DOMENICA XIX DOPO PENTECOSTE (2022)

DOMENICA XIX DOPO PENTECOSTE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

La liturgia fa leggere nell’Ufficio divino la storia di Ester verso quest’epoca (5a Domenica di Settembre). Reputiamo quindi cosa utile, al fine di rivedere ogni anno con la Chiesa tutte le figure dell’Antico Testamento e per continuare a studiare le Domeniche dopo Pentecoste in corrispondenza del Breviario, di parlare in questo giorno di Ester. – L’lntroito della Domenica 21 dopo Pentecoste è la preghiera di Mardocheo. Non potremo noi vedervi un indizio della preoccupazione della Chiesa di unire, a questo periodo liturgico, la storia di Ester ad una Messa di questo Tempo? « Assuero, re di Susa in Persia, aveva scelto per prima regina Ester, nipote di Mardocheo. Aman, l’intendente del palazzo, avendo osservato che Mardocheo rifiutava di piegare le ginocchia davanti a lui, entrò in grande furore e, saputo che era ebreo, giurò dì sterminare insieme a lui tutti quelli che fossero della sua razza. Accusò quindi al re gli stranieri che si erano stabiliti in tutte le città del suo regno e ottenne che venisse dato ordine di massacrarli tutti. Quando Mardocheo lo seppe, si lamentò e fu presso tutti gli Israeliti un gran duolo.- Mardocheo disse allora a Ester che essa doveva informare il re di quanto tramava Aman, fosse pure col pericolo della sua vita medesima. » Se Dio ti ha fatta regina, non fu forse in previsione di giorni simili? ». Ed Ester digiunò tre giorni con le sue ancelle; e il terzo giorno, adorna delle sue vesti regali, si presentò davanti al re e gli domandò di prender parte ad un banchetto con lui e Aman. Il re acconsentì. E durante questo banchetto Ester disse al re: « Noi siamo destinati, io e il mio popolo, ad essere oppressi e sterminati ». Assuero sentendo che Ester era giudea, e che Mardocheo era suo zio, le disse: « Chi è colui che osa far questo? ». Ester rispose: « Il nostro avversario e nostro nemico è questo crudele Aman ». Il re, irritato contro il suo ministro, si levò e comandò che Aman fosse impiccato sulla forca che egli stesso aveva fatto preparare per Mardocheo. E l’ordine fu eseguito immediatamente, mentre veniva revocato l’editto contro i Giudei. Ester aveva salvato il suo popolo e Mardocheo divenne quel giorno stesso ministro favorito del re e uscì dal palazzo portando la veste regale azzurra e bianca, una grande corona d’oro e il mantello di porpora, e al dito l’anello regale ». — Il racconto biblico ci mostra come Dio vegli sul suo popolo e lo preservi in vista del Messia promesso. « Io sono la salvezza del popolo, dice il Signore, in qualunque tribolazione mi invochino, li esaudirò e sarò il loro Signore » (Introito). « Quando cammino nella desolazione Tu mi rendi la vita, Signore. Al di sopra dei miei nemici, accesi d’ira, tu mi stendi la mano e la tua destra mi assicura la salvezza » (Off.); il Salmo del Communio parla del giusto che è oppresso dall’afflizione e che Dio non abbandona; quello del Graduale, ci mostra come, rispondendo all’appello di coloro che in Lui sperano, Dio fa cadere i peccatori nelle loro proprie reti; il Salmo dell’Alleluia canta tutte le meraviglie che il Signore ha fatto per liberare il suo popolo. Tutto questo è una figura di quanto Dio non cessa di fare per la sua Chiesa e che farà in modo speciale alla fine del mondo. Aman che il re condannò durante il banchetto in casa di Ester, è come l’uomo che è entrato al banchetto di nozze di cui parla il Vangelo, e che il re fece gettar nelle tenebre esteriori, perché non aveva la veste di nozze, cioè « perché non era rivestito dell’uomo novello che è creato a somiglianza di Dio nella vera giustizia e nella santità, per non aver deposto la menzogna e i sentimenti di collera, che nutriva in cuore verso il prossimo » (Epistola). Cosi iddio tratterà tutti coloro che, pur appartenendo al corpo della Chiesa per la loro fede, sono entrati nella sala del banchetto senza essere rivestiti, dice S. Agostino, della veste della carità. Non essendo vivificati dalla grazia santificante, non appartengono all’anima del Corpo mistico di Cristo, e rinunziando alla menzogna, dice S. Paolo, ognuno di voi parli secondo la verità al suo prossimo, perché siamo membri gli uni degli altri. Possa il sole non tramontare sull’ira vostra » (Epistola). E quelli che non avranno adempiuto a questo precetto saranno dal Giudice supremo gettati nel supplizio dell’inferno, come pure gli Ebrei che hanno rifiutato l’invito al pranzo di nozze del figlio del re, cioè di Gesù Cristo con la sua sposa che è la Chiesa (2° Notturno) e che hanno messo a morte profeti e gli Apostoli recanti loro questo invito. — Assuero in collera, fece impiccare Aman. Anche il Vangelo ci narra che il re montò in furore, inviò i suoi eserciti per sterminare quegli assassini e bruciò la loro città. Più di un milione di Giudei morirono nell’assedio di Gerusalemme per opera di Tito, generale dell’esercito romano, la città fu distrutta e il Tempio incendiato. Aman infedele, fu sostituito da Mardocheo; gli invitati alle nozze furono sostituiti da coloro che i servi trovarono ai crocicchi. I Gentili presero il posto degli Ebrei e verso di quelli si volsero gli Apostoli, riempiti di Spirito Santo, nel giorno di Pentecoste. E al Giudizio universale, che annunziano le ultime domeniche dell’anno, queste sanzioni saranno definitive. Gli eletti prenderanno parte alle nozze eterne e i dannati saranno precipitati nelle tenebre esteriori e nelle fiamme vendicatrici, ove sarà pianto e stridore di denti. – Bisogna spogliarsi dell’uomo vecchio, dice S. Paolo, come ci si toglie una veste vecchia e rivestirsi di Cristo come ci si mette una veste nuova. Bisogna dunque rinunziare alla concupiscenza traditrice delle passioni che, come figli di Adamo, abbiamo ereditato, e aderire a Cristo accettando la loro verità evangelica, che ci darà la santità nei nostri rapporti con Dio e la giustizia nei nostri rapporti col prossimo.

« Dio Padre, dice S. Gregorio, ha celebrate le nozze di Dio suo Figlio, allorché l’unì alla natura umana nel seno della Vergine. E le ha celebrate specialmente allorché, per mezzo dell’Incarnazione, lo unì alla santa Chiesa. Inviò due volte i servi per invitare i suoi amici alle nozze, perché i Profeti hanno annunziata l’Incarnazione del Figlio di Dio come cosa futura e gli Apostoli come un fatto compiuto. Colui che si scusa col dover andare in campagna, rappresenta chi è troppo attaccato alle cose della terra; l’altro che si sottrae col pretesto degli affari, rappresenta chi desidera smodatamente i guadagni materiali. E ciò che è più grave, è che la maggior parte non solo rifiutano la grazia data loro di pensare al mistero dell’Incarnazione e di vivere secondo i suoi insegnamenti, ma la combattono. La Chiesa presente è chiaramente indicata dalla qualità dei convitati, tra i quali si trovano coi buoni anche I cattivi. — Cosi il grano si trova mescolato con la paglia e la rosa profumata germoglia con le spine che pungono. — All’ultima ora Dio stesso farà la separazione dei buoni dai cattivi che ora la Chiesa contiene. Quegli che entra al festino nuziale senza l’abito di nozze appartiene alla Chiesa colla fede, ma non ha la carità. Giustamente la carità è chiamata abito nuziale perché essa era posseduta dal Creatore allorché si unì alla Chiesa. Chi per la carità è venuto in mezzo agli uomini ha voluto che questa carità fosse l’abito nuziale. Allorché uno è invitato alle nozze in questo mondo, cambia di abiti per mostrare che partecipa alla gioia della sposa e dello sposo e si vergognerebbe di presentarsi con abiti spregevoli in mezzo a tutti quelli che godono e celebrano questa festa. Noi che siamo presenti alle nozze del Verbo, che abbiamo fede nella Chiesa, che ci nutriamo delle Sante Scritture e che gioiamo dell’unione della Chiesa con Dio, rivestiamo dunque il nostro cuore dell’abito della carità, che deve comprendere un doppio amore: quello di Dio e quello per il prossimo. Scrutiamo bene i nostri cuori per vedere se la contemplazione di Dio non ci faccia dimenticare il prossimo e se le cure verso il prossimo non ci facciano dimenticare Dio. La carità è vera se si ama il prossimo in Dio e se si ama teneramente il nemico per amore di Dio » (Omelia del giorno).

Incipit

In nomine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Salus pópuli ego sum, dicit Dóminus: de quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos: et ero illórum Dóminus in perpétuum

[Io sono la salvezza dei popoli, dice il Signore: in qualunque calamità mi invocheranno, io li esaudirò, e sarò il loro Signore in perpetuo.]

Ps LXXVII: 1
Attendite, pópule meus, legem meam: inclináte aurem vestram in verba oris mei.

[Ascolta, o popolo mio, la mia legge: porgi orecchio alle parole della mia bocca.]

Salus pópuli ego sum, dicit Dóminus: de quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos: et ero illórum Dóminus in perpétuum

[Io sono la salvezza dei popoli, dice il Signore: in qualunque calamità mi invocheranno, io li esaudirò, e sarò il loro Signore in perpetuo.].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Omnípotens et miséricors Deus, univérsa nobis adversántia propitiátus exclúde: ut mente et córpore páriter expedíti, quæ tua sunt, líberis méntibus exsequámur.

[Onnipotente e misericordioso Iddio, allontana propizio da noi quanto ci avversa: affinché, ugualmente spediti d’anima e di corpo, compiamo con libero cuore i tuoi comandi.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes IV: 23-28


“Fratres: Renovámini spíritu mentis vestræ, et indúite novum hóminem, qui secúndum Deum creátus est in justítia et sanctitáte veritátis. Propter quod deponéntes mendácium, loquímini veritátem unusquísque cum próximo suo: quóniam sumus ínvicem membra. Irascímini, et nolíte peccáre: sol non occídat super iracúndiam vestram. Nolíte locum dare diábolo: qui furabátur, jam non furétur; magis autem labóret, operándo mánibus suis, quod bonum est, ut hábeat, unde tríbuat necessitátem patiénti.”

(“Fratelli: Rinnovatevi nello spirito della vostra mente, e rivestitevi dell’uomo nuovo, che è creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. Perciò, deposta la menzogna, ciascuno parli al suo prossimo con verità: poiché siamo membri gli uni degli altri. Nell’ira siate senza peccato: il sole non tramonti sul vostro sdegno. Non lasciate adito al diavolo. Colui che rubava non rubi più: piuttosto s’affatichi attendendo con le proprie mani a qualche cosa di onesto, per aver da far parte a chi è nel bisogno.”)

IDEALE E REALTÀ.

Il Cristianesimo è venuto al mondo con una realtà nuova e divina ch’era un ideale e con un ideale umano che era una realtà divina. Non è per quanto possa parerlo, non è un bisticcio, un gioco di parole: le parole qui traducono un concetto magnifico e che a voi, Cristiani miei uditori, dovrebbe essere famigliare. O non è forse il Cristianesimo venuto al mondo con Gesù Cristo? E non è Gesù Cristo vero uomo e vero Dio? È la formula precisa che la Chiesa mette sulle nostre labbra nelle famose benedizioni popolari e semiliturgiche. Vero. C’è l’eco di una frase di San Paolo nel brano che oggi leggiamo. Vero vuol dire qui: reale, che è realmente uomo e Dio. Ma vero vuol dire che N. S. Gesù Cristo rappresenta in sé l’umanità quale deve, quale dovrebbe essere. Egli è il nostro modello. E San Paolo lo proclama oggi apertamente. Invita i suoi lettori, a diventare copie di Gesù Cristo. –  Dobbiamo trasformarci interiormente, ricreare in noi l’uomo nuovo, che è poi viceversa molto antico, in quanto nell’uomo nuovo si realizza quell’ideale di umanità che brillò davanti a Dio Creatore. Gesù, Signor Nostro, nella Sua reale umanità (ipostaticamente unita alla divinità) è perfetto, è ciò che Dio voleva fare e sognò di fare sin da principio, fece anzi da parte sua fin da principio. Ecco il paganesimo. – Chi è l’uomo vero? forse l’uomo pagano? l’uomo passionale e passionato? che alla passione si abbandona? alla passione, che è ragione contro la ragione? Purtroppo molti lo pensano. Salutano l’umanesimo pagano. È un ritornello preferito degli anticlericali. Il paganesimo è (o era) umano: e ciò significa ed implica che il Cristianesimo non lo è: è antiumano. Il Cristianesimo è veramente umano. È stato e continua ad essere una restaurazione. Quando si restaura un edificio, che cosa si fa? lo si prende deformato e lo si riconduce alla purezza, alla verità delle linee primitive. Dio ha restaurata l’umanità in Gesù Cristo. La linea primitiva, il disegno divino dell’uomo era bello. Dio lo aveva creato a Sua immagine e somiglianza: con un intelletto fatto per la verità, con una volontà indirizzata verso il bene. E l’uomo guastò in se stesso l’opera di Dio, si scostò dal disegno divino. Adoperò l’intelletto per ributtare coi sofismi la verità: adoperò la sua volontà per fare il male. Il senso si sovrappose alla ragione, e la passione alla volontà. Umanità rovesciata: ecco il paganesimo. – Ma viene Gesù Cristo, l’uomo nuovo, dice San Paolo, il nuovo Adamo; proprio così dice San Paolo e lo dice benissimo. Nuovo Adamo quello (è San Paolo che continua), che fu creato proprio secondo il disegno di Dio (secundum Deum) e perciò fu creato giusto e vero. E il nostro sforzo d’uomini e di Cristiani deve essere quello di ricopiare, di rifare Gesù Cristo.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CXV: 2

Dirigátur orátio mea, sicut incénsum in conspéctu tuo, Dómine.

[Si innalzi la mia preghiera come l’incenso al tuo cospetto, o Signore.]
V. Elevatio mánuum meárum sacrifícium vespertínum. Allelúja, allelúja

[L’elevazione delle mie mani sia come il sacrificio della sera. Allelúia, allelúia]
Ps CIV: 1

Alleluja

Alleluja, Alleluja

Confitémini Dómino, et invocáte nomen ejus: annuntiáte inter gentes ópera ejus. Allelúja.

[Date lode al Signore, e invocate il suo nome, fate conoscere tra le genti le sue opere.]

Evangelium

Sequéntia   sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt XXII: 1-14


“In illo témpore: Loquebátur Jesus princípibus sacerdótum et pharisaeis in parábolis, dicens: Símile factum est regnum cœlórum hómini regi, qui fecit núptias fílio suo. Et misit servos suos vocáre invitátos ad nuptias, et nolébant veníre. Iterum misit álios servos, dicens: Dícite invitátis: Ecce, prándium meum parávi, tauri mei et altília occísa sunt, et ómnia paráta: veníte ad núptias. Illi autem neglexérunt: et abiérunt, álius in villam suam, álius vero ad negotiatiónem suam: réliqui vero tenuérunt servos ejus, et contuméliis afféctos occidérunt. Rex autem cum audísset, iratus est: et, missis exercítibus suis, pérdidit homicídas illos et civitátem illórum succéndit. Tunc ait servis suis: Núptiæ quidem parátæ sunt, sed, qui invitáti erant, non fuérunt digni. Ite ergo ad exitus viárum et, quoscúmque invenéritis, vocáte ad núptias. Et egréssi servi ejus in vias, congregavérunt omnes, quos invenérunt, malos et bonos: et implétæ sunt núptiæ discumbéntium. Intrávit autem rex, ut vidéret discumbéntes, et vidit ibi hóminem non vestítum veste nuptiáli. Et ait illi: Amíce, quómodo huc intrásti non habens vestem nuptiálem? At ille obmútuit. Tunc dixit rex minístris: Ligátis mánibus et pédibus ejus, míttite eum in ténebras exterióres: ibi erit fletus et stridor déntium. Multi enim sunt vocáti, pauci vero elécti.”

(“In quel tempo Gesù ricominciò a parlare a’ principi dei Sacerdoti ed ai Farisei per via di parabole dicendo: Il regno dei cieli è simile a un re, il quale fece lo sposalizio del suo figliuolo. E mandò i suoi servi a chiamare gl’invitati alle nozze, e non volevano andare. Mandò di nuovo altri servi, dicendo: Dite agl’invitati: Il mio desinare è già in ordine, si sono ammazzati i buoi e gli animali di serbatoio, e tutto è pronto, venite alle nozze. Ma quelli misero ciò in non cale, e se ne andarono chi alla sua villa, chi al suo negozio: altri poi presero i servi di lui, e trattaronli ignominiosamente, e gli uccisero. Udito ciò il re si sdegnò; e mandate le sue milizie, sterminò quegli omicidi e diede alle fiamme le loro città. Allora disse a’ suoi servi: Le nozze erano all’ordine, ma quelli che erano stati invitati, non furono degni. Andate dunque ai capi delle strade e quanti riscontrerete chiamate tutti alle nozze. E andati i servitori di lui per le strade, radunarono quanti trovarono, e buoni e cattivi; e il banchetto fu pieno di convitati. Ma entrato il re per vedere i convitati, vi osservò un uomo che non era in abito da nozze. E dissegli: Amico, come sei tu entrato qua, non avendo la veste nuziale? Ma quegli ammutolì. Allora il re disse ai suoi ministri: Legatelo per le mani e pei piedi, e gettatelo nelle tenebre esteriori: ivi sarà pianto e stridor di denti. Imperocché molti sono i chiamati e pochi gli eletti”)

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

1.

IL NOSTRO BATTESIMO

Il regno dei cieli — dice la parabola — è simile alla festa che un re ordinò per le nozze del figlio. Mandò i servi a chiamare gl’invitati, e questi non vollero venire. Mandò, quando tutto fu pronto, un’altra volta altri servi. Degli invitati alcuni fecero gl’indifferenti e se ne andarono in campagna o al mercato; altri fecero gli offesi per quell’insistenza e assaltarono i servi oltraggiandoli o uccidendoli. Il re adirato comandò lo sterminio degli omicidi e l’incendio della loro città, ma non rinunciò alle nozze. Altri invitati, raccolti da tutte le strade, buoni e cattivi, riempirono la sala del banchetto. Uno però sedeva senza la veste nuziale. « Amico, che fai in quest’arnese? » domandò il re. L’altro non ebbe parola. « Legatelo mani e piedi, gettatelo fuori: che pianga nel buio e digrigni i denti ». Il senso di questa parabola è la chiamata degli uomini alla fede, alla vita soprannaturale simboleggiata nelle nozze del figlio del re. Negli invitati che rifiutarono e uccisero i servi, bisogna vedere i Giudei ostinati che malmenarono i profeti e misero in croce Gesù, onde furono poi essi dispersi e la loro città messa a ferro e a fuoco dai Romani. Negli altri invitati che subentrarono al posto dei primi, bisogna vedere i popoli che da ogni parte del mondo vennero alla fede cristiana. Due motivi nella parabola ci fanno pensare al nostro Battesimo. Il Battesimo, infatti, è la porta per la quale entrammo nella sala del re cioè la Chiesa Cattolica, fummo ammessi a partecipare alle nozze del figlio di Dio, a vivere della sua stessa vita divina. Inoltre, nel Battesimo ricevemmo anche noi quella bianca veste nuziale, senza la quale se fossimo scoperti dal gran Re quando verrà nel momento della morte, saremmo anche noi gettati nelle tenebre e nel fuoco eterno. Approfittiamo dunque per ricordare il nostro Battesimo, il grande Sacramento che ci fece e ci vuole uomini di carattere cristiano. Santa Gertrude dà questo prezioso consiglio: « Perché tu possa, al termine della tua vita, presentare immacolata al Signore la veste della tua innocenza battesimale e inviolato il sigillo della fede cristiana, procura in tempi determinati di celebrare la memoria del Battesimo » (Esercizi di S. Geltrude, Praglia, 1932, pag. 2). Da parte sua la santa, a Pasqua e a Pentecoste, ripensava ad una ad una le cerimonie battesimali, accompagnandole con appropriate e fervide preghiere. Ripensiamo anche noi a qualcuna di quelle cerimonie, così comprenderemo meglio ciò che siamo e ciò che dobbiamo fare. Così non avverrà più che qualcuno ritardi, senza serio motivo, anche di un sol giorno il Battesimo dei suoi bambini. – 1. LA CACCIATA DEL DEMONIO.  Ogni uomo che nasce appartiene a una stirpe decaduta. Discende da un progenitore, Adamo; che si lasciò sedurre e travolgere da satana, il quale esercita da allora su tutta l’umanità una signoria nefasta. Bisogna liberare l’uomo dalla schiavitù demoniaca, e dai perversi influssi che promanano dalla presenza del Maligno. Ed ecco alla porta della chiesa il sacerdote che ferma il candidato al Battesimo ed esige da lui una triplice rinunzia. Rinunzi tu a satana? Rinunzio. Rinunzi alle sue opere? Rinunzio. Rinunzi alle sue pompe? Rinunzio. Allora il Sacerdote, soffiando lievemente sulla bocca del battezzando, dirà rivolgendosi al demonio: « Esci, spirito immondo e lascia il posto allo Spirito Santo ». E poi ancora chiederà a Dio di rompere ogni sua insidia. « Io ti esorcizzo, spirito immondo, nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo, perché tu esca e ti allontani da questo servo di Dio; te lo comanda, o maledetto, colui che camminò sulle acque del mare, che sostenne con la sua mano Pietro mentre stava per affondare. Riconosci, maledetto, la tua condanna… allontanati da questo servo di Dio, poiché Lui stesso s’è degnato chiamarlo alla sua santa grazia; e non osar mai, diavolo maledetto, di violare questo segno di croce che tracciamo sulla sua fronte ». Così, o Cristiani, il nemico fu scacciato dalle anime nostre. Così noi abbiamo giurato di rinunciare a satana. Ricordate che venne scritta sul libro eterno della vita quella nostra irrevocabile rinuncia. Bisogna mantenere i nostri giuramenti: mantenerli non appena con le parole, mai coi fatti; non appena con le labbra, ma con le opere. « Sappiate — dice S. Agostino — che avete mosso guerra ad un nemico esperto e scaltro. Non possa più avere nessun diritto, per trascinarvi di nuovo alla sua schiavitù. O Cristiano, tu ti scopri e tradisci quando pratichi diversamente da quello che dici di credere: vai in Chiesa a pregare, e poi corri ai divertimenti proibiti. Perché ti confondi con le pompe del diavolo a cui rinunziasti? » (Lezione del II Nott. della Vigilia di Pentec.). – 2. L’ACQUA BATTESIMALE. Scacciato dalla casa colui che indegnamente la occupava, è necessario ripulirla e ornarla e adattarla come dimora del nuovo Ospite divino. Perciò il Sacerdote traccia la croce sulla fronte e sul petto del battezzando; gli mette tra le labbra un po di sale benedetto simbolo della sapienza evangelica di cui la sua anima dovrà nutrirsi; gli tocca con le dita bagnate di saliva le orecchie e le narici, perché siano aperte all’armonia e al profumo della grazia di Cristo; infine l’unge, tracciando la croce, sul petto e tra le spalle. Ed eccoci al Battesimo. Nel momento in cui il Sacerdote versa l’acqua lustrale, (oppure, secondo il rito ambrosiano, immerge) avvengono tre operazioni: a) La scomparsa del peccato originale e la conformazione dell’anima a immagine del Cristo. Naaman, capo dell’esercito del re di Siria, aveva contratto la lebbra che gli aveva sconciato il volto orrendamente. Il profeta Eliseo lo fece immergere sette volte nell’onda del Giordano e ne uscì senza più una piaga e col viso rifatto nuovo, fresco e splendido (IV Re, V). Ebbene, Dio aveva creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. Il peccato originale lo sfigurò come una turpe malattia, ma il Battesimo lo risana dal peccato e gli ridona la primitiva bellezza, e la conformità a Cristo. L’acqua battesimale è vero simbolo del sangue divino del Redentore alla cui virtù non può resistere nessuna macchia e da cui si esce divinamente rinnovellati. b) L’adozione a figlio di Dio. Quando, sulle rive del Giordano, il Battista versò l’acqua sul capo del Salvatore, i cieli si aprirono, lo Spirito Santo discese in figura di bianca colomba, e s’udì la voce del Padre celeste dire: « Questi è il mio Figlio diletto in cui Io mi sono compiaciuto ». Qualcosa di simile avviene nel nostro Battesimo. Configurati a Cristo, incorporati in Lui, partecipiamo alla sua stessa vita. Perciò anche su noi s’aprono i cieli, anche su noi discende lo Spirito Santo, anche a noi il Padre dice: « Questi è il mio figlio diletto ». C’è però una profonda differenza: Gesù Cristo è Figlio consustanziale del Padre, il battezzato non è che un figlio adottivo di Dio, partecipe della natura divina. « Sicché tu non sei più servo, ma figlio, e, se figlio, anche erede per opera di Dio » (Gal., IV, 7). c) L’inabitazione della SS. Trinità è la terza meraviglia operata dal Battesimo. Nel momento in cui il Sacerdote versando l’acqua pronunzia il Nome delle tre Persone Divine, esse entrano, nell’anima del battezzato e la santificano. L’anima d’un Cristiano è un piccolo cielo; più sacra del tabernacolo di marmo degli altari. Così si compie il desiderio del cuore di Dio, che non avendo bisogno di nulla, che bastando sovrabbondantemente alla propria inesauribile felicità, trova le sue delizie nell’abitare tra i figli degli uomini. I primi Cristiani conoscevano bene questa verità dell’inabitazione divina in noi. S. Paolo scriveva ai Corinti: « Non sapete che le vostre membra sono tempio dello Spirito Santo?… portate Dio nei vostri cuori… Chi profanerà questo tempio sarà dannato da Dio, perché il tempio è santo, il tempio siete voi » (I Cor., VI, 20; III, 6-17). –  3. LA VESTE BIANCA E LA FIACCOLA ACCESA. Prima di terminare il rito, il Sacerdote consegna al battezzato la veste bianca e la fiaccola accesa. Consegnando la bianca veste dice: « Ricevi la veste candida, serbala immacolata, perché tu possa presentarti puro al tribunale di Dio e ricevere la vita eterna ». Il commento più bello a questo simbolico gesto sono le parole dell’Apostolo: « Ricordatevi che avete deposto il vecchio uomo con tutti i suoi vizi; ricordatevi che vi siete rivestiti del nuovo, che continuamente si rinnova ad immagine di colui che l’ha creato. Rivestitevi di misericordia, di bontà, d’umiltà, di pazienza e dolcezza, sopportandovi e perdonandovi a vicenda » (Coloss., III, 9-14). E Dobbiamo dunque, con ogni sacrificio e premura, badare di non perdere la nostra veste e di non insudiciarla tanto da renderla irriconoscibile, perché quando meno ce l’aspettiamo il Re divino può passarci accanto per il controllo e rimproverarci: « Amico, come sei entrato qui, senza la veste nuziale? ». Eppure in questo mondo, che è fatto di tenebre e di tranelli, è troppo facile incespicare e cadere. Ma la Chiesa mette maternamente una fiaccola accesa tra le mani del battezzato, che gli illumini il cammino. Essa è simbolo della fede nella dottrina del Signore e nei suoi comandamenti. « Ricevi questa fiaccola ardente. Sii irreprensibile nel conservare la grazia del tuo Battesimo, osserva i comandamenti di Dio, sicché quando il Signore verrà per le sue nozze tu possa andargli incontro con tutti i santi nella sala del convito celeste, possedere la vita eterna e vivere nei secoli dei secoli ». – Ringraziamo dunque Dio Padre per il suo Figlio nello Spirito Santo. Viviamo il nostro Battesimo! che non isterilisca in noi come un seme gettato tra le pietre dei nostri peccati. Deponiamo il vecchio uomo fatto di concupiscenza e d’orgoglio; sviluppiamo la vita divina che è in noi con la preghiera, coi Sacramenti, con le opere buone. Ciascuno si ricordi di quale Capo, di quale Corpo è stato fatto membro. ..– L’UOMO DALLA VESTE SORDIDA. Il senso di questa parabola non è oscuro: la prima metà tocca i Giudei che invitati per i primi al regno spirituale del Messia, oltraggiarono, ferirono, uccisero i profeti; il Figlio di Dio fu suppliziato sul Calvario, Giovanni Battista fu decapitato, Stefano fu lapidato, Giacomo fu gettato giù dal tempio. Allora Iddio sdegnato distrusse Gerusalemme; nell’anno 70, le milizie romane sotto la guida di Tito furono lo strumento della vendetta divina: Tito stesso dovette confessare che la distruzione della città fu opera di Dio. Cento undici mila furono schiavi, e delle case non restò pietra su pietra. Ed eccoci alla seconda parte della parabola, e questa tocca noi. Avendo il popolo Giudeo rifiutato di partecipare al banchetto mistico della Chiesa, tutte le genti del mondo furono invitate al loro posto. Ed anche noi lo fummo, e siamo entrati col S. Battesimo: ma la fede, ma il Battesimo non bastano a salvarci, è necessario rivestirci di una veste nuziale fatta di opere buone e di mondezza d’anima. Dite un po’: se quest’oggi il Re del Cielo passasse accanto all’anima nostra non la troverebbe, forse, come l’uomo dalla veste sordida? Non dovrebbe anche per noi ripetere la condanna tremenda: « Prendetelo, legatelo, gettatelo fuori nel buio, nel pianto, nel brividore? ». Nessuno sia fatto come l’uomo dalla veste sordida! Prima che il Re ci sorprenda, esaminiamo l’anima nostra, e, se è necessario, deposto l’abito indecente, adorniamola con il velo nuziale. – 1. DEPONETE LA VESTE SORDIDA. I figli di Giacobbe avevano peccato molto: avevano con frode devastata la città di Salem: avevano commesso omicidio, furto di oro e di armenti; avevano inclinato il cuore verso gli idoli. Il vecchio patriarca non faceva che gemere: — Voi m’avete addolorato, m’avete reso odioso al cielo e alla terra: perirò io e tutta la mia casa. — Ma poi volendo salvare i suoi figli dall’ira di Dio, convocò la famiglia e disse: « Cambiate le vesti, mondatevi! gettate via gli dèi stranieri! ». Lo ubbidirono e gli consegnarono tutti gli idoli, e gli oggetti d’oro che Giacobbe sotterrò ai piedi del terebinto che è al di là della città di Salem. Così Dio tornò a benedire il patriarca e la sua discendenza (Gen., XXXV). La santa Chiesa, tenerissima madre, facendoci meditare la parabola dell’uomo dalla veste sordida, non intende forse imitare con noi quello che Giacobbe fece con i suoi figliuoli? Noi pure abbiamo molto peccato e forse in questo momento l’anima nostra porta un abito di ignominia: ascoltiamo dunque la supplichevole voce della Chiesa: « Cambiate le vesti, mondatevi! gettate via gli dei stranieri! ». Deponete la veste sordida dell’ingratitudine, che ci ha reso ribelli ai nostri superiori, che ci ha reso cattivi coi nostri genitori. Deponete la veste sordida degli odi che amareggiano a noi e agli altri la vita: la vendetta è aspra e solo il perdono è soave; soltanto coll’amore del prossimo potremo avviarci. all’amore di Dio; soltanto concedendo perdono, otterremo perdono. Deponete la veste diabolica, intessuta con le bestemmie, con giuramenti sacrileghi, con ingiurie, con le calunnie, con le mormorazioni, con le bugie, con le parole oscene: « se uno crede di essere religioso e non tiene a freno la lingua, e anzi seduce il suo cuore, la sua religione è vana » (Giac., I, 26). Deponete la veste sordida della sensualità: quelle amicizie pericolose, quelle letture avvelenate, quegli spettacoli immodesti, quegli sguardi incustoditi, quegli affetti illeciti, quei pensieri impuri, tutta l’anima vostra hanno ricoperto di immondezze. Oh se il gran Re vi sorprendesse nel giorno della morte così, avrebbe schifo di voi. Deponete la veste sordida delle ingiustizie: ogni cosa sia del suo padrone: ogni lavoro abbia la giusta ricompensa; ogni commercio sia senza frode. Sono questi i cattivi abiti di cui dovete spogliarvi, sono questi gli dei stranieri a cui già troppo avete servito. Mondatevene, poiché ancora siete a tempo. Seppelliteli sotto il terebinto del confessionale: Dio ritornerà a benedirvi. – 2. RIVESTITE LA VESTE NITIDA. Non basta entrare nella sala del banchetto nuziale, bisogna anche indossare una veste bella. Non basta purgare il campo dalle spine e dalla gramigna, bisogna anche fenderlo con l’aratro e con la vanga e seminarlo. Non basta dire « Signore, Signore! », ma bisogna anche fare la volontà di Dio. Non basta la fede, ci vogliono anche le buone opere. Le buone opere sono dunque la veste nuziale. È una sera d’inverno. Nevica. Un fratello e una sorella orfani, ignudi, affamati battono alla porta di un palazzo. Dalle finestre escono fasci di luce che investono la nebbia e la tramutano in polvere d’oro; viene anche il profumo di squisite pietanze fumanti sul bianco della tovaglia. Come si sta bene là dentro, nella luce, nel caldo, nell’abbondanza, nell’amore, ed essi sono nella notte e nel freddo e nella miseria, soli. Bussano: ed ecco appare un signore avvolto in pelliccia. « Oh poverini! — esclama scorgendo le due creature palpitanti d’angoscia. — Voi avete bisogno di ricoprirvi, di riscaldarvi, di nutrirvi e state qui a morire di inedia; andatevene via in fretta, correte a ripararvi e a rifocillarvi ». Poi ravvolgendosi il collo nelle morbide pelli sparisce, senza dar nulla ai due infelici. « Ebbene così è la fede senza le opere, come se a un fratello e a una sorella ignudi e bisognosi del vitto quotidiano uno di voi dicesse: — Andate in pace, riscaldatevi e satollatevi — senza dar loro le cose necessarie al corpo » (Giac., II, 14-17). Vano è quindi essere diventati Cristiani, se poi di cristiano non avete la vita. Vano è l’essere entrati al mistico banchetto della Chiesa, se poi non vi rivestite con l’abito della grazia e delle opere buone. Deposta quindi la veste sordida, rivestite — come han fatto San Paolo e Davide — la veste nitida. S. Pietro, nella notte della passione, tre volte aveva rinnegato il Signore per rispetto umano e per timore dei patimenti; ma poi pianse il suo peccato e, dopo la Resurrezione, per due volte affermò il suo amore a Gesù. Ma alla terza volta l’Apostolo si conturbò, e nel suo animo riecheggiò, lungo e straziante, un canto di gallo, e singhiozzante rispose: « Signore, tu vedi in me, tu lo sai se io ti amo »; una trentina d’anni dopo, quando i Romani lo crocifissero con la testa in giù, dimostrò quanta forza di sincerità racchiudevano le sue parole. Anche noi, Cristiani, abbiamo rinnegato il Signore: forse tre volte abbiamo perduto la S. Messa in domenica per rispetto umano, per divertimento; ebbene ora dobbiamo affermare il nostro amore con ascoltarne tre nei giorni feriali. Forse abbiamo rinnegato il Signore con molte bestemmie; ebbene. ora dobbiamo affermargli il nostro amore con molte giaculatorie. Forse abbiamo rinnegato il Signore tralasciando per pigrizia il Rosario e le preghiere; ebbene ora affermiamogli l’amore nostro aggiungendo qualche orazione di più. Ricordate anche Davide: egli aveva gravemente peccato abusando della donna di Uria. Ma poi, quando un giorno di guerra e di calura bruciava di sete, egli prese l’acqua della cisterna Betlemitica che i suoi soldati con tanto eroismo gli recavano nell’elmo, e la rovesciò per terra senza gustarne. Una volta si era preso un piacere illecito, ed ora si puniva privandosi di un altro lecito. I nostri occhi pure, o Cristiani, si sono talvolta presi dei piaceri illeciti, ed ora siano privati anche di qualcuno lecito e siano custoditi con santa modestia. Il nostro corpo, o Cristiani, molti piaceri illeciti si è preso; ed ora è giusto che noi l’abbiamo a mortificare negandogli qualche piacere innocente: nel cibo, nel sonno, nelle vesti. – Frate Francesco predicava nel convento di S. Severino, e molta gente andava per ascoltarlo; diceva egli della sventura dell’anima peccatrice e dello splendore dell’anima buona. Vi andò anche il trovatore Guglielmo Divini, tanto famoso a quei tempi, che si era meritato una corona d’alloro in Campidoglio ed il bel titolo di « re dei versi ». Le parole semplici del Poverello d’Assisi trafissero il suo cuore bramoso di vera gloria. Finita la predica, Guglielmo Divini andò a gettarsi ai piedi di S. Francesco, gridandogli: « Frate! conducimi lontano dagli uomini e consacrami a Dio. Toglimi questa veste del mondo, e ricoprimi con quella del paradiso ». Il giorno seguente, S. Francesco lo vestì dell’abito grigio dei frati, gli cinse i fianchi di una corda, e gli mise il nome di Pacifico, perché aveva egli trovata la pace di Dio. Anche voi, Cristiani, oggi avete sentito una predica che somiglia a quella di S. Francesco: avete compreso come è sordida la veste dell’anima se essa è in peccato, e come è nitida se è in grazia e compie opere buone. Cercate dunque presto un Sacerdote di Dio, e confessandovi dite anche voi: « Toglimi questa veste del mondo, e ricoprimi con quella del paradiso. » È certo che troverete allora anche voi la pace di Dio. — LA GRAZIA. Dunque: per entrare nel Regno de’ cieli, all’eterno banchetto di nozze con Cristo, non è necessario essere nobili; e neppure essere sapienti; e nemmeno essere ricchi; e neanche essere sani e belli di corpo. Una cosa sola è necessaria: indossare la veste nuziale. Quale profondo mistero Gesù ha svelato sotto questo simbolo? Il mistero della grazia. Si sa che la grazia si riceve nel S. Battesimo; si sa che s’accresce con le opere buone e specialmente coi Sacramenti; è risaputo anche che al primo peccato mortale si perde, e di solito non si può riaverla se non per mezzo d’una buona Confessione. Ma pochi sono quelli che hanno compreso e che vivono il mistero della grazia. Alcuni credono che essere in grazia, significhi soltanto essere senza peccati mortali; è troppo poco questa; essa importa molto di più. Che cos’è allora la grazia? È difficile dirlo, tanto è cosa meravigliosa e divina; però dagli effetti che essa produce nelle anime, possiamo formarcene un’idea. È difficile dire che cosa sia la forza che noi chiamiamo elettricità: ma quando noi osserviamo la differenza che v’è tra un filo con la corrente ed uno senza, quando vediamo il treno divorare le distanze rumorosamente, quando sentiamo il rullare sordo di gigantesche motrici, quando in un attimo vediamo illuminarsi una città che prima era nelle tenebre, un grido di meraviglia ci sfugge dal labbro: « Ma questa è la più bella forza del mondo! ». Così quando consideriamo l’infinita distanza che v’è tra un un’anima con la grazia ed una senza, quando pensiamo che la grazia ci mette Dio in cuore, ci rende figli di Dio, ci fa degni della vita eterna, allora è un grido d’amore che erompe dal nostro cuore: « Ma questo è il più bel dono di Dio! ». – 1. CI METTE DIO IN CUORE. In diversi modi Dio è presente nel mondo. « Dov’è Dio?» domanda il Catechismo, e risponde: « Dio è in ogni luogo. Egli è l’immenso ». Ma questa presenza universale di Dio in tutti gli esseri, nei minerali e nei vegetali, nelle cose e negli uomini, nei buoni e nei cattivi, finisce per impressionare un piccolo numero soltanto di anime. Per la maggior parte essere da per tutto, equivale a non essere in nessun posto. Dio, inoltre, è presente in Cielo. Ma in Cielo ci si arriva soltanto dopo la morte: e siccome alla morte gli uomini non ci vogliono mai pensare, così non pensano neppure alla presenza di Dio nel Cielo. Dio è presente, ancora sui nostri altari nell’Eucaristia: questa presenza, benché anch’essa molto misteriosa, è assai più sensibile. Noi possiamo sempre dire: — « Dietro a quelle apparenze di pane, vi è realmente Iddio ». Ma la presenza eucaristica, nella Comunione, dura poco; né possiamo restare in chiesa tutto il giorno e far della nostra vita una perpetua visita al Santissimo Sacramento. Ma v’ha un’altra meravigliosa presenza di Dio tra gli uomini: quella per mezzo della grazia. « Se qualcuno mi ama, — ha detto Gesù — mio Padre ed Io l’ameremo: e verremo a lui, e resteremo in lui come in casa nostra ». Dunque, quelli che amano Gesù, ossia che non fanno peccati e si mantengono in grazia, hanno Dio nel loro cuore. Quando S. Ignazio martire fu trascinato davanti a Traiano, non potendo il tiranno indurlo all’apostasia, gli gridò: — Tu sei un miserabile! — E il Martire calmo e solenne gli rispose: « Nessuno osi chiamare, miserabile Ignazio, perché egli porta Cristo ». — Come puoi dire di portar Cristo? « Posso dirlo, perché è verità: io porto Dio in me ». Dio in noi! ecco che cosa è la grazia. E se Dio è con noi, che cosa ci potrà spaventare? Quando verranno le tribolazioni ad angustiarci, non rattristiamoci, che abbiamo con noi il Dio della letizia. Quando il demonio con le seduzioni cercherà di lusingarci al peccato, resistiamogli che abbiamo con noi il Dio della fortezza. E quand’anche in casa nostra ci fosse e la miseria, e la fame, e la nudità, e la malattia, Dio è con noi, non temiamo. Una cosa sola ci deve far paura: il peccato. Perché il peccato ci toglie la grazia, e, con la grazia, Dio. – 2. CI RENDE FIGLI DI DIO. S. Luigi, re di Francia, quando firmava qualche decreto, accanto al suo nome, poneva anche il nome della città in cui era stato battezzato. Gli osservarono: « Perché vi ostinate a chiamarvi Luigi di Poissy, quando ben altri titoli più gloriosi che non quello d’un’oscura città potrebbero far corona al vostro nome? ». — E non sapete, — rispose il Re, — che a Poissy nel santo Battesimo la grazia mi ha fatto figlio di Dio? E v’è forse sulla terra una nobiltà maggiore di quella d’essere figlio di Dio? Quando S. Giovanna d’Arco guidava il gregge sui pascoli paterni e non s’era ancora decisa di lasciare i suoi monti e le sue pecore e di correre, lei fanciulla ignorante e debole, in capo agli eserciti e salvare la Francia, udiva spesso delle voci misteriose gridarle: — Va, Figlia di Dio, va! — Come quella pastorella poteva essere detta figlia di Dio? Sì, qualunque anima in grazia è figlia di Dio. Perché il digiuno di Gesù? Perché i suoi sudori? Perché i suoi flagelli? Perché le sue spine? Perché la sua croce? Perché la sua morte? In una parola, perché da figlio di Dio s’è fatto Figliuolo dell’uomo?… Perché noi che siamo figli dell’uomo avessimo a diventare figliuoli di Dio!… dedit eis potestatem filios Dei fieri (Giov., I, 12). Ecco perché Gesù, compita la redenzione, salendo al Cielo disse alla Maddalena: « Ascendo al Padre mio e Padre vostro ». Considerate, adunque, le meraviglie della grazia: Dio diventa nostro Padre e noi suoi figli! Ma pensate anche l’orrore del peccato mortale: noi cessiamo di essere figli di luce e diventiamo figli d’oscurità, non è più Dio il nostro padre, ma il demonio. Vos ex patre diabolo estis (Giov., VIII, 44). – 3. CI FA DEGNI DELLA VITA ETERNA. Come alle nozze della parabola nessuno poteva entrare senza la candida veste, così in paradiso nessuno può ascendere che non sia rivestito di splendore. La grazia è appunto questo splendore che fa bella l’anima e la rende degna del Cielo e della compagnia degli Angeli e dei Santi. Quando a Montpellier, in un’oscura prigione sotto il letto d’un fiume, morì S. Rocco, nessuno se ne accorse. L’avevano rinchiuso là sotto credendolo una spia, ed invece era il nipote del governatore della città, che tornava dopo aver pellegrinato per tutta la vita. Ma appena la sua anima uscì dal corpo, una gran luce uscì dal carcere per ogni fessura, tanto che un grande incendio vi pareva sepolto. Che cos’era quella luce se non lo splendore della sua anima ornata di grazia? Quando a Lisieux, nella clausura delle carmelitane, morì S. Teresa del Bambino Gesù, tutte le suore sentirono per le scale, per le celle del convento, un finissimo olezzo di violette, tanto che sembrava ritornata la primavera. Che cos’era quell’olezzo se non il profumo della sua anima ornata di grazia? La grazia è splendore, è profumo dell’anima. S. Caterina da Siena vide un giorno, per favore divino un’anima priva di peccato e divinizzata dalla grazia. Era tanta la bellezza di quella visione e la dolcezza che ne ridondava in lei ammirante, che sarebbe venuta meno se Dio non l’avesse sostenuta. E Nostro Signore, indicandole quel divino splendore, le soggiungeva: « Non ti sembra graziosa e bella quest’anima? Chi dunque non accetterebbe qualunque pena per guadagnare una creatura così meravigliosa? ». E chi di noi, ora che abbiam compreso che cos’è la grazia, non preferirebbe qualsiasi sofferenza, pur di non perdere tanto splendore con un peccato mortale? S’io sapessi tutti i libri degli scienziati a che mi gioverebbe senza la grazia? Senza la grazia a che mi gioverebbero gli onori di questo mondo, le ricchezze, la beltà? Tutto finisce con la morte: unica cosa che vale ancora più in là è la grazia. Solo per la grazia ci verrà aperta la porta del paradiso e più grazia avremo e più gloria ci sarà data. Per ciò nell’Imitazione di Cristo c’è questa preghiera: « O Signore, dammi la grazia e mi basta: di tutto il resto non m’importa!  (L., III, 4). Noi invece il nostro cuore l’attacchiamo a tutto il resto, danaro, piaceri, onori, e della grazia non c’importa. Non sappiamo quasi nemmeno che ci sia: per noi Gesù è morto inutilmente. Siam come quell’uomo del Vangelo che aveva nel suo campo un tesoro ingente sepolto e non lo sapeva. — Durante la persecuzione dei Vandali, Elpidoro apostatò. Era stato battezzato da poco tempo, con gioia aveva portato per otto giorni la candida veste simbolo della grazia, ma davanti alle lusinghe e alle minacce dei cattivi, aveva ceduto e aveva rinunciato alla sua fede. Allora il vecchio diacono che l’aveva battezzato, prese con sé la veste con cui aveva rivestito l’altro nel giorno della sua ammissione alla Chiesa e gli andò incontro. Davanti a lui spiegò la veste e l’agitò come un vessillo bianco: « Prendita, Elpidoro, e guarda! Riconosci quest’abito. Oggi tu l’hai profanato, tu l’hai lacerato, tu l’hai insozzato. Esso ti accuserà nel giorno del giudizio. Pensa bene a quello che fai ». Anche a noi, quando fummo battezzati, il Sacerdote ci pose indosso la candida veste, simbolo della grazia. Ma se quest’oggi, tra voi, ci fosse qualcuno che ha ceduto alle lusinghe del demonio e si trova in peccato, anch’io come quel vecchio diacono agito, davanti a lui, la sua veste battesimale come un vessillo bianco; e gli grido: « Prendila, e guardala. Col tuo peccato tu l’hai insozzata, tu l’hai stracciata, Tu hai perso la grazia. Quest’abito ti accuserà nel giorno del giudizio, quando il Re del Cielo vedendoti senza la veste nuziale, dirà anche a te: « Amico; con che coraggio ti presenti così? ». Non aspettate, o Cristiani, quel giorno d’ira. Ma tutti mettetevi in grazia con una santa Confessione, perché Dio non getti voi pure dalla porta del paradiso, legati e mani e piedi, a stridere i denti nel gelo e nel fuoco della notte eterna.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXXXVII: 7
Si ambulávero in médio tribulatiónis, vivificábis me, Dómine: et super iram inimicórum meórum exténdes manum tuam, et salvum me fáciet déxtera tua.

[Se cammino in mezzo alla tribolazione, Tu mi dai la vita, o Signore: contro l’ira dei miei nemici stendi la tua mano, e la tua destra mi salverà.]

Secreta

Hæc múnera, quǽsumus, Dómine, quæ óculis tuæ majestátis offérimus, salutária nobis esse concéde.

[Concedi, o Signore, Te ne preghiamo, che questi doni, da noi offerti in onore della tua maestà, ci siano salutari.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

 Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CXVIII: 4-5
Tu mandásti mandáta tua custodíri nimis: útinam dirigántur viæ meæ, ad custodiéndas justificatiónes tuas.

[Tu hai ordinato che i tuoi comandamenti siano osservati con grande diligenza: fai che i miei passi siano diretti all’osservanza dei tuoi precetti.]

Postcommunio

Orémus.
Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et tuis semper fáciat inhærére mandátis.

[O Signore, l’opera medicinale del tuo sacramento ci liberi benignamente dalle nostre perversità, e ci faccia vivere sempre sinceramente fedeli ai tuoi precetti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.