LA GRAZIA E LA GLORIA (56)

LA GRAZIA E LA GLORIA (56)

Del R. P. J-B TERRIEN S.J.

II.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

LIBRO X

LA PERFEZIONE FINALE DEI FIGLI DI DIO CONSIDERATA DAL LATO DEL CORPO

CAPITOLO VI

Conclusioni. Come la vita beata sia il complemento perfetto dell’adozione e come, nella gloria, il figlio di Dio sia l’uomo spirituale per eccellenza.

.1. – Basta dare un rapido sguardo al contenuto degli ultimi due libri per capire come la vita beata sia, in tutta verità, la perfezione finale e il coronamento dell’adozione. Infatti, tutto ciò che costituisce la nostra filiazione è portato al limite estremo. Non è senza ragione, quindi, che diversi Padri abbiano rappresentato il pieno ingresso degli eletti nella gloria non solo come il compimento della loro nascita divina, ma anche come il momento della loro vera adozione: tanto lo stato del termine sorpassa in modo eccellente la nostra condizione nella via. – Qual è il fondamento ed il principio della figliolanza adottiva in noi? La grazia, cioè la partecipazione formale alla natura divina. Ora, vedete quanto la partecipazione del cielo prevalga sulla partecipazione presente. Essa prevale in quanto ci mostra nel suo totale compimento ciò che quest’ultima aveva solo in germe: non è più solo il principio primo dell’atto essenzialmente proprio di Dio, ma il principio successivo, intendo la luce della gloria, ma l’operazione stessa, la visione faccia a faccia. Da qui le parole di Sant’Ireneo: « La partecipazione a Dio è vedere Dio e godere della sua bontà. Participatio Dei est videre Deum et frui benignitate ejus » (S. Ireneo, c. Hær. L. IV, c. 20, n. 5, P. Gr. t. 7, p. 1036). Prevale perché questa partecipazione formale è ormai così radicata nell’anima, così identificata, per così dire, con essa, che nulla potrà mai separarla da essa, né distruggerla. – Che cos’altro fa ancora la filiazione adottiva? L’inabitazione della Trinità nelle anime e la misteriosa unione che lo Spirito Santo contrae con esse. Confrontate l’unione attuale con quella della patria eterna, non solo dal punto di vista della stabilità, ma anche e soprattutto dal punto di vista dell’intimità; che differenze ci sono tra l’una e l’altra! Vedete Dio che penetra con la sua essenza fino alle profondità degli spiriti beati per farsi loro forma intelligibile, e li inonda con la sua luce, come li infiammerà con il suo amore « In lumine tuo videbimus lumen »! – Che cosa rende possibile la filiazione adottiva? La somiglianza e l’immagine di Dio. È allora che il ritratto divino, ora abbozzato, riceverà la sua perfezione finale dal cuore e dalla mano dell’Artista onnipotente. Saremo come Lui, perché lo vedremo così com’è. « Lo Spirito ci renderà simili a Lui per volontà del Padre, perché completerà l’uomo ad immagine e somiglianza di Dio » (Id. ibid. L. V, c. 8, n.1. P. Gr. p. 1142). Così parla sant’Ireneo. Sant’Agostino dirà più tardi: « In questa immagine di Dio (che noi siamo), la somiglianza di Dio sarà perfetta, quando la visione di Dio sarà perfetta » (Sant’Agostino, De Trinit…, L XIV, n. 23, ss.). – Cos’altro richiede la grazia dell’adozione? Che i figli non abbiano altra volontà che quella del Padre e che evitino tutto ciò che potrebbe essere un’offesa nei suoi confronti. Il privilegio del cielo è la realizzazione immutabile di questo oracolo dei nostri Libri santi: « Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché il seme di Dio abita in lui, e non può peccare, perché è nato da Dio » (1 Joan. VI, 9); è anche una conformità così perfetta tra la volontà dei figli e quella del loro Padre, che non solo non vogliono nulla contro la regola della volontà divina, ma anche che in Dio e ovunque vogliono identicamente solo ciò che Dio vuole, e nella misura in cui Egli lo vuole (« In statu gloriæ omnes videbunt in singulis quæ volent ordinem eorum ad id quod Deus circa hoc vult; et ideo non solum formaliter sed materialiter in omnibus suam voluntatem Deo conformabunt » – S. Thom, 1. 2, q. 19, a. 10, ad 1; col. de Verit., q. 23. 8). – Lascio al lettore la consolazione di seguire da solo il parallelo tra l’adozione dei figli che sono ancora lontani dalla casa del Padre e quella dei Santi che sono entrati in possesso della sua eredità. Riempito di questi pensieri elevati e salutari, sentirà crescere nel suo cuore la santa ambizione di entrare nella Gerusalemme celeste o, per usare un’espressione di Sant’Agostino, di far parte « di quel tempio di Dio che è costruito da dei, fatti da quel Dio non fatto Templum Dei quod ædificatur ex diis quos fecit non factus Deus ».

2. – Prima di concludere queste considerazioni sulla perfezione finale dei figli di Dio, vediamole riassunte in un nome frequentemente usato dagli autori ascetici: è il nome di uomo spirituale. Presa nella pienezza del suo significato scritturale, questa parola esprime mirabilmente i privilegi della natura glorificata. Sì, l’eletto di Dio, una volta raggiunta la sua beatitudine, è veramente l’uomo spirituale per eccellenza. Non parlo della spiritualità che gli si addice, come ad ogni altro uomo, a causa della sua anima immateriale, ma di una spiritualità superiore, che spiegheremo alla luce delle Scritture. – Le epistole di San Paolo, in particolare, oppongono in ogni momento la carne allo spirito. La carne è la parte inferiore dell’uomo, considerata non solo come l’elemento più materiale del nostro essere, ma come la sede, il fulcro, il principio delle tendenze e degli affetti disordinati (Rm VII, 5; VIII, 1-15). Al contrario, lo spirito sarà la parte superiore dell’uomo che, sotto l’influenza della grazia che lo eleva e dello Spirito Santo che lo inabita, è diventato un principio delle operazioni divine. Perciò le opere della carne, secondo San Paolo, sono l’impurità, l’idolatria, gli avvelenamenti e altri crimini; ed i frutti dello spirito, la carità, la pazienza e tutte le virtù (Gal. V, 19-24). Da qui la lotta, di cui parla lo stesso Apostolo, tra i desideri della carne e quelli dello spirito; perché lo spirito e la carne sono in contraddizione tra loro (Ibid. V, 17). Cosa sarà dunque l’uomo carnale? Chi vive secondo la carne e cerca le cose della carne! – E cosa sarà l’uomo spirituale? L’antitesi dell’uomo carnale, cioè colui che cammina secondo lo spirito, che mortifica con lo spirito le passioni della carne e si abbandona all’azione dello spirito (Rm VIII, 3, 9, 13, 14). L’uomo spirituale non è solo l’opposto dell’uomo carnale; è anche l’opposto dell’uomo animale. San Paolo non dà alla parola anima (animus, ψυχὴ = psuke) il cattivo significato che spesso attribuisce a quella di carne. L’anima è per lui, secondo i diversi testi, a volte il principio vivificante del corpo o la vita che essa gli dà, a volte il principio della vita sensibile e ragionevole (At. XXII, 10; Rom., XI, 3; XIII, 1; Ebr., XII, 3, ecc.); ma in nessun luogo esprime con questa parola i doni soprannaturali racchiusi in quella di spirito. Pertanto, l‘uomo animale, nel senso inteso dall’Apostolo, è colui che non ha altra vita, altra luce, altro principio di pensare, volere e agire, se non quello che gli deriva dalla sua natura vivente e ragionevole, cioè dall’anima; l’uomo, quindi, è puramente umano, per il quale le cose dello spirito sono scandalo e follia (I Cor. I e II); l’uomo che parla in modo superbo e ripudia Gesù Cristo, l’unico dominatore, con le sue leggi e i suoi misteri (Giud. 19, 7, 4). Dall’altra parte, l’uomo spirituale è il fedele che, sottomettendo umilmente la propria mente, accetta le lezioni della Sapienza divina, e possiede lo Spirito che è di Dio e rivela i doni di Dio (I Cor., XII, 10, 12, 15). – L’antagonismo tra i due uomini si ripresenta sotto un terzo punto di vista. « La carne ed il sangue non possono entrare nel possesso del regno di Dio », cioè – come spiega lo stesso San Paolo – la natura umana con la sua attuale corruttibilità (I Cor. XV, 50). È dunque essere ancora un uomo carnale, indossare un corpo terreno, quella pesante dimora sotto la quale l’Apostolo delle genti gemeva (1 Cor., V, 1 segg.); e, poiché questo corpo è allo stesso tempo un corpo animale, corpus animale, che non è ancora liberato da esso, rimane sempre per questo motivo l’uomo animale, di cui ci parla la Scrittura. Perciò l’uomo, per essere veramente spirituale, deve rivestirsi di una carne spirituale e celeste, corpus spirituale (I Cor. XV, 44), partecipe dello spirito e totalmente dominata dallo spirito – Dopo questa descrizione molto apostolica, è facile capire che l’uomo spirituale, nel senso assoluto del termine, è il figlio di Dio che regna in cielo, e non può che essere lui. A qualsiasi grado di spiritualità un uomo venga elevato nel tempo della prova, rimane sempre animale e carnale in qualche punto (II Cor., V, 1-4; 1 Cor., XV passim). Senza parlare del peso della corruzione che dobbiamo portare in questa carne infelice, quali rivolte in essa contro l’impero dello spirito; quali tenebre e veli sulla nostra intelligenza; quali minacce di instabilità anche in coloro che più certamente possiedono lo Spirito di Dio! Non sono solo i piccoli figli in Cristo che San Paolo può chiamare carnali (I Cor., I, 1-3); lui stesso, quell’uomo che è stato rapito al terzo cielo, si lamenta di esserlo ancora (Rom. VII, 14-20). L’uomo carnale e l’uomo vecchio vanno di pari passo; e come l’uno rimane sotto la novità stessa, così l’altro non è mai completamente estirpato né dal corpo né dall’anima dalla virtù vivificante e santificante dello Spirito. – Ma in cielo, dopo la gloriosa risurrezione, ci sarà la vittoria piena e stabile dell’uomo spirituale sull’uomo animale e carnale; una vittoria così radicale che tutto ciò che è carnale e animale in noi sarà annientato per sempre. Nella carne, niente più cupidigia, niente più debolezze, niente più malattie, niente più mortalità; perché essa è eternamente soggetta allo spirito come lo spirito lo è a Dio. Nella ragione non c’è più ignoranza, non c’è più oscurità, non c’è più possibilità di ribellione alla conoscenza di Dio, perché l’intelligenza è perennemente annegata nella luce ed i misteri sono messi a nudo davanti ad essa. Nella volontà c’è l’attualità sempre presente e la rettitudine inamovibile dell’amore divino, il cui regno è assoluto su tutti gli affetti e tutti i movimenti dell’anima.

3. – Insistiamo ancora di più sulla considerazione della stessa verità. Ciò che rende l’uomo, dal punto di vista filosofico, un essere spirituale è che, per il principio superiore della sua natura, partecipa all’immaterialità divina, cioè alla spiritualità di Dio. Ora, che cos’è la gloria, considerata nel suo elemento più essenziale, se non la partecipazione più alta e più perfetta di questo attributo divino? Dio, infatti, conosce e ama se stesso solo perché è immateriale, e la misura, per così dire la radice, della sua conoscenza e del suo amore è questa immaterialità per cui è infinitamente Spirito: « Deus spiritus est ». Poiché, dunque, i conoscitori del cielo prevalgono incomparabilmente nella conoscenza e nell’amore su tutte le creature diverse da loro, si deve necessariamente concludere che essi abbiano raggiunto il più alto grado della vita spirituale e che ciascuno di loro sia quindi l’uomo spirituale nel suo punto più alto. – Ciò che rende ancora l’uomo spirituale è, secondo la testimonianza dei Padri, la sua singolare ed intima unione con lo Spirito Santo. Ricordiamo i testi già citati di San Basilio e di Sant’Ireneo, che mettono in piena luce questo pensiero. « Come la superficie levigata di un corpo, quando viene colpita da un raggio di sole, diventa brillante… così le anime che portano in sé lo Spirito divino diventano splendenti e spirituali » (San Basilio, L. de Spir. S., c. 9, P. Gr., t. 32, p. 110). Pertanto, « che questo Spirito divino si unisca all’anima e l’anima alla carne, questa effusione dello Spirito Santo renderà l’uomo spirituale e perfetto… ». Ma se l’anima è separata dallo Spirito, l’uomo che avrete non sarà altro che un uomo animale, imperfetto e carnale » (S. Iren, de Hæres, L. V, c. 6, n. 1. P. Gr., t. 7, p. 1137). Quanto è stretta l’unione dello Spirito con l’anima dei Santi durante i giorni di questa vita mortale. Ma quanto più intimo, quanto più indissolubile, quanto più attivo diventerà nella beata eternità, quando Dio, prendendo possesso di tutto il nostro essere, sarà come la forma luminosa della nostra intelligenza, l’oggetto immediato e sempre presente della nostra conoscenza e del nostro amore, l’Ospite divino che glorifica il nostro corpo, il suo santuario più puro e incorruttibile! – Alcuni degli antichi scrittori ecclesiastici, per esprimere con maggior forza l’incomprensibile immaterialità di Dio, lo proclamarono l’unico immateriale. Certamente erano lontani dal pensare che tutte le creature, sia gli spiriti angelici che le anime umane, siano materia o dipendano intrinsecamente dalla materia, sia nel loro essere che nel loro operare. Sostenevano che la spiritualità divina, che supera infinitamente tutte le spiritualità delle nature create, non possa essere contrapposta all’altra senza che la seconda venga eclissata dalla prima. È nello stesso senso che l’essere della creatura, per quanto perfetto possa essere, diventa come un nulla per chi lo confronta con l’Essere infinito di Dio. Così, tutto considerato, si può dire dei figli di Dio, che hanno raggiunto il pieno sviluppo della loro adozione, che essi soli, dopo Dio, sono uomini spirituali, tanto che ciò che rende l’uomo carnale e animale è distrutto in loro in modo più assoluto di quanto possa esserlo nello stato di prova e di mortalità. « Ciò che nasce dalla carne è carne, ma ciò che nasce dallo Spirito è spirito », diceva il Salvatore al fariseo Nicodemo. Questo è un grande detto, che il cielo ci riserva come chiara dimostrazione, se, vivendo della vita dello spirito, conserviamo e sviluppiamo in noi l’essere spirituale di cui l’adozione divina ci ha liberalmente dotati.

LA GRAZIA E LA GLORIA (57)