LA GRAZIA E LA GLORIA (53)
Del R. P. J-B TERRIEN S.J.
II.
Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901
Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.
LIBRO X
LA PERFEZIONE FINALE DEI FIGLI DI DIO CONSIDERATA DAL LATO DEL CORPO
CAPITOLO III
La condizione dei risorti dal punto di vista dell’essere. Le qualità esclusive dei corpi degli eletti; la loro relazione con l’anima glorificata.
1. – Quali saranno le gloriose prerogative di cui il Padre doterà i corpi dei suoi figli nel giorno della risurrezione? L’Apostolo si è assunto l’onere di risponderci: Cristo è il primogenito dai morti; come Egli è il nostro capo e il nostro esemplare nell’ordine della grazia e della santità, così lo è nell’ordine della gloria e della beatitudine (Rm, VIlI, 29: 1 Cor XV, 20, 23: Apoc, I, 5). La sua Risurrezione, pegno della nostra, sarà quindi il modello. Tale è il Capo, tali saranno i membri. Egli stesso, risuscitando i nostri corpi dalle ceneri dei sepolcri, li renderà conformi alla gloria del suo corpo (Fil. III, 21). E questo è una conseguenza necessaria del meraviglioso disegno che li ha resi membri del Corpo mistico, di cui Egli è il Capo. Se poi avessimo un’idea chiara della gloria del corpo risorto di Gesù Cristo, impareremmo, contemplandolo, quali privilegi siano riservati ai nostri corpi nella vita futura. Ma a Dio non è piaciuto mostrarci il corpo trasfigurato di suo Figlio nell’apparato del suo trionfo. Non è questo uno spettacolo per occhi mortali. Tuttavia, durante i giorni che volle trascorrere sulla terra prima di ascendere al cielo, Gesù Cristo risorto si degnò di lasciare che i suoi discepoli intravedessero alcuni raggi della sua gloria. Lo stesso Spirito Santo, per l’incoraggiamento e la consolazione dei fedeli, ha confermato questo insegnamento indiretto rivelandoci attraverso le Scritture, almeno nei suoi tratti generali, la perfezione che sta preparando per il corpo degli eletti. È da questa duplice fonte che i teologi e i Padri hanno tratto le descrizioni che ci forniscono. Ricordiamo, in poche parole, ciò che gli uni e gli altri hanno scritto su questo argomento. – « Il Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non avrà mai più dominio su di lui » (Rm VI, 9). Perciò « … il corpo (degli eletti), seminato nella corruzione, risorgerà nell’incorruttibilità; mortale, rivestirà l’immortalità » (I Cor. XV, 42, 53). Di conseguenza, per le membra come per il Capo, non ci sarà più nulla che predisponga alla morte, nulla che segua la mortalità: né il dolore, né la fame, né la sete, né la fatica; ma una vita piena, sicura di sé, al di sopra di tutti gli incidenti, di tutti i fallimenti e di tutti i cambiamenti (Apoc. XVIII, 8, ecc.): questo è il primo privilegio, l’impassibilità. – Ecco il secondo: il corpo di Gesù Cristo, dalla sua risurrezione, non conosce più gli impedimenti che la legge di gravità oppone al nostro libero movimento nello spazio. In un attimo è in grado di spostarsi da Gerusalemme ad Emmaus, da Emmaus a Gerusalemme e da quella città alla Galilea. Lo vediamo sollevarsi in aria, senza sforzo, sollevato non da una forza estranea, ma per virtù propria. Questa è l’agilità che lo Spirito Santo promette alle membra di Cristo. « Il loro corpo è stato seminato nella debolezza; risorgerà nella forza », completamente liberato da tutto ciò che può paralizzare o ritardare l’esercizio dei suoi movimenti … « Voleranno come aquile, correranno senza fatica, cammineranno senza stancarsi », dicono i nostri libri sacri (Is. XL, 31). – Se la pietra che chiude il suo sepolcro, né le porte dietro le quali i suoi Apostoli stanno chiusi e tremanti, non possono fermare Gesù Cristo risorto, Egli esce, entra all’ora che ha fissato; dove vuole, come vuole. Un raggio di luce non passa più facilmente attraverso il cristallo più puro che attraverso i corpi più solidi. Questa è una meravigliosa sottigliezza che fa parte di quella degli spiriti puri, ed è per questo che i nostri interpreti hanno pensato che sia affermata anche per gli eletti, almeno in egual misura, con queste altre parole dell’Apostolo: « Chi è stato seminato corpo animale, risorgerà corpo spirituale » (I Cor. XV, 44). Sì, come Gesù Cristo, il nostro modello, non conosceremo più barriere; non c’è bisogno che ci allontaniamo dagli ostacoli o che ci sottraiamo ad essi, se non possiamo né evitarli né abbatterli: perché nulla è più un ostacolo per un Corpo spiritualizzato. – Non ho letto nel Vangelo che Gesù Cristo, dopo la sua uscita dal sepolcro, abbia rivelato qualche caratteristica particolare dell’ultima e forse più nobile prerogativa dei corpi risorti, quella che San Paolo chiama gloria e la teologia chiama chiarezza (claritas), luminosità. Ma tre dei suoi discepoli ne avevano visto un’anticipazione, quando sul Tabor Egli si era trasfigurato davanti a loro, con il volto che risplendeva come il sole e le vesti che divenute candide come la neve (Mt. XVII, 2), una pallida immagine di ciò che ci viene promesso da queste parole dell’Apostolo: « Il corpo è stato seminato nell’ignominia, ma risorgerà nella gloria ». Che spettacolo è quello del Corpo di Gesù Cristo appeso alla croce; ammazzato, insanguinato, straziato; che spettacolo è anche quello dei corpi dei giusti mutilati e frantumati dalla tortura, o sfigurati dalla penitenza e dalla morte! Questa è l’ignominia. Ma guardate ora: eccoli qui, che risplendono con incomparabile luminosità intorno al Sole che è l’Agnello. E questa gloria non è solo luce; è la perfetta armonia tra tutte le parti del loro organismo. È quindi una bellezza senza eguali, poiché la bellezza è solo il fiorire dell’essere nell’armonia delle proporzioni, dell’ordine e della luce. – Sarà necessario rimuovere da questi corpi le gloriose cicatrici delle torture subite per preservare l’amore e la fedeltà del Re del Cielo? Dio non voglia! Nel giorno del trionfo, non c’è nulla da ammirare come le lacerazioni ed i fori fatti sulla bandiera nell’infuriare della battaglia. Gesù Cristo, il grande trionfatore, ha conservato la traccia dei chiodi e della lancia. E nessuno oserebbe dire che questo va a discapito della Sua ineffabile bellezza. « Mi sembra – scrive Sant’Agostino – che il nostro amore per i beati Martiri non sarebbe soddisfatto se, in questo regno, non vedessimo nei loro corpi le vestigia delle ferite che hanno ricevuto per il Nome di Cristo; e penso che probabilmente li vedremo. Non sarà per loro una deformità, ma un onore, e come una nuova bellezza che non scaturisce dal corpo ma dalla virtù, e che sarà ancora nel Corpo. Non enim deformitas in eis, sed dignitas erit, quædam, quamvis in corpore, non corporis sed virtutis Pulchritudo fulgebit. « Tuttavia, se i Martiri hanno perso qualche arto, Colui che ha promesso loro che nemmeno un capello del loro capo sarebbe andato perduto, saprà come restituirglielo, conservando i segni lasciati dal ferro che ha colpito questi gloriosi atleti. È vero che non resterà nulla dei difetti che hanno guastato i corpi mortali; ma dovremmo chiamare difetti le nobili testimonianze di una virtù eroica? » (S. Agost., De Civit., L. XXII, c. 19, n. 3). Questo è il pensiero di Sant’Agostino. Sebbene la fede non mi obblighi a credere nella sopravvivenza di queste gloriose impronte, non so quale senso cristiano mi convinca ad ammetterlo e a vedere in esse un complemento di bellezza per chi le porta. Ho fiducia nell’Artista sovrano e gli farei un’ingiustizia se gli negassi il potere o la volontà di fare per i corpi dei suoi fratelli ciò che ha fatto nel suo stesso Corpo.
2. – Da dove verrà questo nuovo modo di essere, così diverso da quello che ci fa gemere quaggiù sotto il peso del nostro misero corpo? Non parlo della prima fonte: è troppo ovvio che, per trovarla, dobbiamo risalire a Dio, principio di ogni bellezza, di ogni luce, di ogni forza e di ogni armonia. Non parlo nemmeno del primogenito dai morti, Gesù Cristo, il Dio fatto uomo: è perché è morto che io risorgerò; è perché è risorto che io uscirò dal sepolcro; e se ho la felicità di partecipare alle glorie della sua Risurrezione, è perché Lui ne ha ricevuto la pienezza. Cerco una Causa, inferiore, senza dubbio, ma più vicina a me, più immediata. Questa causa delle proprietà che ho appena riconosciuto, la trovo indicata in questo testo del grande Apostolo: « Il corpo sarà seminato corpo animale e risorgerà corpo spirituale » (I Cor. XV, 44). No, non è più un corpo animale, che vive una vita materiale come quella delle bestie: così era il corpo dell’uomo al momento della prova e, in un certo senso, anche prima del peccato, causa della sua caduta. Che cos’è allora? Un corpo che partecipa alle proprietà dello spirito. Ma da dove viene questo privilegio, dove affondano le radici di tutte le altre? Ascoltate ancora San Paolo: « Se c’è un corpo animale, c’è anche un corpo spirituale, come sta scritto: ‘Il primo uomo, Adamo, fu fatto con un’anima vivente e il secondo con uno spirito vivificante” ». (Ibid. 44, 45, segg.). È qui che i maestri della Scolastica, e prima di loro Sant’Agostino, hanno visto il principio successivo delle qualità soprannaturali di cui saranno arricchiti i corpi degli eletti. – Lasciate che siano loro stessi a spiegarci cosa abbiano imparato alla scuola dell’Apostolo: « Se – dice Sant’Agostino – chiamiamo carnale un’anima soggetta all’impero della carne, è giusto che una carne totalmente soggetta all’impero dello spirito porti il nome di spirituale; non perché diventi essa stessa spirito, ma perché lo spirito eserciterà su di essa un impero così meraviglioso e totale, che le toglierà completamente e per sempre la morte, la corruttibilità, il dolore, in una parola, tutto quel peso di debolezza e di miseria che la schiaccia o la ritarda. Non sarà più la salute perfetta di cui talvolta si gode sulla terra, e nemmeno lo stato che ammiriamo nell’uomo prima del peccato. Infatti, sebbene non sarebbe dovuto morire, se fosse rimasto fedele, aveva bisogno di cibo per sostenere la sua vita: era il corpo animale, non il corpo spirituale », perché lo spirito che lo animava non era ancora uno spirito vivificante (S. August. de Civit. L. XIII, c. 20; it. Ep 118, n. 14). Così parlava Sant’Agostino nella “Città di Dio“. Altrove scrive ancora, a proposito dello stesso testo: « Sia che per “primo Adamo” si intenda colui che fu formato dalla polvere, sia che per secondo si intenda Colui che nacque dalla Vergine; sia che ciascuno degli uomini debba essere l’uno e l’altro, il primo Adamo nel corpo mortale, il secondo Adamo nel corpo immortale, l’Apostolo ha voluto fare questa differenza tra l’anima vivente e lo spirito vivificante, affinché la prima faccia il corpo animale e il secondo il corpo spirituale. L’anima vive, in verità, nel corpo animale, ma essa non lo vivifica al punto da sopprimere la corruzione; nel corpo spirituale, invece, poiché aderisce perfettamente a Dio, e con questa adesione diventa un solo spirito con Lui, vivifica il corpo in modo tale da spiritualizzarlo, annientando in esso ogni germe di corruzione, ogni pericolo di separazione » (S. August. Ep. 205, n. 11). – L’Angelo della Scuola non parla diversamente. Chiedetegli perché questa impassibilità, questa bellezza risplendente, questa agilità, questa meravigliosa sottigliezza dei corpi glorificati; a tutte queste domande ha una sola risposta: poiché l’anima è immutabilmente e totalmente sottomessa a Dio, ha di conseguenza un pieno dominio sul proprio corpo; e poiché nulla potrà mai indebolire il regno di Dio sull’anima, nulla prevarrà contro l’influenza potente e salutare che l’anima esercita sul corpo (« Corpus erit totatiter subjectum animæ, divina virtute hoc faciente, non solum quantum ad esse, sed etiam quantum ad actiones, et passiones, et motus et Corporeæ qualitates. » – S. Thom, c. Gent. L. IV, c. 86). – Che cos’è la morte; che cosa sono le infermità, la debolezza, la passibilità? Tante insurrezioni contro il pieno e pacifico dominio dell’anima sul corpo. Pertanto, il corpo del risorto deve essere impassibile, immortale; e poiché nessun agente creato può sciogliere la catena d’amore che lega l’anima a Dio, nessuna forza esterna potrà distruggere la subordinazione che rende il corpo felicemente prigioniero dello spirito. Cos’è questa pesantezza che, in qualche modo, ci avvince alla terra? Un trionfo della materia sulla nostra natura spirituale. « Il corpo corrotto appesantisce l’anima », dice la Sapienza (Sap. IX, 15). Pertanto, l’anima, una volta padrona e pienamente indipendente nell’esercizio della sua facoltà motrice, dovrà sottrarre il proprio corpo a questa tirannia della legge fisica; e quando Gesù Cristo scenderà per giudicare il mondo, noi saliremo liberamente nell’aria per incontrare il trionfatore della morte (1 Tess., IV; 16). Sappiamo quale onta un corpo ribelle possa infliggere all’anima, e con quali ignominiose stimmate la segni, quando siamo abbastanza vigliacchi da cedere ai deliri dei suoi appetiti! Ora la situazione è cambiata. L’anima, bella e piena della luce di Dio, diffonde un bagliore di bellezza in tutto il suo corpo, di bellezza che nessun’altra bellezza naturale può suscitare in noi. – Che altro dire ancora? Per un’anima che è entrata nella gloria, non ci sono più ostacoli che impediscano il movimento del pensiero; con uno sguardo sicuro e fermo entra nelle profondità di Dio: perché il corpo, che essa spiritualizza, non dovrebbe partecipare a suo modo a questo potere di penetrazione? Dio ne ha fatto un corpo di luce, e ogni giorno conosciamo meglio quanto sia sublime la luce nell’aprire una via, anche attraverso i corpi apparentemente più impenetrabili (S. Thom., Suppl,, q. 81, a. 1 e 2; q. 84, a. 1; q. 85, a. 1 – Il santo Dottore non crede che ci possa essere per il dono della sottigliezza quello che ammette per gli altri, cioè una perfezione permanente che scaturisce dall’anima glorificata sul corpo; occorre supplire con un intervento miracoloso dell’Onnipotenza, che peraltro non viene mai rifiutata. Cfr. Suppl. q. 82, a. 2). Per avere l’ultima parola su queste meraviglie dobbiamo tornare al testo di San Paolo. Il primo uomo è stato fatto con un’anima vivente; l’ultimo, con uno spirito vivificante, cioè con uno spirito che prende possesso di tutta la vita dell’uomo e la trasforma a sua immagine e somiglianza (se vediamo nel secondo Adamo solo Gesù Cristo, il nostro Capo (1 Cor., XV. 45), avremmo comunque il diritto di attribuire a ciascuna delle sue membra una partecipazione dello spirito vivificant, vita del secondo Adamo). (1 Cor., XV, 45), avremmo comunque il diritto di attribuire a ciascuna delle sue membra una partecipazione allo spirito vivificante, poiché San Paolo, poche righe più avanti, dice espressamente: Qualis cœlestie, tales et cœlestes, etc.). – Dio, per la consolazione dei suoi figli, ha voluto dare loro più di una volta, in questa terra di esilio, un’immagine dei gloriosi privilegi che riserva loro nella vita futura. La storia dei Santi ci fornisce molti esempi. A volte è un’anima che, correndo verso Dio in un trasporto d’amore, solleva il suo corpo e lo tiene sospeso, come se avesse perso la sua gravità naturale; a volte è la luce interiore che fuoriesce, per così dire, attraverso le membra, come una fiamma dal suo focolare, e le incorona con i suoi raggi. Altri sono stati visti camminare sull’acqua o passare, come se fossero puri spiriti, attraverso i corpi che sbarravano loro la strada; altri ancora sono stati gettati nel fuoco e ne sono usciti vivi, integri, sani, come se avessero lasciato la più rinfrescante delle atmosfere. Sto parlando di fatti attestati da testimonianze inconfutabili e registrati nei documenti più autentici, i processi di canonizzazione: preludi imperfetti, senza dubbio, ma garanzie certe che il cielo ci sta preparando per l’eternità. – Aggiungiamo un’ultima riflessione: è che la natura materiale trova la sua destinazione finale nell’uomo spirituale: essa è fatta per lui. Non dirò in quali forme la sua attività universale e costante sia interamente al servizio dell’uomo. Per il momento è sufficiente sottolineare la sua nobile proprietà di manifestare lo spirito e le cose dello spirito. San Paolo, nel primo capitolo della sua lettera ai Romani, ci insegna ciò che la Sapienza ci aveva già insegnato (Sap. XIII,1, segg.), come essa riveli le perfezioni del suo autore. Che cos’è nelle mani del vero artista? La rappresentazione dell’ideale attraverso il reale. Sotto l’ispirazione del genio, questo metallo inerte, questa pietra grezza, prende vita e diventa nei capolavori dell’architettura o della statuaria l’incarnazione più pura della bellezza spirituale. Che cos’è per l’oratore, cosa dico, per ogni uomo che gode del pieno uso delle sue facoltà? L’espressione dei pensieri più intimi. La voce, considerata fisicamente, non è altro che corporea, eppure è in essa e attraverso di essa che si rivela e si esprime ciò che di più spirituale e profondo c’è nella mente e nel cuore; tanto le idee e i sentimenti la penetrano e la assimilano. Per dirla in breve, è una legge, anche della nostra vita terrena, che il corpo sia come lo specchio dell’anima, che quest’ultima lo plasmi più o meno perfettamente a sua immagine e si manifesti attraverso di esso. Come possono dunque le anime glorificate, con l’aiuto di Dio Onnipotente, non rendere i loro corpi l’espressione vivida e radiosa di ciò che sono in sé? E che cos’è questo, se non il diffondere su questi stessi corpi le qualità con cui la nostra fede li mostra arricchiti per l’eternità (S. Thom. C. Gent., L. IV.)? Quali sono le leggi della materia che potrebbero sconfiggere la potenza, la sapienza e l’amore di Dio per i suoi eletti?