S. TOMMASO
(Otto Hophan: Gli APOSTOLI – MRIETTI ED. 1951)
Tommaso è l’apostolo, cui facciamo torto, perché tutte le volte che ripetiamo il suo nome, forte o piano, aggiungiamo: « l’incredulo »; l’« incredulo Tommaso » è divenuto proverbiale, come se tutto l’essere di questo Apostolo, quasi come per Giuda il traditore, si riducesse al suo peccato, alla sua « incredulità »; il rinnegamento di Pietro non fu meno riprovevole del dubbio di Tommaso; ma chi mai, che sia ragionevole, riduce Pietro al suo peccato? Pietro fu ben di più, e anche Tommaso è molto di più che non il suo peccato soltanto. Il povero Tommaso è stato persino proposto quale patrono e precursore di tutti gli « increduli, dubbiosi, cavillatori e teste leggere »; e questo è un grave torto che si fa a un uomo, cui la vita era amara anche senza di questo apprezzamento e che inoltre dovette tanto soffrire solo per nostro vantaggio. Lo scetticismo infatti e l’incredulità di Tommaso non hanno nulla a che fare con quell’atteggiamento tanto borioso e altrettanto sciocco, che pretende di citare dinanzi al tribunale della sua misera ragione Iddio e i suoi Misteri per la smania di trovar da ridire persino intorno all’Altissimo; 1’« incredulità » del nostro Apostolo è una conseguenza del dolore e fu trasformata in benedizione; come ogni altro peccato, bisogna considerarla insieme alla sua dolorosa radice e al coronamento della misericordia di Dio; solo così la possiamo valutare giustamente.
LO SCETTICO
Il nome stesso di Tommaso ha dato motivo a un giudizio meno lusinghiero di lui; l’Evangelista Giovanni di fatto gli aggiunge in due passi il soprannome « Didimo », che alla lettera significa « il duplice », ma in senso più largo « il gemello »; ora qualcuno ha tentato di attribuire a questo termine il senso di « discorde », quasi di schizofrenico, ch’è un’interpretazione del tutto infondata ed è respinta dalla esegesi biblica prudente; perché Giovanni nient’altro intende, che fornire ai lettori greci del suo Vangelo l’interpretazione del nome aramaico « Tommaso », che nella greca ha per corrispondente « Didimo, gemello ». Una leggenda indiscreta e pettegola credette d’aver individuato il compagno nel seno materno di Tommaso nel fratello gemello Eleazaro o nella sorella gemella Lisia; gli Atti di Tommaso apocrifi vanno anche più oltre: Cristo stesso sarebbe stato il fratello gemello, e Tommaso gli sarebbe stato tanto somigliante, che veniva scambiato con Lui spesso: Tommaso era creduto Cristo e Cristo era creduto Tommaso. Forse questa maligna leggenda si riconnette con la tradizione della chiesa di Edessa, secondo la quale il vero nome dell’apostolo Tommaso sarebbe stato « Giuda », detto pure Tommaso, cioè Didimo, Gemello; questo fatto condusse allo scambio con l’apostolo Giuda Taddeo, che senza dubbio, come a suo luogo sarà detto, era un « Fratello », ossia un cugino del Signore; la leggenda, con tutta sicurezza, fece di Giuda un Tommaso, un fratello e anzi un fratello gemello del Signore. Intorno alla origine dell’apostolo Tommaso, ai suoi genitori e alla sua vita precedente la chiamata del Signore non abbiamo dalla Sacra Scrittura nessun ragguaglio; è il primo dei Dodici, che, per così dire, entra nel Vangelo inosservato, egli è in testa agli Apostoli silenziosi o quasi muti; il suo nome comincia a splendere solo nei cataloghi degli Apostoli, come un raggio di sole sul limitare della foresta, cui finora non s’era fatta attenzione, senza che mai nell’intervallo precedente si faccia menzione di lui, a differenza dei primi sette colleghi. La leggenda fa di Tommaso un architetto e l’arte, sin dal secolo decimoterzo, gli ha messo in mano la squadra, come a patrono dell’ingegneria; ma secondo un accenno del Vangelo Tommaso era pescatore, non sembra quale padrone, come Pietro e Andrea e i figli di Zebedeo, ma piuttosto in qualità di garzone; questa ipotesi s’accorda con delle informazioni antiche, che fanno discendere Tommaso da genitori poveri e meschini della tribù di Giuda o di Issacar. A queste condizioni di vita misera e stentata risale forse la sua indole inceppata, incerta e oppressa. Perché egli nel Vangelo appare chiaramente un melanconico; Giovanni, fine ritrattista nonostante tutta la sua sublimità, riferisce in tre passi poche parole di Tommaso, ma essenziali; si danno pure talora delle espressioni, che, per quanto brevi e laconiche, fanno passare dinanzi alla mente in un baleno l’intera figura d’un individuo. I Sinottici ricordano Tommaso unicamente nei cataloghi degli Apostoli, all’ottavo posto Marco e Luca, al settimo Matteo; nel Canone della Messa e nelle Litanie dei Santi, persino anzi negli Atti degli Apostoli egli non viene dopo i colleghi Filippo, Bartolomeo e Matteo, che nei Vangeli lo precedono, ma prima di loro, quale qualificato ed importante teste della risurrezione. Tommaso però, nonostante questi compagni d’apostolato a destra e a sinistra, ci lascia l’impressione d’essere in qualche modo solo e sperduto nella serie dei Dodici, enumerati nei cataloghi; se si paragonava con gli altri, come amano fare i melanconici, si vedeva inferiore e l’ultimo di tutti; non avevano tutti gli altri preminenze e privilegi, ch’egli non aveva? Pietro era il primo nel potere, Giovanni il primo nell’amore, Andrea e Giacomo potevano fruire del sole delle prerogative dei loro grandi fratelli, Filippo aveva il suo allegro amico Bartolomeo e Bartolomeo aveva il suo Filippo, Matteo era una persona esperta e ricca, mentre Giacomo Minore, Taddeo e Simone erano fratelli di Gesù, come scriveremo a suo luogo; è vero che questi ultimi venivano dopo di lui, Tommaso, ma questo era dovuto solamente alla nobile delicatezza del Signore, che ai suoi parenti aveva assegnato gli ultimi posti; infine Giuda Iscariote, il collega incomodo e quasi malsicuro, godette tuttavia la fiducia, in vista della quale poté tener la cassa; solo Tommaso dunque se ne sta senza titoli e rapporti d’intimità, solitario, ultimo di tutti. Queste nostre supposizioni — non pretendono essere di più — non saranno giudicate infondate, se i testi evangelici, riferentisi a Tommaso, vengono considerati in tutta la loro portata. Tommaso compare la prima volta in precedenza alla risurrezione di Lazzaro, poche settimane prima della passione del Signore. Maria e Marta, le sorelle addolorate di Lazzaro, di lassù a Betania avevan inviato a Gesù un corriere, perché in quel tempo, dinanzi alle intenzioni omicide dei suoi nemici, Egli si era ritirato nella regione della Perea. Quand’ebbe appreso della grave malattia di Lazzaro, Egli diede l’oscura e misteriosa risposta: « Questa malattia non conduce alla morte, ma serve alla glorificazione di Dio; il Figlio di Dio sarà glorificato per essa »; soltanto due giorni dopo disse ai suoi Discepoli: « Andiamo di nuovo in Giudea! »; i Discepoli, costernati e impauriti fino nel fondo dell’animo, Gli opposero: « Maestro, appena ora i Giudei volevano lapidarti, e Tu vuoi andar là nuovamente? »; quando parlò loro del « sonno » di Lazzaro, essi non badarono volutamente al vero senso di quella parola per potervisi aggrappare avidamente: « Signore, se dorme, guarirà nuovamente »; nonostante però questo affannoso sotterfugio, Gesù rimase fermo nella sua decisione di mettersi in quel viaggio pericoloso, che doveva farGli incontrare la morte. Fu Tommaso, che in quel momento gridò, triste e fedele insieme, agli Apostoli suoi compagni: « Andiamo insieme e moriamo con Lui! ». Uscita piena di malinconia e di amore! Egli, melanconico com’era, s’era già immaginate le ultime vicende e le vedeva certamente oscure; non fa accettare a se stesso nessuna consolante bugia né si lascia illudere, come gli altri, da palme e da osanna; egli vede arrivare ore nere, nerissime; qualora però il Signore, nonostante tutti i moniti dei suoi Discepoli, voglia avviarsi alla sua fine, questo non Gli deve capitare da solo; noi, noi tutti andiamo con Lui e con Lui moriamo! Pietro, dopo il primo annunzio della passione, nella sua impetuosità, aveva gridato ben diversamente per un timore nei riguardi del Maestro e… di se stesso: « Lungi da Te, o Signore! Questo non Ti deve accadere! ». La parola di Tommaso è più matura, più grave, come una spiga che abbandonandosi si piega verso il suolo, dal quale è cresciuta. Nel quadro dell’ultima Cena di Leonardo da Vinci Tommaso, il secondo a sinistra di Cristo, Lo assicura con forza e quasi minaccioso della sua fedeltà. L’evangelista Giovanni riferisce anche la seconda espressione di Tommaso, melanconica quanto la prima, ch’egli disse nel Cenacolo. In quell’ora dolorosa il Signore era tutto intento ad aiutare i suoi Discepoli a togliersi dal proprio cuore mortalmente triste, inconsolabile per il dolore della separazione; e la prima consolazione, ch’Egli offrì loro, fu l’arrivederci nella sua gloria presso il Padre: « Il vostro cuore non tema! Credete in Dio e credete in Me! Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore; se così non fosse, ve l’avrei detto. Io vi vado per preparare a voi un posto; quando vi sia andato e abbia preparato un posto per voi, allora torno di nuovo e vi prendo con Me, perché anche voi siate dove sono Io ». Per richiamarli ai suoi precedenti discorsi e insieme per invitarli a uscire dall’opprimente silenzio, entrando in colloquio con Lui, Egli dice ancora quasi incidentalmente: « Dove Io vado voi lo sapete, e anche la via sapete »; e non vi fu nessuno che replicasse parola; solo Tommaso, in preda a desolazione commovente, confessò: « Signore, noi non sappiamo dove Tu vada, e come possiamo conoscere la via? ». Dice bene « noi », perché è sicuro che nemmeno gli altri avevano investigate le vie e le mete del Signore, « le sue vie sono ininvestigabili! », ma gli altri non ebbero la franchezza di aprire dinanzi a tutti la loro interna incertezza; Tommaso invece, che soffriva più di tutti per la gravità della situazione, non trattenne la sua domanda, ma con franchezza pose lealmente la sua anima straziata dinanzi al Signore. E Gesù, con grande comprensione per l’intimo tormento del suo Apostolo, gli disse una parola, che è fra le più regali di tutto il Vangelo, perché consentiva al riflessivo e sofistico Tommaso di dare uno sguardo nelle profondità del Maestro e anzi negli abissi dello stesso Iddio Trino, oscuri per la troppa luce: « Gesù gli rispose: “Io sono la via e la verità e la vita. Nessuno va al Padre se non per Me. Se voi Mi conosceste, conoscereste anche il Padre mio. Da questo momento Lo conoscete, L’avete anzi già visto” ». Questo splendido sguardo sulla nostra eterna dimora familiare col Padre e col Figlio e sulla via che ad essa conduce, che è Cristo, noi lo dobbiamo al tormento e alla domanda di Tommaso. Ma egli, per la sua indole e a salvezza di tutti, ha patito un’altra volta e ancor più dolorosamente nel tormento del suo dubbio, mentre risuonava giulivo l’Alleluia della prima settimana pasquale. – Tommaso, più d’ogni altro Apostolo all’infuori di… Giuda, aveva previsto il Venerdì Santo con chiarezza inesorabile; nelle profondità del loro cuore fondamentalmente diverso, tutti e due, il melanconico e il traditore, sapevano della sorte, che s’avvicinava al Signore; ma in una piega di quel cuore Tommaso — ah, Giuda stesso forse! — sperava che il Signore avesse il dominio della difficile situazione e la cambiasse; quando però la passione del Signore, come una catastrofe della natura, prese irrefrenabile il suo corso, e si succedettero cattura, condanna, crocifissione e morte, Tommaso fu schiacciato dal peso della realtà; questo per lui era troppo; da questo colpo non si rialzerà più. – Il Venerdì Santo aveva scosso anche gli altri Apostoli. Gli increduli veramente sostengono che essi, per un’intima speranza, erano febbricitanti nell’attesa della risurrezione, tanto che finirono per crearsene la persuasione; frattanto le relazioni evangeliche dimostrano inequivocabilmente che gli Apostoli non avevano della resurrezione nemmeno l’idea, tanto meno potevano nutrirne la speranza; alla fine essi si arresero non ai sogni, ma unicamente ai fatti. Quando Maddalena gridò loro il primo messaggio pasquale, li incontrò « compagni afflitti e piangenti; quand’essi udirono ch’Egli vive ed è apparso a lei, non credettero » ; disorientati e tristi erano pure i discepoli, che andavano in Emmaus; anzi, quando il Signore stesso la sera di Pasqua irruppe come sole nella sala, persino in quel momento « credettero per l’angoscia e lo spavento di vedere uno spirito. Allora Egli disse a loro: “Perché siete così sbigottiti e per qual motivo pensieri sorgono nei vostri cuori?” ». In quell’ora del primo incontro con tutti, il Signore di sua iniziativa aveva concesso la prova palpabile, che poi avrebbe desiderato tanto anche Tommaso: « Guardate le mie mani e i miei piedi! Sono proprio Io; palpateMi e vedete! Uno spirito non ha carne né ossa, come vedete in Me ». Allora soltanto, come su monti dopo una notte di paurosi temporali, il Sole pasquale si levò su quegli uomini, persino in quel momento timidi e tremanti, come la prima luce dorata, che piove sulle nostre vette, quasi tutto quello che osservavano fosse troppo bello per esser vero: « Per la gioia non potevan ancor credere, ma solo stupivano », finché « Egli mangiò dinanzi ai loro occhi ». – Fatalità volle, si direbbe quasi, che Tommaso, proprio Tommaso, che aveva bisogno della Pasqua con più urgenza di tutti gli altri, non avesse a godere di quella prima ora del tripudio pasquale: « Tommaso non era con loro quando venne Gesù ». Ma perché no? solo per caso? Giovanni tace, e certo per sommo di delicatezza, che il povero, perplesso ed esacerbato collega era sul punto di ritirarsi dal loro gruppo; ché la sua speranza era stata lacerata e la sua fiducia delusa troppo crudelmente; che sta a cercare ancora nel gruppo dei delusi come lui? Quando gli altri andarono con fraterna bontà e in pienezza di gaudio a riferirgli, nella sua pericolosa solitudine, l’Alleluia: « Abbiamo visto il Signore», egli ne fu amareggiato; non era disposto a credere al loro messaggio così, per sentito dire; si è già proposto come norma, di non cadervi più dentro; del resto, se il Signore è veramente risorto, perché è apparso a tutti gli altri e solamente a lui no? non lo meritava quanto gli altri? Era l’ultimo degli Apostoli, sta bene, ma tuttavia era sempre uno dei Dodici; se al Signore non importa più di Tommaso, a che pro allora credere? E a questa maniera il poveretto passava di palo in frasca, avviluppandosi sempre più nel dubbio, nel rancore e nell’amarezza. Una cosa, un’unica cosa ammette ancora: « Se non vedo nelle sue mani il livido dei chiodi » — e frattanto dentro di sé va formulando la riserva: « vedere » soltanto non è ancora sicuro, perchè vedere può ingannare —, « se non posso mettere il mio dito nel posto dei chiodi e la mia mano sul suo fianco, non credo ». – Per la gioia pasquale degli Apostoli Tommaso era come un’ombra densa: se lo minacciasse una sorte simile a quella di Giuda? S’adoprarono per strappare il pericolante dall’abisso dell’incredulità; andò il buon Pietro e gli raccontò cento volte quello, ch’era avvenuto il dì di Pasqua; anzi per far animo al poveretto, gli confessò il peccato del proprio rinnegamento; andò Andrea, andò Giovanni, andarono a lui i discepoli di Emmaus, andarono le pie donne. Invano! A tutti egli oppose la sua ostinata condizione per dare la sua adesione. Alla fine, spossato, accondiscese almeno a non allontanarsi per allora dalla comunità, ché il Signore alla comunità s’era pur fatto vedere; però sedeva fra gli Undici come un assente; la gioia degli altri lo turbava, si sentiva straziato. In tali condizioni nessuno più poteva soccorrere, se non il Signore soltanto! La salvezza di Tommaso dipendeva unicamente dalla sua misericordia; la festa del nostro Apostolo viene celebrata nel giorno più corto dell’anno, quando il sole sta al suo punto più basso: anche nella sua anima stette il Sole tanto in basso, che egli riteneva non dovesse più levarsi. – « La pace sia con voi! »: fu come il canto d’un organo nella sala chiusa degli Undici. Il Signore! Veramente il Signore! Lui solo può entrare nelle sale e nelle anime chiuse. Era venuto per Tommaso; perché Egli è il buon pastore, che corre dietro alla pecorella smarrita finché non la ritrovi, e un Apostolo è in tanta dignità che per lui Egli si fa persino visibile e palpabile; aveva già rintracciato Pietro nel suo peccato e l’aveva ricondotto a Sé; Tommaso non è da meno dinanzi a Lui; lo va dunque a prendere nella pena dell’astio e del dubbio per condurlo al focolare della sua pace. E Gesù riprende sulle sue labbra, parola per parola, quella caparbia condizione richiesta da Tommaso per poter prestar fede: « Metti il tuo dito qui e vedi le mie mani! Stendi la tua mano e mettila sul mio fianco! »; e anche il biasimo suona come un balsamo: « Non essere incredulo, o Tommaso, ma credente », « fidelis — fedele », come con maggior profondità dicono il testo greco e latino. La sala era dominata da un grave silenzio; sembrava che non vi ci si trovassero che Gesù e Tommaso soltanto; mai la realtà divina e il dubbio umano stettero così vicini, faccia a faccia, l’una di fronte all’altro come qui: Tommaso, il povero rappresentante del dubbio, deve ora vedere e toccare a tranquillizzazione di tutti gli scettici. Egli vide il corpo luminoso; vide le rosse cicatrici delle ferite, come rose fiorenti, nel centro delle mani; vide la ferita del fianco, la porta aperta che mette nel Cuore di Dio; vide il Cuore palpitante, che, come acceso rubino, riluceva dietro a quella ferita tremendamente preziosa. Ne aveva abbastanza; non desiderò più di palpare quello che aveva visto; vinto dalla realtà e più ancora dalla carità del Signore, che è la suprema realtà, Tommaso si gettò a terra singhiozzando e abbandonò al Signore le profondità del suo spirito, tutti i lamenti non proferiti, tutte le questioni non sciolte, tutte le brame non saziate: « Mio Signore e mio Dio! Mio Signore e mio Dio! ». Nessuno degli Apostoli finora aveva chiamato il Signore « Iddio » così chiaramente, nemmeno Pietro nella sua professione a Cesarea di Filippo; il dubbioso e sofferente Tommaso fu il primo di tutti a fissare Cristo nel diadema della sua divinità; ed era stato precisamente il suo bisogno, che l’aveva condotto al Signore e a Dio, al « suo Signore, al suo Dio ». – L’evangelista Giovanni intendeva di concludere il suo Vangelo con l’episodio di Tommaso; quello ch’egli riferisce dopo nel capitolo ventunesimo: l’apparizione di Gesù al lago di Tiberiade, è solo un complemento, che aggiunse più tardi; la parola conclusiva, che Gesù disse a Tommaso, doveva riecheggiare nei lunghi millenni della fede, in quel momento al loro inizio, come un « Amen » vigoroso, riepilogante il Vangelo intero: « Perché Mi hai visto, Tommaso, tu credi. Beati coloro, che non vedono e però credono ». Questo non vedere e tuttavia credere è un atto umanamente e divinamente così sublime, che Pietro nella sua prima lettera gli rende apertamente omaggio: « Voi L’amate (Gesù Cristo), sebbene non L’abbiate visto; credete in Lui, sebbene non L’abbiate sotto gli occhi. Per questo esulterete di gioia inesprimibile e gloriosa, se raggiungete lo scopo della vostra fede, la salvezza delle anime » 13. Tommaso, che credette solo per aver visto, fu dal Signore chiamato per rassodare nella fede tutti coloro, che credono, sebbene non veggano; fu dunque disposizione provvidenziale, non fatalità, ch’egli la prima sera di Pasqua non fosse con gli altri; il suo dubbio doveva prevenire il nostro; nella sua incertezza doveva trovare base inconcussa la nostra sicurezza; egli passò vicino vicino all’infelicità, perché noi fossimo beati della nostra fede. Noi quindi dobbiamo un grazie cordiale all’« incredulo » Tommaso: egli ha sofferto il dubbio, uno dei tormenti più spaventosi dello spirito umano, per nostro vantaggio; la sua ferita doveva servire alla nostra salute. Tommaso è davvero « Didimo », un duplice, un gemello, perché con la sua fede ebbe i suoi natali anche la nostra. Vorremmo dirla un’amabile ironia quella del 21 dicembre, quando, pochi giorni prima di Natale, la Liturgia previene il presepio di Betlem colla festa di Tommaso e presenta al Bambino il Santo irremovibile. Ivi, ai piedi del Bambino divino, egli recita per i sofistici e i melanconici di tutti i tempi la sua profonda e insieme infantile preghierina: « Mio Signore e mio Dio! Mio Signore e mio Dio! ».
L’APOSTOLO
Gli Scritti Sacri non forniscono nessuna notizia intorno alle ulteriori vicende della vita di Tommaso; gli Atti degli Apostoli, ad esempio, non hanno conservata nessuna parola di lui, non ci informano di alcuna lettera sua. Ma potrebbe egli accomiatarsi dal Nuovo Testamento in modo più bello che con la sua professione nel Signore e Dio Gesù Cristo? Le notizie della tradizione ci indirizzano tutte verso oriente, verso la terra del sole levante, anzi nella leggenda siriaca e armena egli appare quale Apostolo principale dell’Oriente. Le antiche informazioni, capeggiate dallo stesso Origene (+ 253), parlano d’una attività apostolica di Tommaso fra i Parti; vengono ricordati pure i popoli dei Medi, Persiani, Ircani e Bactriani, che abitavano i territori degli odierni Iran, Irak, Afganistan e Belucistan; una leggenda deliziosamente ingenua dice che Tommaso incontrò fra i Persiani gli stessi Maghi, che un dì avevano reso omaggio al Bimbo di Betlem, e amministrò loro il battesimo. – La leggenda, secondo la quale Tommaso si sarebbe spinto ancor più innanzi, sino cioè alla vera India odierna, ebbe a suo favore anche scrittori cattolici solo dalla metà del secolo quarto; questa notizia non è in sé inconciliabile con le più antiche; nell’India stessa è sopravvissuta sino ad oggi l’opinione che Tommaso giungesse nella regione per la « via di seta », attraverso cioè la Persia e il Tibet. Quasi negli stessi anni, molti fuggitivi giudeocristiani sarebbero arrivati per via di mare in Cochin, dove il nostro Apostolo avrebbe faticato, finché più tardi si sarebbe inoltrato nel Travancore. Una antica tradizione siriaca chiama Tommaso « guida e maestro della Chiesa dell’India, ch’egli fondò e resse ». I così detti « Cristiani di Tommaso », che sono sopravvissuti sino al nostro tempo nella costa del Malabar — quelli uniti a Roma ascendevano nel 1937 a 700.000 credenti —, vedono in questo Apostolo il loro padre spirituale. Nonostante però tutti questi indizi, che pur meritano considerazione, la scienza cristiana trova difficoltà ad ammettere come efficaci le prove, che si adducono a favore d’un’attività di Tommaso nell’India. V’è anche un’altra opinione, secondo la quale egli avrebbe predicato il Vangelo addirittura in Cina; ma neppure questa si può dimostrare storicamente vera. Ancor più incerte e in gran parte fantastiche sono le informazioni sull’attività apostolica di Tommaso, che rigurgitano di miracoli; forse nessun altro Apostolo è stato quanto lui, l’« incredulo », soffocato dalla esuberanza della leggenda. Tutte queste notizie leggendarie dipendono dagli « Atti di Tommaso » apocrifi, che furono scritti nella prima metà del secolo terzo in ambienti gnostici, probabilmente a Edessa, e ben presto furono rielaborati da un cattolico siriaco o greco. Il loro contenuto in breve è il seguente: nella spartizione del mondo fra gli Apostoli, Tommaso tirò la sorte per l’India, ma per un sentimento di paura si rifiutò d’andarvi; per questo è venduto dal Signore stesso come schiavo al commerciante indiano Abbanes, che per incarico del suo re Gundaphar — alcune monete ritrovate attestano che un re indiano di nome Gundaphar fra gli anni 20-50 dopo Cristo è storicamente esistito — cerca un architetto. Tommaso, insieme con Abbanes, s’incammina silenzioso per il viaggio in India; il re accorda piena fiducia allo sconosciuto « architetto » e mette a sua disposizione enormi ricchezze per la costruzione del palazzo reale; l’Apostolo dispensa queste somme, fissate per la costruzione, ai poveri, con la motivazione che facendo così egli costruiva al re un palazzo in Cielo. Il principe inviperisce; ma gli appare il fratello defunto che lo rassicura della verità e della magnificenza di quel palazzo all’al di là, costruitogli da Tommaso; il re e suo fratello, risorto a nuova vita, si fanno battezzare. Tommaso s’inoltra nel regno vicino, dove induce parecchie donne di stirpe principesca a eleggere la verginità anziché il matrimonio — idee gnostiche, ostili al corpo e al matrimonio fanno spesso capolino proprio negli Atti di Tommaso —; per questo il re Mazdai ordina a quattro soldati di infilzarlo nello spiedo. La morte di spiedo sarebbe sino ad oggi una punizione per i delitti politici secondo la costituzione del Siam. Come luogo della morte, la tradizione ricorda « Kalamina », località, che sino ad oggi non si è potuta identificare con certezza; forse è in relazione col grande « monte di Tommaso » presso Mailapur, sul quale nel 1547 fu costruita una chiesa in onore dell’Apostolo Tommaso, supponendolo il luogo della sua morte; sull’altare si trova la croce di pietra di Tommaso, con iscrizioni del sesto, settimo e ottavo secolo. – È difficile sceverare nella leggenda di Tommaso la verità dalla finzione. Verso la metà del secondo secolo lo gnostico Eracleone afferma che l’Apostolo morì di morte naturale. La chiesa di Edessa si gloria del suo sepolcro, che in una predica il Crisostomo enumera fra i quattro sepolcri conosciuti degli Apostoli; la leggenda indiana cerca di andare incontro a questo dato, mentre riferisce che la maggior parte delle reliquie di Tommaso fu trasportata a Edessa nel secolo terzo; nel 1258 sarebbero passate da Edessa nell’isola greca di Chios e di qui, più tardi, a Ortona, dove attualmente sono onorate. All’Apostolo Tommaso vengono anche attribuiti diversi scritti, che però sono tutti apocrifi. Un « vangelo di Tommaso », ch’era sorto in ambienti di gnostici Naasseni, andò perduto; frammenti di quest’opera gnostica più estesa si trovano probabilmente nell’odierno « vangelo di Tommaso », che riferisce numerose leggende intorno all’infanzia di Gesù con profusione di chiacchiere: il bambino Gesù, ad esempio, in giorno di sabato, avrebbe plasmato degli uccellini di creta; al richiamo fatto da un giudeo a Giuseppe per l’infrazione del riposo sabbatico, il divino Infante avrebbe battute le mani e gli uccellini di creta se ne sarebbero volati via. L’unico pregio di questa e simili favole per il nostro tempo sta nel fatto, che, confrontate con i Vangeli genuini — si pensi, ad esempio, alla storia dell’infanzia di Gesù in quello di Luca —, ne mettono in risalto la dignitosa serietà. – Al nostro Apostolo risalirebbe pure un’« Apocalisse » dal titolo: « Lettera di nostro Signore Gesù Cristo al discepolo Tommaso ». Questo scritto, che è già stato condannato dal Papa Gelasio I alla fine del quinto secolo, va ciarlando sugli orrori degli ultimi sette giorni prima dell’ultimo giudizio, tre dei quali sarebbero dominati dalle tenebre. Tommaso viene pure messo in relazione con la leggendaria lettera del Signore al re di Edessa Abgar: quella lettera sarebbe stata scritta, per incarico di Gesù, dallo stesso Tommaso, che, dopo l’ascensione di Cristo, avrebbe inviato al principe Abgar Taddeo, uno dei settantadue discepoli, per guarirlo dalla sua grave malattia. – Frattanto quello, che di veramente storico ci fu trasmesso intorno a Tommaso nel Vangelo stesso, ci offre elementi più sicuri per delinearne l’attività apostolica che non gli apocrifi, così fantastici e smaniosi di miracoli. Qualche moderno fanatico dell’eugenica avrebbe sentenziato che Tommaso era inetto alla vita, ne era anzi indegno; poiché a che scopo un simile melanconico, che rende pesante la vita a sé e agli altri? E invece quali grandi cose non possono realizzare appunto tali uomini, qualora una mano benevola li aiuti a uscire dalla loro crisi! Dopo il consolante miracolo, che la divina misericordia operò la sera della seconda domenica di Pasqua, Tommaso fu libero dal fardello del proprio pesante « io » e non appartenne ormai che al Signore; portò ancora solo un carico, quello della riconoscenza, d’una riconoscenza tanto grande, da non potervi soddisfare in eterno; egli va debitore solo alla misericordia del Signore se non è divenuto apostata, ma è rimasto Apostolo; come per Paolo, il persecutore domato, così anche per Tommaso, l’incredulo richiamato, lo stimolo che lo spinse innanzi fu la misericordia del Signore. È profondamente simbolico che, secondo le notizie della storia o della leggenda, proprio questi due Apostoli abbiano lavorato nelle regioni più remote, Paolo in Spagna, ai confini dell’Occidente, e Tommaso in India, ai confini dell’Oriente; l’amore di Cristo infuocato e impellente spingeva i due sempre più avanti, più avanti ancora, come un fuoco, che mai si fa sazio. – L’attività apostolica di Tommaso dovette essere sicuramente mite, benigna, quasi tenera, come il suono d’una campana, cui, nel laborioso processo di fusione, sia stato infuso molto argento; Tommaso sapeva per propria esperienza le tremende possibilità del cuore umano. In uno scritto d’autore ecclesiastico orientale, nel sermone Bachios sul giudizio nella valle di Giosafat, il Signore rivolge la parola a Tommaso, esortandolo amorevolmente: « Tommaso, mio diletto, sii compassionevole verso il mio popolo, gli occhi del quale guardano a te, come presso di te fosse la risurrezione. Ricordati della mia amicizia con te nel giorno della tua incredulità! Io ti confortai e dissi a te: “Vieni, Tommaso, metti la tua mano sul mio fianco! Vieni, Tommaso, metti il tuo dito nella mia mano!”. Sappi, o Tommaso, mio diletto, ch’Io sono un cuore pietoso e misericordioso. Io ho accordato a voi la misericordia fin da principio. Voglio che voi la esercitiate oggi nella mia compassione, oggi ». Ascoltiamo qui messo in bocca al Signore quello, che nell’intimo del suo cuore Tommaso stesso si diceva continuamente; lui, che sa, perché gli fu usata compassione, aveva troppo sofferto per non capire anche gli altri, che avevano il cuore esulcerato. Ma era in grado di capire soltanto? Il sofferente e dubbioso Tommaso, su di cui il Sole pasquale era sorto in magnificenza particolare, poteva non solo capire le oscurità umane, ma anche illuminarle; con profondo intuito la leggenda gli attribuisce l’articolo del Simbolo apostolico: « Discese all’inferno; il terzo giorno risuscitò nuovamente da morte »; egli non deve annunziare melanconia e neppure compassione soltanto, ma anche Alleluia, quell’Alleluia, ch’egli attinse, come da una fresca sorgente, con mano tremante, dal Cuore del Signore. Oh, quel luminoso Cuore del Signore! Due Apostoli nel Vangelo ci vengono ricordati presso il Cuore del Signore, Giovanni e Tommaso, l’amante e il sofferente, e si direbbe quasi che il sofferente vi sia penetrato più a fondo dell’amante, anzi che tutto il significato della sua grande meschinità fosse spingerlo nelle profondità consolatrici di quel Cuore. Una bella leggenda riferisce che la mano di Tommaso, che s’era posata sul fianco di Gesù, rimase intrisa di sangue per tutta la sua vita: Tommaso non potrà dimenticare mai più quel fianco rosso e rifulgente; esso gli rischiarerà tutte le vie della vita. – La bella testa di Tommaso, che seppe creare il Rubens, ci commuove: quel volto purificato e maturato nel dolore, quella fronte solcata, che ha rimuginato tanti pensieri e sollecitudini, quegli occhi, che han vegliato molte notti e han pianto molte lacrime ci guardano stanchi e miti. Ora tutto è superato; la via, che un dì Tommaso disse sospirando di non conoscere, è percorsa e il buon vegliardo è già soffuso della luce del porto eterno. Oh, come dev’essere bello un giorno aver conservata la fede, aver combattuta la battaglia, aver sofferto lungo la via e trovarsi alla meta, nel Cuore del Signore, ove ogni inquietudine si trasfigura nella quiete! San Tommaso, prega per noi!