimorsi e le irrequietudini per la vita passata e forse presente ci avvolgono di nebbia, ci fanno disperare del perdono di Dio e della possibilità di redimerci e di salvarci. In ognuna di queste ore c’è bisogno di una gran confidenza che allarghi il cuore e lo trasporti in alto all’amplesso di Dio. Bisogna dire col lebbroso e col buon Centurione: « Signore, se vuoi puoi mondarmi; basta che Tu dica anche una sola parola ». – 2. NELLE PENE MATERIALI. S. Giovanni de’ Matha aveva consacrata la vita all’opera della redenzione dei neri. Una volta si era imbarcato a Tunisi con 120 schiavi riscattati dalla obbrobriosa servitù dei Maomettani. Ma questi infedeli, che si vedevano rapite le prede, vollero vendicarsi, tentando di farlo morire. Levarono il timone della nave, lacerarono tutte le vele perché avesse a sommergersi in mezzo alle onde. Sicuro dell’aiuto di Dio, Giovanni non si perdette affatto di coraggio. Pregò il Signore che volesse farsi guida del suo vascello e poi, distesi e legati insieme i mantelli dei compagni in forma di vela, col crocifisso tra le mani continuò a pregare e a cantar salmi per tutto il viaggio. La navigazione fu felice e la nave, in pochi giorni, arrivò in Italia, al porto di Ostia. Nonostante la rettitudine delle nostre intenzioni, sebbene in tutto ci conformiamo alla legge di Dio, molte volte anche noi, come a Giovanni le cose, guardando umanamente, vanno proprio male. Sarà forse la malattia che ci logora le più belle energie e ci fa incapaci di compiere il nostro dovere, infrange i progetti più lusinghieri dell’avvenire. Sarà la morte di qualche persona cara, del padre, della madre, di un figliolo, che ci priva del necessario conforto, della guida fidata per la nostra esperienza, dell’affetto più intimo del nostro cuore, lasciandoci la vita nuda e dolorosa. Saranno gli affari che sembrano rovinare e condurci, se non nella indigenza, in uno stato però per nulla prosperoso. Talvolta potrà essere un inganno da parte della persona che stimavamo la più onesta e sincera del mondo. Quando proprio non ce lo aspettavamo ci ha voltato la faccia, ha parlato di noi e ci ha calunniato, ci ha fatto tanto male. Ma perché, vien da dire, perché queste cose devono capitare a noi, che dopo tutto siamo buoni Cristiani e non facciamo del male a nessuno? In ognuna di queste circostanze; c’è bisogno di una grande fiducia che allarghi il cuore e lo trasporti in alto all’amplesso di Dio. Chi ha questa fiducia non si lascia turbare da nulla; sta in piedi in mezzo a tutte le rovine; domina tutti gli elementi avversi perché è appoggiato a Dio. Non si scandalizza della tribolazione, poiché se fu necessario che Cristo soffrisse per entrare nella sua gloria, trova conveniente che debba essere così anche per il Cristiano. E poi S. Paolo non assicura forse che Dio fa riuscir tutto in bene per coloro che lo amano? – Questo pensiero c’invita a porre tutta la confidenza nel Signore, ma nel medesimo tempo c’invita a far del nostro meglio, per aiutarci da soli il più che possiamo. Ha fatto così anche l’Apostolo degli Schiavi. Mentre pregava; raccoglieva i mantelli dei compagni, li univa, li distendeva così a supplire alle vele. Aiutati — dice il proverbio — che il Ciel t’aiuta. – « Siamo in un secolo d’invenzioni: adesso non val più la pena di salire i gradini di una scala; nelle case dei ricchi un ascensore le supplisce con gran vantaggio. Vorrei trovare un ascensore che mi sollevasse fino a Gesù! L’ascensore che deve sollevarmi al cielo sono le vostre braccia, o Gesù! » (Storia di un’Anima, cap. IX). Cristiani, se con sofferenze spirituali o dolori materiali le braccia e le mani di Gesù ci venissero a percuotere, ricordiamoci che esse possono diventare per noi un ascensore. Esse ci portano al cielo: basta che noi ci lasciamo trasportare colla stessa confidenza di un bambino quando è sulle braccia di suo padre. — CONFESSARSI E COMUNICARSI. Ecco qui simboleggiati due sacramenti: nella guarigione del lebbroso, la confessione che ci monda dalla lebbra del peccato: nelle parole del centurione, l’Eucaristia che guarisce da ogni paralisi spirituale e ci dà la forza a correre sulla via dei comandamenti del Signore. Quando, nei secoli del Medio evo, la nostra patria fu spartita a brani, ed ogni brano aveva un principe, ed ogni principe con grande apparato di vessilli, di cavalli, di armi, di trombe usciva in guerra per conquistare altri regni ed altri uomini, ci fu chi amò lanciare in mezzo al folto della mischia uno stendardo magnifico con queste parole: « Qui v’è il cuore e la mano ». Iddio pure, movendo alla conquista delle nostre anime coi due sacramenti della Confessione e della Comunione, può dire: « qui v’è il mio cuore e la mia mano ». Solo l’amore di Dio poteva perdonarci i peccati. Solo l’onnipotenza di Dio poteva darci in cibo la sua carne e in bevanda il suo sangue. – 1. L’AMORE MISERICORDIOSO DI DIO NELLA CONFESSIONE. Cesare Augusto venne a sapere che Lucio Cinna, cavaliere romano, congiurava nell’ombra contro di lui. Fremette e già meditava lo sterminio del cospiratore e della sua famiglia, quando mutò consiglio. Fece chiamare il colpevole, che s’illudeva nella segretezza della sua trama, lo condusse nella sala più recondita del palazzo imperiale, e tutto solo con lui, così gli parlò. « Lucio! non hai nulla da dirmi? ». « Nulla. ». « Allora ti dirò io qualche cosa. Quando con le mie armi occupavo l’impero, tu e la tua famiglia mi eravate nemici, vi siete nascostamente opposti; io sapevo e non vi ho puniti. Quando tutto il mondo mi proclamò imperatore, tu mi hai chiesto un posto onorevole nella repubblica: altri me lo domandavano, e più degni, eppure a te, non a loro io lo concessi. Non è vero? ». « Verissimo », rispose il cavaliere. « È per questo, allora, che tu congiuri, che tu mi vuoi uccidere? ». « Falso! falso! » urlò Cinna. « Lucio! taci che so tutto. So la notte in cui hai convocato i traditori, so il luogo, so i nomi, so le parole che dicesti. So che nella tua casa sono nascoste le armi per uccidermi;… negalo, se puoi ».  Lucio Cinna tremava come una foglia di pioppo. Dopo una pausa, Cesare ripigliò cupamente: Se ti facessi pugnalare col tuo pugnale stesso e ti gettassi nella cloaca massima sarebbe troppo poco. Se con la tua moglie e i tuoi figli ti chiudessi in carcere, senza luce né respiro, se ti lasciassi morire a goccia a goccia sarebbe ancora troppo poco, troppo poco sempre. Or ecco invece che a te, mio nemico nel passato e mio traditore nel presente, lascio la vita, lascio la famiglia, i beni, la libertà, il grado. E non mi basta; ti faccio quello che non hai sognato di essere mai: console ». – Lucio vinto dalla bontà di Augusto ruppe in pianto chiedendo perdono. La dolcezza d’Augusto è poca cosa in confronto a quella del Signore nel sacramento della penitenza. Non ci rinfaccia i nostri peccati; non una volta sola, ma sempre ci perdona e ci ama di nuovo. Ci ridà la grazia santificante, si fa nostro amico, nostro padre, e ci prepara, dopo la morte, un trono di gloria in Paradiso. Quanto amore! Al lebbroso guarito Gesù aveva imposto di offrire al tempio il dono prescritto da Mosè: due passeri. Il sacerdote giudaico, ricevendoli, ne uccideva uno e col sangue appena sgorgato aspergeva l’altro, che solo così veniva lasciato in libertà. Il passero che vien ucciso per la salute dell’altro è un simbolo di Gesù Cristo che muore per il peccatore. Nella confessione siamo lavati dal sangue sgorgato dal cuore di Gesù, e questo sangue ci monda dal peccato e ci libera dalla schiavitù del demonio. – 2. L’AMORE ONNIPOTENTE DI DIO NELLA COMUNIONE. Nostro Signore apparve a S. Paola Maria di Gesù, carmelitana scalza, e le disse così: « Fra tutte le mie opere, la più grande, la più potente, la più rara, è l’invenzione del santissimo Sacramento ». Infatti: se Dio fu potente quando trasse dal nulla le cose e con le sue mani plasmò l’uomo, più potente è quando converte tutta la sostanza del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo. – Se fu buono quando nell’Incarnazione nascose lo splendore della sua divinità nel velame della carne umana, più misericordioso ancora è nell’Eucaristia ove nasconde la maestà divina e l’affabilità umana nell’apparenza di un po’ di pane bianco. Se fu sapiente Dio quando mise nella vite la forza che trasforma gli umori della terra in rosso vino, più sapiente è certamente quando diede al Sacerdote la potestà di consacrare il vino nel suo sangue, ripetendo la miracolosa parola della consacrazione. Dio nell’Antico Testamento, quando faceva piovere fuoco, quando divideva le acque del mar Rosso, quando dettava la sua legge dal Sinai, soleva mostrare la sua potenza nella grandezza e nella forza. Nel Nuovo Testamento, istituendo l’Eucaristia, preferì mostrare la sua potenza nell’umiltà e nella debolezza. Ha preferito ridurre la sua vita al minimo perché noi potessimo avere la nostra vita al massimo. E da Dio forte si è fatto debole nell’Eucaristia perché noi che siamo deboli divenissimo forti. – Dice, infatti, S. Giovanni Grisostomo che quando ritorniamo dalla Sacra Mensa, siamo come leoni spiranti fiamme, terribili allo stesso demonio. Ut leones flammam spirantes; terribiles effecti diabolo. E Dio si è fatto pane, perché noi mangiando di questo pane diventassimo come Dio. – « Eritis sicut dii » aveva promesso il demonio quando offrì ad Eva il frutto proibito: se ne accorse ben presto, l’incauta, quanto bugiarda fosse una tale promessa, e quanto funesta. Eppure, Gesù Cristo, Redentore nostro, ha voluto renderla vera con un altro frutto: la S. Comunione. Chi la riceve vivrà della vita divina: « Vivet propter me ». – Geremia udì questo lamento del Signore: « Stupite, o cieli, stupite, o Angeli! E fuggiam via inorriditi dalle porte degli uomini. Due mali ha fatto il popolo: abbandonò la fontana dell’acqua viva e si scavò delle cisterne, delle cisterne avvelenate e rotte che non sanno contenere neppure una stilla d’acqua buona ». Dereliquerunt fontem acquæ vivæ et foderunt sibi cisternas, cisternas dissipatas quæ continere non valent acquas (Geremia, II, 13). Fontana non d’acqua viva, ma di preziosissimo sangue sono i due sacramenti della Confessione e della Comunione: ci furono dati solo a prezzo della vita di un Dio. Ma noi li abbiamo abbandonati, o tutt’al più ci accostiamo assai di rado; ma noi ci siamo scavati nel peccato la nostra cisterna avvelenata che par che ci disseta mentre invece ci cuoce dentro col rimorso e ci cuocerà poi per sempre nell’inferno. Figlio mio — ci ripete Gesù con voce lamentosa — perché m’hai tu fatto due mali? Hai abbandonato la fontana dell’acqua viva e ti sei scavato la cisterna dell’acqua marcia » – – BISOGNA PREGARE CON FEDE E CON RASSEGNAZIONE. – Nella preghiera di questi due bisognosi, sentite quanta fede nella potenza di Gesù. Il lebbroso dice: Tu puoi guarirmi! ed il Centurione a sua volta: Basta che tu comandi e tutto andrà bene! Notate ancora quale rassegnazione alla volontà del Signore. L’ammalato di lebbra non domanda subito la grazia, ma dice: Se tuo vuoi, cioè sta a te il decidere della mia salute. Il comandante romano poi non chiede neppure che il suo servo guarisca, solo espone il suo triste caso, così come è: tocca poi a Gesù volere che il suo servo guarisca. Fede e rassegnazione sono le caratteristiche delle preghiere del Vangelo di oggi, fede e rassegnazione devono essere le doti delle nostre preghiere di ogni giorno. – 1. FEDE. Una santa giovinetta della quale fu scritta la vita davvero edificante, un giorno faceva alla mamma questa domanda: « Mi permetti che alla Messa preghi senza servirmi del libro? ». « Per qual ragione mi fai questa domanda? ». « Perché spesso quando leggo mi distraggo. Invece non sono mai distratta quando parlo col buon Gesù, sai, mamma, quando parlo con Lui è come quando si discorre con qualcuno; si sa bene quello che si dice ». – Questa figliuola aveva capito che vuol dire pregare con fede. Non sono necessari libri, non è necessaria tanta istruzione, tanta scienza, no. Ci sono delle povere persone ignoranti che non sanno forse neppure leggere e sanno pregare benissimo. Basta credere che il Signore sia una persona viva vera e presente e l’orazione diventa facile. « Cos’è la fede? », fu domandato un giorno al Curato d’Ars. « C’è la fede quando si parla a Dio come si farebbe con un uomo » rispose. Comprese bene questa verità quel buon contadino d’Ars che se ne stava tanto tempo inginocchiato in chiesa. « Cosa fate, cosa dite — gli domandò il Santo Curato — quali sono le vostre preghiere? », « Io guardo il mio Dio e Dio guarda me! ». Ecco, o Cristiani, che cosa vuol dire pregare con fede. Bisogna guardare Dio, bisogna parlare con Dio. – Affinché la nostra preghiera sia davvero uno sguardo e una parola rivolta a Dio con pienezza di fede, mi pare che pregando dobbiamo essere convinti di tre cose. a) Anzitutto che Dio è grande. Egli è infinitamente più grande di come lo possiamo immaginare con la nostra piccola testa. Egli è il Creatore di ogni cosa, colui che trasse dal nulla anche la nostra vita. – b) Poi, dobbiamo essere convinti che Dio è buono, ed ha promesso di donarci qualunque cosa gli chiederemo. Nessun padre ama e aiuta i suoi figli come il Padre Celeste. Una volta Dio adirato sta per lanciare lo sterminio contro il popolo d’Israele; Mosè prega: e Dio ritira la sua vendetta. Un’altra volta il popolo eletto, dopo una giornata di battaglia, è sorpreso dalla sera senza aver potuto dare il colpo decisivo; eppure era necessario che il nemico non avesse una notte in mezzo da potersi rifare. Allora Giosuè prega: ed ecco il sole arrestarsi sull’orizzonte e prolungare la giornata di qualche ora. I tre fanciulli innocenti, gettati nella fornace ardente, sono risparmiati perché hanno pregato; Daniele nella fossa dei leoni rimane incolume perché ha saputo innalzare la sua mente al Signore. – c) Infine, pregando ci dobbiamo unire a Gesù. Distaccati da Lui noi siamo peccatori, indegni d’ogni sguardo misericordioso da parte di Dio. Ma uniti a Lui, con la grazia e con l’amore, noi siamo suoi fratelli, figli di Dio, teneramente amati dal Padre Celeste. Uniti a Cristo, è Cristo che prega per noi ed offre al Padre le sue suppliche, i suoi meriti, il suo Sangue. A tanto imploratore potrà forse Dio ricusarsi? Son fatte così le nostre preghiere? Pensiamo queste verità mentre preghiamo? Se non è questa la nostra preghiera, non lamentiamoci di essere sempre distratti, di non provarci nessun gusto; non lamentiamoci soprattutto di non ottenere nulla. – 2. RASSEGNAZIONE. Quando con fede sentita domandiamo al Signore le grazie che riguardano il bene dell’anima, le nostre preghiere hanno infallibile effetto. Di questo noi dobbiamo essere sicuri: altrimenti non sarebbero vere le tante promesse che Gesù Cristo ci ha fatto di essere ascoltati quando chiediamo al Padre il Regno dei cieli. Invece non sempre otteniamo le grazie che riguardano il corpo perché esse non sempre giovano al nostro vero bene. Ed ecco la necessità della rassegnazione alla santa volontà di Dio, rassegnazione che diventa facile quando si vive di fede. Se, con la vivezza della nostra fede, crediamo che Dio è infinitamente sapiente, e conosce il passato, il presente ed il futuro, comprendiamo allora che soltanto il Signore sa quello che è utile per la nostra vita, per la salvezza della nostra anima. Dunque fidiamoci di Dio. – Si portò un giorno da S. Giovanni Elemosinario, Patriarca di Alessandria, un ricchissimo uomo che aveva un figliuolo gravemente malato. Gli recava una grossa somma di denaro da distribuire ai poveri perché con le loro orazioni gli ottenessero che suo figlio guarisse. Ma appena distribuito il denaro e fatte molte preghiere il fanciullo morì. Se ne lamentò il Santo amorosamente con Dio osservando che a questa maniera i fedeli non avrebbero stimolo a fare elemosine ai poveri e poi perderebbero la fede nelle loro preghiere. – Invece il Signore gli rivelò che quella morte era stata appunto l’effetto della elemosina del padre e delle preghiere di poveri. Se quel ragazzo fosse guarito, si sarebbero dannati tutt’e due: il padre a motivo della troppa avarizia per lasciar ricco il figliuolo; e questi perché avrebbe dissipato il patrimonio in stravizi e in disordini. Dunque chiediamo pure a Dio le grazie materiali; ma poi lasciamo fare a Dio, che ci vuol sempre bene. Se un Cristiano vive di fede, dal suo labbro non dovrebbero mai uscire i lamenti. « Perché — dicono alcuni — mi ha messo in tanta povertà? ». E se con tante ricchezze avessi perduto l’anima? Fidiamoci di Dio, che non sbaglia mai! – S. Bernardo, quando si recava in chiesa, era solito dire a se stesso, stando sulla porta: « Pensieri di mondo e di affari terreni, fermatevi qui e aspettate finché sarò uscito. Allora tornerò a riprendervi ». E dalla preghiera, dalla unione con Dio trasse la forza per compiere un bene immenso. Sono pochi gli uomini che come S. Bernardo hanno esercitato un così largo influsso. Sapete perché le nostre orazioni riescono male ed ottengono poco? Perché ci manca il raccoglimento. Sforziamoci davvero, quando preghiamo, di tenere la mente rivolta al Signore: facilmente allora ci sarà la fede nella grandezza e nella bontà di Dio; ci sarà la rassegnazione ai voleri di Dio e se Iddio è con noi di che cosa possiamo temere? Abituiamoci a parlare con Dio e la grazia più bella che noi otterremo sarà di migliorarci ogni giorno sul cammino del bene, verso il Paradiso.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXVII: 16;17
Déxtera Dómini fecit virtutem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini.

[La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha esaltato: non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.]

Secreta

Hæc hóstia, Dómine, quǽsumus, emúndet nostra delícta: et, ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet.

[Quest’ostia, o Signore, Te ne preghiamo, ci mondi dai nostri delitti e, santificando i corpi e le ànime dei tuoi servi, li disponga alla celebrazione del sacrificio.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigenito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis


Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Luc IV: 22
Mirabántur omnes de his, quæ procedébant de ore Dei.

[Si meravigliavano tutti delle parole che uscivano dalla bocca di Dio.]

 Postcommunio

Orémus.
Quos tantis, Dómine, largíris uti mystériis: quǽsumus; ut efféctibus nos eórum veráciter aptáre dignéris.

[O Signore, che ci concedi di partecipare a tanto mistero, dégnati, Te ne preghiamo, di renderci atti a riceverne realmente gli effetti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (236)

LO SCUDO DELLA FEDE (236)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (5)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

LA MESSA

PARTE I

LA PREPARAZIONE

CAPO III

Art. IV.

L’ OMELIA.

La spiegazione del Vangelo.

Eccoci adunque nella magione, che la Sapienza divina si ha edificata; ecco sull’altare imbandita la mensa, in cui il gran Padre nella frazione del pane si fa conoscere a’suoi figliuoli, col dare nella Chiesa celestial nutrimento. Ma come la madre con mistero d’amore trasmuta in latte il pane di che si ciba, e col latte versa il proprio sangue in cuore al suo bambino; così la Chiesa con tenerissimo cuore il pane della dottrina evangelica sminuzza e distempra in famigliare discorso per bocca de’ suoi Sacerdoti, per farlo cibo adattato alla semplicità dei pargoletti della sua grande famiglia. Nel meditare il Vangelo tutta la settimana, il Sacerdote, il buon parroco prese in seno a Gesù Cristo il sostanziale cibo dell’anima; apri la bocca nel desiderio dei precetti di Dio, e attrasse lo spirito suo (Ps. CXVIII): contemplò davvicino lo splendore del Verbo divino; e il Verbo riflesse sopra quell’anima monda la celestial sua luce. Come al cader d’un raggio di sole sopra un terso cristallo, rilucente e forbitissimo pare, che la luce si ridesti a quel tocco, si riaccenda e di nuovo splendore rimbalzi più viva, quasi lo specchio la vibri di un cotale suo colpo, e sicché si spanda rifratta su tutti gli oggetti d’intorno; così dall’anima del Sacerdote affiso in Dio la luce evangelica rimbalza sull’anime, che lo circondano, se più viva, almen più riflessa, più spezzata, e ad esse più umanamente adattata. Egli mise la bocca al costato di Gesù, bevve di quel Sangue, che gli palpita in cuore, ha sul labbro la parola di Gesù; sull’esempio del Figliuol di Dio; divinamente semplice è veramente il buon Pastore, che pascola le care agnelle. Col mezzo della sua parola ravviva tutto; e il giglio e l’albero del campo, la vite, il campicello, l’agnella, il gregge e tutta la natura sensibile, fa seco parlare. Onde collo splendore d’una celeste eloquenza fa da tutto riflettere chiarissime le più sublimi verità nella mente di tutti. Con una confidenza da padre penetra nel santuario dell’anime aperte con Dio; le abbraccia, le accarezza, le scuote, le informa mirabilmente varie, come l’industria della carità: tutto a tutti; sui fiori d’innocenza, che si schiudono appena, irrora stille di celeste rugiada: sui cuori piagati versa con unzione il balsamo che li ristora; coi commossi compunto, tenero con tutti, veramente per esso è il Verbo Divino, che si fa carne. – Osserviamo in prova che gli ingegni, che più onorano l’eloquenza, furono ispirati nell’altare dell’Evangelo: S. Giovanni Grisostomo, S. Basilio, san Leone, s. Gregorio, $. Agostino, Bourdaloue, Massillon, tutto calore, tutt’anima per la loro carità, crearono quella magia di stile, che veste con fantasia le idee più sottili, e scolpisce i pensieri colle espressioni le meglio appropriate per istruire, le più pittoresche per descrivere, robuste per esortare, patetiche per commuovere e consolare. Essi non sono mai così eloquenti, come quando si trovano, per dir così, fra le braccia di Gesù Cristo, divenuti padri divini, per versare col cuore Evangelo in cuore dei figli. Or via ci si dica: se Demostene in Atene, Cicerone in Roma avrebbero mai potuto immaginare, che tutte le feste, sul labbro del prete del villaggio, la carità del Redentore avrebbe ispirato una eloquenza troppo della loro più sublime, quanto dell’uomo è più grande Iddio? Deh! che direbbero questi sommi nell’ascoltare, come nelle chiesuole al povero popolo delle campagne, che da loro si teneva in conto d’armento, s’inculchino i precetti della carità divina; e come il rozzo villano e le sprezzate femminette del volgo si esortino ad essere come angioli in carne, per imitare il Padre loro, che è in cielo? Essi no, con tutte le ispirazioni del genio non furono mai tanto sublimi, quanto quest’uomo, che assorto in Dio non si cura delle frivole disuguaglianze di questo mondo di un’ora; e minaccia ai potenti l’eternale geenna, se ai più poveri non usano misericordia; e ai meschinelli del popolo, che non ne possono più della vita sempre in travagli, mostra la croce, e sopra il capo il paradiso aperto per chi la porta con Gesù Cristo. Quanto è commovente sentirlo ora stridere per ispavento per l’anima, che va a perdersi; e là descriverla come la pecorella, che, scappata tra le balze, e i precipizi, là per sentirla belare, e li per cadere in bocca il lupo: ed egli con lena affannata gridarle appresso: « o pecora cattiva… se ti piglio! » — E se la pigliate, o buon Pastore, che le vorrete fare? — Ed egli: « se la piglio la cattivella! L’abbraccio alla vita, me la metto sul collo! me la porto a casa!… e per castigo le medico le piaghe!… e per darle un ricordo da non fuggire più, le darò le manate d’erba più buona! » — Ah sì! qualche fanciulla amareggiata dall’inganno mette un sospiro e dice in cuore: la pecorella smarrita son io! Le vien voglia di lasciarsi al Pastore pigliare…. Oh Sì salva ancora! Talvolta grida tutto di fuoco quel padre: il mio figliuol disgraziato alzò la testa contro di me, indragato come un serpente! mi strappò via la sua porzione; e gittò ogni ben di Dio nella voragine de’ vizi! Va lo sciagurato di figlio coi mali compagni!… Ahi! è ridotto sul lastrico, la fame gli divora le viscere, disputa ai ciacchi immondi le ghiande, che van grufolando quei sozzi!… — Mi morrà disperato ! Eh! prodigo figlio, se mai ritorni!… — E se ritorna, o padre, che gli vorrete far voi? — Se ritorna!… l’abbraccio nel collo! me lo stringo al petto, me lo inondo di lagrime!…. per rimprovero lo copro di bacì!… per castigo lo vesto dell’abito mio più bello!…. e poi me lo porto al convito, e grido in casa: fate festa, è questo per la mia famiglia il più bel dì. In quel momento un peccatore piangente risolve di darla vinta alla misericordia di Dio, e di correre anch’esso a godersi di quell’accoglienze e carezze divine. Per lo più si sente sulla fine della spiegazione del Vangelo esclamare: « figliuolini miei, amatevi l’un l’altro per amore di Dio! » Deh! E chi mai rivelò a quest’umile figlio del popolo questi misteri dell’anime e dell’eloquenza?… Un solo Maestro: Gesù Cristo.

Laus tibi Christe.

Art. V.

FINE DELLA MESSA DEI CATECUMENI.

Letto l’Evangelo, era compiuta la Messa dei Catecumeni, i quali, come accennammo, a quel punto co’ penitenti ed ossessi dal luogo santo si allontanavano (Bossuet, Explic. De la Messe). Per ben intendere la qual cosa, fa d’uopo ricordare l’antica disciplina usata coi peccatori di quei tempi, le cui memorie sono così edificanti. – Uscita appena la Chiesa dalla persecuzione di Decio, trionfante anche dello scisma dei Novaziani, che, negandole la facoltà di rimettere i più gravi peccati, l’accusavano di rilassatezza, perché non lasciava i peccatori in disperazione; si stabili nelle chiese d’oriente un penitenziere particolare, incaricato di giudicare le coscienze per quei peccati che erano pubblici notoriamente, come fino allora aveva fatto il Vescovo solo, o col suo clero, secondo richiedevano le circostanze. Udiva egli le confessioni in privato; prescriveva le penitenze ed il modo di praticarle, se in pubblico od in secreto: e segnava il tempo dell’ammissione alla Comunione. Allora si divisero ì penitenti in quattro classi dette gradi o stazioni, nella 1° cioè dei Piangenti, nella 2° degli Uditori, nella 3° dei Prostrati, e nella 4° dei Consistenti.

I. I penitenti Piangenti dovevano restarsi alla porta della chiesa, nell’atrio, detto appunto il portico dei Penitenti, non essendo loro neppure concesso di assistere alla lezione, né ai sermoni. Colà prostrati, coperti di sacco e di cilizio, col capo sovente cosperso di cenere, colle mani giunte sul petto, in tanta umiliazione piangevano sopra le loro miserie, e abbracciavano le ginocchia di quelli che entravano, raccomandandosi di intercedere per loro presso al Signore ed al Vescovo, che lo rappresentava in terra.

II. Gli Uditori si fermavano vicino alla porta della chiesa, dove pure si lasciava che stessero presenti anche gl’infedeli. A tutti questi era permesso di assistere alle sante letture, alle esortazioni, che gli disponevano a conversione. Nelle chiese orientali, dopo il congedo degli infedeli, o di quei catecumeni, che erano uditori semplicemente, sì recitavano particolari orazioni per gli altri catecumeni, e pei penitenti, e per gli energumeni. Prima il diacono avvertiva di pregare tutti, fedeli e catecumeni. Congedati questi, esclamava: « pregate voi, o energumeni, e voi tormentati da spiriti immondi. » Poi, ricevuta anch’essi la benedizione, si licenziavano.

III. Quindi incominciavano le orazioni e le imposizioni delle mani pei Competenti, penitenti della terza classe, detti pure prostrati. Questi erano quelli a cui propriamente si dava il nome di penitenti, essendo le altre due classi stabilite per disporsi in esse, come per grado, alla vera penitenza; e si dicevano prostrati, appunto perché, come abbiam detto, ricevevano in ginocchio le imposizioni delle mani dal Vescovo nella chiesa, prima di essere congedati: e parimenti in ginocchio udivano l’orazione che per loro in particolare si recitava. Essi coi catecumeni e cogli energumeni avevano il loro posto in mezzo alle chiese fino al pulpito: e con essi dovevano uscire di chiesa, appena incominciata la Messa dei fedeli. Fin qui adunque erano ammessi coi catecumeni anche ì prostrati e gli energumeni; ma il maggior numero essendo dei catecumeni, da da questi, piuttosto che non dagli altri pochi, prendeva il nome la Messa, che fino a questo punto si dice Messa dei catecumeni.

IV. Ci resta di dire ancora dei penitenti del quarto grado, detti Consistenti, perché potevano consistere, cioè fermarsi a prender parte coi fedeli a tutte le orazioni della Chiesa. Assistevano essi al Sacrifizio divino; ma senza la consolazione di poter fare la loro offerta, né ricevere la santissima Comunione. In questa classe si collocavano frequentemente anche coloro, che non erano rei di colpa grave; ma con essi ponevansi per umiltà (Doelinger, Stor. Eccl.). Questi rigori di disciplina, queste distinzioni di classi sarebbe bene si conoscessero dai fedeli dei tempi nostri; ché così si potrebbe da loro comprendere la gravezza dell’oltraggio, fatta alla santità degli altari da chi, tra le dissipazioni e le irriverenze, coll’innalzare in trionfo di vanità un idolo di fango sino nel più interno del santuario, si porta il sacrilegio fino sotto gli occhi stessi di Gesù in Sacramento. – Dall’altra parte questi monumenti di storia sono una prova, che anche nei migliori tempi la Chiesa aveva peccatori da curarsi in seno. E questo giovi a dare la rimbeccata a coloro, che per non curarsi della Chiesa presentemente, appellano sempre alla santità della Chiesa primitiva. Letto il Vangelo, come abbiamo detto, il diacono si volgeva ed esclamava: « abscedite, andate. » Quindi licenziati i Catecumeni, gli Energumeni e i Penitenti non ammessi alla quarta classe, finché durò in vigore la severità della disciplina, per celebrare la Messa dei fedeli chindevansi le porte del luogo santo, e Vegliavano i ministri alla guardia di quelle, perché nessun immondo o indegno venisse colla profana presenza ad offendere la santità di così tremendi misteri, che gli angioli stessi adorano velati e prostrati sul pavimento del santuario (Caidin. Bona, lib. 2, cap. 18, n. 1). Ora è a dire qualche cosa del simbolo, detto volgarmente il Credo, che si recita, benché non sempre, nella Messa.

Il Credo.

Nella Chiesa cattolica si conservano quattro professioni di fede, dette simbolio contrassegni del vero fedele, o regole di fede (August. .. De Symb. ed Cat.). Chi ammette queste formole di fede è tenuto pe figlio di lei, chi non le ammette resta da lei separato e tenuto in conto di eretico e di infedele. Sono, come spiega s. Pier Crisologo (Serm. 63, De Symb. Apost.), un cotal istrumento od atto di fedeltà, con cui l’uomo si lega a Dio nel Battesimo obbligandosi poi a regolare la sua vita secondo le norme, che in esse ha giurato di seguitare. Questi quattro simboli sono: l’apostolico, il niceno,  il costantinopolitano, l’atanasiano. Quest’ultimo, come accenna il nome, si attribuiva comunemente a s. Atannsio; ma essendo in esso l’esplicita condanna e la esplicita professione di fede contro eresie, che vennero alcuni secoli dopo; o si deve dire, che non fa da lui composto, o che almeno gli si fecero posteriori aggiunte. Si recita nell’ora di Prima nell’ufficio divino, e non è qui luogo di più estendersi intorno a questo. –  Diremo adunque dell’apostolico, del niceno e del costantinopolitano.

Il simbolo apostolico è la professione di fede compilata dagli Apostoli (Natal. Alex. Diss. 12, sæcul. 1. D. Hyeron. ep. 61 ad Pam.): ed è il credo, che comunemente si recita da tutti i fedeli per tutto l’universo. In esso le principali verità della fede cattolica sono esposte con chiarezza, semplicità ed esattezza al tutto divina: e giurando questa fede, diedero per sostegno di essa la vita, come gli Apostoli, tanti milioni di martiri per trecento e più anni. Ma nel principio del secolo quarto Ario, nativo della Libia, prete di Alessandria d’Egitto, facendosi capo della più terribile eresia, che abbia travagliata la Chiesa, ardì di affermare bestemmiando che il Figliuolo di Dio non fosse generato dalla Sostanza del divin Padre; ma creato dal nulla, benché prima del tempo, ma non ad eterno, fosse differente dal Padre nella Sostanza. E benché poi confessasse che per Lui aveva Dio Padre creato ogni cosa, diceva nondimeno che anch’Esso era un essere creato, e quantunque chiamato Dio, non era Dio per natura, ma solamente deificato. Subito si raccolsero cento Vescovi in concilio nella chiesa di Alessandria, inorriditi di quelle bestemmie e lo condannarono. Né cessò per questo lo eresiarca di disseminare l’errore e fare partito, strascinando in inganno un gran numero di quei sciagurati, che gli inspirati di orgoglio, salutano sempre come benvenute le novità che lusingano: e di orgogliosi vi è sempre abbondanza! Allora s’indisse un Concilio generale. Era la prima volta, che si vide questa adunanza di rappresentanti d’ogni nazione, e costituiti padri delle anime per divina autorità. Molti di essi portavano scolpite nel corpo le gloriose stigmate del martirio; erano altri chiari di merito, di gran santità, di dottrina o di miracoli; era fra essi Atanasio il Grande, che fu poi il più glorioso campione nel difendere la fede ortodossa. Quei Padri si raccolsero in Nicea l’anno 325 per discutere liberamente intorno agl’interessi maggiori dell’umanità; per definire, colla certezza di avere l’assistenza dello Spirito Santo, che cosa credere sì dovesse, e come operare da tutti i fedeli del mondo. Costantino il Grande vi intervenne col rispetto dovuto ai rappresentanti di Gesù Cristo, e nell’entrare andò a baciare le cicatrici di Pafnuzio Vescovo della Tebaide. Qui a finirla con quel maestro d’errore, che cercava di eludere la verità con molti sofismi ed espressioni equivoche e dubbie, quei Padri, assistiti dall’ispirazione divina, cercarono alcune espressioni, che (essendo le più precise e chiare, che formular si potessero), escludessero qualunque equivoco, e la verità mettessero innanzi colla maggior evidenza. Perciò aggiunsero al simbolo degli Apostoli queste parole: « che il Figliuolo Unigenito di Dio è nato dal Padre innanzi a tutti i secoli, che è Dio da Dio, Lume da Lume, Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consustanziale al Padre, e per mezzo di Lui furono fatte tutte le cose. » Così fu compilato il simbolo niceno. – L’eresia di Ario intaccava, anzi distruggeva tutto il sistema delle verità cristiane, da cui dipende la salvezza dell’uomo. I Cristiani vedevansi rotto l’anello, che riunisce il cielo colla terra; essendo tolto il Mediatore divino, che si abbassa da Dio agli uomini, e coll’unirli a sé, li ricongiunge in Dio. In vero, se Gesù fattosi propiziatore e redentore nostro, non fosse Uomo-Dio, la povera umanità resterebbe sempre da Dio egualmente lontana anche dopo la redenzione, e sarebbe sempre per lei al tutto impossibile d’avvicinarsegli, come era appunto nella religione pagana. Fu questo adunque il gran servizio reso al mondo cattolico dai Padri del Concilio, l’avere cioè difesa e salvata dagli assalti dell’inferno la verità fondamentale di tutta la Religione cristiana, come di tutte le nostre speranze. Così spiegata la verità dell’eterna generazione divina del figliuolo, di una sola natura col divin Padre, in questo simbolo si va innanzi, e si espone la redenzione, operata in queste parole che seguono: « Il qual Verbo per noi uomini e per la nostra salute discese dal cielo, e si è incarnato. » Nel professare questa più di tutte consolante verità; proprio nel pronunciare le parole : « SI È INCARNATO PER OPERA DELLO SPIRITO SANTO IN SENO A MARIA VERGINE E SI È FATTO UOMO » la Chiesa fa che tutto il popolo s’inginocchi, e cattivi l’intelletto a credere con umiltà questo inconcepibil miracolo di bontà divina, e, cadendo per terra in grande umiliazione, adori il Figliuolo di Dio comparso nel mondo, e baci col cuore le vestigie, che i piedi di Dio impressero sulla terra, santificandola. Così coll’aggiungere al simbolo apostolico questa dichiarazione, in cui si professa sì precisamente la divinità del Redentore nostro, si è formato il simbolo detto niceno (S. Athan., ep. ad Jovin. De Fide.) dalla città, dove si teneva il Concilio: e questa professione esplicita è quella, che richiesero i Padri in nome di Dio da chi vuol essere ammesso nel numero dei Cattolici. A questa professione va unita la memoria di persecuzioni, che durarono secoli: quasiché il nemico di Dio dopo di essersi vendicato di Lui, per essersi fatto uomo, volesse ora vendicarsi degli uomini  che a Luì fidandosi si salveranno. – Ma vi è in natura un animale, che non è né ranocchio, né biscia, né lucertola o d altro animale comune. La coda ha di quadrupede, la pelle di serpe, le branche di coccodrillo, e la maggior meraviglia è, che muta sotto degli occhi di chi lo fissa, il color delle pelle ad ogni istante. In tante Sue varietà è costante e propria sua natura l’essere schifoso e ributtante sempre. Questo animale è il camaleonte, vero simbolo dell’eresia, che senza forma propria, nè concetto di unità si adatta a tutte forme, e varia al variar di circostanze e di convenienza. Sempre solo costante nella viltà, nei raggiri, e negli inganni d’ogni maniera, essa muta ogni dì le sue credenze secondo il variar dell’aria, che spira intorno. Ne sono la più gran prova in questi ultimi tempi le sétte dei protestanti, in cui ciascuno crede come più gli talenta; perché, senza possedere con certezza la verità, ciascun si finge ciò, che vuol credere; ed è bello osservare come il gran Vescovo Bossuet, per convincerli di errore, imprendendo a scrivere la Storia delle variazioni delle chiese protestanti, col solo titolo dell’opera li convinse di falsità (Balmes). Ora la verità non varia; ed è sempre la stessa; mentre gli ariani si sono mutati in semi-ariani, i semi-ariani in pneumatomachi o macedoniani. Cioè, dopo la guerra fatta alla Divinità del Figliuolo di Dio, attaccarono gli eretici la Divinità dello Spirito Santo. Capitanati: da Macedonio, Vescovo di Costantinopoli, negavano che lo Spirito Santo fosse la terza Persona divina. I Vescovi si raccolsero ancora a Costantinopoli, regnando allora Teodosio il Grande, in un Concilio generale l’anno 381, e col simbolo costantinopolitano confermarono la professione di fede estesa nel Concilio di Nicea, la quale, come volevano i bisogni d’allora, spiegarono ancora più diffusamente, aggiungendo contro l’errore dei pneumatomachi, che dovevasi rendere adorazione e gloria allo Spirito Santo, come al Padre ed al Figliuolo; perché col Padre e col Figliuolo è un solo Dio. Il che si espresse poi colla maggiore chiarezza nella formola di queste parole. « Credo nello Spirito Santo Signore, Vivificante, che procede dal Padre e dai Figliuolo, il quale col Padre e col Figliuolo insieme si adora, e si glorifica: il quale parlò per bocca dei Profeti. » Con questa professione di fede si ebbe finalmente il Simbolo Costantinopolitano, che è quello che si dice nella Messa. – Ma nella Chiesa Romana, perché per mille anni e più, per divina provvidenza, non fu lacerata nell’interno dall’eresia (Ab. Bern. Lib. De rebus Miss. vide Baronium ad annum 1109), non si sentì pure il bisogno di attestare la fede, e fare, che con un atto di professione i fedeli condannassero quegli errori, che la massa del popolo così felicemente ignorava. Quei buoni padri nostri d’allora erano uniti col loro Sacerdote nell’ingenua semplicità di una fede salda; e bene stava, che certi errori non si conoscessero neppure di nome. Di qui credono alcuni venuto il rito di non recitare il simbolo in tutte le messe. Ma quando vi è concorso di popolo, come nelle domeniche e nelle altre solennità, la Chiesa, coi suoi figliuoli, vuol godere della consolazione di professare, nell’atto del Sacrificio sull’altare di Gesù Cristo, quelle grandi verità che sono la nostra salvezza. Come tenerissima madre ai suoi cari raccolti intorno alla mensa, ella parla così delle passate sue amarezze, delle sue consolazioni e delle sue speranze. « Ecco, o figliuoli, par che dica loro, il tesoro di fede, che mi costa tanti combattimenti. Io ve l’ho serbato intero, l’espongo a voi a parte a parte. Sono queste verità; deh! bene mettetevele in cuore, che voi, miei figli, in Dio avete un Padre, che vi aspetta in Paradiso, rigenerati nel sangue del suo proprio Figlio coeterno: e santificati dal suo Santo Spirito, in lui dovete essere beati! Fermi in questa fede su via datemi la mano: alla patria, alla patria, a vivere nel venturo secolo dell’eternità. – Osserva s. Tommaso (3 p. q. 83, a. 4.), che il credo si canta non solo nelle principali solennità; ma eziandio, per onore di particolare privilegio, nelle feste di chi si fa menzione nel simbolo stesso, cioè di Gesù Cristo, di Maria Vergine e degli Apostoli, come dei dottori della Chiesa. Ond’è che, quando, per esempio, si celebra la memoria di un santo Mistero della vita del Redentore, la Chiesa si affretta di menargli innanzi tutta la sua famiglia e fargli professione di fede. La festa è in onore di Maria Santissima? e la Chiesa le conduce ai piedi i figli credenti, quasi a dirle: « Gran Madre di Dio, deh! Guardate qui: voi siete Madre di questi figli nel vostro sangue’, perché sono generati dal Sangue del vostro Figlio, che è sangue vostro. Si celebra una festa degli Apostoli? « Viva Dio! pare che dica la Chiesa, o Apostoli benedetti, rallegratevi pure dal paradiso; che la fede da voi predicata e seminata col vostro sangue, ancora è conservata da noi a produrre frutti di vita eterna. » Si celebra la festa di un santo Dottore? « Padre santo, pare dica la Chiesa, ecco i figli alimentati dal pane di quella celeste dottrina, che voi avete gloriosamente difesa, esposta e condita coll’eloquenza della vostra carità. » – Così, come osserva pure s. Tommaso (ibi), essendo nell’Evangelio Gesù Cristo medesimo che parla ed ammaestra; noi sorgiamo nel Credo, a professare a Lui fede solennemente. Vera e santa confessione frutto delle nostre labbra, che danno gloria a Dio nella verità, ostia di laude ben accettevole  che sale in odore di soavità dall’altare insieme col sacrificio (S. Thom. rit. recit. Credo in Miss,). – Ecco il Sacerdote, che nell’atto di fare questa insigne professione solenne, stende le mani verso il Crocifisso, come per attestare la sua fede e ricevere da Gesù questo vero pegno dell’eredità del Paradiso, cioè le verità alla Chiesa affidate da custodire e tramandare ai fedeli di tutti i tempi. Pare adunque, che nei dì di festa, a cui partecipano i beati della Chiesa in trionfo, la Chiesa di qui in battaglia tuttora e vincitrice, presenti a Dio ed alla sua corte celeste questa professione di fede storica, che tanto l’onora; e come dagli eserciti vittoriosi nelle feste trionfali si portano sollevate in aria le immagini delle prese città ed i titoli delle trionfate battaglie; così tra le sue feste la Chiesa mostra innanzi nel simbolo apostolico e nelle parole aggiunte dai Concili, quasi in altrettanti bassi-rilievi o in tavolette o coniate medaglie, le combattute guerre e le verità trionfanti in quelle espressioni sostenute e difese. da patimenti inauditi, e saldate col sangue di tanti Papi, Vescovi, Sacerdoti e fedeli. In queste ella riguarda quasi altrettanti pegni delle vittorie, che verranno appresso ai presenti e futuri combattimenti, per compiere il suo trionfo. Così a noi è dato contemplare nel petto della Chiesa, nostra buona madre le larghe cicatrici sempre umide di caldo sangue…. Ah! Troppo si è pur versato di molto sangue in tante guerre di passioni su questa povera terra: ma il sangue versato dalla Chiesa, per difenderci le verità divine, è il più puro, il più generoso, che mai si sia versato in pro dell’umanità. Ella col gridare insieme coi figli innanzi all’altare: « Credo in Dio Padre di tutti, protegge lo schiavo, il bambino, la donna, tutti gl’inermi, incutendo rispetto ai crudeli, che pretendono d’esserne padroni: per ogni diritto dei deboli ha dato del sangue, e si prepara a spargerne ancora, per difendere la famiglia col Sacramento del matrimonio, se sarà d’uopo. Oh sì! quando vediamo il suo vecchio capo, il Papa, sempre a combattere contro gli usurpatori, per difendere i più vitali interessi dell’umanità; noi dobbiamo esclamare: « Grande Iddio, proteggete l’opera vostra, e fate conoscere agli uomini il vero loro difensore! »

VIVA CRISTO RE (6)

CRISTO-RE (6)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO VII

CRISTO, RE DEL SACERDOZIO

Voglio sviluppare il pensiero di Cristo e della Chiesa sulla dignità e la missione del Sacerdozio. Cosa pensa la Chiesa Cattolica del Sacerdozio? A cosa servono i Sacerdoti? In questa questione, l’unico che decide, l’unico che governa è Nostro Signore Gesù Cristo, l’unico Maestro. Una volta Egli disse ai suoi Apostoli: « Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi » (Giovanni XX: 21). « Vi mando – siete i miei ambasciatori, i miei ministri. Il Sacerdozio non è stato inventato, come molti sostengono, da uomini avidi di potere e di onori; non è stato inventato da uomini che cercavano di essere onorati e venerati dal popolo, ma è stato istituito dal Signore. È volontà del divino Gesù che ci siano uomini che, liberi da altri doveri, ancor più liberi dalle preoccupazioni della vita familiare, dedichino tutta la loro vita, tutti i loro momenti, ad un unico obiettivo: condurre gli uomini a Dio e condurre le anime al cielo. Dio stesso ha scelto un giorno della settimana, la domenica, per essere « il giorno del Signore »; Dio stesso ha scelto i salmi per essere i « canti del Signore »; Dio stesso ha voluto avere un luogo dedicato esclusivamente a Lui, la « casa del Signore »… Dio stesso ha anche scelto alcuni uomini per essere gli « unti del Signore », i « ministri di Dio ». Attraverso di loro Dio diffonde la grazia divina sui fedeli. Il Sacerdote, secondo la volontà di Dio, il buon Sacerdote, sa bene di essere un ministro, cioè un servitore, che non è lì per essere servito ma per servire, come servitore del Signore e dei fedeli di Cristo. Questo è il prete cattolico. – « Come il Padre mio ha mandato me, anch’io mando voi ». Prima di salire al cielo, Gesù Cristo ha affidato agli Apostoli la propagazione della sua dottrina: « Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo » (Mt XXVIII, 19).  Come se dicesse loro: « Finora sono stato io a insegnarvi; d’ora in poi sarete voi a insegnare alle nazioni nel mio nome  ». Finora sono stato io a incoraggiarvi e a proteggervi; d’ora in poi sarete voi a esercitare lo stesso ufficio con i vostri simili. Finora ero Io a plasmare le vostre anime secondo la volontà di Dio; d’ora in poi sarete voi a plasmare le anime dei fedeli secondo il mio spirito. Cioè: finora siete stati i miei ascoltatori, i miei proseliti, i miei discepoli; d’ora in poi siate i miei araldi, i miei apostoli; siate… i miei Sacerdoti! i miei Sacerdoti! – La dignità sacerdotale scaturisce dal Cenacolo, dall’Ultima Cena, dalle parole di commiato che il Redentore rivolse agli Apostoli: « Fate questo »…; « Andate e insegnate »…; cioè: offrite questo stesso Sacrificio dell’Eucaristia e insegnate agli uomini a imitarmi fedelmente.  Il Sacerdote è un uomo come tutti gli altri, ma con la sua consacrazione sacerdotale, Cristo gli ha affidato un’alta missione: « Andate e ammaestrate tutte le nazioni, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato ». Vale a dire: « Andate, affrontate chiunque cerchi di perdere le anime ». Andate, non siate turbati, non abbiate paura. Sono con voi fino alla fine dei tempi. Sono sicuro che né re, né imperatori, né repubbliche, né governatori potranno privarvi del diritto che vi ho conferito: istruire tutte le nazioni. Non c’è potere umano che possa impedirvelo. So bene che tale missione vi porterà sofferenza; sarete perseguitati, odiati, privati di tutto…, lo so anch’io; ma anche così insegnerete. La parola di Dio non può fallire. Battezzare tutte le nazioni, cioè santificare le anime, perdonare i peccati, versare le mie grazie, rendere dritta e salda la canna spezzata, dare olio alla candela tremolante, dare speranza alle anime disperate…, portare le anime a Dio. Non avrai famiglia, perché nulla ti leghi. Non avrete figli, perché possiate essere liberi, perché possiate dedicarvi in ogni momento ai vostri figli spirituali, che dovrete conquistare per Me….. Ecco quanto è sublime la missione sacerdotale. « Come il Padre mio ha mandato me, anch’io mando voi. Vi mando a curare le ferite dell’anima. Vi mando a curare le ferite spirituali. Vi mando per consolare i cuori affranti. Vi mando a confermare nella fede coloro che vacillano nel dubbio. Vi mando a salvare le anime. Se incontrate uomini afflitti nel mondo, guardateli con il mio amore. Se vedete uomini oppressi dal peso delle prove, riversate nelle loro anime la mia consolazione. Se vedete uomini piegati sotto il peso dei loro peccati, offrite loro il mio perdono. Siate luce per coloro che vivono nelle tenebre. Dare coraggio alle anime deboli di cuore. Portateli tutti a Me. »- « Voi siete il sale della terra… » (Mt V, 13). C’è molto male nel mondo, si commettono molti peccati. …. Avvisare le anime del pericolo che corrono. Annunciate a tutti i Comandamenti di Dio. Ricorda alle anime ciò che ho sofferto per loro per salvarle. Non temete, parlate, anche a costo della vita, perché “«siete il sale della terra » ed è vostro dovere preservare le anime dalla decadenza. « Voi siete la luce del mondo » (Mt V.,14). Insegnate la via che conduce a Dio. Insegna le mie leggi in modo tale che gli uomini non solo le conoscano, ma le adempiano e le vivano. Nulla deve spaventarvi; diffondete il mio insegnamento, anche se dovrete pagare con la vita. Siate pastori del mio gregge, difendete le mie pecore dai lupi, dai lupi astuti. D’altra parte, dovete amare i vostri nemici, coloro che vi insultano e vi minacciano? Questo è il sublime ideale del sacerdozio, secondo la Chiesa. Così capiamo perché i buoni fedeli amano e rispettano così tanto i sacerdoti, e capiamo anche l’odio profondo che i nemici della Chiesa e della religione nutrono nei loro confronti. I Sacerdoti sanno bene che il rispetto e l’affetto che ricevono, più che alla loro persona, è dovuto alla grazia della missione, perché Gesù Cristo li ha scelti senza che lo meritassero. I buoni Cattolici amano i loro Sacerdoti perché continuano a estendere il Regno di Dio, secondo l’incarico ricevuto da Cristo; li rispettano perché credono fermamente che le mani consacrate del Sacerdote abbiano il potere di portare ogni giorno il Corpo di Cristo in questo mondo.Sono gli strumenti che Dio ha messo a nostra disposizione per raggiungere la vita eterna. Non hanno altra missione che salvare le anime redente dal sangue di Gesù Cristo. È soprattutto a loro che Cristo rivolge la domanda: Diligis me plus his? (Gv XXI, 15): « Figlio, mi ami tu? Mi ami tu sopra ogni cosa? » E sai lavorare per me più che per ogni altra cosa?  Ripeto: il Sacerdote non è un Angelo, ma un uomo, come tutti gli altri. Ma è un uomo infuocato dall’amore di Cristo. Nostro Signore guarì un cieco con un po’ di fango e una donna malata toccandole l’orlo della veste. Anche il Sacerdote è un po’ di argilla, ma un’argilla che, nelle mani di Cristo, apre gli occhi dei ciechi e permette loro di vedere Dio. Egli è anche l’orlo della veste di Cristo, e così restituisce la salute ai malati dell’anima.  Il Sacerdote porta i fedeli nella Chiesa attraverso il Battesimo; porta Dio nell’anima attraverso il Santissimo Sacramento; rafforza le anime nella lotta, prega con loro, mostra loro il Paradiso, le consola nelle disgrazie, nell’agonia della morte; e prega per loro davanti all’altare. Solo Dio può perdonare i peccati. Il peccato non può essere cancellato se non con il perdono di Dio. Posso fare ammenda, posso piangere, posso fare penitenza…, ma non basta; la coscienza del peccato permane nella mia anima: la giustizia di Dio non è ancora espiata. Così cado in ginocchio nel confessionale, vi porto la mia anima tormentata e straziata, caduta e peccatrice. Non è un uomo che siede sul santo tribunale; vedo il Sacerdote, e in lui Dio: « Confesso i miei peccati a Dio onnipotente per mezzo del sacerdote: gli mostro le mie ferite, le mie cadute, i miei dolori… ». Poi, quando ho confessato umilmente il mio peccato, con il cuore dolorante, Cristo misericordioso lascia cadere il sangue delle sue piaghe sulla mia anima, la lava e la conforta, le dà coraggio e gioia…, e quando mi alzo dal confessionale, sento che c’è una nuova vita in me, che la mia anima è pulita, che Cristo è in me…. Questa è la sublime missione del Sacerdote. – I Cattolici sanno bene cos’è la confessione. È per ridare pace all’anima tormentata; è per salvare le anime che si sono smarrite e sono cadute nell’abisso del peccato e per rimetterle sulla via della virtù…. È uno dei doni più eccelsi che ci ha lasciato il Redentore. E questo potere di perdonare i peccati è stato dato da Nostro Signore Gesù Cristo nelle mani del Sacerdozio. È ovvio, quindi, che i fedeli guardano con rispetto ai ministri del Signore. E forse questo spiega anche l’odio acerrimo che i nemici della Chiesa nutrono per il sacerdozio. Vedono solo difetti e peccati nei Sacerdoti. – Ci chiediamo: il male può entrare nel cuore di un Sacerdote? Non dobbiamo dubitarne, perché anche i sacerdoti sono uomini, possono avere difetti, debolezze e persino peccati. Da ogni albero cade qualche frutto marcio e ogni esercito ha dei disertori. Ma non dobbiamo giudicare l’albero dai frutti caduti, né l’esercito perché ci sono stati dei disertori; proprio perché i Sacerdoti danno la vita per gli altri, i loro minimi difetti…, che negli altri non si notano nemmeno, sono molto più evidenti. Su una tovaglia bianca si nota facilmente la più piccola macchia; tra gli stessi Apostoli c’era già un Giuda. Ci sono anche oggi – purtroppo – Sacerdoti in cui il sale della terra è rovinato, in cui la luce del mondo è oscurata, che compromettono la dottrina di Cristo, che disonorano la Chiesa. Ma cosa si può dedurre da questo? Il Cattolico coscienzioso, per quanto possa deplorare questi tristi scivoloni, non perderà la fede a causa di essi. Non ha dubbi sulla fede, perché vede la distinzione tra l’uomo ed il potere conferito da Cristo; e come nel Sacerdote esemplare non onora l’uomo, ma il ministro di Gesù Cristo, così non disprezzerà la Religione di Cristo per i peccati del ministro infedele; non dirà che il Cristianesimo è una menzogna, né che è fallito, perché sa che il Sacerdote è il tramite con cui la grazia divina scende nelle anime, il recipiente da cui possiamo attingere l’amore di Dio….. Il recipiente, come il condotto, può essere d’oro, d’argento, di bronzo o persino d’argilla, non importa; l’importante è ciò che contiene, ciò che dà. Il Cattolico coscienzioso, nonostante le possibili cadute, nonostante i difetti in cui può cadere l’uno o l’altro Sacerdote, onorerà e rispetterà il Sacerdote, perché è stato scelto da Cristo stesso per continuare la sua missione. E se gli altri odiano tutti i Sacerdoti senza eccezione, solo perché sono Sacerdoti, il fedele Cattolico onora il Sacerdote proprio perché è un Sacerdote, perché è il ministro di Dio. E nessuno piange con più dolore per il comportamento di un cattivo Sacerdote dei Sacerdoti esemplari, quelli che sono secondo il Cuore di Cristo, perché sanno meglio di altri che nemmeno dieci Sacerdoti di vita santa possono rimediare allo scempio spirituale causato dalla vita di un solo cattivo Sacerdote. I nemici della Chiesa non attaccano i cattivi Sacerdoti; al contrario, li lodano, li proclamano eroi, luminari della teologia…. D’altra parte, i più ferventi, i più cristici, i più santi Sacerdoti sono sarcasticamente calunniati e perseguitati. Una delle armi più potenti della Chiesa cattolica è la preghiera. Negli Atti degli Apostoli leggiamo che quando San Pietro soffriva nella prigione del re Erode Agrippa, tutta la Chiesa pregava incessantemente per lui. I Sacerdoti non hanno mai avuto bisogno delle preghiere dei fedeli come oggi. La mia affermazione può sembrare un po’ strana, ma risponde a una realtà: non sono solo i Sacerdoti a dover pregare per i fedeli, ma anche i fedeli devono pregare per i Sacerdoti. È un comando sincero di Gesù Cristo. In un’occasione ha guardato intorno al mondo delle anime: quanti uomini sono alla ricerca di Dio, quante anime immortali, quante lotte, quanti dolori, e quanti pochi sono sulla terra che si occupano di queste anime! Allora un sospiro gli uscì dal cuore Poi un sospiro sgorga dal suo cuore: « La messe è abbondante, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il Signore della messe perché mandi operai nella sua messe » (Mt IX,17-38; Lc X,2). I Cattolici dovrebbero pregare anche per i seminaristi, affinché perseverino nella loro vocazione con l’amore ardente di un’anima giovane, in modo che quando le comodità, gli agi e la felicità di questa terra vorranno sedurli, possano perseverare imperterriti e prepararsi all’alta missione di salvare le anime, anche se in questo cammino costerà loro molti sacrifici e rinunce. Certo, anche se la loro vita fosse cento volte più difficile, anche se le persecuzioni si intensificassero e le strade del Calvario diventassero più ripide e i sarcasmi e le calunnie si moltiplicassero, gli unti del Signore non sarebbero mai sterminati. Per due millenni i nemici della Chiesa hanno già provato molte cose. Hanno sequestrato il Papa, bandito i Vescovi, giustiziato molti Sacerdoti. A cosa è servito? Non è questo il modo in cui dovrebbero svolgere la loro attività.  Dovevano imprigionare l’anima della Chiesa. Dovrebbero sequestrarlo e annegarlo. Dovrebbero fermare il soffio dello spirito che mette nell’anima dei giovani la vocazione: Figlio mio, puoi amarmi più di tutti gli altri uomini? Puoi fare di più per Me, soffrire di più? Puoi essere il mio Sacerdote? Dovrebbero fermare questo spirito, al quale il giovane commosso risponde: Signore, io sono tuo, la mia vita è tua…, e anche se mi aspettano persecuzioni, il Calvario, le spine e la crosta di pane…, io sono tuo.  Chi dirà che non è così?  Nei giorni sanguinosi del comunismo, quando la morte e la fame minacciavano ogni sacerdote cattolico, ho incontrato un ragazzo dagli occhi ardenti, uno studente del quarto anno di liceo. Abbiamo iniziato una conversazione e mi ha detto che voleva diventare Sacerdote. Sono rimasto sorpreso. – Ora, figlio mio, vuoi diventare Sacerdote? Proprio ora? Avete molte professioni e mestieri tra cui scegliere… ma sapete cosa significa essere un Sacerdote? Sapete cosa vi aspetta? – Sì, mi sto preparando a diventare Sacerdote da quando ero bambino, rispose. Lo guardai dritto negli occhi: – Sai, figlio mio, che se sei un sacerdote rischi di morire di fame? Il ragazzo guardò anche me e, emozionato, disse solo questo: «Non importa, Padre; Nostro Signore Gesù Cristo sarà con me anche allora? » Sì, Egli sarà con voi! E sarà con tutti voi seminaristi che vi state preparando a servire il Signore; e sarà con tutti i fedeli che in qualche modo aiutano il sacerdote, chiunque esso sia, nel servizio di Dio. Il lavoro sacerdotale non è mai stato facile e comodo; ma alcuni padri sono abbagliati dal prestigio esterno e dal rispetto che talvolta porta con sé. Allora dobbiamo supplicarli: Se vostro figlio non vuole essere sacerdote, non costringetelo, per l’amor di Dio! Ma ora dico a tutti i genitori: se vostro figlio viene da voi con entusiasmo e vi dice: « Padre, madre, Gesù Cristo mi ha chiamato e scelto per essere sacerdote ». E ho detto di sì. Allora abbracciate vostro figlio con grande amore e dategli la vostra benedizione per seguire il sentiero stretto e spinoso dei ministri di Cristo.  Padri, dovete dare buoni Sacerdoti a Nostro Signore Gesù Cristo!  Il Signore si compiaccia di inviare alla Chiesa Sacerdoti ferventi, Sacerdoti santi, fedeli vassalli del Re del Sacerdozio, Cristo.

VIVA CRISTO-RE (7)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (4)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (4)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missionij

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

VIII.

I VILI E I FORTI

Ho detto di due martiri; ma voi sapete, cari giovani, che sono tre secoli e più tutti pieni di eroi cosiffatti, de’ cui nomi una piccola parte ci han tramandato le storie; gli altri stan scritti nel libro immenso dei cieli: tre secoli e più, nel volger dei quali, dalla Palestina alle regioni più lontane dell’Asia, dalla Grecia all’Italia, alle Gallie, all’ultima Spagna, e nell’Egitto, nella Libia, nelle provincie marittime dell’Africa, si vide levarsi un esercito immenso di giovani, di vecchi, di poveri e ricchi, d’uomini e di donne, di giovinetti persino e di delicate fanciulle, a spezzar risoluti il giogo di ogni umano rispetto, e correre incontro, quasi a festa, alla povertà, all’infamia, al carcere, ai tormenti , alla morte, per mantenere fedeltà a Cristo, e serbare inviolato il santuario di loro coscienza. Era la dignità, era la coscienza del genere umano che risorgeva in loro; né ci voleva meno di tre secoli d’eroismo per rilevare il mondo pagano dall’abisso in cui era caduto, di corruzione e di viltà. – Giovani cari, la conoscete l’antica storia di Roma? … Vedetela quella grande città che del suo nome aveva empito la terra, vedetela in quel tempo in cui Gesù, dannato a morte da un rappresentante dell’impero romano,  tiranno, spargeva il suo sangue in una lontana provincia, per redenzione degli uomini. Imperava Tiberio. Chi mera costui? Un vile tiranno, l’assassino feroce di Germanico e d’Agrippina, che empì Roma di sospetti, di spie, di confische, di morti, che dié di piglio nell’avere e nel sangue dei più nobili e virtuosi cittadini; che mentre contaminava di sue mostruose libidini la ridente isoletta di Capri, lasciandole un nome d’eterna infamia, in Roma abbandonavasi senza ombra di ritegno a suoi feroci istinti di sangue.  Un ritegno poteva metterglielo il Senato; ed egli a volte ne sentiva paura. Ma quell’illustre Senato, che mostravasi un tempo ai barbari Galli come un consesso di Numi, quel Senato che colla prudenza e colla giustizia era giunto a far di Roma la regina del mondo, quel Senato era divenuto sotto Tiberio un branco di vili, che si strisciavano ai piedi del potente tiranno, e non che rattenerlo l’invitavano co’ plausi a misfare. A Tiberio succede Caligola: Caligola, così ebbro di ferocia, che sendo penuria di carni, n’andava attorno per le carceri, e i più grossi tra’ prigionieri faceva gettar pascolo alle sue fiere; che a rallegrar sue cene nelle quali profondeva tesori, non trovava musica più dolce delle grida degli schiavi posti a tormenti; che agli strazi e alla morte de’giovinetti figluoli, costringeva ad assistere i genitori; che non applaudito quanto bramava dalla plebe, mordendosi il labbro, sclamava. — Oh avesse il popolo romano una test: a sola! la reciderei all’istante. — E il Senato?… il Senato a questa belva coronata decretava sacrifizi e onori divini. Dopo Caligola Claudio. Claudio imbecille, che datosi in mano a femmine e liberti, confisca, uccide, tiranneggia a lor posta; pazzo dei giuochi gladiatori, quando mancano gli schiavi a scannarsi per suo diletto nell’Arena costringe i liberi cittadini; non mai sazio di lascivie e di crapule, s’empie a gola, indi vomita, e si rimpinza e rivomita ancora … Ebbene, anche a costui, anche a Claudio si prostra la maestà del Senato, anche lui acclama Dio, anche a lui templi ed altari! – A Claudio tien dietro Nerone; Nerone l’uccisor di sua madre, che gusto di vagheggiare un incendio, appicca a Roma le fiamme, e ne incolpa i Cristiani, ed essi Cristiani vivi vivi fa impegolare di resina, e legati a un palo li brucia di notte nei suoi  orti ad uso di fanali. Pure anche per lui son plausi ed onori divini. Seneca il filosofo lo scusa del matricidio dinanzi al Senato, il Senato batte le mani e decreta ringraziamenti agli dei. – Or se tanta era corruzione del Senato, immaginate voi, cari giovani, qual dovesse essere la corruzione del popolo, e in qual fondo di viltà e di sozzure venisse precipitando il mondo pagano. Rispetto a Dio, coscienza, dignità umana tutto perduto! Non restava che il rispetto dell’uomo….. Fu allora che Dio ebbe pietà del genere umano; fu allora che si levò il suo Cristo a predicare: – non vogliate temere coloro che uccidono soltanto il corpo; ma temete piuttosto colui che tutto l’uomo, corpo ed anima, può dannare, ad eterni tormenti – Fu allora che Paolo, il fedele interprete di Cristo, gridava ai suoi seguaci: – Non vogliate farvi schiavi degli uomini. – E fu allora che le legioni di martiri saltarono fuori dalla terra; servi gloriosi di Dio spezzavano il giogo ingiusto dell’uomo, e per rispetto di Dio e dell’anima immortale, osavano dir di no in faccia ai coronati tiranni. Questi gli esempi che salvarono il mondo. Il che torna a dire, miei cari giovani, che se volete serbare inviolata in voi stessi l’umana dignità, e dal sentimento di essa attingereforzache basti a combattere e vincere il mostro dell’umano rispetto, vi conviene innanzitutto esser sinceri e ferventi Cristiani. Cristianesimo e verità, e: vere libere eritis (ci disse Cristo) si veritas liberavit vos. Sarete uomini veramente liberi ed indipendenti se tali vi renda la santa verità. – Veramente di libertà e di d’indipendenza s’è chiacchierato molto ai dì nostri, e si chiacchiera ancora: ma non lasciatevi ingannare, cari giovani, al suon delle parole. Guardate ai fatti; e pur troppo dovete convincervi, che il mondo dà addietro a grandi passi, torna all’antica servitù; e torna all’antica servitù perché torna al paganesimo.

IX.

LA LANTERNA MAGICA

Giovinotto mio, che vai leggendo queste carte. Tu sei nuovo ancora nel cammino della vita; facile a lasciarti abbagliare dalle apparenze, credulo e fidente per semplicità di cuore, uso a vedere il mondo attraverso a certe lenti che tutto il coloriscono in vaga tinta di rose. Ma io, a costo anche di guastarti certi bei sogni d’oro, vo’ farti vedere il mondo qual è. Di’, gio0vinotto mio: ti piacerebbe egli trastullarti un pochino colla lanterna magica? … oh, oh! Vedo che ti rallegri e fai festa … Bene, senti: io ce ne ho una lanterna magica, che fa veder le cose proprio al naturale … vuoi farne la prova? – Volentieri, ma amerei sapere quanto si paga. — Oh niente, amico mio, nient’affatto. Purché mi riesca trastullarti alquanto, e metterti a parte dei frutti di quell’esperienza, che alla tua età non puoi avere, io mi terrò per abbastanza pagato. Su dunque! Qui si da spettacolo gratis et amore. Ecco la lanterna, avvicinati, metti l’occhio alla lente…. Che vedi? – Vedo … vedo …  una stanza quadra, spaziosa, con intorno degli scaffali pieni di carte, e nei quattro angoli, quattro scrittoi. A tre di essi vede seduti dei giovani … tre … quattro … sette. Per un poco scrivono in silenzio; poi uno si alza, getta via la penna, si caccia le mani nella zazzera e: – Maledetto mestiere! … Anche gli altri al suo esempio si levano, chi si stira, chi sbadiglia, chi s’accende un sigaro, chi canta, chi suona il tamburo colle dita sui vetri della finestra … Altri fanno a pallottole di carta … due si mettono a giocare … Ma chi sono costoro?- Un momento. Guarda ancora: che vedi? – Oh! In batter d’occhio tutti a posto. Tutti tranquilli, cogli occhi fissi sulla carta, che menano la penna … Ma che è stato? – Guarda a quella porta … – Ah ecco, sì, da quella porta vedo entrare un uomo … – Basta, hai visto abbastanza, or bada a me. Quei giovan i sono impiegati del Ministero; quell’uomo è il capufficio … Ah ridi, neh? … – Già gli è rispetto del superiore … C’è egli poi un gran male? Anch’io alla scuola, se il maestro volta l’occhio, o per poco s’allontana… – Male, male, figliol mio: tu servi all’occhio, ad oculorum servientes, come dice S. Paolo, servi all’umano rispetto. Se appena manca l’occhio dell’uomo, intralasci il dovere, permetti, mio buon giovane, che tel dica; tu se’ già mezzo schiavo della brutta bestia…. m’intendi?… Tienti dunque a mente un ricordo: col cessar la sorveglianza il dovere non cessa; e se l’occhio dell’uomo talvolta si chiude, sta sempre aperto quello di Dio. Hai capito?… Or bene, torna a guardare … Che vedi? – Una cappella … l’altare parato a festa … candele accese… da unorta laterale esce un vecchio mitrato in sacri paramenti… con gran corteggio … È il Papa, son Cardinali; li conosco alla veste rossa che portano … s’accostano, si schierano davanti all’altare, il Papa si segna, comincia la Messa … — Si, bravo, hai bene riconosciuto i personaggi… Ma ora guarda un poco più in là verso la balaustrata… — Oh quanti signori vestiti in nero! Che serietà! che barboni! Che picchiar di petti, che compunzione! Quando si dice devoto femmineo sesso! Quì son tutti uomini, e donne … neppur una! — Passi la riflessione; ma guarda ancora. – Ecco, il Papa si volta, ha la sacra pisside in mano, mostra l’Ostia Santa, poi va a loro, li comunica ….. – Basta, hai visto; or senti me. Quegli uomini tanto devoti, sono i graziati dal Papa: li ha richiamati dall’esilio, ha aperto le loro carceri, li ha ridonati alla patria e alla famiglia … Ora prendono la comunione dalle sue mani. Passeranno pochi giorni e gli grideranno la morte. – Scellerati, sacrileghi! Chi son costoro? – L’imparerai a suo tempo, fanciullo mio. Ora va avanti, torna a guardare: che vedi? – Una contrada di notte … e c’è un fanale, e alla pallida luce che manda, due figure sinistre, ravvolte in ampi mantelli … Ecco, s’abboccano, si stringono la mano di sotto i mantelli … Uno è un giovanotto pallido di primo pelo, l’altro un barbone con du’ occhi sinistri … ha qualcosa che luccica in mano: pare … no … sì, un pugnale. Lo porge al giovane, il giovane lo brandisce, lo bacia, l’alza al cielo, e squassando la chioma, si dilegua fra l’ombre….. Che vuol dire questo? – Torna a guardare, or ora lo saprai. – Oh, oh! Una sala dorata, un andito a colonne … Ma lì, dietro a una colonna c’è uno, un giovane rannicchiato … Che fa? – Fissalo bene in volto. Nol conosci? – Ah, si, proprio lui: quel giovane  che poco fa riceveva il pugnale da colui …  e di fatto nel pugno stretto luccica la lama … Oh me! Costui macchina un delitto di sangue … – Oh via, non ti spaventare. T’assicuro che sangue non ne vedrai. È un vile costui, che dall’umano rispetto lasciossi trascinare alle società segrete, ora per rispetto umano s’atteggia di Bruto… egli è bruto, sì, ma nel senso comune della parola … Su via! Torna, giovane mio, torna a guardare; vedrai un uomo di alta statura … – Si, sì; oh come è lungo, magro …Ha volto pallido, guardo severo … è vestito alla militare, circondato di militari e d’altri … pare un re … – E poi? – Attraversa il salone, entra in quell’andito delle colonne, proprio là dove s’apposta l’assassino … Oh disgraziato d’un re! … – N on temere, dico, non temere di nulla; torna a guardare. Ebbene? – Il re è passato, e colui fugge, pur stringendo il pugnale … – È rosso forse? – No; anzi e’ par più terso e luccicante di prima. – E non te l’aveva detto, che sangue non ne vedrai. Ah la mia lanterna magica! so ben io quel che c’è dentro!… Pure anche qualche scena di sangue potrei fartela vedere: Ma perché avrei a spaventarti, povero giovane? … – Che spaventarmi, ? non sono così di cuore io. Eppoi, se si tratta di farmi un uomo … lasciatemi vedere, lasciatemi vedere ancora! – E tu vedi ancora. Ebbene? – Un bosco … là sul verde spazzo, sotto quella fila di pioppi, accanto a quel canale, due … Uno è un giovinetto biondo, delicato, che mette appena le prime caluggini. È pare smarrito e come fuor di sé … l’altro un barbuto, con cert’aria beffarda … O me! Traggon le spade, di battono, si battono come demoni … tic tac, tic tac … Ahi! Povero giovinetto … vacilla, cade … l’erba è rossa del suo sangue…- Bata, bast: non guardar pià. La vista delle sue crudeli agonie ti darebbe al cuore troppo tristezza … Odi me, invece … Quel giovinetto è di buona famiglia, ben educato, ha padre, madre, sorelle che l’amano. Nata rissa in un caffè tra lui e quel vil barbuto con cui non avrebbe mai dovuto affiatarsi, fu sfidato a duello … Il giovine sapeva il dover suo, ma il rispetto umano lo costrinse ad accettare. Ora è là cadavere insanguinato, e sua madre a stracciarsi i capelli e urlare da forsennata …- Ma via, cacciamo questi trucipensieri:e a trar qualche frutto da quanto hai veduto fa tuo conto che sta dall’alto al basso, dai grandi ai piccoli, dai popoli ai re, così va il mondo. L’umano rispetto, la viltà sua figliuola, e sua madre la paura, comandano a bacchetta, comandano a tutti. – Ma a me no, a me no in eterno! – Bravo giovinotto! Questa sdegnosa protesta mi piace. Ma bada! L’umano rispetto è tal bestia, che torna facile bravarla lontana … Man mano poi che s’appressa, la ti mostra certi unghioni, che anche i forti talvolta ne hanno paura. Sai che mi fa sovvenire la tua nobile protesta? Mi fa sovvenire s. Pietro, il quale al Salvatore, che prediceva la viltà dei discepoli suoi: – t’abbandonino tutti (protestava), non io t’abbandonerò, pronto, se fia d’uopo, a dar vita per te. – E poco dopo le generose promesse, non solo fuggiva come gli altri, ma per rispetto d’una vile fantesca e di pochi soldatacci, rinnegava tre volte il Maestro. – Gli è perciò che mi permetterete, o cari giovani, di prolungare ancora un poco la mia conversazione con voi, foss’anche a costo di annoiarvi un tantino; e lasciata da parte la lanterna magica, che, a dir vero, mostra certe cose un po’ troppo al naturale, ripigli così alla buona il mio ragionare, sempre nell’intento di aggiungervi forza a combattere e vincere e calpestare co’ vostri piedi la mala bestia che è soggetto dei nostri discorsi.     

VIVA CRISTO-RE (5)

CRISTO-RE (5)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO VI.

CRISTO, RE DELLA CHIESA

Chiesa Cattolica! Il mondo ha visto molte cose sublimi…, ma nessuna così sublime come questa. Ha visto i faraoni costruire le piramidi; ha visto Ciro fondare il suo grande impero; ha visto Alessandro Magno attraversare trionfalmente l’Asia; ha visto l’Impero Romano conquistare tutto il mondo conosciuto; ha visto Carlo Magno gettare le fondamenta del regno dei Franchi; ha visto gli eserciti dei Crociati riconquistare la Terra Santa; ha visto le magnifiche invenzioni dell’epoca attuale…; ma non c’è mai stata un’istituzione così sublime come la Chiesa Cattolica. Chiesa Cattolica! Quanto parlano di essa… coloro che la attaccano! Ma anche noi dobbiamo parlare di essa una volta per tutte. Chiesa Cattolica! Secondo il certificato di Battesimo, i vostri figli sono numerosi; ma non così tanti sono orgogliosi di chiamarsi Cattolici. Chiesa Cattolica! Quanti rimproveri dovete sopportare dagli estranei e dai vostri stessi figli! Eppure questa Chiesa Cattolica, così calunniata e perseguitata, è il dono più prezioso che Nostro Signore GESÙ CRISTO ci abbia dato.

I

CHE COS’È LA CHIESA?

Il Catechismo risponde alla domanda in questo modo: « La congregazione dei fedeli cristiani, il cui capo è Gesù Cristo e il Papa il suo vicario in terra ».  Qual era lo scopo del Signore nell’affidare l’insegnamento della sua dottrina ad un’istituzione così particolare? Nostro Signore Gesù Cristo non sarebbe rimasto sulla terra… Ha insegnato come dobbiamo amare Dio; ma conosceva bene la natura umana; sapeva quanto velocemente, quanto facilmente dimentichiamo e distorciamo la vera dottrina. Voleva, quindi, che ci fosse qualcuno che non si lasciasse ingannare, che salvaguardasse la sua dottrina, che osasse alzare la voce e vietare le false dottrine…; per questo motivo fondò la sua Chiesa.  Da più di duemila anni la Chiesa Cattolica proclama la dottrina di Cristo. Quante cose sono successe da allora… Quanti popoli, quante dinastie sono perite! Ma la Chiesa resta in piedi e lo sarà fino alla fine del mondo.  Beh, io sono un membro di questa Chiesa. C’è chi vanta un albero genealogico che risale a diversi secoli fa… E io? E io? Ho un albero genealogico che risale a duemila anni fa. Amo la Chiesa. Ne sono orgoglioso.  Ma da dove viene il mio santo orgoglio di essere Cattolico?

II

PERCHÉ AMO LA CHIESA?

Anche da un punto di vista puramente umano, abbiamo tutte le ragioni per essere orgogliosi della Chiesa Cattolica.  Dove possiamo trovare, ad esempio, un’istituzione che abbia lasciato in eredità all’umanità tanti preziosi tesori culturali come la Chiesa Cattolica? Nel giro di appena mille anni, essa è riuscita ad impiantare una splendida cultura artistica, scientifica ed economica in mezzo a popoli incivili. Salvò per i posteri i valori dell’antica cultura, destinata a perire al momento della grande immigrazione di popoli barbari. E l’educazione spirituale ed artistica che esercitò per lunghi secoli non poteva che fiorire, dando origine alla splendida cultura del Rinascimento. Solo chi sa come vivevano i popoli barbari può rendersi conto dell’importanza del lavoro culturale della Chiesa. È stato un lavoro sovrumano quello svolto dai monaci in Europa, insegnando ad arare e coltivare la terra, conservando e diffondendo la cultura, creando centri abitati, poi origine di importanti città. Per questo motivo la cultura europea è chiamata semplicemente « cultura cristiana ».  – E cosa dire del lavoro della Chiesa nel campo spirituale? Sappiamo che l’uomo è un insieme di corpo e anima, con una parte corporea ed una spirituale. La vita corporea la riceve dai genitori; la vita spirituale, quella della grazia, la deve alla Chiesa, sua Madre. Ha Gesù Cristo come Sposo e da Lui ha ricevuto il compito di far crescere la vita di grazia nelle anime, affinché diventino veramente figli di Dio.  Avevamo solo pochi giorni di vita, quando la nostra buona Madre, frettolosa e sollecita per la sorte delle nostre anime, venne da noi e attraverso il Sacramento del Battesimo restituì alle nostre anime la vita della grazia, perduta a causa del peccato originale, rendendoci figli di Dio, fratelli di Gesù Cristo, per i meriti della sua redenzione. Ma questa Madre premurosa non ha voluto abbandonarci dopo il Battesimo, perché sa bene che questa vita di grazia, il cui seme ha depositato in noi, deve crescere anno dopo anno. Ci accompagna fino all’ora della nostra morte. Ci rafforza (Parola di Dio), ci nutre (Eucaristia), ci difende (sana dottrina) e, se malauguratamente cadiamo in peccato mortale, ci ridona la vita di grazia attraverso il sacramento della Confessione. Chi può quantificare le innumerevoli cure che la Chiesa si prende durante la nostra vita per farci vivere la vita di Cristo, per farci raggiungere la vita eterna? Con questo possiamo già vedere qual sia il motivo più potente del nostro amore per la Chiesa. Dobbiamo amarla, certo, perché si preoccupa della vita della nostra anima, ma soprattutto perché Cristo vive in essa. Cristo è lo Sposo e la Chiesa è la sua Sposa. Non sono semplici espressioni poetiche, ma contengono una verità fondamentale del Cristianesimo: non si può parlare di Cristo senza pensare alla Chiesa. Se Cristo è il Re, la Chiesa è la Regina.  La vita della Chiesa è Cristo. Ciò che fa la Chiesa, lo fa Cristo. La Chiesa battezza: è Cristo che battezza. La Chiesa conferma: è Cristo che conferma. Sacrifica la Chiesa: è Cristo che si sacrifica. La Chiesa assolve…, benedice…, prega: è Cristo che assolve, benedice e prega. Sì: la Chiesa è la continuazione della vita di Cristo. Il Sacerdote, il Vescovo, il Papa, non sono che ministri, vicari di Cristo.  Cristo è il centro della Chiesa. Ecco perché le chiese cattoliche sono costruite intorno all’altare; l’altare rappresenta Cristo, sacerdote e vittima.  La Chiesa Cattolica è Cristo stesso, che continua a vivere in mezzo a noi. Ci rendiamo conto di cosa significhi? La Chiesa non è una filosofia, per quanto splendida possa essere, né una morale lodevole. La Chiesa Cattolica è il Cristo che rimane in mezzo a noi.  Cristo vive in mezzo a noi nel tabernacolo. Cosa fa il Signore lì? Continua a lavorare, a fare il bene: « Oggi come sempre il Padre mio opera incessantemente e io faccio altrettanto » (Joan. V: 17). Nella Chiesa abita l’Amore divino, la Sapienza eterna, Dio onnipotente, la Provvidenza divina…; lì abita il Re.  Ma abbiamo bisogno degli occhi della fede per rendercene conto. Pensate a Lui, per esempio, quando passate davanti a una Chiesa? Vi recate spesso al tabernacolo, partecipate alla santa Messa, vi sentite spinti ad entrare per salutarlo? Dimmi con quale forza ti senti attratto dal tabernacolo…, e ti dirò se sei Cattolico o meno. Sì, questo contatto vivo e amoroso dell’anima con Cristo è la Religione Cattolica, è la Chiesa. Come posso dire di amare Cristo se non penso mai a Lui? Penso ai commerci, agli altri affari, allo sport, ai divertimenti…; quando penso a Cristo? Misura il tuo grado di fede e di amore. Se siete meno attratti dal tabernacolo che da altre cose…, siete malati di cuore. E la maggior parte dei Cristiani oggi soffre proprio di questa malattia. Tutto li interessa, tutto li attrae, tutto li soddisfa…; ma chi ama Cristo?  Voglio amarlo…, voglio amare la Chiesa. E attraverso di lei, amare Cristo.

III

COME DEVO CONSIDERARE LA CHIESA?

Alla luce dei principi sopra esposti, tutte le difficoltà che possono sorgere troveranno una soluzione:

1. Pagine oscure nella storia della Chiesa.

Tutto ha un inizio su questa terra: tutto nasce, cresce e muore. Da bambino si diventa giovane, maturo, anziano, e alla fine si muore… Anche gli imperi più potenti hanno avuto la loro infanzia; la loro crescita, l’età d’oro, l’apogeo, poi la decadenza, la prostrazione e la fine. Anche la Chiesa Cattolica, poiché ha una componente umana, sperimenta in qualche modo nella sua storia tempi di prosperità e tempi di decadenza, ma rimane sempre e non muore. Inoltre, ci sono stati momenti in cui la Chiesa Cattolica, umanamente parlando, sembrava destinata a scomparire: « Ora, ora, ora! – I suoi nemici hanno gridato con entusiasmo: – Sta agonizzando, è chiaro che è arrivata la sua fine ». Ma ora arriva la cosa mirabile: proprio nel momento peggiore, la Chiesa ha riprende nuovo brio e, in modo incomprensibile, si è consolidata e ringiovanita.  Quale forza misteriosa ha la Chiesa per resistere a tutte le leggi umane e ringiovanire quando era sul punto di soccombere? Questa forza misteriosa dimostra chiaramente che la Chiesa Cattolica non è una semplice istituzione umana, ma un’istituzione divina che ha la promessa del NOSTRO SALVATORE: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla consumazione dei secoli » (Mt XXVIII, 20). Per dimostrarlo, non è necessaria la fede; è sufficiente conoscere la storia.  – 2° La convinzione che la Chiesa Cattolica sia la vera Chiesa. Questo è un altro rimprovero con cui viene attaccata. La Chiesa è consapevole di essere la vera Chiesa e per questo, ad esempio, non permette che nei matrimoni misti una parte dei figli venga educata in un’altra religione; non permette che, dopo aver benedetto una bandiera, un’altra religione la benedica.  – E lo fa non perché sia intollerante, ma perché è un’esigenza di verità. Due affermazioni contraddittorie sulla stessa cosa non possono essere vere allo stesso tempo. Due più due – non importa quante volte lo diciamo – non farà mai cinque. Pensiamo a quale indifferenza religiosa, quale declino della fede si scatenerebbe se la Chiesa Cattolica non fosse sicura di essere nella verità. Che nessuno si scandalizzi se lo dico sinceramente: Nel momento in cui la Chiesa Cattolica mi dicesse: « Va bene, non mi interessa se le altre religioni siano buone e vere o meno… » sarei il primo ad abbandonarla. Perché, allo stesso modo, nemmeno la Religione Cattolica sarebbe buona e vera.  Ma insistiamo su questo punto. Non disprezziamo le altre religioni. Per niente; stimiamo solo la nostra. Non odiamo le altre religioni. No, noi amiamo la Chiesa Cattolica. La amiamo perché crediamo che in essa viva la dottrina di Cristo, Cristo stesso; la amiamo perché Cristo Re l’ha fondata.

* * *

Non sappiamo apprezzare ciò che significhi essere Cattolici. Coloro che di solito ci riflettono sono quelli che non sono nati come tali e che, dopo lunghe lotte spirituali, sono arrivati nel seno della Chiesa. Non molto tempo fa è stato pubblicato il libro di una famosa scrittrice tedesca, Maria Bretano, Come Dio mi ha chiamato. L’autrice è passata da ballerina a suora benedettina. Ma quanto ha dovuto cercare, soffrire, lottare prima che ciò che aveva immaginato un giorno si realizzasse. , Ma quanto ha dovuto cercare, soffrire, lottare prima che un giorno si realizzasse ciò che aveva immaginato: “Se dovessi avere fede, potrei essere solo Cattolica! Sapeva cosa significasse essere Cattolici.  Non lo apprezziamo adeguatamente. Lo scolaro protestante, studente di medicina, che un giorno venne a trovarmi e mi disse con profonda nostalgia: « Signore, se fossi Cattolico, quanto spesso mi confesserei! »   Sai cosa significhi essere Cattolici? Mi trovavo in America proprio quando in Messico scoppiò la più vergognosa persecuzione dei tempi moderni contro i Cattolici. All’incredibile violenza dei massoni, la Chiesa rispose annunciando la sospensione di tutte le cerimonie religiose a partire dal 1° agosto 1926, per costringere il popolo messicano, interamente Cattolico, a prendere posizione contro il governo massonico ed oppressivo. Quando si diffuse nel Paese la notizia che il 1° agosto tutte le chiese sarebbero state chiuse, e che non ci sarebbero state Messe, né Confessioni, né Comunioni, né amministrazione dei Sacramenti della Cresima e del Matrimonio…, tutto il popolo cattolico del Messico ebbe un sussulto di dolore. Da terre lontane, dopo una faticosa marcia di diversi giorni, lunghe carovane di messicani sono arrivate nelle città e lì, per l’ultima volta, hanno invaso i recinti delle chiese, per poter confessare e ricevere per l’ultima volta il Sacratissimo Corpo di Gesù Cristo…. Migliaia di persone accorrevano ogni giorno per ricevere la Cresima e il Battesimo… e con dolore aspettavano il 1° agosto, quando tutto sarebbe cessato….  Quegli uomini sapevano cosa significasse essere Cattolici. Anche gli ungheresi sapevano cosa significasse la Chiesa quando le chiese furono chiuse nei giorni bui del comunismo. « Che la mia lingua si secchi e si attacchi al tetto della mia bocca se mi dimentico di te, o Gerusalemme » (Salmo CXXXVI: 6). Questo è ciò che si dicevano gli ebrei quando erano prigionieri in esilio. È lo stesso sentimento che viene suscitato nei cattolici quando la Chiesa è perseguitata e oppressa. Chi apprezza la Chiesa non si preoccupa di essere deriso in fabbrica o in azienda quando deve difenderla se viene attaccata ingiustamente. Rimanere fedeli alla Chiesa Cattolica significa rimanere fedeli a Gesù Cristo. Perché è la Sposa di Cristo. Cristo è il Re della Chiesa. Siamo orgogliosi di chiamarci Cattolici.

VIVA CRISTO RE (6)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (3)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (3)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

VII. ESEMPI

Cari giovani, giovani generosi e bennati, m’accorgo che cosiffatti esempi vi piacciono, vi consolano, vi esaltano l’anima. Toglietene un altro levato di peso dalle s. Scritture. – « Eleazaro adunque; uno dei primi dottori della legge, uomo d’età avanzata e di venerando aspetto, volean quelli (i pagani) costringere a mangiar della carne di porco, aprendogli a forza la bocca. Ma egli, preferendo una gloriosissima morte ad una vita da vigliacco, volontariamente s’incammina al supplizio. E mirando a quel che gli conveniva fare, serbando stabile la pazienza, determinò di non far cosa illecita per timor della vita. « Ma quelli ch’eran presenti (suoi amici e congiunti), tocchi d’iniqua compassione, e per l’amore che a lui porvano da lungo tempo, prendendolo a parte, lo pregavano a permettere che si portassero delle carni di quelle che potevansi mangiare per fingere d’aver mangiato, secondo l’ordine del re, delle carni del sacrificio, affinché per tal mezzo si liberasse dalla morte: e questa umanità usavano con lui per l’antico affetto che gli portavano. Ma egli investitosi d’altri sentimenti degni di sua età e vecchiezza, memore dell’antica sua nobiltà e dell’ottima maniera di vita osservata fin da fanciullo, secondo i dettami della legge santa di Dio; rispose pronto e disse che avrebbe preferito l’inferno. Perocché (diss’egli) non è cosa conveniente alla nostra età il fingere: e di ciò n’avverrebbe che molti giovani, immaginandosi che Eleazaro di novant’anni fosse passato alla vita dei gentili, eglino pure per la mia finzione, e per questo poco di vita corruttibile, cadrebbero in errore; ed io, alla mia vecchiezza procaccerei infamia ed esecrazione. –  Perocché, quand’anche potessi io adesso sottrarmi al supplizi degli uomini, non potrei però né vivo né morto fuggire di mano all’Onnipotente. – Per la qual cosa, fortemente morendo, darommi a conoscere degno della mia vecchiezza; e un grand esempio lascerò alla gioventù, sopportando con animo volenteroso e costante una morte onorata per le gravissime e santissime nostre leggi. – E detto questo veniva trascinato al supplizio…. E mentre martoriando il coprivano di piaghe, gettò un sospiro e disse: – Signore, Iddio santo, che tutto vedi e conosci, tu sai che io potevo liberarmi dalla morte, e vedi i dolori atroci ch’io sostengo nel mio corpo, ma secondo lo spirito volentieri patisco tali cose per rispetto di te. – E in tal modo finì di vivere, lasciando, non solo al giovani, ma anche a tutta la nazione, la memoria della sua morte per esempio di fortezza e di virtù. – D’esempi cosiffatti ce ne somministra non pochi la storia antica sacra e profana; ma per trovarli a migliaia bisogna volgersi a’primi secoli del Cristianesimo, i secoli dei martiri. Oh quelli là sì ch’erano uomini e Cristiani! E che esercito immenso!… figuratevi, che sì contano a milioni. E quel che più ci fa meravigliare, e dirò ancora meglio, vergognare della nostra piccolezza, gli è che  quei tempi là gli stessi fanciulli e le delicate fanciulle, ci appaiono giganti. – Togliete s. Agnese. Fanciulla di tredici anni, bella, ricca, nobile, vagheggiata, invidiata da tutta Roma … Quanti giovani patrizi sospiravano a guardarla! Quanti principi ambivano la sua mano! I parenti stessila sollecitavano alle nozze, le avevano preparato lo sposo; ma la fanciulla, occultamente cristiana, a Cristo aveva votato il suo fiore, e: – che nozze, che sposo mi dite? Ah io l’ho già lo sposo! Uno sposo che mi ha eternamente inanellata con la sua gemma, uno sposo che ha cinto il mio collo di celestiali margarite, uno sposo che col castissimo bacio fa rifiorire vie più candidi e belli nel cuor mio i gigli della mia verginità. – Scoperta cristiana e tratta ai tribunali, sprezza le lusinghe, sorride alle minacce; posta ai tormenti, mentre il gentile corpicello è lacerato dai pettini ferrati, fissa gli occhi lucenti al cielo e pur favella con lo sposo; trascinata al supplizio, vi si avvia con passo così franco, con fronte così serena, che se a vece di catene fosse cinta di rose, l’avreste tolta in cambio d’una sposa che s’avvia alle nozze sospirate. – Si giunse al luogo fatale: mezza Roma era corsa al pietoso spettacolo! Ecco il ceppo funereo, e presso ad esso ritto in piedi il carnefice, che appoggiato il, fianco sulla scure, aspetta la sua vittima. Agnese vi corre bramosa col sorriso sulle labbra, s’inginocchia, china il capo, incrocia le braccia sul petto, prega alquanto in silenzio. Indi levata la testa, e girato sul folto cerchio dei pagani uno sguardo raggiante, piega il biondo capo sul ceppo e sguardando al carnefice: — suvvia! percuoti; son pronta. — A questo punto un brivido corre per l’ossa ai riguardanti, un suon confuso di gemiti e di sospiri si diffonde all’intorno, e: — povera agnelletta! (s’ode sussurrar d’ogni parte) Salvatela! non merita la morte. – Il carnefice si turba, impallidisce, sente anch’egli qualche cosa nel cuore … Alza il braccio colla scure, ma a guardare quella bionda testina, quel volto di rosa, quella pace, quella calma diffusa sull’angelica sembiante, il braccio gli trema; il colpo non scende …Agnese, che cogli occhi socchiuse aspetta l’istante che deve congiungerla allo sposo, gli apre anco una volta, e guardando il carnefice: – che non percuoti ancora? … cadde la scure sul candido collo, e l’anima bella col volo della colomba levossi al cielo. O generosa verginella del Signore, deh! Un poco della tua fortezza spira in petto ai giovanetti cristiani! – Nobile generoso giovine era pure Sebastiano. Iscrittosi fin dai primi anni alla milizia, aveva dato prove di tal valore che Diocleziano il volle alla corte tribuno della prima coorte e l’ebbe carissimo più anni. Occultamente Cristiano, i Cristiani favoriva e soccorreva largamente d’oro, di opera e di consiglio; di che scoperto e denunziato all’imperatore, tentato invano or colle carezze, or colle minacce, fu condannato alla morte; esecutori della sentenza quegli stessi soldati che poc’anzi ubbidivano ai suoi cenni. Ed ecco il valoroso tribuno, uso altre volte a combattere come un leone contro i nemici della patria, mutato in mansuetissimo agnello, lasciarsi prendere e legare dai soldati. Lo traggono in un bosco, gli strappano l’armi onorate e le vesti, lo legano ad un tronco; indi ritrattisi addietro quanto è un trar di pietre, dar di piglio ai giavellotti, e fra il crosciar delle risa e degli scherni brutali frecciarlo a gara, qual fosse una belva. Volavano fischiando per aria gli strali, e penetrando nelle candide carni, le rigavano di sangue. Il martire cogli occhi al cielo pregava. E già il suo corpo era tutto irto di frecce, il sangue scorreva a rivi e faceva pozza ai suoi piedi; quando fu visto volgere gli occhi errabondi, e piegare il capo sulla spalla. – Morto, è morto! – gridano i soldati; raccolgono l’armi, dan di piglio alle vesti dell’ucciso, ne scuotono il denaro, sel dividono altercando fra loro, e in sul partire, volgendo anco uno sguardo alla vittima, or l’uno, or l’altro, gli mandano, beffando, il saluto: — Addio, bel tribuno. — Ormai potete essere contento de’ vostri soldati. — Sicuro! e v’han servito per bene. — Addio, dormite il buon sonno. — Questi pochi ce gli andremo a bere alla vostra salute. — Cala la notte e la luna levasi tacita a compier suo viaggio pei campi solitari del firmamento. Il corpo di Sebastiano è pur là candido e vermiglio che pende legato dal tronco, come un giglio cui l’uragano ha piegato sul fragile stelo. Ma sta: sentesi un fruscio tra le piante: chi viene? Una giovine donna in abito dimesso, neglette le chiome, cogli occhi pregni di lagrime, s’appressa al sacro corpo, si prostra, gli bacia i ginocchi, lo bagna di pianto. Indi levatasi, si ritrae alquanto. e volta a due servi che silenziosi l’han seguita sin là: — scioglietelo, dice loro. — Sciolto il corpo, e distesolo su un candido lenzuolo facean prova di svellerne gli strali dalle carni, quando sentono, o par loro, un sospiro: Ei vive ; vive ancora! — La donna di subito si china sul corpo, gli pone la mano sul cuore e: (ripete) vive ancora. Oh Dio, ti ringrazio! Il santo martire è portato a casa d’Irene, trattato dalla pia donna con infinite cure e rispettoso amore; tantoché a poco a poco sì rimargina ogni ferita e Sebastiano torna sano e vigoroso come prima. — Giovani miei, or che credete facesse Sebastiano di una vita così prodigiosamente recuperata. Non conoscete ancora il giovine valoroso. Ei presentasi all’imperatore mentre usciva di palazzo circondato dai suoi favoriti, scortato dalle sue guardie, e con fronte alta e ferma voce: – Mi conosci tu, o imperatore? … Diocleziano allibisce, trema, s’arresta, e con voce soffocata dallapaura: – Sebastiano!…. Chi ha richiamato in vita costui? … – Il mio Dio (risponde Sebastiano) il mio Dio mi ha salvato prodigiosamente la vita; e questo Dio onnipossente or mi manda a te ad intimarti: cessa dall’incrudelire più oltre nel sangue cristiano, se no, l’ira del cielo…. — L’ira del cielo sovra te, sciagurato! (gli tuona contro l’imperatore). Guardie, incatenatemi costui e flagellatelo a morte. Così fu fatto, e Sebastiano due volte martire lasciò in quel momentola vita. – O invitto eroe di Cristo, volgi uno sguardo dal cielo sulla care gioventù; e intenda una volta qual è valor d’uomo e virtù di cristiano.

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (4)

VIVA CRISTO-RE (4)

CRISTO-RE (4)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO V

CRISTO, RE DELLA PATRIA ETERNA

Passiamo ora all’affare più importante: quello della vita eterna. Possiamo dividere i Cattolici in tre tipi. Ci sono Cattolici battezzati (Cattolici non propriamente Cristiani, ma Cattolici cristianizzati) che, pur essendo Cattolici secondo il loro certificato di Battesimo, conducono una vita che non è affatto cristiana. Sono i rami secchi dell’albero della Chiesa. Ci sono poi i Cattolici della domenica, che sono Cattolici solo la domenica, quando vanno a Messa, ma per il resto della settimana non lo sono più, e si nota appena. Sono i figli malati. Grazie a Dio, c’è un terzo gruppo: i Cattolici di tutti i giorni, che non vanno in Chiesa solo la domenica, ma sono Cattolici tutti i giorni della settimana, e cercano sempre di fare la volontà di Dio, pregano un po’ ogni mattina e si confessano spesso. Sono coloro che vanno a letto la sera con questo pensiero: « Mio Signore, oggi ho vissuto come avrei dovuto? Siete contento di me?  Pensiamo che se non ci sono molti apostoli, è perché ci sono pochi Cattolici di tutti i giorni. Ma perché ci sono così pochi Cattolici che vivono la loro fede ogni giorno? Perché non pensiamo alla vita eterna, come hanno fatto i Santi! Perché non abbiamo gli occhi fissi su Dio, sulla vita eterna, sull’aldilà. Quando le prove ci sommergono, non sappiamo alzare gli occhi al cielo come fece il primo martire della Chiesa, Santo Stefano: “Alzati gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù alla destra di Dio” (At. VII, 55). I Santi erano uomini come noi, hanno dovuto lottare e hanno incontrato sul loro cammino gli stessi ostacoli o di più grandi di quelli che abbiamo incontrato noi; gli avversari che li hanno combattuti erano, più o meno, come quelli che attaccano noi; le stesse tentazioni e difficoltà…. Ma essi meditavano continuamente su queste tre domande: Chi è Dio? Qual è il fine di questa vita terrena? E cos’è la vita eterna? Potremmo dire che quando sentivano il peso della vita, “… fissavano gli occhi al cielo e vedevano la gloria di Dio e di Gesù, che era alla destra del Padre”.

Chi è Dio per me? Molti, anche se non lo confessano apertamente, la pensano così: Dio è un essere altissimo, eccelso, maestoso, sovrano di tutto, che sta in cielo, lontano, che viene venerato ogni domenica… ma che non conta nulla nella vita quotidiana, nel lavoro, nella casa, nella società, nella politica… Ma i Santi non la pensavano così. Per loro Dio non è lontano. È in mezzo a noi, ovunque. Ovunque mi giri, in Lui « vivo, mi muovo ed esisto ». Non potrò mai fuggire dalla Sua presenza. Noi, se siamo sopraffatti dagli ostacoli, dalle difficoltà, ci disperiamo e diciamo: « Mio Dio, merito tutto questo, perché mi punisci? ». In questo modo, facilmente ci raffreddiamo nel nostro amore per Dio. E i Santi? I Santi vedevano la volontà del Signore in ogni cosa. Noi ci ribelliamo quando siamo feriti dalla malattia o dalla sfortuna. Cosa facevano i Santi in queste circostanze? Baciavano la mano di Colui che li castigava: « Padre, punitemi; eccomi, eccomi, castigatemi, mettetemi tra le fiamme, purché mi mostriate misericordia nell’eternità » (SANT’AGOSTINO). Noi ci lamentiamo: « Quanti problemi mi provoca questo malato, quanto è insopportabile quest’uomo! » E i Santi? Si sono detti: «”Quest’uomo è fratello di Cristo, e qualsiasi cosa io faccia per lui, la faccio per Cristo ». E alcuni arrivavano persino a baciare le ferite dei malati, per vincerere se stessi. Quanto siamo lontani dai Santi nel nostro modo di pensare a Dio!

Qual è il fine di questa vita terrena? Cosa significa per me questa vita? Per alcuni questa vita non è altro che una ricerca di piaceri peccaminosi. Per altri, si tratta di una mera somma di anni, metà dei quali trascorsi a sognare con nostalgia: « Come stavo bene », e l’altra metà con paura: « Cosa ne sarà di me in futuro? » Ci sono persone che considerano questa vita come un continuo dolore il cui unico scopo è quello di ottenere un po’ di conforto; questo e nient’altro. Come quel vecchio malato a cui il medico consigliò una cura molto costosa e che si lamentò con lui dicendo: « Vede, dottore, che strano è quest’uomo. In gioventù dà la salute in cambio del denaro; e quando invecchia, dà il denaro in cambio della salute ». La verità è che non siamo mai soddisfatti. Pensiamo sempre che gli altri stiano meglio di noi. Ci comportiamo come quel tagliapietre cinese. Un giorno, mentre stava noiosamente scalfendo la pietra, riflettendo sulla monotonia della sua vita, gli passò accanto l’imperatore, accompagnato da un brillante seguito. Era appollaiato su un enorme elefante, sotto un baldacchino d’oro; la sua corona scintillava di diamanti; un magnifico esercito di ministri, soldati e cortigiani lo accompagnava. Lo scalpellino ammirato si disse: “Oh, se solo potessi essere imperatore! E nello stesso istante si trasformò in un imperatore. Ora era lui a sedere sotto un baldacchino d’oro; era signore di milioni di uomini, e al suo gesto i ministri e i capi dell’esercito si inchinavano a terra. Ma quel giorno il sole era troppo caldo e l’imperatore continuava ad asciugarsi la fronte. Alla fine si arrabbiò, perché vide che il sole era più forte di lui. Ed esclamò con rabbia: -Voglio essere il sole! Nello stesso momento si trasformò in sole. Era a suo agio, splendente nella volta celeste, ed emanava così tanto calore che gli uomini e gli animali della terra camminavano ansimando…, l’erba si seccava e la terra si spaccava. E questo lo divertiva molto. Ma all’improvviso una densa nube nerastra gli si parò davanti. Il sole cercò di irradiare più calore, ma invano: i raggi non riuscivano a penetrare la densa nuvola. Saltò in piedi per la rabbia ed esclamò: -Voglio essere una nuvola! E si trasformò in una nuvola. Con furia sfrenata fece cadere la pioggia sulla terra; i torrenti e i fiumi, pieni d’acqua, ruppero gli argini, la corrente spazzò via le case, gli uomini furono annegati, ma la pioggia non fu sufficiente… infatti un gigantesco masso si ergeva inamovibile al suo posto. La nuvola esclamò con rabbia: – Ma cos’è questo? Questo masso osa sfidarmi? Voglio essere un masso! E divenne un masso. Era soddisfatto. Rimase orgogliosamente al suo posto e non fu danneggiato né dall’arsura del sole né dalla pioggia delle nuvole. Ma un giorno arrivò un uomo che gli conficcò un becco affilato. – Oh, cos’è questo?, gridò il masso. Questo scalpellino è più potente di me? Voglio essere uno scalpellino! E in quel momento tornò ad essere uno scalpellino. E da quel momento in poi fu felice della sua sorte. – È così anche per noi: trascorriamo la nostra vita in un costante sgomento. I Santi non la pensavano così. Per loro la vita era compiere la volontà di Dio giorno per giorno. Per loro l’anima era una veste bianca che dovevano mantenere immacolata fino al giorno della morte, così come il Padre celeste l’aveva data loro. Per loro la vita era un accumulo di ricchezze di valore eterno, non di inutili cianfrusaglie arrugginite o tarlate. Non vivevano nel ricordo del passato o nella paura del futuro. Per loro c’era solo una cosa importante: oggi, in questo momento, qual è la volontà di Dio, come posso accumulare tesori per la vita eterna? Sì, per la vita eterna! E con questo arriviamo alla terza domanda, la più importante e decisiva, da cui dipende tutto:

Che cos’è per me la vita eterna, come la valuto, penso costantemente al cielo? Sappiamo come gli Apostoli hanno vissuto e sono morti, con lo sguardo rivolto alla vita eterna. Quando Pietro fu inchiodato alla croce con la testa in basso, cosa gli diede forza? Quando Andrea abbracciò con amore la croce prima di morire, cosa lo incoraggiò? Quando Paolo chinò il capo sotto la scure del boia, cosa gli diede animo e coraggio? La Vita eterna! Essi Videro i cieli aperti e Cristo Re alla destra del Padre. È la stessa cosa che hanno fatto i martiri, mentre venivano sbranati dalle bestie feroci. Anche i Santi hanno spesso vissuto pensando alla vita eterna. Le sofferenze patite non sono nulla in confronto alla felicità di cui godono ora .. qui, lacrime, sudore, lotte…; là, perle preziose della corona celeste. Davanti ad una simile prospettiva, pensavano, vale la pena di soffrire.

Credo davvero nel Cielo?

Ogni volta che recitiamo il Credo lo confessiamo a parole: « Credo nella vita eterna ». Non siamo forse di quelli che dicono: « forse, forse…, chissà, forse c’è qualcosa dopo la morte »… Sono forse come quel soldato della fede che nel bel mezzo della battaglia pregava così? «”Mio Dio (se Tu esisti) salva la mia anima (se c’è un’anima), affinché io non sia condannato (se c’è una condanna), e così possa ottenere la vita eterna (se c’è vita oltre la morte) »? La mia fede è più solida di questa fede traballante? Credo fermamente che ci sia la vita eterna, che vivrò in eterno? Qualcuno obietterà, forse, che nella tomba tutto marcisce, tutto diventa polvere…, e quindi come può nascere la vita lì? Il chicco di grano seminato in autunno potrebbe dire la stessa cosa: intorno a me tutto è marciume, fango, ghiaccio…, come può nascere la vita qui? Eppure nascerà, e che germoglio vigoroso spunterà in primavera! Mi si dirà: « Tutto è così immobile nella tomba! Come può germogliare la vita lì? » Lo stesso si potrebbe dire del verme quando si chiude nel suo bozzolo e giace come morto nella sua bara per settimane. Eppure, che farfalla dai colori cangianti emerge dalla crisalide, apparentemente morta! Tutto cade, tutto perisce…. Posso dunque affermare che esiste la vita eterna? Mio padre viene seppellito, mia moglie muore…; so dire nonostante tutto: c’è la vita eterna? Sono vicino al peccato, sto per cadere nelle sue insidie…; so come incoraggiarmi a resistere confessando che c’è la vita eterna? Le disgrazie quasi mi schiacciano…; so come consolarmi con questa fede: c’è la vita eterna? Se non c’è un “aldilà”…, allora questo mondo è folle; non serve a nulla l’essere onesti; si apre un ampio campo all’inganno ed alla rapina; l’importante è godersi questa vita il più possibile. Ma cosa devo dire? Se non c’è vita eterna, allora Dio è crudele, allora non c’è Dio; perché non è possibile che ci abbia creato per questa vita miserabile, solo per questa vita terrena. San Paolo non la pensava diversamente quando disse: «”Che mi giova aver combattuto contro bestie feroci a Efeso, se i morti non risorgono? In tal caso, pensiamo solo a mangiare e a bere, perché domani moriremo » (cfr. I Cor XV, 32). Ricordiamo ancora una volta la lezione che ci hanno dato i Santi. Per loro la vita eterna era la vera vita e questa vita di sotto era solo un’ombra. Per essi la vita eterna era il grande libro e questa vita qui era solo il prologo, l’introduzione al libro. Per loro la vera patria era la vita eterna, mentre questa vita sulla terra non era che una «”valle di lacrime ». Eppure sapevano come rallegrarsi quando la giornata era soleggiata. Sapevano godersi il cinguettio degli uccelli. E anche loro hanno combattuto e fatto il loro dovere. Per farlo in modo eroico come hanno fatto, hanno attinto forza dal pensiero della vita eterna. Vivevano con il desiderio del paradiso. Noi Cattolici desideriamo la nostra vera patria, ma non per questo odiamo questo mondo. Questo desiderio ci spinge ad essere coraggiosi. Questo desiderio ci fa dimenticare i nostri dolori. Questa nostalgia ci spinge a pregare quando le disgrazie o le angosce ci opprimono. Così possiamo sorridere a noi stessi nei giorni più bui; sappiamo che tutte le nostre disgrazie sono ordinate da Dio per il nostro bene. Quando il cielo è nuvoloso e scuro, so che sopra le nuvole splende il sole. Al di sopra delle disgrazie di questa vita, c’è la vita eterna.

4º C’è un pensiero che può aiutarmi molto: che ne sarà di me tra novant’anni? Sarò a casa. A casa? Non certo qui, non in una tale o tal’altra città o villaggio, ma nella mia vera casa, in cielo, nella patria eterna. Dio mi conceda di essere nella prossima vita in cielo, a gioire con Dio; allora ricorderò tutta la mia vita come un sogno. Per quanto difficile possa essere stato, per quanto pieno di gioia…, non sarà altro che un sogno. Oh, come mi ricordo di questa o di quella cosa; pensavo che non avrei mai potuto separarmene, e ora… vedo che era una sciocchezza. Ho sofferto molto, ho sofferto, e ora… vedo che sarebbe stato molto vantaggioso soffrire ancora di più per amore di Dio. Come ci sembrerà tutto diverso da lassù, per tutta la vita! Cosa siete stato sulla terra? Un ministro? Ebbene, ciò che vi interessa ora non è la carica che avete ricoperto, ma se siete stati onorevoli e avete fatto il vostro dovere. Siete stato un insegnante? Ora, ciò che vi riempie di gioia non è il numero di libri che avete scritto, ma se avete nobilitato l’anima dello studente che vi è stato affidato. Cosa siete stato, un imprenditore? Non siete più orgogliosi delle imprese che avete gestito, ma di essere stati fedeli a Dio facendo la Sua volontà e non facendo affari illeciti. Che cosa siete stata? Una madre di famiglia? Ciò che vi consola non è il prestigio sociale che avete raggiunto nella società, ma il fatto che abbiate insegnato ai vostri figli a pregare, mattina e sera. E direte con sorpresa: Mio Dio, che capricci ho fatto per così poche cose! E ancora: perché ho taciuto quando avrei potuto interrompere quella conversazione immorale? Quante anime avrei potuto salvare! Perché sono stato vigliacco? Perché ho dato libero sfogo ai miei desideri malvagi? Perché non mi sono mai rifiutato nulla? Come ho potuto dare credito a tante parole vuote e frivole? E c’è un dato che non può essere discusso. Qualsiasi pentimento sarà allora troppo tardivo. – Non è troppo tardi ora. È il momento giusto per imparare la grande saggezza: dobbiamo dirigere tutta la nostra vita, tutte le nostre azioni, verso la vita eterna. Tutti noi passiamo attraverso abbondanti sofferenze e prove. Non sprechiamoli inutilmente. La vita è spesso, per tutti noi, un martirio. Che le nostre sofferenze ci servano per raggiungere la corona eterna. Solo così saremo vincitori e non vinti. Solo così arriveremo a casa, la nostra casa celeste, dove ci aspetta nostro Padre e Gesù Cristo Re. Dobbiamo essere pilastri, rocce e non sabbia, terreno melmoso. Solo così potremo resistere in questo mondo moralmente corrotto. Il pilastro non vacilla. La roccia non vacilla di fronte al torrente impetuoso del peccato. Soffro per questo? Faccio fatica a rimanere così? È possibile. Cado? No, non cadrò! Cristo è il Re della vita eterna e io voglio ereditarla. Dio mi ha creato per la vita eterna, e lì mi aspetta… a patto che io perseveri con Lui. Devo lavorare di giorno, finché c’è luce, prima che il sole tramonti, prima che la morte mi assalga.

II

Una storia russa racconta di un contadino che viveva felicemente nel suo lontano paese; non era ricco, ma aveva abbastanza per vivere felicemente…. Finché un giorno gli capitò tra le mani un giornale maledetto. In quel giornale lesse la notizia che nella terra della tribù dei Bashkir c’erano ancora grandi territori non occupati e che c’era un’usanza secondo la quale, se qualcuno nelle prime ore del mattino avesse deposto un berretto pieno di rubli d’oro ai piedi del capo dei Bashkir, sarebbe potuto diventare proprietario di tutti i territori che avrebbe potuto circondare in un giorno, a una condizione: sarebbe dovuto tornare nello stesso luogo da cui era partito prima del tramonto. Vendette tutti i suoi beni e riuscì a raccogliere solo l’oro sufficiente per riempire il suo cappello. Dopo un lungo pellegrinaggio, arrivò nella terra dei Bashkir. Il capo confermò la promessa e diede anche un buon avvertimento al contadino: « Prima del tramonto dovrai essere di nuovo qui, su questa collina da cui stai partendo per il tuo viaggio. Perché se venite un minuto dopo…. avrete perso l’oro e la terra ». All’alba, con il cinguettio degli uccelli, il contadino si mise in viaggio con grande gioia. Com’era bella la campagna! Tutta questa terra sarà mia! Il pensiero lo riempì di soddisfazione. Qui le mie colture ondeggeranno…; laggiù, un piccolo bosco…, magnifico!…, anch’io lo farò girare. Laggiù il pascolo…; lo recingerò anch’io, deve essere anche mio. Stava camminando…, l’uomo stava camminando…. Era già mezzogiorno. Non sarebbe male tornare indietro. Ma no. Là, più lontano, c’è un pezzo di terra anch’esso magnifico…; no, non posso lasciarlo…, andrò più veloce sulla via del ritorno. Ma quel pezzo di terra era più grande di quanto pensasse. Non importa, torno indietro di corsa. Alla fine si voltò e si mise sulla via del ritorno. Il sole stava calando rapidamente. Non sarà sbagliato andare un po’ più veloce. Il capo e gli uomini sembravano salutarlo. Ma quanto sono ancora lontani! Naturalmente, ora deve andare in salita. Prima andava in discesa, ed è così facile andare in discesa e così difficile andare in salita! Allunga le braccia e inizia a correre in salita. Ma anche il sole sta calando velocemente. Oh, se solo arrivasse in tempo. Dall’alto gli fanno cenno, sente già le voci. Comincia a sentire il cuore che batte all’impazzata e sembra che un coltello affilato gli stia tagliando i polmoni. Corre, corre senza tregua: « Ahimè, forse tutto è perduto! ». Il volto infuocato del sole lo sta già guardando dall’orizzonte lontano. Gli occhi del contadino si annebbiano e nella sua mente emerge improvvisamente un pensiero terribile: « Terra, denaro, lavoro, vita, tutto, tutto è perduto! È stato tutto inutile! ». Raccoglie le forze che gli sono rimaste: si aggrappa all’erba, barcolla, cade, si rialza. Si vede solo un pezzetto di sole: i suoi ultimi raggi cadono proprio sull’oro che brilla nel cappello…. L’oro brilla…, no, non deve essere perso…, mancano solo venti metri…, ancora dieci…, ancora cinque…. E poi, poi il sole … il sole tramonta, il contadino vacilla e crolla, il sangue gli inonda gli occhi, qualche altra convulsione… e muore! Il capo lancia una zappa a uno dei suoi servi: « Scavate una fossa lunga due metri e profonda un metro. Questa terra è sufficiente per un uomo solo ». Così poca terra è sufficiente per un solo uomo! E corriamo! E ci spingiamo a vicenda! E soffriamo! E ci consumiamo! E il sole tramonta…, giù, giù, giù, giù… Non dimentichiamo quindi che, prima che il sole tramonti, dobbiamo tornare al luogo da cui siamo usciti, all’inizio della nostra vita…, dobbiamo tornare… a casa…, alla casa del nostro Padre celeste.

VIVA CRISTO-RE (5)