MESSA DI CAPODANNO 2023

MESSA DI CAPODANNO (2023)

CIRCONCISIONE DI N. SIGNORE E OTTAVA DELLA NATIVITÀ.

Stazione a S. Maria in Trastevere

Doppio di II classe. – Paramenti bianchi.

La liturgia celebra oggi tre feste: La prima è quella che gli antichi sacramentari chiamano « nell’Ottava del Signore ». Gesù è nato da otto giorni. Così la Messa ha numerosi riferimenti a quelle di Natale. La seconda festa ci ricorda che, dopo Dio, noi dobbiamo Gesù a Maria. Cosi un tempo si celebrava in questo giorno una seconda Messa in onore della Madre di Dio nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Ne è rimasta una traccia nella Orazione, nella Secreta e nel Postcommunio, che sono prese dalla Messa votiva della SS. Vergine, e nei Salmi dei Vespri, tolti dal suo Officio. – La terza festa, infine, è quella della Circoncisione, che si celebra dal VI secolo. Mosè imponeva questo rito purificatore a tutti i bambini Israeliti, l’ottavo giorno dalla loro nascita (Vang.). È una figura del Battesimo per il quale l’uomo è circonciso spiritualmente. « Tu vedi, dice S. Ambrogio, che tutta la legge antica è stata la figura di quello che doveva venire; infatti anche la circoncisione significa espiazione dei peccati. Colui che è spiritualmente circonciso con la correzione dei suoi vizi, è giudicato degno dello sguardo del Signore » (1° Notturno). Così, parlando del primo sangue divino che il Salvatore versò per lavare le nostre anime, la Chiesa insiste sul pensiero della correzione di quello che di cattivo è in noi. « Gesù Cristo ha dato se stesso per riscattarci da ogni iniquità e purificarci » (Ep.). « Degnati, Signore, con questi celesti misteri, di purificarci » (Secr.). « Fa, o Signore, che questa Comunione ci purifichi dei nostri peccati » (Postcom.).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Isa. IX: 6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

 [Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.

Ps XCVII:1
Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit.

[Cantate al Signore un cantico nuovo: perché ha fatto cose mirabili.]

Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui salútis ætérnæ, beátæ Maríæ virginitáte fecúnda, humáno géneri praemia præstitísti: tríbue, quǽsumus; ut ipsam pro nobis intercédere sentiámus, per quam merúimus auctórem vitæ suscípere, Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: 

[O Dio, che mediante la feconda verginità della beata Maria, hai conferito al genere umano il beneficio dell’eterna salvezza: concédici, Te ne preghiamo: di sperimentare in nostro favore l’intercessione di Colei per mezzo della quale ci fu dato di ricevere l’autore della vita: il Signore nostro Gesú Cristo, tuo Figlio]

Lectio

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum.
Tit 2: 11-15
Caríssime: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc saeculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[“Carissimo: La grazia di Dio nostro Salvatore si è manifestata per tutti gli uomini, insegnandoci che, rinunciata l’empietà e i desideri mondani, viviamo con temperanza; con giustizia e con pietà in questo mondo, in attesa della beata speranza e della manifestazione gloriosa del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità, e formarsi un popolo puro che gli fosse accetto, zelante delle buone opere. Così insegna ed esorta in Cristo Signor nostro”] (Tit. II, 11-15). –

IL PROGRAMMA DELLA NOSTRA VITA

[A, Castellazzi: Alla Scuole degli Apostoli. Ed. Artigian. Pavia, 1929]

Quando S. Paolo si recò nell’isola di Creta col suo discepolo e collaboratore Tito, vi trovò parecchi gruppi di Cristiani, che non erano organizzati in una gerarchia regolare. Non potendo l’Apostolo trattenersi a lungo nell’isola, vi lasciò Tito a organizzare quella Chiesa. Più tardi gli scrive una lettera. In essa gli dà norme da seguire nell’adempimento del suo ufficio pastorale rispetto agli uffici ecclesiastici, ai doveri delle varie classi di persone e ai doveri generali dei Cristiani. Nel brano riportato, avendo prima stabiliti i doveri secondo i differenti stati, reca la ragione per la quale i Cristiani sono tenuti a questi doveri. Sono tenuti perché Dio, che nella sua bontà è sceso dal cielo per tutti, ha insegnato a tutti a rinunciare all’empietà e ai desideri del secolo per vivere nella moderazione, nella giustizia, nell’amor di Dio. Così vivendo saranno consolati dalla presenza della venuta del Redentore, il quale ha dato in sacrificio se stesso per riscattarci dal peccato, e così formare di noi un popolo veramente eletto, tutto dato alle buone opere. Sul cominciare dell’anno la Chiesa ripete a noi questo insegnamento, per esortarci a vivere secondo: Pietà, Temperanza, Giustizia.

 « Chiunque, vuol pervenire al regno celeste, viva con temperanza verso se stesso, con giustizia verso il prossimo, con pietà perseverante verso Dio » (S. Fulgenzio, De remiss. Pacc. L. 1 c. 23). Cominciamo subito da quest’oggi a mettere in pratica questo programma affinché, se il Signore volesse chiamarci al rendiconto nel corso di quest’anno, in qualunque momento ci chiami abbia a trovarci pronti.Mons. Francesco Iannsens, Vescovo di Nuova Orleans,venerato dai suoi figli come un santo, viaggiando sopra un piroscafo alla volta d’Europa, è colpito improvvisamente dalla morte. Non gli rimane che il tempo di inginocchiarsi in cabina e dire: «Mio Dio, vi ringrazio che son pronto» (La Madre Francesca Zaverio Cabrini; Torino 1928, p. 144-45). Che d’ora innanzi la nostra vita sia tale, da poter anche noi dare questa risposta alla divina chiamata, in qualunque momento e in qualunque circostanza si faccia sentire!

Graduale

Ps XCVII:3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra.
V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja.

[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio: acclami a Dio tutta la terra.
V Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizi. Alleluia, alleluia.]
Heb I:1-2


Multifárie olim Deus loquens pátribus in Prophétis, novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio. Allelúja.

[Un tempo Iddio parlò in molti modi ai nostri padri per mezzo dei profeti, ultimamente in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Allelúia.]

Evangelium

Luc II:21
In illo témpore: Postquam consummáti sunt dies octo, ut circumciderétur Puer: vocátum est nomen ejus Jesus, quod vocátum est ab Angelo, priúsquam in útero conciperétur.
[In quel tempo: Passati gli otto giorni, il bambino doveva essere circonciso, e gli fu posto il nome Gesú: come era stato indicato dall’Angelo prima di essere concepito.]

OMELIA

[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]

DISCORSO PEL PRIMO GIORNO DELL’ANNO

Sopra il buon impiego del tempo

Renovamini spiritu mentis vestræ et induite novum hominem, qui secundum Deum creatus est in iustitia et sanctitate veritatis.

Eph. IV.

Per ben cominciare quest’ anno, fratelli miei, e procurarvelo felice, voi non potete far meglio che seguire l’avviso che vi dà l’Apostolo s. Paolo. Rinnovatevi dunque nello spirito del Cristianesimo, imitando Gesù Cristo vostro modello, cui dovete essere conformi per trovarvi nel numero dei predestinati. Si tratta di spogliarvi dell’uomo vecchio, per servirmi delle parole dello stesso Apostolo, cioè rinunziare a tutte le vostre inclinazioni perverse, e fare a Dio in questo nuovo anno il sacrificio di tutte le vostre passioni. Bisogna che coll’anno che avete finito finisca altresì il regno del peccato: che con lui finiscano l’empietà, l’irreligione, le bestemmie, le imprecazioni, gli odi, le vendette, le ingiustizie, le impurità, le intemperanze, gli scandali, in una parola tutti i delitti che si sono commessi: possano essi rimanere sepolti in un eterno obblio! e che in loro vece rinascere si vedano in questo nuovo anno la pietà, la religione, la temperanza, la modestia, la carità, l’unione dei cuori. Tale è, fratelli miei, il compendio della morale rinchiusa nelle parole del grande Apostolo; Renovamini etc. – Se l’anno che voi cominciate si passa nella pratica delle virtù cristiane; se è un anno santo, egli sarà per voi fortunato. Invano accompagnato verrebbe dalla felicità più perfetta secondo il mondo, invano vi presenterebbe tutto ciò che può appieno appagare le vostre brame nei piaceri e negli onori passeggieri; se non è un anno cristiano, sarà egli per voi disgraziato. Se all’opposto voi santamente il passate, fosse ben egli altronde attraversate da qualunque sinistro accidente, egli sarà sempre favorevole, perché vi condurrà alla felicità eterna. Profittatene dunque nel disegno che Dio ve lo dà, cioè per operare la vostra salute; destinatene tutti i momenti a questo beato fine. Per indurvi a questo, voglio proporvi alcune riflessioni sopra il buon impiego del tempo: Quali sono i motivi che debbono indurvi a ben impiegare il tempo? primo punto: come dovete voi impiegarlo? secondo punto. –

I Punto: Quando più prezioso e necessario si è un bene che ci viene offerto, tanto più dobbiamo noi stimarlo. Più è limitato l’uso che ci vien dato, più dobbiamo affrettarci di metterlo a profitto, principalmente quando dopo di averlo perduto non è più in nostro potere ricuperarlo per trarne vantaggio. – Ora tale è la natura del tempo di nostra vita; egli è prezioso, egli è breve, egli è irreparabile: tre ragioni che c’impegnano a ben impiegarlo. – Il tempo è prezioso e per riguardo al fine per cui ci è dato e per riguardo a quel che ne ha costato a Gesù Cristo per procurarcelo. Per qual fine, infatti, Dio vi ha dato, fratelli miei, e vi dà ancora del tempo a vivere sulla terra? È egli forse per accumular ricchezze, innalzarvi agli onori, appagar le vostre passioni? No, fratelli miei, no, ma bensì per guadagnare il cielo. Il tempo deve condurvi all’eternità, e la vostra eternità sarà felice o sgraziata secondo il buono o cattivo uso che avrete fatto del tempo. Voi potete ad ogni istante guadagnare un’eternità di gloria, perché non evvi alcun istante nella vita in cui non possiate entrare in grazia di Dio, se siete peccatori; ovvero, se siete in istato di grazia, meritar potete tanti gradi di gloria, quante buone opere farete: ecco perché dire si può che da un momento l’eternità dipende, perché basta un momento per meritarla o perderla. Se voi passar lasciate questo momento che vi è dato; se voi non profittate del tempo presente, dopo la morte voi non potrete più meritare: Tempus non erit amplius (Apoc. X). Dopo la morte non vi sarà più perdono dei vostri peccati ad ottenere; più opera alcuna che possa essere nel cielo ricompensata. I reprobi nell’inferno non potranno mai, con tutti i pianti che verseranno, con tutti i tormenti che soffriranno, ottenere il perdono di un solo peccato; i Santi nel cielo non potranno mai, con tutto l’amore che avranno per Dio, accrescere un solo grado della loro beatitudine perché fuori della vita non avvi più merito. Oh quanto è dunque prezioso il tempo della vita e quanto importa il profittarne! poiché ciascun momento vale, per così dire, il possesso di un Dio, vale una felicità eterna. – Ma quale stima ancora non dobbiamo noi fare del tempo, se consideriamo quanto ha costato a Gesù Cristo per procurarcelo? Gli è per meritarci questo tempo che questo Dio salvatore è nato in una stalla, si è assoggettato ai rigori delle stagioni, agl’incomodi della fame e della sete, ai patimenti e alla morte ignominiosa della croce: gli è per meritarci il tempo di far penitenza ch’Egli si è offerto alla giustizia del Padre suo, il che non ha fatto per gli angeli ribelli, che non hanno avuto un solo istante per rialzarsi dalla loro caduta, nel mentre che il Signore ci dà dei giorni, dei mesi, degli anni per cancellare i nostri peccati, calmare la sua giustizia, meritare i doni della sua misericordia. A chi siamo noi debitori di questo favore? Ai meriti, ai patimenti, ed alla morte di Gesù Cristo. Quante volte Iddio, sdegnato contro il peccatore, ha alzato il braccio della sua giustizia per recidere questo albero infruttuoso, e quanti di questi alberi sterili sarebbero già nel fuoco, se Gesù Cristo, il mediatore supremo, non avesse per essi domandata grazia, pregando suo Padre di aspettare ancora per dar loro tempo di portar frutto? Dimitte illam et hoc anno (Luc. XIII). Ah! Signore, aspettate ancora un anno, che quest’albero produca frutti, e se egli non ne produrrà, Voi lo taglierete. Ecco, o peccatori, ciò che domanda Gesù Cristo per voi; e di questo tempo, che è il frutto dei suoi patimenti e della sua morte, quale stima ne fate? in che l’impiegate? Dio ve lo dà per salvarvi, voi ve ne servite per perdervi: questo tempo ha costato la vita di un Dio, e lungi dal metterlo a profitto, voi ne fate un malvagio uso. Gli uni lo passano senza far niente: nihil agentibus. Sono quelle persone oziose e sfaccendate cui fare si può il rimprovero che faceva il padre di famiglia agli operai che se ne stavano in piazza e non si curavano di andare al lavoro: Quid hic statis tota die (Matt. XX)? Si passano i giorni, le settimane, i mesi interi senza far nulla per la salute. Non sappiamo che cosa fare, dicono essi, troviamo il tempo ben lungo; bisogna dunque cercare di ricrearsi e sollazzarsi; e a questo fine il passano in divertimenti frivoli, in render visite, in ispacciar novelle, trattenersi in cose vane ed inutili, andar e venir da una compagnia all’altra, giuocare, andar al passeggio; perché, dicono essi, convien poi passar il tempo in qualche cosa. Ah insensati! voi dite di non avere cosa alcuna a fare? Trovate voi il tempo lungo? Oh quanto la discorrete male, dice s. Bernardo, dicendo che convien cercare di passar un tempo che vi è dato per fare penitenza, per ottenere il vostro perdono, per meritare la grazia, per procurarvi una felicità eterna! Ah! che dovete voi fare? — Non bisogna pregare, far delle buone opere, visitar le chiese, gl’infermi, ammaestrarvi con leggere libri di pietà? Non avete voi doveri ad adempire, virtù a praticare? Ah! se voi foste ben persuasi che avete un affare importante, qual è quello della salute, e che non avete se non il tempo della vita per faticarvi intorno, ben lungi dal trovarlo lungo, vi sembrerebbe troppo breve; per assicurarvi la riuscita di questo affare importante, voi ne mettereste sollecitamente a profitto tutti i momenti. Se i dannati dell’inferno avessero, non dico tutto il tempo, ma solamente una parte di quello di cui voi abusate, con qual precauzione non ne userebbero? – Altri si abusano ancora del tempo a fare tutt’altro che ciò che far dovrebbero: aliud agentibus. Moltissimi si occupano nel mondo, l’uno passa tutti i suoi giorni ad avvantaggiare i suoi negozi, l’altro a proseguire le sue liti, questi a condurre affari stranieri, quegli a fare azioni che non sono né del suo stato né della sua professione. Gli uni rovinano la loro sanità coll’applicazione della mente, gli altri coi travagli del corpo; ma quasi nessuno pensa alla sua salute. Ciò non ostante questi giorni sì pieni sono interamente vuoti di buone opere; si fa tutt’altro che quel che far si dovrebbe; e a che serve lavorar per gli altri, se non si lavora per sé? Questo è faticar inutilmente, questo è perdere il suo tempo: aliud agentibus. – Ma l’abuso peggiore che si fa del tempo, si trova in quelli che lo passano in far del male: male agentibus. Abuso che pur troppo è comune tra gli uomini. Basta vedere quel che passa tra di essi. Gli uni non pensano dalla mattina alla sera che ai mezzi di contentare una rea passione, di mantenere una pratica, di soddisfare la loro cupidigia, la loro sensualità colle delizie e coll’abbondanza del riposo. Gli altri avidi di arricchirsi, commettono tante ingiustizie, quante occasioni trovano di usurpare l’altrui; tutta la loro vita la passano a meditar i mezzi di soppiantar gli uni e d’ingannar gli altri, di distruggere coloro che resister non gli possono. A che si riducono la maggior parte delle conversazioni? A parlar di affari progettati o conchiusi per la soddisfazione delle sue passioni, a spacciar novelle per lo meno inutili, a passar in rivista tutti gli stati, tutte le condizioni, a ricercare scrupolosamente i doveri di ciascuno, fuorché i loro propri; a censurare senza discrezione quei che impiegati sono nelle diverse cariche della società. M’inganno forse? Nulla è di tutto questo? Sarebbero dunque discorsi contro la Religione, contro i costumi? Finalmente, per la disgrazia più deplorabile, non si vede, non si ode parlar dappertutto che di scelleratezze e di disordini: male agentibus; cioè, del mezzo che Dio loro dà per santificarsi, per meritar il cielo, se ne servono per consumare la loro riprovazione. Quale accecamento e quale insensibilità per i suoi interessi! Poiché questo tempo sì prezioso che ci vien dato per salvarci è sommamente breve. – Secondo motivo che deve indurci a metterlo a profitto. Infatti, fratelli miei, che cosa è la vita dell’uomo? È un sogno che sparisce nell’istante in cui uno si sveglia; è, dice il santo Giobbe, una foglia che il vento trasporta, un fumo che si dissipa nell’aria. Appena l’uomo è venuto al mondo che conviene pensare a lasciarlo. Non evvi, per così dire, che un passo dalla culla al sepolcro. La maggior parte degli uomini vive poco; e che compaiono alfine della vita gli anni di quei medesimi che vivono lungo tempo? Mille anni, dice il profeta, non sono innanzi a Dio che come il giorno di ieri che è passato: Mille anni tanquam die hesterna quæ præteriit (Ps.LXXXIX). La vita più lunga, a paragone dell’ eternità, è meno che una gocciola d’acqua vi pare, fratelli miei, dei venti, quaranta, sessant’anni che vissuto avete sopra la terra? Che cosa vi sembra dell’anno che ora è passato? É un giorno, è un momento: tutti i vostri anni passeranno nella stessa guisa, e voi vi troverete al fine come se pur allora incominciaste a vivere. Insensato è colui che si attacca alle cose transitorie di questo mondo, che cerca la sua felicità in una vita sì breve e che non se ne profitta per assicurarsi una più durevole felicità. – Dio ci ha dato il tempo della vita come un bene ad affitto, che ci toglierà dopo un certo tempo. I nostri corpi sono case che cadono ogni giorno in rovina e che ci tocca fra poco abbandonare; la nostra vita si accorcia tutti i giorni, di modo che più abbiamo noi vissuto, meno ci resta a vivere. Verrà fra breve l’ultimo giorno, in cui nulla vi sarà più a contare. Affrettiamoci di profittare di un tempo che se ne fugge veloce e la cui perdita è inoltre irreparabile. Ed invero, il tempo perduto non ritornerà più, gli anni che noi abbiamo vissuto sulla terra non sono più in nostro potere. Felici noi, se li abbiamo ben passati, sono altrettanti tesori di merito che abbiamo acquistati e che sussistono: mentre la virtù è il solo bene che sia sicuro dall’ingiuria del tempo; le nostre preghiere, i nostri digiuni, le nostre limosine, tutto ciò noi troveremo alla morte e nell’eternità. Ma se noi abbiamo passati male i giorni di nostra vita, la perdita che fatta abbiamo, è senza rimedio. Possiamo, è vero, ricuperar la grazia di Dio che abbiamo perduta nel tempo passato, ma non ricupereremo giammai quei momenti favorevoli cui aveva Iddio annesse certe grazie che forse non ci darà più e che deciso avrebbero di nostra predestinazione. Il nostro fervore può supplire ancora al numero delle buone opere che non abbiamo fatte; noi possiamo ancora, come gli operai della vigna che vennero all’ultima ora, meritare la ricompensa che fu data ai primi; ma non raccoglieremo giammai quell’abbondanza di frutti che tutti i momenti di un costante fervore ci avrebbero prodotti. – Qual sarà dunque alla morte il rammarico di coloro che abusato avranno del tempo? Qual sarà il cordoglio di quei peccatori che vedranno fuggiti quei bei giorni che non dipendeva che da essi l’impiegare pel cielo? Quei bei giorni in cui la grazia li sollecitava a staccarsi dalla creatura, a rompere quegli attacchi illeciti che li soggettavano al loro impero. Vedranno i loro piaceri passati col tempo; desidereranno di aver ancora quel tempo; ma con tutte le loro lagrime e i loro tormenti, non potranno giammai far ritornare un solo di quei momenti che avrebbero bastato per preservarli dall’eterna disgrazia. – Aspetterete voi, fratelli miei, a questo stesso momento per riflettere sul prezzo del tempo e sospirare quello che perduto avrete? Oimè! di quanti momenti non vi siete voi già abusati? Interrogate su di ciò la vostra coscienza e domandate a voi medesimi: da poi che io sono sopra la terra, che cosa ho fatto per la mia salute? Molto ho lavorato per gli altri, e nulla ho fatto per me; forse che se io dovessi al presente comparire innanzi a Dio, presentargli non potrei una sola azione degna delle sue ricompense: all’opposto tutte le azioni di mia vita non meritano che i suoi castighi. Ah! ormai è tempo che io esca dal letargo in cui ho sin adesso vissuto, che incominci a vagliare per me, e che ripari il passato con un santo uso, del tempo. E qual deve essere quest’uso? Ecco il secondo punto.

II. Punto. Per fare un sant’uso del tempo, dice s. Bernardo, convien considerarlo per riguardo al passato, al presente ed al futuro. Bisogna riparar il passato, regolar il presente, cautelarsi contro l’avvenire e non contarvi sopra. – Quantunque non sia in poter nostro far ritonare il tempo già passato, possiamo nulladimeno ripararlo, o, per servirmi delle parole di s. Paolo, riscattarlo: redimentes tempus etc. Ora che cosa è riscattare un podere nel commercio del mondo? É pagare, per ritirarlo, il prezzo che ne abbiamo ricevuto, è soddisfar un debito che abbiamo contratto. Voi avete venduto, prostituito il vostro tempo al mondo e alle vostre passioni, voi avete alienato questo fondo che Dio aveva confidato alla vostra economia; e per cattivo uso da voi fattone, avete contratto dei debiti verso la giustizia di Dio. Ora quali sono questi debiti? Sono i peccati che avete commessi. Questi peccati sono passati, è vero; i piaceri da voi gustati nel commetterli non sussistono più, ma il vostro delitto sussiste ancora nella macchia che ha impressa nella vostra anima, che la rende difforme agli occhi di Dio e ne fa l’oggetto delle sue vendette: questa macchia rimarrà sempre, sin tanto che non sia cancellata con le lagrime della penitenza. Alla penitenza dunque convien ricorrere per purificarvi; e a questo fine entrate nei sentimenti di un re penitente, il quale riandava nell’amarezza del suo cuore gli anni della sua vita: Recogitabo illi omnes annos meos in amaritudine animæ meæ [Isai. XXXVIII). Oimè! dovete voi dire, sono tanti anni che io vivo alla terra, e nulla ho ancora fatto per la mia salute; a nient’altro ho pensato che a far fortuna in questo mondo, che a soddisfar le mie passioni. Di quei beni che ho ricercato, di quei piaceri che ho gustato,, che cosa mi resta? Una trista rimembranza, che mi trafigge l’anima, ma di pungenti rimorsi. Vane apparenze di dolcezze, che vi siete dileguate come un sogno, voi null’altro più siete che un’ombra che svanì. Ah! tempo infelice in cui vi ricercai! tempo infelice in cui tanto vi amai! O mio Dio, che siete una bellezza sempre antica e sempre nuova, ah quanto sono stato cieco ed insensato a cercare altra contentezza che quella che gustasi nell’amarvi e nel servirvi. Io ne ho il cuor penetrato dal più vivo dolore; e giacché voi mi date ancor tempo di riparare le mie disgrazie, io voglio profittarne per non attaccarmi che a Voi solo e risarcirvi col mio fervore l’ingiuria che vi ho fatta coll’abusarmi del tempo che Voi mi avete dato. – Se voi siete, fratelli miei, in questi sentimenti e li metterete in pratica, voi, meriterete che Dio vi tenga conto di quegli anni che prostituiste al mondo, al demonio e al peccato: Reddam vobis annos quos, comedit locusta, bruchus et rubigo (Joel. 2). Con questo riparerete le vostre perdite, riscatterete il tempo che avete perduto, ma si tratta di fare in primo luogo un santo uso di quello che presentemente si trova in vostra disposizione. Voi dispor più non potete del tempo passato, perché più non esiste; neppure dispor potete del tempo avvenire, perché non esiste ancora e forse voi non l’avrete: non evvi dunque che il tempo presente, che è in vostre mani ed ancora vi fugge nello stesso momento che ne parlate; profittate adunque con diligenza di quel che avete, perché è il solo su cui potete contare, è un talento che Dio vi dà, non lasciatene perdere la minima parte: Particula boni doni non defraudet te ( Ecli. XIV). Può essere che Dio abbia attaccato al momento che è adesso in vostra disposizione certe grazie speciali da cui dipende la vostra eterna salute. – Se voi sicuri foste di non aver più che quest’anno, questo giorno a vivere, come, io vi domando, come lo passereste voi? Non l’impieghereste tutto nella pratica delle buone opere?… Rimarreste voi un sol momento in peccato? Ebbene vivete in questa guisa, e voi farete un santo uso del tempo. Dite a voi medesimi: questo forse è l’ultimo anno di mia vita, convien dunque che lo passi come se lo fosse in realtà; e voi lo passerete santamente. Perciocché finalmente, fratelli miei, ne verrà uno che sarà l’ultimo, e qual è? Potete voi assicurarvi che non sia questo? Quanti ve ne sono stati che, cominciato avendo lo scorso anno in ottima sanità, non ne han veduto il fine! Quanti cominciano questo e non lo sappiamo vedranno finire! Chi viver crede ancora molti anni forse è colui che morrà il primo e fra poco. Se alcuno avesse detto a quell’uomo, a quella donna, che sono stati sotto gli occhi vostri sepolti nei sepolcri dei loro padri: Voi non avete più che quest’anno a vivere, come passato l’avrebbero? Si dice a voi la medesima cosa al principio di questo: egli sarà per qualcheduno l’ultimo, e non evvi alcuno che dir non possa: forse lo sarà per me, forse a me toccherà di andar in quest’anno alla sepoltura; perché posso io lusingarmi di andarvi più tardi che un altro? Ah bisogna dunque, senza esitare, metter ordine alla mia coscienza, restituire quella roba mal acquistata, riconciliarmi con quel nemico, corregger quel cattivo abito, dire addio al peccato, allontanare quell’occasione pericolosa, quell’oggetto che mi seduce, bisogna finalmente che io faccia tutto il bene che da me dipende, che io fatichi alla mia salute, mentre ne ho il tempo: Dum tempus habemus, operemur bonum (Gal. 6). – Tali sono, fratelli miei, le salutevoli risoluzioni che suggerir vi debbono la brevità del tempo e l’importanza della buona riuscita nell’affare della vostra salute. Voi potete lasciar il restante a terminare ai vostri eredi, lasciar loro quella fabbrica a perfezionare, quella lite a finire, ma non già la vostra salute; se voi non vi ci siete adoperato nel tempo, non potrete più farlo dopo la morte, né altri vi faticherà per voi. Profittate dunque, torno a dirvi, del momento che se ne fugge per non ritornare giammai, ed occupatevi incessantemente nella pratica delle buone opere che vi seguiranno nell’eternità: Quodcumque potest manus tua, instanter operare (Eccl. 9). Distribuite il vostro tempo ad adempiere i doveri del vostro stato, regolate si bene i vostri esercizi di pietà che ciascheduna cosa abbia il suo tempo: che la preghiera, la Messa, la lettura di pietà, l’adorazione del Santissimo Sacramento, la visita dei poveri trovino luogo nella distribuzione che voi ne farete. Date pure le vostre attenzioni ai vostri affari temporali, al governo della vostra famiglia: ma la vostra salute tenga sempre il primo posto, e tutti gli altri a lei rapportino. Cosi i vostri giorni si troveranno pieni, la vostra anima sarà carica di meriti pel cielo, e vi precauzionerete per l’avvenire, sul quale voi contar non dovete. E come, infatti, contar si può sopra un tempo che è così incerto? Iddio non ce l’ha promesso, né il vigore dell’età né la forza del temperamento possono assicurarcelo; poiché vediamo sovente persone giovani e robuste colpite dalla morte così presto, come le inferme e le vecchie. Tale che si promette di vivere ancora un gran numero d’anni morrà fra poco: ciò che è ben certo si è che si muore più presto di quel che si pensa. Bisogna dunque preveder l’avvenire ed operare come se non dovessimo averlo. È lo stesso che arrischiare la sua eterna salute, l’esporla all’incertezza di un tempo avvenire. Ah! non fate così, fratelli miei, quando si tratta di affari temporali! Quando trovate l’occasione di arricchirvi, voi la cogliete avidamente, niente vi distoglie dal profittarne; se si presenta un buon acquisto a fare, voi non aspettate all’indomani, per tema che un altro più pronto di voi non vi prevenga. Eh! Perché non fate lo stesso per la vostra salute? Potete voi in quest’oggi convertirvi, riconciliarvi con Dio. Non differite di più; forse non avvi domani per voi. La prudenza richiede che voi pensiate all’avvenire; e perciò voi fate provvisione di quanto vi sarà necessario per sussistere un numero di anni che credete ancora vivere sulla terra e per una stagione in cui non potete più lavorare. Ah! forse non sarete più in quest’anno, per cui fate tanti cumuli e non pensate a far provvisioni per l’eternità, ove sarete per sempre. Qual follia! Qual accecamento! Al vedervi sembra che abbiate da star sempre sulla terra, e che convenuti vi siate, per così dire, con la morte, affinché ella non vi colpisca se non quando piacerà a voi. Ah! insensati! voi morrete forse prima di aver terminato un solo dei vostri affari, e la vostra gran disgrazia sarà di morire senza aver operato la vostra salute! Imitate un viaggiatore che trattenuto si è nel suo cammino in frivoli divertimenti, e, vedendo il fine del giorno, raddoppia i suoi passi per riparare il tempo perduto e giungere al termine del suo viaggio. Voi arrestati vi siete alle bagattelle del secolo; i beni, i piaceri hanno occupato tutte le vostre sollecitudini; e voi non avete ancora pensato alla soda felicità: nondimeno il sole s’abbassa. Inclinata est iam dies (Luc. XXIV). Eccovi al fine di vostra vita; forse voi toccate il momento che deve farvi passare dal tempo all’eternità. Profittate dunque del tempo che vi resta, camminate sinché la luce vi rischiara, perché la notte s’avvicina, in cui nulla più potrete operare per la salute; precipitate il vostro corso, poiché vi resta ancora molta strada a fare.

Pratiche. Il più importante ed il più premuroso per voi è di uscire dallo stato del peccato per riconciliarvi con Dio con una buona confessione, che rinnoverà in voi la immagine dell’uomo nuovo: Renovamìni etc. Non potete voi meglio cominciar l’anno che con questa santa pratica. Correggete i vostri cattivi abiti e riformate tutto ciò che conoscete di difettoso nella vostra condotta. Tale è la circoncisione spirituale che Gesù Cristo domanda da voi in questo giorno, in cui ha Egli sofferto la circoncisione corporale per la vostra salute. Dopo aver Egli tanto sofferto per esser vostro Salvatore, non vorrete voi fare cosa alcuna per esser salvi? Giacché si è per voi sacrificato, non dovete voi altresì fargli un qualche sacrificio col troncare tutto ciò che in voi gli dispiace? – Ringraziate Iddio dei beni che vi ha fatti negli anni scorsi; fate a questo fine una visita a Gesù Cristo, offeritegli i pochi anni che vi restano per impiegarli nel suo servizio. Vivete questo anno, questo giorno stesso, come se non aveste più che quest’anno, che questo giorno a vivere; fate ogni mattina questa risoluzione. Ravvivate il vostro fervore nel servizio di Dio con quelle parole di s. Paolo: Dum tempus habemus, operemur bonum (Gal. VI); facciamo del bene mentre ne abbiamo il tempo, per raccoglierne il frutto nell’eternità. Così sia.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXVIII: 12; 15
Tui sunt cæli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.

[Tuoi sono i cieli e tua è la terra: Tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: la giustizia e l’equità sono le basi del tuo trono].

Secreta

Munéribus nostris, quǽsumus, Dómine, precibúsque suscéptis: et coeléstibus nos munda mystériis, et cleménter exáudi.

[Ti preghiamo, o Signore, affinché gradite queste nostre offerte e preghiere, Ti degni di mondarci con questi celesti misteri e pietosamente di esaudirci.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Nativitate Dominica
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cæléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes.

veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus:

Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:


Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XCVII:3

Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.

[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Hæc nos commúnio, Dómine, purget a crímine: et, intercedénte beáta Vírgine Dei Genetríce María, cæléstis remédii fáciat esse consórtes.

[Questa comunione, o Signore, ci purífichi dal peccato e, per intercessione della beata Vergine Maria Madre di Dio, ci faccia partecipi del celeste rimedio.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

CALENDARIO LITURGICO della CHIESA CATTOLICA: GENNAIO 2023

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: GENNAIO 2023

Gennaio è il mese che la Chiesa Cattolica dedica alla santa Infanzia di Gesù Cristo, all’Epifania, e la Sacra Famiglia.

Rinnovazione dei voti battesimali. — Come i buoni Cristiani chiudono l’anno morente col ringraziare Iddio dei beni ricevuti — così aprono l’anno nuovo col rinnovare i santi Voti Battesimali. — Saremmo noi di quella gente che non se ne cura — o li rinnova solo a fior di labbra — indifferente — fredda — incosciente?

Che cosa sono î voti battesimali? — Sono le proteste solenni che noi — per mezzo del padrino e della madrina – facemmo alla Chiesa Cattolica — la quale — solo a tal patto — ci ammetteva nel suo seno col S. Battesimo — facendoci figli di Dio — eredi del Paradiso — partecipi dei SS. Sacramenti. — Sono dunque una parola solennemente data — confermata poi coscientemente — solennemente — le tante volte — alla quale noi dobbiamo fare onore oggi — e sempre… — Siamo Cristiani — o non lo siamo? — Cristiani di solo nome — od anche di vita pratica?

A che c’impegnano i voti battesimali? — Ad una vita aliena dal peccato — mercè la rinuncia a satana — la rinuncia alle mondanità alle quali egli ci istiga — la rinuncia ai disordini nei quali egli vorrebbe precipitarci… —

C’impegnano a tenerci immuni da ogni errore che ci allontani da Dio — e ciò per mezzo della fede nell’insegnamento cattolico — sincera — ferma — totalitaria… —

C’impegnano infine alla santità cristiana — ed alla perseveranza in essa — vivendo in Gesù — e per Gesù — come membra vive del suo Corpo Mistico, ch’è la Chiesa —- animate perennemente dal Santo suo Spirito.

Come rinnovare i voti battesimali? — Rinnoviamoli con santo entusiasmo per Cristo Re — al cui appello noi — con essi — rispondiamo il nostro: Presente! — Rinnoviamoli con sincero pentimento delle nostre infedeltà passate — e come una fattiva riparazione ad esse! —

Rinnoviamoli con ferma fiducia nell’aiuto indispensabile – e insieme infallibile — se noi lo vogliamo — della divina grazia — aggiungendovi la lieta prospettiva del premio immenso che ci meriteranno in Cielo!

(G. Monetti S. J. : La Sapienza Cristiana vol. II, p. seconda, U.T.E.T. Torino, 1949)

III

ORATIONES

127

Amabilissimo nostro Signore Gesù Cristo, che fatto per noi Bambino, voleste nascere in una grotta per liberarci dalle tenebre del peccato, per attirarci a voi, ed accenderci del vostro santo amore, vi adoriamo per nostro Creatore e Redentore, vi riconosciamo e vogliamo per nostro Re e Signore, e per tributo vi offriamo tutti gli affetti del nostro povero cuore. Caro Gesù, Signore e Dio nostro, degnatevi di accettare questa offerta, e affinché sia degna del vostro gradimento, perdonateci le nostre colpe, illuminateci, infiammateci di quel fuoco santo, che siete venuto a portare nel mondo, per accenderlo nei nostri cuori. Divenga per tal modo l’anima nostra un altare, per offrirvi sopra di esso il sacrificio delle nostre mortificazioni; fate che essa cerchi sempre la vostra maggior gloria qui in terra, affinché venga un giorno a godere delle vostre infinite bellezze in cielo. Così sia.

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem oratio devote repetita fuerit (S. C. Indulg., 18 ian. 1894; S. Pæn. Ap., 21 febr. 1933).

128

 O divino Pargoletto, che dopo i prodigi della vostra nascita in Betlemme volendo estendere a tutto il mondo la vostra infinita misericordia, chiamaste con celesti ispirazioni i Magi alla vostra culla convertita in trono di reale magnificenza, e benignamente accoglieste quei santi personaggi che, ossequenti alla divina voce, corsero ai vostri piedi riconoscendovi ed adorandovi come Principe della pace, Redentore degli uomini e vero Figlio di Dio; deh! Rinnovate in noi i tratti della vostra bontà ed onnipotenza, illuminando il nostro intelletto, rafforzando la nostra volontà, infiammando il nostro cuore per conoscervi, servirvi, amarvi in questa vita, meritando così di godervi eternamente nell’altra.

Indulgentia quingentorum dierum (S. Pæn. Ap., 14 iul. 1924 et 15 ian. 1935).

129

«Passati gli otto giorni, il Bambino fu circonciso e gli fu posto nome Gesù ». A riscaldare il cuore indurito e agghiacciato del peccatore, o divino Infante, non sarebbero bastati il freddo, i vagiti, la povertà e le lagrime del vostro presepio, ed ecco che, mentre sopra il vostro capo non s’erano ancora del tutto spente la luce e l’eco delle armonie angeliche, passò sopra le vostre carni, opera dello Spirito Santo, il coltello di pietra, che ne trasse alcune gocce di sangue. Ora, al mattino della vita, sono poche gocce; ma, giunta la sera, lo verserete tutto fino all’ultima stilla. Deh, fate comprendere anche a noi la imprescindibile necessità di espiare la colpa e di riconquistare la libertà dello spirito con la mortificazione dei bassi istinti della, carne. La grandezza del vostro nome, o Gesu, precedette, accompagnò e seguì la vostra comparsa sulla terra. Fin dall’eternità il Padre lo porto scritto a caratteri d’oro nella sua mente ed agli albori della creazione le arpe angeliche gli intonarono un inno di gloria ed i giusti gli mandarono, come salutandovi da lontano, un gioioso palpito di speranza. E al suo primo echeggiare nel mondo, il cielo si aperse, la terra respiro e l’inferno tremò. La sua storia non segna che trionfi. Da venti secoli esso forma la parola d’ordine dei credenti, che sempre vi attinsero e vi attingeranno la ispirazione e l’impulso per spingersi fino alle più eccelse vette della virtù. Esso resterà sempre la voce dolcissima, che, risuonata sulla vostra culla e scritta sulla vostra Croce, ricorderà perennemente all’uomo Colui, che lo amo fino a morire per lui. O Gesù, impossessatevi pienamente del nostro cuore e fatelo vivere solo del vostro amore, finché a Voi abbia consacrato il suo ultimo palpito.

Fidelibus, qui supra relatam orationem devote recitaverint, conceditur:

Indulgentia trium annorum;

Indulgentia plenaria, suetis conditionibus (S. Pæn. Ap., 4 maii 1941).

Queste sono le feste del mese di GENNAIO 2023

1 Gennaio In Circumcisione Domini    Duplex II. classis *L1*

2 Gennaio Sanctissimi Nominis Jesu    Duplex II. classis

5 Gennaio In Vigilia Epiphaniæ    Semiduplex *L1*

      Commemoratio: S. Telesphori Papæ et Martyris

6 Gennaio In Epiphania Domini    Duplex I. classis *L1*

                        PRIMO VENERDI

7 Gennaio        PRIMO SABATO

8 Gennaio Sanctæ Familiæ Jesu Mariæ Joseph    Duplex majus

11 Gennaio Commemoratio: S. Hygini Papæ et Martyris

13 Gennaio in Octava Epiphaniæ –  Duplex majus

14 Gennaio S. Hilarii Episcopi Confessoris Ecclesiæ Doctoris    Duplex m.t.v.

15 Gennaio Dominica II post Epiphaniam    Semiduplex Dominica minor *I*

               S. Pauli Primi Eremitæ et Confessoris    Duplex

16 Gennaio S. Marcelli Papæ et Martyris    Semiduplex

17 Gennaio S. Antonii Abbatis    Duplex

18 Gennaio Cathedræ S. Petri    Duplex majus *L1*

                Commemoratio: S. Priscæ Virginis

19 Gennaio Ss. Marii, Marthæ, Audifacis, et Abachum Martyrum    Simplex

                  Commemoratio: S. Canuti Martyris

20 Gennaio Ss. Fabiani et Sebastiani Martyrum    Duplex

21 Gennaio S. Agnetis Virginis et Martyris    Duplex

22 Gennaio Dominica III Post Epiphaniam    Semiduplex Dominica minor *I*

                     Ss. Vincentii et Anastasii Martyrum    Semiduplex

23 Gennaio S. Raymundi de Peñafort Confessoris    Semiduplex m.t.v.

                   Commemoratio: S. Emerentianæ, Virginis et Martyris

24 Gennaio S. Timothei Episcopi et Martyris    Duplex

25 Gennaio In Conversione S. Pauli Apostoli    Duplex majus *L1*

26 Gennaio S. Polycarpi Episcopi et Martyris    Duplex

27 Gennaio S. Joannis Chrysostomi Episcopi, Confess. et Eccl. Doctoris    Duplex

28 Gennaio S. Petri Nolasci Confessoris    Duplex m.t.v.

                   Commemoratio: S. Agnetis Virginis Martyris secundo

29 Gennaio Dominica IV Post Epiphaniam    Semiduplex Dominica minor *I*

                  S. Francisci Salesii Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

30 Gennaio S. Martinæ Virginis et Martyris    Semiduplex

31 Gennaio S. Joannis Bosco Confessoris    Duplex

LO SCUDO DELLA FEDE (234)

LO SCUDO DELLA FEDE (234)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (5)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

LA MESSA

PARTE I

LA PREPARAZIONE

CAPO III

ART. III.

Le Campane.

Solo la Chiesa Cattolica poteva, e doveva inventare le campane, od almeno introdurle al grande uso, per cui sono destinate. Abbiamo detto: almeno introdurle al grand’uso; perché troviamo antiche memorie de’ campanelli; ma le campane propriamente dette, come ora le abbiamo, pare s’introducessero sol dopo cessate le persecuzioni. Quando la Chiesa di Dio vivente non era altrove sicura che nell’oblio, possiam esser certi che non si convocavano i fedeli a suon di campane o di crotali. Dice taluno, che usassero di quella vece le raganelle; e potrebbe esserne un indizio il vederle anche fra noi adoperate nella settimana santa: pei quali giorni si conservarono ancora in uso i riti più antichi. Ma anche questo non si poteva fare, se non dopo ottenuta la pace. Nel tempo delle persecuzioni bisognava che si avvertissero i fedeli, di casa in casa, con rapidità, con modi che non gli scoprissero. – Troviamo presso i Romani fatta menzione di segni, che si davano con bronzi sonanti, e presso i Cristiani di segni, con cui si raccoglieva il popolo in Chiesa: e dagli storici di Venezia abbiamo, che il Doge Orso Partecipazio nell’anno 865 mandò le prime campane all’Imperatore Michele da mettere a Santa Sofia. Non se ne conosce però l’inventore. Il nome poi di campana pare venisse loro dato dalle fonderie, che si stabilirono nella Campania, celebre per l’eccellente bronzo, o forse anche perché là furono prima adoperate. Questo indicherebbe il nome loro dato indi aes Nolanum o Nolæ, cioè bronzo di Nola, da Nola città di Campania, a dodici miglia da Napoli (Cantù: Storia Universale). Certo è però che la Chiesa, questa società dei fedeli, sposata a Dio, quando uscì alla luce e poté respirare in libertà, e spiegare nei maestosi suoi riti i disegni della carità di Dio, da cui è informata, non poteva trovare strumento meglio adatto per comunicare continuamente, come in famiglia ai figliuoli sparsi d’intorno, i suoi pensieri. E in vero quanto sublime è questo concetto! Questa sposa del Signore, e ne diffonde il suo spirito per tutto 1° universo, dove trova un gruppo d’abitazioni, alcuni uomini raccolti in società, li lega in famiglia, e vi colloca in mezzo il centro dei suoi affetti, ponendovi da adorare nella loro chiesuola Gesù Cristo, amante nascosto sotto i veli del Sacramento nella misteriosa celletta del sacro ciborio. Quivi col cuore suo nel suo Tesoro, è dove propriamente vive d’amore. Ora, come il cuore dell’uomo diffonde coi suoi battiti per le membra quel calore di vita, di cui è focolare, così dalle chiese colle ripetute scosse delle campane si spandono intorno con rapida onda sonora in tutti i medesimi pensieri, i medesimi affetti; e si trasfonde sull’istante, come elettrica un’aura di carità. Oh si, la carità sa pure inventare i belli ingegni e più industriosi e delicati! Ella in mille arcane maniere infonde la vita anche nelle più morte cose, e, informandole, le travolge nei suoi movimenti, come il vortice della vita animale assorbe le molecole dei corpi inanimati, e se le incorpora alla vitalità, assimilandole. Ecco che qui obbliga sino il metallo, a dire parole, a cantare, a sospirare con essa; anzi costringe fino a pigliare sopra le loro ali a portare intorno a tutti i fedeli, colle soavi emozioni, ì cenni della Madre Chiesa. Dalla parte dell’arte poi (Chateaubriand.) non vi è più sublime cosa di questo suono di maestosa armonia. Un flauto ti molce l’animo, e lo riempie di soavità: un violino pare che assottigli un fil di voce delicatissimo per sposarsi al tuo pensiero e corrergli flessibile come esso, agile e presto; ma il suono di molte campane ti scuote potentemente, e ti rapisce in più sublime atmosfera, e ti fa sentire nella persona una vibrazione, che cerca inquieta d’intonarsi con un’armonia, la quale indovini dovere esistere, ma più in su, fuori della sfera di attrazione di questa bassa terra. – Hanno alcuni fatto prova d’introdurre la campana sulle scene dei teatri; ebbene, anche là, in mezzo agli svariati concerti, che ti rubano l’animo obbligato a correre dietro ed una scherzevole melodia; se si sente il rintocco d’una campana, l’animo ne resta sorpreso, è tarpato il volo ai fugaci pensieri; l’uomo è richiamato in se stesso da un’armonia più possente, che manda a nullo ogni altra impressione. Che se, nel silenzio di quel sublime incanto, l’uomo interrogasse sé stesso: anche là sul teatro, in mezzo a que’ spettacoli il cuor suo gli risponderebbe di grandi verità. E per vero quali segrete relazioni non ha il suono delle campane col nostro cuore? Quante volte in un’ora di mesta quiete, ti rimbombano intorno i rintocchi di un’agonia rassomiglianti alle lente pulsazioni di un cuor, che si spegne, e ti portano il pensiero agli aneliti di un boccheggiante morente! Tu ti segni di Croce, e corri colla tua preghiera a dare la mano al tuo fratello, che, sfinito di forze, sta nell’abbrivo dal tempo all’eternità! Hai pregato; ma la campana sospira ancora, e ti ripete all’orecchio: « dunque si more… si more… e dopo la morte?… Suono di terrore! eppure misto di tenerezza, anche quando senti l’intronar a stormo, con che la trepida campana grida ululando: « accorrete! » Allora ti pare in essa di udir la madre che grida: « coraggio, coraggio, o figliuoli; accorriamo, portiamo aiuto ai fratelli, in chi sa qual terribil frangente. » Ma poi, all’alba d’un di solenne, per cui l’aurora pare mandi una luce più gaia ad ornare di rose a festa il firmamento; mentre gli Angeli forse discenderanno in terra in devoto pellegrinaggio a visitare i benedetti luoghi consacrati dai divini misteri, e vedranno la luce rapida come il baleno inondar via via paesetti e campagne e città; le campane destano col suono di festa i fedeli a salutare con vergini pensieri insieme cogli angeli Maria. Maria, (la più bella idea di Dio incarnata in donna) ti sorride dinanzi come una visione di paradiso. Oltre a ciò non hai provato mai a trovarti sopra la vetta di un monticello sotto limpido cielo, quando tutti gli oesetti risplendono d’una cotal luce color di rosa, dalla quale pare che il sole accarezzi la terra per consolarla del suo partire? In quell’ora solenne e soave, da tutti quei paesetti, che incoronano i colli d’intorno, le campane in un istante, come se le inspirasse un comun pensiero, gareggian fra loro a salutar Maria. Allora l’anima tua con un casto affetto stende la mano a Maria, chiamandola soavemente come la bambina chiama di sera la mamma, perché la metta a riposo in seno a Dio. Sì, nella quiete dei campi, quando senti quell’argenteo tintinnio dalla torre della chiesuola, ti par che la religione ti spedisca l’Angelo della misericordia a quei popolani affaticati, per dir con essi: « Ave Maria; o Maria, il Figliuol di Dio è nato Bambino, ed abita qui tra noi poverini; » o mandi l’Angelo della giustizia a tuonar nel rintocco sul tumulto della città. » Sciagurati! voi correte a perdervi, se non date la mano alla Madre, che vi meni a salvarvi in seno a Gesù, che non curate d’avere con voi ». Ah! finalmente, se hai fede ancora, quando il suon di molte campane all’improvviso proclama nelle regioni delle nubi il trionfo del Dio delle battaglie; e quando in terra intuona gloria; o acclama tre volte santo il Dio fatto uomo, che abbiam tra le mani, od invita ad accogliere le benedizioni della sua bontà; allora colla potenza delle sacre onde sonore ti rapisce in cielo quell’armonia divina. – Ah! i protestanti quando non vollero più invocare per madre Maria, quando infransero il vincolo della carità, staccandosi dalla Madre Chiesa, allora abolirono le campane. Per loro 1’individuo basta a se stesso: e’ si foggia la religione che gli piace, e i figli della stessa famiglia possono aver diversa credenza: non hanno comunione, né società di spirituali interessi, non più relazioni cogli antichi amici in cielo, non più la comunione dei Santi: non più Gesù Cristo nel Sacramento. È spento tra essi il cuore della Chiesa; e non suona più la campana, che ne esprimeva il palpito. Vogliam dire che un avanzo di religione ammiserita, e spoglia di così care credenze, dovette rifiutare alla campana che le esprimeva sì bene. Ah! son forse i figli, che non vogliono più ascoltare la madre coloro, che fan guerra al suon delle campane nel nostro paese cattolico, in questa… miseria di tempi.

Dominus vobiscum.

Cessato il cantico della gloria di Dio, il Sacerdote si volta al popolo, e lo saluta, dicendo: Dominus vobiscum, » cioè: « il Signore sia con voi; » e il popolo gli risponde: « Et cum spiritu tuo; » ed anche collo spirito vostro. – Solo chi ha sortito dalla natura un cuor ben fatto, e chi è ritornato all’evangelica semplicità, è capace di gustare tutta la poesia d’un così caro saluto. Ella è questa una preghiera quanto più usitata e in bocca di tutti, altrettanto non curata e meno compresa. Perché col mal costume di esercitar le opere di Religione come pratiche esterne, senza che il cuor vi abbia parte, si mandano a male le istituzioni più sante. Noi ci fermeremo su questo saluto: e 1° ne daremo la storia; 2° studieremo le cerimonie che lo accompagnano, ed i suoi significati, per poterlo praticare collo spirito della Chiesa, che l’ha sempre in bocca. « Dominus tecum: il Signore sia con voi, o benedetta tra le donne; » disse anche 1’Angelo a Maria Santissima, quando entrò ad annunziarle, che ella era eletta da Dio all’altissima dignità di essere Madre del Figliuol suo. La grazia di Dio, la carità di Gesù Cristo, la comunicazione dello Spirito Santo sia con voi; questi e simili saluti usavano gli Apostoli, quando mandavano ai fedeli quelle loro lettere inspirate da Dio. Di qui adunque la pratica della Chiesa, che fa i suoi figliuoli salutare dal Sacerdote con questa bella orazione: « Dominus vobiscum. » Questo saluto fu già usato dai Patriarchi dell’antico testamento, uomini santi, che, camminando continuamente innanzi a Dio, pieni di Dio la mente e il cuore, col nome di Lui su tutto invocavano la benedizione celeste (Ruth II, 4; Judic. VI, 12.). Fino dai più antichi secoli fu in uso nella Chiesa. – I Vescovi nondimeno, ancora al tempo presente, invece di dire: « il Signore sia con voi, »- dicono: « Pax vobis, la pace sia con voi. » Questa differenza vuol essere derivata da ciò, che il Gloria în excelsis era nei tempi antichi riserbato da poterlo cantare nel Sacrificio, quando celebravano i Vescovi, i quali, finito il cantico, pregavano appunto sul popolo quella pace, che erasi dagli Angioli annunziata. Forse gli antichi Vescovi si ricordavano del beato Giovanni, apostolo della carità, quando, cadente di vecchiezza e stremo di vita, barcollando fra le braccia dei suoi discepoli e tremante di tenerezza si faceva portare in mezzo alla chiesa. Egli là non potendo predicare più a lungo; « 0 figliuoli miei, diceva, amatevi l’un l’altro, » e taceva; tornava ancora l’altro di a dire per tutta istruzione: « figliuoli miei, amatevi l’un l’altro; » e pensava aver detto tutto, che bastasse a farli buoni: quando i suoi discepoli, forse alquanto annoiati della solita predica: Maestro, dissero, diteci altre cose sublimi, voi che tante ne avete gustato, dormendo sul petto del Salvatore! No, risponde da uomo inspirato l’Apostolo d’amore, voglio dirvi solo questo, perché, se lo praticherete, vi basterà a tutto (S. Hier., De script. Eccl.). E voleva dire che la pace nelle famiglie, e la carità del prossimo, è l’anima di tutte le virtù. Osserviamo che il saluto, che fa qui il Sacerdote al popolo, e questo d’invocar Dio sopra di lui col « Dominus vobiscum » si prepone dal Sacerdote in tutte le pratiche di religione, e tutte le orazioni che deve recitare. Come una volta non pure i fedeli, ma anche i pagani non si vergognavano di pregare l’assistenza divina in tutte le pratiche della vita, e fino all’incontrarsi si salutavano, invocando un Dio, che li proteggesse; così la Chiesa ancora tiene vivo questo costume piissimo; e, quando il Sacerdote ha da innalzare in suo nome una preghiera, ella vuole che si ricordi essere egli costituito quale ambasciatore tra Dio e gli uomini, interprete dei voti suoi, ed incaricato di portar innanzi a Dio i bisogni di tutti i suoi figliuoli. Mentre adunque anche in privato recita le sue orazioni, il Sacerdote, rivestito dell’augusto carattere di ministro di Dio, si solleva tra il cielo e la terra, e prima di trattare con Dio, si rivolge al popolo, che in Dio vede tutto presente; abbraccia, per dir così, in unione di spirito colla Madre Chiesa in seno a lei i suoi fratelli, e dice loro tratto tratto: « Dominus vobiscum, » il Signore sia con voi, senza di cui voi non altro avrete che miserie, osserva qui s. Agostino; adunque non vi affannate dietro l’ombra dei beni, che vi lusingano i sensi; vi ricordi, o fratelli, che la vostra felicità voi troverete in Dio solo, innanzi a cui porto i voti, effondo i gemiti per me e per voi: « Dominus vobiscum, » il Signore sia nei vostri pensieri, e vi faccia a sé dirigere tutte le operazioni della vostra vita « Dominus vobiscum, » il Signore sia nel vostro cuore, e questo amore riscaldato dal santo amor suo arda dinanzi alla Divinità, ovunque presente, come il braciere dell’incenso davanti all’altare: « Dominus vobiscum; » il Signore sia nei vostri travagli della povera vita, e, quando sarete stanchi delle schiave fatiche della terra d’esilio, levate gli occhi alla Gerusalemme celeste, ché la redenzione vostra si avvicina: « Dominus vobiscum: » il Signore vi accompagni nelle vostre tribolazioni, e, mentre vi strascinate sulle spalle il peso delle vostre croci, confortatevi guardando il gran capo Gesù, che vi precede colla croce sul Calvario: « Dominus vobiscum » sia con voi il Signore, o fratelli, e, pensando sempre alla divina presenza, apritegli i vostri pensieri; comunicategli le vostre intenzioni; versategli in seno il vostro cuore: e mentre anche il peccatore vive spensierato alla divina presenza, e commette fra le braccia di Dio stesso le sue iniquità, voi nelle vostre case, di mezzo ai vostri sollievi, in mezzo alle vostre fatiche, nelle prospere e nelle avverse cose, in tutte le più minute azioni abbiate di mira la gloria di Dio, la salute dell’anima; così camminando voi sempre con gran rispetto dinanzi a Dio, vi accompagni dovunque la sua grazia. – Ora cercheremo di spiegare le cerimonie, che accompagnano il Dominus vobiscum, che sono queste:

1. Giunge le mani sul petto innanzi al Crocefisso; 2. Si ferma in mezzo all’altare, e s’inchina alla Croce; 3. Bacia l’altare; 4. Si volge al popolo; 5. Allarga le braccia; e le stende verso di lui; 6. Stringe ancora le mani sul petto, e colle braccia strette così, torna all’altare.

1. Giunge adunque le mani sul petto innanzi al Crocefisso; il che significa che egli col popolo si guarda innanzi a Dio come tutta cosa di Lui, e come vittima legata dalla luce divina e morta alla propria volontà, si dà tutta in mano al voler divino, in unione della gran vittima, che va col popolo ad offrire.

2. Si ferma in mezzo all’altare, e s’inchina. L’altare, che rappresenta Gesù Cristo, è come la gran coppa ripiena dell’abbondanza delle divine misericordie da diffondere sopra del popolo. In mezzo adunque all’altare, donde scaturiscono tutte le grazie, il Sacerdote s’inchina; e vuol significare, che da un luogo così santo, così sublime, mentre dev’egli benedire il popolo, prima di tutto ha bisogno di chiamare sopra se stesso colla sua Umiltà le celesti benedizioni.

3. Bacia l’altare: è un trasporto d’amore, con cui bacia di cuore le piaghe di Gesù Cristo, e, quasi mettendo il labbro al santo Costato, attinge a quella fonte del Salvatore quell’acqua, che, mista al santissimo Sangue, sale sino a vita eterna.

4. Si rivolge al popolo. Da quell’altare ci pare di vedere l’uomo del Signore circondato da una aureola di Divinità, che lo rende venerando al popolo prostrato ai piè. Si legge di Mosè, che scendendo dal monte, coronato aveva il capo di raggi fulgenti, così che il popolo non poteva fissarlo in volto. Il Sacerdote invece rappresentante di Gesù Cristo, più che della maestà di Dio, rende immagine della mite dolcezza del Salvatore; e dimostra la carità di Lui, che colle mani aperte sulla Croce, con grida potenti e lagrime per noi al Padre, meritò di essere esaudito (Hebr. V, 7); e si volge ai redenti per consolarsi con essi.

5. Stende le mani allargate verso il popolo. Con questo rivolgersi al popolo, gli fa invito a ricevere Gesù Cristo, che gli porta i doni (Mansi, Del vero ecc. v. 2, lib. 4. Dove osserva che si replica sette volte nella Messa il Dominus vobiscum, per esprimerei sette doni dello Spirito Santo.) dello Spirito Santo. Ah! non ci pare egli di vedere qui Gesù desideroso di effondere nelle anime nostre i tesori della sua misericordia nel Sacerdote, che con Gesù sulla Croce allarga le braccia, le sue mani quasi adattando sulle mani piene di sangue dell’Amor Crocefisso in quella forma disteso? Ecco il Sacerdote dinanzi a Dio: anche Egli venerato pel suo carattere in Cielo sotto le sue braccia protegge il popolo fedele. Avendo Egli questi figliuoli generati alla Chiesa colla virtù del sangue di Gesù Cristo, con Gesù divide i diritti e le tenerezze di padre; e come tale nel salutarli li vuole accogliere in braccio per dar loro la sua santa benedizione, e dice: Dominus vobiscum.

6. Poi serra le braccia al seno, dando vedere con quell’atto, come egli col cuor largo in carità, con Gesù Cristo, tutti teneramente ci abbraccia e con tutti i nostri bisogni ci porta in petto sull’altare innanzi a Dio. Deh! vi può essere pratica più mdevota, più tenera di questo saluto comunissimo della Chiesa? – Il popolo risponde al Sacerdote: « Et cum spiritu tuo: e sia collo spirito tuo. » Questa risposta è l’espressione naturale d’un sentimento di gratitudine, ed è una preghiera che fa il popolo pel Sacerdote, che ne ha gran bisogno in quel momento in mezzo a quei tremendi misteri (S. Jo. Crys. Hom. 18, in 2 Cor.). Qual risposta è più all’uopo di questa, con cui il popolo risponde al gran saluto del Sacerdote, pregando che lo Spirito del Signore l’assista, e lo accompagni? Santa unione nel Signore! Il Sacerdote allarga le braccia al popolo per eccitarlo ad aprire le anime a ricevere i doni di Dio; il popolo gli corre fra le braccia, e prega Dio d’investir l anima del sacerdote col suo Santo Spirito. Ah! sì diciamo anche noi: « il Signore sia collo spirito tuo! » Lavori la perfezione dell’anima tua, ché la perfezione del Sacerdote è un tesoro pel popolo fedele. Egli ti doni tal santità, quale è conveniente al più che angelico tuo ministero. Et cum spiritu tuo. Il suo spirito ti spiri sul labbro la parola di vita, che ha da pascolar l’anima nostra: Egli t’investa lo spirito, e sii tu l’operator di miracoli di carità, col dare la vita alle anime infracidite nel vizio. Et cum Spiritu tuo: o uomo del Signore, sull’altar del Dio vivente rinnoverai il prodigio della verginal purità di Maria Santissima; nelle tue mani discenderà il Verbo eterno per l’onnipotenza della parola divina, che ti ha comunicata. Scambiatesi così tra Sacerdote e popolo le benedizioni, il Sacerdote si mette da un lato dell’altare, ai piedi della Croce, in atto di presentare coi suoi i voti raccolti da tutto il popolo. Prega come Mosè colle braccia alzate; ma più di Mosè fortunato, perché nel suo pregare ripara a sicurtà sotto l’ombra della Croce di Gesù, e non ha più paura di cadere morto sfolgorato dalla presenza della Divinità; e dice con confidenza:

Oremus.

Innalza le mani nel dire « Oremus, » come il condottiere del popolo del Signore sul monte Raphidim, esortando anche s. Paolo di pregare in ogni luogo con alzare le mani pure (I Tim. II). Il sacerdote colle mani levate a capo di tutti presenta coi suoi i voti di tutti i fedeli, i quali pure colle mani giunte, pregano il Padre della bontà, con confidente abbandono attaccatisi alla Croce, disposti a lasciarvi la vita; e qui egli s’inchina per eccitare tutti ad appoggiarsi al Crocefisso, e come vittime anch’essi mettersi colle mani legate nelle mani della giustizia divina sotto di essa. – Ecco l’uomo chiamato da Dio sul monte Santo, che nel momento di entrare in colloquio col Signore, prova il peso della sua infermità, e prega il popolo di tenerlo sollevato fra le braccia della preghiera comune, e dice ad alta voce, perché  loda « Oremus: preghiamo, » invitandolo così a pregare con lui. Egli adunque, come Mosè, si sente mancare la lena in tenere sul santo monte alzate al cielo le mani; poiché uomo infermo anch’esso, in quell’atto, tra i fedeli e il Crocefisso, gli tremano le braccia nell’invocare la benedizione e le vittorie sopra il popolo, nella fiera battaglia intorno allo stendardo di Gesù Cristo. Teme non forse la sua indegnità frapponga ostacolo alle grazie di Dio, e si raccomanda alla carità di tutti, perché lo confortino con le loro supplicazioni. In certo qual modo, dicendo « Oremus, » par voglia dire: « sì io pregherò; ma promettetemi di accompagnarmi voi pure colle vostre suppliche, mentre vado a rappresentare innanzi a Dio ì comuni nostri bisogni. » Quindi recita orazioni volgarmente dette gli « Oremus, » che nella Liturgia sono chiamate collette. – Santa carità di Gesù Cristo! Il Sacerdote per essa comprende i bisogni di ciascuno dei fedeli. Anzi lo stesso Spirito di Gesù Cristo si fa interprete di tutti i cuori, e formola quelle suppliche, che rispondono ai bisogni di tutti. Negli antichi tempi il Sacerdote recitava pubblicamente quella preghiera, che gli suggeriva la sua pietà. Tutta piena la sua mente dei misteri della santa Fede, che si celebravano, rapito in ispirito nell’ammirazione delle virtù di Maria SS. e dei Santi, commosso dalle pubbliche e private necessità gli fluivano bene sul labbro le più devote preghiere, piene di unzione e di carità. Accadeva una disgrazia? I nemici minacciavano di devastare l’Impero? La mano del Signore scuoteva il flagello sulle teste del popolo, coi suoi castighi già lo colpiva? Una sventura anche particolare opprimeva in modo un fedele da far rumore? Ecco i gemiti dell’uomo di Dio esprimevano coi sentimenti i voti del popolo, di cui era l’umile e dignitoso rappresentante (Microlog. De Eccles. obsecr.). – Quando il popolo si sente interpretare i suoi bisogni per bene così, e pubblicamente trattare col Signore i suoi più cari interessi dal ministro della Chiesa, quando sente a chiamare sopra l’anima propria, sopra la sua famiglia, e fino sopra le sue sostanze terrene le benedizioni celesti, ed interporre per lui i meriti dei Santi, della Regina del Cielo; e a tutte queste suppliche, non che altro, aggiungere ì meriti e il sangue di Gesù Cristo, quasi sigillo, che le rende autorevoli ed efficaci; il popolo risponde in armonia d’affetto; « Amen: così sia. » Avete ben detto quello che ciascun di noi voleva. La Chiesa formulò poi e compose, e ora mette innanzi già preparate per tutte queste brevi orazioni o collette od oremus che dir vogliamo. – Quelli, che hanno spirito di orazione, troveranno un gran pascolo in meditarle. Oltre ad essere le più belle forme di preghiera, piene di spirituale unzione e soavità, sono pure le espressioni più genuine e sincere dei sentimenti e della credenza della santa Chiesa Cattolica. Anche da queste ben si comprende come con Dio non è da andare in molte parole, poiché i gemiti, in che si sfoga un’anima compenetrata dai santi misteri, sono le preghiere migliori. Di fatto per lo più la Chiesa presso a poco prega così: « Padre celeste, vedete ciò che ha operato il Figliuol vostro qui sulla terra, e la vostra beatissima Sposa e nostra Madre Maria bagnata di sangue sotto la Croce! Ecco le virtù dei vostri servi: per i loro meriti, e tutto sempre per i meriti di Gesù Cristo, concedeteci che, nell’imitare così sante azioni, giungiamo con essi alla gran mercede, che siete Voi in paradiso. » Ecco ciò che ben dicono insomma gli Oremus. –  Queste collette e benedizioni, o sommarii, come si chiamarono talvolta, perché contenenti i voti di tutti (Bened. XIV, lib. 2, cap. 5, n. 1, De sac. Miss.), erano in uso fino dai primi secoli. A queste preghiere s. Pietro deve la liberazione miracolosa dal carcere (Act. X1.). Insieme pregando si confortavano i fedeli perseguitati. S. Giustino martire nell’Apologia presentata all imperator Adriano diceva: (Apol. I) « noi preghiamo (prima dell’offerta) fervidamente in comune così per voi, come per tutti quelli, che sono dei vostri, sparsi per le varie parti del mondo, affinché, venuti in conoscimento della verità, possiamo tutti per mezzo dell’opera e dell’osservanza dei Comandamenti conseguire l’eterna salute. » – Tertulliano nel suo Apologetico a diversi magistrati dell’impero Romano: « Noi Cristiani, diceva, noi Cristiani alzando gli occhi al cielo, colle braccia aperte, perché innocenti, col capo scoperto, perché non abbiamo di che arrossire; senza bisogno di rammentatore, perché l’orazione nostra la facciamo di cuore; preghiamo sempre lunga vita a’ Cesari tutti, impero sicuro, casa senza disgrazia, eserciti forti, senato fedele, popolo costumato, l’universo intero in pace. Laonde, gli uncini di ferro ci sbranino pure, così a Dio rivolti ci tengan sospesi ed inchiodati le croci, ci scannino le spade, le fiere ci assalgano… il Cristiano sta orando. Via, voi fate questo da bravi, o presidenti, cacciateci di corpo l’anima, che supplica Dio per l’imperatore; sarà questo il nostro delitto. » Poi dice ancora: « Dio ci ha posto il comando di pregar per tutti, anche per i nostri persecutori: massimamente pei re e per le podestà. » Scena commovente! Popoli intieri di perseguitati alla morte, appiattavansi nelle caverne: spiati che erano, venivano strascinati sui patiboli.. Lì piegavano il collo sotto la mannaia; morivano senza una parola, se non per dire al manigoldo, che tagliava la testa: « taglia pure, o fratello, ché io continuerò in cielo a pregare Gesù, che salvi l’anima tua! » Codardi i Romani! colla spada che aveva vinto il mondo, tagliavano la gola a femminette, a fanciulli, che nel morire pregando vincevano i vincitori del mondo. Oh, se Dio accettava quel priego suo/… Sì, abbiamo detto suo, perché gli uomini non avrebbero mai pregato pei loro nemici così, senza la grazia dell’Uomo-Dio, che moriva pregando per chi l’aveva inchiodato in croce… Ecco il carattere più evidente dei veri Cristiani. Intanto rovinavano i tempii delle disoneste divinità, si piantava la Croce sulle rovine dell’idolatria. L’impero pagano diventava cristiano. Sì; questi prodigi operavano forse più che altro i voti, e le suppliche di coloro, che andavano il di vegnente a morire condannati da quelli, per cui avevano così pietosamente pregato la notte passata. – Ora noi dobbiamo ben essere vilissimi, se ci lasciamo mancare dinanzi tanta eredità di fede, e di virtù; se nel pericolo non facciam violenza al cuore della divina bontà, perché ci salvi per sua misericordia. Santi Sacerdoti, infervorate il popolo a pregare con voi. Della Chiesa le necessità sono estreme: e noi in tanta pressura staremo tranquilli, freddi, vuoti di desideri? senza sentire un bisogno? senza una grazia da chiedere intorno all’altare? Già le nazioni si agitano, si arrovellano, sì battono, rivolgono già le armi parricide contro il Cristo di Dio in terra; e noi?… Noi soffriamo, perdoniamo: ed accusandoci i primi per peccatori, popoli e Sacerdoti preghiamo insieme. Viva Dio! Il Signore regna ancora nei cieli, e tiene in mano il cuor delle nazioni e dei re: e il braccio della sua onnipotenza non è per niente accorciato. Egli ha fatto sanabili le cristiane nazioni, che col progredire senza religione si getterebbero nell’abisso della distruzione. Preghiamo che le ristori tutte nel seno della Chiesa Cattolica, intorno al medesimo altare, fra le braccia dell’istesso Padre comune, del sommo Pontefice. Chi non prega renderà forse conto un dì di tanti mali sofferti, di tante anime perdute per mancanza di quelle grazie, che erano promesse alle sante preghiere nel Sacrifizio. – Avvertiamo ancora che queste collette nei giorni di penitenza, o di maggior compunzione, sono più abbondanti. Anche nei giorni di maggior dolore il diacono invitava, come ancor adesso, il popolo a prostrarsi in ginocchio. « Flectamus genua, buttiamoci in ginocchio. » Il popolo sì gettava in ginocchio sul pavimento delle basiliche, ed in quella umiliazione supplicava il Signore che esaudisse il Sacerdote. Il suddiacono poi dava avviso di levarsi, dicendo: « Levate. » Nei giorni poi solenni si dice una sola orazione, perché troppo preme alla Chiesa che noi stiamo raccolti, e coll’anima tutta nei santi misteri, cui ella celebra con solennità. Perciò ella desidera in certo qual modo che ci dimentichiamo di tutto, perché le potenze del nostro spirito si concentrino in meditare, e gustare il santo mistero, che assorbir deve, per dir così tutti i nostri pensieri, come occupa di sé tutta la Chiesa a celebrarlo. – Noi abbiamo accennato, come il Sacerdote conchiude l’orazione o colletta colle parole, che mettono innanzi i meriti di Gesù Cristo, e come il popolo le ratifica, e quasi sottoscrive, dicendo: Amen, e così conferma la preghiera fatta a nome suo dal Sacerdote. Ma questa conclusione, questa conferma, essendo preghiere, le quali la Chiesa ha quasi ad ogni momento in bocca, vogliam dirne pure qualche cosa, per entrar meglio nello spirito di questa piissima madre; affinché queste parole che ella ci mette, come a bimbi sul labbro, valgano ad ottenerci tutto il bene che ella desidera. Termina adunque gli Oremus colle parole: Per Dominum nostrum Jesum Christum etc. – Quando il Sacerdote mortale porge a Dio le supplicazioni dei congregati fedeli che assistono all’altare, non è più l’uomo solo che prega; ma con lui è il Pontefice invisibile ed eterno, che intercede per noi, santo, innocente, immacolato, dai peccatori diviso, e più sublime dei cieli, unico mediatore tra Dio e gli uomini (Heb. V, 1.) Gesù, il quale aggiunge il suo merito ai sospiri della nostra povertà. Ma noi non comprendiamo l’ordine della divina provvidenza ed i disegni della misericordia, con cui il Signore da tutti i mali della terra cava il bene de’ suoi eletti. Perché noi uomini siamo proprio, come miopi; e non vediam più lungi d’una spanna nell’avvenire. Perciò, quando noi preghiamo, non si può far meglio per noi, che gettarci ai piedi di Gesù Cristo, e rimettere nelle sue mani tutti i nostri interessi, raccomandandoci ai meriti suoi; affinché per esso ponga Iddio quel che per noi sia il migliore: certi che ciò che cercheremo dal Padre in nome suo con queste disposizioni, per lo migliore ci sarà concesso (Jo. XVI, 26.). Quindi nel dire « per Dominum nostrum Jesum Christum etc., » veniamo a dire che Gesù Cristo ci ama infinitamente più che noi non amiam noi stessi, che sa, e conosce e porta scritto nel suo Cuore il nome nostro e tutte le cose nostre, e perciò ci rimettiamo a Lui, che Egli faccia secondo la nostra preghiera, se è bene quello che noi chiediamo: o che la corregga, come Egli è nostro avvocato, e raddrizzi i nostri desiderii, ed interpreti le nostre domande. Perché altro finalmente noi non desideriamo, che la nostra eterna felicità, a cui speriamo di giungere per i meriti di Gesù Cristo. Così pregare è pregare nella maniera più utile e santa, e vuol dire: ABBRACCIARCI A GESU’ NEL SS. SACRAMENTO QUI CON NOI, E GRIDARE: « PADRE; QUESTO CUORE DI GESU’ SQUARCIATO VI DICE TUTTI I NOSTRI BISOGNI. » Allora confidiamo, che ne abbiam ragione. Egli promise, che qualunque cosa chiederemo al Padre in Nome suo, ci sarà data. Le parole adunque « Per Dominum nostrum Jesum ChristumPer Christum Dominum nostrum etc., » cioè per li meriti di nostro Signor Gesù Cristo, che vive, e regna con voi, o Divin Padre, in unità dello Spirito Santo, con cui si terminano tutte le orazioni della Chiesa, sono come una certa quale autentica, o come una sottoscrizione apposta alle nostre suppliche, fatta col sangue di Gesù Cristo; e vogliamo dire: « il suo cuore qui in mezzo di noi vi dice tutto quello che noi non sappiamo dire. »

Amen.

« Il popolo, (diceva sino dal fine del secondo secolo s. Giustino martire) (Ap. I), il popolo conferma l’orazione e il rendimento di grazie coll’Amen, che è una parola della lingua ebraica, e significa: « così va bene, così è: approviamo ciò che si dice: accettiamo per noi ciò che si è detto, e proposto or ora: così sia: Sì, sì che noi abbiamo in somma per Gesù Cristo il paradiso! S. Giovanni (nell’Apocalisse) sentì, che, quando i ventiquattro misteriosi seniori e misteriosi animali, la Chiesa, gli Angeli ed i mille e mille segnati, tutte le legioni di Dio, caddero in ginocchio innanzi all’Eterno, chiusero il Cantico celeste, che orecchio e cuor di uomo mortale non può comprendere, coll’Amen. Anche quando Mosè innanzi all’altare di Dio, chiamando testimonio il Cielo e la terra, scongiurava il popolo di dire schietto, se voleva essere di Dio o degli idoli, e così scegliere tra la morte e la vita, e pregava da Dio benedizioni ai fedeli, e imprecava le più terribili maledizioni a chi non volesse alla legge obbedire; il popolo cosperso del sangue della vittima, accettava colla legge le benedizioni, e si sottometteva, in caso d’infedeltà, ai tremendi anatemi, ed a tutte le maledizioni, col dire: Amen. Che facciamo noi, quando rispondiamo « Amen ?» Noi, ai piè dell’altare, da cui sgorga sulle anime nostre niente meno che il Sangue di Gesù Cristo, accettiamo per detto da noi quel che dice il Sacerdote. Il Sacerdote chiede lagrime di contrizione, chiede aiuto e forza di cessare il peccato e rompere le catene per cui il demonio ci trascina a perdizione: ciascuno di noi risponde: « Amen. » Con ciò vuol dire: così mi aiuti Iddio, che v’impegno la mia parola, che darò mano a far tutto con la sua grazia. E una virtù, che egli presenta a Dio come un fiore germogliato sulla terra innaffiata dal Sangue divino, e chiede grazia a riprodurlo in ciascuno di noi? E noi col risponder « Amen » promettiamo a Dio di regolare i nostri costumi in ordine a quelle virtù, e di coltivarle con tutto l’impegno. Talora poi il Sacerdote ricorda un mistero, e professa di crederlo e ne chiede merito per noi di vita eterna, o si solleva coll’anima al paradiso, e di là confessa, che tutte le cose della terra cadono a nulla dinanzi a quelle del Cielo. Allora noi diciamo « Amen » cioè lo crediamo anche noi, e da quest’esilio alla beata patria andiamo sospirando. Così coll’Amen diamo parola di dare gloria a Dio coll’operare, come esigono le verità, che gli professiamo di credere. (S. August. ad Prosp. et Ilar. de Don Pers. Orig. in Ep. ad Rom. lib. 10. — S. Just. Apocal. 2. — S. Jeron. in Jerem.). –  Ora nel ripetere così facilmente col labbro questa protesta, è forse il cuore lontano, lontano da Dio? Ipocriti! L’Amen, allora sarebbe una solenne bugia, quando alle tante proteste fosse in contraddizione il costume! Qual menzogna sarebbe nel confessare coll’Amen, che Dio è tutto per noi; e poi con tutta l’anima a razzolare nella terra un po’ di polvere? Promettere coll’Amen di voler seguire Gesù, al mondo ed alla carne con Lui crocifissi; e poi ai sozzi vituperi della carne sacrificare l’anima e Dio: gridare coll’Amen, si, o Signore, Voi siete tutto il nostro bene, che sospiriamo di possedere in paradiso; ed intanto, abbietti in vita bestiale, quasi quasi desiderare, che non vi fosse né paradiso, né Dio, perché piace il goder sempre sulla terra? Santo Iddio! noi vogliamo forse accettar per nostre, le maledizioni scagliate contro coloro, che pur conoscendo il bene, fanno vista di approvarlo; ma poi corrono al male? Ah! diciamo dunque « Amen » con cuor sincero ed umiliato, e se non possiamo altro, almeno sia il nostro Amen l’espressione dei desideri di un’anima, che chiede aiuto: almeno una confessione della nostra miseria; volendo dire confidenti con questa parola: « Ah! Signore ispirateci la buona volontà, benedite ai nostri proponimenti, e colla vostra grazia adempite ciò, che non possiamo noi colle nostre forze così meschine. » Così gli Amen dal cuor compunto ci fluiranno sul labbro come gemiti di confusione salutare.