LA GRAZIA E LA GLORIA (5)
Del R. P. J-B TERRIEN S.J.
I.
Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901
Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.
TOMO PRIMO
LIBRO PRIMO
IL FATTO E LA REALTÀ DELL’ADOZIONE DIVINA
CAPITOLO IV
I figli adottivi di Dio sono dei essi stessi per grazia e partecipazione.
1. È vero, dunque, che chiunque abbia conservato la grazia del suo Battesimo, o che la recuperi dopo averla persa, possa vantarsi di essere veramente un figlio adottivo di Dio, nato da Dio per una generazione spirituale, e trasfigurato nel suo essere ad immagine del Figlio unigenito, di cui è fatto coerede. Ma un figlio adottivo ha il diritto di portare il nome del padre che lo adotta. Dio, che è diventato nostro Padre, ci ha dato pure il suo Nome? Chi oserebbe dire o pensare questo? Non è forse il crimine e l’assurdità del politeismo l’aver comunicato alle creature un nome che è incomunicabile? – Eppure, se do ascolto alla voce dello Spirito Santo lo sento dire ai giusti: « Io, io l’ho detto: voi siete dei e figli dell’Altissimo » (Sal. LXXXI, 6). E nostro Signore, lungi dal contraddire queste parole del salmo, le conferma « Nonne scriptum est in lege vestra, Quia, ego dixi: Dii estis?» (Joan: X, 34-35). Si dirà che queste parole non debbano essere prese alla lettera, che debbano essere spiegate, e che anniano un significato molto diverso da quello che si affaccia alla nostra mente quando le leggiamo nei Salmi e nel Vangelo. No, non è così. Io porto come garanzia la testimonianza autorizzata dei Santi Dottori e Padri. S. Agostino, nel suo commento al Salmo XLIX, arrivando a queste parole: “il Dio degli dei ha parlato“, le confronta con quelle del Salmo LXXXI, che abbiamo citato prima. (È evidente – dice – che egli chiama gli uomini dèi; ma dèi deificati dalla sua grazia, e non dèi prodotti dalla sua sostanza. Chi si giustifica da sé e non per mezzo di un altro, è giusto; e chi è deificato da se stesso e non da un altro è Dio. Ed è lo stesso che giustifica e deifica, perché giustificare è rendere figli di Dio. Per questo stesso fatto che siamo stati costituiti figli di Dio, siamo stati fatti dèi: dèi, dico, adottati per grazia e non generati per natura » (S. August. in psalm. XLIX). Lo stesso pensiero si trova in un’opera spesso attribuita a Sant’Anselmo, anche se fu scritta da uno dei suoi discepoli: « Dio ci rende dei, poiché Egli stesso ha detto: voi siete dei e siete tutti figli dell’Altissimo, così che Egli è il Dio divinizzante e voi siete dei divinizzati » (Eadmer, L. De similitudinibus, c. 66; Opp.). Torniamo a Sant’Agostino per citare una pagina curiosa che ci rivela sia il suo genio originale che la bonomia arguta e piccante che usava con il suo pubblico di artigiani e pescatori. Il Santo, parlando contro la menzogna, mette insieme due testi della Scrittura, apparentemente opposti tra loro. Il primo è di San Paolo: « Perciò, mettendo da parte ogni falsità, ognuno dica la verità in ogni cosa » (Efes. IV, 25). Ecco il secondo: « Ogni uomo è un bugiardo » (Sal. CXI, 11.). – « Cos’è questo che dice; dunque Dio attraverso il suo Apostolo ci comanda l’impossibile? Oso dirvelo; e non prendetelo come un insulto, poiché lo dico a me stesso: Dio ci comanda di non essere più uomini… Dico di più alla vostra carità; l’Apostolo fa un crimine per gli uomini l’essere uomini. Noi, quando siamo arrabbiati con qualcuno, diciamo: Oh, il bruto (pecus)! Allora Paolo, alzando la frusta del Maestro contro di loro, li rimprovera di essere ancora uomini. Cosa voleva che fossero, quelli che accusa di commettere un crimine con l’essere uomini? Ascoltate: “Poiché c’è gelosia e divisione tra voi, non siete voi carnali e non camminate secondo l’uomo? Perché quando uno dice: “Io sono di Paolo”, e un altro: “Io sono di Apollo”, non siete forse uomini? (1 Cor. I, 3-4) » Vedete, li sta rimproverando, dicendo: “Non siete uomini?” Ma, di nuovo, cosa voleva che fossero? Il salmo dice: L’ho detto: voi siete dei e figli dell’Altissimo (Sal. LXXXI, 6-7). Queste sono le parole stesse di Dio. A questa dignità ci invita… « Se volete essere e rimanere uomini, sarete bugiardi. » Quindi non c’è più bisogno di scusarsi e dire: devo mentire, perché sono un uomo. Ti dico con fiducia: non essere uomo e non mentire più! Cosa? Qualcuno dirà: non devo essere un uomo? No, non dovete! – Perché questo è ciò che Colui che si è fatto uomo per voi vi invita a fare e ciò che vi ha destinato a fare. Quindi non siate più alterati. Non vi viene detto di cessare di essere un uomo e diventare un bruto, ma di essere uno di quelli a cui Dio ha dato il potere di essere figli di Dio. Dio vuole farti diventare Dio, non per natura come il suo Unico, ma per grazia e per adozione. Proprio come questo Unico si è abbassato per condiscendenza alla nostra mortalità, così vuole farci salire fino alla partecipazione della sua immortalità. Ringraziatelo, dunque, e ricevete con gratitudine l’incomparabile beneficio che un giorno dovrà essere coronato dalla beatitudine eterna. Cessa di essere figlio di Adamo; rivestiti di Cristo, e non sarai più uomo; e cessando di essere uomo, non sarai più bugiardo » (S. Agost. Serm. 166). Altrove scrive in modo più conciso, ma con la stessa forza: « Dio si è fatto uomo, perché l’uomo fosse fatto Dio. Factus est Deus homo, ut homo fieret deus » (Serm. 128, n. 29 in Append. Opp. S. Agost). A questa grande voce del nostro dottore fanno eco tutti i Padri dell’Occidente fino a San Bernardo; e a Tommaso basta raccogliere il loro pensiero comune per scrivere: « Non è stato per se stesso che il Figlio di Dio si è fatto uomo ed è stato circonciso nella carne; il suo scopo era di renderci dei per grazia e di meritare per noi la circoncisione spirituale » (S. Thom-3 p; q, 3. 97, a, 3 ad 2). E ancora: « L’unigenito Figlio di Dio, misericordiosamente geloso di renderci partecipi della sua divinità, prese la nostra natura, così che Dio fatto uomo, fece l’uomo come dei, ut homines deos faceret factus homo » (S. Thom. Offic. SS. Sacram., lect. 4).
2. – Abbiamo sentito l’Occidente proclamare per bocca dei suoi Dottori questo incredibile diritto dei figli adottivi a prendere il nome del Padre, cioè di Dio. Ci hanno anche detto che il grande mistero dell’Incarnazione è stato elaborato nella pienezza dei tempi per ottenerci questa mirabile grazia, e che si riassume in queste poche parole: Dio si è fatto uomo e l’uomo è diventato Dio. – Per sapere quanto questa convinzione sia sempre stata universale nella Chiesa, dobbiamo ascoltare a nostra volta i Padri e i santi d’Oriente. Anche loro vedono nella nostra deificazione la meta prossima della venuta del Verbo incarnato. Questo è ciò che ci insegna San Massimo. Egli ci insegna: « Questa natura, privata delle luci che aveva ricevuto alla sua prima origine, il Verbo di Dio fatto uomo l’ha nuovamente riempita di conoscenza. Egli ha fatto ancor di più: l’ha deificato, indubbiamente non in virtù di un cambiamento di natura, ma per una qualità soprannaturale, e l’impronta del carattere del suo Spirito… Perché se si è fatto uomo, è stato per renderci dei per grazia » (S. Maxim. Conf. Capp. quinquies centenor. Cent. 2, n. 26. P. G. t. 90, p. 1229; col. cent. 1, n. 63; ibid. p. 1204). – Per San Giovanni Damasceno la deificazione dell’uomo era lo scopo che Dio aveva in mente nel crearlo. « Il fine per cui Dio ci abbia creati, questo fine che corona il mistero della nostra elevazione, è che Egli ha voluto deificarci assimilandoci a sé: deificarci, dico, per la partecipazione della luce divina, e non per una qualche trasmutazione della nostra natura in quella di Dio » (S. J. Damasceno. De fide O. L. II, c. 12 P. G. T. 94, p. 924. Col. Maxim. Capp. Quinquies contenor. N. 41, P. G. t. 90, p. 1193). Notiamo quest’ultimo correttivo, già impiegato da San Massimo: esso è motivato in entrambi dall’eresia di Eutyche dove si delirava in Gesù Cristo la fusione più o meno completa della natura divina e della natura umana. – Gli stessi Padri non potevano contenere gli scoppi della loro gratitudine al pensiero di un tale ineffabile beneficio. « L’uomo – esclama Gregorio di Nissa – l’uomo che per sua natura è cenere, paglia e vanità, Dio, il Padrone di tutte le cose, lo ha elevato dal rango di creatura alla condizione di figlio. Quali ringraziamenti possono eguagliare tale munificenza? Come supera immensamente la sua natura nel diventare Dio da uomo che era! Infatti, diventando figlio di Dio, è grande della grandezza di suo Padre, erede di tutti i beni paterni » (S. Greg. Nyss. de Boatilud, Orat. 7, P. Gr., t. 44, p. 12801). Le grandi eresie del IV secolo in Oriente non hanno contraddetto questa dottrina comune. Il loro crimine non era tanto quello di sminuire l’uomo innalzato dalla grazia, quanto quello di portare quasi al suo livello il Figlio Unigenito o lo Spirito che procede eternamente dal Padre e dal Figlio. Anche i nostri Dottori, forti di questo assenso universale, si poggiarono sulla deificazione dell’uomo rinnovata nel Figlio e dallo Spirito Santo, come un principio indiscutibile, per dimostrare la divinità dell’uno e dell’altro contro coloro che vi si opponevano. – Diamone alcuni esempi, cominciando da San Cirillo di Alessandria. « La creatura – egli scriveva – è uno schiavo e Dio il padrone sovrano. Ma attraverso l’unione che contrae con il suo Signore, questa creatura è liberata dalla sua propria condizione per elevarsi al di sopra di se stessa… Se dunque, essendo schiavi per natura, siamo per grazia figli di Dio e dei, il Verbo di Dio, per mezzo del quale diventiamo dei e figli di Dio, deve essere in tutta verità il Figlio di Dio secondo natura. Infatti, se Egli fosse stato solo un figlio secondo la grazia come noi, non avrebbe potuto comunicarci una grazia simile, perché è impossibile che una creatura dia ad altri ciò che non ha da sé ma da Dio » (S. Cyrill. Alex. in Joan. Stesso ragionamento per stabilire la divinità dello Spirito Santo, Id. Quadrante. VII di Trinit. P. Gr., vol. 75, p. 1089). – È con un argomento simile che San Basilio dimostra che lo Spirito Santo non è solo una sorta di demiurgo, strumento e ministro di Dio per la santificazione delle anime, ma che è della stessa natura del Padre e del Figlio. Prendendo di mira il suo avversario, egli esclama: « Tu sostieni – egli dice – che lo Spirito sia estraneo per natura al Figlio e al Padre. Ma guardate come fa diventare figli di Dio coloro che santifica. Cosa! è per mezzo dello Spirito che si diventa figli di Dio, e lo Spirito sarebbe estraneo al Figlio? È dallo Spirito che sei un dio, e lo Spirito non avrebbe la divinità in sé? » (S. Basilio, adv. Eunom. L. v. Pat. Gr., tt. 29, p. 732). – Sant’Atanasio aveva già colpito gli stessi avversari con lo stesso argomento. « La partecipazione dello Spirito Santo è in noi una partecipazione della natura divina. Sarebbe dunque uno stolto chi dicesse che è di natura creata. Se è sceso sugli uomini, è stato per deificarli. Ora, se Egli deifica, la sua natura è ovviamente la natura stessa di Dio » (S. Athan. ep. ad Serapion. 1, n. 24. Pat. Gr., t. 26, p. 585). – Infine, Gregorio di Nazianzo riassume questa prova in poche parole: « O Trinità – afferma – parlerò audacemente; che mi sia perdonata la mia temerarietà, perché la salvezza dell’anima è in pericolo. Anch’io sono l’immagine di Dio, tutto investito di una gloria superiore, anche se striscio per terra. Non posso credere che la salvezza mi venga portata da uno a me simile. Se lo Spirito Santo non è Dio, che prima si faccia Dio, e poi venga a deificare me, suo pari » (Gregor. Naz. Or. 34, n. 12. P. G., t. 36, p. 252). Che cosa è dunque, o meglio, che cosa dovrebbe essere la creazione per questo teologo per eccellenza: « Dio unito agli dei e familiarmente conosciuto dagli dei » (Greg. Naz. Oppure. 38, n, 7. Pat. Gr. 36, p. 317. Lo stesso Santo, dopo aver descritto la nostra miseria nativa, ricorda con entusiasmo i nostri destini gloriosi in Gesù Cristo: « O Dio, che cos’è l’uomo perché te ne ricordi? Ma qual è il nuovo mistero che si sta operando in me? Sono piccolo e sono grande; umile e sublime; mortale e immortale; della terra e del cielo. Devo essere sepolto con Cristo e risorgere con Lui, io sono coerede di Cristo, figlio di Dio, dio stesso. Orat.7 in Cæsar. fratrem. n. 23).
3. – « Dio sa che nel giorno in cui mangerete di questo frutto sarete come dei » (Gen. III, 5), aveva detto il tentatore alla madre della razza umana, per risvegliare in ella un orgoglio colpevole; e questa menzogna impudente portò la prima coppia alla rivolta e attraverso di essa ad ogni tipo di disgrazia. Il paganesimo, con la sua mania di divinizzare la natura e gli uomini, la falsa speculazione filosofica con i suoi sogni di panteismo, tutta questa lunga notte nella storia dell’umanità, tutto questo, dico, trova la sua spiegazione in questa parola del tentatore e in questa caduta delle sue vittime. Ovunque vedo l’uomo smarrirsi nella ricerca della divinità; ovunque anche la sua vana e criminale ricerca, lungi dall’elevarlo al di sopra di se stesso, lo prostra ai piedi del suo implacabile nemico. – Questo è ciò che voleva l’angelo ribelle, e ciò che, nella solitudine del deserto, cercò di ottenere dal Salvatore stesso. E Dio ha potuto scagliare contro i figli quella derisione con cui accusò il loro padre: « Vedi Adamo, che è diventato come uno di noi » (Gen. III, 22). Ma ora, per un mirabile consiglio della sua provvidenza, Dio ha deciso, secondo la dottrina dei Padri, di usare per salvare l’uomo quella stessa cosa che lo aveva perduto. È Lui che ora ci propone di essere come dei; Lui la cui promessa è infallibile, e il cui potere è efficace nel fare ciò che promette. Diventate miei figli – ci dice – vivete come miei figli e partecipando alla mia divinità, sarete degli dei; non più oggetti della mia derisione, ma delle eterne mie compiacenze. – Spiegheremo in seguito quale sia la partecipazione della natura divina che, depositata nelle profondità della nostra sostanza, dovrebbe procurarci questo altissimo onore. Nel frattempo, addentriamoci ancora di più nell’alto destino fatto per noi, alla scuola dell’Aeropagita, San Dionigi. Questo grande uomo ci insegna che « il voto dell’indivisibile Trinità, questa fonte di vita, questa sostanza di ogni bontà, è la salvezza di ogni creatura intelligente, sia essa uomo o Angelo. Ora, la salvezza si trova solo nella deificazione del salvato, cioè nell’assimilazione e nell’unione a Dio. » (Dionigi. Areop. de Hier. eccl. c. 1, n. 3. Non devo discutere qui la più che dubbia autenticità delle opere pubblicate sotto questo nome. Mi basta sapere che sono state ammirate dai più grandi geni, come Alberto Magno, San Tommaso d’Aquino e molti altri.). – Egli aggiunge inoltre che, « se il primo movimento che Dio ci imprime verso le cose celesti è il suo amore, questo stesso amore avanza nell’esecuzione dei comandamenti divini, nella misura in cui suppone in noi l’ineffabile produzione di un essere divino, cioè una generazione divina. Pertanto, non bisogna che l’esistenza debba precedere l’operazione, poiché ciò che non è e non ha né movimento né realtà, così come ciò che ha l’essere non è attivo e passivo solo in proporzione al suo stato e alla sua natura? (Ibid., c. 2, parte 1). Così tutto si tiene insieme, filiazione, rigenerazione mediante il Battesimo, partecipazione alla natura divina, stato divino, deificazione dell’essere e delle operazioni; e produrre in noi queste meraviglie della grazia è allo stesso tempo il desiderio più ardente della Santa Trinità, e il fine di tutta la gerarchia sulla terra e in cielo.