LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (7)

ADOLFO TANQUEREY

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ (7)

Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle MissioniROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF. – 1930

NIHIL OBSTAT – Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.

IMPRIMATUR Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.

PARTE PRIMA

Gesù vivente in noi per comunicarci la sua vita

CAPITOLO II.

La nostra partecipazione alla vita divina

ART. III. — IL NOSTRO ORGANISMO SOPRANNATURALE.

L’ospite divino che abita l’anima nostra, non vi dimora solo per ricevervi le nostre adorazioni e i nostri ossequi, ma vuole anche darsi a noi e innalzarci a Lui. Dio è vita e fonte di vita: « In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini » (Giov. I, 4). Ora, per innalzarci a Lui, Dio vuole comunicarci una partecipazione della sua vita divina. Ma, deboli creature quali siamo, in che modo potremo noi ricevere questa partecipazione della vita di Dio? È evidente che nol potremo se non quando piaccia alla sua bontà di compiere e perfezionare l’anima nostra dotandola di un organismo soprannaturale di molto superiore a quello che possono esigere le creature anche le più perfette; e questo appunto Egli fa venendo ad abitare in noi. Come uomini, abbiamo già per natura una vita intellettuale che ci fa capaci di conoscer la verità e di amarla; ma è conoscenza imperfetta, acquistata con molta fatica, per via di riflessione, di analisi, di ragionamento, di lunga serie di induzioni e di deduzioni, ov’è facile che rimaniamo ingannati. È questa la vita che Dio trasforma: senza toglierci nulla di ciò che abbiamo di buono, inserisce in noi un organismo soprannaturale perfetto.

1° Nella sostanza stessa dell’anima nostra Dio infonde la grazia abituale, che fa in noi l’ufficio di principio vitale soprannaturale, ci rende simili ma non eguali a Dio, e ci prepara, sebbene remotamente, a conoscer Dio come Egli conosce se stesso e ad amarlo come Egli stesso si ama.

2° Da questa grazia abituale o santificante procedono le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo, che rendono soprannaturali le nostre facoltà naturali, e ci danno l’immediato potere di fare atti meritori della vita eterna.

3° A mettere in moto queste facoltà ci concede le grazie attuali, che ci illuminano l’intelletto, ci fortificano la volontà, ci infondono energie superiori di molto alle nostre forze, onde veniamo abilitati a compiere atti che si possono chiamare deiformi. Non sono infatti atti puramente umani, ma atti che, pure essendo nostri, sono anche di Dio; perché Dio vuole veramente essere nostro collaboratore e operare in noi il volere e il fare (Fil. II, 13). Ora, notiamolo bene fin da principio, la vita della grazia, sebbene distinta dalla vita naturale, non è già che le si sovrapponga, ma la penetra tutta, la trasforma, la eleva e la rende deiforme, vale a dire simile alla vita di Dio. Si assimila tutto ciò che è di buono nella nostra natura, nell’educazione, nelle abitudini acquisite; perfeziona tutti questi elementi e li rende soprannaturali, piegandoli verso Dio, il Dio unitrino, che un giorno contempleremo in cielo faccia a faccia, come Egli contempla se stesso, e l’’ameremo come Egli stesso si ama. Intanto lo possediamo già sulla terra per mezzo della fede e dell’amore, in modo molto inferiore alla visione beatifica, ma molto superiore alla conoscenza naturale che abbiamo per mezzo della ragione. È un punto che ha bisogno di più minuta spiegazione.

L’ufficio della grazia abituale.

Per innalzarci a sé, Dio ci inserisce innanzi tutto nella sostanza dell’anima un principio soprannaturale o deiforme che si chiama grazia abituale. È una grazia, cioè un dono essenzialmente gratuito, ossia tale che nessuna creatura può pretenderlo, né l’uomo né l’Angelo anche il più perfetto. È anche una grazia perché ci rende graziosi, ossia accetti agli occhi di Dio, e fa di noi un luogo di delizie ov’Ei gode di riposare. È una grazia abituale, ossia un modo di essere, uno stato dell’anima che viene quindi detto stato di grazia. È dunque una qualità inerente all’anima nostra, che la trasforma e molto la innalza al di sopra di tutti gli esseri creati anche i più perfetti. È una qualità per sé permanente, nel senso che rimane in noi finché non la cacciamo dall’anima con un peccato mortale commesso volontariamente. Ora questa qualità inerente all’anima nostra, che penetra nel più intimo della nostra sostanza, che si imprime nel più segreto delle nostre anime, ci rende simili a Dio o deiformi.

.A) La grazia abituale ci rende infatti, secondo la bella e vigorosa espressione di san Pietro (II Ep. di S. Pietro, I, 4), partecipi della divina natura; ci mette, come dice san Paolo (II Ep. Cor., XII, 13), in comunione collo Spirito Santo; ci fa entrare, come aggiunge san Giovanni (I Giov. I, 3), in società col Padre e col Figlio. Ma è mai possibile? Ma è proprio vero che per la grazia noi siamo, a così dire, della famiglia di Dio? Sì, risponde san Paolo (Efes. II, 19): « Voi non siete più stranieri, né ospiti, ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio ». Ed è, del resto, una conseguenza dell’essere noi per la grazia figli adottivi di Dio, come abbiamo già provato. Quale sublime dignità è mai la nostra! e quanto ne dobbiamo ringraziare Dio per tutta la vita e per tutta l’eternità!  A schivare ogni esagerazione, notiamo bene che la vita della grazia non è una vita identica ma simile alla vita di Dio; che non ci fa uguali a Dio ma deiformi, ossia simili a Dio, atti a conoscerlo come Egli conosce se stesso e ad amarlo come Egli stesso si ama. Con queste dichiarazioni, noi evitiamo ogni pericolo di panteismo e possiamo intendere meglio in qual senso partecipiamo alla vita divina.

B) La vita propria di Dio è di veder direttamente se stesso e di amarsi infinitamente essendo Egli infinitamente amabile. Ora nessuna creatura, per quanto perfetta, può da sé stessa contemplare la divina essenza che abita una luce inaccessibile a ogni creatura (Tim. VI, 16). L’uomo poi non percepisce Dio, con le sue facoltà naturali, se non in un modo indiretto, con una serie di ragionamenti, partendo dalle creature per arrivare al Creatore. Ma Dio, con un privilegio interamente gratuito, chiama l’uomo a contemplarlo a faccia a faccia nel cielo così come Dio contempla se stesso, non già nello stesso grado perché noi rimaniamo sempre esseri finiti, ma nello stesso modo, direttamente, senza ragionamenti, senza cose frapposte. Tale è il senso di quella parola di san Paolo (I Ep. Cor., XIII, 12.13) « Vediamo ora per lo specchio (cioè per cose frapposte), in enigma (cioè in modo oscuro), ma allora faccia a faccia; ora conosco in parte, ma allora conoscerò appieno in quel modo che sono conosciuto io ». È questo pure il pensiero di san Giovanni (I S. Giov., III, 2) quando dice: « Noi siamo ora figli di Dio e non si è ancora manifestato quel che saremo: sappiamo che, quando si manifesterà, saremo simili a lui, perché  lo vedremo com’è ». Ora veder Dio quale è, vederlo come Egli vede se stesso, senza immagine, senza nube, senza cose frapposte, è diventar simili a Dio nella sua vita intellettuale; è partecipare, in modo finito ma reale, alla vita stessa di Dio; è conoscerlo come Egli conosce se stesso e amarlo come Egli stesso si ama. Che fine sublime è mai il nostro! che inebriante letizia il veder Dio così com’è, e vedere in Lui tutto ciò che ci può in qualche modo interessare! Ma soprattutto quale felicità l’amarlo come Egli stesso si ama, amarlo senza divisione, senza riserve, senza timore di perderlo, e godere così della sua presenza e del suo amore per tutta l’eternità! Oh! non c’è qui di che appagare tutte le brame nostre più ambiziose, tutte le più profonde nostre aspirazioni, tutta la nostra insaziabile sete di conoscere e di amare? Ora, riteniamolo bene, la grazia abituale è in sostanza della stessa natura della gloria del cielo: è, come dicono i Padri e i Teologi, un pregustamento della beatitudine celeste, l’aurora della visione beatifica, la gemma che contiene il fiore, benché questo debba sbocciar più tardi. La grazia ci fa dunque partecipare, sebbene in modo meno perfetto, alla natura e alla vita di Dio.

C) Vediamo di scrutar la cosa più a fondo. In cielo vedremo Dio; sulla terra comunichiamo già col suo pensiero per mezzo della fede. Quando io credo al mistero della santissima Trinità, non è già la mia ragione naturale che me ne manifesta la esistenza e la natura, è la fede, vale a dire una luce divina che Dio si degna di comunicare al mio intelletto. Colla ragione io conosco l’esistenza e l’unità di Dio. Ma Dio, dopo aver parlato agli uomini per bocca dei profeti, volle benignamente inviarci suo Figlio, che ci rivelò gli arcani della vita divina. In virtù della irrefragabile testimonianza di Colui che da tutta l’eternità vive nel seno del Padre, io credo che Dio è un Dio vivente, uno nella natura ma trino nelle Persone. Credo che la prima Persona, cioè il Padre, genera da tutta l’eternità un Figlio in tutto e per tutto uguale a Lui, un Figlio che è la viva e sostanziale sua immagine, lo splendore della sua gloria, il suo Verbo, l’intimo sussistente suo pensiero. Il Padre ama il Figlio come se stesso e ne è infinitamente riamato. Da questo mutuo amore sorge una terza Persona, lo Spirito Santo, mutuo vincolo del Padre e del Figlio, Amore sostanziale che verrà a diffondere nelle anime nostre la divina carità. Tutte queste verità che io credo restano certamente misteriose; ma pure ci rivelano l’interiore vita di Dio e ci fanno quindi partecipare alla conoscenza che Dio ha di se stesso. Il nostro amore per Lui ne prende mirabile aumento: Dio non è più per noi un Dio freddo ed astratto, è un Dio vivente, un Dio amante, il quale, pur bastando pienamente a se stesso, si abbassa a noi, si dà a noi, vive ed opera in noi. È un padre, è un amico, è un collaboratore; e il nostro cuore si slancia amorosamente verso di Lui, di una cosa sola dolente, di non poterlo amare quanto si merita. – È dunque verissimo che per mezzo della fede e della carità cominciamo già a conoscere Dio come Dio conosce se stesso e ad amarlo come Dio stesso si ama, sebbene in grado molto inferiore; e che a questo modo diventiamo partecipi della vita di Dio.

D) Ma non è partecipazione sostanziale, è partecipazione accidentale, che si distingue quindi dall’unione ipostatica del Verbo con la natura umana, Il Verbo si unisce alla natura umana con unione sostanziale, di guisa che la natura divina e la natura umana, pur rimanendo perfettamente distinte, non formano che una persona sola che è la Persona del Verbo. Avviene altrimenti dell’unione prodotta dalla grazia tra Dio e noi: quest’unione è certamente unione realissima, ma non è sostanziale, serbando noi la nostra personalità. Quindi la vita divina, che è sostanzialmente in Dio, ci viene comunicata accidentalmente, sotto forma di divina somiglianza impressa nell’anima nostra: « Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza » (Gen. I, 26).

E) A intendere meglio questa misteriosa partecipazione alla vita di Dio, i Padri e gli autori spirituali ricorsero a diversi paragoni, tutti imperfetti, ma di cui ognuno serve per aiutarci a cogliere qualcuno degli aspetti di questa consolante verità.

a) L’anima nostra, dicono, è un’immagine, una somiglianza della santissima Trinità, una specie di ritratto in miniatura che lo Spirito Santo viene a dipingere in noi, imprimendo se stesso nell’anima come sopra una molle cera: « Lo Spirito Santo, dice S. Cirillo 2 Thesaurus, Assert., 34), non fa come un pittore comune che dipingesse in noi la divinità senza ben conoscerla e senza appartenere a lei… ma, essendo Dio e procedendo da Dio, imprime se stesso nel cuore di coloro che lo ricevono, vi s’imprime come sigillo sulla cera; e comunicandosi così a noi, ridipinge la nostra natura sul modello dell’ideale divino e ristabilisce nell’uomo l’immagine di Dio ». S. Ambrogio (In Hexaemeron, 1 VI c, 8) ne conclude che l’anima in istato di grazia è di una bellezza incantevole, perché l’artista che vi dipinge questa immagine è artista di prim’ordine, essendo Dio stesso. Altri paragonano l’anima a quei corpi riflettenti che, ricevendo la luce del sole, ne sono tutti investiti e brillano di incomparabile fulgore che diffondono tutt’intorno; così l’anima nostra, simile a un globo di cristallo illuminato dal sole, riceve la luce divina, risplende di vivo splendore e lo riflette sugli oggetti circostanti (S. Basil., De Spiritu Sancto, IX, 23 – S. Teresa, Cartello interiore, Prime mansioni).

b) Questa divina somiglianza non rimane alla superficie dell’anima ma la compenetra tutta. A spiegarla i Padri ricorsero alla seguente similitudine: come un ferro, posto in un braciere ardente, acquista subito il fulgore, il calore, la duttilità del fuoco, così l’anima nostra, immersa nella fornace dell’amor divino, si spoglia delle sue scorie e diviene risplendente, ardente d’amore e indocile alle divine ispirazioni della grazia.

c) Essendo vita la grazia abituale, i Padri adoperano un ultimo paragone per esprimere quest’idea. Paragonano la grazia a un innesto divino che, applicato sul tronco selvatico della nostra natura, le comunica vita e qualità nuove, onde viene abilitata a produrre frutti di specie molto superiore. Ma, come l’innesto non conferisce al tronco selvatico tutta la vita dell’albero onde fu preso, ma solo questa o quella delle vitali sue proprietà, così la grazia santificante non dà tutta la vita divina, ma solo una partecipazione a questa vita. – Sono paragoni che non spiegano certamente il mistero, ma ci danno una grande idea della grazia e ci aiutano a intendere la bella descrizione che ne fa il Catechismo del Concilio di Trento (Catech. Cone. Tr., P. II, de Baptismo, 86): « Questa grazia non consiste soltanto nella remissione dei peccati; ma è anche una qualità divina inerente all’anima, e come una luce il cui splendore, investendo le anime, ne cancella le macchie e comunica loro una fulgida bellezza ». Illustrano pure il concetto più filosofico che della grazia dà il P. Garigou-Lagrange (Perfection chrétienne et contemplation, T, 56). « La grazia è realmente e formalmente una partecipazione della natura divina, appunto in quanto è divina… una partecipazione della sua vita intima ». Or questa vita non può attuarsi senza corrispettive facoltà; e appunto di facoltà le virtù infuse e i doni fanno ufficio nell’anima cristiana.

2° L’ufficio delle virtù infuse e dei doni.

Nell’ordine naturale abbiamo bisogno di facoltà per operare: conosciamo il vero coll’intelletto e tendiamo al bene colla volontà. Ma queste facoltà, lasciate a se stesse, non potrebbero far mai atti soprannaturali e meritorii della vita eterna. Occorreva quindi un elemento nuovo per innalzare, per soprannaturalizzare, per divinizzare, a così dire, le nostre facoltà naturali e farle capaci di produrre atti deiformi, corrispondenti alla vita divina che ci veniva comunicata. Questo nuovo elemento si ha nel complesso delle virtù e dei doni soprannaturali che la liberalità divina generosamente ci largisce nel momento stesso che riceviamo la grazia abituale. Il Catechismo del Concilio di Trento (Catech. Conc. Trid., de Baptismo, 42). amorosamente descrive il glorioso corteggio delle virtù infuse che accompagna la grazia; e il Papa Leone XIII (Encicl. Divinum illud munus, 9 maggio 1897) aggiunge che, a rendere perfetta la nostra vita spirituale, occorrono pure i sette doni dello Spirito Santo.

A) La cosa riuscirà più chiara, spiegata che avremo la differenza che corre tra le virtù e i doni. È differenza che sorge dalla diversità delle operazioni divine nell’anima. Dio, dice san Tommaso (Liber Sent., III, dist. XXXIV, q. I, a. I), può colla sua grazia operare in noi in due modi: o coll’adattarsi al nostro modo umano di operare, aiutandoci, per esempio, a riflettere, a ricercare i mezzi migliori per conseguire il nostro scopo, secondo le ordinarie regole della prudenza; oppure coll’operar nell’anima nostra direttamente, da se stesso, in modo superiore al nostro modo umano, guidandoci per mezzo di istinti divini ai quali a noi non resta che acconsentire. Nel primo caso operiamo sotto l’influsso delle virtù, e siamo più attivi che passivi; nel secondo, operiamo sotto l’influsso dei doni e siamo più passivi che attivi. Chi volesse un paragone, potremmo dire che nel primo caso navighiamo coi remi, e nel secondo colla vela ottenendo con sforzo minore migliore effetto. Coi doni facciamo pure atti eroici, perché l’azione dello Spirito Santo si associa più efficacemente alla nostra. Possiamo con questi doni giungere alla contemplazione, perché, sotto l’azione e l’impero dello Spirito Santo, siamo mossi e maneggiati da Lui e riceviamo dalla sua liberalità luce ed amore.

B) Vediamo praticamente che cosa sono le principali virtù e che cosa vi aggiungono i doni. La fede ci fa entrare in comunicazione col pensiero divino, facendoci liberamente aderire alle verità che Dio si degnò di rivelarci. Ma i doni dell’intelligenza e della scienza perfezionano l’esercizio di questa virtù, il primo col farci penetrare più addentro nelle verità della fede a scoprirne le recondite armonie; il secondo coll’innalzarci dalle creature a Dio e col mostrarci in modo quasi sperimentale che Dio ne è il principio, la causa esemplare e il fine. La speranza rivolge a Dio i nostri desideri e le nostre aspirazioni e ci fa fiduciosamente aspettare la beatitudine del cielo e i mezzi per conseguirla. Il dono del timore filiale aumenta questo ardore col distaccarci dai falsi beni di quaggiù, che potrebbero ritardare le nostre ascensioni verso Dio. La carità ci fa amar Dio come infinitamente buono in se stesso e stabilisce tra Lui e noi una santa amicizia. Il dono della sapienza aumenta quest’amore per Dio col farcene sperimentalmente assaporare l’amabilità. Se la prudenza ci aiuta a scegliere i mezzi migliori per conseguire il nostro fine soprannaturale, il dono del consiglio ci fa partecipare alla divina sapienza e ci fa immediatamente e in un tratto vedere il meglio che s’ha da fare per noi e per gli altri. – La virtù della religione, che ci fa dare a Dio ciò che gli è dovuto, è singolarmente agevolata dal dono della pietà, che ci fa vedere in Dio un Padre amantissimo, cui siam lieti di poter glorificare e benedire. Se la virtù della fortezza ci dà il coraggio di fare e di sopportare per Dio grandi cose, il dono della fortezza porta questo coraggio fino all’eroismo. Le virtù sono dunque energie attive; e i doni sono docilità o ricettività che rendendo l’anima più passiva sotto la mano di Dio, la fanno nello stesso tempo, più atta a seguire le divine mozioni a produrre atti più perfetti, atti eroici. Ma ad eccitarli occorre la grazia attuale

3° L’ufficio della grazia attuale.

Come nell’ordine naturale per operare abbiamo bisogno del concorso di Dio, così nell’ordine soprannaturale non possiamo esercitare le nostre facoltà, le virtù e i doni, senza una mozione divina che si chiama grazia attuale.

A) Questa grazia opera sull’intelletto e sulla volontà. Talora Si presenta sotto forma di illustrazione interiore. Leggo, per esempio, il seguente passo di san Paolo (Gal. II, 20): « Il Figlio di Dio mi amò e diede se stesso per me »; e subito un raggio di luce interiore me ne fa intendere bene senso: io vedo Gesù, l’Uomo-Dio, che ama me in particolare, nonostante i miei difetti e le mie miserie, e mi ama fino ad immolarsi per me; lo vedo che continua a darsi a me nella santa Comunione; e non rifinisco dall’ammirare un tale amoredivino: ecco una grazia d’illustrazione, che riguarda l’intelletto. Ma, pensando a tanto amore divino, io mi sento vivamente stimolato a ricambiargli amore per amore, a darmi a Lui, a patire e occorrendo a morire per Lui: ecco una grazia di ispirazione, che opera sulla volontà e la muove all’amore e all’azione.

B) La grazia attuale opera su noi in modo morale ed in modo fisico: in modo morale, con la persuasione, con le attrattive che ci inclinano dolcemente al bene, come la madre che, per aiutare il bambino a camminare, gli si pone dinanzi e lo adesca con qualche ninnolo; in modo fisico, aggiungendo nuove energie alle nostre facoltà troppo deboli per il bene, come la madre che, sorreggendo il suo bimbo per le braccia, lo aiuta non solo colla voce e col gesto ma anche colla forza delle mani a fare qualche passo. Dio anzi fa ancora qualche cosa di più: penetra con la sua grazia nel più intimo delle nostre facoltà, e, mettendole in moto, opera in noi e con noi, senza mai violentare la nostra libertà. Si dice grazia preveniente quando precede il nostro libero consenso. Se, per esempio, mi viene in mente di fare un atto di amor di Dio senza che io abbia fatto nulla per eccitarlo, è una grazia preveniente, è un buon pensiero che mi viene da Dio. Se lo accolgo bene, Dio vi aggiungerà una grazia adiuvante o concomitante, che mi aiuterà a fare quest’atto di amore, che accompagnerà la mia volontà nel farlo dandole la forza necessaria di eseguire quel buon pensiero, perché Dio opera in noi e con noi il volere e il fare.

C) Ne viene quindi che la grazia, per produrre in noi i benefici suoi effetti, richiede la nostra libera cooperazione. Dio rispetta tanto la nostra libertà che, pur avendoci creati senza di noi, non ci santifica e non ci salva senza di noi, cioè senza la nostra libera cooperazione. Ecco perché san Paolo (II Ep. Cor., VI, 1), esorta così spesso i fedeli a non ricevere invano la grazia di Dio, ma a servirsene bene cooperandovi generosamente. Grande onore ci fa Dio col precederci e col prevenirci con la sua grazia, coll’aiutarci ad acconsentirvi, coll’accompagnarci in tutte le nostre vie e in tutte le nostre difficoltà fino al momento della morte, onde assicurare la nostra perseveranza. Tocca a noi a non fare i ritrosi, ad accogliere lietamente le prime illustrazioni della grazia, a seguirne docilmente le ispirazioni nonostante gli ostacoli, e metterle in pratica a qualunque costo. Diventiamo veramente allora i collaboratori di Dio; e l’opera nostra è nello stesso tempo il risultato della sua grazia e del nostro libero arbitrio. Così sviluppiamo in noi quell’organismo soprannaturale di cui Dio ci ha tanto liberalmente dotati; ed è questo per noi uno stretto dovere. Se la bontà divina volle infonderci nell’anima una vita nuova, una partecipazione della divina sua vita; se ci diede le virtù e î doni per fare atti soprannaturali e deiformi; se colla grazia attuale ci stimola a fare il bene e a progredire nella virtù, non sarebbe decoroso che rifiutassimo queste divine cortesie, che conducessimo una vita mediocre e che facessimo solo frutti imperfetti, mentre Dio ci chiama a una vita nobile, a una vita eroica, e a produrre copiosi frutti di salute. Esporremo dunque i nostri doveri verso la vita soprannaturale.

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (8)