ADOLFO TANQUEREY
LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ (8)
Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle Missioni – ROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF. – 1930
NIHIL OBSTAT – Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.
IMPRIMATUR Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.
PARTE PRIMA
Gesù vivente in noi per comunicarci la sua vita
CAPITOLO II.
La nostra partecipazione alla vita divina
ART. IV. — I NOSTRI DOVERI VERSO LA VITA SOPRANNATURALE.
Se Dio vive ed opera nell’anima nostra, se ci fa partecipare alla sua vita corredandoci “di un organismo soprannaturale, è evidente che dobbiamo corrispondere alle sue premure, accettare con riconoscenza questa vita, e sotto l’azione della grazia attuale, diligentemente perfezionarla. È il caldo consiglio che San Paolo dava continuamente ai suoi discepoli: « Vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio! ». E alle esortazioni aggiunge le minacce, dichiarando che Dio, nonostante la infinita sua bontà, sarà costretto a castigare veramente coloro che abusano volontariamente della grazia: « La terra che, bevendo la pioggia cadutale spesso dal cielo, germoglia erbe utili per chi la lavora, riceve benedizioni da Dio; ma se produce spine e triboli, viene riprovata ed è vicina a maledizione » (Hebr. VI, 7-8). Che cosa dobbiamo dunque fare per trar profitto da questa vita che Dio ci ha così liberalmente largito? dobbiamo fare principalmente due cose:
1° rispettarla e conservarla come il più prezioso dei tesori;
2° quotidianamente aumentarla facendo atti soprannaturali e meritori.
1° Rispettare e conservare la vita soprannaturale.
A) Essendo la vita della grazia) il più prezioso dei beni, dobbiamo stimarla più di tutti i tesori della terra, e persino più di tutti i doni preternaturali.
a) La grazia vale certo più di tutti i tesori e di tutte le terrene dignità. A lei, che della sapienza è la fonte, possiamo applicare ciò che il sacro autore dice della Sapienza: « L’ho preferita a scettri e troni e le ricchezze stimai un nulla a paragone di lei… L’amai più che la sanità e la bellezza e l’anteposi alla luce, perché lo splendore che essa irraggia non tramonta mai. Insieme con lei mi venne ogni bene e innumerevoli ricchezze per mezzo di lei » (Sap. VII, 8-11). Che cosa, infatti, sono mai le caduche ricchezze di fronte a quel Dio che ora possediamo già per la grazia e di cui godremo per tutta l’eternità? È ben avaro, diceva l’Olier, colui al quale Dio non basta. E che valgono tutte le corone del mondo, che avvizziscono così presto, appetto alla corona immortale che ci è procurata dallo stato di grazia se vi perseveriamo?
b) Anzi, la grazia santificante vale più del potere di far miracoli, che Dio comunica ai suoi santi. S. Paolo scrive: « Se avessi il dono della profezia e conoscessi i misteri tutti e tutto lo scibile; e se avessi tanta fede da trasportar le montagne, ma poi non avessi la carità (e quindi la grazia), non sarei nulla! » (I Cor. XIII, 2), Il potere di far miracoli non è infatti cosa essenzialmente soprannaturale, come la grazia santificante, ma è solo preternaturale: potrebbe, assolutamente parlando, essere concesso a un peccatore, perché non suppone necessariamente l’intima unione con Dio, ma solo una semplice delegazione della sua potenza; mentre la grazia è una partecipazione alla vita stessa di Dio, è il bene supremo che Dio non concede se non ai suoi amici. Tutto ciò è talmente vero che, se la dignità di Madre di Dio, che è la più grande dignità che si possa conferire a semplice creatura, venisse separata dalla grazia santificante che l’accompagna, la grazia santificante le sarebbe superiore. Tale è in sostanza il pensiero di Nostro Signore quando dice: « Chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, costui è mio fratello e sorella e madre » (Matth. XII, 50). Infatti, il fare perfettamente la volontà di Dio, è amarlo, è possedere lo stato di grazia, è quindi entrare nella famiglia di Dio, è essere fratello di Gesù Cristo, è concepir Gesù nel proprio cuore, come lo aveva concepito Maria prima di riceverlo nel virgineo suo seno, è quindi il più grande di tutti i beni.
c) Del resto, se vogliamo giudicar del pregio della grazia, vediamo quello che fecero le tre divine Persone per comunicarcela. Il Padre non ha che un Figlio, un Figlio che è la viva e sostanziale sua immagine, un Figlio che ama come se stesso. Or questo Figlio ei lo dà, lo fa incarnare, lo sacrifica per restituirci la vita della grazia che avevamo perduta pel peccato di Adamo: « Dio ha amato tanto il mondo che diede l’unico suo Figlio, onde chiunque crede in Lui non perisca ma abbia la vita eterna » (1 S. Giov. III, 16). Il Figlio era perfettamente beato nel seno del Padre; amato da Lui con amore infinito e Lui riamando con reciproco amore, non aveva alcun bisogno di noi. Eppure, per amore del Padre e per amor nostro, acconsente a farsi uomo per divinizzarci, acconsente ad assumere le nostre infermità e i nostri dolori, a patire e morire per noi sopra una croce, affinché ci sia ridata la vita che avevamo perduta in Adamo: « Cristo ci amò e diede se stesso per noi oblazione ed ostia a Dio in odore soavissimo » (Ephes. V, 2). Onde, purificati per virtù del suo sangue e del suo amore, viviamo della sua vita. Lo Spirito Santo, vincolo e amore mutuo del Padre e del Figlio, uguale all’uno e all’altro, beato della medesima beatitudine, non aveva certamente bisogno del nostro amore. Eppure, per santificarci applicandoci i meriti del Figlio, discende nel povero nostro cuore, ne caccia il peccato, lo orna della grazia e delle virtù, e dà a noi se stesso, affinché godiamo della sua presenza e dei suoi doni intanto che aspettiamo l’eterno possesso di Dio: « L’amor di Dio, dice S. Paolo, è diffuso nei nostri cuori per opera dello Spirito Santo che ci fu dato » (Rom. V, 5). – Ecco ciò che fanno le tre divine Persone per comunicarci la loro vita, ecco la stima che ne hanno, il pregio che le attribuiscono. Meditando queste grandi verità, i santi non si potevano tenere dal dire: Oh! anima mia, tu vali il sangue di un Dio, tu vali un Dio! tanti vales quanti Deus! – Aveva dunque ragione Gesù di dire alla Samaritana: « Se conoscessi il dono di Dio!… Chi beve dell’acqua che gli darò io (l’acqua della grazia), non avrà più sete in eterno; l’acqua che io gli darò, diventerà in lui una fonte che zampillerà fino alla vita eterna! ». Ecco dunque che cos’è la grazia santificante: una fonte di acqua viva che, scaturendo dalle altezze del cielo, dal cuore stesso di Dio, ha il mirabile potere di farci risalire a Lui. È la perla preziosa, il tesoro nascosto, che bisogna comprare e serbare a qualunque costo, perchè è per noi il diritto alla vita eterna, il diritto al possesso di Dio nell’eterna visione e nell’eterno amore!
B) Si capisce quindi il linguaggio dei Padri che ci esortano, con san Leone Magno, a conservar gelosamente questo preziosissimo dei tesori: « Riconosci, o Cristiano, la tua dignità; e, fatto partecipe della natura divina, non tornare con la sregolata condotta all’antica tua bassezza. Rammenta di quale corpo sei sembro e chi è il tuo capo. Ricordati che, strappato alla potenza delle tenebre, fosti trasportato nel regno della luce e che il santo Battesimo ti consacrò tempio dello Spirito Santo? » (S. LEONE, Serm. 21, sulla natività del Signore, c. 3). – Ora una sola cosa può farci perdere la grazia: il peccato mortale; odio dunque al peccato mortale e a tutte le sue occasioni! Abbiamo mai seriamente pensato a quanto è di criminoso e di insensato nel peccato mortale? Dio è il nostro primo principio, il nostro sommo padrone, un re pieno di dolcezza e di bontà che nulla ci comanda che non miri così alla nostra felicità come alla sua gloria; e noi ricusiamo di ubbidirgli e ci ribelliamo contro la sempre buona e santa sua volontà! Dio è nostro Padre e ci tratta non solo con premura paterna, ma colla tenerezza propria della più amorosa delle madri; ora col peccato noi disprezziamo il suo amore e i suoi doni, li voltiamo anzi contro di Lui e l’offendiamo nel momento stesso in cui ci colma dei suoi favori! Dio è il nostro Salvatore, che ci riscattò a prezzo delle più dure fatiche, dei più dolorosi tormenti, della più ignominiosa delle morti; e noi lo crocifiggiamo di nuovo! Infatti, come ben dice l’Olier (Catéchisme chrétien pour la vie intérieure, p. I, lez. 28), « la nostra avarizia inchioda la sua carità, la nostra ira la sua dolcezza, la nostra impazienza la sua pazienza, il nostro orgoglio la sua umiltà; e così coi nostri vizi noi afferriamo, leghiamo, facciamo a brani Gesù Cristo che abita in noi ». Offendendolo, commettiamo una specie di suicidio spirituale, perché perdiamo la grazia che è la vita dell’anima nostra; perdiamo le virtù e i doni che le fanno corteggio; che se, nell’infinita sua misericordia, Dio ci lascia ancora la fede e la speranza (posto che il nostro peccato non colpisca direttamente queste virtù) lo fa per poterci ispirare un salutare timore e preparar la nostra conversione. Perdiamo anche i meriti passati, accumulati con tanti sforzi; perdiamo perfino il potere di meritar la vita eterna. Ma soprattutto perdiamo Dio, Dio che è il bene infinito e la fonte di ogni bene; quel Dio che era la gioia dell’anima nostra; e mettiamo al suo posto il demonio che ci riduce in ischiavitù; perché « chiunque commette il peccato diventa schiavo del peccato » (S. Giov., VII, 34), schiavo delle sue passioni e delle cattive sue abitudini. Ah! si, il peccato mortale è veramente una pazzia, e si capisce il forte linguaggio dei santi: « Piuttosto morire che macchiarmi l’anima: potius mori quam fœdari ».Per essere più sicura di schivarlo, l’anima fervorosa fugge con la massima diligenza anche i peccati veniali deliberati, ossia quelli che si commettono vedendo chiaro di offendere Dio, sebbene in materia leggiera. Poiché, come dice santa Teresa, il commettere volontariamente uno di questi peccati è un dire implicitamente a Dio: « Signore, sebbene quest’azione vi dispiaccia, io la farò lo stesso. So bene che voi la vedete, so pure che non la volete, ma alla vostra volontà io preferisco il mio capriccio e la mia inclinazione ». È chiaro che una simile disposizione è molto deplorevole e serio ostacolo al nostro avanzamento Spirituale. – L’anima fervorosa si studia di evitare persino le imperfezioni volontarie, vale a dire le deliberate resistenze alle ispirazioni della grazia; perché queste resistenze dispiacciono a Dio e ci privano di numerosi aiuti. Ma il mezzo migliore per evitare le imperfezioni e i peccati veniali e per star lontani dal peccato mortale è di aumentar quotidianamente in noi la vita della grazia.
2° Aumentare quotidianamente la vita soprannaturale.
La grazia santificante è vita e quindi essenzialmente progressiva. Infatti, ogni vita. è moto; se cessa il moto vitale, sopravviene la morte; anzi il rallentamento di questo moto è già diminuzione di vita e avviamento alla morte. Ecco perché l’unico mezzo veramente efficace per conservar la vita soprannaturale è di studiarsi continuamente di aumentarla: chi non lo fa, cade nella tiepidezza, nel languore spirituale, nel rilassamento, e discende a grado a grado la china che conduce nell’abisso.
A) Or dunque in che modo aumentiamo in noi la vita soprannaturale? Corrispondendo a quelle grazie attuali che abbiamo sopra descritte, ossia facendo atti soprannaturali e meritorii. Questi atti non li facciamo da soli, ma in collaborazione con Dio: « Non io solo ho lavorato, dice san Paolo, ma la grazia di Dio con me » (I Cor. XV, 10). Di qui si spiega la mirabile fecondità di questi atti. Se operassimo da soli, i nostri atti sarebbero incapaci di meritare l’eterno possesso di Dio: ma opera in noi e con noi lo Spirito Santo e la sua virtù dà alle nostre azioni un valore proporzionato alla grandezza del fine da conseguire. Divinizzati nella nostra sostanza colla grazia abituale, divinizzati nelle nostre facoltà colle virtù soprannaturali, noi possiamo, sotto l’influsso della grazia attuale, fare atti soprannaturali, deiformi e meritori della vita eterna. – Sono atti certamente transitori mentre la gloria è eterna. Ma se, nell’ordine naturale, atti che non durano che un momento sono capaci di causare abitudini e stati psicologici duraturi. Non è meraviglia che Dio, nella somma sua bontà, abbia voluto che ognuno dei nostri atti soprannaturali, fatti in istato di grazia, meriti una ricompensa eterna. Quindi san Paolo, volendo consolare in mezzo alle loro tribolazioni i cari suoi discepoli, dichiara che: « la momentanea e leggera tribolazione nostra ci guadagna uno smisuratamente grande ed eterno peso di gloria? » (II Cor. IV, 17); e sul fine della vita, dopo aver lavorato sempre animoso e costante. sentendo di aver combattuto la buona battaglia, l’Apostolo aspetta con ferma speranza la corona di giustizia promessa da Dio ai suoi servi fedeli: « Ho combattuto il buon combattimento, ho finita la corsa, ho conservato la fede. Ormai mi sta serbata la corona della giustizia che mi consegnerà il Signore in quel giorno, il giusto giudice; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno amato la sua ricomparsa! » (IITim. IV, 7, 8). È parola certo molto consolante, perché, senza far nulla di straordinario, puramente coll’adempiere i doveri del nostro stato per Dio e tollerare pazientemente per lui le fatiche e le pene, possiamo aumentare ad ogni istante il nostro capitale di grazia santificante e di gloria eterna!
B) Vediamo quindi quali sono le condizioni che aumentano il valore degli atti meritori e con essi il grado della vita soprannaturale. Sono tre le condizioni principali che intensificano i meriti di un’anima che è già in istato di grazia: l’unione con Nostro Signore, la purità d’intenzione, e il fervore con cui si opera.
a) La prima causa che intensifica i nostri meriti è il grado di intimità e di unione che abbiamo con Nostro Signore. Col Battesimo, come abbiamo già detto, noi siamo incorporati a Gesù Cristo; ora, essendo Gesù la fonte di tutti i nostri meriti, ne viene che tanto più meritiamo quanto più intimamente e più abitualmente, direi anche più attualmente, siamo uniti e incorporati a Lui. È ciò che volle inculcarci Gesù medesimo con quel bel paragone della vite, che esprime così bene le nostre relazioni con Lui: « Io sono la vite e voi i tralci… se uno rimane in me e io in lui, questi porta molto frutto? ». Uniti a Gesù come i tralci al ceppo della vite, riceviamo tanto maggior linfa divina quanto più abitualmente, più attualmente, più strettamente siamo uniti al ceppo divino. Ecco perché le anime fervorose, o che tali vogliono diventare, cercarono sempre un’unione ognor più intima con Nostro Signore. Ecco perché anche la Chiesa vuole che facciamo le nostre azioni per Lui, con Lui e in Lui: per Lui, per ipsum, perché nessuno va al Padre senza passare per Lui; nemo venit al Patrem nisi per me » (Giov. XIV, 6); con Lui, cum ipso, operando con Lui, perché Gesù si degna di farsi nostro collaboratore; in Lui, in ipso, cioè nella sua virtù, nella sua forza, e specialmente nelle sue intenzioni, non avendone altre che le sue (È ciò che abbiamo esposto più sopra trattando della nostra incorporazione a Cristo? – Gesù vive allora in noi, ispira i nostri pensieri, i nostri desideri, le opere nostre, onde possiamo dire con san Paolo; « Vivo ma non più io, vive in me Cristo: Vivo autem iam non ego, vivit in me Christus » (Gal. II, 20). È chiaro che azioni fatte sottol’influsso e la vivificante virtù di Cristo e con la potente sua collaborazione hanno un valore incomparabilmente più grande che se fossero fatte da noi soli. Quindi in pratica studiamoci di unirci spesso, e specialmente al principio delle nostre azioni, a Nostro Signor Gesù Cristo e alle perfettissime sue intenzioni, pienamente consci della nostra incapacità a fare alcunché di bene da noi stessi, e con la ferma fiducia ch’Ei può rimediare alla nostra debolezza.
b) La purità d’intenzione o la perfezione del motivo che ci fa operare. Molti teologi dicono che, a riuscir meritorie, basta alle nostre azioni che siano ispirate da un motivo soprannaturale di timore, di speranza o di amore. Ma è certo che san Tommaso vuole che esse procedano almeno virtualmente dalla carità, in virtù di un atto di amor di Dio posto precedentemente e la cui efficacia perseveri. Osserva però il santo Dottore che questa condizione si avvera in tutti coloro che sono in istato di grazia e fanno un atto lecito (Quæst. disp. de Malo, q. 2, a, 5 ad 7). Infatti ogni atto buono si ricollega a una virtù; ora ogni virtù converge verso la carità, essendo la carità la regina che impera a tutte le virtù, come la volontà è la regina di tutte le facoltà. La carità, sempre attiva, dirige a Dio tutti i nostri atti buoni, e avviva informandole tutte le nostre virtù. Tuttavia, se vogliamo che i nostri atti acquistino il maggior merito possibile, occorre una purità di intenzione molto più perfetta e più attuale. L’intenzione è la cosa principale nei nostri atti: è l’occhio che li illumina e li dirige verso il loro fine; è l’anima che li avviva e li avvalora innanzi allo sguardo di Dio: « Se il tuo occhio è puro, dice Nostro Signore, tutto il tuo corpo sarà illuminato; ma se il tuo occhio è guasto, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre » (Matth. VI, 22-23). Che è come dire: se la tua intenzione, che è l’occhio della tua anima, è semplice e retta, anche il complesso delle tue azioni sarà meritorio.
Ora tre elementi conferiscono alle nostre intenzioni un valore speciale.
1) Essendo la carità la regina e la forma delle virtù, ogni atto ispirato dall’amore di Dio e del prossimo avrà molto maggior merito di quelli ispirati dal timore e dalla speranza. Conviene quindi che tutte le nostre azioni siano fatte per amore, perché così anche le più comuni, come i pasti e le ricreazioni, diventano atti di carità e partecipano al valore di questa virtù senza perdere il proprio: mangiare per ristorare le forze è motivo buono e in un Cristiano è anche meritorio; ma ristorare le forze colla mira di lavorar meglio per Dio e per le anime è motivo assai superiore di carità, che nobilita questo atto e gli conferisce un valore meritorio molto maggiore.
2) Poiché gli atti di virtù informati dalla carità non perdono il valore proprio; ne segue che un atto fatto contemporaneamente con più intensioni riesce più meritorio. Così un atto di ubbidienza ai superiori fatto per doppio motivo, cioè per rispetto alla loro autorità e nello stesso tempo per amor di Dio considerato nella loro persona, avrà il doppio merito dell’ubbidienza e della carità. A questo modo un medesimo atto può avere un valore triplo e quadruplo: detestando i miei peccati perché hanno offeso Dio, se io ho l’intenzione di praticare nello stesso tempo la penitenza, l’umiltà e l’amor di Dio, fo un atto triplicemente meritorio. È quindi utile il proporsi diverse intenzioni soprannaturali, ma bisogna evitare di cader nell’eccesso col cercare troppo affannosamente intenzioni molteplici; il che potrebbe portar turbamento nell’anima. Accogliere quelle che spontaneamente ci si presentano e subordinarle alla divina carità, ecco il mezzo più acconcio per accrescere i nostri meriti e conservare la pace interiore.
3) La volontà dell’uomo essendo labile e meschina, è necessario rendere spesso esplicite e attuali le nostre intenzioni soprannaturali; altrimenti potrebbe accadere che un atto, cominciato per Dio, continuasse poi sotto l’influsso della sensualità e dell’amor proprio e perdesse così una parte del suo valore; dico una parte, perché se, come ordinariamente avviene, queste nuove intenzioni non distruggono interamente l’intenzione primiera, l’atto rimane nel suo complesso soprannaturale e meritorio. Quando una nave, partendo per esempio da Brest, fa rotta per New York, non basta dirigerne la prora verso questa città una volta tanto, ma, poiché la marea, i venti e le correnti tendono a farla deviare, bisogna sempre ricondurla col timone verso la mèta. Lo stesso avviene della nostra volontà: non basta dirigerla una volta, e neppure ogni giorno, verso Dio, perché le passioni umane e le influenze esterne la farebbero presto deviare dalla linea retta; bisogna, con un atto esplicito, ricondurla spesso verso Dio e verso la carità. Allora le nostre intenzioni restano costantemente soprannaturali, anzi perfette e molto meritorie, soprattutto se vi aggiungiamo il fervore.
c) L’intensità o il fervore con cui si opera. Si può infatti, anche facendo il bene, operar languidamente, con poco sforzo, oppure con vita, con tutta l’energia di cui si è capaci, applicando tutta la grazia attuale che ci viene concessa. È evidente che in questi due casi il risultato sarà molto diverso. Se si opera languidamente, non si acquistano che pochi meriti, e si può anche commettere qualche peccato veniale; che però non distrugge tutto il merito; se invece preghiamo, lavoriamo, ci sacrifichiamo con tutta l’anima, ognuna delle nostre azioni merita una considerevole quantità di grazia abituale. Senza entrar qui in questioni sottili ed incerte, si può dire con certezza che, rendendo Dio il centuplo di ciò che si fa per Lui, un’anima fervorosa acquista ogni giorno un numero assai rilevante di gradi di grazia e diventa così in poco tempo molto perfetta, secondo l’osservazione della Sapienza: « Perfezionatosi in breve, compì una lunga carriera: Consummatus in brevi, explevit tempora multa » (Sap. IV. 13). Che prezioso incoraggiamento ad essere fervorosi! e quanto conviene rinnovar spesso gli sforzi con energia e perseveranza nel breve corso della vita presente! – Anche la difficoltà dell’atto, quando non provenga da un’attuale imperfezione della volontà, accresce il merito, non per sé ma in quanto richiede maggiore amor di Dio e sforzo più grande e più continuo. Così, per esempio, il resistere a una tentazione violenta è più meritorio, a parità di condizioni, che resistere a una tentazione leggera; praticar la dolcezza per chi ha temperamento collerico ed è spesso provocato da chi gli sta attorno, è più difficile e quindi più meritorio che non mostrarsi mansueto per chi ha naturale dolce e timido ed è attorniato da persone benevole. Non bisogna però concluderne che la facilità acquistata con molti atti di virtù diminuisca necessariamente il merito : questa facilità, quando uno se ne giovi per continuare e accrescere anzi lo sforzo soprannaturale, aiuta l’intensità o il fervore dell’atto e per questo verso aumenta il merito, conforme venne spiegato. Come un buon operaio, col perfezionarsi nel suo mestiere evita ogni spreco di tempo, di materiale, di forza, e ottiene maggior vantaggio con minor fatica, così anche il Cristiano che sa servirsi meglio dei mezzi di santificazione, evita sprechi di tempo e molti sforzi inutili e guadagna maggiori meriti con minor fatica. I santi, che colla lunga pratica delle virtù fanno più facilmente degli altri atti di umiltà, di ubbidienza, di religione, non vengono ad averne minor merito, poiché così praticano più agevolmente e più frequentemente l’amor di Dio: continuano del resto a fare sforzi e sacrifizi nelle circostanze in cui sono necessari. Diremo quindi che la difficoltà accresce il merito non in quanto è ostacolo da vincere ma in quanto eccita maggiore ardore e maggiore amore (Eymieu, Le Gouvernement de soî-méme, t. I. Introd p. 7-9)
CONCLUSIONE.
La conclusione che chiaramente ne viene è la necessità di santificare tutte e singole le nostre azioni, anche le più comuni. Possono, come già dicemmo, essere tutte meritorie, se le facciamo con intenzione soprannaturale, associandoci all’Operaio di Nazareth che, mentre lavorava nella sua bottega, meritava continuamente per noi. Che se le cose stanno veramente così, quali progressi spirituali non possiamo fare anche in un giorno solo! Dal primo svegliarsi del mattino fino al riposo della sera si possono contare a centinaia gli atti meritori di un’anima raccolta e generosa; perché non solo ogni azione, ma, quando un’azione dura, ogni sforzo per farla meglio, per esempio, per cacciar le distrazioni nella preghiera, per applicar la mente al lavoro, per schivare una parola poco caritatevole, per rendere al prossimo un piccolo servigio; ogni parola ispirata dalla carità; ogni buon pensiero di cui si tragga profitto; insomma tutti i moti interiori dell’anima liberamente diretti al bene, sono altrettanti atti meritori che fanno crescere Dio e la grazia nell’anima. – Si può quindi dire con tutta verità che non vi è mezzo più efficace, più pratico, più ovvio per tutti a santificarsi, che studiarsi di rendere soprannaturale ognuna delle proprie azioni; è mezzo che basta da solo ad innalzare in poco tempo un’anima ad alto grado di santità. Ogni atto è allora un seme di grazia, perché la fa germogliare e crescere nell’anima; e un seme di gloria, perché aumenta nello stesso tempo i diritti alla beatitudine celeste. – Il mezzo pratico poi per convertire tutti i nostri atti in meriti è di raccoglierci un momento prima di operare; di rinunciar positivamente a ogni intenzione naturale o cattiva; di unirci, di incorporarci a Nostro Signore, nostro modello e nostro capo, col sentimento della nostra impotenza; e di offrire per mezzo di Lui la nostra azione a Dio Per la gloria sua e per il bene delle anime. Così intesa, l’offerta spesso rinnovata delle nostre azioni è un atto di rinuncia, di umiltà, di amore di Nostro Signore, di amor di Dio e del prossimo; è un’accorciatoia per arrivare alla perfezione e per aumentare continuamente la nostra vita soprannaturale. – Tali sono i mezzi principali per corrispondere alla grazia e accrescere in noi quella partecipazione alla vita divina che è il più prezioso tesoro dell’anima nostra. Mettiamo dunque in pratica il consiglio di san Giovanni: « Chi è giusto diventi sempre più giusto, e chi è santo diventi sempre più santo (Apoc. XXII, 11).