VITA E VIRTÙ CRISTIANE (Olier) 19

VITA E VIRTÙ CRISTIANE (19)

GIOVANNI G. OLIER

Mediolani 27-11 – 1935, Nihil obstat quominus imprimetur. Can. F. LONGONI

IMPRIMATUR: In Curia Arch. Mediolani die 27 – II – 1935 F. MOZZANICA V. G.

CAPITOLO XII

La castità

Somiglianza con gli angeli, con Gesù Cristo risorto, con Dio medesimo. -— Male dell’amor sensuale.

La castità è una partecipazione della sostanza di Dio, che è spirituale e semplice, ma risplendente di bellezza. L’anima casta è un Angelo, perciò Nostro Signore dice che in Cielo saremo come gli Angeli: Sicut Angeli Dei (Matth- XXII. 30). L’anima casta è un’anima che è risorta in ispirito ed è della stessa natura di Gesù risorto, il quale, dopo la sua risurrezione, non ha più nulla della materialità e della viltà della carne, ma è spirituale come l’Angelo, divino come Dio suo Padre (Æquales angelis sunt et filii sunt Dei, cum sint filii resurrectionis. Luc., XX, 86). L’anima casta partecipa alla perfetta santità di Gesù e a tutte le qualità divine di Lui, che la trasformano nel più intimo del suo essere e le dànno quelle stesse inclinazioni e quei medesimi sentimenti di cui era ripieno il Figlio di Dio nello stato della sua risurrezione. È cosa meravigliosa che una creatura materiale come l’uomo, possa fin da questa vita, possedere la grazia di essere in tal modo simile all’Angelo, più ancora, di entrare in una simile partecipazione di Dio. Ma è tale sublimità cui non si giunge, se non dopo di aver combattuto a lungo, nello Spirito di Nostro Signore, con fortezza e fedeltà. – L’amore sensuale è una delle peggiori malattie dell’anima. L’anima che si lascia trascinare da tale amore bestiale, non è più un’anima, ma un cadavere fetente non più capace d’agire, ma solo di corrompere e di infettare tutto quanto gli si avvicina. Un’anima così corrotta diffonde una tale infezione che non v’è nessun rimedio sicuro per esserne preservati, fuorché la fuga. È un veleno che uccide non solamente colui che l’ha in corpo, ma talvolta anche chi tenta di portarvi rimedio.

Rimedi contro le tentazioni d’impurità.

Buona volontà. — Direzione di un buon confessore che sappia adattare i rimedi alla causa delle tentazioni. –  Durante la tentazione; pregare, umiliarsi, rifugiarsi interamente in Gesù Cristo, fare atti di abominio, distrarre la mente, confidare unicamente nella grazia, evitare le occasioni, ritirarsi in Gesù Cristo presente nell’anima.

È necessario dapprima che l’anima oppressa da queste sorta di tentazioni, abbia buona volontà di convertirsi e di uscire da un tale stato pericoloso. Orbene, essa dimostra questa buona volontà quando abbraccia volentieri le mortificazioni che le vengono proposte; in tal caso, chi deve curarla deve procedere con fiducia, e ordinarle tutto quanto si conviene per aiutarla a conseguire la guarigione. – In secondo luogo è necessaria la direzione di un buon confessore, che esamini in Dio la causa del male. Dico in Dio, perché chi volesse portar rimedio alle anime nel suo proprio spirito e con la sua propria forza, non riuscirebbe che ad aggravare il loro male, perché le priverebbe di quel giovamento che potrebbe procurar loro se si lasciassero condurre dallo Spirito Santo; né da Dio egli riceverebbe i lumi necessari per confortarle. Non bisogna presumere di portar soccorso alle anime, fuorché nello spirito di proprio annientamento e di rinuncia al proprio sentimento, ed invocando lo Spirito Santo onde operare nella sua santa luce e sotto la mozione della sua verace direzione. Con tali disposizioni, il confessore dovrà considerare l’origine del male, e esaminare se viene dalla natura o dal demonio, oppure da una particolare disposizione di Dio. – Se la tentazione proviene soltanto dalla carne per la violenza del sangue o la pienezza degli umori, si potrà procurare un sollievo per mezzo di rimedi esterni e corporali. Se le tentazioni vengono dal demonio, ai rimedi esterni bisogna unire i rimedi spirituali. Questa sorta di demonii, ha detto Gesù, non si scaccia se non coll’orazione e col digiuno (Matth. XVII, 30). La parola orazione comprende qui qualsiasi esercizio spirituale di elevazione a Dio: il digiuno comprende tutto quanto serve ad abbattere il corpo, perché questo effetto si ottiene in modo particolare col digiuno. Perciò Nostro Signore, nel Vangelo dice che bisogna adorar Dio in ispirito e verità, perché bisogna unire lo spirito con la mortificazione e col sacrificio vero e reale della carne. Ché se le tentazioni vengono da una particolare disposizione di Dio, che le permette per castigo di qualche vizio o infedeltà, si dovrà esercitare l’anima a sradicare i suoi vizi che sono causa delle tentazioni. Un’anima, per esempio sarà infetta di superbia, ed avrà stima di sé stessa per la sua scienza, per la sua pietà ed altri doni di Dio; talora potrà trovarsi animata da confidenza in sé medesima. In modo da credere di poter da sé preservarsi dal peccato, e particolarmente da quello della carne. In tal caso, Dio che non può soffrire la superbia, umilierà quest’anima sino al fondo; geloso di farle riconoscere che da sé stessa nella sua propria debolezza, non ha nessuna sua forza, tanto per resistere al male come per perseverare nel bene, e che ogni virtù ed ogni forza viene unicamente dalla grazia. Egli permetterà che sia molestata da tali orribili tentazioni, e talvolta persino che vi soccomba, perché sono le più vergognose e causano la maggior confusione. S. Paolo, nell’abbondanza dei doni che aveva ricevuti, venne con queste tentazioni preservato dalla vana gloria, per cui diceva « Che lo stimolo della carne gli era stato dato, onde schiaffeggiarlo, affinché la grandezza delle rivelazioni non lo innalzasse nella vanità » (II Cor., XII). Con questa parola schiaffi, l’Apostolo esprimeva la sua afflizione, indicando così quanto siano vergognosi ed ignominiosi tali assalti, e quanto, nei disegni di Dio, sia umiliante questa via. Quando, adunque, il Confessore trova un’anima così infetta di superbia, deve lavorare ad umiliarla ed annientarla in Gesù Cristo Nostro Signore; deve esercitarla a riconoscere il proprio nulla e la propria debolezza, e basterà questo esercizio interiore per procurare a poco a poco la guarigione.

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Orbene, mi sembra che l’applicazione di questo rimedio interiore dipenda particolarmente da due o tre atti che l’anima dovrebbe compiere in ispirito e che le si potrebbero proporre nel modo che segue: appena l’anima si sente tentata contro la santa virtù di purità deve in qualunque tempo gettarsi subito in ginocchio e alzar le mani al Cielo per implorare l’aiuto di Dio. Dico che, bisogna alzar le mani al cielo. non solo perché questa positura da sé stessa è già una preghiera davanti a Dio, soprattutto quando vi si aggiunga la buona disposizione dello spirito; ma ancora perché bisogna dare all’anima tentata questa espressa penitenza di non toccarsi mai durante il tempo della tentazione e di soffrir piuttosto tutti i martiri interni, tutte le molestie della carne ed anche del demonio, piuttosto che toccar se stesso. Questo male ha le sue molestie e i suoi martirii specie quando c’entra il demonio. Orbene, il primo atto che, in tale stato, l’anima deve compiere è un atto di umiltà, gridando al Signore: « Dio mio, io non sono niente, non sono che polvere e cenere: Pulvis et cinis. Non sono che un verme della terra: Vermis et non homo (Ps. XXI, 7). Non posso difendermi senza il vostro soccorso, o mio Dio! Con tutta giustizia soffro questa violenza; Domine vim patior; è il giusto castigo dei miei peccati: Iuste pro peccatis nostris patimur.Il secondo atto è di rifugiarsi interiormente in Gesù Cristo, per trovare in Lui la forza di resistere e per accrescere in noi la bella virtù contro la quale siamo tentati, virtù che Egli ben sa quanto sia fragile innoi. Egli vuole che siamo tentati perché. conosciamo così la nostra debolezza e il bisogno che abbiano del suo soccorso e quindi ci rifugiamo in Lui per attingervi la forza che ci manca.Il terzo atto che l’anima deve produrre è un atto di rinuncia e di riprovazione di tutto quanto avviene in essa contro la sua volontà. Dopo aver impiegato tutti questi mezzi per resistere, essa può senza turbamento starsene sottomessa alla giustizia Di Dio per sopportare una tal pena e una tale afflizione in castigo dei suoi peccati.In tal modo l’anima si perfeziona e si fortifica nella virtù, in pari tempo che soffre maggiori infermità e risente maggior debolezza; perché essendo obbligata dalla propria impotenza a ricorrere a Gesù Cristo,essa in Lui trova tutta la sua forza e tutta la sua vita.

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Un altro rimedio eccellente contro le tentazioni d’impurità è l’esercizio dello spirito, non solamente per cercare in Dio la forza necessaria, ma ancora per occupare la mente e togliere quel vuoto di cui abusa il maligno allo scopo di insinuarsi nel cuore. Ora, per occupare utilmente il nostro spirito, bisogna esercitarlo ad annientarsi davanti a Dio, e a riflettere quanto sia scarso il nostro potere di resistenza contro il peccato; riconoscendo che solo lo Spirito di Dio può preservarcene e che solo in Lui troveremo la sicurezza e la vita. La carne da sé stessa è tutta portata al male e particolarmente all’impurità; solo lo Spirito di Dio, regnando in noi, può trattenerci dall’acconsentire ai sentimenti che da essa provengono. –  Dobbiamo perciò riconoscere che la castità è un dono di Dio, una grazia che unicamente possiamo aspettare dalla sua bontà; a Lui quindi dobbiamo lasciare la cura di tenerci alieni dal peccato e di allontanarcene, mantenendo vivo in noi l’orrore a questo mostro. Bisogna in questo abbandonarci completamente a Dio senza nulla presumere di noi medesimi, altrimenti tutto è perduto.

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Bisogna inoltre fuggire con gran cura le occasioni di inasprire in noi il male; altrimenti dimostriamo di aver confidenza in noi medesimi; c’inganniamo miseramente, mentre ci persuadiamo che ci rimane ancora il potere di resistere. Se ci esponiamo al pericolo delle occasioni, noi meritiamo che Dio ci abbandoni a noi stessi, e così ci faccia sperimentare la nostra debolezza. È certo e sicuro che appena saremo abbandonati a noi stessi, noi cadremo; non possiamo stare in piedi, a meno che Dio non ci sorregga per una bontà affatto particolare. Questa bontà ci farà riconoscere che da Lui soltanto siamo stati preservati, ma Dio non ci continuerà questo favore se non eviteremo l’occasione del peccato. Ché se, dopo aver evitato le occasioni, la tentazione non cessa, il vero modo di combatterla e di esserne vittoriosi, sarà come abbiamo detto, di rifugiarci interiormente in Gesù Cristo presente nell’anima nostra, il quale si compiace di rivestirci delle sue virtù quando noi ci ritiriamo in Lui. Questa maniera di combattere gli piace estremamente perché manifesta la nostra infermità e in pari tempo la fiducia che abbiamo unicamente in Lui. Egli permette queste tentazioni affinché lo cerchiamo, ed Egli possa accoglierci nella nostra pena e nella nostra afflizione. In tal modo, noi ci mettiamo al sicuro delle violenze del demonio; perché questo maligno spirito è costretto a smettere di tormentarci e a lasciarci in pace, vedendo che dalle sue tentazioni noi ricaviamo frutto e vantaggio più che pregiudizio. L’anima riconoscerà, per propria esperienza, quante Dio approvi questo modo di combattere: e vedrà, per la gran pace e per l’istruzione meravigliosa che ne ricaverà, quanto sia utile, in quella sorta di tentazioni, resistere con la fuga, rifugiandosi in Gesù Cristo. Riconoscerà che in tali occasioni essa abbisogna di grandi forze che solo può trovare in Gesù Cristo; perché in sé medesima e nella sua carne essa non è altro che debolezza, né può pretendere col solo proprio sforzo di dissipare le fantasie disoneste, né di soffocare i sentimenti impuri; i suoi sforzi sarebbero inutili e non servirebbero che a rovinarle la testa e riscaldarle il sangue. Questo modo di operare con la violenza dello sforzo rende la tentazione più forte e più sensibile. Perciò è necessario che l’anima si risolva di ritirarsi interiormente in Gesù Cristo, abbandonandosi alla giustizia di Dio per subire tutte le pene e tutte le afflizioni che a Lui piacerà di mandarle.

VITA E VIRTÙ CRISTIANE (Olier) 20

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.