LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (14)
Mons. ALBAN GOODIER S.J. (Arcivescovo di Hierapolis)
Morcelliana Ed. Brescia 1935
Traduzione di Bice Masperi
CAPITOLO V
CONCLUSIONE (1)
Vediamo ora di riassumere quanto siamo andati dicendo a spiegazione di ciò che i Cattolici intendono per vita cattolica. Nulla di nuovo e nulla di originale; se lo fosse, non potremmo più parlarne come di pensiero cattolico, universale nel tempo e nello spazio. È qualche cosa di antico anzi, quale si trova in S. Paolo e S. Pietro e quale giunge sino a noi attraverso S. Agostino e S. Girolamo, S. Benedetto e S. Francesco d’Assisi, S. Tomaso d’ Aquino, S. Teresa, S. Giovanni della Croce, S. Francesco di Sales e S. Vincenzo de’ Paoli. È precisamente ciò che ha fatto questi Santi i quali, alla loro volta, altri ne hanno suscitati col loro esempio e con la loro influenza. È ciò che ha fatto l’ispirazione di una Giovanna d’Arco, di un Colombo, di un Thomas More, di un Pasteur, di un Pastor, di un Foch; di Dante, Petrarca, Racine; Chaucer, Crashaw, Francesco Thompson; Alfredo il Grande, Edoardo il Confessore, Enrico VI; Dunstan, Langton, Grosseteste, Colet; e per reazione anche di coloro la cui vita nel passato cattolico sembra non aver affatto contribuito alla gloria di esso. È lo spirito che vive oggi in ogni parte del mondo e in ogni condizione sociale, a Roma, a Parigi, a Londra, a Berlino, a New York, come nella foresta africana o nella jungla indiana, o nel villaggio cinese, lo stesso nella fede e nell’ideale morale, lo stesso, grazie a Dio, nei frutti. E questa vita è conseguenza logica di ciò che il Cattolico accetta e che tutto il Cristianesimo ha sempre e dovunque accettato fino a secoli recenti come base del suo credo e della sua stessa esistenza: “Abbiate in voi quel sentire che era anche in Gesù Cristo”. (Filip. II, 5). – Ecco, per il Cattolico, l’importanza, la giustificazione, la necessità di ciò che si chiama dogma e di un’autorità che sia tanto sicura da renderne stabile la base. Senza un credo ben determinato, senza un’autorità infallibile non potrà darsi terreno solido sul quale costruire la vita ch’egli professa: ciò è provato ogni giorno dalla marea di opinioni e di contraddizioni, di certezze e di corrispondenti recise negazioni, dalle sabbie mobili e dagli edifici su di esse costruiti che cadono in rovina attorno a lui. – Nel Cristianesimo occidentale almeno, e noi non dobbiamo occuparci d’altro che di questo, la sola Chiesa Cattolica resiste intatta. Tutte le altre chiese hanno tanto cambiato e tanto continuano a cambiare che, per disperazione, pretendono essere questa medesima instabilità e queste continue fluttuazioni un contrassegno di verità. Chi parla di evoluzione accordo col progresso dei tempi dimentica che la verità non muta né può mutare. La fede e la pratica della Chiesa cattolica sono un tutto consistente giunte fino a noi, attraverso i secoli passati, adattandosi ad ogni successiva generazione, ma rimanendo inalterate nella sostanza, acquistando anzi in precisione per effetto della cultura e dell’esperienza, ma sempre l’identica e una verità. Sono state conservate dalla grande maggioranza dei Cristiani nel passato e son mantenute dalla grande maggioranza dei Cristiani di oggi in ogni clima e in ogni nazione, in ogni classe e in ogni circostanza. In quella fede e in quella pratica il Cristianesimo è ancora uno, e solamente in grazia loro quella che si civiltà cristiana può vantarsi di superare tutte le altre. – Il pensiero cattolico, anzi la vita cattolica, si fonda innanzitutto sulla accettazione cattolica un Dio vivo, personale, oggettivo, onnisciente e onnipotente, dal quale tutte le cose create derivano e al quale vanno, in cui e per cui vivono e da cui in tutto dipendono, ma nello stesso tempo un Dio che è l’amore essenziale e che ha una cura personale ed amorosa di ciascuna delle sue creature. Questo Dio, autore di ogni essere e di ogni bene, è il primo principio e il fine ultimo dell’uomo che da Lui viene e a Lui va; in Lui vive e si muove ed esiste. L’uomo è dunque fatto per lo scopo d’amore di questo Dio che è tutto amore, e il raggiungimento di tale scopo costituisce la sua vera ragione d’essere, la meta ultima che gli darà la piena realizzazione di se stesso e perciò la pace. –
Il pensiero cattolico e la vita cattolica si fondano in secondo luogo sull’accettazione cattolica, intera e senza riserve, di Nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, Redentore del genere umano dal suo stato decaduto, Mediatore fra Dio e l’uomo, Amico degli uomini, loro Maestro infallibile, Modello che tutti debbono imitare, Capo del corpo umano, Luce venuta nel mondo, Via, Verità e Vita, Sacerdote e Vittima dell’unico Sacrificio di riconciliazione in cui “la clemenza e la verità si incontrano, la giustizia e la pace si abbracciano ». (Sal. LXXXIV, 11). In relazione a questi due assiomi dai quali non possiamo prescindere, la vita cristiana, distinta ma non mai avulsa dalla vita naturale dell’uomo, può esser considerata da due punti estremi che sono l’azione di Dio e l’azione dell’uomo stesso. Da una parte, il dono di questo Dio d’amore che si prodiga, com’è nella sua natura, all’anima tanto amata; dall’altra, e in contraccambio, nell’accettazione e nell’uso di sì grande liberalità, il dono dell’anima umana al Signore Iddio suo.
1. – Il dono di Dio all’uomo.
In primo luogo, dunque, il dono affatto gratuito dell’amore di Dio all’anima umana. Dio, la cui essenza è amore e che solo per amore può agire, ha amato l’uomo, sua creatura, fin da tutta l’eternità. “Ti ho amato di un amore eterno e perciò ti ho tirato a me pieno di compassione”. (Ger. XXXI, 3). Il Profeta qui non fa che esprimere il vero motivo della Rivelazione divina. Ci ricorda che solo gli occhi dell’amore posson decifrare esattamente la Sacra Scrittura, solo una ragione illuminata dall’amore può interpretare la condotta di Dio nei riguardi dell’uomo, e solo una volontà resa ardita dall’amore potrà afferrare la mano che Dio misericordioso ci tende. Per effetto di quell’amore divino, e perché l’amore, sia da parte di Dio che dell’uomo, non può che desiderare il più e il meglio per l’essere amato, e per il bene di lui, darà ciò che è e tutto ciò che può, il Dio di ogni amore ha fin da principio ha predestinato la sua diletta creatura ad una vita, ad una meta, ad una sorte eterna molto superiore a quella che spetterebbe alla natura umana, e perciò veramente soprannaturale, che si può soltanto definire come partecipazione alla sua stessa vita perfetta, la vita divina.
(« Benedetto Iddio e Padre del Signor nostro Gesù Cristo il quale ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale, celeste, in Cristo, in quanto ci ha eletti in Lui, prima della fondazione del mondo, a esser santi e irreprensibili nel suo cospetto, per amore avendoci predestinati ad asser figli suoi adottivi per mezzo di Gesù Cristo, secondo la benignità del suo volere, sì che ciò torni a lode della gloriosa manifestazione della grazia sua di cui ci fece dono nel suo diletto Figliuolo”. (Efes. I, 3-6).
“Benedetto Dio, Padre del Signor nostro Gesù Cristo il quale, secondo la sua grande misericordia, ci ha rigenerati ad una speranza più viva, mediante la resurrezione di Gesù Cristo da morte, ad una eredità incorruttibile, purissima, inalterata, riservata nei cieli per voi”. (I Piet. 1, 3-4).
Tuttavia, per la propria maggior gloria e anche per l’eterna ricompensa e gloria dell’uomo, Dio non ha creduto bene, nella sua infinita Sapienza, d’imporre la sua generosità alla creatura umana ch’Egli ha voluto libera. Fra tutti gli esseri nell’ordine della creazione di Dio, l’uomo solo ha la facoltà di onorarlo con libero ossequio, e una obbedienza spontanea e amorosa è certo il maggior onore che si possa rendere a qualsiasi potenza superiore. – Dio onnipotente che non vuol contraddire il suo atto creativo ha lasciato libero l’uomo di accettare, o di rifiutare se preferisce, il favore straordinario che gli è offerto, dandogli così il modo di rendere a Lui stesso con quella accettazione la gloria che l’uomo solo può rendergli e di assicurarsi in cambio la gloria che l’uomo solo può conquistare. L’ha lasciato di accogliere il dono o di respingerlo, ma il suo amore non gli consentiva di abbandonarlo poi solo senza aiuti a far la sua scelta. Per puro amore dell’uomo, desiderandolo felice, non contento di dargli il mezzo di sceglier la via retta e di seguirla, Dio ha voluto ancora attirarlo, persuaderlo, scongiurarlo, anche minacciarlo. Perché la sua creatura possa conseguire la vita che le è offerta, e viverla, per quanto consentono le sue condizioni umane, anche sulla terra, Dio ha trovato il mezzo di vivere Egli stesso in ogni anima disposta ad accoglierlo. Né il suo amore si è appagato di questo; ha voluto innalzarla sempre più, attirarla a sé, ricrearla, farla rinascere a un nuovo stato di esistenza. Ecco ciò che la Chiesa Cattolica intende per vita della grazia, quella vita di cui S. Paolo, S. Giovanni e S. Pietro non si stancano mai di parlare. L’uomo nato di donna nell’ordine della natura “rinasce di Spirito Santo” (Giov. III, 5) nell’ordine della grazia: “nati non da sangue né da voler carnale né da volontà di uomo, ma da Dio”. (Giov. I, 13).
(“Voi non siete nella carne, ma nello spirito, se lo spirito di Dio abita in voi”. (Rom. VIII, 9).
“Poiché voi non avete ricevuto spirito di servitù da ricader nel timore, ma spirito di adozione a figliuoli in cui gridiamo: Abba! (Padre). Lo Spirito stesso attesta allo spirito nostro che siamo figli di Dio. E se figli, anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo”. (Rom. VIII, 15-17).
“E perché siete figli, mandò Iddio lo spiritò del Figlio suo nei vostri cuori, il quale grida: Abba, cioè Padre. Sicché tu non sei più servo ma figlio, e se figlio anche erede per opera di Dio”. – Gal. IV, 6, 7).
Questo è ciò che intendiamo per vita soprannaturale: è una cosa nuova, un arricchimento della nostra esistenza naturale, che ci innalza ad un’altra sfera, quella di Dio stesso, e dà un nuovo significato al nostro pellegrinaggio quaggiù, una meta oltre quella della creazione, anzi il diritto al raggiungimento di quella meta, purché vogliamo viver la vita che ad essa conduce. Così Dio, il Creatore, il Conservatore, il Padre, l’Amico nostro è insieme causa della vita soprannaturale in noi e ideale di questa vita. Egli ne è la sorgente, il mezzo, il fine; e noi tanto viviamo in quanto lo amiamo. E siccome per ogni vita è indispensabile un organismo adatto, così all’uomo, per questa sua vita soprannaturale, è dato un organismo soprannaturale corrispondente, inteso a trasformare qualunque azione Egli compia in quanto uomo; i suoi atti così non sono più soltanto semplici atti della natura umana dotati di solo valore naturale, ma sono altresì atti della vita divina ch’è in lui. E come tali sono accetti a Dio, perché provenienti non da una sua creatura qualsiasi, ma da un vero figlio diletto; in quell’ordine superiore diventano meritori, mettono l’uomo in grado di guadagnarsi il premio che spetta ai figli di Dio. È la vita di un Dio d’amore che non può trattenersi dal dare e la cui generosità non conosce altro limite all’infuori della limitata capacità della sua diletta creatura. Questa sua ricostruzione in noi è interamente opera sua, come lo fu la nostra prima creazione; è anzi Egli stesso che vive in noi in maniera affatto nuova, non solo in virtù dell’Esser suo – per potentiam, per præsentiam, per essentiam, — come si esprimono i filosofi, ma in virtù di un’unione ulteriore liberamente donata e liberamente ricevuta. Tutto questo intende il Cattolico quando parla di stato di grazia, di vita della grazia abituale, di inabitazione nell’anima umana dello Spirito Santo con i suoi doni e i suoi frutti e con le grazie attuali che li accompagnano. E questo fu il programma di Dio fin da tutta l’eternità; sotto questo riguardo l’uomo è vissuto fin da tutta l’eternità come pensiero di Dio. Se il disegno divino non gli fosse stato rivelato dall’alto, l’uomo non avrebbe mai potuto immaginarlo, sebbene qualche cosa di simile s’intuisca e s’intraveda nei filosofi del pensiero antico sotto forma di desiderio e quasi di presentimento. È una volta /che questa magnifica realtà gli è stata svelata e che, per la rivelazione della parola stessa di Dio, l’uomo è staio innalzato oltre il mondo della ragione e del senso fino ad un regno dove la verità sola vive senza veli, egli riflette e si accorge come questo apparente eccesso di liberalità sia perfettamente consono alla natura di quel Dio amorosissimo che finalmente conosce. È un miracolo degno in tutto di Lui e del suo amore. Ma l’uomo tradì il disegno di Dio. Con la libertà che gli era propria, l’unica forza che lo distingueva da tutte le altre creature e lo costituiva padrone sopra di esse tutte, e con la quale avrebbe potuto rendere a Dio un onore, una gloria, un servizio che nessun’altra creatura può rendergli, l’uomo calpestò il grande ideale che gli si offriva, respinse la grazia e la perdette. Preferì alla vita soprannaturale quella naturale che è a sua portata, che incomincia e finisce nella morte e che tutto a lui circoscrive. A Dio preferì se stesso, e alla vita eterna la vita di questa valle di lagrime: l’uomo preferì “le tenebre alla luce”. (Giov. II, 19). E con questa scelta deliberata commise un’offesa che, non essendo egli che creatura, mai avrebbe potuto da sé riparare. – Ma l’amore di Dio non si diede per vinto. L’uomo lo aveva respinto, preferendo ridursi allo stato abbietto di semplice uomo naturale; aveva detto al suo Dio che non voleva saperne di Lui; eppure questo Dio d’amore ancora lo inseguiva, e volle ancora venire a lui e riconquistarlo, se comunque ciò fosse possibile, e riaverlo per Sé. Volle scusarlo dicendosi che era cieco e che non sapeva quello che faceva; e decise di vincerlo con un nuovo eccesso di amore. Ma ciò doveva compiersi nell’ordine, secondo quella perfetta armonia che è attributo di Dio e che si riflette in tutta la creazione. Pur amando infinitamente, Egli era anche infinitamente giusto, e perché giustizia fosse compiuta oltre che soddisfatto l’amore e la misericordia, volle che questo dono di Sé, una volta respinto dall’uomo, fosse dall’uomo stesso riconquistato. E come poteva farsi ciò? Ché ormai, come abbiamo veduto, l’uomo naturale non poteva più nulla meritare.
“Come per opera d’un sol uomo entrò la colpa nel mondo e per la colpa la morte, così a tutti gli uomini si è estesa la morte in quanto che tutti peccarono”. (Rom. V, 12). E i morti nulla possono. L’uomo che di propria mano era morto alla vita di Dio non poteva più da sé risorger da morte e riprender la vita che aveva respinto. Ma il Dio d’amore trovò la soluzione, una soluzione che l’amore solo poteva concepire e portare ad effetto.
(“Dio ha talmente amato il mondo da dare il suo Figliuolo Unigenito affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna. Poiché Dio non ha mandato il Figliuol suo nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui”. (Giov. II, 16, 17).
“In questo si è manifestata la carità di Dio verso di noi, che Dio mandò il suo Figlio Unigenito nel mondo, affinché per mezzo di Lui abbiamo vita. In questo è la carità; che senza aver noi amato Dio Egli per primo ci ha amati e ha mandato il suo Figliuolo come propiziazione per i nostri peccati”. – I Giov. IV, 9, 10).
Per redimere i perduti e gli schiavi, per risuscitare i morti alla vita, per restituire al figliuol prodigo un posto nella casa del Padre, e per dare insieme a Sé medesimo in quanto Dio un compenso adeguato a ciò che gli era stato tolto, Dio stesso, nella Persona del Figlio, venne sulla terra a viver la vita dell’uomo e a morirne la morte. Come uomo, veramente uomo, ma puro e immacolato, “in ogni cosa simile a noi eccetto che nel peccato”, Gesù Cristo Figlio di Dio, fatto vero uomo, nella nostra natura sulla terra, rese a suo Padre un perfetto ossequio in nome di tutto il genere umano. In quanto uomo, ma con la forza della Divinità in Sé, chiese perdono al Padre per il male che era stato fatto e immolò in degna espiazione la propria vita umana fino all’ultima goccia di sangue. Fu l’amore a ideare il mezzo, l’amore a compiere il sacrificio volontario, l’amore ad accettare con gioia la riparazione e ad effondersi nuovamente sulla creatura amata.
(« Dio dà a vedere il suo vivo amore per noi, perché essendo noi ancora peccatori, Cristo per noi è morto. Or dunque, giustificati nel sangue di Lui, tanto più saremo a’ mezzo di Lui salvati dall’ira. Giacché se, essendo nemici, siamo stati riconciliati a Dio per la morte di suo Figlio, tanto più, riconciliati, saremo salvati nella vita di Lui. Né solo questo, ma anche ci gloriamo in Dio per opera del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo del quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione ”. – Rom. V, 8-11).
Così in Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo, e solo perché tale Egli era nella sua unica divina Persona, l’umanità restituì a Dio servizio ed ossequio perfetto e adeguato, anzi assai più perfetto e adeguato di quello che avrebbe potuto rendere se non fosse mai caduta o piuttosto se Gesù Cristo non si fosse mai fatto uomo. L’uomo offerse così a Dio una soddisfazione divina. In Gesù Cristo, con Lui e per i meriti di Lui, egli poteva rialzare il capo ed esser perdonato e riprendere la sua vita soprannaturale, rimanendo soddisfatte la giustizia e la misericordia. Ecco ciò che l’umanità deve a Nostro Signore Gesù Cristo; ecco l’essenza dei misteri che il Cattolico chiama Incarnazione e Redenzione. Ma non è ancora tutto. Non bastò al Dio d’amore, fatto uomo per amore, cancellare la sentenza che condannava la sua creatura e abbandonarla poi a compier da sola il suo destino come meglio potesse. Nostro Signor Gesù Cristo è realmente vero Dio, e come tale gli spetta di diritto l’uguaglianza col Padre; ma è anche vero uomo, e come tale si è fatto l’eguale dell’uomo e di conseguenza modello dell’umanità intera anche nelle vie di questa vita, con tutta la sua debolezza e le ansie del suo faticoso procedere a tastoni nel buio. –
(Di sé Egli disse: “Io vi ho lasciato l’esempio. Io sono la Via, la Verità, la Vita”. S. Paolo sottolinea con ardore queste parole del Maestro: “Abbiate in voi quel sentire ch’era anche in Gesù Cristo: il quale, sussistendo in natura di Dio, non considerò questa sua eguaglianza con Dio come una rapina, ma vuotò se stesso, assumendo la forma di schiavo, e facendosi simile ,all’uomo; e in tutto il suo esteriore atteggiamento riconosciuto come un uomo, umiliò se stesso, fattosi ubbidiente sino al punto di morire su una croce”. (Filip. II, 5, 8).
“Noi vediamo Gesù che è stato fatto di poco inferiore agli Angeli, per via della morte patita, coronato di gloria e d’onore, affinché per la grazia di Dio a favor di tutti subisse
la morte, giacché ben si conveniva a Colui per mezzo del quale e a cagion del quale ogni cosa è, volendo condurre alla gloria molti figliuoli, render perfetto per via di patimento l’autore della salvezza”. (Ebr. II, 9, 10).
“Noi non abbiamo un Sommo Sacerdote che non possa compatire le nostre debolezze, ma invece è stato provato in tutto a somiglianza di noi, salvo il peccato”. (Ebr. IV, 15).
«Ond’è ch’Egli doveva in tutto esser fatto simile ai suoi fratelli, per diventare misericordioso e fedele sacerdote nelle cose divine, affinché fossero espiate le colpe del popolo. Poiché appunto per essere stato provato lui e avere sofferto, per questo può venire in soccorso a quelli che sono nella prova”. (Ebr. II, 17, 10).
«Poiché quel che era impossibile alla legge in quanto era indebolita per via della carne, Dio, mandando suo Figlio in carne simile a quella del peccato e mandandolo per il peccato, condannò il peccato nella carne”. – Rom. VII, 3).
In altre parole, Gesù Cristo, essendo Dio fin da tutta l’eternità, è anche nel tempo uomo come tutti gli altri, con un’unica eccezione, lo abbiamo già notato. È l’amico dell’uomo, avendo portato sulla terra quell’amore che era in Lui nel Cielo: il Sacro Cuore di Cristo palpita dell’amore di Dio. È il fratello dell’uomo, membro della famiglia umana e con essa solidale, della stessa carne e dello stesso sangue; perciò nulla di umano gli è estraneo: gioia o dolore, vittoria o sconfitta, scienza o ignoranza. In virtù di ciò ch’Egli è e di ciò che ha fatto, Cristo è la sorgente e il seminatore di quanto v’è di buono nel campo dell’umanità. “Della pienezza di Lui tutti abbiamo ricevuto ». (Giov. I, 16). – « Egli è il beato e unico Sovrano, Re dei re, Signore dei signori ». (I Tim. VI, 15). È la pietra angolare del tempio umano, base e coronamento
dell’edificio. È unito ai suoi da un vincolo più forte di quello del matrimonio perché è il Capo vivo del Corpo Mistico vivo. Gli scrittori del Nuovo Testamento, con frasi del tenore delle seguenti, e con una forza che indica com’essi vi annettessero un valore molto superiore a quello di semplici metafore, cercano di esprimere ciò che Gesù Cristo è agli uomini pel solo motivo della sua umanità.
(“Perciò dunque non siete più ospiti e forestieri, ma concittadini dei santi e della famiglia di Dio; edifizio eretto sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti, essendone pietra angolare lo stesso Cristo Gesù su cui tutto l’edificio ben costruito s’innalza a tempio santo nel Signore, E voi pure siete parte di questo edificio che ha da essere abitacolo di Dio nello spirito”. (Efes, II, 19-22).
“Il campo di Dio, l’edificio di Dio siete voi”. (I Cor. III 9).
“Poiché nessuno può porre altra base oltre quella che già c’è, che è Gesù Cristo ». (I Cor. III, 11).
“Cristo fu come Figlio soprastante alla propria casa, e la sua casa siamo noi, a condizione che manteniamo salda sino alla fine la sicura fiducia e la speranza di cui ci gloriamo”, (Ebr. III, 6).
“Accostatevi a Lui, alla pietra viva rifiutata è vero dagli uomini, ma scelta e onorata da Dio; e voi pure come pietre vive siete edificate sopra di Lui per essere una cosa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire vittime spirituali, gradite a Dio per mezzo di Gesù Cristo”. (I Piet. II, 4.5).
“Come dunque avete accolto Cristo Gesù il Signore, in Lui vivete, radicati ed edificati in Lui e rinforzati nella fede, come vi era stato insegnato, progredendo in azioni di grazie”. (Col. II, 6, 7).
“Come una donna soggetta al marito è legata per legge al marito vivente; e se il marito muore vien sciolta dalla legge del marito… Così, fratelli miei, anche voi siete morti alla legge per il corpo di Cristo, sì da appartenere ad un altro, cioè a Colui che risuscitò da morte, e ciò perché cogliamo frutti a Dio”. (Rom. VII, 2, 4).
“Perché io son geloso di voi, d’una gelosia di Dio, poiché vi ho fidanzati per darvi, vergine casta, a un uomo solo, a Cristo”, (2 Cor. XI, 2).
“Poichè, come il corpo è uno e ha molte membra e tutte le membra del corpo pur essendo molte il corpo è uno, così anche Cristo. Poiché noi tutti, sia Giudei sia Gentili, sia schiavi sia liberi, in unico Spirito siamo stati battezzati sì da formare un corpo solo, e tutti siamo stati imbevuti di unico Spirito… Orbene, voi siete corpo di Cristo e partitamente siete membra di esso”. (I Cor. XII, 12, 27).
« Poiché come in unico corpo abbiamo varie membra e le membra non hanno tutte la stessa funzione, così noi molti siamo un corpo solo in Cristo; e, per i rapporti reciproci, siamo membri gli uni degli altri”. – Rom. XI)
Così in Gesù Cristo tutti gli uomini sono uno e possono essere uno, come i tralci fanno tutt’uno con la vite, sia che crescan dal tronco o che vengan su di esso innestati.
(“Restate in me ed io resterò in voi, Come il tralcio non può portare frutto da sé medesimo se non rimane unito alla vite, così neppure voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro porta abbondanti frutti, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me è gettato via come il tralcio sterile, e inaridisce”. (Giov. XV, 4, 6).
“Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano abbondantemente”. (Giov. X, 10).
“Io sono la luce del mondo, Chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce di vita”. (Giov. VIII, 12).
Tutte queste considerazioni ci mostrano la vita spirituale come puro dono di Dio che giunge all’uomo per effetto di giustizia e insieme di amore e di misericordia, per i meriti di Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli stesso ne è la sorgente, il sostentamento, il modello; Egli ha provveduto i mezzi coi quali potremo conservarla e svilupparla. Infatti, per evitare che l’uomo nella sua debolezza non comprenda, o nella sua superficialità interpreti male, o nella sua distrazione dimentichi, o nel suo egoismo trascuri la verità vitale che Cristo ha rivelato e per la quale ha sparso il suo sangue, Egli ha provveduto per sempre una guida sicura che la conserverà intatta e viva e che salverà l’uomo dalla sua cecità.
“Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non
prevarranno contro di essa. E io ti darò le chiavi del regno dei Cieli”. (Matt. XVI, 18).
“Chi ascolta voi ascolta me e chi disprezza voi disprezza me; e chi disprezza me disprezza Colui che mi ha mandato”. (Luca X, 16).
“Vi ho detto queste cose mentre mi trovavo ancora in mezzo a voi; ma il Paracleto, lo Spirito Santo che il Padre manderà in mio nome, Egli vi insegnerà ogni cosa e vi suggerirà tutto ciò che io vi ho detto”. (Giov. XIV, 25, 26).
“Ho ancora molte cose da dirvi, ma per ora sono al disopra della vostra portata. Ma quando sarà venuto lo Spirito di verità, Egli vi insegnerà tutta la verità”. (Giov. XVI, 12, 13).
“Andate per tutto il mondo, predicate l’Evangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo; chi invece non crederà sarà Condannato”. (Marco, XVI, 15, 16).
Il Cattolico medita questi passi e molti altri simili, ricorda la ben nota verità che “Dio è fedele” e immutabile, e non sa spiegarsi come possano alcuni, malgrado ciò, negare la sua immanente e infallibile assistenza o anche solo dubitarne. Chi fece tali rivelazioni di Sé e della sua vita d’amore, chi impose tali comandamenti alle sue dilette creature, chi diede tali assicurazioni di continua presenza: “ecco che io sono con voi tutti giorni”, non avrebbe mai potuto abbandonar l’uomo alle sue sole risorse a cercarsi una strada nell’oscurità come meglio potesse. Colui pel quale il tempo non esiste, che è con gli uomini oggi come nei giorni in cui quelle parole vennero pronunciate, Colui al quale preme che gli apparteniamo, noi della generazione presente non meno di quei di Betsaida e di Cafarnao, non può averci abbandonato. Lo ha detto Egli stesso, e la sua parola è verità; e siccome crediamo in Lui, noi crediamo pure nel suo rappresentante, chiunque egli sia. – La parola di Dio è verace; la voce che annuncia nel tempo quella parola di verità è, nel pronunciarla, infallibile. Per dubitarne, il Cattolico dovrebbe modificare tutta la sua concezione di Dio, di quel Dio d’amore che per amore si è legato alla sua creatura. Il Suo è un amore che non può ingannare né ingannarsi, che non può venir meno, che, avendo parlato una volta con sicurezza, parla con altrettanta sicurezza per sempre. “Io credo nella Santa Chiesa Cattolica” perché credo nella fedeltà assoluta di Dio. – È questo il primo mezzo che garantisce la vita di Dio nell’anima dell’uomo: la guida sicura della Chiesa. Come Gesù Cristo parlò infallibilmente con le sue labbra umane, altrettanto infallibile è quando parla per bocca di quella Chiesa di cui Egli rimane il Capo vivente. Poi, viene il dono dei Sacramenti e con essi della vita sacramentale. “Con gaudio attingerete acque dalle fonti del Salvatore”. (Is. XII, 3). Così cantava il Profeta, e il Cattolico crede che dal costato aperto di Cristo siano sgorgate quelle sette sorgenti, quei “segni esteriori di grazia interiore”, quegli atti che, compiuti dall’uomo con le debite disposizioni, lo inondano per se stessi di grazie sempre più abbondanti di giustificazione e di salute. Non sono semplici devozioni, né semplici riti, sono segni esteriori di grazie effettivamente conferite all’anima; il Cattolico crede che siano stati istituiti da Gesù Cristo stesso e che, nell’accoglierli, egli riceve dalle mani pietose di Lui e in virtù della sua grande vittoria un aumento positivo di vita soprannaturale che in nessun altro modo potrebbe ricevere. Per effetto della sua unione con Cristo e dei propri sforzi personali, il fedele può acquistare ancora altre grazie, ma la grazia sacramentale egli non può altrimenti guadagnarla da sé: non può aprire la porta se non con la chiave che Cristo stesso ci ha dato, e allora il torrente del suo amore gli inonderà l’anima. Ecco perché nella frequenza ai Sacramenti meglio che in altri modi si manifesta la pratica della religione: per il Cattolico religione e sacramenti sono due termini correlativi e complementari, quasi espressioni di un’unica realtà, e un Cattolico è spesso definite come “uno che si accosta ai sacramenti”. – E fra questi sette sacramenti, uno gli è particolarmente caro. È quello che è insieme Sacramento e Sacrificio, Sacramento dell’Eucarestia, sacrificio della Messa, il “Sacro Banchetto in cui Cristo si fa nostro cibo, e si rinnova la memoria della sua Passione e l’anima si riempie di grazia e riceve un pegno della gloria futura ». Questo sacramento è diventato inevitabilmente il centro attorno a cui circola tutta la pratica cattolica. Sulla parola di Cristo stesso, sempre confermata attraverso i secoli dal suo legittimo rappresentante, il Cattolico crede che nella SS. Eucarestia il suo Signore e Maestro dimora con lui sulla terra e scende nella sua anima e vi rimane, alimentandone la vita con la Sua, anzi assorbendola in Sé di modo che non vive più lui ma in lui vive Gesù Cristo. Assistendo alla S. Messa il Cattolico è con lo stesso Signore Gesù non solo nell’istante in cui essa è celebrata ma anche in quell’ora solenne in cui realmente si compì il Sacrificio del Calvario. È una verità che per essere ineffabile non è per ciò meno vera, e in tutta l’Europa, anzi nel mondo intero, abbondano le evidenze, gli effetti prodotti da quella verità. “Gesù Cristo il medesimo ieri, oggi e per sempre: ecco in una parola la fede cattolica, il pensiero cattolico. La vita nella Chiesa Cattolica non è né più né meno che questo: “Per me la vita è Cristo, e la morte è un guadagno”. È l’atto culminante di un Dio d’amore, l’eccesso cui è giunto Gesù Cristo, l’Uomo-Dio, nello sforzo di conquistare il cuore della sua amata ma ostinata creatura. Ed Egli ha vinto; si è avverata la profezia: “Da dove sorge il sole fin dove tramonta il mio Nome è grande tra le genti e in ogni luogo si sacrifica e si offre al mio nome oblazione pura. Perché grande è il mio Nome fra tutte le genti, dice il Signore degli eserciti. (Mal. I, 11). – Ma i Cattolici non possono separare la Madre dal Figlio, ché anzi per essi onorar quella è onorare e imitar questo. Per la volontaria adesione di lei, Egli venne in questo mondo; per il “fiat” di lei, s’iniziò l’opera della Redenzione; l’amore della Madre pel Figlio e l’amore del Figlio per la Madre, il naturale fuso col soprannaturale, li legò insieme inseparabilmente in vita, in morte e dopo morte. Per molti anni essa comandò ed Egli le ubbidì. Essa rimase sua Madre sino all’ultimo; infine Egli ci diede a Lei e diede Lei a noi perché ci custodissimo ed amassimo a vicenda. Ella è quindi ora per noi, che le fummo affidati quali figli, avvocata insuperabile presso il suo Figliuolo, e d’altra parte, essendoci essa stata affidata da Lui, onorarla è ancora onorar Cristo. Trattarla come un figlio amoroso tratta una tenera madre è fare quanto ha fatto Cristo sulla terra e quanto Egli stesso ci ha chiesto di fare in sua vece. – Con la Madonna stanno gli Angeli e i Santi. Questi ultimi son pure nostri fratelli, sono parte della grande famiglia di Dio, suoi figli ed eredi, membra di quello stesso corpo al quale noi apparteniamo. Durante la loro vita quaggiù i Santi hanno combattuto la buona battaglia, hanno compiuto la loro corsa, hanno ricevuto la corona di giustizia da Colui che è Giudice giusto. Dal luogo della loro beatitudine essi hanno cura di noi. “Vi sarà gioia fra gli Angeli di Dio per un peccatore che fa penitenza”, Se gli Angeli si rallegrarono alla nascita di Cristo fra noi, cantando “Gloria a Dio nel Cielo e pace in terra agli uomini di buona volontà”; se, quando Egli ebbe fame e sete, vennero gli Angeli a servirlo; se, nell’ora dell’agonia al Getsemani, quando pregò perché si allontanasse da Lui quel calice, un Angelo gli diede nuova forza, se i figli degli uomini hanno i loro Angeli in Cielo che li proteggono, — “guardatevi dal disprezzare alcuni di questi piccoli, poiché vi dico che i loro Angeli nei cieli vedono continuamente la faccia del Padre mio che è nei cieli” —, ancor noi possiamo sicuramente contare sull’assistenza, la preghiera, la compagnia di tutti questi fratelli nelle lotte della vita. « Poiché non è la nostra lotta contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori del mondo delle tenebre, contro gli spiriti maligni dell’aria”. (Efes. VI, 12).