LA DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (2)

M. M. PHILIPPON

LA DOTTRINA SPIRITUALE DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ (2)

Prefazione del P. Garrigou-Lagrange

SESTA RISTAMPA

Morcelliana ed. Brescia, 1957.

INTRODUZIONE

«Uno sguardo di teologo sopra una anima e una dottrina ».

I Ricordi che contengono la narrazione della vita e numerosi scritti di suor Elisabetta della Trinità, appena pubblicati, si sono diffusi in Francia, pur senza chiassosa propaganda, con una rapidità straordinaria: più di novantamila copie in meno di trent’anni; senza contare una dozzina di traduzioni in lingue straniere. Se ne sta compiendo, ora, anche la versione in cinese. Inoltre, innumerevoli testimonianze di riconoscenza sono giunte al Carmelo di Digione, dopo la lettura dei Ricordi, da tutte le parti del mondo e dagli ambienti più diversi: da semplici Cristiani, da anime religiose e contemplative, soprattutto, da numerosi sacerdoti e seminaristi, da eminenti teologi, da membri notevoli dell’Episcopato.

Nota – Ecco la date più importanti della sua vita:

Nata a Bourges il 18 luglio 1880

Battezzata il 22 luglio 1880. 1903.

Prima Comunione: 19 aprile 1891.

Prime grazie mistiche: ritiro del  gennaio 1899,

Entrata al Carmelo: 2 agosto 1901.

Vestizione: 8 dicembre 1901.

Professione perpetua: Epifania 1903

Entrata nella infermeria: marzo 1906

Sua Eminenza il Cardinale Mercier, nel suo viaggio di ritorno da Roma dopo la canonizzazione di santa Giovanna d’Arco, volle fermarsi in pellegrinaggio al Carmelo di Digione. Quando gli fu mostrato, al capitolo, un ritratto di suor Elisabetta della Trinità, chiese:

— Quanto tempo trascorse al Carmelo?

— Cinque anni, Eminenza — rispose la Madre Priora. E il Cardinale, abbozzando un sorriso: — Si diventa sante in fretta, qui. Entrando poi nella celletta della giovane carmelitana, trasformata in oratorio, lo stesso pensiero tornò sulle sue labbra: — Ha fatto presto, lei, a diventar santa; mentre noi ci trasciniamo. E i Ricordi furono, a più riprese, per l’illustre e santo Prelato, il suo libro preferito. In una riunione sacerdotale, raccomandandolo vivamente, espresse il desiderio che esso si trovasse nella biblioteca di tutti i suoi sacerdoti. A quali cause va attribuita una tale irradiazione? Appartiene alla Chiesa — e ad essa sola — pronunciarsi intorno alla santità dei servi di Dio; e fin d’ora ci inchiniamo filialmente e senza riserva al suo giudizio. Quanto a noi, ci siamo posti in altro punto di vista. Esaminando, nel Carmelo di Digione, la corrispondenza ivi ricevuta dopo la pubblicazione dei Ricordi, e moltiplicando nelle comunità religiose le indagini sulla natura dell’influenza esercitata da suor Elisabetta della Trinità,  si è venuta delineando una conclusione che ci si impone come un’evidenza di fatto: ciò che maggiormente ha colpito negli scritti della santa carmelitana, è il loro carattere dottrinale. Il P. Sauvé aveva ragione e non faceva che esprimere un’impressione generale quando scriveva: « Forse proprio per questo i Ricordi faranno il più gran bene ». E si potrebbero moltiplicare le testimonianze analoghe che confluiscono da scuole delle più diverse spiritualità (I « Ricordi » citano: il R. P. Foch, S. J. — Dom Vandeur, O. S. B. — il Ch. Sauvé, S. S. — il R. P. Luigi della Trinità, C. D. — Il R. P. Vallée, O. P. — alcuni Certosini, ecc.); ma due, fra tante, ci sembrano specialmente rivelatrici. Il R. P. Arintero O. P. scriveva al Carmelo di Digione, il 16 giugno 1927: «  Questo libro (i Ricordi) mi incanta per la sua bella dottrina che è destinata a fare un bene immenso alle anime… Ciò che ammiro soprattutto in questa Serva di Dio è il suo senso profondo dei grandi misteri della vita cristiana: della nostra incorporazione al Cristo del quale dobbiamo continuare la missione, dell’abitazione della Trinità nei nostri cuori… Questo senso dei grandi misteri, identico a quello dell’Apostolo, le ha dato di poter interpretare fedelmente i punti più belli delle grandi epistole di san Paolo. Quando suor Elisabetta le spiega nelle sue lettere familiari — sia pure soltanto di passaggio — spande torrenti di viva luce, attirando innumerevoli anime alla vita interiore… ». – S. E. Mons. Sagot, a sua volta, scriveva: « Ciò che mi sembra più notevole nella vita di suor Elisabetta è l’esatta conformità delle sue vedute, delle sue attrattive, della sua vita interiore, delle sue parole, coi principî più sicuri della teologia mistica. Ella non sa sottilizzare; non si lascia trasportare dall’immaginazione al di là degli spazi dove risiede la sana ragione illuminata dalla fede e vivificata dall’amore. Le considerazioni sottili, vaghe o nebulose, le sono estranee; poiché, essendo il suo pensiero sempre preciso, così è precisa l’espressione che spontaneamente le scorre dalla penna. Come bene conosce e penetra il senso delle sacre Scritture, e particolarmente delle Epistole del grande san Paolo, per il quale il suo cuore ardente nutre una predilezione che non ci sorprende! E come interessanti e giusti i commenti coi quali illumina gl’insegnamenti più sublimi di san Giovanni della Croce! Ma di chi sono queste dissertazioni condotte con tanta elevatezza e fermezza di spirito? Forse di un sacerdote abituato da lungo tempo allo studio della teologia e all’orazione mentale? In queste soluzioni semplici e luminose, ma insieme di una logica virile, si esiterebbe a riconoscere l’anima di una fanciulla, se il calore e la grazia di uno stile sempre delicato e puro, spesso gaio e vivace, non effondesse una soavità incomparabile su tutti gli scritti di Elisabetta. Questa cara giovane amava anzitutto, ad esempio, di santa Teresa, la vera, la forte, la bella dottrina » (da Ricordi). Questa « esatta conformità di vedute coi principî più sicuri della teologia mistica » è davvero la nota più caratteristica di tale spiritualità essenzialmente dottrinale. Ed è questa l’impressione dominante che sempre ci accompagnava nell’esame dei testi e dei documenti lasciati da suor Elisabetta della Trinità, impressione che ci ha determinato a tentare di scoprirne ed esplicarne il significato profondo. Vorremmo poter definire così questo nostro lavoro: uno sguardo di teologo sopra un’anima e una dottrina. Benché il nostro scopo principale non fosse di compiere un lavoro di storiografo, pure abbiamo cercato di mantenerci rigorosamente oggettivi nella interpretazione dei fatti. Non si trattava di costruire a priori una tesi mistica e di farvi entrare per forza delle testimonianze e dei documenti; ma piuttosto di rintracciare, con le leggi del metodo storico, il loro senso autentico, secondo le circostanze di tempo, di luogo, di destinazione, di ambiente religioso e sociale, e determinarne quindi l’integro significato in relazione alle condizioni psicologiche, alle influenze ricevute, umane o divine. Per garantire l’oggettività di questo sguardo, un lungo lavoro si imponeva, di documentazione e di ricerca positiva. Abbiamo confrontato tutti gli scritti sugli stessi autografi, eccettuata qualche rara lettera di cui, però, abbiamo potuto avere una copia che ci è stata accertata conforme all’originale. Abbiamo utilizzato numerosi testi che compaiono qui per la prima volta. Con la penna alla mano, abbiamo interrogato il maggior numero possibile di testimoni, particolarmente le tre amiche più intime di Elisabetta Catez prima della sua entrata in Convento; la sua stessa sorella, a lungo; alcune Religiose sue contemporanee al Carmelo, una delle quali le era unita da profonda amicizia; il suo confessore che la diresse dai 15 ai 21 anni; altre persone che la conobbero; un sacerdote della sua famiglia che l’aveva avvicinata molte volte; finalmente e sopra tutti, il testimonio più autorevole della sua vita: la madre Germana di Gesù, che durante tutto il soggiorno di suor Elisabetta al Carmelo di Digione, fu per lei Maestra delle novizie, prima, quindi Superiora. Quest’ultimo testimonio è di così straordinario valore, che merita una speciale menzione. Ora che una morte santa l’ha richiamata a Dio, sentiamo come un dovere di riconoscenza il bisogno di dire che nulla poteva esserci di più prezioso, per l’elaborazione di quest’opera, delle confidenze ricevute e delle lunghe ore d’intimità con madre Germana intorno a colei che fu veramente « la sua figliola ». L’abbiamo consultata su tutti i punti con la massima cura; e più volte abbiamo avuto l’inapprezzabile consolazione di trovare in lei conferma piena alle conclusioni che ci sembravano scaturire dalla attenta analisi dei documenti. Tutti i punti essenziali di questo libro furono fissati perfettamente d’accordo con lei. Terminato questo lavoro critico di discernimento, restava quello che era lo scopo primo, fondamentale dell’opera: rilevare, alla luce dei fatti e delle confidenze ricevute, il senso dottrinale della vita e degli scritti di suor Elisabetta della Trinità. Per rispettare anche qui una perfetta oggettività, bisognava sorprendere la dottrina di suor Elisabetta alla sua viva sorgente e seguirne lo svolgimento, il progresso. Bisognava cioè, secondo il buon metodo giungere a spiegare la dottrina attraverso la psicologia concreta di cui quella è il frutto. La dottrina mistica di suor Elisabetta della Trinità non è infatti l’esposizione astratta e didattica di un professore di teologia, ma è, prima di tutto, onda che zampilla da un’anima contemplativa. Il compito di una carmelitana non è di insegnare dottrinalmente le vie spirituali, ma di viverle nel silenzio di un’anima « tutta nascosta in Dio col Cristo » (Coloss. III, 3). Libero poi Lui, il Maestro, di far risplendere, quando gli piaccia, per l’utilità della sua Chiesa, le ricchezze dottrinali di una tale testimonianza. È così che irradia viva luce il messaggio dottrinale di santa Teresa di Gesù Bambino e, quantunque in altra maniera, senza magnificenza, ma con profondità, come addice ad un apostolo della vita interiore, anche quello di suor Elisabetta della Trinità. « Divisiones gratiarum, idem Spiritus » (I Cor., XII, 4). Ecco, quindi, la necessità di iniziare questo lavoro dottrinale, con un lungo capitolo preliminare che si presenti come lo schizzo di un’anima e ne segni le ascensioni, dai primi tocchi mistici all’età di 19 anni, fino alla consumazione dell’unione trasformante sulla croce. Esso mostra l’evolversi della sua dottrina mistica parallelamente al suo progresso. Senza un tale sguardo in quest’anima, sarebbe impossibile comprendere bene come la dottrina del silenzio non assuma in lei un valore di ascesi universale che dopo la sua entrata nella solitudine del Carmelo e dopo le purificazioni passive del noviziato; né si potrebbe capire come il mistero dell’inabitazione divina divenga, con un crescendo continuo, il punto centrico che tutto illumina nella sua vita, al quale ella fa risalire la sua vocazione suprema di « lode di gloria alla Trinità » ma nell’intimo, « nel cielo dell’anima sua ». – Dopo tutto questo, sempre rispettando con la massima cura gli aspetti storici dello svolgimento del suo pensiero, si rendeva possibile stabilire con certezza e precisione, su ogni punto di dottrina da analizzare, a quali principî della teologia mistica si riallacciassero i movimenti di quest’anima privilegiata, e quali aspetti del dogma avessero più profondamente alimentata la sua vita interiore (Lo stesso metodo teologico, misto, storico e dottrinale insieme, potrebbe essere applicato allo studio di tutte le vite dei Santi. Un lavoro di questo genere recherebbe, mi sembra, una sorgente di grandi tesori e una conferma preziosa alla teologia mistica. Con lo stesso procedimento — alla luce, cioè, dei princìpi direttivi della teologia mistica — sarebbe facile rilevare i grandi pensieri dottrinali di cui viveva l’anima di una S. Teresa d’Avila, di una S. Teresa di Gesù Bambino, di una S. Bernardetta, ecc., ecc…. I grandi mistici fornirebbero i casi di privilegio: una S. Caterina da Siena, una S. Margherita Maria, una Maria dell’Incarnazione. Un caso più complesso, particolarmente ricco, sarebbe quello di un Santo mistico e teologo insieme: un S. Giovanni della Croce. È tutto un mondo da esplorare; profitto immenso per il discernimento. Delle diverse correnti di spiritualità nella vita della Chiesa e per la storia della teologia mistica.). – Elevata dalla grazia nel ciclo della vita trinitaria, suor Elisabetta della Trinità ha vissuto sino in fondo il suo battesimo, secondo la forma propria della sua vocazione carmelitana. Tra le umane influenze ricevute, domina quella di san Giovanni della Croce; aveva assimilato i principî più elevati della sua teologia mistica nella lettura assidua del « Cantico » e della « viva fiamma ». Giovinetta e novizia, si era appassionata per le formule spirituali, un po’ oratorie, del Padre Vallée; ma presto le sorpassò per stabilirsi in Dio, al di sopra di tutte le formule umane, nella nudità della fede. Come in tutti i grandi artisti, si riscontra in lei una prima fase di imitazione un po’ servile dei modelli; poi una seconda di una specie di incertezza che corrisponde ai primi tre anni, durante il Noviziato, e sfocia d’un tratto nel magnifico periodo di creazione personale che stupendamente si annunzia con la sua sublime preghiera alla Trinità, scritta tutta di getto e senza correzioni. Ormai, lo Spirito Santo possiede in lei uno strumento perfetto. Ella canta l’inabitazione divina e la lode di gloria in uno stile che ha un’impronta inimitabile, definitiva, e la costituisce uno dei maestri spirituali della Francia. La meditazione delle Epistole di un san Paolo e delle opere mistiche di san Giovanni della Croce, le lunghe ore di silenzio contemplativo, hanno compiuto questo miracolo. Ma, sopra tutto, il Verbo è divenuto il Maestro interiore della sua vita; lo dice ella stessa: « Ciò che mi insegna nell’intimo, è ineffabile ». E nell’intimo, si cela la vera sorgente della sua dottrina e della sua vita. Fu l’ora del trionfo supremo della grazia nell’anima sua, fu il pieno fiorire in lei delle ricchezze trinitarie della sua vocazione battesimale. Il ritmo soave di questa vita « consumata nell’unità » (S. Giov. XVII, 26) si riduce ormai ad alcuni movimenti essenziali, sempre gli stessi, ma di un’estrema profondità. Ascesi del silenzio, inabitazione della Trinità e preoccupazione unica di lavorare « alla lode della Sua gloria », immedesimazione col Cristo e conformità alla sua morte, imitazione della vita silenziosa e adoratrice della Vergine dell’Incarnazione: questi furono i grandi pensieri dottrinali che avviarono rapidamente questa vita semplicissima, ma fedele, ai più alti gradi dell’unione divina. Sono le verità più fondamentali del Cristianesimo; e come è bello incontrare un’anima santa che si eleva fino a Dio senza miracoli, senza mortificazioni straordinarie (Questi particolari mi sono strati riferiti dalla sua stessa superiora), ma nella pura linea del battesimo e dell’obbedienza perfetta alla volontà divina, attraverso la banalità degli avvenimenti quotidiani! – Un monaco di Solesmes scriveva all’amica più intima di suor Elisabetta della Trinità: « Mi piacerebbe, ai suoi scritti il commento di un teologo ». Ed è proprio l’intento di questo libro, scritto per la gloria della Trinità.

S. Maximin, il 7 marzo 1937 –

Festa di san Tommaso d’Aquino.

Fr. Maria-Michele PHILIPON, O; P.

LA DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (3)

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (15)

ADOLFO TANQUEREY

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ (16)

Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle Missioni

ROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF. – 1930

NIHIL OBSTAT – Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.

IMPRIMATUR Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.

SECONDA PARTE

CAPITOLO I

Gesù nostro sommo sacerdote!

ART. III. — I NOSTRI DOVERI VERSO GESÙ SACERDOTE E VITTIMA.

Il primo di questi doveri, quello che compendia tutti gli altri, è di unirci spesso a questo Sommo Sacerdote con una specie di comunione spirituale, intima ed abituale quanto più sia possibile alla nostra debolezza, entrando nel suo spirito di sacrificatore e di vittima, vale a dire offrendoci, immolandoci, consumandoci di amore con lui. Il che ci riesce anche più facile perché, in tutti questi atti, Gesù non solo è nostro modello ma anche nostro collaboratore. E ne verrà una confidenza assoluta nel nostro Sommo Sacerdote.

1) Dunque, prima di tutto viviamo in una specie di comunione abituale con lui.

A) Nostro Signore, come osserva l’Olier Cathec. Chret., 1° parte, lez. 20), nel giorno santissimo dell’Incarnazione, offrì al Padre tutta la vita sua e quella di tutti i suoi membri, e continua quest’offerta nel cielo e nell’Eucaristia. Né poteva essere altrimenti: essendo il capo di un corpo mistico di cui noi siamo le membra, Gesù opera sempre non solo in nome suo ma anche in nome nostro, e causa in noi, se corrispondiamo alla sua grazia, disposizioni simili alle sue. « Si offre sempre a Dio in sé e in tutti i suoi membri, in tutte le occasioni che hanno di servirlo, di onorarlo e di glorificarlo. Nella divina sua Persona, Nostro Signore è un altare su cui tutti gli uomini sono offerti a Dio con tutte le loro azioni e tutti i loro patimenti; è questo quell’altare d’oro ove si consuma ogni sacrificio perfetto; la natura umana di Gesù Cristo e quella di tutti i fedeli ne sono la vittima; il suo Spirito ne è il fuoco; e Dio Padre è Colui a cui il sacrificio viene offerto e che vi è adorato in ispirito e verità! », – Quanto è consolante questa dottrina! Le azioni nostre e i nostri patimenti sono certo offerta ben poco degna dell’infinita Maestà di Dio, ma ecco che il nostro Sommo Sacerdote li presenta egli stesso insieme coi suoi, li avvalora col valore dei suoi meriti e delle sue soddisfazioni; e Dio, per ragione del suo Figlio, li guarda benignamente, li accetta e ci dà in ricambio copiosissime grazie. Ecco perché dobbiamo non solo operare, ma, come dice Bossuet (Sermon sur l’Ascension, p. 534-535, ed. Lebarcq.), anche pregare con Gesù Cristo: « Gesù è il Mediatore generale; nessuno è accetto se non viene presentato per mano sua; se la preghiera non è fatta in nome suo, non sarà neppur ascoltata; nessun beneficio viene concesso se non per Lui… per cui tutte le preghiere sono esaudite, per cui tutte le grazie sono firmate, per cui tutte le offerte son bene accolte, per cui tutti coloro che vogliono accostarsi a Dio sono sicurissimi di essere ammessi… Onde io non temerò di asserire che, sebbene la Chiesa di Dio sulla terra e gli spiriti beati nel cielo preghino assiduamente, non c’è che Gesù Cristo solo che sia esaudito, perché tutti gli altri non lo sono che per riguardo suo ».

B) Dobbiamo pure immolarci con Lui e per Lui: perché nell’Orto degli Ulivi e sul Calvario Egli ci immolò tutti con sé. Gesù aveva predetto che, innalzato che fosse da terra (alludendo al supplizio della croce – S. Giov. XII, 32), avrebbe tratto tutto a sé. La profezia si è avverata: vedendo ciò che fece e patì per loro, i cuori generosi s’infiammano di amore per il divino Crocifisso e quindi per la sua croce; anch’essi, nonostante le ripugnanze della natura, portano valorosamente le loro croci interiori ed esteriori, sia per rassomigliare di più al divino Maestro, sia per dimostrargli il loro amore patendo con Lui e per Lui, sia per avere più larga parte ai frutti della redenzione e collaborare con Lui alla santificazione dei fratelli. È ciò che si vede nella vita dei Santi, che corrono dietro alle croci con maggiore avidità che non i mondani dietro i piaceri. Noi, che non siamo santi, abbiamo, ahimè! orrore dei patimenti e delle umiliazioni. Rammentiamoci che il divin nostro Capo fu incoronato di spine e inchiodato alla croce, e diciamo a noi stessi: sta forse bene che un discepolo, che un membro vivente di Cristo sia nelle delizie e vada in cerca di applausi, quando il nostro Salvatore è disteso sulla croce? Non volge Egli forse a tutti i Cristiani quell’invito: « Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua? » (S. Matt., XVI, 24.) Non ci sono due vie per andare al cielo, una seminata di rose e l’altra di spine; non ce n’è che una sola per tutti i Cristiani, senza distinzione, ed è la via della croce, dove crescono le spine; sebbene ogni tanto il Signore vi faccia fiorir qualche rosa per sollevar la nostra debolezza, e alleviare i nostri dolori, versandoci in cuore il suo amore. Se vi fosse stata un’altra via, Nostro Signore ce l’avrebbe insegnata; ora non ce ne indicò altra da quella che tenne Egli stesso. Gli Apostoli intesero così bene questa verità, che ci dicono, con San Paolo, che « se vogliamo aver parte alla sua gloria, è necessario aver parte ai suoi patimenti:  « si tamen compatimur, ut et conglorificemur » Rom. VIII, 17); con S. Pietro, che « se Cristo ha patito per noi, lo fece perché anche noi seguiamo le sue orme » (I Piet. II, 21); con S. Giovanni, che, « avendo Gesù data per noi la sua vita, anche noi dobbiamo esser pronti a dare la nostra pei nostri fratelli » (I Ep. S. Giov., III, 16), a dare cioè le nostre fatiche, i nostri sudori, le nostre sostanze per il nostro prossimo. Chi vuol vivere nelle delizie, è discepolo di Epicuro, non di Gesù Cristo. E che vuol dire immolarsi? Vuol dire operare per dovere e non per piacere, vuol dire fare la volontà di Dio e non la nostra, vuol dire adempiere i doveri del nostro stato e non seguire i nostri capricci, vuol dire insomma praticar le virtù cristiane. Infatti, come dice l’Olier, i chiodi di cui Gesù si serve per attaccarci alla croce accanto a Lui, « sono le virtù che infrenano il nostro amor proprio e i nostri desideri sensuali ». La croce che dobbiamo portare non è dunque lontana da noi, è vicina a noi, è in noi; e vivere da Cristiani è imitare Gesù Cristo, è partire con Lui, onde morire con Lui e risuscitare con Lui.

C) La risurrezione è infatti il fine a cui dobbiamo tendere, come sarà la ricompensa dei nostri sforzi e dei nostri patimenti: risurrezione del corpo alla fine dei tempi, ma specialmente risurrezione spirituale che si viene quotidianamente compiendo. È il fuoco dell’amor divino quello che, consumando tutte le imperfezioni e tutte le impurità dall’anima nostra, la verrà sempre più spiritualizzando e la farà entrare in comunione con le disposizioni e con le virtù di Gesù; ed è pur questo fuoco quello che ci rende più facile il grande dovere dell’immolazione. È da molto tempo che sant’Agostino disse che, quando si ama non si patisce, o, se si patisce, torna dolce il patire. Osservate quella madre che passa le lunghe notti al capezzale del figlio infermo, colla speranza, colla brama ardente di salvargli la vita. Si direbbe che non sente la fatica, perché ama il figlio, lo ama teneramente, generosamente, e, per salvargli la vita, è pronta a qualunque sacrificio. Avviene lo stesso in noi. Quando teneramente e generosamente amiamo Gesù, sacerdote e vittima, vogliamo assomigliargli in tutto, anche nello spirito di sacrificio. Vengono le malattie, vengono i dolori fisici e morali, vengono gli infortuni, le disdette, le umiliazioni, le contraddizioni, le persecuzioni, la povertà: e noi diamo uno sguardo al divino Crocifisso, ci distendiamo amorosamente sulla croce accanto a Lui, e dal fondo dell’anima ripetiamo con san Paolo: « Chi ci separerà dall’amore di Cristo? La tribolazione o l’angustia o la persecuzione o la fame o la nudità o il pericolo o la spada?… Ma in tutte queste cose noi stravinciamo coll’aiuto di Colui che ci amò. Sono certo infatti che né la morte né la vita, né il presente né il futuro… né altra creatura alcuna potrà separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù Signor Nostro ». (Rom., VIII, 35).

2) Da questa comunione sorgerà una confidenza assoluta nel nostro Sommo Sacerdote.

A) San Paolo vi ci invita premurosamente: Appressiamoci dunque con fiducia al trono della grazia per ottener misericordia e trovar grazia ad aiuto opportuno ». (Ebr., IV, l6). E difatti Gesù, nostro sacerdote, non è nostro giudice ma nostro Salvatore: venne, non per condannarci, ma per perdonarci. Persuaso che sono gl’infermi che hanno bisogno del medico, va difilato ai peccatori per guarirli delle loro piaghe spirituali. È la sua preveniente bontà che va incontro alla Samaritana e la converte; è lei che perdona alla donna peccatrice i molti suoi falli; che prega sulla croce per i carnefici e che perdona al ladrone pentito. Occorrendo, Gesù lascia le novantanove fedeli pecorelle per correre dietro alla pecorella smarrita e riportarla sulle spalle all’ovile. A tutti quelli che soffrono offre consolazione e forza: « Venite a me, o voi tutti che siete stanchi ed oppressi, ed io vi ristorerò » (S. Matt,, XI, 28).

B) Questa confidenza la mostreremo specialmente quando vorremo glorificar Dio, chiedere le grazie di cui abbiamo così urgente bisogno e praticare le cristiane virtù.

a) Quando vogliamo adorare, amare, lodare e ringraziare Dio, sentiamo la nostra impotenza a farlo degnamente. Ebbene, perché non far nostri sentimenti di adorazione, di amore, di lode e di ringraziamento che Gesù offre al Padre per noi? Sono sentimenti che ci appartengono, perché Gesù è nostro sacerdote, nostro mediatore di religione, nostro supplemento. Non abbiamo da far altro che appropriarceli per offrirli a Dio e Dio sarà glorificato come si merita. – Non c’è, dice l’Olier (Cath. Chret. 2 p.., l. XI), nulla di più facile: « Sappiate che Nostro Signore è dentro di noi e ci aspetta a braccia aperte: non si ha che da cercarlo con tutta semplicità e darsi a Lui… Dice a tutti per bocca di David: Magnificate il Signore con me ed esaltiamo il suo nome tutti insieme. Non abbiamo quindi che a dirgli senz’altro: O Signor mio Gesù Cristo, che siete la mia lode, io mi compiaccio e godo di tutte le lodi che date a Dio vostro Padre, mi unisco e mi dò a voi, per adorarlo e pregarlo per voi e con voi; non voglio esser che una sola ostia di lode con voi per glorificar Dio per tutta l’eternità. E basta purché abbiamo in cuore l’affetto e il desiderio che gli esprimiamo colle parole ». –

b) Parimenti, quando si tratta di ottener grazie, non sappiamo neppure quello che dobbiamo chiedere né come dobbiamo chiedere; ma ecco che lo Spirito di Gesù, sommo Sacerdote, viene in aiuto alla nostra infermità e chiede per noi ciò che è più utile alla nostra santificazione con gemiti inesplicabili (Rom. VII, 25). Ora le preghiere di Gesù sono sempre esaudite. Possiamo quindi ottener tutto, purché lo domandiamo in suo nome, vale a dire uniti a Lui: « In verità, in verità, vi dico: quanto chiederete al Padre in nome mio, ve lo concederà (S. Giov., XVI, 23).

c) Continuamente ostacolati dalle tentazioni, dalle insidie del nemico e dalla propria incostanza, noi ci sentiamo incapaci di far progressi nella pratica delle cristiane virtù, Ma Gesù, sommo Sacerdote, sarà per noi, secondo l’espressione di S. Teresa del Bambin Gesù, l’ascensore che ci solleverà nelle sue braccia su fino a Dio. La qual cosa l’Olier esprime in altra guisa dicendo (l. c. 2° p. l. V): « Badiamo sempre a questa grande verità che Gesù è in noi per santificarci, è in noi e nelle opere nostre, e tende a riempir di sé tutte le nostre facoltà; vuol essere la luce delle nostre menti, l’amore e la fiamma dei nostri cuori, la forza e la virtù di tutte le nostre potenze, onde in Lui possiamo conoscere, amare e adempiere i voleri del Padre suo, sia per operare in suo onore, sia per patire e sostenere ogni cosa a gloria sua ». Badiamo però di non concluderne che diventi utile ogni sforzo da parte nostra. Per unirci a Gesù, nostro sacerdote, per fare nostri i suoi sentimenti e le sue virtù, bisogna staccarci da noi stessi e dalle creature, disciplinare le nostre facoltà, metterle nelle mani di Gesù, collaborare con Lui alla preghiera e alla pratica delle virtù. Potremo allora dire con San Paolo: « Non sono io pero, è la grazia di Dio con me » (1 Cor., XV, 10). – Sorretti allora dal divin Crocifisso, offriremo di gran cuore con Lui e il nostro corpo e l’anima nostra, con Lui porteremo da forti tutte le croci che gli piacerà di mandarci, con Lui ameremo ogni di più il Signore.

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (16)

LA DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (1)

M. M. PHILIPPON

LA DOTTRINA SPIRITUALE DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ

Prefazione del P. Garrigou-Lagrange

SESTA RISTAMPA

Tu puoi credere alla mia dottrina, perché non è mia

(alla mamma, giugno 1906)

Morcelliana ed. Brescia, 1957.

DICHIARAZIONE

Autore ed editore dichiarano di sottomettersi pienamente ai decreti d’Urbano VIII del 13 marzo 1624 e 4 giugno 1631, e di non volere prevenire, in qualsiasi modo, il giudizio della Chiesa.

Nihil obstat: Sac. Tullus Goffi Can. Brixiæ, 22-XI-1956

Imprimatur: Angelus Bertelli, V. G. Brixiæ, 4-XII-1956

Tipografia Editrice « Morcelliana » – Brescia

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A JANUA CŒLI «PORTA DEL CIELO » PER LA QUALE CONTINUA L’ASCESA DELLE ANIME VERSO LA TRINITA’

OMAGGIO FILIALE

« Questo mistero dell’abitazione della SS. Trinità nel più intimo del suo essere, fu la grande realtà della sua vita interiore ».

R. GARRIGOU LAGRANGE

Le verità più elementari della fede, come quelle espresse nel Pater, ci appaiono le più profonde, quando si sono meditate a lungo, con amore, quando si sono vissute portando la croce, per lunghi anni, così che sono divenute oggetto di una contemplazione quasi ininterrotta. Basterebbe ad un’anima vivere profondamente una di queste verità della nostra fede, per essere condotta fino alle vette della santità. – Fra queste verità, bisogna mettere in prima linea quella della presenza particolare di Dio nell’anima dei giusti, secondo la parola di Gesù: « Se alcuno mi ama, osserverà i miei comandamenti; e il Padre mio l’amerà; e noi verremo in lui, e porremo in lui la nostra dimora » (Giov. XIV, 23). Con queste parole, e promettendo di inviarci lo Spirito Santo, nostro Signore ci ha insegnato che la vocazione più fondamentale di ogni anima battezzata, è di vivere in società con le Persone stesse della Trinità santa. Allora realmente si può dire, secondo la espressione sovente ripetuta da san Tommaso, che la vita cristiana è, fin dalla terra, in un certo senso, la vita eterna incominciata: « Quædam inchoatio vitæ aeternæ ». La grazia del battesimo ci dona una vera partecipazione alla natura divina, quale sussiste in seno alla Trinità. Dio ci ha amati nel Figlio suo, fino a volerci partecipi del principio stesso della sua vita intima, del principio della visione immediata che Egli ha di Se stesso, e che comunica al Verbo e allo Spirito Santo. In tal modo, i  giusti entrano nella famiglia di Dio e nel ciclo della vita trinitaria. – La fede viva, illuminata dal dono della sapienza, li assimila alla luce del Verbo; la carità infusa li assimila allo Spirito Santo. Il Padre genera in essi il suo Verbo, in essi il Padre e il Figlio spirano l’Amore sostanziale che li unisce. In ciascuno dei giusti, la Trinità abita come in un tempio vivente; in un tempio oscuro quaggiù; in una luce senz’ombre e in un amore senza fine in cielo. – La serva di Dio Elisabetta della Trinità fu una di queste anime luminose ed eroiche che sanno attaccarsi fortemente ad una delle grandi verità della fede, le più semplici e le più vitali e, sotto le apparenze di una vita ordinaria, sanno trovarvi il segreto di una profonda unione con Dio. – Questo mistero dell’abitazione della Trinità santa nel più intimo del suo essere, fu la grande realtà della sua vita interiore. Non diceva ella stessa: « La Trinità! Ecco la nostra dimora, la nostra cara intimità, la casa nostra paterna donde non bisogna uscire mai… Ho trovato il mio cielo sulla terra, poiché il cielo è Dio, e Dio è nell’anima mia. Il giorno in cui l’ho compreso, tutto si è illuminato in me… » ? – Il pernio di questa vita soprannaturale è chiaro che si trova nell’esercizio delle virtù teologali. La fede è la luce soprannaturale che ci rende atti a ricevere la rivelazione del mondo divino. La speranza, appoggiandosi sull’onnipotenza soccoritrice di Dio, ci fa tendere con intima certezza verso l’eterna beatitudine. La carità ci stabilisce immutabilmente nell’amicizia e nella società delle divine Persone, secondo la dottrina dell’apostolo san Giovanni: « Dio è amore. Chi rimane nell’amore, rimane in Dio, e Dio in lui ». In fondo, è la stessa vita soprannaturale che comincia sulla terra col battesimo, e fiorirà in cielo, nella visione beatifica. – La fede è alla base di tutta questa attività nuova; è la «sostanza », il principio, il germe « delle cose che speriamo » e che contempleremo un giorno svelatamente. Il minimo raggio di fede è dunque infinitamente superiore alle intuizioni naturali dei più grandi genî e degli stessi Angeli più sublimi; e del medesimo ordine della visione beatifica, ordine essenzialmente soprannaturale; perciò, la fede viva, illuminata dai doni dell’intelletto e della sapienza, è la sola luce proporzionata a questa vita d’intimità con le Persone divine. – Così, suor Elisabetta della Trinità ci si manifesta innanzi tutto come un’anima di fede, in comunione sempre più intima col mondo invisibile, a misura che, sotto la mano di Dio, le purificazioni dei sensi e dello spirito si susseguono, attraverso gli avvenimenti della sua esistenza. Da vera figlia di san Giovanni della Croce, si rendeva conto della parte importantissima che ha la fede nell’ordine soprannaturale. « Per avvicinarsi a Dio —. scriveva — bisogna credere ». « La fede è sostanza delle cose che dobbiamo sperare e convinzione di quelle che non ci è dato vedere ». San Giovanni della Croce dice che « la fede è per noi il piede che ci porta a Dio; anzi, è il possesso di Dio nell’oscurità. Soltanto la fede può darci lumi sicuri su Colui che amiamo; e l’anima nostra deve sceglierla come il mezzo per giungere all’unione beatifica ». Senza trascurare la pratica delle virtù morali, si applicò con sempre maggior diligenza all’attività interiore delle virtù teologali. « La mia sola occupazione è rientrare nell’intimo mio e perdermi in Coloro che vi abitano ». – Ma la fede, la speranza e la carità non possono raggiungere la loro pienezza senza una speciale assistenza di Dio; e la via mistica è caratterizzata appunto dall’azione sempre crescente e predominante dei doni dello Spirito Santo. Le virtù teologali, infatti, quantunque superiori ai doni che le accompagnano, ricevono da questi una perfezione nuova, come l’albero è più perfetto coi suoi frutti che privo di essi. San Tommaso insegna che colui il quale non possiede ancora se non imperfettamente un principio di azione, non può agire come sì conviene, senza essere aiutato da un agente superiore. Nella vita spirituale, il principiante ha bisogno di avere vicino a sé un maestro esperto, proprio come lo studente in medicina o in chirurgia ha bisogno di essere diretto dal maestro che lo forma. Ora l’anima del giusto, pur possedendo le virtù teologali e morali, non possiede però ancora se non imperfettamente quella vita divina della grazia che la introduce nella famiglia della Trinità. Bisogna dunque che le divine Persone stesse vengano ad aiutarla, secondo le parole di san Paolo ai Romani: « Tutti quelli che sono condotti dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio » (Rom. VIII, 14). Bisogna vivere nell’intimità delle divine Persone, non alla maniera di creatura umana, ma alla maniera di Dio, per essere « perfetti come il Padre celeste che è perfetto ». Come giudicare delle cose tutte, divine ed umane, nel modo in cui le giudica Dio stesso, senza una comunicazione speciale della scienza e della sapienza divina? Come, in mezzo alle situazioni spesso inestricabili della vita quotidiana, prendere una decisione rapida che coincida col piano della Provvidenza, senza una speciale mozione del dono del Consiglio? Come, infine, restare indissolubilmente uniti alla divina volontà, tra le difficoltà a volte tremende della vita, senza un’assistenza speciale della forza stessa di Dio, sola capace di trionfare di tutte le potenze del male? – Questi doni dello Spirito Santo, poi, si manifestano con infinita varietà nel mondo delle anime, secondo le circostanze in cui Dio le pone e secondo la loro missione. In alcune si notano maggiormente i doni intellettuali, in altre quelli del timore, della pietà, della forza; e la loro azione ha toni e sfumature infinite. Inoltre, uno stesso dono assume forme diverse secondo i santi. Negli uni, come in un sant’Agostino, la sapienza si manifesta prevalentemente in forma contemplativa; in altri, come in un san Vincenzo De Paoli, in forma pratica, tutta orientata verso le opere di misericordia. Ai primi lo Spirito concede di penetrare nelle profondità di Dio gustandole ineffabilmente, e di luminosamente esprimerle; agli altri fa vedere, quasi sotto una luce diffusa, le membra sofferenti di Cristo e ispira come dedicarsi efficacemente alla loro salvezza. Nella Serva di Dio di cui si parla in queste pagine, colpisce il grado elevato dei doni dell’intelletto e della sapienza che le danno una così grande penetrazione del mistero della Trinità e glielo fanno così profondamente gustare, in maniera quasi continua. – Anche prima della sua entrata al Carmelo, era tutta compresa della presenza delle divine Persone nel profondo dell’anima sua. Al termine della vita, nella festa dell’Ascensione, l’ultima che passò sulla terra, a tal punto sentì che la Trinità santa prendeva possesso dell’anima sua, che intravide le tre Persone divine tenere in lei il loro consiglio d’amore; e da quel giorno, quando le veniva raccomandata qualche particolare intenzione, rispondeva: « Ne parlo subito al mio onnipotente Consiglio ». La vigilia della sua morte, ella poteva scrivere in tutta verità: « Credere che un Essere che si chiama l’Amore, abita in noi tutti gl’istanti del giorno e della notte e ci chiede di vivere in società con Lui, è, ve lo confido, ciò che ha fatto della mia vita un Paradiso anticipato ». – Restiamo pure ammirati nel vedere a quale grado ella ricevette il dono della forza. Si può constatarlo ad ogni passo, nella fermezza con la quale la Serva di Dio accettava le più dure prove, particolarmente durante la sua malattia. Non potendo darsi alle mortificazioni straordinarie che l’obbedienza alla sua superiora le proibì sempre, ella passò coraggiosamente, senza piegare mai, durante tutto un lungo e penoso anno di noviziato, attraverso alle dolorose e inevitabili purificazioni passive di una sensibilità ancora troppo viva. Percorse valorosamente il cammino della notte oscura, sempre più rifugiandosi nella nuda fede, non cessando di elevarsi a Dio, al di sopra di tutte le sue grazie e di tutti i suoi doni. Ma soprattutto nel corso dell’ultima malattia, si rivelò stupendamente in lei il dono della fortezza. Mentre tutto il suo essere andava consumandosi, l’anima rimaneva immutabile, sotto le purificazioni divine più crocifiggenti, immobile al di sopra della stessa sofferenza, per non pensare, in ogni gioia ed in ogni dolore, che al suo ufficio di « lode di gloria della Trinità ». Ella ricorda con quale divina maestà Cristo Re coronato di spine ha salito il Calvario; e proprio un riflesso di tale maestà si ritrova in questa coraggiosa sposa del Salvatore che ha lavorato con Lui, in Lui, per Lui, con gli stessi mezzi usati da Lui, per la salvezza delle anime. Dio ha veramente esaudito il suo supremo desiderio: « Morire, non solo pura come un Angelo, ma trasformata in Gesù Crocifisso ». – Finalmente, una delle note più caratteristiche della fisionomia spirituale di suor Elisabetta della Trinità è certamente il suo senso dottrinale, alimentato alle migliori sorgenti del pensiero cristiano, nei suoi due Maestri preferiti: san Paolo, l’apostolo del mistero di Cristo, e san Giovanni della Croce, il dottore mistico del Carmelo. Senza essere teologo nel senso formale della parola, essa, la vera figlia di santa Teresa, aveva il gusto della soda dottrina; e sapeva farne l’alimento sostanziale della sua vita interiore, assaporando, nel silenzio e nell’orazione, le grandi verità della fede, sotto la luce di vita che cresce in noi con l’amore di Dio e delle anime. Occorreva dunque rilevare, alla luce dei principî direttivi della teologia mistica, i movimenti essenziali di questa anima contemplativa, e discernere le verità fondamentali di cui ha vissuto la serva di Dio, secondo la sua grazia personale, in una forma carmelitana. Dopo aver segnato le tappe principali della sua ascesa, era di sommo interesse mettere in risalto i punti della dottrina di cui la sua vita spirituale si era specialmente nutrita: l’ascesi del silenzio, l’inabitazione della Trinità, la lode di gloria, la conformità al Cristo; come pure la sua devozione tutta personale alla Vergine della Incarnazione, l’azione dei doni dello Spirito Santo in lei, il senso profondo della sua preghiera divenuta celebre, e della sua missione.

Il Padre Maria-Michele Philipon ha scritto queste pagine dopo avere a lungo meditato la vita e gli scritti di suor Elisabetta della Trinità. Se ne è veramente compenetrato per molti anni, e ha cercato di spiegarli alla luce dei principî della teologia, quali sono formulati da san Tommaso e applicati alla direzione delle anime contemplative da san Giovanni della Croce. Egli ha compiuto questo lavoro con una grande pietà e un senso dottrinale che gli hanno permesso di mantenere lo slancio soprannaturale e insieme la giusta misura, l’equilibrio, in questi problemi così delicati, specialmente dove la serva di Dio ha dovuto praticare simultaneamente virtù in apparenza contrarie: la forza e la dolcezza, la prudenza e la semplicità, la compassione per gli erranti e i peccatori e insieme lo zelo ardente per la gloria di Dio.

Sarà letto con grande profitto, questo studio illuminato e profondo, in cui la teologia « della grazia delle virtù e dei doni » si manifesta in maniera concreta e vivente, svelando le ricchezze in essa contenute. Possa la SS. Trinità ricevere da questo libro un nuovo raggio di gloria! E le anime che lo leggeranno vi attingano la vera umiltà così intimamente connessa con le virtù teologali che ci danno il senso delle alte cime. Quanti poveri esseri umani, fatti per la vita immortale e per la società con le divine Persone, si trascinano nella agitazione sterile di un mondo disorientato! Si degni, il Signore, far trovare a molti, in queste pagine, l’orientamento per dirigersi e riconquistare la via della verità che conduce all’intimità divina, alla « luce di vita » che mostrandoci «l’unico necessario » tutto illumina dall’alto.

Roma-Angelico, 12 luglio 1937.

Fr. Recinaldo Garrigou-Lagrange, O. P.

LA DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (2)

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (14)

ADOLFO TANQUEREY

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ (14)

Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle Missioni

ROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF. – 1930

NIHIL OBSTAT – Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.

IMPRIMATUR Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.

SECONDA PARTE

CAPITOLO I

Gesù nostro sommo sacerdote!

ART. II- GESU SACRIFICATORE E VITTIMA

Negli antichi sacrifici il sacerdote era distinto dalla vittima. Nei sacrifici cruenti, considerati come i più perfetti, si sceglieva per vittima un essere vivente, specialmente un animale domestico, il quale, appartenendo all’uomo, gli si poteva più legittimamente sostituire. Veniva dapprima offerto a Dio col separarlo da ogni uso profano e consacrarlo al servizio e all’onore della divinità. Poi era immolato, per indicare che il peccatore, avendo offeso Dio, non ha più il diritto di vivere e merita la morte. Bruciata, in certi sacrifici, una parte della vittima, si mangiava l’altra, per mettersi, a questo modo, in comunione colla vittima e per lei colla divinità. L’unione con Dio, rotta dal peccato, era dunque, dopo la glorificazione della divinità, lo scopo a cui tendeva il sacrificio. – Il sacrificio era dunque costituito da tre atti principali: l’offerta, l’immolazione, la comunione, che era anche detta consumazione. Questi antichi sacrifici non erano che figure e simboli che preparavano il vero sacrificio, quello che doveva essere offerto dall’Uomo-Dio, dal sommo sacerdote della nuova Legge, per glorificare Dio e salvare i fratelli. Ora, avendo Dio diritto ad ossequi infiniti, a porgerglieli e a riparare l’offesa fattagli col peccato, occorreva un Sacrificio di valore morale infinito. Perché tale fosse il suo sacrificio, Gesù, nostro sommo Sacerdote, volle esserne non solo il sacrificatore ma anche la vittima; onde, sotto questo doppio aspetto, il sacrificio da lui offerto venne veramente ad avere un valore infinito. Infatti la dignità di un sacrificio dipende dalla dignità della persona che l’offre e della vittima che viene offerta: ora Gesù, sacerdote e vittima, è Uomo-Dio, cioè Persona infinita. Il che ci si farà anche più chiaro se considereremo a parte ognuno dei tre grandi atti che costituiscono questo sacrificio: l’offerta, l’immolazione e la consumazione o comunione.

1° L’offerta della vittima.

A) II Figlio di Dio, come già sopra dicemmo, fu costituito sommo Sacerdote in quello stesso istante in cui s’incarnava nel virgineo seno di Maria. Ben sapendo che i sacrifici dell’antica Legge non potevano glorificar suo Padre come si merita, gli si presenta dinanzi e si offre vittima, prendere il posto di tutti gli antichi olocausti: Non volesti né vittime né offerte, mi formasti invece un corpo… Allora dissi: ecco io vengo a fare, o Dio, la tua volontà » (Hebr. X, 5-9). E comincia così il primo sacrificio degno veramente di questo nome: sull’altare purissimo del seno di Maria il Verbo incarnato offre, come sacrificatore, una vittima: se stesso. Offre il suo corpo, che un giorno immolerà sulla croce e che intanto sacrificherà colla pratica della mortificazione. Offre la santa sua anima con tutti i suoi pensieri, i suoi desideri, i suoi affetti, i suoi voleri, che assiduamente immolerà colla spada dell’ubbidienza fino al dì che compirà sul Calvario il suo Sacrificio con un atto supremo di ubbidienza e di amore.

B) Tutta la sua vita è ormai rivolta a quell’immolazione finale che costituirà l’atto essenziale del suo Sacrificio; onde l’autore dell’Imitazione dice che fu un perpetuo martirio: « Tota vita Christi crux fuit et martyrium ». Gesù è già martire nella piccola prigione del seno di Maria ove se ne sta rinchiuso per nove mesi. Là il primo suo sguardo è per il Padre, cui assiduamente offre, in nome suo e nostro, i più perfetti atti di religione: l’adorazione, la lode, la riconoscenza, l’amore; e vi aggiunge l’espiazione in nome degli uomini suoi fratelli. Il secondo suo sguardo è per tutti i suoi fratelli: sguardo di commiserazione e di amore pei peccatori, che viene a salvare a costo dei suoi sudori e del suo sangue; sguardo di affettuosa tenerezza pei giusti, che già ama come membra del suo Corpo mistico e in cui vuol crescere e divenir adulto, onde comunicar loro i tesori della sua vita divina. Per gli uni e per gli altri offre ardenti suppliche che non possono non essere esaudite a causa della dignità della sua persona, « exauditus est pro sua reverentia » (Hebr. V, 7). Ecco le sue occupazioni per nove mesi. C’è forse bisogno di aggiungere che l’umile Vergine, che lo porta in seno, si associa alle sue adorazioni e alle sue Preghiere, e inizia così il suo ufficio di collaboratrice secondaria nell’opera della redenzione, il suo ufficio di mediatrice universale di grazia? – I nove mesi sono ormai trascorsi e il Verbo fatto carne compare finalmente agli occhi degli uomini. Si daranno essi premura di accoglierlo? San Giovanni fa questa mesta osservazione, che i suoi, quelli stessi che costituivano il popolo eletto, non l’accolsero: « In propria venit et sui eum receperunt? »; e san Luca fa dolorosamente rilevare che nasce in una Stalla, perché per sua Madre e per Lui non c’era posto nell’albergo: «Quia non erat eis locus in diversorio ». Nel suo ingresso nel mondo, deve dunque patire il freddo della stagione, le privazioni della povertà, e, che è più, l’ingratitudine degli uomini. – E continuerà ad esser vittima: nel giorno della circoncisione versa le prime gocce di sangue per affermare la sua volontà di versarlo un dì tutto per noi. Perseguitato da Erode, è costretto a prender la via dell’esilio; e quando, dopo la morte del tiranno, torna in Palestina, va a rinchiudersi in una casetta di Nazareth, ignoto paesello della Galilea, e vi passa trent’anni nell’oscurità, nell’ubbidienza, nel lavoro manuale, tanto che i suoi compatrioti lo considerano come un falegname ordinario. – La sua vita pubblica non sarà, salvo poche gioie  e qualche passeggero trionfo, che un lungo martirio. Subito, fin da principio gli Scribi e i Farisei lo inseguono coi loro sospetti, colla loro gelosia, e presto col loro odio; gli tendono continuamente insidie; e lavorano a screditarne l’autorità presso il popolo e ad ostacolarne l’apostolato. Riesce, è vero, a farsi alcuni discepoli e a convertire alcuni peccatori insigni, ma il grosso del popolo rimane indifferente ed ostile, perché, aspettandosi un Messia glorioso e potente, non può ravvisarlo in quel piovane Rabbi così umile, così modesto, che, in cambio di bazzicar coi grandi e preparare il trionfo temporale suo popolo, frequenta i piccoli, gli afflitti, i poveri, persino i pubblicani e i peccatori. Che strazio per il cuore di Gesù vedersi così frainteso e così misconosciuto, nonostante i miracoli che andava moltiplicando a provare la divinità della sua missione e della sua Persona! Eppure, questo non è che il preludio del suo sacrificio!

2° L’immolazione della vittima.

Quest’immolazione ha principio colla dolorosa passione del Salvatore nell’orto degli Olivi e finisce sul Calvario.

A) Ma, prima di lasciarsi immolare dai carnefici, Gesù vuole offrirsi di nuovo vittima, questa volta però in un vero sacrificio accompagnato da riti misteriosi, nel Sacrificio della Cena. Celebrata che ebbe cogli Apostoli la Pasqua antica, vuole celebrare la nuova e istituire un sacrificio che si perpetuerà sui nostri altari sino alla fine del mondo. Prende del pane, lo benedice, e lo dà agli Apostoli, dicendo « Mangiate: questo è il mio corpo, dato, rotto per voi ». E, prendendo la coppa del vino, aggiunge: « Bevetene tutti: è il mio sangue, il sangue della nuova alleanza, che è versato per voi e per molti in remissione dei peccati ». Si notino le espressioni « corpo dato » e « sangue versato », perché dicono abbastanza chiaramente che Gesù si dà e si consegna come vittima, che versa già misticamente il suo sangue a remissione dei nostri peccati. Ei sa infatti, che dimani sarà immolato e offre anticipatamente al Padre quell’immolazione, quell’effusione di sangue, quella morte, per affermare pubblicamente dinanzi agli Apostoli che liberamente e volontariamente si consacra alla morte espiatrice e ai tormenti fisici e morali che l’accompagneranno. La Cena è quindi un vero sacrificio, perché Gesù v’immola incruentamente la vittima che cruentamente immolerà il giorno appresso. Come ben osserva il De la Taille (Squisse du mistère de la Foi, Paris, 1924, p. 10.), « C’è già nella Cena il sacrificio del Calvario: la Cena guarda la Croce e vi consacra il divino Agnello ». È anzi per questa ragione che Nostro Signore è chiamato sacerdote secondo l’ordine di Melchisedecco; questi, infatti, aveva offerto a Dio del pane e del vino, ora appunto sotto queste stesse specie del pane e del vino il Salvatore si offre al Padre e si dà agli Apostoli. La santa Messa, che oggi si celebra sui nostri altari, è la ripetizione del sacrificio della Cena, con questa differenza che il sacerdote ora offre la vittima che fu immolata sul Calvario tanti anni fa, mentre Nostro Signore nel Cenacolo offriva la vittima che doveva essere immolata sul Calvario il domani.

B) Gesù può dunque principiare la dolorosa sua Passione; anzi deve, perché colle parole della Cena si è votato alla morte.

a) Eccolo, infatti, che varca il torrente Cedron e si apparta nell’Orto degli Ulivi. Qui si scatena nell’anima sua quella lotta terribile che è detta l’agonia dell’Orti. Gesù permette alla sua immaginazione di vivissimamente rappresentargli tutti i tormenti e le umiliazioni che patirà il giorno appresso; la sua sensibilità ne è così fieramente scossa che è invaso dalla paura, dalla nausea, dalla noia, dalla più profonda tristezza (S. Marco, XIV, 33). Ma in modo più particolare, quale capo di un corpo mistico di cui noi siamo le membra, si vede carico del peso dei nostri peccati, si sente come travolto da quella crescente marea di tutte le umane iniquità, e ciò al cospetto di quel Dio la cui santità Egli profondamente conosce: una mortale tristezza si impadronisce dell’anima sua e un sudore di sangue gli scorre pel corpo e bagna la terra. Volentieri allontanerebbe da sé quell’amaro calice! Va per due volte a cercare un poco di consolazione presso i tre suoi più cari discepoli: ahimè! li trova addormentati. A confortarlo, gli è inviato un Angelo dal cielo, il quale certamente gli rappresentò le molte anime generose che avrebbero un giorno compatito i suoi dolori; e la dolce visione gli solleva il cuore addolorato dalla chiara visione delle ingratitudini degli uomini. Si rassegna quindi una seconda volta alla volontà di Dio e dice; « Padre mio, se non può questo calice passare senza ch’io lo beva, sia fatta la tua volontà » (S. Matt., XXVI, 42).

b) E il martirio incomincia. Tradito da Giuda, rinnegato da Pietro, capo dei dodici; abbandonato da quasi tutti i discepoli; Gesù è schernito, insultato, percosso dai servi del pontefice; sentenziato reo di morte dal Sinedrio per essersi detto Figlio di Dio; condannato alla croce da Pilato che pure ne aveva pochi istanti prima proclamato l’innocenza. Flagellato, coronato di spine come re da burla, carico di pesante croce, Gesù sale penosamente il Calvario, stende sulla croce le doloranti sue membra, si sente traforare da chiodi le mani e i piedi, ode gli insulti e i motteggi degli Scribi e dei Farisei che ironicamente lo invitano a scendere dal patibolo se è davvero il Messia e il Figlio di Dio; e, in cambio di vendicarsi, come avrebbe ben potuto fare, supplica il Padre di perdonarli, perché, dice, non sanno quello che fanno (S. Luc. XXIII, 34). E che fa sull’altare della Croce il sommo sacerdote Gesù mentre il suo corpo è tormentato dai carnefici e l’anima è oppressa al pensiero che molti non trarranno vantaggio dal suo sangue così generosamente versato? Gesù rinnova l’offerta della sua vita, fatta già tante volte: « Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore dà la vita per le sue pecorelle… Nessuno me la toglie, ma sono io che la dò da me stesso; sono padrone di darla e sono padrone ,di riprenderla: questo è l’ordine che io ebbi dal Padre mio » (S. Giov. X, 11, 18), E quest’ordine Gesù eseguì così bene che può ora dire con ogni verità: « Tutto è compiuto, consummatum est » (S. Giov. XIX, 30). Sì, tutto è compiuto: i sacrifici figurativi dell’Antica Legge sono ormai sostituiti dal solo vero ed unico Sacrificio; le profezie sono avverate; avverata è specialmente la profezia d’Isaia che prediceva i patimenti e la morte dell’uomo dei dolori. Gesù ha fatto bene l’opera sua: adempì ogni giustizia; soffrì senza lamentarsi i tormenti più orribili del corpo e dell’anima; li tollerò per amore, per amore del Padre che voleva glorificare, e per amore di noi che voleva salvare. Non resta più se non ch’Ei permetta alla morte di ghermire la volontaria sua preda; e lo fa offrendosi un’ultima volta come ostia a suo Padre: « Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio: Pater, in manus tuas commendo spiritum meum » (S. Luca XXIII, 46).E spira. Dio è glorificato come non fu mai,gli uomini sono salvati. Salvati almeno in diritto;non rimane se non che, colla fede, collacarità, colle opere buone, colla frequenza dei saramenti,si approprino i meriti e le soddisfazionidel divin Redentore: sarà questa per Gesù laconsumazione del suo sacrificio e per loro la comunionecon Gesù vittima.

3° La consumazione del sacrificio e la comunione.

A) Nei sacrifici antichi, immolata la vittima, si desiderava un segno che mostrasse che l’ostia era stata accettata da Dio e che gli era riuscita gradita. Il Signore si degnava di inviare talora fuoco dall’alto a consumar la vittima, che saliva allora al cielo come sacrificio di grato odore, in odorem suavitatis. Vi fu qualche cosa di simile dopo l’immolazione del Calvario. Ma, in cambio di inviare fuoco materiale dal cielo a consumar la vittima, Dio risuscitò suo Figlio e consumò col fuoco dell’amore le imperfezioni del suo corpo mortale conferendogli in sommo grado tutte le doti dei corpi gloriosi, cosicché questo corpo, divenuto in qualche modo spirito vivificante, potesse avere sulle anime un’efficacia santificatrice 1 Specialmente nell’Eucarestia si vede questa efficacia santificatrice: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno » (S. Giovanni, VI, 54). Ecco quindi che Gesù risorto appare in modo mirabile in mezzo agli Apostoli nel Cenacolo, a porte chiuse; poi rapidamente scompare; indi torna a riapparire, sempre in modo mirabile, in diversi tempi e in diversi luoghi, onde compiere la sua missione di confermare gli Apostoli nella fede e dare ad essi tutte le spiegazioni e tutte le istruzioni necessarie intorno a un quel regno di Dio che dovevano diffondere per tutta la terra, sotto la guida e coll’aiuto dello Spirito Santo. – Passati così quaranta giorni sulla terra, spicca il volo al cielo e si asside alla destra del Padre, dove perora continuamente la nostra causa e prega continuamente per noi. Tale è la dottrina di san Paolo, il quale, dopo aver osservato che i sacerdoti antichi avevano bisogno di successori perché erano mortali, aggiunge: « Ma Gesù, perché dura in eterno, ha un sacerdozio che non si trasmette; onde può anche perfettamente salvare quelli che si accostano per suo mezzo a Dio, sempre vivo ad intercedere per loro, semper vivens ad interpellandum pro nobis » (Hebr. VII, 24). Gesù adunque continua ad essere in cielo il nostro sommo Sacerdote; e continua pure ad esservi in istato di vittima. Non che vi offra Sacrificio in quel senso che già fece sul Calvario e fa ora sui nostri altari; ma sta dinanzi al Padre come immolato per l’addietro, vi sta con le gloriose cicatrici delle sue piaghe, e con quella tal qualità di vittima che non può perdere come non può perdere quella di Sacrificatore : « Vedete, dice Bossuet (Sermon pour l’Ascension, ed. Lebarcq., t. I, p. 529,), come si appressa al trono del Padre, mostrandogli le ancor fresche ferite, tutte colorite, tutte vermiglie di quel sangue divino, di quel sangue della nuova alleanza, versato per la remissione dei nostri delitti ». Il sacrificio di Cristo inaugurato sulla terra consegue dunque nel cielo la sua consumazione, in questo senso che Gesù non solo vi riceve la ricompensa dei suoi patimenti, ma vi continua il suo ufficio di mediatore e di sacerdote, offrendosi continuamente e continuamente intercedendo per noi (Ep. Hebr., VII, 25.). E fa pure dal cielo scendere su di noi una pioggia di celesti benedizioni che ci dà modo di entrare a parte dei frutti della redenzione.

B) In certi sacrifici antichi i sacerdoti e i fedeli che avevano presentato la vittima, mangiavano una parte di questa vittima, onde entrare in comunione con essa e colla divinità a cui fra stata consacrata. Era un puro simbolo, che non si trova perfettamente avverato se non nel sacrificio offerto da Nostro Signore. Se Gesù è risalito al cielo, lo fece, secondo la sua promessa, per prepararci un posto e comunicarci intanto le innumerevoli grazie che ci ha meritate. Queste grazie noi otteniamo coi sacramenti e specialmente coll’Eucaristia, che dandoci Gesù, nostro Sacerdote e nostra Vittima, ci fa entrare in comunione coi suoi pensieri, coi suoi sentimenti interiori, colle sue virtù. Ma le otteniamo pure con quella comunione spirituale che perenna gli effetti della Comunione sacramentale col farci, in tutto il corso della giornata, pensare, parlare, operare in unione con Gesù. Di questa comunione parla san Paolo quando scrive: « La mia vita è Cristo (Gal. II, 20). Vivo, ma non più io, vive in me Cristo » (Fil. I, 21). Beate le anime che vivono a questo modo in unione abituale con Gesù sacerdote e vittima! Si vedono ben presto trasformate: in cambio di lasciarsi guidare da pensieri egoisti, dal desiderio di piacere, dalla curiosità, dalla vanità e dalla sensualità, tengono lo sguardo abitualmente fisso sul divino Sacrificatore: a Lui, a lui solo vogliono piacere; è Lui il centro dei loro pensieri e dei loro affetti; con Lui e per Lui pregano, lavorano, si sacrificano; diventano così simili a Lui e adempiono i loro doveri verso il Sommo Sacerdote.

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (15)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX “NEMO CERTE IGNORAT”

In questa lettera Enciclica, indirizzata ai Vescovi ed al clero irlandese, S. S. Pio IX, invitando alla massima coesione di fede i prelati ed i fedeli cattolici dell’Isola, li incita all’osservanza dei decreti del Concilio riunito in quella Nazione e sottoscritti dalla stessa Sede Apostolica per resistere al meglio all’azione nefasta dei nemici della Chiesa di Cristo che stavano montando in una infame marea di destabilizzazione morale e corruttela – dei giovani in particolare – e di disgregazione dell’unità dottrinale della fede cattolica. Questa muraglia, così pensata ed organizzata dal Santo Padre in ogni Nazione dell’orbe cattolico, ha però potuto resistere agli assalti esterni, e soprattutto interni, non per molto tempo, prima di essere infranta circa un secolo dopo, il 26 ottobre del 1958 con la cacciata del Pontefice canonicamente eletto (S. S. Gregorio XVII), e la successiva farsa dell’elezione di un antipapa, nella persona del massone 33° A., Roncalli, che inaugurava una linea di successione anticristica che ancora dura oggigiorno nella falsa sinagoga dell’uomo che oscura, in un’eclisse truffaldina, la vera Chiesa Cattolica Romana, l’unica Sposa senza ruga e senza macchia di Cristo, scaturita dalla ferita del suo costato.

Pio IX
Nemo certe ignorat

Nessuno certamente ignora, Venerabili Fratelli, con quale straordinaria e ferma fedeltà e venerazione verso questa Cattedra di Pietro, madre e maestra di fede di tutti i Cristiani, e con quale singolare concordia spirituale e con quale perseveranza i Presuli d’Irlanda si siano sempre preoccupati di distinguersi nel difendere il cattolicesimo e nell’adempiere all’ufficio episcopale. Da ciò consegue che essi, pur tra violente tempeste, con somma gloria del proprio nome e consolazione di questa Sede Apostolica, assolvendo coraggiosamente con sforzi congiunti il proprio ministero, hanno ben meritato della Chiesa poiché nulla hanno considerato più importante del distogliere con sollecitudine e con animo pienamente concorde i popoli della nobile Irlanda dal contagio dell’errore, e tra essi proteggere, difendere, custodire con estrema diligenza il deposito della nostra santissima fede e della verità cattolica. – Mentre Ci compiacciamo di ricordare tutto ciò con grande gioia dell’animo Nostro e con onore insigne per il Vostro Ordine, Venerabili Fratelli, non poco siamo addolorati e preoccupati per il fatto che abbiamo appreso con quali insidie il nemico antico cerchi al presente di minare e indebolire la concordia dei Vostri animi e di suscitare il dissenso. – Perciò sebbene sia radicata in Noi una tale opinione della Vostra pietà, in forza della quale non dubitiamo minimamente che Voi, opponendovi con energia alle insidie del nemico con zelo sempre crescente, combatterete con fermezza e prudenza nel campo del Signore per la causa di Dio e della Santa Chiesa, tuttavia per dovere del Nostro ministero apostolico e per il grande amore che nutriamo per Voi e per codesti fedeli non possiamo non inculcare in Voi insistentemente sentimenti di vicendevole concordia. – “Sappiamo infatti ed è evidente – Per usare le medesime parole del Nostro Antecessore S. Gregorio Magno – che la linea dell’accampamento appare terribile per i nemici quando sia raccolta e chiusa in modo che in nessun punto appaia interrotta. Infatti, se è disposta in modo che si lasci un varco attraverso il quale il nemico possa penetrare certamente, non è più terribile per i suoi avversari. Anche noi dunque, quando schieriamo l’esercito per la battaglia spirituale contro gli spiriti maligni, dobbiamo assolutamente farci trovare sempre uniti e avvinti dalla carità e non divisi mai dalla discordia, poiché, qualunque opera buona ci sia stata in noi, se manca la carità, attraverso il male della discordia si apre nel nostro schieramento un varco dal quale l’avversario potrà entrare per colpirci“. – Perciò, Venerabili Fratelli, la Nostra bocca si schiude davanti a Voi e con profondo affetto del Nostro cuore Vi confortiamo, ammoniamo, esortiamo e scongiuriamo perché uniti e vincolati sempre più da un saldissimo patto di reciproca carità nell’accrescere la gloria di Dio, nel difendere la dottrina della Chiesa Cattolica, nel propugnare i suoi diritti, nel proteggere l’integrità del gregge a Voi affidato, nello sconfiggere le insidie e gli errori degli avversari, nell’adempiere agli altri doveri del Vostro importantissimo ufficio episcopale siate sempre più unanimi, in perfetta identità di intenti e di opinioni e siate solleciti nel conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace. – E poiché nella vostra sapienza sapete benissimo quanto questa sacerdotale e fedele concordia degli animi, delle volontà e dei pensieri sia necessaria e giovi al bene della Chiesa e all’utilità dei fedeli, Noi siamo assolutamente sicuri per la Vostra esimia pietà e virtù che Voi non stimerete mai nulla più importante non solo dell’alimentare sempre più tale concordia tra di Voi, ma anche del difenderla maggiormente ed accrescerla specialmente con gli altri Venerabili Fratelli di Inghilterra e con i Presuli di Scozia. – Sapete bene infatti che Voi ed Essi, con unico e identico zelo religioso e sotto il presidio della mutua carità, dovete con ogni sforzo dedicarvi al perfezionamento dei fedeli nell’opera del ministero, per l’edificazione del Corpo di Cristo, e che di nulla dovete maggiormente preoccuparvi quanto di compiere con energie congiunte, sotto la guida di questa Sede Apostolica, tutto ciò che serve a promuovere la gloria di Dio e la salvezza eterna degli uomini. Per parte Nostra, Venerabili Fratelli, tanto più confidiamo che sarete sempre solleciti di tale concordia perché ricordiamo certo con grande gioia dell’animo Nostro quale sia stata la Vostra unanimità nel sottoscrivere gli atti del Sinodo da Voi tutti celebrato a Thurles nel 1850 per la difesa degli interessi della Chiesa Cattolica in Irlanda. E volendo richiamare rapidamente un punto riguardante quel Sinodo, ricorderete, Venerabili Fratelli, la lettera a Noi inviata da dodici di Voi dopo la celebrazione del Sinodo l’11 settembre dello stesso anno 1850, e sottoscritta anche dal Venerabile Fratello Daniele Arcivescovo di Dublino, da poco scomparso con Nostro dolore: lettera nella quale si trattava specialmente di codesti cosiddetti Collegi della Regina, e non ignorate i Decreti da Noi emessi, dopo matura riflessione, attraverso la Nostra Congregazione preposta alla Propagazione della Fede. Peraltro, poiché riteniamo opportuno e ardentemente desideriamo che Voi tutti conosciate in quali termini abbiamo scritto al suddetto Arcivescovo di Dublino su questa importantissima questione nella Nostra lettera personale del 17 novembre dell’anno scorso, abbiamo ritenuto di rendervi note con questa Nostra lettera le stesse parole che abbiamo usato e che sono le seguenti: “Per quanto riguarda i Collegi della Regina, di cui parli nella tua ricordata lettera, sii certo che Ci è stato graditissimo sapere che Tu, Venerabile Fratello, dopo i decreti emessi da questa Sede Apostolica su una questione di tanta importanza, hai dichiarato con animo prontissimo di ubbidire a tali Decreti. E siamo convinti che non solo darai sollecita esecuzione ai Decreti stessi, ma provvederai anche con ogni azione, sollecitudine e zelo perché i medesimi Decreti siano onorati con l’ossequio dovuto e siano sollecitamente messi in pratica con ogni impegno da quei Presuli dai quali abbiamo ricevuto la lettera dell’11 settembre dell’anno scorso, da Te pure sottoscritta. Questi Decreti invero Ci sono stati sempre molto a cuore e ardentemente desideriamo e vogliamo che siano da tutti osservati con ogni diligenza e scrupolo poiché in essi si tratta della difesa della dottrina cattolica; cosa, questa, di cui nulla può e deve essere per Noi più importante“. – Da ciò facilmente intendete come quel Venerabile Fratello sia stato da Noi esortato ed incitato ad applicare tutte le sue forze perché quei Decreti fossero sia da lui sia dagli altri rispettati con ogni diligenza. Ma poiché Egli, impedito dalla morte, forse non ha potuto portare a compimento ciò che era nei Nostri voti, Noi stessi con la maggiore possibile insistenza, più e più volte ripetutamente raccomandiamo e ripetiamo insistentemente a Voi tutti che, per la Vostra devozione, i Decreti sopra ricordati siano con ogni diligenza osservati da tutti. – Certo a nessuno di Voi, Venerabili Fratelli, è ignoto che gli Atti e Statuti del Sinodo da Voi celebrato a Thurles, dopo maturo esame, sono stati da Noi approvati con alcuni emendamenti fin dal giorno 23 maggio dell’anno scorso, con un Decreto emesso dalla richiamata Nostra Congregazione preposta alla Propagazione della Fede e confermato dalla Nostra suprema Autorità. Poiché dunque abbiamo deciso di approvare, confermare e sancire nuovamente i medesimi Atti e Statuti con i menzionati emendamenti, in forma più solenne per mezzo di Nostra Lettera Apostolica con il sigillo dell’Anello del Pescatore in data 23 di questo mese, sarà compito della Vostra sollecitudine episcopale vegliare con ogni cura e zelo che essi siano considerati definiti e perfetti e da tutti osservati con la massima diligenza. Mentre dunque Vi tributiamo il meritato elogio per il fatto che nel ricordato Concilio di Thurles, solleciti, tra l’altro, per la sana educazione cattolica della gioventù, avete deciso con provvida saggezza di concordare i Vostri propositi e di istituire quanto prima una Università Cattolica irlandese nella quale i giovani, senza pericolo per la fede cattolica, vengano istruiti nelle umane lettere e nelle più severe discipline, Vi incitiamo, Venerabili Fratelli, a non volere risparmiare cure e zelo affinché questa opera utilissima sia condotta alla realizzazione desiderata con la maggiore rapidità possibile. Per questa ragione, assecondando molto volentieri le Vostre richieste, con la Nostra predetta Lettera Apostolica abbiamo approvato con grande gioia dell’animo Nostro l’istituzione della Università Cattolica di cui trattasi. E molto Ci siamo rallegrati quando abbiamo saputo che i fedeli d’Irlanda con tanta alacre pietà e liberalità sono venuti incontro a questi Vostri eccellenti progetti, in modo che già si sono procurati consistenti aiuti per questo fine. Perciò, mentre calorosamente Ci congratuliamo con Voi e con i fedeli stessi, concepiamo rinnovata speranza che questa Università Cattolica, con l’aiuto di Dio, sia quanto prima eretta con esito prospero e felice secondo i Nostri e Vostri desideri. – Ora dunque, siccome non vi è nulla, come Voi, Venerabili Fratelli, avete accertato e verificato, che maggiormente educhi gli altri alla pietà e al culto assiduo di Dio quanto la vita e l’esempio di coloro che si sono dedicati al ministero divino, non tralasciate mai di impegnare ogni Vostra iniziativa e attività perché tutti i chiamati al servizio del Signore, memori della loro vocazione e del loro ufficio rifuggano assolutamente da ciò che è vietato ai Chierici e che ad essi non si addice affatto, e siano di esempio ai fedeli nella parola, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella castità affinché dimostrino un decoroso atteggiamento sacerdotale coerente con il loro ordine e la loro dignità, e assolvano con pietà e convenienza i compiti del loro ministero, affinché amministrino ai fedeli con lo scrupolo, il decoro e la cura adeguata i Santissimi Sacramenti della Chiesa, per mezzo dei quali ogni vera giustizia ha inizio, e se iniziata viene accresciuta, e se perduta viene riacquistata; affinché attendano assiduamente alla preghiera e coltivino con diligenza lo studio, specialmente delle sacre discipline, e sotto la Vostra guida si dedichino con grande zelo alla salvezza delle anime. – Ognuno di Voi sa benissimo quanto sia importante per la Chiesa, soprattutto in tempi tanto avversi, avere Ministri idonei, che non possono derivare se non da Chierici ottimamente formati. Perciò, Venerabili Fratelli, non desistete mai dal dedicare tutte le vostre cure e i vostri pensieri con indefesso zelo a questo fine, che cioè i giovani Chierici fin dai primi anni siano tempestivamente educati ad ogni pietà, virtù e spirito ecclesiastico, e siano accuratamente istruiti sia nelle umane lettere, sia nelle più severe discipline, specialmente quelle sacre, lontano da ogni pericolo di novità profana e di errore, in modo che rifulgano dell’ornamento di tutte le virtù, e protetti dal presidio di salutare e solida dottrina siano in grado a tempo opportuno di ammaestrare con la parola e con l’esempio il popolo cristiano e confutare i contradditori. – Ecco, Venerabili Fratelli, ciò che per l’intenso affetto verso di Voi e codesti fedeli abbiamo ritenuto di dovere indicarvi con questa lettera, e certo non dubitiamo Vi onoriate di corrispondere pienamente ai Nostri desideri. La Vostra fedeltà, la Vostra pietà e la Vostra venerazione verso di Noi e questa Sede Apostolica e la Vostra virtù episcopale e sollecitudine sono tali che confidiamo senza riserve che Voi, uniti da un sempre più stretto vincolo di carità e con identico sentimento reciproco, non lascerete mai nulla di intentato perché, con l’aiuto della grazia divina, continuiate con zelo sempre crescente ed ogni costanza e prudenza a opporre un muro a difesa della casa di Israele e a tenere lontano da pascoli avvelenati il gregge affidato alla Vostra cura, e a indirizzarlo verso pascoli salutari, e a ricondurre su sentieri di verità e giustizia i miseri erranti, e a tentare ogni mezzo perché tutti crescano nella scienza di Dio e nella conoscenza del Nostro Signore Gesù Cristo. Noi, frattanto, in umiltà di cuore non tralasciamo in ogni preghiera e supplica, unite al ringraziamento, di implorare il Padre clementissimo delle misericordie perché sempre effonda propizio su di Voi i più fecondi doni della sua Bontà, nella preghiera che tali doni discendano copiosamente anche sulle dilette pecore a Voi affidate. – E come auspicio di questo celeste presidio e pegno del Nostro ardentissimo affetto verso di Voi, ricevete la Benedizione Apostolica che dall’intimo del cuore e unita al voto di ogni vera felicità impartiamo molto amorevolmente a Voi, Venerabili Fratelli, e a tutti i Chierici e Laici fedeli affidati alla Vostra fede.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 marzo 1852, anno sesto del Nostro Pontificato.

DOMENICA IV DOPO PENTECOSTE (2022)

DOMENICA IV DOPO PENTECOSTE (2021)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Il pensiero che domina tutta la liturgia di questo giorno è la fiducia in Dio in mezzo alle lotte e alle sofferenze di questa vita. Essa appare nella lettura della storia di David nel Breviario e da un episodio della vita di S. Pietro, di cui è prossima la festa. Quando Dio scacciò Saul per il suo orgoglio, disse a Samuele di ungere come re il più giovane dei figli di Jesse, che era ancora fanciullo. E Samuele l’unse, e da quel momento lo Spirito di Dio di ritirò da Saul e venne su David. Allora i Filistei che volevano ricominciare la guerra, riunirono le loro armate sul versante di una montagna; Saul collocò il suo esercito sul versante di un altra montagna in modo che essi erano separati da una valle ove scorreva un torrente. E usci dal campo dei Filistei un gigante, che si chiamava Golia. Esso portava un elmo di bronzo, una corazza a squame, gambiere di bronzo e uno scudo di bronzo che gli copriva le spalle; aveva un giavellotto nella bandoliera e brandiva una lancia il cui ferro pesava seicento sicli. E sfidando Israele: « Schiavi di Saul, gridò, scegliete un campione che venga a misurarsi con me! Se mi vince, saremo vostri schiavi, se lo vinco io, voi sarete nostri schiavi » – Saul e con lui tutti i figli d’Israele furono allora presi da spavento, Per un po’ di giorni il Filisteo si avanzò mattina e sera, rinnovando la sua sfida senza che nessuno osasse andargli incontro. Frattanto giunse al campo di Saul il giovane David, che veniva a trovare i suoi fratelli, e quando udì Golia e vide il terrore d’Israele, pieno di fede gridò: « Chi è dunque questo Filisteo, questo pagano che insulta l’esercito di Dio vivo? Nessuno d’Israele tema: io combatterò contro il gigante ». « Va, gli disse Saul, e che Dio sia con te! » David piese il suo bastone e la sua fionda, attraversa il letto del torrente, vi scelse cinque ciottoli rotondi e si avanzò arditamente verso il Filisteo. Golia vedendo quel fanciullo, lo disprezzò: « Sono forse un cane, che vieni contro di me col bastone? » E lo maledisse per tutti i suoi dèi. David gli rispose: « Io vengo contro di te in nome del Dio d’Israele, che tu hai insultato: oggi stesso tutto il mondo saprà che non è né per mezzo della spada, né per mezzo della lancia, che Dio si difende: Egli è il Signore e concede la vittoria a chi gli piace ». Allora il gigante si precipitò contro David: questi mise una pietra entro la sua fionda e dopo averla fatta girare la lanciò contro la fronte del gigante, che cadde di colpo a terra. David piombò su di lui e tratta dal fodero la spada di Golia, Io uccise tagliandogli la testa che innalzò per mostrarla ai Filistei. A questa vista i Filistei fuggirono e l’esercito di Israele, innalzato il grido di guerra li insegui e li massacrò. « I figli d’Israele, commenta S. Agostino, si trovavano da quaranta giorni di fronte al nemico. Questi quaranta giorni per le quattro stagioni e per le quattro parti del mondo, significano la vita presente durante la quale il popolo cristiano non cessa mai dal combattere Golia e il suo esercito, cioè satana e i suoi diavoli. Tuttavia questo popolo non avrebbe potuto vincere se non fosse venuto il vero David, Cristo col suo bastone, cioè col mistero della croce. David, infatti, che era la figura di Cristo, usci dalle file, prese in mano il bastone e marciò contro il gigante: si vide allora rappresentata nella sua persona ciò che più tardi si compi in N. S. Gesù Cristo. Cristo, infatti, il vero David, venuto per combattere il Golia spirituale, cioè il demonio, ha portato da sé la sua croce. Considerate, o fratelli, in qual luogo David ha colpito Golia: in fronte ove non c’era il segno della croce; cosicché mentre il bastone significava la croce, cosi pure quella pietra con la quale è colpito Golia rappresentava Cristo Signore. » (2° Notturno). Israele è la Chiesa, che soffre le umiliazioni che le impongono i nemici. Essa geme attendendo la sua liberazione (Ep.), invoca il Signore, che è la fortezza per i perseguitati (All.), « Il Signore che è un rifugio e un liberatore » (Com.), affinché le venga in aiuto « per paura che il nemico gridi: Io l’ho vinta » (Off.). E con fiducia essa dice: « Vieni in mio aiuto, o Signore, per la gloria del tuo nome, e liberami » (Grati.). « Il Signore è la mia salvezza, chi potrò temere? Il Signore è il baluardo della mia vita, chi mi farà tremare? Quando io vedrò schierato contro di me un esercito intero, il mio cuore sarà senza paura. Sono i miei persecutori e i miei nemici che vacillano e cadono » (Intr.). Cosi sotto la guida della divina Provvidenza, la Chiesa serve Dio con gioia in una santa pace (Or.); il che ci viene mostrato dal Vangelo scelto in ragione della prossimità della festa del 29 giugno. Un evangeliario di Wurzbourg chiama questa domenica, Dominica ante natalem Apostolorum. Infatti è la barca di Pietro che Gesù sceglie per predicare, è a Simone che Gesù ordina di andare al largo, ed è infine Simone, che, dietro l’ordine del Maestro, getta le reti, che si riempiono in modo da rompersi; infine è Pietro che, al colmo dello stupore e dello spavento, adora il Maestro ed è scelto da Lui come pescatore d’uomini. « Questa barca, commenta S. Ambrogio, ci viene rappresentata da S. Matteo battuta dai flutti, da S. Luca ripiena di pesci; il che significa il periodo di lotta che la Chiesa ebbe al suo sorgere e la prodigiosa fecondità successiva. La barca che porta la sapienza e voga al soffio della fede non corre alcun pericolo: e che cosa potrebbe temere avendo per pilota Quegli che è la sicurezza della Chiesa? Il pericolo s’incontra ove è poca fede; ma qui è sicurezza poiché l’amore è perfetto » (3° Nott.). Commentando il brano di Vangelo molto simile a questo (vedi mercoledì di Pasqua) ove S. Giovanni racconta una pesca miracolosa, che ebbe luogo dopo la Resurrezione del Salvatore, S. Gregorio scrive: « che cosa significa il mare se non l’età presente nella quale le lassitudini e le agitazioni della vita corruttibile assomigliano a flutti che senza tregua si urtano e si spezzano? Che cosa rappresenta la terra ferma della riva, se non la eternità del riposo d’oltre tomba? Ma poiché i discepoli si trovavano ancora in mezzo ai flutti della vita mortale, si affaticano sul mare, mentre il Signore, che si era spogliato della corruttibilità della carne, dopo la Risurrezione era sulla riva » (3° Notturno del mercoledì di Pasqua). In S. Matteo il Signore paragona « il regno dei cieli a una rete gettata in mare che raccoglie ogni sorta di pesci. E quando è piena, i pescatori la tirano a riva e prendono i buoni e rigettano i cattivi ». Orsù, coraggio: mettiamo tutta la nostra confidenza in Gesù. Egli ci salverà, mediante la Chiesa, dagli attacchi del demonio, come salvò per mezzo di David l’esercito d’Israele che temeva il gigante Golia.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI: 1; 2 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt.

[Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.] Ps XXVI:3

Si consístant advérsum me castra: non timébit cor meum.

[Se anche un esercito si schierasse contro di me: non temerà il mio cuore.]

Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt.

[Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.]

Oratio

Orémus.

Da nobis, quæsumus, Dómine: ut et mundi cursus pacífice nobis tuo órdine dirigátur; et Ecclésia tua tranquílla devotióne lætétur.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Signore, che le vicende del mondo, per tua disposizione, si svolgano per noi pacificameìnte, e la tua Chiesa possa allietarsi d’una tranquilla devozione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom VIII: 18-23.

“Fratres: Exístimo, quod non sunt condígnæ passiónes hujus témporis ad futúram glóriam, quæ revelábitur in nobis. Nam exspectátio creatúræ revelatiónem filiórum Dei exspéctat. Vanitáti enim creatúra subjécta est, non volens, sed propter eum, qui subjécit eam in spe: quia et ipsa creatúra liberábitur a servitúte corruptiónis, in libertátem glóriæ filiórum Dei. Scimus enim, quod omnis creatúra ingemíscit et párturit usque adhuc. Non solum autem illa, sed et nos ipsi primítias spíritus habéntes: et ipsi intra nos gémimus, adoptiónem filiórum Dei exspectántes, redemptiónem córporis nostri: in Christo Jesu, Dómino nostro”.

[“Fratelli: Ritengo che i patimenti del tempo presente non hanno proporzione con la gloria futura, che deve manifestarsi in noi. Infatti il creato attende con viva ansia la manifestazione dei figli di Dio. Poiché il creato è stato assoggettato alla vanità non di volontà sua; ma di colui che ve l’ha assoggettato con la speranza che anch’esso creato sarà liberato dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo, invero, che tutta quanta la creazione fino ad ora geme e soffre le doglie del parto. E non solo essa, ma anche noi stessi, che abbiamo le primizie dello Spirito, anche noi gemiamo in noi stessi attendendo l’adozione dei figliuoli di Dio, cioè la redenzione del nostro corpo”].

IL RE DELLA MUNIFICENZA.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

L’epistola d’oggi comincia con una frase celebre del grande Apostolo San Paolo. Già di queste frasi San Paolo ce ne ha lasciate molte. Era anche, umanamente parlando, uno scrittore così poderoso! « I dolori del tempo non sono proporzionati alle gioie dell’eternità » o più alla lettera « le sofferenze di questo mondo non sono coadeguate alla futura gloria che in noi dovrà manifestarsi ». – Se c’è un uomo che abbia molto faticato e sofferto a questo mondo, è proprio lui, San Paolo. Faticato più di tutti i suoi colleghi, lo dice lui con ispirato accento; e scusate se è poco! E pari alle fatiche i dolori ineffabili del suo apostolato, irto di difficoltà materiali, di morali contraddizioni; una vita così angosciosa da parere una morte, da poter egli chiamarla tale. « Quotidie morimur » E non crediamo, che Paolo non sentisse tutto questo peso e tutte queste punture: era un forte, non era un insensibile. Anzi la sua era una sensibilità squisita. Soffriva atrocemente. Soffriva quando esercitava l’apostolato con quella sua foga impetuosa, soffriva quando era costretto all’inazione — a starsene, anche lui, uomo di azione, di zelo, « le braccia al sen conserte ». In tutto questo martirio apostolico, apostolato martirizzatore, c’era un conforto per S. Paolo, il vero, il grande conforto. Guardava in su, “i0 guardava in là”. Tutto questo martirio doveva finire a trasformarsi: alla lotta doveva subentrare la vittoria, alla fatica il riposo, al patimento la gioia, alla umiliazione la gloria. L’Apostolo vi guarda con una fede inconcussa, che diviene speranza irremovibile. E trova che il premio sperato e promesso, promesso e sperato, è di gran lunga superiore alla posta che si richiede. « Non sunt condigno passiones huius temporis ad futuram gloriam que revelabitur în nobis; » parole auree che ciascun fedele può e deve ripetere per conto proprio, soggetto com’è ai dolori della prova, aperto come deve essere alla speranza del premio.Ma dunque, dirà qualcuno più saputello, ma dunque San Paolo è un calcolatore? che impiega il suo capitale al 100 per uno? anzi all’infinito per uno? e di questo buon affare egoisticamente si compiace? e lo predica perché buono a tutti? Adagio alle conseguenze stiracchiate… Ben diversa da quella del calcolatore avido ed egoista, la figura spirituale di San Paolo e di quanti ripetono fidenti il suo gesto e la sua parola! Paolo è un innamorato di Dio del quale sa due cose; che Egli chiede ai suoi figliuoli e ai suoi soldati parecchio, che Egli darà loro moltissimo. Questa ricompensa Paolo non può non accettarla; ma accettandola, accettandola come ricompensa divina alla fatica umana, poiché è ricompensa, e Dio vuol che lo sia, accettandola dunque così, San Paolo vuole sentirla ancora più come una misericordia che una giustizia; vuol sentire nel Dio rimuneratore il Dio generoso. E il mezzo logico per rimanere in quella forma di sentimento è presto trovato. Pur meritandolo, nel senso che bisogna porre noi le condizioni « sine qua non » del premio che i desiderî avanza, il premio rimane sempre più un dono che un premio; premio per un decimo, dono per novantanove centesimi. Dio va con la sua ricompensa ben al di là del punto dove arriverebbero i nostri meriti. Tra il nostro «facere et pati» e il suo rimunerare non c’è proporzione, questo supera a dismisura quello. E ciò perché Dio è Dio e lo sarà sempre, è il Re della munificenza, della magnificenza. Re e Padre ha benignamente mascherato e maschera (prendete la parola con un po’ di grano di sale) il suo dono finale con la giustizia di un premio « corona justitiæ, » ma ha pagato e paga il suo premio con la esattezza del matematico e la tirchieria del mercante, colla generosità del principe. A noi l’essergli, come Padre, di ciò doppiamente grati.

Graduale

Ps LXXVIII: 9; 10 Propítius esto, Dómine, peccátis nostris: ne quando dicant gentes: Ubi est Deus eórum?

V. Adjuva nos, Deus, salutáris noster: et propter honórem nóminis tui, Dómine, líbera nos.

[Sii indulgente, o Signore, con i nostri peccati, affinché i popoli non dicano: Dov’è il loro Dio?

V. Aiutaci, o Dio, nostra salvezza, e liberaci, o Signore, per la gloria del tuo nome.]

Allelúja

Alleluja, allelúja Ps IX: 5; 10 Deus, qui sedes super thronum, et júdicas æquitátem: esto refúgium páuperum in tribulatióne. Allelúja

[Dio, che siedi sul trono, e giudichi con equità: sii il rifugio dei miseri nelle tribolazioni. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam. Luc. V: 1-11

In illo témpore: Cum turbæ irrúerent in Jesum, ut audírent verbum Dei, et ipse stabat secus stagnum Genésareth. Et vidit duas naves stantes secus stagnum: piscatóres autem descénderant et lavábant rétia. Ascéndens autem in unam navim, quæ erat Simónis, rogávit eum a terra redúcere pusíllum. Et sedens docébat de navícula turbas. Ut cessávit autem loqui, dixit ad Simónem: Duc in altum, et laxáte rétia vestra in captúram. Et respóndens Simon, dixit illi: Præcéptor, per totam noctem laborántes, nihil cépimus: in verbo autem tuo laxábo rete. Et cum hoc fecíssent, conclusérunt píscium multitúdinem copiósam: rumpebátur autem rete eórum. Et annuérunt sóciis, qui erant in ália navi, ut venírent et adjuvárent eos. Et venérunt, et implevérunt ambas navículas, ita ut pæne mergeréntur. Quod cum vidéret Simon Petrus, prócidit ad génua Jesu, dicens: Exi a me, quia homo peccátor sum, Dómine. Stupor enim circumdéderat eum et omnes, qui cum illo erant, in captúra píscium, quam céperant: e simíliter autem Jacóbum et Joánnem, fílios Zebedaei, qui erant sócii Simónis. Et ait ad Simónem Jesus: Noli timére: ex hoc jam hómines eris cápiens. Et subdúctis ad terram návibus, relictis ómnibus, secuti sunt eum”.

(“In quel tempo mentre intorno a Gesù si affollavano le turbe per udire la parola di Dio, Egli se ne stava presso il lago di Genesaret. E vide due barche ferme a riva del lago; e ne erano usciti i pescatori, e lavavano le reti. Ed entrato in una barca, che era quella di Simone, richiese di allontanarsi alquanto da terra. E stando a sedere, insegnava dalla barca alle turbe. E finito che ebbe di parlare, disse a Simone: Avanzati in alto e gettate le vostre reti per la pesca. E Simone gli rispose, e disse: Maestro, essendoci noi affaticati per tutta la notte, non abbiamo preso nulla; nondimeno sulla tua parola getterò La rete. E fatto che ebbero questo, chiusero gran quantità di pesci: e si rompeva la loro rete. E fecero segno ai compagni, che erano in altra barca, che andassero ad aiutarli E andarono, ed empirono ambedue le barchette, di modo che quasi si affondavano. Veduto ciò Simon Pietro, si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: Partiti da me, Signore, perché io con uomo peccatore. Imperocché ed egli, e quanti si trovavano con Lui, erano restati stupefatti della pesca che avevano fatto di pesci. E lo stesso era di Giacomo e di Giovanni, figliuoli di Zebedeo: compagni di Simone. E Gesù disse a Simone: Non temere, da ora innanzi prenderai degli uomini. E tirate a riva le barche, abbandonata ogni cosa, lo seguitarono”).

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956).

IL CRISTIANO VERO

« Le volpi hanno la loro tana e gli uccelli il loro nido: soltanto il Figliuol dell’uomo non ha neppure un sasso dove posare la guancia ». Uno dei discepoli, ch’era appena venuto alla sequela di Gesù, attirato forse da chi sa quali miraggi di gloria e di ricchezza, si spaventò a questa rude professione di povertà che il Maestro faceva in faccia a tutti. Dunque, pensava, anch’io per essere suo seguace dovrò privarmi di tutto, rinunziare a tutto: dovrò essere più povero delle volpi, più povero degli uccelli ». Ed a questa considerazione il coraggio gli venne meno, ed escogitò un pretesto per fuggirsene via. « Maestro! a casa mia ho lasciato un padre vecchio, e forse ora è già infermo: permetti ch’io vada ad assisterlo fin tanto che chiuda gli occhi nel sonno della morte, poi ritornerò ». Ma Gesù, che vedeva la viltà della sua anima, gli rispose: « Lascia che i morti supelliscano i morti ». (Mt., VIII, 22). Nel Vangelo di questa domenica è narrato invece un episodio che magnificamente contrasta con quello che vi narrai. Gesù da una barca aveva parlato al popolo raccolto sulla riva pietrosa del lago, poi disse al padrone della navicella che era Simon Pietro: « Guadagna il largo e getta le reti per pescare ». Simone e gli altri ch’eran con lui risposero: — Maestro, tutta notte abbiam lavorando senza prendere nulla: ma, poiché tu lo comandi, noi getteremo ancora le reti. E fu un colpo così fortunato, che le maglie minacciavano di rompersi. Simon Pietro, cadendo in ginocchio, gridò: « Signore, ritirati da me che sono un miserabile ». Anche Andrea, Giacomo e Giovanni erano stupiti. Gesù allora disse: « Lasciate le reti e seguitemi che vi farò pescatori d’uomini » Fu un impeto di volontà e di entusiasmo che assalì i quattro pescatori in quel momento. Tirarono a secco le barche, e abbandonando sulla riva le reti, le vele e perfino i pesci del miracolo, andarono dietro a Lui. Relictis omnibus, secuti sunt eum. Quale vi par che sia il vero Cristiano? Quel giovane che ebbe paura della povertà di Cristo e cercò di fuggirsene via, o questi quattro uomini che hanno lasciato, senza rimpiangere, e la famiglia e i compagni e tutta la loro sostanza sulla riva del lago? Questi, soltanto questi sono i veri Cristiani. Cristiano è solo colui che s’è distaccato dalle cose terrene in mezzo a cui vive, e segue le orme di Gesù. Relictis omnibus, secuti sunt eum. Vediamo dunque se noi siamo dei veri Cristiani, o se invece siamo Cristiani soltanto perché ci han battezzati da piccoli, mentre tutta la nostra vita è contro Cristo e il suo Vangelo. – 1. DISTACCO DELLE COSE TERRENE. Giuseppe Flavio, lo storico dei Giudei, narra di Mosè fanciullo una mirabile cosa. La figlia del Faraone che si chiamava Termutis non aveva figliuoli e desiderando aver successori al trono, presentò a suo padre il piccolo Mosè, che ella aveva salvato dalle acque del Nilo e gli chiese che in mancanza d’ereditari diretti e riconosciuti dalla legge, volesse riguardare come erede della corona quel fanciullo ebreo. Faraone accolse con bontà il voto della figlia e subito, per gioco, pose la corona d’oro sulla fronte del piccolo Mosè. Questi corrugò la fronte, e quasi quella corona gli scottasse in giro alla tempia, se la strappò dal capo, la gettò per terra, e la calpestò coi suoi piedini. Iddio forse già gli faceva sentire nel cuore la sua voce, quella voce che lo avrebbe chiamato a salvare il popolo oppresso e a condurlo nella terra promessa. Guai se Mosè si fosse lasciato abbagliare dallo splendore di quell’oro e di quelle gemme! Guai se si fosse lasciato sedurre dalle seducenti mollezze della corte del re! Il popolo di Israele sarebbe rimasto nella brutale schiavitù, e Mosè stesso non sarebbe diventato il gran condottiero, ma avrebbe sciupato la sua vita come un ignavo cortigiano. Anche il mondo cerca di allettarci ponendo davanti a noi la corona de’ suoi beni: sono gli onori, sono le ricchezze, sono i piaceri. Non lasciamoci ingannare: il mondo è un traditore. Egli ci accarezza, ma per ingannarci, egli ci attrae, ma per ucciderci. Blanditur ut fallat, allicit ut occidat (San Cipriano). Il libro della Sapienza ha paragonato i beni del mondo alla spuma del mare: come la spuma del mare essi sono amari, come la spuma del mare essi sono fugaci. Sono amari: fingete un uomo affamato che volesse saziarsi di fieno. Arriverà egli a soddisfarsi di un tale alimento e quietar la sua fame? ma, anzi ne proverà acerbi dolori; perché il fieno è un cibo adatto allo stomaco di un giumento, ma non a quello di un uomo. Ora come lo stomaco non può saziarsi di fieno, perché non è pasto conforme alla sua natura, così l’anima nostra non potrà mai saziarsi dei beni meschini di questa terra. L’anima nostra non si quieta se non in Dio e nell’amor di Dio, tutto il resto le è amarezza e afflizione. Sono fugaci: ma supposto anche che le cose di quaggiù ci potessero rendere lieti, fino a quando noi le potremo godere? Come un’acqua che fugge, come un’ombra che passa, come un sogno che svanisce, così sono le gioie di questo mondo. E quelli che vi si attaccano rimarranno a mani vuote. Noi ci affanniamo notte e giorno per far danari, per ottenere quell’onore, per soddisfare quella passione; dite, che sarà di tutto questo fra venti, fra trent’anni o fors’anche domani, quando la morte ci strapperà via da queste miserie? O uomini, esclamava il Salmista, perché vi rodete il cuore per beni falsi? Perché correte dietro alla vanità? Filii hominum usquequo gravi corde? ut quid diligitis vanitatem et quæritis mendacium? (Ps., IV, 3). – 2. SEGUIRE GESÙ. Alessandro Magno era venuto a sapere che nel suo esercito v’era un soldato di nome Alessandro, che non voleva più avanzare con lui perché aveva paura della guerra. L’imperatore macedone lo fece chiamare e gli disse: « Tu disonori il mio nome. Se vuoi portare il nome del tuo re, come lui devi essere valoroso, come lui devi lanciarti nella battaglia, con lui, dovunque egli vada, tu devi correre. Altrimenti cambia quel nome glorioso che non ti si addice e prendine un altro ». Il medesimo rimprovero, e forse più acerbo, potrebbe ripetere Gesù a molti Cristiani: « Vi chiamate Cristiani e perché allora non seguite Cristo che è il vostro imperatore? Perché avete paura di patire quello che Egli innanzi a voi patì? Perché disprezzate quello che Egli ama, e amate quello che Egli disprezza? Se siete veri Cristiani, fate le opere di Cristo, seguitelo dovunque Egli vada ». Il Cristiano dunque è colui che pur vivendo nel mondo, si distacca dalle cose mondane per seguire Cristo. Seguire Cristo significa rendersi simili a Lui. Gesù nacque povero entro una stalla, visse povero in una bottega, morì povero e nudo su d’una croce. Se vuoi essere Cristiano, non devi porre nella ricchezza il fine di tua vita, non devi disprezzare la povertà, ma amarla. Gesù fu generoso: donava parole di conforto agli afflitti, donava carezze ai bambini, donava la salute agli infermi, donò il paradiso a un ladro, donò il suo sangue e la sua vita per noi. Se vuoi essere Cristiano vero, tu pure devi essere generoso col tuo prossimo: perdonare le offese, aiutarlo quando è affaticato, assisterlo quando è malato, soccorrerlo quando è nella miseria. Gesù fu paziente: patì il freddo, la fame, la sete, la stanchezza, la povertà. Fu calunniato, accusato, percosso, crocifisso, e non aperse la sua bocca divina neppure a un lamento. E come puoi pretendere d’essere un Cristiano se continuamente ti lamenti delle tue croci, se bestemmi la Provvidenza, se non ti vuoi rassegnare alla sua volontà? Chi mi vuol seguire — ha detto Gesù — rinneghi le sue passioni e porti in pace la sua croce ». – Essere Cristiano significa credere che l’unica cosa necessaria al mondo è salvare la propria anima. Per salvarci l’anima Cristo s’incarnò, patì sotto Ponzio Pilato, risuscitò. Per salvarci l’anima Cristo istituì la S. Chiesa, e i Sacramenti, e vive perennemente in mezzo a noi nel santo Tabernacolo. Dunque: essere ricchi, guadagnare molto, acquistare titoli e gloria non conta niente: esseri sani, amati, giovani, belli, non conta niente. L’anima è tutto. Dice un’espressiva leggenda che un ricchissimo e sapiente uomo aveva un giorno noleggiato una vecchia barca col suo più vecchio barcaiolo per godersi una gita sul lago. Lui vestito di nero, elegantissimo, con tirata attraverso il petto una grossa catena d’oro e di gemme, teneva in mano un libro di filosofia. Il barcaiolo, con nude le braccia e il collo di bronzo, con la camicia stracciata, puntava i remi nell’acqua con sicurezza e vigore, Durante la traversata, il ricco cominciò a parlare. Hai visto qualche volta il carnevale di Venezia, con la sua ricchezza, con la sua pazza allegria? Non hai mai avuto tu la fortuna di avere un palazzo in quella città stupenda? ». Il barcaiolo sgranò gli occhi, sognando dietro a quella visione di piacere, e poi scrollando il capo rispose: « No ». « Infelice! » aggiunse l’altro « tu hai perso un quarto della tua vita. Ma, senti: «Hai studiato tu le letterature straniere, hai provato tu l’intima gioia che l’anima gusta leggendo i capolavori del genio umano? ». Il barcaiolo non comprende e scrolla il capo: « No ». « Infelice! hai perso metà della tua vita ». Intanto s’era annuvolato, e la breva soffiava gagliarda. « Senti – disse ancora l’uomo ricco e dotto – tu non hai mai avuto l’onore di vedere il re, di parlare con lui, di mangiare alla sua mensa tra l’invidia di una folla intera? » « No ». « Allora tu hai perso tre quarti della tua vita ». Erano ancora in mezzo al lago e scoppiò secco, fragoroso, orribile, il primo tuono. La tempesta era sopra alla vecchia barcaccia e la squassava. I remi nello sforzo supremo si schiantarono. Il barcaiolo vecchio e povero si voltò all’uomo ricco e sapiente e afferrandolo per un braccio gli gridò: « Sai nuotare? ». « No ». « Infelicissimo! Hai perso tutta la vita ». E subito si slanciò nell’acqua e riuscì a toccare la sponda: l’altro calò in fondo al lago. – Quando la tempesta della morte incoglierà la nostra fragile barchetta che attraversa il lago della vita, che ci varranno allora i beni di quaggiù? Dite, o avari, che ne farete delle vostre ricchezze? Dite, o superbi, che ne farete dei vostri onori? Dite, o disonesti, che ne farete delle vostre passioni? A picco scenderete, affogando in fondo all’inferno. Ma il Cristiano vero che avrà seguito Cristo con fede e con abnegazione, che avrà vissuto per la sua anima immortale, spiccherà il nuoto e toccherà felicemente la sponda del paradiso. — SARAI PESCATORE D’UOMINI. Quella mattina la turba era così numerosa che Gesù, per far sentire a tutti la sua parola, dovette portarsi sul lago. Lungo la spiaggia sabbiosa due barchette, di ritorno dalla pesca notturna, erano là ferme mentre i pescatori stavano lavando le reti. Proprio la barca di Pietro ebbe la fortuna di accogliere il dolce Maestro, ed egli, il futuro Apostolo, lasciando da parte il lavoro che lo teneva occupato, salì col Nazareno, pronto ad eseguire i suoi cenni. Scostatosi un po’ dalla riva, cominciò a parlare del Regno di Dio: il tiepido sole illuminava quell’incanto di natura e di grazia. Quando ebbe finito, disse a Simone: « In alto! lontano dalla riva; e poi gettate le reti ad una gran pesca! ». A vigorosi colpi di remi, subito si trovarono in alto lago: non si sentiva più il rumore della folla, erano soli, con Gesù, sulle onde leggermente increspate, sotto il limpido cielo d’oriente. « Maestro, noi tutta la notte abbiamo faticato e non abbiamo preso neppure un pesciolino. Però sebbene il giorno sia già inoltrato, ho fiducia nella tua parola e lascio cadere la rete ». Così disse Pietro, ed eseguì come aveva detto. Prese tale una quantità di pesci che quasi rompevano le maglie della rete se non fossero venuti in aiuto quelli che stavano sull’altra barca. Entrambe le barche furono così riempite che solo a fatica si riuscì a condurle a riva. Il miracolo era troppo evidente e Pietro, stupito, esclamò: « Allontanati, o Signore, da me che sono un peccatore! ». Ma Gesù l’aveva compiuto apposta per annunciare agli Apostoli che un giorno avrebbero preso, nella rete del Vangelo, tutto il mondo. Lo fece capire a Pietro dicendogli: « Non aver paura! da questo momento tu devi essere un conquistatore non di pesci ma di uomini vivi! ». Arrivati che furono a riva, quei pescatori lasciarono ogni cosa e seguirono Gesù. Cristiani, dopo che ci ha fatto sentire la divina parola della fede, dopo che ci fatto conoscere i miracoli della sua vita e della sua Chiesa, anche a noi Gesù dice: « Sii forte, non aver paura. Tu pure sarai un pescatore, un conquistatore di anime ». Nessuno, proprio nessuno che voglia essere vero Cristiano può disinteressarsi del prossimo. Gesù non vuol salvare il mondo da solo: vuol farci l’onore grande di chiedere il nostro aiuto. Ebbene oggi l’esempio di Pietro nella pesca miracolosa, che è simbolo della conquista delle anime, ci fa vedere in che modo possiamo essere davvero pescatori di uomini. Osservate: sono due i comandi di Gesù. Duc in altum! Prendi il largo! lontano dalla folla, dagli uomini: vicini soltanto a Lui con la preghiera. Laxate retia vestra! Calate le vostre reti per la pesca. Faticate, date le vostre energie per conquistare le anime. L’ubbidienza di Pietro a questi comandi ci ha dato il miracolo della cattura dei pesci. L’ubbidienza nostra agli stessi comandi ci darà i miracoli della salvezza delle anime. – 1. DUC IN ALTUM. Chi lo racconta è proprio lei, la piccola Santa di Lisieux, nella sua autobiografia (Cap. V). Una domenica quando alla fine della Messa chiuse il suo libro di preghiere, una fotografia che rappresentava Gesù crocifisso, sporse un po’ fuori lasciandole vedere solamente una delle mani ferite e sanguinose del Redentore. Provò allora un senso nuovo ineffabile: il suo cuore parve spezzarsi dal dolore alla vista di quel Sangue prezioso che cadeva per terra senza che nessuno si desse premura di raccoglierlo. Fece il proposito di starsene continuamente a piè della croce per raccogliere quella divina rugiada di salute e spargerla poi sulle anime. Da quel giorno in poi il grido di Gesù morente: Ho sete! non fece che risonare al suo cuore, per accendervi un nuovo vivissimo fuoco. Voleva dissetare il suo Diletto con lo strappare ad ogni costo i peccatori dalle fiamme dell’inferno. Ed il suo buon Maestro le mostrò che i suoi desideri gli erano accetti. Aveva sentito parlare di un gran delinquente — di nome Panzini — condannato a morte per orrendi delitti. La sua impenitenza faceva temere della sua eterna salute e la piccola Santa volle impedire quest’ultima ed irreparabile sventura, impiegando, pure di giungervi, tutti i mezzi spirituali che le era dato d’immaginare. Per la salvezza di quel disgraziato offriva i meriti infiniti di Gesù Cristo e i tesori di Santa Chiesa, le suppliche e qualche mortificazione. La preghiera fu esaudita. L’indomani della esecuzione della sentenza, ella apre con premura il giornale e che vede?… Il Panzini era salito sul patibolo senza confessione e senza assoluzione; già i carnefici lo trascinavano verso il punto fatale, quando come riscosso da una improvvisa ispirazione, si volta, prende il Crocifisso presentatogli dal Sacerdote, e bacia tre volte quelle piaghe santissime. Ogni volta che assistiamo al divin Sacrificio della Messa, noi dovremmo saper scorgere con lo sguardo infallibile della fede la Passione di Cristo che si rinnova per la salvezza delle anime. Troppo spesso però quel sangue cade per terra perché mancano quelli che sappiano raccoglierlo e versarlo sopra le anime. Tocca a noi versarlo alle anime e poi a Gesù offrire quelle anime stesse rinfrescate dalla rugiada del Calvario. Questo lo possiamo fare con la preghiera, con qualche mortificazione, con le opere buone di cui potremmo riempire le nostre giornate. Quanti delinquenti, quanti poveri infelici potrebbero salvarsi in paradiso se ci fossero dei cuori ardenti che sanno, come la piccola Santa, tendere l’orecchio al « Sitio » di Gesù morente. Se pregassimo spesso pei nostri fratelli che vivono male, non sopra un giornale qualunque, ma sul libro della nostra vita, leggeremmo un giorno che siamo stati capaci… di far imprimere un bacio di eterna salvezza sulle piaghe insanguinate del Crocifisso. « Il mondo è pagano; il mondo va male ». Così si va dicendo. Non è colpa in parte dei Cristiani? Andrà meglio quando vorremo; e, poiché la preghiera è uno dei mezzi più efficaci di conversione, quando vorremo pregare. Così ci insegna anche il Vangelo della pesca miracolosa. Pietro ha ottenuto il miracolo quando ha preso il largo, si è staccato dalla riva rumorosa e distratta per essere solo, con Gesù! Questa compagnia si ha soltanto quando si prega. – 2. LAXATE RETIA VESTRA IN CAPTURAM. Dopo una notte intera di grande fatica, senza la soddisfazione di un esito buono, doveva pure essere stanco Pietro. Eppure, al comando del Maestro dimentica ogni stanchezza e si mette a cominciare da capo. Il miracolo diremmo quasi che lo meritava. Così per pescare le anime ci vuol fatica, il lavoro, l’azione esterna, che si congiunga con la preghiera fervente. S. Giovanni Evangelista, nelle sue visite alle chiese dell’Asia, si incontrò una volta con un giovane che gli pareva animato da ottime disposizioni e desideroso di farsi Cristiano. L’Apostolo doveva partire ed allora lo affidò al Vescovo con la raccomandazione più viva di istruirlo e di assisterlo come un deposito sacro. Il giovane dapprima corrispondeva benissimo allo zelo del suo protettore, ma poi… a poco a poco le compagnie cattive gli fecero perdere il suo primo fervore, il gusto delle cose sante. Finì per mettersi in una truppa di delinquenti che vivevano di rapine e disordini. Passarono parecchi anni e S. Giovanni ritorna e domanda al Vescovo cosa fosse avvenuto del suo giovane amico. « Ohimè! è morto, è morto alla grazia. Trascorre la vita su quelle montagne con una masnada di uomini perduti ». S. Giovanni non dubita un istante e vecchio com’è: « Datemi un cavallo ed una guida — egli dice — io lo voglio salvare ad ogni costo; devo ricondurlo qui ancora ». Dopo fatiche inaudite, su per scoscendimenti pericolosissimi il santo vegliardo giunge al covo dei ladri. Appena fu veduto arrivare, quel povero infelice, in preda ai rimorsi, si mise a fuggire disperatamente. E S. Giovanni a inseguirlo e a dirgli « O figliuolo, mio caro figliuolo, perché mi fuggi? Fermati, senti tuo padre. È Gesù Cristo che mi manda a te ». E non si fermò dall’inseguirlo finché il giovane fu vinto dal suo amore. L’Apostolo non ne poteva più dalla stanchezza, ma quella sera poteva dire che in cielo si faceva festa perché un’anima era salvata. Il lavoro, la sofferenza è la moneta con cui si compera il potere di fare del bene. Quanti nella loro giovinezza hanno avuto una buona educazione nella fama e nella scuola. Attorno alle loro anime si sono prodigate nell’abnegazione tante buone persone che han seminato nell’anima i germi della virtù. Per loro non è proprio del tutto scomparso il ricordo del giorno che han fatto la prima Comunione. Ma poi… le compagnie cattive, le passioni, il rispetto umano, le prime colpe han distrutto quanto avrebbe dovuto sempre durare e poiché la vicinanza dei buoni era un rimprovero duro sono fuggiti lontani col corpo, certo coll’anima imbrattata dal vizio.  Eppure, anche costoro bisogna salvare: lo vuole il sangue di Cristo sparso su di essi, nell’età innocente. Se aspettiamo che vengano essi per i primi non ricaveremo nulla. È necessario andare a loro per riconquistarli al Cristo della loro giovinezza. Col buon esempio, con la parola amorevole, con un buon libro, con un dolce invito, col sorriso sul volto. Certo costa fatica e la salvezza delle anime, che è costata il Sangue di Cristo, non si può ottenere se non sulla via del Calvario, con la fatica, con la Croce. Anche L’Apostolo si sentiva sfinito, gli sfuggiva davanti la preda, ma finalmente ottenne la vittoria. – Un sacerdote si lamentava col santo Curato d’Ars di aver tutto tentato per convertire la sua parrocchia ma senza risultato. « Tutto tentato? Avete fatto ferventi preghiere, avete digiunato qualche volta? Ricordate che finché non avrete sofferto per le vostre pecorelle, non potete dire di aver tutto tentato per ricondurle a Dio! Col buon esempio, con la parola amorevole, con un buon libro, con un dolce invito, col sorriso sul volto. Certo costa fatica e la salvezza delle anime, che è costata il Sangue di Cristo, non si può ottenere se non sulla via del Calvario, con la fatica, con la Croce. Anche l’Apostolo si sentiva sfinito, gli sfuggiva davanti la preda, ma finalmente ottenne la vittoria. — IL LAVORO SANTIFICATO.  È doloroso uscire per i campi dopo una tempesta. Qua e là per i sentieri fradici, ritorna il contadino: a passi lenti, curvo, muto. E con gli occhi dolenti guarda le piante sradicate e smozzicate, guarda le biade orribilmente trinciate a mezzo mentre i raccolti sotto ai cespi e nei solchi biancheggiano ancora i chicchi di gragnuola. Lontano, intanto, soffiano gli ultimi lampi dispersi e muore il brontolìo cupo del tuono, ma egli ha gli occhi pieni di lacrime. Tutto è perduto: invano ho rivoltato la terra, invano ho seminato, invano ho sudato per giorni e giorni nei solchi: tutto è perduto ». Quanto è mai rincrescevole, dopo aver molto lavorato, non ricavare alcun profitto dal proprio lavoro. Questo rincrescimento ci sarà tutto nel grido di straziante meraviglia che lanceranno non pochi Cristiani all’alba dell’eternità, quando dopo una vita di lavoro e di sudori, s’accorgeranno d’aver perduto tutto. Questo rincrescimento c’era pure nel compassionevole lamento di Pietro: « Maestro, tutta la notte ho lavorato, e non ho raccolto niente ». Gesù guardò il suo Apostolo nella barca, stanco e senza pesce e gli disse: « Prendi il largo, e getta la rete a pescare ». E Pietro ubbidì: « In verbo tuo laxabo rete ». Quella volta fu così fortunato che per il peso dei pesci si rompevano perfin le reti e fu necessario chiamar l’aiuto d’altri pescatori. Allora Simon Pietro si buttò ai piedi di Gesù gridando: « Signore! va via da me, che sono peccatore ». Nel mondo si lavora molto; non è certo l’ozio che condannerà la maggior parte degli uomini; eppure davanti alla morte non pochi si troveranno nella più squallida miseria: perché il lavoro non fu santificato secondo la parola di Dio. Chi non vuol lavorare invano tutta la notte della vita, chi non vuol trovarsi senza un pesce all’alba dell’altra vita, deve santificare il suo lavoro secondo la parola di Dio. E Dio vuole che il lavoro non leda il diritto altrui, rispetti la dignità della nostra natura, sia fatto con mente retta e con retto cuore. – 1. GIUSTIZIA NEL LAVORO. Viveva in una città un capomastro molto ingordo, che temeva sempre gli finisse il pane in bocca prima della fame. Per ciò, si prendeva molti impegni di costruzione che poi non arrivava a soddisfare. Ma una volta andarono da lui i clienti indispettiti a protestare di togliergli dalle mani i loro affari se avesse tirato ancora per le lunghe. E quel poverino si vide costretto a cominciare una grossa fabbrica, quantunque s’andasse incontro ad una stagione crudissima e troppo infausta per costruire solidamente. I suoi operai tentarono di ribellarsi: gelava l’acqua nel secchio e avevano le mani intorpidite che non potevano trasportare mattoni. Il capomastro inferociva e li costringeva al lavoro con la minaccia di licenziarli. E la fabbrica crebbe su, lenta ma solenne. Ma quando venne l’aprile e i raggi tiepidi batterono su quei muri ghiacciati, cominciarono a cedere: cadde la volta e tutta la casa s’accovacciò in un mucchio di rovine, fragorosamente. Come fu stolto quel capomastro! Ma S. Giovanni Crisostomo dice che sono più stolti quelli che cercano nel lavoro ingiusti guadagni. Qui ædificat domum suam, impendiis alienis, quasi qui colligit lapides suos in hyeme. Edifica d’inverno il venditore che tiene due pesi e due misure; il commerciante che falsifica la merce; il contadino che raccoglie dove non ha seminato; l’avvocato che difende una lite ingiusta e moltiplica le scritture per aggravare di spese al povero cliente; lo strozzino che presta il denaro con esagerato interesse. Contro costoro risuona la rovente parola di S. Giacomo: «Su, o ricchi, piangete, ululate per la miseria in cui verrete a trovarvi, nonostante le vostre ingiuste ricchezze. Il vostro danaro marcirà e le vostre vesti di seta saranno rose dalle tignole. La ruggine consumerà l’oro vostro e l’argento, e la ruggine sarà contro di voi e come fuoco divorerà le vostre carni. Avete raccolto tesori d’ira per l’ultimo giorno. Ecco: già la mercede che avete defraudato agli operai che hanno mietuto nei vostri campi, leva un grido al Signore degli eserciti. Come si ingrassano gli animali per il giorno dell’uccisione, così voi vi siete ingrassati nei banchetti e nell’ingiustizia per il dì della vendetta di Dio (V, 1-5). – 2. RISPETTO DELLA DIGNITÀ UMANA. Il primo infaticabile lavoratore è Dio: « Pater meus operatur — diceva Gesù — et ego operar » (Giov., V, 17). Ma Dio, ponendo mano a creare e cielo e terra, divise la sua opera in sei giorni. Il settimo riposò. Forse che non poteva fare tutto in un sol giorno? Forse che gli sopraggiunse stanchezza come un faticato pellegrino che sosta per via? No: era la legge del lavoro che Egli voleva promulgare fin dal principio del mondo. Non è l’uomo fatto per il lavoro, ma è il lavoro fatto per l’uomo. E se, scacciando Adamo dal paradiso, gli disse: « Maledetta la terra per quello che hai fatto: con grandi fatiche le strapperai il tuo pane a oncia a oncia » gli aggiunse poi: « Lavora sei giorni e fa in essi ogni opera tua: ma il settimo è il giorno del riposo sacro al Signore, tuo Dio. Non fare in esso lavoro alcuno: né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il bestiame e neppure l’ospite che ha varcato le tue soglie ». Ed è ragionevole che sia così. L’uomo non è un animale bruto: ma ha un’anima e un cuore; anima e cuore che hanno destini non solamente terreni e temporali, ma oltremondani ed eterni. Ma come potrà pensare a questi suoi destini se voi lo tenete, ogni giorno, condannato nel solco del campo, o tra il rullo delle motrici? Se non gli concedete mai di sostare in questa ridda di lavoro, per elevare i suoi pensieri a Dio e alla vita sua futura? « Ma sa, dicono alcuni, è il mestiere che vuole così: i calzolai, i sarti… ». — Il mestiere è forse superiore alla legge di Dio? « Se non lavoro, perdo gli avventori ». — Meglio perdere gli avventori che Dio. « Si mangia anche di festa ». — È vero: ma alla festa si beve anche, e si sciupa forse di più che il guadagno di due o tre giorni. « Ma quando i miei figliuoli hanno fame, non viene la religione a portar loro un pane ». — È forse morto di fame qualche figlio di un buon operaio? Oh, non è la religione che farà mancare il pane alla tua famiglia, ma altri motivi. « Ma io ho bisogno di mettere da parte qualche cosa per l’avvenire ». — Qui t’aspettavo. In manu Dei prosperitas hominis (Eccl., X, 5). Dio non fa mai fruttare il lavoro di festa. Ti parrà di guadagnare: verrà poi un cattivo figliuolo a sperperare, verrà la disoccupazione, la malattia, verrà la mano di Dio e tu angosciosamente dovrai ripetere: « Ho lavorato tutta la vita, e non ho avanzato niente! ». Per totam noctem laborantes, nihil cepimus. – 3. RETTITUDINE D’INTENZIONE NEL LAVORO. Talvolta nelle vie di qualche metropoli si osserva un doloroso contrasto. Un giovane spazzacamino sporco di fuliggine: ha nere le mani e le dita; ha nero il viso che si direbbe di bronzo se due occhi non brillassero di lagrime e due labbra rosse non tremassero di fame; ha nero il vestito lacero ai gomiti e consunto ai ginocchi. Accanto a lui che soffre passa la dama splendente: ha una collana di diamanti al collo, ha diamanti agli orecchi, diamanti sulle dita, diamanti sulla veste di seta. Il diamante e il carbone! l’uno adorna e splende, l’altro sporca e annerisce. Eppure, in sostanza, questi due corpi sono di un medesimo elemento: il carbonio. Solo che il carbone è carbonio impuro, e il diamante è carbonio puro e cristallizzato. Oh, se potessimo prendere il carbone e purificarlo, riempiremmo il mondo di diamanti! Quello che non possiamo fare sul carbone, possiamo però farlo sul lavoro e trasformarlo in un diamante d’infinito valore, con un processo assai facile che ci ha insegnato S. Paolo: « Sive manducatis, sive bibitis, sive aliquid facitis, omnia in gloriam Dei facite ». Poveri che lavorate molto! non è necessario per diventar santi che voi facciate cose straordinarie, che andiate come gli Apostoli a predicare il Vangelo, che diate come i martiri il vostro sangue, che maceriate come gli anacoreti il vostro corpo, basta lavorare con intenzione di piacere a Dio.  Si smetta, dunque, quella turpissima abitudine di profanare il santo lavoro con la bestemmia e con i discorsi impuri! Bestemmie e turpiloqui sono uccelli rapaci che rubano tutta la vostra sostanza; questi sono la ruggine che vi farà esclamare: « Per totam noctem laborantes nihil cepimus ». -. La natura è maestra dell’uomo. Ecco due insetti molto laboriosi: il ragno e l’ape. Il ragno lavora da mane a sera a stendere sui soffitti la tua trama bigia e sottile: e va, senza posa, da una trave all’altra, allunga, connette, incrocia i fili e vi disegna poligoni concentrici. L’ape, invece, passa di fiore in fiore e sugge quell’essenza che poi tramuterà, nel ronzio dell’arnia, in dolcissimo miele. E poi passerà la massaia: e mentre adirata distrugge con la scopa l’opera del ragno, sorriderà beata davanti al favo colmo. Così è nel mondo. Tutti lavorano: chi secondo la parola di Dio e chi secondo la parola del demonio. Ma quando passerà il Signore distruggerà adirato l’opera degli uni e premierà l’opera degli altri.

 IL CREDO

 Offertorium

Orémus Ps XII: 4-5 Illúmina óculos meos, ne umquam obdórmiam in morte: ne quando dicat inimícus meus: Præválui advérsus eum.

[Illumina i miei occhi, affinché non mi addormenti nella morte: e il mio nemico non dica: ho prevalso su di lui.]

Secreta

Oblatiónibus nostris, quæsumus, Dómine, placáre suscéptis: et ad te nostras étiam rebélles compélle propítius voluntátes.

[Dalle nostre oblazioni, o Signore, Te ne preghiamo, sii placato: e, propizio, attira a Te le nostre ribelli volontà.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XVII: 3 Dóminus firmaméntum meum, et refúgium meum, et liberátor meus: Deus meus, adjútor meus.

[Il Signore è la mia forza, il mio rifugio, il mio liberatore: mio Dio, mio aiuto.]

Postcommunio

Orémus. Mystéria nos, Dómine, quæsumus, sumpta puríficent: et suo múnere tueántur. Per …

[Ci purifichino, o Signore, Te ne preghiamo, i misteri che abbiamo ricevuti e ci difendano con la loro efficacia.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (209)

LO SCUDO DELLA FEDE (209)

LA VERITÀ CATTOLICA (VII)

Mons. ANTONIO MARIA BELASIO

Torino, Tip. E libr. Sales. 1878

ISTRUZIONE VII

Il Magnetismo e lo Spiritismo

Forse noi ci lasciammo nella passata Dottrina alquanto impauriti dal sapere come i demoni ci girano sempre d’intorno per cogliere l’occasione di perderci: ma dobbiamo pigliare coraggio dal sapere eziandio che Gesù Salvator nostro batté e vinse già il demonio, il satana che vuol dir l’avversario, e cacciatolo al suo regno, lo tien incatenato. Sicché egli è come un lupo, dice s. Agostino, che può digrignare i denti, ululare di rabbia; ma non può mordere, se non si tocca; stimola gli uomini al mal fare; ma se gli uomini non si avvicinano, se non fanno a confidenza con lui, non li può perdere. Gli è per questo che cercò d’avvicinarsi ad essi, studiando sempre i modi più lusinghieri con cui potesse loro piacere, e mettendosi al coperto sotto una o l’altra forma: perché, se si facesse conoscere nella sua orridezza, farebbe spavento a tutti. Egli già attirò gli uomini guasti ad adorarlo per Dio sotto il nome di Giove, marito infedele, imbestiato nei vizi; ai buon temponi si fece adorar per dio Bacco bevone; per Venere agli invischiati nelle più indegne corruttele; ai guerrieri per Marte demonio istigatore alle guerre; come poi affettava saviezza e moderazione coi filosofanti a Delfo. Insomma, è sempre il serpente che sa penetrare dovunque serpeggia, e fin in mezzo ai fiori, addattandosi ai gusti delle passioni di tutti. Non è qui da far meraviglia, che questi uomini dei poveri nostri tempi, che di Dio non vogliono neppur sentir a parlare; ma che son tutti nelle materiali cose, ai quali vapore, calorico, elettricità, magnete adoperati nelle loro macchine debbano valer per tutto, sieno dal diavolo pigliati pel loro verso. Così fingendo di esser egli un fluido, o mettendosi dentro davvero appunto in un fluido, o vapore sottilissimo, od elettricità, o magnete, o chi sa che cosa; e li invasare tavole mobili, e poi persone, scorrere dall’una all’altra come l’elettricità, attirare gli oggetti come la calamita. Poi per farsi cercare fa il buffone e matterello nelle brigate allegre, suggerisce rimedi a chi li cerca con ansietà, e talvolta sa fingersi anche di esser un’anima buona di parente, amico morto, venuta dall’altro mondo per dare buoni suggerimenti. A chi vi ama da padre, tocca avvisarvi: e perciò io intendo appunto quest’oggi di mettervi in guardia contro le gherminelle dei diavoli col mostrarvi, raccontandovi ciò che avviene, come in certi fatti, come in certo qual magnetismo in voga ora vi lavori dentro il diavolo; come tal magnetismo si confonda collo spiritismo. Quindi vi darò le regole per farvi conoscere, quando in certe operazioni che si dicono magnetiche vi deve lavorare dentro il diavolo; e come ve ne dovete guardare. Vi pregherei di ripetermi di che cosa vi voglio trattare: (si fan ripetere).« Che io piglio a dimostrarvi che in certo magnetismo, come è in voga, vi lavori dentro il diavolo, e che quindi tal magnetismo si confonde collo spiritismo: e vi ho da dar le regole per conoscere l’opera del diavolo per dovervene guardare. » – Oh Gesù nostro, in questi giorni, Voi lo vedete che satanasso da Voi scacciato dal suo regno, cerca di ritornarvi coi mali spiriti suoi compagni in questa società che ormai del tutto Vi abbandona: deh per la vostra misericordia, con cui avete cercato Voi gli uomini che non vi cercavano, salvate ancora questi, che vi abbandonano. Maria SS., da madre correte appresso ai figliuoli, che i cattivi spiriti tentano di menare a perdersi. – Qui sul principio debbo avvisarvi, che, quando racconto certi fatti avvenuti, ché non sono però da credersi come cose di fede; perciò io ve li racconto per quel che valgono, per mettervi in guardia dai demoni che vi posson ingannare; perché è poi proprio certo che ingannano pur troppo. Intanto per fervi conoscere come vanno le cose, vi spiegherò in prima che cosa s’intenda di dire colle parole magnetismo e spiritismo. Così dal sapere che cosa sieno, potrete conoscere che certo tal magnetismo, come per lo più si pratica, viene a terminare nello spiritismo, e si confonde con esso. – Intendono î moderni per magnetismo un certo fluido, più che vapore finissimo, e una forza simile alla forza del magnete che (dicono) si diffonde per tutti i nervi del nostro corpo, e che anche circonda le nostre persone e le involge dentro come una piccola atmosfera, Questo fluido, pretendono, che si possa profondere e far penetrare in un’altra persona con certi atti, e poì fino colla forza sola della volontà. Sicché con questo mezzo si possa, come fanno veramente, addormentare una persona che vi acconsenta. Fattala addormentare, con Lei parlano, trattano, si fanno intendere, anche colla sola volontà, senza né parola, né segno esterno. Quella persona allora legge nei secreti pensieri, conosce cose anche assai lontane; interrogata dà risposte di cose, che non sapeva prima. Poi anche con tal magnetismo certe persone si mettono in comunicazione con oggetti materiali, insensibili; di modo che fanno muovere tavole e mobili a volontà, e li interrogano; e questi danno segni di rispondere, sicché si mettono in certo qual modo a conversare con loro. Se si fa tutto questo, s’intende qui subito, come il magnetismo va a terminare e si confonde collo spiritismo, colla quale parola si intende l’arte di comunicare e trattar cogli spiriti, e farsi manifestare da loro le più occulte cose. Abbiamo detto che s’intende subito che un tal magnetismo si confonde collo spiritismo. Perché é impossibile che le tavole, e le altre cose materiali possano aver dentro di loro la forza di conoscere, possano avere la volontà, e manifestare cose segrete; se non vi fosse dentro uno spirito intelligente. Ora che sapete che cosa s’intende per magnetismo e spiritismo, vi racconterò come si è trovata la maniera di comunicare cogli spiriti per mezzo di un tal magnetismo. Così vi sarà dato da giudicare che quel magnetismo si va a confondere collo spiritismo. Un certo Mesmer medico fu il primo che cominciò a praticare questo magnetismo alla moderna, che appunto dal suo nome si chiama mesmerismo. Sulle prime egli cominciò a mettere degli ammalati in una tinozza, e li faceva comunicare tra loro con alcune spranghe di ferro: ed egli si metteva in comunicazione con essi toccandoli con una bacchetta. Fin qui, voi direte, non c’entrerebbe spirito dentro; perché anche coi fili del telegrafo si comunica con altre persone in luoghi lontani. Se si fosse fermata la cosa quì; via là….. Ma il suo discepolo Puységur abbandonò la tinozza, le spranghe e la bacchetta: e col girar solo colle mani sulle persone, le faceva a suo volere addormentare, Poi lì subito addormentate, parlavano da dottori, più sapienti dei medici stessi….. Ehm….. qui già vi deve essere qualche cosa di più che il fluido elettrico che scorre pei fili! Lo capite bene anche voi?….. Ma vi ho da dire di più. Subito dopo un certo Furia, lasciato anch’esso tinozza, spranghe e bacchetta, e senza neppur far ,più quei giri colle sue mani sopra le persone, sol colla voce comandava che si addormentassero le persone che acconsentivano di essere magnetizzate; ed esse si addormentavan davvero e diventavano sonnambule, vedevano senza aprir gli occhi, conoscevano le cose oscure; sicché si chiamarono chiaro-veggenti. – Ma voi mi direte « sono poi proprio veri questi fatti, che si raccontano? ?….. — SI, lo possiamo credere, o cari, lo dicon mille testimoni, ai quali non si può negare credenza; perché vi sono dei dotti e prudenti da non lasciarsi ingannare; e perché lo prova l’esperienza di milioni, è tutto dire, proprio milioni che ne fanno pur troppo la prova. Pensate qui adunque, che si cominciò a pretendere di trasfondere una specie di fluido, che dissero magnetismo, per mezzo di spranghe di ferro: poi sì fece addormentare e diventar sonnambule e chiaroveggenti le persone, solamente col girarvi d’intorno colle mani: poi colla sola volontà si comandò, che diventassero addormentate, sonnambule e chiaroveggenti; e le persone magnetizzate ecco che diventavano tali. Oh! voi mi direte che qui ci deve essere il diavolo entro. Aspettate che si trovarono altri modi da comunicar cogli spiriti. – L’anno 1848 in America le damigelle Fox di Rochester facendo scricciolare le dita, sentono in camera ripetersi quel rumore. Ripetono esse, e ne hanno nuovi rumori in risposta ancora. Accorrono i curiosi, si ripetono le prove e sì sentono sempre rispondere a colpi. « Vi è dunque qualcheduno che risponde, » si disse. Presto presto si misero in comunicazione con quegli esseri incogniti che si chiamarono Spiriti battitori. Questa pratica passò dall’America in Francia in Italia e gira l’Europa. Si trova poi che gli spiriti rispondono nelle tavole più presto che negli altri oggetti: e si adoprarono a tal uopo le tavole. Ma guardate un po’… fino ai tempi di Tertulliano si diceva che le tavole rispondevano a chi le interrogasse per mezzo dei demoni: Per quos dæmones mensæ divinare consueverunt!Noi vorremmo osservare due cose, la prima chele tavole sono di legno, la seconda che le tavole servonodi mensa. E chi sa il perché il diavolo comunichipiù volentieri cogli uomini per mezzo delle tavole dilegno, in forma di mense? che sia forse perché egli,che vinse col frutto del legno dovette esser vinto sullacroce di legno — in ligno vincebat in ligno quoque vinceretur? E perché sulla mensa del SS. Altaregli uomini comunicano con Dio Salvator benedetto?Il fatto è che le tavole si mossero col sol toccarle.S’ebbero giri giri di tavole in tutti i versi; battevancolpi coi loro piedi al comando: non si tardò a conoscereinsomma che dentro quelle tavole vi era untal che intendeva: perché le tavole volgeansi adestra ed a sinistra, si drizzavano, se comandavasi,su uno dei piedi, e si entrava in conversazione conquel tale là dentro. Il che facevasi mediante unnumero di colpi fissati; un colpo, per esempio, volevadir no, e due colpi, sì. Così si ebbero le tavoleparlanti.Si trovò poi che mettendo sulla tavola un lapis, illapis scriveva; e si conobbe di più ancora che certepersone comunicavano più presto e più decisamentecon quegli spiriti intelligenti. Così questi tali diventaronoi veri mediatori tra gli spiriti e chi volevacomunicar con loro. Furono quindi chiamati mediums;i quali possono eccitar movimenti, ed avere rispostea volontà. -Da tutto questo voi ben intendete come in talmodo magnetizzando si può dire che si tratta cogli spiriti: perché una tavola morta non può dar risposte precise a chi l’interroga, né scrivere colle matite, né far disegni, né dire cose da diavoli, e poi ancora rivelare i più nascosti segreti, predicare dottrine filosofiche, e mostrare cognizioni profonde di medicina! Ma poi via si lasciò più decisamente conoscere, che vi covava dentro di loro il diavolo; perché istigavano a far cose le più empie, le più oscene e le più malvagie! Noi crediamo dunque che nel magnetismo così esercitato vi sia il diavolo che lavori dentro e che siano i mali spiriti che invasano i mobili e fan riddone; piuttosto che credere che le tavole e gli altri mobili sian capaci, di scrivere, ragionare, fare da dottori e da filosofi: e che abbiano la volontà e la forza di tentare le persone a far del male. Si può adunque conchiudere, che con tal magnetismo si viene a trattar cogli spiriti: e siccome lo vieta la Chiesa, volerlo fare a dispetto del suo avviso, è un comunicare cogli spiriti cattivi, cioè coi demoni. – Qui io poi a quelli che ancora fossero increduli farò sentire come lo dicon chiaro uomini più increduli di loro. Potet era razionalista; e quindi tutt’altro che credere ai diavoli, negava tutti i misteri della Religione cattolica. Si mise a magnetizzare e poi restando istruito bene dall’esperienza, scrisse un libro per dimostrare che nel magnetismo vi interviene una forza occulta: perché egli si sentiva mettere in comunicazione « con una potenza ignota » e dice che finalmente il patto era consumato!» Oh oh, voi mi direte, ma proprio il patto col diavolo?….. Io per me ve lo lascio dire da lui che vi dice chiaro « che ha trovata la vera magia »…. Così dunque potete conchiudere voi che egli era come mago in comunicazione col diavolo. – Arago ride dell’Accademia di Francia che dubitava, e dice: che un medico adesso, un fisico, anzi un semplice curioso per mezzo del sonnambulismo magnetico, può entrare in un mondo interamente nuovo, il mondo degli spiriti che (dice egli), non aveva mai sospettato che vi fosse. Poverino era un incredulo! Ma i diavoli si hanno fatto capire che gli eran d’intorno! Dumas razionalista incredulo (che poi alla morte domandò perdono ai piedi del Crocifisso e volle morir Cattolico) anch’egli confessa che fin nei primi esperimenti, quando cominciò a magnetizzare si trovò investito da una potenza che non aveva in prima, dalla potenza di far meraviglie prodigiose; e (nel volume XIII, delle sue memorie) dice: che egli dominava una povera giovane; che la teneva incantata e come legata con una catena di ferro, l’obbligava fino a slanciarsi in furore. Combilot e Deleuze, che lasciarono libri di molto studio sul magnetismo, dicono che « in tanti fatti vi intervengono gli spiriti ». Tristan (sentite se non é da star in guardia dal magnetismo!) dice, che egli magnetizzò lo tavole in presenza di tanti testimoni, e che mentre le tavole trabalzavano, gli spiriti gli dicevano « impegnati con noi ». Sauley membro dell’Istituto di Francia insieme con suo figlio dotto egli pure, per conoscere bene il magnetismo su cui studiavano, tentarono lunghe esperienze e si impegnarono in conversazione cogli spiriti e confessa che gli spiriti lo istigavano a fare azioni cattive. Il signor Saulcy ne fu spaventato e si è convertito. Il dotto Merville racconta d’un barone che andato a far l’esperienza del magnetismo entrò in questo terribile conversazione col diavolo. Il barone gli domandò « soffri tu?» e lo spirito rispose « crudelmente sempre! » Eh: domanda tu perdono a Dio » e lo spirito « è impossibile che mi perdoni » « E perché? » « perché  io non voglio! » Desideri d’esser distrutto » « No; perché non potrei odiare Dio. » « Sei contento di vivere? « No; perché debbo a Dio la mia esistenza » « Odii tu dunque? » « Sì il mio nome è odio: odio, tutto fino me stesso! » Non è questo un parlar da demonio d’Inferno il quale fu chiamato da santa Teresa « l’infelice che mai non ama! » ? Swedemborg naturalista, l’anno 1748 si mise in comunicazione cogli spiriti, e fondò la sua chiesa cristiana spiritista, che si diffuse in Isvezia ed in America. Cahagnet grande magnetizzatore la introdusse in Francia. Egli diceva di essere inspirato dall’anima di Swedemborg a fondare una società magnetica, in cui gli ammessi comunicavano direttamente cogli spiriti e specialmente colle anime dei trapassati. Questo Cahagnet scrisse molte opere sul magnetismo: diceva che le anime dei trapassati insegnavano agli adepti le scienze, le arti, la religione e la morale; quando però fossero in istato di sonnambulismo magnetico. Furono poi tanti gli associati, che nell’anno 1844 vi erano in America 44 congreghe di svedemburghesi, e a ciascuna congrega erano scritti molti seguaci. Osserviamo qui che specialmente i paesi protestanti l’Inghilterra, per esempio, la Svezia, l’America del Nord abbondano assai più di spiritisti che i paesi cattolici. Forse è perché nel protestantesimo col razionalismo, poi collo spiritismo, finalmente col negare la creazione, l’anima e Dio si fa l’ultima terribil lotta tra il bene e il male, come l’Apostolo Paolo predisse a Timoteo. (1. 4, 1.). Dice chiaramente che negli ultimi tempi alcuni uomini abbandoneranno la fede attendendo agli spiriti di errore, alle dottrine dei demoni, i quali uomini parlano la menzogna sotto il velo dell’ipocrisia. Intanto osserviamo che in America nei soli Stati Uniti i soli Mediums oltrepassarono i quaranta mila. Questi Mediums chi sa con quante migliaia di persone comunicavano! Questi Mediums poi si dividono in quattro ordini: cioè gli audienti, che odono gli spiriti e parlano con loro: i veggenti, che li vedono, dicono, in forma aerea e vaporosa; gli scriventi, che scrivono sotto l’impulso irresistibile degli spiriti: gl’interpreti, che si sono formato un linguaggio: convenzionale da intendersi cogli spiriti a vari colpi come col loro alfabeto. Abbiamo migliaia di testimoni che anche in atti pubblici notarili dichiarano per vere le comunicazioni cogli spiriti: abbiamo medici, dotti uomini e celebri che per molti anni le negarono come favolose, come per esempio Kostan, Georget e molti altri, che erano increduli; e poi ne difesero la verità. dopo d’averla provata colla evidenza dei fatti. Abbiamo tanti giornali stampati in ogni lingua per raccontare i fatti e le reazioni degli spiriti; abbiamo tante disgrazie da piangere, e basta dire che nel solo ospedale di Lione si trovano duplicati i casi di pazzia per l’influenza, per la dottrina spiritistica; abbiamo divorzi, inimicizie, vendette, e colle pazzie, frequenti suicidi: tanto che in America il fior della cittadinanza fece un indirizzo alla camera supplicando i deputati della patria ad impoedire questi disordini troppo funesti, cagionati dal magnetismo-spiritismo, (Vedasi il già citato bel libretto del Magnetismo animale e dello Spiritismo per un dottore di medicina e chirurgia torinese. Torino, Tip. dell’Oratorio di S. Francesco 1871). Udite finalmente Beautain vicario generale già medico, avvocato e buon teologo; sicché par che abbia ben diritto di farsi ascoltare. Dice egli che nel magnetismo e nelle cose magnetizzate vide tali fenomeni, e fatti da non doverne dubitare più mai, che non vi entrino gli spiriti. « Vidi – egli dice – fenomeni di pensiero, d’intelligenza, di volontà. dì libertà. » Ora pensare, intendere, e aver volontà libera non possono farlo che gli spiriti: dunque degli oggetti magnetizzati come nel magnetismo quale si è studiato, vi intervengono gli spiriti. –  Mi pare così di avervi dimostrato, e se lo dimostrai chiaramente da esserne persuasi, fate in grazia di ripeterlo con me (si fan ripetere) « che il magnetismo messo in pratica in tal modo si confonde collo Spiritismo, il che vuol dire che in esso sì tratta coi demoni. »Vi ho promesso in secondo luogo di darvi le regole per conoscere, se in certe operazioni, se in certi fatti, che si dicono ottenuti col magnetismo, vi sia dentro l’operazione dei demoni. Ben però prima vorrei osservarvi: 1. che molte cose meravigliose e sorprendenti si fanno dagli ingannatori, ciarlatani che fingono magnetizzare, ma ingannano la buona gente colle lor furberie: 2. e che molte cose straordinarie si fanno poi per le forze naturali esaltate o esercitate fortemente; 3. però finalmente molte cose, lo si deve dire senza esitare, si fanno per operazioni del diavolo. – Vi ho detto in prima che molte cose si fanno dagli ingannatori e ciarlatani che cercano di togliervi denari. Però qui non intendo di parlare dei semplici bagatteglieri, operatori di prestigi che coi loro bussolotti e colle loro astuzie sorprendono e divertono il popoletto; ma ben vi debbo mettere in guardia da certi che si vendono per magnetizzatori e vi presentonocerte persone per lo più donne scaltre, che si chiamano sonnambule e che fanno mostra d’addormentarsi al lor comando. Queste fingono vedere cogli occhi bendati e chiusi; danno risposte agli allocchi che lor ne domandano. Questi finti magnetizzanticon lungo esercizio fecero le loro intelligenze con queste bugiarde, finte magnetizzate. Hanno i lor segni di convenzione. Questi gabba-mondi coi loro modi d’interrogare mettono in bocca a quelle scaltre, le risposte. Fino coi più piccoli rumori, collo stroppicciare dei piedi, pur anche col respiro fanno lor intendere ciò che debbono dire. Udite fatto che vi divertirà (quale lo racconta un Giornal di medicina a Torino). Un cotale di questi ingannatori colle sue dette sonnambule e chiaro-veggenti magnetizzate eccitava l’ammirazione dei curiosi e sapeva ingannare, anche i dotti così per benino, che ingannò fin l’Accademia di Francia. (Andate là fidatevi degli accademici, quasi fossero la sapienza incarnata; mentre ne bevono delle grosse!). Quando un medico (di paesetto, perché il buon senso non è privativa dei dotti dell’Università e delle Accademie) s’accorse che egli moveva sottilissimi fili, per comunicare con esse. Allora il medico gli prese la macchinetta, e diede tale una buona scossa alle sonnambule, che trabalzando misero uno strido, e scapparon via. Poi le spaventate, arrabiate anch’esse, scopersero le ciurmerie dell’ingannatore, che se la dovette svignare. Questi ciurmadori adunque magnetizzano veramente; ma magnetizzano ai grulloni le borse, da cui cavano i denari. Egli è così: questa gente del mondo vuol essere ingannata; ma paga poi sempre essa le spese agli ingannatori.In secondo luogo, per porvi in avvertenza a non credere subito che vi siano operazioni, diaboliche, vi ho da osservare che molti fatti sono operati dalle forze naturali, o vivamente esaltate, o fortemente esercitate in modo straordinario. Già qui non intendo parlarvi di certe persone che esercitano grand’influenza sopra le altre. Poiché,siccome si dice che la biscia s’attira l’usignuolo, il quale batte le aline, trema, pigola, ma le vola in bocca: così certe persone con certi sguardi affascinano, e fanno perder la testa fino ai sapienti, e laforza ai più forti. Ricordatevi che fino una fanciullaccia ebbe potuto legar mani e piedi al più robusto uomo del mondo, Sansone, tagliargli i capelli, in cui stava miracolosamente la sua gran forza, e darlo in mano ai Filistei da cavargli gli occhi e farne scherno. Avviso a voi, o figliuole, a pensarvi, che certi civettoni degli occhi grifagni, quando fan le moine dintorno alla lodolina che cinguetta all’aria libera, le dan poi la griffata! Ben la parola di Dio avvisa voi, genitori e superiori, voi che dovete fare la guardia: poiché, quando si lasciano i giovinastri le lunghe sere sedere al trespolino vicino alla ganza, dalla veste di lei esce la tignuola:ed io vi so ben dire che certe persone dall’avvicinarsi restano magnetizzate, ma come?! Voi m’intendete di qual magnetismo….Ora vi osserverò che molte cose si fanno per forze straordinarie di natura e forza d’immaginazione esaltata, o per forza di lungo esercizio o per vivacità di passione. Anche il dotto Rosmini accenna d’un tale, che morsicato dal suo cane, si scaldò tanto nell’immaginazione, da dover diventar idrofobo. Gli pareva di sentirsi già nelle vene il furore della rabbia canina; sicché si aspettava di dover presto morire arrabbiato, e già dava tutti i segnali propri della rabbia. Quando, alcuni dì dopo, tornato a casa il cane, che, morso il padrone, ne era fuggito, e saltellandogli intorno a fargli feste, egli trabalzò tutto allegro gridando: « io non mi sento più niente! » Anche il medico Descuret seppe trar profitto dalla passione che trasportava vivamente un suo ammalato. Era costui appassionatissimo amator delle antichità; tanto che vita e denari e tutto aveva speso a raccogliere medaglie antiche. L’accorto medico al letto dell’ammalato già sopra morte, studia di raccontargli come ora era in vendita un gran gabinetto ricchissimo di medaglie le più antiche, rare e preziosissime. L’ammalato trasalì, diventò roso rosso infiammato, fremente di desiderio…. e raccolto tutto il vigore che ancor gli restava di vita in fil di morte, « esclama: « dottore, mi sento bene » balzò di letto, gridando: « lasciatemi andare a far la compra. » L’esercizio poi a far cose difficili, rende i ciechi capaci di leggere passando solo col dito sui libri stampati apposta colle lettere profondamente impresse, e fino a distinguere col palpar colle dita, i colori delle sete, da poter così ricamare. Qui dopo d’avervi accennato come molti fatti sono eseguiti con astuzie e molte forze naturali in istato d’esaltazione e di lungo esercizio; debbo finalmente dirvi che molti fatti sono operati dal demonio in questo magnetismo dei nostri di, che va confuso collo spiritismo. – Ora state attenti che vi darò le regole per conoscere se in certe operazioni v’entrino gli spiriti, e se vi giuoca dentro il diavolo in questo magnetismo-spiritismo. Le regole sono quattro, poiché l’uomo appartiene a tre ordini di creature, e per la fede il Cristiano appartiene ad un quarto ordine. Difatti l’uomo ha il corpo materiale, ha il corpo animato, ed ha l’anima ragionevole. Quindi col suo corpo materiale è soggetto alle leggi della materia, e le principali leggi della materia sono la legge di gravità e di attrazione. Onde, ecco la prima regola. Se un uomo sta in aria senza sostegno non sentendo più il peso del proprio corpo, e se al suo comando si innalzano tavole e come avvenne e ne furono testimoni molti, tra i quali signor Gasparin e Thury, che non credevaro allo spiritismo magnetico, ma dovettero credervi vedendovi restar sollevato in aria un cembalo di quasi cinquanta miria di peso; e se un Mediums, come un Home, appena entrato in una stanza, fa ballar d’intorno e tavole e mobili, senza toccarli e li fa restar sospesi in aria colla sola volontà; allora bisogna conchiudere che vi è dentro uno spirito, il quale obbedisce alla volontà del Mediums. Quindi ecco la

REGOLA I. Questa regola è data dal Rituale Romano, il quale è il libro che la Chiesa nostra madre ci mette in mano per insegnarci a trattare le cose spirituali. Questo libro con una sapienza veramente cattolica avvisa che quando un corpo grave od una persona umana resta in aria per qualche tempo considerevole senza sostegno, allora si deve credere che vi è uno spirito che vi opera dentro.

REGOLA Il nostro corpo animato è soggetto alle leggi dell’animalità, che sono quelle che fan vivere il corpo animato. Ora le principali leggi dell’animalità sono queste due: Prima legge: che l’anima animale o ragionevole; che sia, per far vivere il corpo animato, deve restarvi con esso unita. Seconda legge è, che il vivente animato riceva la sensazione per mezzo dei sensi del corpo; sicché veda cogli occhi, senta il sapore col senso del gusto, e così abbia le altre sensazioni per mezzo degli organi delle sensazioni. Quindi è ragionevole questa seconda regola; che quando una persona è qui e vede e conosce davvero le cose lontane fin le tante miglia, non potendo l’anima volare là, è certo che vi è uno spirito, che conosce quelle cose lontane e le suggerisce qui alle persone magnetizzate. Anche se una persona, come si dice, magnetizzata, sonnambula, chiaro-veggente, sol che si ponga una carta scritta anche chiusa sul petto, pare che legga col petto e sa dire il contenuto, o sol che le si ponga una ciocca di capelli d’una persona malata anche sconosciuta e lontana, ella vi scopre la malattia, o anche obbedisce ai comandi dati solo colla mente dal magnetizzatore, senza lasciar travedere in alcun modo, ciò che egli pensa; è segno che vi lavora in mezzo uno spirito.

REGOLA II. Da questa seconda regola il Rituale Romano a tutta ragione, ed avvisa i fedeli che quando una persona conosce ciò che si fa in quell’istante in luoghi lontani: quando penetra nei pensieri altrui, senza che in nessun modo siano manifestati, allora è uno spirito che dà quelle notizie. Così nel magnetismo allora vi è opera del diavolo. – Noi uomini abbiam la ragione, e l’anima nostra col lume della ragione si serve dei sensi del corpo per sentire, e così piglia colla ragione cognizione di molte cose. L’anima nostra poi colla ragione riflette sopra a quel che conosce, medita, così acquista sempre nuove cognizioni E adunque a forza di riflettere, meditare con molto studio che s’imparano le scienze. Scienza nobilissima è poi la medicina; ma per impararla sanno i bravi medici quanti studi siano necessari. Se adunque una persona qualunque, fosse pure una sventata ragazzaccia, appena la si dice magnetizzata, eccoti li che conosce le malattie più interne e più difficili ad essere conosciute, più che buon medico che s’assottiglia l’ingegno e consuma la vita in profondissimi studi; e quella tale ancora conosce i rimedi più che un dotto chimico farmacista, e dà prescrizioni ad applicarli ai malati, il che prima ignorava affatto. Anzi, ascoltate, che parla la lingua francese, tedesca, greca, latina come un professore; mentre la sciocca non sapeva neppur parlar bene la propria lingua; allora bisogna aver perduta la ragione, per non dir che vi sia in lei il diavolo che fa da dottore. Onde ecco la

REGOLA III. Anche questa regola terza la dà il Rituale Romano, il quale avvisa che quando, senza studiare, si sanno scienze che s’ignoravano affatto, o si conoscono  cose create che erano al tutto nascoste, vi deve esservi dentro uno spirito che le suggerisce.

REGOLA IV. Poi finalmente ecco la quarta, la grande regola in pratica. Giova ripeterlo: Uno Dio, una la sua Chiesa, la quale Dio dà a noi per madre e maestra, per far conoscere come vuol essere servito ed adorato. Tra Dio e il demonio non v’è società, no no; ma eterna guerra. Se quindi alle persone e alle cose magnetizzate si presentano oggetti benedetti dalla Chiesa, affinché i suoi figliuoli se ne servano ad onorar Dio, come croci, corone, acqua santa; e presentandosi queste cose benedette o cessa il magnetismo nelle persone, o neppure sì può incominciare l’incantesimo detto magnetismo; o al tocco; di una goccia d’acqua santa (dirò come avvenne per esempio) le tavole ballanti, infuriate come demoni, si dibattono a scuoterla via; e un cestello di vimini si contorce come un serpente e si sversa, scorre giù, e fugge: allora si è da dire che vi è uno spirito che sente orrore delle cose sante, lo spirito nemico di Dio, il demonio. Ora, o miei figliuoli non mi rimane che di avvisarvi di stare in guardia da certe pratiche superstiziose e dall’usare certi mezzi, massime per guarire malattie, o per sapere cose ignote od anche per solo divertimento. Ho detto, massime per guarir malattie, perché il demonio è qui dove mostra la sua astuzia più che può…. Forse egli crede essere per noi venuto ora il tempo buono da rientrare nel regname del mondo, da cui fu scacciato da Gesù Cristo; par proprio che tenti a scimmiottare i divini miracoli fingendo di guarire malattie, come nelle guarigioni mostrò la sua bontà il Salvatore: sotto questa finzione entrando, come dimostrai in sul principio, nel magnetismo. Ho poi detto di non avvicinarvi nello spiritismo al demonio, né per soddisfare la curiosità, né per scherzare con leggerezza. Tenete per grande avviso che come chi non crede alle operazioni di satana, non crede alla Religione santissima; così chi si mette a scherzare con satanasso, deride, insulta, affligge la Santa Madre Chiesa, la quale cerca dire in tutti i modi, come una mamma porta via gridando il figliuol dalla serpe nascosta nell’erba di tenerci lontani dal traditor, tristo nemico di Dio. Voi forse mi vorreste osservare che nel magnetismo non si crede che di servirsi di un fluido materiale mentre nello spiritismo si tratterebbe cogli spiriti, e quindi mi potreste dire: « ecché ha da fare un fluido materiale coi demoni che sono spiriti ? ….. » Vel confesso che questo è un mistero, come è pur un mistero il modo con cui un’anima possa servirsi di un corpo; ma il fatto poi è che il demonio pare che senta maggior inclinazione a correr là dove vi trova questi oggetti, come dicono magnetizzati. Si le nazioni infedeli che credevano alla forza degli amuleti, erano certo superstiziose; ma la superstizione non si appoggia appunto a qualche punto di vero? Via via, figliuoli, fuggite voi lontano da chi vi invita a tali pratiche superstiziose. Il Signore minaccia di sterminare chi andrà appresso ai maghi, agli indovini, che facevano proprio come i mediums dei nostri giorni (Lev. 6). Fuggite, fuggite da questi che pretendono d’interrogare di far parlare le anime dei poveri morti. Nec inveniatur in te… qui quærat a mortuis veritatem. (Deut. 18, II. Exod. 22, VIII). (Io poi vorrei azzardare una mia osservazione. Ma però avvertendo che qui non ci entra la dottrina della Chiesa: puto ego non Dominus. Forse ché vi sia davvero questo fluido magnetico ?….. e che gli spiriti se ne possan servire per comunicare cogli uomini più facilmente?…. e che là dove si metta in moto, e che quindi nelle pratiche del magnetismo presentandosi l’occasione vi accorrano volentieri ?….. Ed essendo queste pratiche pericolose proibite dalla Chiesa sarebbe facile per castigo di Dio che alcun si trovasse col diavolo nel magnetismo impigliato …). Anzi pare proprio che il Signore coi suoi ammonimenti d’allora avvisi proprio a noi. Allora rinfacciava al Suo popolo per bocca del profeta Osea (IV. 12) che era un brutto segno d’infedeltà fare interrogazioni nel legno (nelle tavole) e farsi annunciare il vero dai bastoni. Oh poveri noi! e sarà forse uno spaventoso segnale che manchi la fede, e diventare superstiziosa nel magnetismo? Eh già S. Paolo ci avvisava che appunto pei figliuoli della diffidenza, opera di presente il principe del mondo satanasso (spiritus nunc operatum in filios diffidentiæ. Ephes. Il, V). Viva Dio! … e state fermi nella fede lontani dalle pratiche di tal magnetismo: par proprio che questi diavoli dello spiritato magnetismo corrano addosso a chi lì va a cercare non curandosi degli avvisi della madre Chiesa. Avvertite, o figliuoli che il Papa Sisto V ( Nella Bul. Cœli et terræ Creator an.) eccita i Vescovi a star bene attenti per impedire nelle loro diocesi i sortilegi , la magia, le evocazioni dei morti: son quelle pratiche che appunto si usano. nel magnetlsmo. Ora i Vescovi, che sono i pastori,  che hanno in guardia le pec prelle del Signor, per metterle in salvo dal lupo, in America, in Francia, in Italia, in altri regni con le più amorevoli pastorali scongìurano scongiurano i fedeli a star lontano dal magnetismo e dai magnetisti…. Anche la Congregazione del s. Officio di Roma avvisa ancora i Vescovi di far impedire nelle loro diocesi queste pratiche tenebrose e diaboliche di questi pagnetisti-spiritisti. (An. 1856. 4 Ag). Gon altro decreto, (1864, 2 Apr.) proibisce assolutamente queste pratiche; non è dunque permesso di magnetizzare, di farsi magnetizzare né di assistere a chi magnetizza; come si usa generalmente. Ora facciamo  un po di esame.

Esame.

I. Non vi venne mai voglia per guarir malattie, ed anche per conoscere cose occulte, anche per divertimento di ricorrere ai magnetisti?…

II. Ricordatevi che 1° per guarire malattie, Dio ci diede la medicina, e raccomanda di ricorrere ai medici. Honora medicum. 2. Per conoscere le verità da credere, Dio ci ha data la fede, e per ammaestrarci sicuramente nella religione, e per regolare in quel che dobbiamo e possiamo fare, ci dà la nostra madre Chiesa: per aver poi le cognizioni utili, ci diede la ragione da studiare nelle scienze coll’aiuto anche di buoni maestri sinceramente cattolici.

III. Adunque ricorrere per guarire e per curiosità a tal magnetismo è un non volere lasciarci regolare da Dio, dalla Chiesa: è dunque metterci dalla parte del diavolo. Non sarebbe da stupire che il diavolo pigliasse il destro, sotto la forma del magnetismo, per mezzo dei magnetizzatori di avvicinarsi a trattar cogli imprudenti…. Che Dio guardi voi dal comune nemico.

Pratica

Dunque starete in guardia da certe persone che danno molto da dubitare. Esse si presentano nei teatri, nei caffè. nelle case, pretendono dì curare i malati col magnetismo e fan certi segni sulle persone, e sopra le bestie, i quali segni e versi han niente da fare col curar malattie. Non ascoltatele. – Dunque attendete: tenete ben lontane da loro le persone delle vostre famiglie, massime giovani che attirano la simpatia; perché tali magnetizzatori, se la fanno troppo volentieri colle persone giovani e colle simpatiche; ci avvisava fin d’allora Sisto V. Già volendo andar a capriccio e contro il voler di Dio, per lo più si va a cadere nel fango!… Avviso a tutti! Vi voglio anche avvisare che sì ha la sfrontatezza di pubblicare a’ quattro venti e sui canti delle strade, e far girare inviti a consultar sonnambule, chiaro-veggenti, anzi a mandar anche solo (con un po’ di denaro s’intende) una ciocca di capelli delle persone ammalate, assicurandovi che vi si scoprirebbe le malattie si mostrerebbe il modo di curarle. Stiamo a vedere che una donnaccia deve curar meglio da lontano che i nostri buoni medici che studiano tanto e giran d’intorno con tanta carità ai nostri ammalati!…. Oh scoperte del secolo del razionalismo trionfante !… Se fosse vero, non vi sarebbe il diavolo in mezzo? (Girava un manifesto per Parigi (marzo 1864); Delle meraviglie del magnetismo, del sonnambulismo e delle loro applicazioni rigenerative. — La signora F……. esercitava questa meravigliosa scienza con soddisfazione delle persone da lei pienamente guarite … La sonnambula risponderà ad rem con lucidità sul risultato di cose lontane anche mille e ducento leghe!!!)

Catechismo.

D. È permesso adunque magnetizzare, farsi magnetizzare, ed assistere mentre si magnetizza?

R. Rispondiamo chiaramente, no: perché nella maniera in cui per lo più sì usa magnetizzare, vi sono tutti i segnali che danno ragione di credere, che sotto l’apparenza del magnetismo si pratichi lo spiritismo condannato dalla Chiesa, e per noi buoni fedeli basta solo la proibizione dei Vescovi che Dio pone a reggere la sua Chiesa.

IL SACRO CUORE DI GESÙ (56)

IL SACRO CUORE DI GESÙ (56)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE TERZA.

Sviluppo storico della divozione.

CAPITOLO SESTO

MARGHERITA MARIA E I SUOI PRIMI COLLABORATORI

Abbiamo visto, nella prima parte della presente opera, la divozione al sacro Cuore costituirsi nelle rivelazioni di Gesù a Margherita Maria e aprirsi dinnanzi ad essa grandiose prospettive di avvenire. Ci rimane da collocare questa devozione nello sviluppo storico; dire dell’attività apostolica della santa e dei suoi primi collaboratori, studiare il fiorire della divozione ch’ella aveva ricevuta dal cielo.

I. – STATO DELLA DIVOZIONE VERSO IL 1674

Margherita Maria non ha dovuto inventare la divozione al sacro Cuore; essa esisteva già. Prima di rivelarsi a lei, Gesù aveva scoperto il suo Cuore ad alcune anime privilegiate ed aveva mostrato loro le sue ricchezze. La pietà cristiana, meditando su la misteriosa piaga del costato, vi aveva visto il Cuore ferito, vi aveva visto il rifugio che esso offriva all’anima colpevole o tormentata e i tesori che racchiudeva; aveva visto la ferita d’amore nella piaga materiale; aveva visto infine il cuore divino amantissimo e amabilissimo, simbolo espressivo d’amore, immagine viva di tutte le virtù e della vita di Cristo. – L’oggetto del culto era già dato. Il culto stesso esisteva con la maggior parte delle pratiche. Dopo i mistici erano venuti gli asceti, che ne avevano, se non organizzata la divozione, almeno indicati i diversi elementi che dovevano formarne la base, segnalato diversi esercizi che le convenivano. Apostoli ardenti, come il Lallemant e il P. Huby, l’avevano predicata e propagata, l’uno con la sua azione intima e profonda su alcune anime elette, l’altro nei suoi ritiri e nelle sue missioni, con la sua direzione e i suoi scritti. G. Eudes infine aveva presentato il sacro Cuore alla folla; prima attraverso e nel cuor di Maria, poi in una festa speciale del Cuore adorabile, in maniera che qui, come negli altri casi, si andava naturalmente da Maria a Gesù. – Il culto dunque esisteva, ben chiaramente per alcune anime privilegiate che ne vivevano; ma un po’ confusamente come veniva presentato al popolo nei libri e nella predicazione di S. G. Eudes e dei suoi discepoli; mescolato anche, ad elementi caduchi, che non potevano entrare nella corrente generale della pietà cristiana; era, forse più preciso e più immediatamente pratico nel P. Huby, ma senza un aspetto dottrinale abbastanza largo, solido ed esposto in un manuale di questa divozione. Anche il movimento era relativamente poco esteso e profondo. Completamente dipendente dalle persone che l’avevano determinato, probabilmente non avrebbe continuato a diffondersi nella Chiesa, dopo la scomparsa di quelli che ne erano stati i promotori (Vedremo presto un esempio in prova di ciò: le Benedettine di Lione si ricordano vagamente che, in altri tempi, l’uffizio del sacro Cuore era stato concesso al loro Ordine. Probabilmente si tratta dell’Ufficio di S. G. Eudes. Anche le pratiche raccomandate da p. Huby non risulta che abbiano continuato a vivere e propagare). Allora Gesù è intervenuto per animarlo, orientarlo, costituirlo in divozione vitale, larga, ed insieme precisa; precisa nel suo oggetto, nel suo fine, nel suo spirito, in alcune delle sue pratiche destinate a dare il tono; larga nelle sue manifestazioni e nella scelta dei suoi mezzi; tutto ciò con una fusione mirabile d’ideale e di ambizioni più elevate, di esercizi più semplici e di attrattive più vive per le diverse anime. – Nello stesso tempo il soffio dello Spirito Santo e l’azione discreta di Gesù preparavano lo sbocciare del culto. I precursori si erano moltiplicati. Al momento stesso in cui Gesù sta per rivelarsi a Paray vivevano ancora molte anime a cui Egli si comunicava confidenzialmente; un po’ come un poeta legge prima a pochi amici l’opera che sta per dare al pubblico. Anche gli autori ne parlavano. Talvolta non sappiamo se si deve vedere, qua e là, un’aurora o uno splendore discreto del sole già alto: una influenza di S. G. Eudes o un’eco di Paray. Abbiamo già parlato del P. Huby, morto a Vannes nel 1693, apostolo infaticabile del sacro Cuore; ma senza poter dire con precisione se lo si deve far dipendere da S. G. Eudes, né se ebbe conoscenza delle. rivelazioni di Paray. Constatiamo soltanto che, da ogni parte, la divozione sembra fiorire spontaneamente nelle anime. – In Germania il P. Filippo Jeningen (1642-1704), l’apostolo della Svevia, riceveva favori insigni dal sacro Cuore e se ne faceva non solo il discepolo devoto, ma l’apostolo ardente. Seppe egli qualcosa di Paray o del movimento suscitato in Normandia da S. G. Eudes, in Bretagna dal P. Huby? Non si potrebbe dirlo. – Siamo meglio informati sul santo arcidiacono d’Évreux, M. Boudon (1624-1702). Discepolo del P. Eudes, come lui arriva per mezzo del cuor di Maria al cuor di Gesù. Di lui abbiamo una consacrazione ai due santi Cuori che è bella e pia (Eccone la parte che riguarda direttamente il sacro Cuore: « O Gesù mio, è nel vostro Cuore, abisso d’amore, che io abbandono il mio essere e tutto ciò che io sono, che consumo ed anniento il mio misero cuore e tutti i suoi movimenti. No, io protesto in presenza di tutte le belle intelligenze del Paradiso, di tutti i santi dell’Empireo, e specialmente del mio Angelo custode, di S. Giuseppe e di S. Giovanni Evangelista, mio amico fedele, che io non voglio far più nulla per mio proprio movimento; che preferirei morire piuttosto che pensare un sol momento ad altri interessi che quelli del vostro Cuore glorioso, che voglio essere puramente il suo strumento, lasciandomi condurre a tutto ciò che egli vorrà, non prendendo parte che ai suoi affari, Sì, o Cuore più che amabile, Cuor prezioso, Cuore inestimabile, quando dovessi esser privato del cielo e della tetra, io lo voglio, se deve andarne un solo atomo della vostra gloria. Voi sarete, per sempre, il mio caro tutto. Che io muoia, che viva, mi succeda ciò che può, non importa; io non penso, non voglio, non amo che Voi. Non chiedo niente, non voglio niente; tutto ciò che Voi volete è ciò che io desidero. Non voglio pensate che col Vostro pensiero, stimare che ciò che Voi stimate, vivere solo della Vostra vita. Mi unisco a tutti i Vostri disegni che la SS. Vergine, S. Giuseppe, gli angioli e i santi siano onorati; per questa unione io sono loro schiavo. O amore, o amore puro, o amore divino, annientatemi interamente nelle Vostre pure fiamme »). È datata dal giorno dell’Immacolata Concezione del 1651. Ma egli ebbe anche conoscenza delle rivelazioni di Paray e divenne l’ardente apostolo della nuova divozione. Ciò che egli ne dice è del più vivo interesse; è uno dei casi nei quali si vede chiaramente in contatto la divozione di S. G Eudes e quella di santa Margherita Maria. È curioso che non colleghi l’una all’altra lui stesso; si direbbe che ha dimenticato Giovanni Battista passando a Gesù (Di fatto egli non dimentica la divozione eudista. Ma non vi sono, per lui, due divozioni al sacro Cuore. A proposito di una grazia). – Ecco ciò che scrive al suo amico fedele, Bosguerard: « Da pochi anni il nostro buon Salvatore ha fatto conoscere ad una religiosa della Visitazione della piccola città di Paray in Borgogna, che voleva stabilire in questo tempo la divozione del suo sacro Cuore: e che; a questo scopo, si servirebbe dei Padri Gesuiti, che di fatto l’han già stabilita, non solo in Europa, ma nelle Indie e nel Canadà. Essi hanno scritto intorno a questa divozione un libro eccellente, pubblicato a Lione, dal quale sono stato commosso; e a Rouen è stato fatto un riassunto di questo libro che si vende da Kérault, al Palais (Il libro del P. Croiset era stato pubblicato senza il nome di autore. Il sunto di Rouen, opera, si dice, di una Visitandina, è del 1694, ciò che può aiutare a datare la lettera; l’Indulgenza è quella che Innocenzo XII accordò nel 1693, col breve del 19 maggio.). Io ho conosciuto per mezzo della mia stessa esperienza ciò che vi è notato: che nostro Signore farà grandi grazie a coloro che avranno divozione al suo sacro Cuore. Dobbiamo fare del nostro meglio, per cooperare allo stabilimento di questa divozione. Il Papa ha accordato l’indulgenza plenaria a tutte le case della Visitazione che ne celebreranno la festa e il nostro buon Salvatore ha rivelato a Santa Gertrude che riservava questa divozione per gli ultimi tempi ». – Egli mantenne la parola. Lo potremmo vedere anche solo dall’intestazione delle sue lettere. Fino da allora, egli scriveva: «Dio solo! Dio solo in tre persone, e sempre Dio solo nell’unione del nostro buon Salvatore Gesù Cristo. il Salvatore di tutti gli uomini ». Nei suoi ultimi anni scrive: « Dio solo… nella santa ‘unione del sacro Cuore del nostro buon Salvatore, ecc. ecc. ». Ne parla spesso, ad ogni proposito. Vuol ringraziare? Lo fa per mezzo del sacro Cuore: « Prego con grande umiltà questo Cuore divino, infinitamente amante ed infinitamente amabile, che troviate in Lui le riconoscenze che io devo alla vostra gentile carità ». Vuol predicare la pace? Egli esorta a cercarla nel sacro Cuore: « L’anima che riposa unicamente in questo Cuore divino possiede una pace che oltrepassa ogni sentimento e che tutti gli uomini e i demoni insieme non potrebbero turbare. Così dimorare nel Cuor di Gesù, senza uscirne né per alcuna creatura, né per se stessi, vuol dire essere sempre contenti; fuori di questo Cuore amabile si è sempre inquieti ». – In una parola, nella divozione al sacro Cuore egli ha trovato la base stessa del Cristianesimo: « Sì, mia cara sorella. scrive ad una religiosa della Visitazione, noi dobbiamo dimorare in questo divin Cuore, ma dimorare per sempre…. vivendo solo della sua vita, agendo solo per i suoi movimenti divini, soffrendo nell’unione delle sue sofferenze. ed in tal maniera che deve essere il Cuore del nostro cuore, l’anima della nostra anima e la vita della nostra vita… Per questo unitevi a Lui in tutte le vostre azioni e sofferenze e in tutti i vostri stati, senza nessuna riserva; ma, unendovi nella sua santa unione, voi agirete sempre per movimento della sua divina grazia, sempre soprannaturalmente, mai umanamente e per natura. Che l’amore del Cuore infinitamente amabile di Gesù domini senza riserva sopra tutti i movimenti dei cuori nostri. Che lo Spirito Santo, che l’ha animato, animi tutti i nostri; che Egli sia il principio di tutte le nostre azioni e la sola gloria d’Iddio solo ne sia la fine ». – Infine, egli scrive nell’ultimo lavoro da lui pubblicato: « Proviamo una santa compiacenza, una gioia divina che la SS. Trinità trovi nel cuore di Gesù un amore infinito… Ma che faremo noi per amare questo Cuore infinitamente amante? Rimontiamo fino alla creazione del mondo, andando di secolo in secolo, vediamo tutti gli amori dei patriarchi, dei profeti, degli Apostoli, dei martiri, dei confessori, delle vergini e di tutte le creature mortali. Risaliamo nei cieli, vediamo tutti gli amori degli spiriti celesti e della loro grande Regina; uniamoci a tutti questi amori, a tutti gli amori che si sono avuti e che si avranno per questo divin Cuore; offriamogli tutti questi amori, ma di più l’amore infinito del Padre Eterno. Formiamo l’intenzione che tante volte noi respireremo, altrettanto noi continueremo questa unione per amare, con tutti gli amori, il Cuore infinitamente amabile dell’adorabile Gesù ». Allora si rivolge direttamente al sacro Cuore: « O Cuore abisso d’amore, o mio Salvatore, vi chiediamo, per l’amore che vi ha fatto morir per noi, che noi moriamo per la dolce violenza del vostro puro amore. O morire o amare, e morire ed amare per non cessar mai di amare ». Che l’autore, in tutto questo, sia sotto l’influenza del movimento partito da Paray, ce lo dice lui stesso, rinviandoci al libro, « dotto, ma pieno di unzione » del P. Croiset. Del resto fa un’allusione evidente a Margherita Maria quando scrive: « Il nostro buon Salvatore ha fatto conoscere a santa Gertrude e ad altre anime sante, che farà grandi grazie a quelli che avranno una divozione speciale al suo divin Cuore ». Precorse santa Margherita Maria e fu tutta dedicata al sacro Cuore anche Suor Giovanna Benigna Gojoz (1615-1692), della Visitazione di Torino, di cui abbiamo già parlato; sembra che ella abbia predetto alla sua gloriosa sorella le cose meravigliose che Dio doveva compiere per mezzo suo. E, prima di morire, seppe anche che la sua predizione si era compiuta (Vedi più sopra). Mentre nostro Signore preparava così le vie a santa Margherita Maria, Egli stesso preparava la santa nel segreto, la preveniva fin dalla più tenera infanzia, la circondava con il suo amore, attento ai primi battiti del suo cuore perché fossero tutti per Lui solo. Il 20 giugno 1671 ella entrava alla Visitazione di Paray, e Gesù cominciò tosto a rivelarle i segreti del suo cuore. – Margherita Maria ebbe conoscenza del sacro Cuore, avanti le rivelazioni di Paray? Fu sotto l’influenza di alcuno di quelli che ora vengon chiamati i suoi precursori? Conobbe le rivelazioni fatte a S. Gertrude, lesse alcune pagine nelle quali si parlava del sacro Cuore? Niente lo indica, ma niente ci indica il contrario. Avanti di entrare in convento ella doveva aver inteso parlare del Cuore ammirabile di Maria che il P. Eudes aveva ottenuto di far onorare nella diocesi di Autun, fin dal 1648. « Un giorno, nella festa del Cuore della SS. Vergine », lo nota essa stessa, ella vide il suo cuore, piccolo, piccolo, « e quasi impercettibile » fra i cuori di Gesù e Maria, e, mentre udiva queste parole: Così il mio puro amore unisce questi tre cuori per sempre, « i tre cuori non ne formarono che uno solo ». Potrebbe darsi che vi fosse qui un’influenza delle idee del P. Eudes. È la sola traccia che possiamo ritrovarne. – Nelle pratiche di divozione verso il sacro Cuore scritte di sua mano, ve ne sono alcune prese in libri di divozione che essa leggeva in convento, del P. Saint-Jure, del Padre Nouet, del P. Guilloré. Ma questo è posteriore alle rivelazioni. Ha potuto leggere e sentir leggere, fin dalla sua entrata in convento, i passi di san Francesco di Sales sul sacro Cuore, ma niente ci dice che ne sia stata colpita. Verso la fine della sua vita ella seppe delle visioni e delle rivelazioni della Madre Anna Margherita Clement e ne parla in una lettera al P. Croiset. Ma ne parla come in una scoperta da lei fatta allora, senza dubbio, leggendo e sentendo leggere la vita della venerabile Madre, che era stata pubblicata nel 1686. – In breve, senza poter affermare nulla come certo, abbiamo motivo per credere che la santa non doveva ad influenze esterne la sua divozione al sacro Cuore di Gesù. Pare ch’ella non vi pensasse avanti la sua entrata in religione, l’apprese da nostro Signore.

FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI CRISTO (2022)

FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI N. S. GESÙ CRISTO (2022)

Doppio di 1^ classe. • Paramenti rossi.

La liturgia, ammirabile riassunto della storia della Chiesa, ci ricorda ogni anno che in questo giorno fu vinta, nel 1849, la Rivoluzione che aveva cacciato il Papa da  Roma. A perpetuare il ricordo di questo trionfo e mostrare che era dovuto ai meriti del Salvatore, Pio IX, allora rifugiato a Gaeta, istituì la festa del Preziosissimo Sangue. Essa ci ricorda tutte le circostanze in cui fu versato. Questo sangue adorabile il Cuore di Gesù lo ha fatto circolare nelle sue membra; perciò, come nella festa del Sacro Cuore, anche oggi Vangelo ci fa assistere al colpo di lancia che trafisse il costato del divino Crocifisso e ne fece colare sangue e acqua. Circondiamo di omaggi il Sangue prezioso del nostro Redentore, che il sacerdote offre a Dio sull’altare. – Il gran Sacerdote, attraversando il Tempio, entrava una volta all’anno nel Santo dei Santi col sangue delle incoscienti e forzate vittime, immolate sull’altare degli olocausti. Questo sangue dava soltanto una purezza legale ed esteriore. Il Cristo è salito fino al vero Santo dei Santi, che è il cielo ed ha presentato al Padre il suo sangue, spontaneamente e liberamente versato sulla croce. Gesù è dunque il mediatore del Nuovo Testamento, e il suo sangue espia i peccati dapprima degli Israeliti, e poi di tutti gli uomini.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Apoc V:9-10
Redemísti nos,Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.

[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]


Ps LXXXVIII :2
Misericórdias Dómini in ætérnum cantábo: in generatiónem et generatiónem annuntiábo veritátem tuam in ore meo.

[L’amore del Signore per sempre io canterò con la mia bocca: la tua fedeltà io voglio mostrare di generazione in generazione.]


Redemísti nos, Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.

[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui unigénitum Fílium tuum mundi Redemptórem constituísti, ac ejus Sánguine placári voluísti: concéde, quǽsumus, salútis nostræ prétium sollémni cultu ita venerári, atque a præséntis vitæ malis ejus virtúte deféndi in terris; ut fructu perpétuo lætémur in cœlis.

[O Dio onnipotente ed eterno, che hai costituito redentore del mondo il tuo unico Figlio, e hai voluto essere placato dal suo sangue, concedi a noi che veneriamo con solenne culto il prezzo della nostra salvezza, di essere liberati per la sua potenza dai mali della vita presente, per godere in cielo del suo premio eterno.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebrǽos.
Hebr IX: 11-15
Fratres: Christus assístens Póntifex futurórum bonórum, per ámplius et perféctius tabernáculum non manufáctum, id est, non hujus creatiónis: neque per sánguinem hircórum aut vitulórum, sed per próprium sánguinem introívit semel in Sancta, ætérna redemptióne invénta. Si enim sanguis hircórum et taurórum et cinis vítulæ aspérsus inquinátos sanctíficat ad emundatiónem carnis: quanto magis sanguis Christi, qui per Spíritum Sanctum semetípsum óbtulit immaculátum Deo, emundábit consciéntiam nostram ab opéribus mórtuis, ad serviéndum Deo vivénti? Et ídeo novi Testaménti mediátor est: ut, morte intercedénte, in redemptiónem earum prævaricatiónum, quæ erant sub prióri Testaménto, repromissiónem accípiant, qui vocáti sunt ætérnæ hereditátis, in Christo Jesu, Dómino nostro.

(Fratelli, quando Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraversando una tenda più grande e più perfetta, che non è opera d’uomo – cioè non di questo mondo creato – è entrato una volta per sempre nel santuario: non con il sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue, avendoci acquistato una redenzione eterna. Se infatti il sangue di capri e tori, e le ceneri di una giovenca, sparse sopra coloro che sono immondi, li santifica, procurando loro una purificazione della carne; quanto più il sangue di Cristo, che per mezzo di Spirito Santo si offrì senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire al Dio vivente? Ed è per questo che egli è mediatore di una nuova alleanza: affinché, essendo intervenuta la sua morte a riscatto delle trasgressioni commesse sotto l’antica alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna, oggetto della promessa, in Cristo Gesù nostro Signore.]

Graduale

1 Joann 5:6; 5:7-8
Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine.

[Questo è colui che è venuto con acqua e con sangue: Cristo Gesù; non con acqua soltanto, ma con acqua e con sangue.]

1 Joann 5:9
V. Tres sunt, qui testimónium dant in cœlo: Pater, Verbum et Spíritus Sanctus; et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, aqua et sanguis: et hi tres unum sunt. Allelúja, allelúja.

[V. In cielo, tre sono i testimoni: il Padre, il Verbo, lo Spirito Santo; e i tre sono uno. In terra, tre sono i testimoni: lo Spirito, l’acqua, il sangue; e i tre sono uno. Alleluia, alleluia]

1 Joann V:9
V. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est. Allelúja

[V. Se accettiamo i testimoni umani, Dio è testimonio più grande. Alleluia.]

Evangelium
Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann XIX: 30-35
In illo témpore: Cum accepísset Jesus acétum, dixit: Consummátum est. Et inclináto cápite trádidit spíritum. Judæi ergo – quóniam Parascéve erat -, ut non remanérent in cruce córpora sábbato – erat enim magnus dies ille sábbati -, rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et altérius, qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum autem cum venissent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura, sed unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit; et verum est testimónium ejus.

[In quel tempo, quand’ebbe preso l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». Poi, chinato il capo, rese lo spirito. Allora i Giudei, essendo la Parascève, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era, infatti, un gran giorno quel sabato – chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e portati via. Andarono, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo, e anche all’altro che era stato crocifisso con lui. Quando vennero a Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe: ma uno dei soldati gli trafisse con la lancia il costato, e subito ne uscì sangue ed acqua. Colui che ha visto ne rende testimonianza, e la sua testimonianza è veritiera.]

OMELIA

[D. Massimiliano M. Mesini: Sermoni al Sangue Preziosissimo di Gesù Cristo per il mese di Giugno (poi Luglio) – Tip. Malvolti, RIMINI, 1884]

Christum Dei Filium, qui suo nos redemit Sanguine, venite adoremus!

Già terminato ha il suo corso il bellissimo fra mesi dell’anno, il Maggio. Esso passò tra lieta primavera, tra il profumo dei fiori, che olezzano soavissimi alla Regina del cielo e della terra, Maria. Ma un’altra primavera, altri fiori oh! Quanto tornarono a lei più graditi. I fiori, io voglio dire, delle virtù più elette, che la pietà dei Cristiani si studiò di cogliere nel giardino della devozione dì per dì in tutto il corso del mese. E voi pure, o carissimi ascoltanti, voi pure coglieste questi fiori con una diligenza tutta speciale ;, con un trasporto tutto proprio dell’amor vostro verso la Vergine benedetta. Ed intrecciata poi di tutti questi fiori di virtù come una vaghissima ghirlanda, la offriste fra lieti cantici, fra soavi armonie, fra i più teneri palpiti del cuor vostro. E Maria, io ne son sicuro, ve ne ripagò largamente, empiendovi l’anima dei più eletti favori, delle grazie più segnalate; ch’Ella non si lascia vincere in amore, e vuol più beneficarci di quello che noi desiderare sappiamo. Onorata Ella da voi in tutto il Maggio, ora lascia libero il campo alla pietà vostra, o Cristiani dilettissimi, perché nel Giugno (ora nel Luglio – ndr. -) si volga tutta a far omaggio al Preziosissimo Sangue del suo Divin Figliuolo Gesù Cristo. E ciò fa di buon grado, giacché fu Ella, che per opera dello Spirito Santo concependo l’Uomo-Dio nell’alvo purissimo, gli empì di questo Sangue le vene: Ella, che il vide piovere dall’aperte ferite, stando immobile appiè della croce, e che ogni titolo e merito ed ogni sua gloria bella da questo Divin Sangue riceve; giacché Ella è così grande, perché fu Madre dell’Uomo – Dio, il Redentore, e Redentore fu Uomo – Dio spargendo appunto dall’aperte vene il suo Sangue. Né sola Maria ha caro che voi in questo mese onoriate il Sangue Prezioso di Cristo, ma in ciò si associa all’Eterno Padre e al Verbo Divino. Però a destarne sempre più viva nei vostri animi la divozione io vengo in questa prima sera a mostravi:

1.° che l’onorare con pie considerazioni ed omaggi il Sangue sparso da Gesù è graditissimo a Dio Padre, e a Gesù stesso:

2.° vengo a dirvi, come dobbiate considerar questo Sangue, perché ne torni buon pro alle anime vostre.

Qual cosa, o ascoltanti dilettissimi, qual cosa mai potrà tanto tornar gradita a Dio, quanto il considerare lo spargimento del Sangue di Gesù Cristo? Ad esso Egli mirava fin dall’eternità vagheggiandolo  in mente qual causa istrumentale della Redenzione del genere umano, e fin dai secoli più remoti rappresentandolo con quella pompa di ombre, e figure, che precedettero il tempo della luce, e della realtà. Osservaste voi mai un pittore, allorché accingevasi a mettere in tela il suo disegno? Non fa egli che tirare rozzamente sulla tela le prime linee, ed i contorni del disegno medesimo per poi con più vivi colori abbellirlo, e perfezionarlo. Così Iddio veniva come dando un abbozzo del gran Redentore del mondo al suo popolo in uomini e fatti dell’antico testamento, che facevano intravedere quel molto di più, che avrebbe fatto, quando la figura resterebbe sorpassata dal figurato. Eccovi infatti Abele, l’innocente Abele, che pastore di pecore è immagine di Gesù, buon Pastore delle anime. Invidiato dal fratello perché le sue offerte sono gradite a Dio, è da lui invitato ad uscire a diporto nell’aperta campagna con melate parole che coprono il più orribile tradimento. L’innocente Abele è d’improvviso assalito, atterrato già versa il suo sangue ed ucciso sen muore, rappresentando il Redentore, che dovea pur Egli versare il Sangue, ucciso da quegl’ingrati che nella immensa sua carità fiacea suoi fratelli. La voce del sangue sparso da Abele, cel dicon le Sante Scritture, levasi intanto dalla terra al cielo domandando vendetta. Oh! come meglio parlerà il Sangue uscito dalle vene di Gesù: Sanguinis aspersiones melius loquentem, quam Abel (Hebr. XII, 24). Esso chiederà perdono, e perdono otterrà, rimanendo soddisfatta la Divina Giustizia, e lavata ogni macchia di peccato. Eccovi pure Isacco, che vassene al Moria per esservi sacrificato dall’istesso suo padre Abramo, immagine di Gesù Cristo, che dovrà andare sulle vette del Calvario a compiervi il sanguinoso sacrificio della croce, obbedendo alla volontà del suo Divin Genitore: Factus obediens ad mortem, mortem autem crucis (Phil. II). E quando Iddio ordinava agli Israeliti nell’Egitto di tingere del sangue dell’agnello svenato, le porte delle case dicendo: Vi sarà questo come segno, ed io vedrò quel sangue, e trapasserò oltre, né cadrà su voi la terribile piaga che metterà a morte i primogeniti Egiziani: Vèdebo sanguinem, et transibo vos, nec erit in vobis plaga disperdens (Esod. XII), non metteva forse innanzi agli occhi una figura della tanto maggior efficacia e virtù, che avrebbe il Sangue sparso dell’Agnello Divino? Videbo Sanguinem et transibo vos, diceva l’Eterno anche a noi, o ascoltanti dilettissimi, a noi, a cui doveva essere condonata la morte eterna, ai nostri peccati dovuta. Videbo Sanquinem, et transibo vos, nec erit in vobis plaga disperdens, ripetea pura noi, che pel Sangue di Gesù Cristo dovevamoandar franchi da tante miserie, e castighi temporali. Sì, non altro che ombre, figure, abbozzi eran quelli, con che Iddio rappresentava il Figliuol suo, qual già appariva fin d’allora alla sua mente tutto sanguinoso, Vestitus … veste aspersa sanguine (Apoc. XIX); ma ombre, figure, abbozzi, che ben danno a vedere le grandi cure che prendevasi l’Eterno Padre di questa grande effusione di Sangue fin dall’eternità, e come dai tempi più remoti la vagheggiasse in mente formandone sue delizie a compimento dei sublimi suoi disegni. E però che fate voi, o ascoltanti, quando venite a riandar nel vostro pensiero la gran cosa, ch’è questo Sangue, in questo mese ad esso consacrato, se non occuparvi di ciò, a cui era volta con tanto studio ed amore la mente del Divin Padre? Che fate voi, quando prestate ossequj a questo Sangue, se non onorare ciò ch’Egli apprezzava cotanto, e cotanto onorava ? E vi par egli, che a Dio non torni assai gradito un siffatto pio esercizio, sì tenera divozione? Quanto poi una sì tenera devozione è pur cara a Gesù Cristo stesso! Chi dubitar ne potrebbe? Il suo desiderio più ardente fu appunto di versare il Sangue per la salute dell’umano genere. A questo già anelava quando incarnandosi nel purissimo seno di Maria veniva di Sangue riempiendo le vene. Ed appena poi nato affrettavasi nella Circoncisione a spargerne le prime stille, che erano il preludio di quel molto, che un dì avrebbe versato e nell’Orto, e nel Pretorio e in sul Calvario. Ed in seguito? Egli non visse, e non respiro che per la croce; egli non fè che parlar di battesimo di Sangue: Baptismo habeo baptizari, et quomodo coarctor, usquedum perficiatur? (Luc XII)). ed avvicinandosi l’ora della sua passione, non può più contenerei suoi ardenti desiderj, e bisogna che li manifesti con quelle celebri parole: Desiderio desideravi hoc Pascha manducare vobiscum, antequam patiar (S. Luc. XXII). Ed allorché poi tutto appar sanguinoso sotto la fiera tempesta dei flagelli, e Sangue in gran copia glicavan le spine, che trafiggongli il capo, e rivi di Sangue mandano e mani e piedi trapassati da chiodi, si lamenta fors’Egli di sì barbara crudeltà? Ah! no, miei cari uditori. Qual agnello mansueto sotto le forbici di chi lo tosa non manda un lagno, perché Egli da sé volenteroso a tanto patir si assoggetta, Oblatus est, quia ipse voluit (Is. LIII); perché vede così finalmente compiute le sue brame, ed operata la redenzione. Onorate pur dunque con pie considerazioni ed ossequj il Sangue di Gesù Cristo, e siate sicuri, di dar gusto al suo cuore, tanto più ch’Egli stesso ve lo raccomanda. Hoc facite in meam commemorationem, (S. Luc. XXII) Ei disse, instituendo  lasciandovi la santa Eucaristia: voleva cioè, che voi aveste: memoria della sua acerba passione, della sua morte dolorosa e del Saugue sparso nella medesima. Questo ha caro, di questo vi fa anzi un precetto. Né a ciò voi potreste riuscir meglio, che considerando il suo Sangue Prezioso, di cui votate vi  furon le vene. Così mostrerete ancora la vostra tenera riconoscenza verso il così grande beneficio della redenzione, e verso un così amoroso benefattore. E siccome non vi ha cosa, che ributti tanto, quanto la sconoscenza; così non potrà non essere grandemente accetto a Gesù Cristo il vostro animo grato con queste significazioni di un intero mese. Ma perché vi tornino profittevoli i vostri ossequi, le vostre considerazioni intorno al Sangue di Gesù Cristo, fa d’uopo, che non sieno fatte in un modo qualunque, ma con uno sguardo della mente, che sia dapprima riflessivo. Più d’una volta facilmente vi venne fatto d’aver presente agli occhi qualche oggetto, e di vederlo direi quasi senza vedere, perché sopra pensiero, distratti di mente voi non vi ponevate alcuna riflessione. Che vi giovò allor quella vista? Nulla, affatto nulla, non essendo nessuna immagine chiara rimasta scolpita nella vostra mente a modo d’averne distinta conoscenza. Or applicate il medesimo al caso nostro. Che potrebbe giovarvi, o carissimi, il praticare il pio esercizio del mese di Luglio in onore del sangue di Gesù Cristo direi quasi per semplice usanza, e per tener dietro solamente agli altri, senza volgere attento lo sguardo della vostra mente ad esso nelle vostre considerazioni? Che potrebbe giovarvi venire ai sermoni, che si tengono in questa chiesa, e lasciar intanto passeggiar nella testa altri pensieri, e lasciarvi recare altrove dalla distrazione? Che vi gioverebbe lasciarvi tirar forse anche dalla passione a coltivar nella testa altri pensieri non del tutto innocenti, e forse anche peccaminosi? Ah! io vi dico adunque con le parole del profeta Geremia: Attendite, et videte. Non con occhio fugace tra pensieri vani che vi rubano la mente, ed a sé la legano, voi dovete contemplare Gesù tutto tinto del suo Sangue tenendo il modo di coloro che, vedendo non veggono: Videntes non vident. Ma dovete far tutto con guardo riflessivo. Allora succederà a voi ciò che avviene in contemplando una bellezza della natura, la quale se è suardata di proposito, rapisce: Attendite et videte. Ma non basta che nel vostro sguardo vi sia grande riflessione; bisogna che vi sia anche ripetizione di atti, senza di che non si otterrebbe un pieno effetto. Che fa uno che voglia conoscer bene una pittura, e rilevarne i pregi singolari che mano maestra vi sparse con arte sovrumana? Si contenta egli di mirarla una volta sola? O non piuttosto vi torna sopra con l’occhio più e più fiate, ben persuaso, che tutto il suo bello non gli si svela ad un tratto? Uno sguardo adunque ripetuto della vostra mente anche voi dovete, o ascoltanti, rivolgere al Crocefisso specialmente in questo mese; e quanto più sarà frequente la vostra contemplazione, più chiaro lume risplenderà alla vostra mente, e meglio sarà mosso a ben fare l’animo vostro: Recogitate, recogitate eum (Hebr. XII). Quali sono le api non solo più ricche di miele, ma del miele più scelto, e più squisito? Quelle senza fallo, che non vagabonde vanno qua e là aleggiano, ma che si posano più lungamente sui fiori, succhiandone i sapori più eletti. Volete voi lavorare nel vostro spirito atti di virtù gradevoli al cielo? Fermatevi con riflessionee più volte sul vostro Redentore grondante sangue … Recogitate, recogitate eum. Guardate: due sorte di spettatori trovavansi sulla cima del Calvario presenti al luttuoso dramma della crocifissione. Fuvvi chi con uno sguardo momentaneo mirava passando con un piglio indifferente; e fuvvi chi si diede a considerare a lungo gli strazi, e quel Sangue, che piovea a rivi da tante ferite, ad udire le voci, ad ammirare i prodigi, a contemplare i misteri del Redentore, che così dissanguato agonizzava. Qual fu il frutto, che ne colsero i primi? Nessun altro, che beffarlo, deriderlo, disprezzarlo aggiungendo ancora le più orribili bestemmie: Prætereuntes a blasphemabant cum, moventes capita sua (S. Matth. XXVII). Gli altri invece si sentivano tocchi nell’anima, e ritornarono ravveduti percuotendosi il petto. Omnis turba eorum, ecco le molto espressive parole dell’Evangelista, ommis turba corum, qui simul aderant ad spectaculum istud, et videbant quae fiebant, percutientes pectora sua revertabuntur (S. Luc. XXIII). Ah! Su adunque, che ciascuno di voi, o uditori, posandosi in questo mese sotto l’albero della Croce a considerare con molta frequenza Gesù grondante Sangue possa ripetere quelle parole della Cantica: Sub umbra illius, quem desideraveram, sedi, per poter poi cogliendone buon frutto soggiungere: Et fructus illius dulcis gutturi meo. Ma la vostra riflessione deve andare ancora più oltre, trasportandovi a discernere nel Sangue di Gesù Cristo il Sangue d’un Uomo – Dio, e penetrando fino al cuor suo per vederne gli affetti. Per l’unione ipostatica del Verbo, questo Sangue allora appare degno, che noi gli prestiamo culto di latria, che lo inchiniamo ed adoriamo con tutti gli onori, che si rendono alla Divinità: Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi, quia per sanctam Crucem tuam redimisti mundum. Chi poi mettendosi per quella via, che, trapassato il costato, aperse la lancia, e penetrando col guardo della mente insino al cuor del Crocifisso, non lo vedrà pieno d’immensa carità per noi? E qual cuore poi al vedere tanta carità d’un Uomo-Dio non si sentirà spinto anch’esso ad amare? Sia pur freddo e di ghiaccio ancora: ponendosi entro la ferita del costato accanto al cuor di Gesù, il così arde di amore, non potrà non fare a meno di accendersi, e d’infiammarsi tutto. In ultimo lo sguardo della vostra mente non deve andar disgiunto dallo sguardo del cuore, e del cuor ben disposto a trarne vero profitto, acciocché voi non siate nel numero di coloro di cui parla Ugone: Videntes oculo intellectus, non vident oculo affectus. Poco, o nulla gioverebbe infatti prestar un qualche ossequio al Sangue Prezioso di Gesù Cristo, e mettersi a considerarlo e meditarlo con la mente, quando il cuore è vizioso, e indifferente e avverso a Cristo. Come l’occhio della fronte viziato e debole non può vedere la luce del sole, così l’occhio dell’anima macchiato dai vizi non può ben vedere la luce bella, buona, e divina, che dalle ferite, donde sgorga il sangue di Cristo, si spande; Solem, nisi sanus, così S. Ambrogio, et vehemens oculus aspicîit, nec bonum potest videro. nisi anima bona (Ambr. de Iaac). Non può vedere con profitto nel Sangue di Gesù Cristo il bagno che monda le anime, un animo insozzato nel fango della terra, che di questo fango si delizia, e vi è ostinatamente attaccato con l’affetto. Non può conoscere ed imparare a suo pro nelle piaghe e nel Sangue di Gesù Cristo l’amore alla mortificazione ed alla tribolazione chi pensa solo a dilettare la carne con tante morbidezze, ed a secondarne le voglie scorrette. Non può, contemplando Cristo confitto ad una croce e tutto sanguinoso, apprendervi con giovamento il disprezzo del mondo chi da grande superbia lascia dominarsi, ed anela ognora a pompe e grandezze. Non può nel Sangue di Gesù Cristo sparso in sì gran copia trovare quell’ardentissima fiamma di carità, a cui scaldarsi, chi questo sangue rimira con disprezzo, chi lo bestemmia, chi lo calpesta con ogni sorta di peccato. Ah! tutti questi ben potranno vedere con l’occhio dell’intelletto, ma con l’occhio cuore, dell’affetto non veggono: Videntes oculo intellectus, non vident oculo affectus. Sia dunque ben disposto il vostro cuore; ed allora vi tornerà assai vantaggioso il dimorare col pensiero in sul Calvario ai piedi della croce. Come Pietro al vedere Gesù trasfigurato in tanta gloria sulle cime del Taborre non poté far a meno di esclamare: Bonum est nos hic esse; così vol, bonum est nos hic esse, esclamerete contemplando il Redentore grondante Sangue, edaggiungerete con Bernardo: Oh! quanto è buono,oh! quanto è giocondo, quanto è vantaggioso il dimorare noi qui col pensiero e con l’affetto: facciamqui tre tabernacoli, uno nelle piaghe dei piedi, unoentro le piaghe delle mani, un terzo nell’amoroso costato del Salvatore, dove ci sia dato riposare e vigilare: Faciamus hic tria tabernacula, unum in latere, ubi pedibus, unum in manibus, aliud.. in latere, ubi quiescere et vigilare. Ma parmi che sorga qui a dire una voce: dunque noi che siam peccatori, nessun profitto caveremo del Mese di Luglioin onore del Sangue Preziosissimo? E donde traete questa voi questa conseguenza? Ah! veniteci bendisposti, o peccatori, con Vero desiderio almeno di convertirvi, ed io vi so dire, che voi pure sperimenterete la virtù di questo Divin Sangue. Per voi anzi specialmente venne Gesù Cristo in terra a spargerlo. Pertanto io invito giusti, e peccatori, e così conchiudo il mio discorso di eccitamento a far ben questo Mese. Venite tutti, venite. Consideriamo tutti con guardo assai penetrante Gesù Cristo Figliuolo di Dio, prestiamogli il più riverente ossequio, adoriamo Lui, che col suo Sangue ci redense: Christum Dei filium, qui suo nos redemit Sanguine, venite, adoremus. Venite, o giusti, e fin da questa primasera esclamate contemplando Gesù Crocifisso: Salvete, o piaghe di Cristo, pegni d’immenso amore, da cui perenni rivi sgorgano di Sangue rosseggiante: salvete, Christi vulnera, immensi amoris pignora, quibus perennes rivuli manant rubentis sanguinis. Voi vincete in isplendore le stelle, le rose ed il balsamo nella fragranza. Voi avanzate in pregio le preziose pietre dell’Indie, e superate in dolcezza i favi di miele, Per voi è schiuso, alle nostre menti un gratissimo asilo. Qua entro non penetra giammai il furor dei nemici, che ne minacciano. Venite anche voi, o peccatori; o quanti da funeste macchie di delitti avete l’anima imbrattata: chi si lava in questo bagno di salute sarà mondato: Venite quotquot criminum funesta labes inficit: in hoc salutis balneo qui se lavat, mundabitur.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
1 Cor X:16
Calix benedictiónis, cui benedícimus, nonne communicátio sánguinis Christi est? et panis, quem frángimus, nonne participátio córporis Dómini est?

[Il calice dell’eucarestia che noi benediciamo non è forse comunione del sangue di Cristo? Il pane che noi spezziamo non è forse comunione col corpo di Cristo?]

Secreta

Per hæc divína mystéria, ad novi, quǽsumus, Testaménti mediatórem Jesum accedámus: et super altária tua, Dómine virtútum, aspersiónem sánguinis mélius loquéntem, quam Abel, innovémus.

[O Dio onnipotente, concedi a noi, per questi divini misteri, di accostarci a Gesù, mediatore della nuova alleanza, e di rinnovare sopra il tuo altare l’effusione del suo sangue, che ha voce più benigna del sangue di Abele.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Hebr IX: 28
Christus semel oblítus est ad multórum exhauriénda peccáta: secúndo sine peccáto apparébit exspectántibus se in salútem.

[Il Cristo è stato offerto una volta per sempre: fu quando ha tolto i peccati di lutti. Egli apparirà, senza peccato, per la seconda volta: e allora darà la salvezza ad ognuno che lo attende.]

Postcommunio

Orémus.
Ad sacram, Dómine, mensam admíssi, háusimus aquas in gáudio de fóntibus Salvatóris: sanguis ejus fiat nobis, quǽsumus, fons aquæ in vitam ætérnam saliéntis:

[Ammessi, Signore, alla santa mensa abbiamo attinto con gioia le acque dalle sorgenti del Salvatore: il suo sangue sia per noi sorgente di acqua viva per la vita eterna].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA