LO SCUDO DELLA FEDE (233)

LO SCUDO DELLA FEDE (233)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (5)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

LA MESSA

PARTE I

LA PREPARAZIONE

CAPO III

ART. III.

La Preghiera.

E che cosa è la preghiera? Pregare vuol dire, creati che siamo da Dio, circondati da tutti suoi benefici, con tutti ì nostri bisogni, gettarci in braccio al padre di tutti i beni, e gridargli in seno: « Gran Dio! provvedetecì Voi nella vostra bontà ». Pregare vuol dire, creati che siamo pel paradiso, e caduti in terra in queste miserie, guardare il cielo esclamando: « Signore! non ci possiamo arrivare! » pregare vuol dire con tante colpe sull’anima, sopra l’abisso di una eternità Spaventosa, e lì lì per precipitarvi, mettere un grido atterriti; « buon Dio della. misericorda! Salvateci Voi; o che noi siamo dannati! » pregare vuol dire: con tante piaghe, che ci straziano il cuore, (e tristo chi non le sente; egli sta mal di morte!) gettarsi ai piedi del gran medico delle anime, e gridar con gemiti: « Caro Gesù! pioveteci dalle vostre piaghe sulle piaghe nostre il balsamo del vostro Sangue, o che noi moriamo di mala morte! » – Sì, sì, l’intendiamo! Pregare vuol dire, gettarci ai piedi del Crocefisso, (e guardiamo bene che dai piedi al cuore la distanza è poca cosa: e vogliamo dire che quando ci gettiamo ai piedi di Gesù, Gesù ci accoglie in cuore); e noi possiamo dal seno di Gesù gridar forte: « O Signore della pietà! Il Cuore squarciato di Gesù Cristo vi dice tutti ì nostri bisogni. » In somma tutti i beni vengono da Dio: e noi dobbiamo tutto domandar a Dio e rendergli omaggio di tutto: così la preghiera è il cantico della creazione. Dio creava le stelle, la terra, le piante, gli animali. Erano queste le grandi e belle cose; ma non lo benedicevano: creò noi uomini, che partecipiamo di tutto. Noi siamo di terra colla terra, vegetanti colle piante, animati cogli animali; a capo di tutte queste cose create, se l’universo è come un grande edificio, noi uomini siamo come la statua che lo coroniamo, e dobbiamo le palme levare al cielo: se l’universo è come una piramide, noi uomini siamo come la fiammella in cima, che si slancia verso del Cielo: noi dobbiamo dunque nel visibilio di tutte le cose lodare Dio a nome di tutte, unire i nostri voti ai profumi dei fiori, i nostri cantici ai canti degli augelletti, i nostri gemiti al grido degli animali, accordare le nostre voci all’armonia dell’universo, che è l’inno sublime che tutte le creature intonano al Padre e Signore del tutto. – Noi poi che collocati in cima alle creature del mondo della materia, con quest’anima nostra apparteniamo anche al mondo degli spiriti, candidati del cielo, di qui dalla terra dobbiamo far eco al cantico degl’immortali al paradiso (Illi canentes iungimuralmæ Sionis æmuli. L’inno della Chiesa). Siamo dunque noi l’anello che unisce il Cielo colla terra: e così l’uomo che non prega rompe quest’armonia dell’universo, turba l’ordine della creazione, è un fuor d’opera, ed è come un mostro disordinato. – Gli uomini di tutte le nazioni sparse sull’orbe hanno sempre sentita questa necessità di pregare. Girisi pur la terra, diceva Plutarco storico, filosofo pagano antico, (e lo possiamo ripetere noi moderni, che con tanta facilità facciamo il giro del mondo), girisi pure la terra; ci è dato trovar gente d’ogni colore, nazioni senza codici, senza città, senza case; ma dove troviamo un gruppo di uomini, là troviamo in mezzo di loro un altare; un segno della preghiera. pigliamo scandalo dalla apparente incredulità dei nostri di: non è questo stato normale della società; è come uno stato morboso, di cui è cagione il veleno del razionalismo, che tradotto in pratica, getta le nazioni in uno stato d’orgasmo, nel vortice delle rivoluzioni; e questi che si dan del fiero di non curarsi di Dio, non sono poi il genere umano, no! ne sono la minima porzione. Poiché anche ai dì nostri la donna, il fanciullo, il popolo, ed in certe ore!… fino gli empi solidari; l’umanità insomma lascia cinguettare gl’increduli, ma prega pur sempre! – A farla intendere alla filosofia beffarda, Dio faceva dare la lezione da un fanciullo. Il filosofo Sintennis, quando nel secolo passato la filosofia bugiarda asseriva che il popolo prega Dio, perché il prete ne ha inventata l’idea, pigliò a farne prova un bimbo appena divezzato dal latte. Bisogna dire che quel bimbo non avesse la mamma, perché la mamma anche turca parla col bambino di Dio; la madre, quando bacia il bambino stretto al seno con quel bacio calcato vuol dire: « vita mia, ti voglio tutto il bene per sempre! » lo vuol beato col Sommo Bane! Così il bacio della madre è come il primo sacramento nell’ordine naturale, poiché è un segno sensibile del desiderio di aver il bimbo felice in Dio. Sintennis portò quel bambino in una sua villeggiatura; prese ad educarlo da solo, e guardò ben che non parlasse con altri, né gli cadesse mai sott’occhi il nome di Dio. Il fanciullo veniva su svegliatello, e Sintennis diceva forse in cuor già: « a momenti io presento all’Accademia di Parigi un giovane uomo, che non ha mai sognato che Dio vi sia. » Un bel dì passeggiava il filosofo nel boschetto, quando scorge il giovinetto a scendere giù nel giardino, e gir sulla vetta di un monticello, che s’innalzava sulla riva di un piccolo lago, nel cui quieto cristallo sì specchiava il cielo color di rosa. Era l’ora quando gli augelletti salutano col canto il sule che nasce; era l’ora quando i fiorellini aprono le loro boccucce ridenti di rugiada, e mandano profumi al cielo; ed il sole sorgeva incoronato di raggi nello splendore dell’aurora. Il giovinetto si volge al sole d’oriente: O Sole, esclama, oh quanto sei tu bello! quanto ti ha fatto grande e splendido il Creatore del tutto, a cui obbedisci nella tua carriera! 0 sole, lo vedi, lo conosci tu il creator del tutto? Se tu lo vedi, digli, che vorrei conoscerlo anch’io; digli che gli voglio bene: se tu lo vedi, stampagli sull’eterna fronte a mio nome un bacio. » Così espandendosi quel cuor ingenuo sì baciava la mano, e mandava al sole i baci da dare a Dio…. Sintennis, come da sonno riscosso, corre sul monte, ed abbraccia il giovinetto, e tutto tremante gli dice: « e chi ti ha detto che vi sia il Creatore?… Chi me l’ha detto? risponde il giovine; me l’ha detto questo sole; ché non siete voi che lo gettaste lassù nel cielo; siete troppo piccino!… Chi me l’ha detto? queste erbe; ché non siete voi sotto terra, che col vostro dito le fate spuntare! Chi me l’ha detto? questo cuore me lo dice, che batte; e non siete voi, né io, che lo facciamo battere! » Sì, sì, esclama allor ricreduto Sintennis, la preghiera a Dio è un bisogno del cuore umano. Cade qui una osservazione mortificante pei meschini, che vantansi intrepidi di non aver questo bisogno: ed è quel fanciullo, benché disgraziato di non aver avuto la madre, né il prete che gli parlasse di Dio, fu fortunato almeno di non aver avuto un corrotto, che gli guastasse il cuore: perché quando il cuor è corrotto, n’esce una nebbia fetente, che oscura la mente da non pensar più a Dio! – Se la preghiera è un bisogno per tutti, per noi Cristiani, raccolti sotto l’ali della misericordia di Dio, l’orazione è il grido dei figliuoli al gran Padre della bontà, è il gemito dei nostri cuori sconsolati di averlo offeso, è il sospiro dell’anime innamorate dello Sposo celeste, è uno slancio delle nostre persone al sommo nostro bene, che è Dio. Poi in mezzo a tanti pericoli è l’arma a poterci difendere (S. Ambr. In obitu Valen). Formiamo in terra il regno di Dio, e la città dei Santi? La preghiera è il muro che ci mette al sicuro (Io. Gr. De orand. Deum. L. l). Al Cielo in Dio è il nostro destino? La preghiera è la scala (S. August. Sermon. 22 al frat. eremit.) a poterci elevare, è l’ala a volarvi speditamente (S. Greg. Naz. De Orat. S. Alfons., s. Joan. Gris.). Diremo tutto in breve che per noi pregare vuol dire UNIRCI COL CUORE IN GESU’, E GRIDARE: O PADRE, IL CUORE SQUARCIATO DI GESU’ VI DICE TUTTI I NOSTRI BISOGNI.

La Preghiera in comune.

Per questo da buona madre la Chiesa ci vorrebbe sempre intorno a sé con Gesù a dirgli tutti i nostri bisogni e le tenerezze nostre, e cogli omaggi delle nostre preghiere ad immagine in terra del beato regno dell’eternità. Poiché che cosa fanno i beati in paradiso? Assistono, risponde s. Ambrogio indivisibilmente alla presenza di Dio: e Dio, irraggiandoli coi celesti fulgori dell’esser suo divino, li comprende, gli assorbe, gli accende di carità: ed essi in quell’incendio ardono di prezioso timiama spirituale, adorando, e pregando sempre. E che facciamo noi pure quando preghiamo nella chiesa? Associati all’immortal adunanza di quei beati, e già col cuore cittadini della celeste Gerusalemme, illuminati per la fede della verità, ch’è la luce del cielo, mentre lo Spirito del Signore spira gli inenarrabili gemiti della preghiera in noi; poi con essa, sull’ali del Divino Amore, tra le braccia della madre nel Cuor di Gesù, con confidente abbandono versiamo il cuor nostro nel cuore di Dio. Dunque l’orazione è l’accompagnamento necessario del Sacrifizio, culto accettevole, che santifica le anime, e, poco men che non diciamo, le india. Così elevati in seno a Dio possiamo tutto ottenere; tale è la potenza della preghiera.

La potenza della Preghiera.

Ci assicura Gesù che potremo coll’orazione tutto il bene ottenere. Domandate, e riceverete; cercate, e troverete; battete alla porta, e vi sarà aperta: e in tanti luoghi dell’Evangelio pare che ci dica: « pigliate coraggio, o miei figliuoli, lassù nel Cielo abbiamo il Padre della bontà, ch’è nostro: ed oh se vi ama! Egli è, che mi ha mandato per salvare le vostre persone! e questo quando ancor gli eravate nemici; pensate: che vi potrà mai negare il Padre di tutti i beni ora che gli siete figli? Io son qui, non vi abbandono, prego Io con voi, faccio con voi causa comune. È da piangere di consolazione nel sentire come l’ha studiata bene nel suo amore per confortarci a tutto aspettare dal Padre celeste. Ecché? dice Gesù; se venisse pur in sulla mezzanotte alcuno a bussare, e sotto la finestra gridasse: amico! mi giunge or ora da lunga via un amico: ed io non ho un pane da mettergli innanzi; deh imprestamene qualcheduno da apporgli! Voi gli direste: ma la mala creanza di disturbarmi a quest’ora! Vedi: io, i figli, i servi, siam già coricati….. Ma egli batte ancora alla porta: amico, non negarmi un po’ di pane per carità! Se non fosse per altro, almen per togliervi quell’importuno, voi vi levereste da letto, e non pur del poco pane, ma lo vorreste fornir di tutto. E voi non siete poi tanto buoni! Pensate, che non vorrà fare il Padre nostro divino! » Ah! Stiamo alla parola di Gesù; che Gesù sel conosce bene il Padre suo. Tra Padre e Figlio se l’intendono divinamente, e dispongono salvarci, se noi vogliamo pregare. Egli è Dio, che ha dato alla preghiera tale potenza, fino sopra di noi, che siamo cattivi (S, Luc. XI), da non resistere contro i più deboli. Difatti pensiamo, se un povero insettuccio per terra, nell’atto che poi stiamo per schiacciarlo col piede, ci potesse pregare, è dirci: abbiate compassione di me, per carità, lasciatemi la vita, è questo tutto il mio bene… vivere qualche giorno qui…, poiché io non aspetto altra vita; mettete il piede da un’altra parte; a voi non vien alcun vantaggio dallo schiacciarmi: e chi di noi non risparmierebbe l’insetto? Ebbene, noi siamo come poveri insettucci nella polvere innanzi a Dio, e se grideremo, piangeremo pregando sempre, noi faremo sforzo al suo cuore paterno. – Non ci resta adunque, che pigliarci sul cuore Gesù e star sempre con Gesù sulle braccia. Quando una poverina di madre, nella miseria di ogni cosa, vede il bambino, che le muore di fame; ella piglia il bambino delle viscere sue, e se lo reca alla porta del ricco, che conosce di cuor buono, e sta fuori in una brezza fredda, che le taglia la vita, il bambino le piange sul petto. L’uom del buon cuore sente un bambino che piange alla porta, apre subito l’uscio, e vede il meschinello, che si consuma: le braccioline che cadono giù, gli occhietti annebbiati, quelle povere ossicine in quei cenci; non pure egli di buon cuore: ma qualunque avesse un boccone di pane, se lo torrebbe di bocca per darlo al meschinello. Pensiamo adesso che non vuol fare con noi il buon Dio, quando sente noi, o meglio il Figliuol suo tra le braccia di noi, gemere in basso in questa povera terra tra le fasce o le miserie della nostra umanità, e battere alla porta, o meglio battere colla sua parola al suo cuore paterno! Oh Padre, oh Padre! il Figliuolo gli grida di fuori…. Oh se la conosce il Padre la voce! è il gemito della parola, che gli è uscita dal seno eterno!…. Sì, v’ha da ascoltare, vorremmo dire, per forza! – Non ci resta adunque altro che pigliar sul cuore nostro Gesù qui nel Sacramento sulla porta del cielo, e mostrarlo Bambino, che vagisce tra le fasce, che sono le angustie della povera umanità; o presentarlo tutto bagnato di sangue con affannoso lamento in passione con le sue piaghe e le nostre miserie; o colle braccia elevate additarlo in Cielo e in gloria col cuor, che palpita qui sul nostro cuore! Grande Iddio! noi vogliamo giurare che possiamo con Gesù tutto ottenere. Comprendiamo adesso un mistero! Quando Gesù tutto bagnato di sudore di sangue, col tremito dell’agonia, tirossi gli Apostoli appresso, stampava loro sul cuore sopra morte, diremmo, il suo avviso più caro, diceva: « pregate, pregate sempre, » e subito allora si avviava a morire: voleva dire, che andava sulla Croce a tutto ottenerci! – Bene dunque mentre il Sacerdote si accinge a rinnovare il sacrifizio di Gesù Cristo, rapito nel pensiero della bontà di Dio, in mezzo all’altare, in sulle prime non sa far altro che esclamare: « Kyrie! Kyrie! Signore! Signore!… » ed assorto nel Signore della misericordia, sentendo il peso delle umane miserie, grida subito: « abbiate pietà, eleison! eleison! » – Poi tutto giubilo per l’ottenuta pietà: « Gloria in excelsis, gloria a Dio, esclama, negli altissimi Cieli. » Quindi pare che dal seno di Dio corra in seno al popolo a comunicargli le sue grazie, esclamando: « Dominus vobiscum.- » Poi ancora abbracciato col popolo, o meglio coi figliuoli suoi e figliuoli di Dio, grida: « preghiamo confidenti insieme con Gesù: Oremus…. per Dominum nostrum Jesum Christum. » I quali devotissimi slanci del cuore della Chiesa noi ci faremo ad esporre.

Kyrie eleison.

Il Sacerdote, quando tutti sono all’ordine, portando sempre sul cuore il peso de’ peccati propri e di quelli del popolo, venuto in mezzo all’altare, colle mani giunte innanzi al Crocefisso, par che voglia dire: figliuoli, ecco l’opera dei nostri peccati; il Figliuol di Dio ha dovuto morire per salvarci!!! Grande Iddio, poi esclama, abbiate pietà di noi: Kyrie eleison: » Gesù Cristo tocca a voi coprire colle vostre piaghe le nostre miserie e guarire le nostre infermità! Christe eleison. » Il popolo risponde: Signore, pietà e misericordia! Le parole Kyrie eleison sono voci greche. La Chiesa conserva (Ben. XIV, lib. 2, cap. 4, n. 7 De sac. Miss.) ne’ suoi riti alcune parole ebraiche, Amen, Alleluia, ecc. ed alcune greche, come questa Kyrie eleison; e questa pratica significa, che è sempre una e la medesima Chiesa quella, che fu radunata prima dai Giudei, dai Greci e dai Latini, finalmente da tutti i popoli della grande umana famiglia. Si cantano queste preghiere nove volte da questo coro terrestre, per corrispondere in qualche modo ai nove ordini o cori degli Angeli in Paradiso. Si grida in esse tre volte al Padre, tre volte al Figlio, tre volte allo Spirito Santo per confessare l’augusto mistero delle tre Persone divine in un solo Dio. S. Tommaso (In 3, p. q. 85, a. 4) osserva, che, invochiamo le Persone della SS. Trinità tre volte per ogni Persona, per indicare, che una Persona è colle due altre indivisibile: e per invocare un rimedio alla triplice nostra miseria, la miseria della ignoranza, la miseria della colpa, e la miseria della pena; tre volte al Padre, adorando nel divin Padre il Figliuolo, e lo Spirito Santo; tre volte al Figlio, adorando nel Figliuolo il Padre e lo Spirito Santo; tre volte allo Spirito Santo, adorando nello Spirito Santo il Padre ed il Figliuolo. Così mentre il Cristiano s’innalza a contemplare colla fede nell’augusto Mistero ì segreti della vita interiore di Dio, e beve, dirò così, un saggio della Divinità, mentre porta seco in quell’altezza di contemplazione l’immagine di Dio stesso nell’anima sua, e la mostra colle piaghe, che noi le abbiamo fatto, grida confidente: Kyrie, Kyrie eleison. » Grande Iddio, abbiate pietà! « ristorate questa povera immagine vostra, figlia del tro amore. » Notiamo ancora, che, invocando il Padre, ed invocando lo Spirito santo, li chiamiamo Kyrie cioè Signore. Ma parlando col Figlio lasciamo questo sublime titolo, e lo chiamiamo nostro Re e nostro Pontefice. Quasi si dicesse, secondo l’osservazione di S. Tommaso: » con Voi, o divin Figliuolo, parleremo con maggior confidenza, perché in seno alla vostra divinità noi scorgiamo qualche cosa del nostro. Voi siete, è vero, grande, Consostanziale Verbo divino: ma siete pur nostro fratello, e Sopra di Voi, che siete nostro, noi appoggiamo tutte le nostre speranze; ah! vedete in questa povera umana natura consorella della vostra in paradiso, quante miserie! Deh! finché non ci ristoriate col vostro sangue, noi grideremo sempre: pietà, o Signore, Kyrie, Christe, eleison. – Ora che conosciamo il perché si replichi tante volte questa preghiera, anche noi prostrati a piedi della Croce intorno al Sacerdote dobbiamo, a sfogo di compunzione del cuore, gemere in unione di spirito con quegli antichi padri nostri, da cui abbiamo questo tenerissimo rito ereditato, i quali prolungavano (Marteny De aut. Voelles rit. lib. 1, cap. 4, a. 3) questo grido di pietà, finché il sacerdote non lo faceva cessare. – A quei tempi, quando il Sacerdote cominciava sull’altare ad esclamare: « Kyrie eleison, Signore pietà; » a quel grido da una parte del coro si rispondeva gemendo: « Ah! sì, o Signore, pietà, » dall’altra si ripeteva, misericordia, o Signore! » Quei buoni dovevano l’un l’altro guardarsi a quel lamento, che faceva sentire più vive a ciascuno le proprie e le comuni necessità; e, tocchi tutti i più vivamente, gridavano ancor più forte: « Misericordia, o Signore, misericordia! » – A noi par di assistere alla Messa ancor nei sotterranei delle catacombe con quei cari fratelli destinati alla morte; quando il fondo della grotta, in cui mettevano cento viottoli della città dei morti per Dio, il Sacerdote dai piè della Croce metteva il gemito: « Kyrie eleison, gran Dio, misericordia! » e i fedeli più vicini s’udivano ripetere gemendo: « misericordia » e gli altri più discosti dispersi in quegli antri gridare anch’essi: « Signore! misericordia, misericordia! » In tutti quegli anditi e buchi, diffondendosi in quel labirinto di mille sepolcri, tra quei morti e vivi santi, quel gemito pareva andasse morendo e confondersi nell’abisso dell’eternità. Più che pregare era un gemere di tutti, che si volgeva in acute strida d’inconsolabile dolore di quei compunti, che contemplavano sulla croce l’opera dei loro peccati! –  Ecco il perché nel sacro rito ancor oggi, quando si canta il Kyrie dall’una e dall’altra parte del coro si ripete Kyrie; quasi con una coral gara di farsi sentire di più; ed ecco il perché ancor adesso, cantandosi l’ultimo Kyrie, s’alza più forte la voce; ed il canto allora volge allo strido, per significare quel gemito universale cresciuto fuor di misura, in che si sfogava quel popolo santo compenetrato dalle cattoliche verità, che dinnanzi alla Croce colle proprie colpe ricordava la meraviglia della bontà di Dio. Erano le strida di poveri figli, che colla coscienza dei meritati castighi, abbracciati alla croce, mostravano sopra di essa chi per loro pagò! – Anche noi gridiamo: « Kyrie, Padre Santo, misericordia; Voi, che ci avete dato il Figliuol vostro per salvatore; Christe, misericordia, Voi, Gesù Cristo, Figliuol di Dio fatto uomo, che siete morto in croce per noi: Kyrie, Spirito Santo, misericordia, Voi, che operaste il mistero dall’Amore divino, coronate l’opera della misericordia vostra; » e, benché lontani dal fervore dei santi, allarghiamo il cuore a tutto sperare da Dio con noi. Gridiamo, gridiamo arditamente fino all’importunità; e possiamo dirgli: « Signore, anche il povero cieco (S. Luc. XVIII) gridava forte, quando Voi passavate a lui davanti, il perché la gente della turba lo garriva di quel suo noioso strillare; ma ei gridava più forte, seduto là sulla terra: e Voi a quelle grida importune rispondeste col dargli la vista. » Abbiamo inteso: noi non cesseremo di gridare, finché non ci abbiate esauditi: noi ci rammentiamo pur anche di quella, che la gente del mondo avrebbe detto imprudente Cananea (S. Matt. XV, 22), che gettatasi in ginocchio, vi tendeva le mani: e, « Signore esclamava, mi dovete guarir la figliuola: » e Voi faceste mostra di ributtare la preghiera, tirando innanzi, quasi negaste far grazia. Ma si! ella vi tenne dietro con insistenza a tutte prove. « Me la dovete guarire, gridava forte, me la dovete guarire! » Voi foste allora dal vostro cuore obbligato ad esaudirla. La Chiesa ha imparato da lei; prega; scongiura; piange nel Kyrie, ed in mezzo a questi accenti di compunzione, tra le grida ed il pianto universale il Sacerdote nell’altare accenna al Crocefisso; e par che dica: « Su via, calmatevi, pigliate cuore, vedete qui il Figliuol di Dio in croce colle braccia larghe per voi! E che poteva fare di più per mostrarci che ci vuole salvi? » Qui con un confidente abbandono allarga le braccia, stende le mani, come se volesse accogliere l’abbondanza della misericordia di Dio, per la quale guadagniamo di più, che non abbiamo per la colpa perduto. Anzi fra i trasporti della vivissima gratitudine, dai gemiti del dolore pare, che trapassi in tale eccesso di giubilo, che giunga sino ad esclamare con la Chiesa (Vedi la benedizione del Cereo Pasq. nel Sabbato Santo): « Oh fortunate anche le colpe nostre, che tale si meritarono e così gran Redentore! » – Nel bisogno di esilarare lo spirito esterrefatto, che vorrebbe, e non sa dire, perché non trova parola umana per ringraziare il Signore, egli prende in prestito il cantico degli angioli, ed esclama con essi: « Gloria a Dio nell’eccelso de’ Cieli. »

Gloria in excelsis Deo.

Noi su cantiamo redenti appiè della Croce questo inno, che gli Angeli cantarono nella notte più avventurata per questa povera terra, nella stalletta di Betlemme intorno al Bambino Gesù appena nato: e che i fedeli solleva, e rincora colla speranza del paradiso. « Gloria » (dicevano essi; e con essi ripete il Sacerdote, alzando gli occhi, le mani e il cuore), « Gloria a Dio nel più alto de’ Cieli, e pace in terra agli uomini di buon volere. Noi vi lodiamo e benediciamo, noi vi adoriamo, e vi rendiamo gloria, o Signore, ecc. ecc. » Questi sono accenti, che scoppiano interrotti da troppo gran piena di affetti. – Somigliante ai profeti d’Israello il Sacerdote rapito in santo entusiasmo d’amore, compreso da un fuoco divino consuma gli spazi del tempo, vola dell’animo dall’altare al presepio, dal presepio al cielo, e tra il cielo e la terra elevato, intuona « Gloria » cogli Angeli in cielo, a cui fan eco gli uomini in terra; e canta insieme sì veramente il cantico nuovo! Ben il profeta Ezecchiello udì esterrefatto in paradiso le legioni degli Angeli, che cantavano: « Gloria a Dio, all’Eterno, al Santissimo, al Signore degli eserciti; » ma quando essi videro l’Eterno Iddio fatto Bambino, in quella greppia, in sulla paglia, e lo adoravano; allora tremanti di tenerezza si dovettero abbracciare fra loro quei beati, ed accennandolo lì in basso, nato per noi, all’immortal cantico della gloria di Dio in cielo dovettero aggiungere l’inno di pace agli uomini sulla terra. Scendevano in fatto gli Angeli a cantare « pace in terra agli uomini di buona volontà! » –  Prosegue poi il cantico, che noi qui cerchiamo di spiegare. Continua adunque: « Ah! Signore, rendiam grazie a Voi per la vostra gloria ecc. ecc. » Voi grande Iddio, Signor dell’universo, re dei Cieli! Ah! Voi, Dio onnipotente, Voi ci siete Padre? Santa Fede! Vi abbiamo conosciuto per tale dall’ora, che ci vedemmo innanzi il vostro Figlio, fattosi per noi nostro fratello. Vi rendiamo grazie adunque per la grande gloria, che per noi sì volge in infinita misericordia (Ben. XIV. De sac. Miss. lib. 2, cap. IV, n. 17). « Ah! Divin Figliuolo unigenito, Gesù Cristo, Signore nostro, Agnello di Dio, Figliuolo del Padre, che togliete i peccati degli uomini, abbiate di noi pietà. Voi che togliete i peccati del mondo accogliete le nostre suppliche ecc. ecc. » Voi ci avete comprati col vostro Sangue, o grande Iddio, che state qui sulla Croce agnello sacrificato innanzi al Padre vostro. Ora intendiamo che avremo pace col Cielo, poiché abbiamo di che pagare i debiti nostri col sacrifizio vostro. Compite adunque l’opera della vostra misericordia, togliete i peccati del mondo. –  « Voi che sedete alla destra del Padre, abbiate di noi pietà ecc. ecc. » Verbo eterno, alla destra del Padre con Voi avete pure sollevato in seno al Padre la vostra umanità, avete portato in Voi quelle piaghe, che gridano per noi pietà! Aprite le viscere della vostra misericordia divina con noi che tutto osiamo aspettarci da Voi, c il solo Santo, il solo Padrone di tutto, il solo Altissimo Gesù Cristo, col Santo Spirito nella gloria Dio Padre. Amen. È così, o Signore, e noi siamo già di tutto lo speranze in voi confortati. – Ma la Chiesa ha i suoi giorni di rammarico, e di dolore, che ella consacra a piangere sugli infelici, che, abbandonato Dio, fonte solo di vera felicità, si dànno in braccio al peccato, e trovano la miseria, e poi la disperazione e la morte eterna. Povera madre! invano per alcuni de’ suoi figliuoli ancora sospira la pace annunciata dagli Angiolì; invano la prega per tutti gli uomini, perché non tutti sono di buona volontà! I peccati, adunque tolgono quel beato accordo tra il cielo e la terra che Gesù ristabiliva col suo nascere al mondo, e fanno della terra un luogo d’esilio e di maledizione. Allorché gli Israeliti prigionieri in Babilonia, stanchi delle schiave fatiche, sedevano desolati la sera sulle rive dell’Eufrate, e cogli occhi al cielo contemplavano muti la luna, e la invidiavano, ché di là ella almeno potesse riflettere un mesto raggio sulle rovine della cara Gerusalemme; quando i loro padroni andavano ad essi dicendo: « Su via rallegrateci con uno di quei cantici di Sion, che voi dovete cantare così bene: fateci sentire i belli inni delle vostre solennità; » essi accorati di cupa tristezza in quella misera schiavitù, mentre invece del canto usciva loro di gola un angoscioso sospiro, chinando lo sguardo sulla terra straniera, la bagnavan di lacrime! (Canon. Hi duc. de consecrat. Dist. 1). Così pure la Chiesa in queI giorni, in cui ella piange in modo particolare i peccati degli uomini, nega ai suoi figli di cantare in giocondità l’inno degli Angioli, per far intendere che mal s’addice alla terra, finché è insozzata di peccati, il cantico del paradiso. Per questa ragione non si canta il Gloria dalla domenica di Settuagesima fino alla Pasqua, e nel tempo dell’Avvento, (tranne nelle feste particolari, che corrono in questi tempi); come pure non si canta nella Messa pei defunti, perché ancora non hanno pace quelle anime benedette, e sospirano nell’esilio la gloria, che le aspetta. – Crediamo bene anche di avvertire che il Gloria in excelsis si cantava dai catecumeni, perché intendesserola grande loro ventura di rinascere figliuolidi Dio con Gesù Cristo nel santo Battesimo.Essi uscivano dal Battesimo vestiti di bianco, coigigli sulla fronte, colla candela accesa in mano,e cantavano la gloria di Dio e la consolazione diessere rinati a vita eterna. Pigliamo animo noi,e col Sacerdote innalziamo gli occhi al cielo, confortandocicol pensiero che là abbiamo un Padrein Dio, che ci ama come figliuoli, un Redentoreche ci salva, uno Spirito santificatore, amor sostanzialedel Padre e del Figlio, che ci vuole beatiin seno a Dio. E coll’anima così elevata « è là,diciamo, la patria nostra! » Apriamo i nostri cuoridavanti al Padre delle misericordie, acciocché Eglici piova di cielo lacrime di contrizione; diamocitutti in mano al Signore nostro, offrendo la vitanostra temporale tutta sacra a sua gloria per l’acquistodell’eterna. Oh sì, dai pié della croce, mostrandoGesù quasi agnello sacrificato sopra di essa,possiamo bene guardare lassù, pieni di speranzadel paradiso! Sarà questa la disposizione più conveniente,con cui da questa terra sì bassa potremocantare l’inno cogli Angioli in cielo. – Nelle Messe dei sabati avanti le domeniche diPasqua e di Pentecoste si amministravasolennemente il Battesimo, uscendo dal sacro fonte i novelli rigenerati, intonavano il cantico « Gloria. » Allora suonavansi le campane a giubilo, come ancora adesso si pratica per festeggiare la loro mistica risurrezione dalla morte alla vita eterna; anche per proclamare la gloria del trionfatore della morte, e la discesa dello Spirito Santo, che infuse la vita alla Chiesa novella.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.