IL PRIMATO SPIRITUALE DI ROMA (6)

IL PRIMATO SPIRITUALE DI ROMA (6)

P. Andrea Oddone s. j.

IL PRIMATO SPIRITUALE DI ROMA SECONDO LA COSTITUZIONE PASTOR ÆTERNUS S. E. I. MILANO, – 1937

LA COSTITUZIONE « PASTOR ÆTERNUS »

PROLOGO. — Il Pastore eterno e il Vescovo delle anime nostre, per rendere perpetua l’opera salutare della sua redenzione, decretò di edificare la Santa Chiesa, nella quale, come nella Casa del Dio vivente, tutti i fedeli si mantenessero uniti. con il vincolo di una sola fede e di un solo amore. Perciò prima di essere glorificato, pregò il Padre suo non solo per gli Apostoli, ma anche per quelli che avrebbero creduto in Lui per la loro parola, affinché tutti fossero una cosa sola in quel modo che sono una cosa sola lo stesso Figlio e il Padre. Come dunque mandò gli Apostoli, che si era scelti dal mondo, nella maniera stessa con cui egli era stato mandato dal Padre, così volle che nella Chiesa sua vi fossero pastori e dottori fino alla consumazione dei secoli. Ed affinché lo stesso episcopato fosse uno ed indiviso, e si conservasse nella unità della fede e della comunione tutta la moltitudine dei credenti per mezzo della coesione di sacerdoti, pose il beato Pietro a capo degli altri Apostoli, e istituì in lui il principio perpetuo e il fondamento visibile di questa doppia unità, volendo che sopra la sua solidità si costruisse il tempio eterno e che sulla fermezza della sua fede si innalzasse la Chiesa sino all’altezza dei cieli. E poiché le porte dell’inferno insorgono da ogni parte con odio sempre crescente contro il fondamento divinamente istituito della Chiesa, per abbatterla, se fosse possibile, noi con la approvazione del santo Concilio giudichiamo necessario per la salvaguardia, la salvezza e l’accrescimento del popolo cattolico, di proporre per essere creduta e tenuta, conformemente all’antica e costante fede della Chiesa universale, la dottrina sull’istituzione, la perpetuità e la natura del sacro primato apostolico, sopra la quale riposa la forza e la solidità di tutta la Chiesa, e di proscrivere e condannare gli errori contrari, tanto dannosi al gregge del Signore.

Capo I. — Dell’istituzione del primato apostolico nel beato Pietro.

Insegniamo quindi e dichiariamo, secondo la testimonianza del Vangelo, che il primato di giurisdizione su tutta la Chiesa di Dio fu promesso e dato da Cristo Signore immediatamente e direttamente al beato apostolo Pietro. Infatti, a Simone soltanto, al quale già aveva detto: « Tu ti chiamerai Cefa », a lui solo che gli aveva fatta questa confessione: « Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo », Gesù disse: « Beato sei tu, Simon Bar lona, perché non la carne e il sangue te lo ha rivelato, ma il Padre mio, che è nei cieli. E dico a te, che tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non avranno forza contro di essa. E a te to darò le chiavi del regno dei cieli; e qualunque cosa avrai sciolta sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli ». Ed ancora al solo Simon Pietro diede Gesù, dopo la sua resurrezione, la giurisdizione di Sommo Pastore e Rettore su tutto il suo ovile, dicendo: « Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle ». A questa dottrina così chiara della Sacra Scrittura, come fu sempre intesa da tutta la Chiesa, sono apertamente contrarie le perverse opinioni di coloro che, pervertendo la forma di governo costituita da Cristo Signore nella sua Chiesa, negano che il solo Pietro sta stato investito da Cristo di un vero e proprio primato di giurisdizione su tutti gli altri Apostoli, sia separatamente uno dall’altro, sia collettivamente insieme; o affermano che questo stesso primato non è stato conferito immediatamente e direttamente al beato Pietro, ma alla Chiesa, e per questa a lui, come a ministro della stessa Chiesa. Se qualcuno, quindi, dice che il beato Pietro apostolo non fu costituito da Cristo Signore principe di tutti gli Apostoli, e capo visibile di tutta la Chiesa militante, oppure che il medesimo Pietro ha ricevuto direttamente ed immediatamente dallo stesso Gesù Cristo Signor nostro solamente un primato d’onore, e non di vera e propria giurisdizione, sia anatema.

Capo II. — Della perpetuità del primato di Pietro nei Romani Pontefici.

Quello poi che, a perpetua salute e bene perenne della Chiesa, il principe dei pastori ed il gran pastore delle pecorelle, il Signor Gesù Cristo, istituì nel beato apostolo Pietro, deve necessariamente, sotto l’azione dello stesso Cristo, durare nella Chiesa, la quale fondata sopra la pietra, starà ferma fino alla fine dei secoli. A nessuno, infatti, può cadere in dubbio, anzi è un fatto notorio in tutti i secoli, che il santo e beatissimo Pietro, principe e capo degli Apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa Cattolica, ha ricevuto da Nostro Signore Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano, le chiavi del regno; egli fino a questo tempo e sempre, vive e regna e giudica nei suoi successori, i Vescovi della Santa Romana Sede, da lui fondata e consacrata col suo sangue. Perciò chiunque succede in questa cattedra a Pietro, egli, secondo l’istituzione dello stesso Cristo, tiene il primato di Pietro su tutta la Chiesa. Rimane dunque ciò che la verità ha stabilito, e il beato Pietro, conservando sempre la fortezza della pietra, non abbandona mai, dopo averlo una volta preso, il governo della Chiesa. Per questa ragione fu sempre necessario che alla Chiesa Romana per la sua superiorità eminente si riferisse ogni Chiesa, ossia tutti i fedeli sparsi per ogni luogo, affinché, uniti come membri al loro capo, formassero un solo e medesimo corpo in questa Sede, donde provengono su tutti i diritti della venerata Comunione. Se qualcuno, quindi, dice che non è per istituzione dello stesso Cristo: Signor Nostro, ossia di diritto divino, che il beato Pietro ha perpetui successori nel primato su tutta la Chiesa; o che il Romano Pontefice non è il successore del beato Pietro nello stesso primato, sia anatema.

Capo III. Della forza e della ragione del primato del Romano Pontefice.

Per la qual cosa, appoggiati alle manifeste testimonianze delle sacre lettere, ed aderendo ai decreti formali e perpetuamente chiari, tanto dei Romani Pontefici, nostri predecessori, quanto dei Concili generali, rinnoviamo la definizione. del Concilio ecumenico di Firenze, in virtù della quale tutti î fedeli di Cristo sono tenuti a credere che la santa Sede Apostolica ed il Romano Pontefice tiene il primato in tutto il mondo, e che lo stesso Romano Pontefice è successore del beato Pietro, principe degli Apostoli, e vero Vicario di Cristo e capo di tutta la Chiesa, e padre e dottore di tutti i Cristiani; e che a lui nel beato Pietro fu affidata da Gesù Cristo, Signor nostro, piena potestà di pascere, reggere e governare la Chiesa universale, come pure questo è contenuto negli Atti dei Concili ecumenici e nei sacri canoni. Insegniamo pertanto e dichiariamo che la Chiesa di Roma ha, per una disposizione del Signore, il principato della potestà ordinaria sopra tutte le altre Chiese; e questa potestà di giurisdizione del Romano Pontefice, veramente episcopale, è immediata: che verso di essa i pastori ed i fedeli di qualunque rito e dignità, sia ciascuno separatamente che tutti insieme, sono astretti dal dovere di subordinazione gerarchica e di vera ubbidienza non solo in quelle cose che appartengono alla fede e ai costumi, ma anche in quelle che riguardano la disciplina ed il governo della Chiesa sparsa per il mondo intero; così che mantenendo l’unità sia di comunione sia di professione della stessa fede con il Romano Pontefice, la Chiesa di Cristo formi un solo gregge sotto un solo Sommo Pastore. Questa è la dottrina della verità cattolica, dalla quale nessuno può deviare senza perdere la fede e la salvezza. Tanto poi è lungi che questa potestà del Sommo Pontefice sia di detrimento al potere ordinario e immediato di giurisdizione episcopale, in forza della quale i Vescovi, posti dallo Spirito Santo e successori degli Apostoli, pascono e reggono come veri pastori ciascuno il gregge particolare affidato alla sua cura, che anzi questo loro potere viene al contrario affermato, corroborato e rivendicato dal Pastore supremo e universale, secondo le parole di S. Gregorio Magno: « Il mio onore è l’onore della Chiesa universale. Il mio onore è la forza solida dei miei fratelli. Allora io sono veramente onorato, quando a ciascuno è dato l’onore che gli compete ». Da questa suprema potestà del Romano Pontefice di governare la Chiesa universale, risulta per lui il diritto di comunicare liberamente, nell’esercizio della sua carica, con i pastori e i greggi di tutta la Chiesa, affinché questi possano essere istruiti e diretti da lui nella via della salute. Perciò condanniamo e riproviamo le sentenze di coloro che dicono che questa comunicazione del capo supremo con i pastori e i greggi può essere lecitamente impedita; oppure la fanno dipendere dalla potestà secolare e pretendono che le disposizioni prese dalla Sede Apostolica o in virtù della sua autorità per il governo della Chiesa, non hanno forza e valore, se prima non siano confermate dal placito della potestà secolare. E poiché il Romano Pontefice per diritto divino del primato apostolico presiede a tutta la Chiesa, insegniamo anche e dichiariamo che egli è giudice supremo dei fedeli, e che in tutte le cause che sono di competenza ecclesiastica, essi possono ricorrere al suo giudizio; e che il giudizio della Sede Apostolica, al disopra della quale non v’è autorità, non può essere riformato da nessuno e che a nessun è lecito giudicare un tale giudizio. Perciò sono lungi dal sentiero della verità coloro che affermano essere lecito appellarsi dai giudizi dei Romani Pontefici al Concilio ecumenico, come ad autorità superiore al Romano Pontefice. – Se pertanto qualcuno dice che il Romano Pontefice ha solamente l’incarico d’ispezione o di direzione, ma non piena e suprema potestà di giurisdizione in tutta la Chiesa, non solo in quelle cose che concernono la fede e i costumi, ma in quelle anche che riguardano la disciplina ed il governo della Chiesa diffusa per tutto il mondo; o che ha soltanto la parte principale, e non tutta la pienezza di questa suprema potestà; oppure che questa sua potestà non è ordinaria ed immediata sia su tutte e singole le Chiese come su tutti e singoli i pastori e î fedeli, sia anatema.

Capo IV. — Del magistero infallibile del Romano Pontefice.

Nel primato apostolico che il Romano Pontefice possiede su tutta la Chiesa come successore di Pietro, principe degli Apostoli, è compresa anche la suprema potestà di magistero: ciò ha sempre tenuto questa santa Sede, è provato dall’uso perpetuo della Chiesa e fu dichiarato dagli stessi Concili ecumenici e da quelli stessi principalmente in cui l’Oriente e l’Occidente convenivano insieme nell’unione della fede e della carità.

I Padri, infatti, del Concilio Costantinopolitano IV, seguendo le orme dei maggiori, emisero questa solenne professione: « La salute sta prima di tutto nel custodire la regola della retta fede. E poiché non può essere vana la parola di Nostro Signor Gesù Cristo, che disse: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa ,, questa parola è verificata dai fatti; perché nella Sede Apostolica si è sempre conservata immacolata la religione cattolica e professata la santa dottrina. Pertanto, desiderosi di non essere separati in nulla dalla sua fede e dalla sua dottrina speriamo di meritarci d’essere in quell’unica comunione, che viene predicata dalla Sede Apostolica, ed in cui esiste l’’intiera e verace solidità della Religione cristiana » . Con l’approvazione del secondo Concilio di Lione, i Greci hanno fatto questa professione: « La Santa Romana Chiesa ha sopra tutta la Chiesa cattolica il sommo e pieno primato e principato, che essa veracemente e umilmente riconosce d’aver ricevuto, insieme con la pienezza della potestà, dallo stesso Signore nel beato Pietro, principe e capo degli Apostoli, di cui il Romano Pontefice è successore, e poiché è tenuta più delle altre Chiese a difendere la verità della fede, così se intorno alla fede sorgeranno questioni, si devono definire con il suo giudizio ». Finalmente il Concilio di Firenze ha definito: « Il Romano Pontefice è il vero Vicario di Cristo e capo di tutta la Chiesa e Padre e dottore di tutti i Cristiani; a lui è trasmessa nella persona del beato Pietro dal Signor nostro Gesù Cristo la piena potestà di pascere, di reggere e di governare la Chiesa universale ». Per adempiere ai doveri di questo ufficio pastorale i nostri predecessori si adoperarono sempre indefessamente a propagare presso tutti i popoli della terra la dottrina salutare di Cristo, e vigilarono con uguale sollecitudine a conservarla pura e senza mescolanza dovunque fosse stata ricevuta. Perciò î Vescovi di tutto il mondo, ora personalmente, ora congregati in Concili, seguendo l’antica consuetudine della Chiesa e la formula dell’antica regola, a questa santa Sede segnalarono quei pericoli che si presentavano soprattutto nelle cose di fede, affinché i danni portati alla fede, fossero riparati in modo più speciale colà dove la fede non può patire danno. Da parte loro i Romani Pontefici, secondo che la condizione dei tempi e delle cose lo consigliava, ora convocando Concili ecumenici, nei quali s’informavano del pensiero della Chiesa dispersa per il mondo, ora per mezzo di Sinodi particolari, ora adoperando altri aiuti, che venivano somministrati dalla Divina Provvidenza, hanno definito che si doveva ritenere ciò che avevano, con l’aiuto divino, conosciuto conforme alle Sacre Scritture e alle Tradizioni apostoliche. Lo Spirito Santo, infatti, fu promesso ai successori di Pietro non già per pubblicare, sotto la sua rivelazione, nuove dottrine, ma perché custodissero e fedelmente esponessero, con la sua assistenza, la rivelazione tramandata dagli Apostoli, ossia il deposito della fede. La loro dottrina apostolica fu da tutti i venerabili Padri e Dottori ortodossi abbracciata, venerata e seguita, sapendo perfettamente che questa Sede di San Pietro rimase sempre esente da ogni errore, secondo la divina promessa del Signor nostro Salvatore fatta al principe dei suoi discepoli: « lo ho pregato per te, affinché non venga meno la tua fede, e tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli ». Il dono della verità e della fede, che non viene mai meno, è stato dunque divinamente concesso a Pietro e ai suoi successori in questa Cattedra, affinché per la salute di tutti adempissero al proprio ufficio; e così tutto il gregge di Cristo allontanato con il loro aiuto dal pascolo velenoso dell’errore, si nutrisse con il cibo della dottrina celeste: e tolta ogni occasione di scisma, la Chiesa si conservasse tutta intera nell’unità e che, appoggiata sopra il suo fondamento, si mantenesse incrollabile contro le porte dell’inferno. E poiché in quest’età in cui si ha più bisogno della salutifera efficacia del Magistero apostolico, si trovano non pochi che denigrano la sua autorità, noi giudichiamo che sia assolutamente necessario di definire in modo solenne la prerogativa che il Figlio di Dio si è degnato congiungere con il supremo ufficio pastorale. Pertanto, aderendo fedelmente alla tradizione ricevuta fin dall’esordio della fede cristiana, a gloria di Dio nostro Salvatore, ad esaltazione della Religione cattolica, ed a salute dei popoli cristiani, coll’approvazione del Sacro Concilio, insegniamo e definiamo come dogma da Dio rivelato, che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, ossia quando esercitando l’ufficio di pastore e dottore di tutti i Cristiani, definisce, in virtù della sua suprema apostolica autorità, che una dottrina sulla fede o sui costumi si deve tenere da tutta la Chiesa, gode, per l’assistenza divina a lui promessa nel beato Pietro, di quella infallibilità di cui il Divin Redentore volle essere fornita la sua Chisa nel definire una dottrina sulla fede e sui costumi; e perciò che tali definizioni del Romano Pontefice sono irreformabili per se stesse e non in virtù del consenso della Chiesa. Se qualcuno poi, tolgalo Iddio, osasse contraddire a questa nostra definizione, sia anatema.

Dato a Roma nella Sessione pubblica tenuta solennemente nella Basilica Vaticana, l’anno dell’Incarnazione del Signore 1870, il 18 luglio, del nostro Pontificato XXIV.