LA VITA INTERIORE (28)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (28)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

TENEBRE DISSIPATE

LUI SOLO, GESÙ!

L’ATTRAZIONE DI GESÙ

QUATTRO MISTERI DI UNIONE.

San Tommaso d’Aquino ci ha indicato, con grande e insuperabile precisione, i quattro misteri di unione di Gesù con le nostre anime (Cfr. Inno alle Lodi nell’Ufficio del Corpus Domini (Breviario Romano):

1) Se nascens dedit socium.

Nel santo mistero dell’Incarnazione Gesù si fa nostro socio, nostro compagno, e così, di riverbero, noi diventiamo i compagni suoi.

2) Convescens în edulium.

La santa Eucaristia nel mistero della Cena fa di Gesù Cristo il nostro cibo e, di noi, i cibati da Gesù.

3) Se moriens in pretium.

Morendo in Croce, Gesù fu personalmente il prezzo del nostro Riscatto; e noi i riscattati, i liberati della schiavitù.

4) Se regnans dat in præmium.

Gesù salendo alla gloria del Cielo diventò la nostra ricompensa, e noi diventammo i suoi premiati in eterno. Ideo attraxi te, miserans… Avendo compassione, ti attrassi a me.

GESÙ NOSTRO COMPAGNO.

Portiamoci a Betlemme, e contempliamo Gesù Bambino. Dio, figlio di Dio, onnipotente… si è ridotto volontariamente all’impotenza, alla miseria, simile a noi, in tutto, tranne che nel peccato. È una persona storica, nel tempo, nel luogo, nelle azioni, nelle parole… Visse come gli uomini vivono, immerso in tante miserie, pressato da mille necessità…; abbeverato di dolori, mortificato da mille incomprensioni. Non importa. Volle essere nostro compagno, lo fu realmente, non soltanto con la sua autopresentazione, con la volontà di vederci e di conoscerci, ma con la sua più forte e più avvincente simpatia. Conosciamo, e ci ripetiamo con gioia, la sua dolce dichiarazione: Le mie delizie le ho riposte nello stare coi figli degli uomini. Ma, se questa è la sua dichiarazione d’amore per noi, qual è la nostra risposta? Come abbiamo cercato di lasciarci attrarre, di vivere uniti con lui?

TENDENZA DEL NOSTRO CUORE.

Per la corrispondenza del nostro cuore umano alle manifestazioni d’amore di Gesù, Dio ha posto ne’ nostri cuori una tendenza che li volge e indirizza e getta nel Cuore di Gesù. Questa tendenza è umana. e divina.

1) – Umana. – Tertulliano parlò dell’anima naturalmente cristiana. Gesù stesso ci presentò il fanciullo non ancor guasto dal convenzionalismo e dalle ipocrisie del vivere sociale come prototipo del cittadino del suo regno, che è quanto dire perfetto compagno suo. C’è un’attrazione naturale, una dolce simpatia insita nel cuore umano, per il Cuore di Gesù. Ne fu preso Pilato, fin dove poteva arrivare con la sua anima scettica di politico. Sembra ne fosse preso Tiberio, se è vero che lo abbia voluto nel numero degli dèi. La maggior parte dei nemici della Chiesa, ha avuto sempre una misteriosa ripugnanza a coinvolgerne nel suo odio anche il Fondatore; si sono trovati termini di separazione, come quello di Cristianesimo e di clericalismo, teorie le più strane per risparmiare Cristo dalla lotta contro l’opera sua; certe sette di sovversivi; come i comunisti, se lo sono preso e fatto addirittura proprio. Schierarsi contro Gesù, prendere di mira direttamente Lui è cosa che sempre ha ripugnato. E chi è giunto a farlo si è visto d’un tratto condannato all’isolamento dal disgusto dell’opinione pubblica. Del resto, giungere al punto di attaccare direttamente il Cristo ha sempre significato due cose: o uno stato di fobìa, di degenerazione che discende a toccare i confini dello squilibrio: o, più spesso, come ben giunse a notare di se stesso il Papini, il fondo di un grande amore che incosciente tumultua soffocato da un inconcepibile odio (legge ben strana questa di quel povero guazzabuglio che è il cuore umano, per cui ben spesso un’amicizia ed un fidanzamento cominciano con le più dispettose antipatie) ma, niente paura in tal caso: Saulo ben facilmente diventerà un Paolo.

2) Divina. – E con questo esempio siamo senz’altro passati dall’umana alla divina, dalla naturale alla sovrannaturale tendenza con cui Dio Padre polarizza i cuori degli uomini al Cuore del suo figlio diletto. Il Compagno chiama i compagni: se nascens dedit socium. Quest’opera di attrazione amorosa viene pur giustamente attribuita allo Spirito Santo: sono tratti di amore che ben si riferiscono all’Amore increato. « Nessuno viene a me, se il Padre che mi ha mandato non lo attira » diceva Gesù. E tutti noi sacerdoti ricordiamo lo splendido commento che sant’Agostino fa a queste parole: ce lo fa leggere la Chiesa nel mercoledì fra l’ottava di Pentecoste: « Non vi è solo una volontà che ci attrae a Gesù e ce ne fa desiderare la compagnia, ma pure una celeste voluttà. Egli nella mano del Padre (o se vogliamo, dello Spirito Santo) è come il ramo verde che trascina la pecorella, come le noci che fanno correre il fanciullo. Perciò la sposa della Cantica, si raccomandava di godere di queste divine attrattive per lo Sposo: Trahe me post te! ». Così a un di presso il santo dottore Agostino (A. CANESTRI, Rivista del Clero, VIII, 1936 – 423-4). Terminiamo con alcuni pensieri di sant’Alberto il grande (L’unione con Dio). « L’amore ha la virtù di unire e di trasformare: trasforma colui che ama in colui che è amato, e colui che è amato, in colui che ama. L’uno diviene l’altro quanto più è possibile. E prima di tutto, con quale pienezza di intelligenza trasporta l’oggetto amato nel soggetto che ama! Con quale dolcezza, quale soavità il primo vive nel ricordo del secondo; e come colui che ama si sforza di sapere, non in modo superficiale, ma fino nell’intimo, ciò che riguarda l’oggetto amato, e di entrare il più possibile nella sua vita interiore. Dopo viene la volontà. Forse che il primo non si trova in questa compiacenza amorosa, in questa dolce e intima gioia del possesso? Colui che ama si trova pure nell’oggetto amato, coi suoi desideri, la sua conformità con Lui di brame e di ignoranze, di gioie e di tristezze. Si direbbe che è una cosa sola con Lui ».

Come un organismo naturale riunisce nella sua unità

la diversità delle sue membra, così la Chiesa,

che è il Corpo mistico di Cristo, è considerata

come formante col suo Capo una sola persona morale.

S. Tommaso, III, q. XLIX, a. 1.

Cristo si forma în noi.

S. Paolo, Efes., IV, 15.

Noi dobbiamo crescere in lui.

S. Paolo, Cor., XII, 15-20.

GESÙ NOSTRO FRATELLO

GESÙ NON È CONOSCIUTO.

« E non ti bastava, o dolce mio Salvatore, l’abbassarti come Dio verso di noi per ridonarci la perduta immagine della tua divinità, che Tu volesti divenire anche nostro fratello? Per rinforzare la nostra fiducia per la energica elevazione di noi tutti sopra la debolezza dell’umana natura, volesti Tu stesso farti simile a noi in ciò che è essenzialmente umano, nell’impotenza e nella piccolezza; nel lottare e nel soccombere; nella tentazione e nell’abbandono — fuori che nel peccato, che questo non è umano (Hebr. IV, 15) — per darci un modello imitabile di perfezione veramente degno dell’uomo » (P. Schneep, Solo con Dio, II, pag. 143. Torino, S.E.I.). – È proprio questa una grande e bella e consolante verità; Gesù è il nostro fratello. « Ma la più grande sventura di questi nostri giorni è appunto quella di non conoscere Gesù: non solo da parte de’ nemici dichiarati del suo santo Nome, ma pure da tanti, da troppi Cristiani. Non vi dovrebbero essere uomini che si dicono increduli… Purtroppo, però, vi sono, e hanno la faccia tosta di dichiarare che, per essi, Gesù Cristo fu un grande uomo, un uomo eccezionale. Null’altro! » Molti poi fra i credenti in Gesù, non credono abbastanza alla divina umanità di Gesù. Lo considerano come un Dio distante, differente da loro stessi e talmente al di sopra di loro, che non è più loro fratello. Sopprimono la sua incarnazione e il contatto sublime — voluto dall’amore — della sua rassomiglianza con noi» (P. Matteo Crawley-Borvey, Incontro al Re d’Amore.). Persino tra le anime pie, vi sono alcune che non conoscono, rettamente, Gesù, poiché si creano un Gesù impicciolito, un Gesù sfigurato, un Gesù… che non è più Gesù. – Noi vogliamo, invece, dire, affermare, ricordare e presentare Gesù tutto intero, vero, integrale, figlio di Maria SS., il Gesù del Vangelo, Dio e Uomo, Uomo e Dio. Quale prova migliore delle parole di San Giovanni?: Et Verbum caro factum est, et habitavit in nobis (Giov. I, 14). E il Verbo si è fatto carne, cioè nostro fratello, simile a noi che siamo di carne; e si degnò di abitare fra di noi che gli siamo fratelli.Ancora: Apparuit benignitas et humanitas salvatoris Domini nostri Jesu Christi (Tim., III, 4).Apparve, Gesù, sotto l’aspetto della benignità, anzi, fu la benignità stessa, solo per attrarci a Lui più facilmente, più visibilmente. Infatti, per essere nostro fratello realmente, ha preso il nostro modo di parlare, le nostre affezioni, le nostre infermità, la nostra morte. Perché ci ha amato, perché ci ama. Per amore discese dal Cielo su la terra, per amore visse in mezzo di noi, per amore visse come noi, in tutto; tranne che nel peccato, per amore volle morire, e volle morire per dare a noi, suoi fratelli, la vita.

EBBE LE NOSTRE DEBOLEZZE.

Come noi, ebbe tutte le debolezze della natura umana, tranne il peccato. Consideriamo, per un istante brevissimo, le sue condizioni nella capanna di Betlemme… Ecco come si esprime il Crawley: « Piccolo, impotente, nascosto nei suoi pannolini, non cammina, non parla. Ha bisogno quasi d’aiuto, di soccorso, e ne chiede; è nutrito con un po’ di latte, portato sulle braccia di sua madre, prova i suoi primi passi: è veramente, veramente il nostro fratello ». Come Dio, sa tutto; come uomo, vuole imparare, e siccome usano gli uomini, comincia a balbettare… – È onnipotente come Dio. Come uomo, fanciullo perseguitato, fugge l’ira degli uomini e, di ritorno a Nazareth, si dà al lavoro manuale, esercita il rude mestiere del falegname nella povera officina del suo Padre putativo, e sarà chiamato anche, con ironia, il figlio del falegname, il falegname. Conobbe tutte le sofferenze della povertà: quelle fisiche e quelle morali. Queste ultime causate dalle insolenze e dal disprezzo della gente danarosa! In barca cogli Apostoli nel lago di Tiberiade, si lascia prendere dal sonno. Assetato chiede da bere alla Samaritana al pozzo di Giacobbe. Assetato dell’anima della Samaritana, delle nostre anime, di tutte le anime, le segue, le perseguita col suo amore! Sempre così fino al Calvario, sulla Croce, quando si addormenterà nella sua sete bruciante ». Come noi, adunque, ha provato la fame, la sete, la fatica, il bisogno del riposo. S’è lasciato vincere, appositamente per incoraggiare noi, per attrarci a Sé, perché vivessimo con Lui, dalla fede della Cananea, e compì per essa il miracolo desiderato; s’è lasciato vincere da Simone, come un ospite qualunque. E ha steso la mano… Volle provare il dolore intimo dell’isolamento, e si trovò solo, separato dai suoi amici, nel doloroso momento della cattura, fino al Calvario. Si lascia insultare, schiaffeggiare, flagellare, coronare di spine… e, pur sempre onnipotente, accetta d’essere aiutato dal Cireneo… Permette che lo crocifiggano, che si prendano beffe di Lui… Desideroso d’essere compreso, fa suo un modo di dire tutto nostro, puramente umano: Che si dice di me? — Che vuoi che ti faccia? — Venite da me, voi tutti, che siete stanchi ed oppressi, ed Io vi ristorerò.

I SUOI SENTIMENTI…

Furono quelli d’un fratello. Amò come noi, a modo nostro, quello e quanto noi, secondo le leggi divine ed umane, possiamo amare. Pensiamo all’amore per la Mamma sua, Vergine purissima, santa! Amò la sua patria; ebbe le tenerezze più accorate per i discepoli, per gli amici, pei… piccoli, per i poveri. Ebbe, pure, le sue preferenze: Pietro, Giovanni. A Pietro chiese: M’ami tu più di costoro: Come noi ebbe bisogno di amicizia. Ed ecco Gesù a Betania presso Maria, Marta, Lazzaro… Fece, come noi facciamo a chi ne crediamo degno, le sue confidenze. Maria, Marta, Lazzaro sapevano… Qui è opportuno ricordare per nostro conforto quanto dice S. Paolo: Christus heri, hodie, et in sæcula (Hebr. IX, 12), cioè: Com’era allora Gesù, è oggi, e sarà sempre… Che dire poi della sua compassione? Fu profondamente umana, Verso i poveri, gli ammalati, e, soprattutto, verso i peccatori… Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma gli ammalati (Matth. IX, 12). Commosso per la prova di fedeltà dimostratagli dalle folle che l’avevano. seguito, assorbite dal fascino della sua parola dolce e raggiante, lascia sfuggire dal suo Cuore le parole più ricche di bontà compassionevole ed esclama: Misereor super turbam (Marc. VIII, 1). E moltiplica il pane ei pesci per tutti quelli che così fedelmente l’avevano seguito… Ancora. Dovunque è chiamato, guarisce, risuscita, consola. Non chiamato, provoca l’incontro per trovare l’occasione del miracolo. Così risuscita il figlio della vedova di Naim. Di fronte a Lazzaro morto, piange… Poi, con voce schiantata dal dolore, chiama il caro amico, lo invita a uscire dalla tomba e l’accoglie nelle sue braccia. – Ebbe, come molto bene fu detto, l’ineffabile debolezza delle lagrime: nella mangiatoia; presso il sepolcro di Lazzaro; sulla sorte della città di Gerusalemme; sulle conseguenze del peccato; nel Getsemani e sul Calvario. Tutto questo non bastò, perché tutto questo fu soltanto una parte della manifestazione del suo amore. Il suo amore completo, senza riserve, Egli ce lo diede, dandoci tutto se stesso… nella S. Comunione, perché noi dessimo tutto il nostro io a Lui e con Lui per sempre potessimo vivere, e fare una cosa sola con Lui!… « I pastori ed i Magi non poterono che baciare i piedi del piccolo Re che Maria loro porgeva. Maria e Giuseppe, essi stessi, non potevano che contemplarlo e abbracciarlo… Mille volte più felici, noi lo riceviamo in noi, e secondo la bella espressione di Bossuet, noi possiamo divorarlo. » Oh, non lo cambiate Gesù! » (CRAWLEY, o. c., pag. 126). È come noi, di carne, di sangue, di lagrime, di dolore! È Gesù delle anime nostre. È, veramente, il nostro fratello.

LA NOSTRA ASSIMILAZIONE GESÙ CIBO…

Nell’Inno all’Eucaristia per la festa del « Corpus Domini » , San Tommaso, dopo di avere affermato che Gesù Cristo se nascens dedit socium, aggiunge: convescens in edulium; e cioè: la SS. Eucaristia, nel Mistero dell’ultima Cena, fa di Gesù Cristo il nostro cibo e, di noi, i cibati da Gesù. – Sì. Venendo dal Cielo sulla terra si fece nostro compagno, nostro fratello. Abbiamo già considerato l’altissima degnazione, l’immensa bontà, la profonda condiscendenza verso le nostre anime! Ma, così, come fratello, come compagno, Gesù ci stava, ci è vicino… Come nostro cibo, invece, sappiamo che si identifica con noi, nella assimilazione più completa, e noi in lui col totale abbandono.

LA PROMESSA.

Due volte Gesù parlò della SS. Eucaristia: la prima volta, per prometterla; la seconda volta, per darla. « La promessa è avvolta negli splendori della potenza divina; la consegna si compie nei crepuscoli della più melanconica tenerezza. Gesù impegnandosi a fare un dono che sul momento non dava e d’altra parte era così straordinario, doveva far vedere che la potenza di mantenere la sua parola non gli mancava; perciò, preparò il suo discorso con la moltiplicazione dei pani: chi aveva la virtù di moltiplicarli sarebbe anche stato capace di trasformarli » (CANESTRI, Rivista del Clero, 1936, pag. 483). – Ed ecco la promessa di Gesù fatta a quelli stessi che pure avevano visto il miracolo della moltiplicazione dei pani: — Io sono il pane di vita. I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e sono morti: Patres. vestri manducaveruni manna in deserto, et mortui sunt (GIOV., VI, 48, 9). — Questo è quel pane disceso dal Cielo, affinché chi ne mangerà non muoia: Hic est panis de coelo descendens, ut si quis ex ipso manducaverit, non moriatur (Giov., VI, 50).— Io sono il pane vivo, che sono discesodal Cielo: chi mangerà un tal pane, vivràeternamente: Ego sum panis vivus, qui de cœlo descendi: si quis manducaverit ex hoc pane, vivet in æternum! (Ib., 51, 52).Questa. chiara, cordiale, generosissima promessa non fu compresa…, e Gesù lavolle riconfermare subito, nonostante il fuggi fuggi degli ascoltatori: « In verità, inverità vi dico: se non mangerete la carne delFigliuolo dell’uomo e non berrete il suosangue non avrete la vita in voi: Amen, amen dico vobis: Nisi manducaveritis carnem Filii hominis, et biberitis eius sanguinem, non habebitis vitam in vobis » (Ib., 54). Lamia carne è veramente cibo e il mio sangueè veramente bevanda: Caro mea vere est cibus, et sanguis meus vere est potus » (Ib., 56).Dopo il ripetuto miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci per saziare la momentanea necessità di cibo di alcune migliaia di persone, nessuno avrebbe dovuto, o potuto, dubitare delle parole di Gesù.

L’ISTITUZIONE.

Passati circa 18 mesi dal giorno della promessa, ecco Gesù nel Cenacolo circondato dagli Apostoli, poche ore prima dell’inizio della sua Passione. Egli, in un atto di profonda umiltà e di sublime carità, quasi a meglio preparare i presenti al grande atto cui stava accingendosi, volle prima lavare i piedi dei suoi Apostoli. Indi, a cena iniziata, Gesù prese un pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede agli Apostoli dicendo: « Prendete e mangiate: questo è il mio corpo: Accipite et comedite: hoc est corpus meum » (Matt., XXVI, 20). Così pure prese il calice, e levati gli occhi al cielo, lo benedisse e lo diede ai medesimi, dicendo: « Bevete di questo, tutti; ché questo è il sangue mio del nuovo Testamento: Bibite ex hoc omnes: hic est enim sanguis meus novi Testamenti » (MAtT., XXVI, 27-28).La promessa era stata preceduta da ungrande miracolo che doveva manifestare lapotenza di Gesù. Il mantenimento della promessa non fu, invece, accompagnato danessun prodigio. Tutto fu accolto in un’atmosfera di dolore sereno, di forte commozione per il prossimo distacco, per l’imminente sacrificio di Gesù Redentore nell’offertato tale di se stesso al Padre Celeste per la nostra salvezza.

DUE SPECIALI CIRCOSTANZE.

San Tommaso nel richiamarci il momento speciale di cui stiamo trattando nell’Inno all’Eucaristia, fa presenti due speciali circostanze: una di tempo, l’altra di fatto:

Verbum supernum prodiens,

Nec Patris linquens dexteram,

Ad opus suum veniens,

Venit ad vitæ vesperam.

Ad vitæ vesperam. Cioè: la vita di Gesù stava per finire, era al suo vespro. Ci diede, Gesù, se stesso, in quel momento, vicino alla sua morte, come Suo ricordo, come eredità, come suo testamento. Chi può intendere di quale battito pulsasse, in quegli ultimi momenti, per noi, il Cuore di Gesù? Non solo al vespro della sua vita, ma anche al vespro di un giorno, cioè di sera. Nei dolci momenti dell’intimità famigliare, quando vivo ritorna il ricordo dei lontani, quando forte affiora il dolore dell’isolamento, quando potente erompe il desiderio di quelli che sono in attesa e di quelli dai quali noi ci siamo separati; la sera ch’è l’ora dei dolci e dei mesti ricordi… Pensate: Era già l’ora che volge il disio/ ai naviGanti e ’ntenerisce ’l core/ lo dì c’han detto ai dolci amici addio… (Purg., VIII, 1-3).

Ma v’era ancora qualche cosa di più che rendeva melanconico e tenero il momento dell’Istituzione dell’Eucaristia: la circostanza di fatto. Mentre Gesù mantiene la sua promessa e si dà in cibo agli Apostoli, ecco il doloroso contrasto: Giuda, il traditore, consegna Gesù ai suoi nemici. Al dono di Gesù viene, cioè, contrapposto il tradimento. Ecco le vive e precise espressioni di san Tommaso:

In morte a discipulo,

Suis tradendus æmulis,

Prius in vitæ ferculo

se tradidit discipulis.

Contrasto dolorosissimo che strappa non solo la commozione, la compassione, ma fa stillare le lacrime a chi vi rifletta.

GLI EFFETTI DELL’EUCARISTIA.

Gesù venendo in noi ci nutre e fortifica. Alla stessa guisa del cibo materiale per la vita fisica, il cibo spirituale per eccellenza, Gesù stesso, nell’Eucaristia, ci nutre di se stesso, della sua grazia, della sua carne, sotto le specie del pane e del vino. La carne e il sangue di Gesù ci danno la vita, perché noi, cibandocene, assimiliamo il cibo!… Non basta. Se ci nutrono, ci fortificano. Propriamente come il cibo materiale, passato al triplice traguardo della digestione chimica, nella parte della quantità e della qualità che viene assimilata, aumenta le energie, rinnova il sangue che torna a pulsare più veemente, e, perché  più fresco e più puro, più efficacemente fluisce ed irriga tutto il suo campo d’azione.

IL NOSTRO ABBANDONO…

Se Gesù dà se stesso a noi, sotto le specie del pane e del vino, affinché ci nutriamo di Lui, e noi così veniamo attratti e assimilati da Lui; s’Egli si abbandona interamente, con piena fiducia in noi, è doveroso che noi ci abbandoniamo, a nostra volta, in Lui, senza sottintesi, senza limitazioni. L’abbandono in Gesù è la via regia, come già abbiamo detto, che conduce all’unione con Dio, al possesso della vita interiore. « Lo spirito del vero abbandono è un prezioso dono di Dio, è un cuscino di piume sul quale l’anima pia dolcemente riposa… Chi non si abbandona interamente alla Provvidenza viene a staccarsi da se stesso da questo seno divino » (Groachino SEILER, Lo spirito di Gesù Cristo. – Torino 1936, pag. 149). Chi si abbandona in Gesù, non esiste più con la sua personalità, poiché vive in Lui Gesù stesso… ch’è diventato, padrone e direttore de’ suoi atti, dei suoi movimenti, delle sue intenzioni… In tal modo Gesù può richiedere. qualunque sacrificio all’anima che si è abbandonata in Lui essendo certo di ottenerlo generosamente. Concludiamo con la bella e saggia definizione che la beata Gemma Galgani dà della SS. Eucaristia: « L’Eucaristia è un’Accademia di Paradiso, dove s’impara ad amare; la scuola è il Cenacolo, il maestro è Gesù, le dottrine da impararsi sono la sua Carne e il suo Sangue ». Oh! Gesù! degnati di ascoltare e di esaudire la nostra preghiera: che tu continui ad attrarci e a trasformarci in Te, ora e sempre!

Dopo la Comunione, e mentre siamo davanti al tabernacolo, la santa Umanità di Cristo (che è il vincolo fra noi e il Verbo) ci avvicina sempre più a Lui e con maggiore efficacia

C. MARMION

31 MAGGIO (2022): FESTA DI MARIA REGINA

31 MAGGIO (2022)

FESTA DI MARIA REGINA

(B. Baur O.S.B. :  I Santi dell’Anno Liturgico, Herder ed., Roma, 1958)

.1. – Nel pomeriggio del 31 ottobre 1954 a Roma l’immagine miracolosa della « Salus populi Romani » fu solennemente trasportata in lunga processione dal suo trono in S. Maria Maggiore a S. Pietro. 480 stendardi mariani dei più noti santuari del mondo e 280 stendardi mariani d’Italia accompagnarono l’immagine miracolosa. Già il 24 ottobre era cominciato a Roma il congresso mariologico internazionale che trovò il suo vertice e la sua conclusione nella proclamazione della nuova festa di Maria Regina e nell’incoronazione dell’immagine romana. Il Santo Padre Pio XII fissò come giorno per la celebrazione della nuova festa della Regalità di Maria il 31 maggio. – In tale giorno deve anche essere rinnovata la consacrazione dell’umanità a Maria. Alla proclamazione della festa della Regalità di Maria il Santo Padre unì l’incoronazione dell’immagine miracolosa. Incoronando l’immagine di Cristo egli pregò: « Come noi ti incoroniamo con le nostre mani sulla terra, così si possa noi esser fatti degni di venir coronati da Te in cielo con onore e gloria »; incoronando l’immagine di Maria con un diadema di dodici stelle: « Come noi t’incoroniamo con le nostre mani, così si possa noi esser da te fatti degni di venir coronati da Gesù, tuo Figlio, in cielo con onore e gloria ».

2. – Già da lunghi secoli la Chiesa confessa la propria fede nella regalità di Maria in varie preghiere e forme, specialmente nel Rosario e nelle litanie lauretane. Nel Rosario lodiamo Maria come colei che è stata dal Signore assunta in cielo e ivi coronata Regina. Nelle litanie lauretane l’invochiamo co Regina degli Angeli, dei Patriarchi, dei Profeti, gli Apostoli, dei Martiri, dei Confessori, delle Vergini e di tutti i Santi, come Regina concepita senza macchia di peccato originale, come Regina assunta in cielo, come Regina del santo Rosario e Regina della pace. Tanto è viva in noi la fede nella regalità di Maria. Da ben mille anni salutiamo Maria, nell’Ufficio della Chiesa come nella nostra preghiera personale, col « Salve Regina, vita dolcezza e speranza nostra, salve ». Con la Chiesa cantiamo in tutte le feste mariane il salmo 44, il canto profetico sul misterioso sposalizio di Cristo, lo sposo regale, con Maria sua sposa. « Effonde il mio cuore una soave parola, canto i miei versi al re » a Cristo, il Signore.  Il tuo trono, o Dio sta per i secoli dei secoli. Figlie di re ti vengono incontro, alla destra sta la regina ornata d’oro di Ofir. Ascolta figlia, guarda e porgi il tuo orecchio; il re si è invaghito della tua bellezza. Egli è il tuo Signore a Lui t’inchina. La gente di Tiro viene con doni, i più ricchi del popolo cercano il tuo favore. La figlia del re fa il suo ingresso in ornamenti smaglianti. Il suo abito è intessuto d’oro. In vesti variopinte è condotta al re. Vergini la seguono. Sono condotte con gioia ed esultanza, entrano nel palazzo del re » (Ps. XLIV) – Maria la sposa del re. Ella, la nuova Eva, sta al fianco del secondo Adamo, di Cristo, del re, nella gloria di sublime e incomparabile Regina. « Salve, Santa Madre, che hai generato il Re il quale regge nei secoli dei secoli il cielo e la terra » (Introito di molte feste mariane). Il Santo Padre ha dunque ragione di dire che con la festa della Regalità di Maria non introduce niente di nuovo se « nelle presenti circostanze confessa e corona dinanzi al mondo una verità che può aiutarci a superare il male del mondo e a proteggere i Cristiani ». – La dignità regale di Maria e il suo potere regale riposano sul suo stretto legame con Cristo. Fondamentale in proposito è il fatto che all’annuncio dell’Angelo Ella pronunciò il suo « fiat » divenendo la Madre del Figlio di Dio, di quel Re e Signore al quale « è dato ogni potere in cielo e sulla terra (Matt. XXVIII, 18). Ella è la Madre del Re divino e prende quindi parte, anche se in maniera più limitata e subordinata, alla dignità regale del Figlio suo. Essendo poi Cristo nostro Re perché, come nuovo Adamo, è nostro Redentore, allora anche Maria è, a suo modo, Regina. Poiché Ella fu associata da Dio, come nuova Eva a Cristo Redentore nella sua opera di redenzione e a quest’opera doveva cooperare tanto che a buon diritto vien detta « corredentrice », così è confacente che le sia data dal Signore una certa signoria sui redenti. Cristo è Re per natura per la sua dedizione nella morte redentrice. Maria è Regina per grazia, per Cristo e in Cristo, In virtù del suo Stretto legame con Lui, Ella Possiede una dignità e un’elevazione Su ‘tutti gli esseri creati, insieme al potere. di trasmettere a noi uomini i tesori che Cristo ci ha meritati e di ottenerci, in virtù di una intercessione materna che a Lei sola compete, grazia e aiuto da Dio.

3. – Il potere di Maria Regina è un potere sul  cuore: di Cristo Re: amandola Egli si inchina a Lei ed esaudisce le Preghiere che Ella il compito ed il potere di Presentargli a nome nostro per la salute delle nostre anime. Il potere di Maria è un Potere sugli uomini da Lei accolti come figli e che Ella desidera ardentemente di guidare e plasmare affinché Cristo prenda forma in noi e si possa così entrare nel beato regno del Figlio suo. Un potere sulla nostra volontà perché Segua il bene: un Potere sui nostri occhi perché  cerchino ed amino quello che Dio vuole. – Il potere regale di Maria è un potere e una signoria su tutto il creato, principalmente sull’umanità, su tutti e su ogni singolo, sia esso in cammino verso Dio, sia esso caduto in errore. Per tutti le è concessa dal Signore una potestà materna per collaborare efficacemente affinché raggiungano la loro eterna salvezza, per ottener loro perdono, grazia, luce e forza. – Il Potere regale di Maria è un potere e una signoria sugli spiriti maligni e sulle potenze dell’inferno, del peccato e di satana. Già nel Paradiso terrestre Ella fu indicata come Colei che avrebbe calpestato il Capo al serpente (Gen. III, 15). – Il potere regale di Maria è il potere d’intervenire in modo miracoloso nel corso del mondo e nelle leggi della natura, di guarire malattie e d’impedire disgrazie. Ne sono testimonianze Lourdes, Fatima, Loreto, Alttoetting, i molti santuari e luoghi di pellegrinaggio mariani con le loro migliaia e migliaia di ex-voto, di gruccie ecc.: Maria ha dovunque soccorso! Chiare prove del potere regale di Maria! Il potere regale di Maria è un potere materno e una signoria sulla santa Chiesa, sulle diocesi, sulle parrocchie, le famiglie, gli ordini religiosi e i chiostri, come ben dimostra la storia della Chiesa, delle famiglie, degli ordini e dei monasteri come anche quella degli stati e dei paesi cristiani. « Vincitrice in tutte le battaglie di Dio » contro i pagani (guerre contro i Turchi!) e contro le eresie di tutti i tempi. – Quanto dobbiamo stimarci felici che il Signore ci abbia dato Maria come nostra Regina e ci abbia sottoposti al suo potere regale e alla sua signoria. Con quanta fiducia dobbiamo rivolgerci a Lei, noi suoi diletti figliuoli, dicendo con san Bernardo : « Ricordati, piissima Vergine Maria, non essersi udito al mondo che qualcuno ricorrendo alla tua protezione sia rimasto abbandonato ». Pio IX nella sua Bolla sull’Immacolata Concezione ci dice inoltre: « In ogni bisogno, angustia, pericolo dobbiamo ricorrere a Lei, avvicinarci a Lei fiduciosi. Stabilita dal Signore Regina del cielo e della terra, Ella sta alla destra del Figlio suo e lo assedia con le sue materne preghiere. Ciò che Maria desidera ottenere da Lui trova esaudimento, il suo richiedere non è mai vano ».

Preghiera

O Maria, Madre di Dio e Madre nostra, tu sei la Regina del cielo e della terra. Con grande fiducia poniamo noi stessi, con tutta quello che siamo ed abbiamo, sotto la tua particolare protezione. Sii tu Signora e Regina sulle nostre anime e il nostro corpo, sul nostro cuore e il nostro spirito, sulla nostra famiglia e la nostra casa. Tutto sia a te consacrato, ti appartenga ed esperimenti la tua materna benedizione. Amen.

Omelia di s. Bonaventura vescovo
Sermone sulla regia dignità della Beata Maria Vergine

La beata vergine Maria è diventata madre del sommo Re mediante una maternità del tutto singolare, secondo quanto si sentì dire dall’angelo: «Ecco, concepirai e darai alla luce un figlio»; e inoltre: «Il Signore gli darà il trono di David suo padre, e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno e il suo regno non avrà fine». È come se dicesse apertamente: Concepirai e darai alla luce un figlio che è re, che eternamente abita sul suo trono regale, e per questo tu regnerai come madre del Re, e come Regina siederai tu pure sul trono regale. Se infatti è giusto che il figlio onori la madre, è altrettanto giusto che partecipi ad essa il trono regale; per questo, per il fatto cioè che la vergine Maria ha concepito colui che porta scritto sul suo femore «Re dei re e Signore dei dominanti», nell’istante stesso in cui concepì il Figlio di Dio, divenne Regina non soltanto della terra, ma anche del cielo. E questo era stato preannunciato nell’Apocalisse dove si dice : «Un grande prodigio apparve nel cielo: una donna vestita di sole, e la luna sotto i suoi piedi, e sul suo capo una corona di dodici stelle».

Anche riguardo alla sua gloria, Maria è Regina illustre. Il Profeta esprime ciò in modo adeguato in quel salmo, che si riferisce in modo particolare a Cristo e alla vergine Maria. In esso si afferma in un primo luogo di Cristo: «Il tuo trono, o Dio, è eterno». Poco dopo si dice della Vergine: «Alla tua destra è assisa la Regina». Ciò si riferisce alle qualità più elevate, e perciò viene attribuito alla gloria del cuore. Poi il testo prosegue: «Vestita in laminato d’oro»: qui si intende il vestito di quella gloriosa immortalità che Maria acquistò con l’assunzione. Non si può credere che il vestito che aveva circondato il Cristo e che sulla terra era stato santificato totalmente dal Verbo incarnato, fosse distrutto dalla corruzione. Come fu opportuno che Cristo donasse a sua Madre la grazia totale quando ella fu concepita, così fu pure opportuno che donasse la gloria completa con l’assunzione di sua Madre. Ne consegue che è da ritenere vero il fatto che la Vergine, entrata nella gloria con l’anima e con il corpo, sia assisa accanto al Figlio.

Maria è Regina e distributrice di grazie: ciò fu. intuito nel libro di Ester, dove è scritto: «La fonte crebbe diventando fiume, e poi si trasformò in luce e in sole». La vergine Maria, raffigurata nella persona di Ester, è paragonata al dilatarsi dell’acqua e della luce, proprio perché diffonde la grazia che aiuta l’azione e la contemplazione. La stessa grazia di Dio che curò l’umanità, fu comunicata a noi attraverso Maria, come attraverso un acquedotto: è un compito della Vergine distribuire la grazia, non perché sia creatrice di grazia, ma perché ce la guadagna con i suoi meriti. Giustamente, quindi, la vergine Maria è regina nobile di fronte al suo popolo, proprio perché ci ottiene il perdono, vince le difficoltà, distribuisce la grazia e finalmente, introduce nella gloria.

Dalla Lettera Enciclica del Papa Pio XII
Enciclica Ad cæli Reginam, 11 Ottobre1954


Dai monumenti dell’antichità cristiana, dalle preghiere liturgiche, dall’innata devozione del popolo cristiano, dalle opere d’arte, da ogni parte abbiamo potuto raccogliere espressioni ed accenti, secondo i quali la vergine Madre di Dio consta primeggiare per la sua dignità regale; ed abbiamo anche provato come le ragioni che la sacra teologia ha dedotto dal tesoro della fede, confermino pienamente questa verità. Di tali testimonianze riportate si forma un concerto, la cui eco risuona larghissimamente per celebrare il sommo fastigio della regale dignità della Madre di Dio e degli uomini, che è al di sopra di ogni cosa creata, e che è stata «innalzata sopra i cori degli angeli, ai regni celesti». Essendoci poi fatta la convinzione, dopo mature e ponderate riflessioni, che verranno grandi vantaggi alla Chiesa, se questa verità, solidamente dimostrata, risplenderà più evidente davanti a tutti – quasi lucerna più luminosa posta sul suo candelabro – con la nostra autorità apostolica, decretiamo e istituiamo la festa di Maria Regina, da celebrarsi in tutto il mondo il giorno 31 maggio di ogni anno.

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (3)

ADOLFO TANQUEREY

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ (3)

Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle Missioni – ROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF. 1930

NIHIL OBSTAT – Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.

IMPRIMATUR Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.

PARTE PRIMA

Gesù vivente in noi per comunicarci la sua vita

CAPITOLO I.

Art. III. — IL VERBO INCARNATO NELLE SUE RELAZIONI CON NOI.

« Il Verbo era nel mondo…

e il mondo non lo conobbe…

Ma a quanti lo accolsero diede potere

di diventar figliuoli di Dio:

ai credenti nel suo nome,

î quali non dal sangue,

né dal volere della carne, né dal volere dell’uomo,

ma da Dio son nati  » (Giov. I, 10-13).

Se il Figlio eterno di Dio, se il Verbo si è incarnato, lo fece per abitare in mezzo a noi, anzi per vivere in ognuno di noi. Come Dio, vive realmente in noi con la sua grazia; viene a noi per comunicarci una partecipazione della divina sua vita. Come uomo, vive in noi moralmente, avendo con noi le relazioni più intime, più affettuose, più santificanti. Gesù è:

.1° il capo di un Corpo mistico di cui noi siamo le membra.

2° il mediatore tra suo Padre e noi.

3° il sacerdote che, in nome di tutta la umana società, offre a Dio ii sacrificio per eccellenza.

4° il dottore infallibile che insegna ogni verità.

5° il modello perfetto che ci trae dietro a sé nelle vie della perfezione.

Poche parole basteranno a farci intendere questi gloriosi titoli del Verbo incarnato.

1° Il Verbo Incarnato è il Capo di un Corpo mistico che si chiama la Chiesa, Capo quindi di tutti i membri che la costituiscono? Tre qualità, dice san Tommaso (Sum. Theol., III, q. 8, a. I), distinguono la testa nel corpo umano: la preminenza, perché domina su tutte le altre membra; la perfezione, perché riunisce tutti i sensi esterni ed interni; l’influsso vitale, perché imprime a tutte le membra il moto, la direzione, la vita. Ora anche Gesù compie sotto l’aspetto spirituale questo triplice ufficio in ciascuno di noi. È infatti evidente che Egli ha la preminenza su tutti gli uomini, perché, essendo insieme Figlio dell’uomo e Figlio di Dio, è il primogenito di ogni creatura, l’oggetto delle divine compiacenze, la fonte di ogni santità, Colui innanzi al quale si piega ogni ginocchio in cielo, in terra e nell’inferno. A Lui parimenti conviene ogni perfezione, perché riceve la pienezza della grazia, pienezza assai superiore a quella della Vergine SS.ma e dei santi. Maria è il canale che conduce alle anime nostre le vivificanti acque della grazia; i santi ricevono una pienezza di grazia più o meno grande secondo l’indole della loro missione; ma solo Gesù è la fonte onde si alimentano e il canale e i rivoletti. Gesù, quindi, ha una pienezza speciale, una soverchiante pienezza. Onde quell’influsso vitale che ha su tutti i suoi membri, perché tutti ricevono da Lui il moto e la vita. – Gesù medesimo, nell’ultima Cena, espone ai discepoli questa dottrina, quando dice ; « Io sono la vite, voi i tralci » (Giov. XV, 5). Perché, come i tralci ricevono dalla vite la linfa vivificante che si trasforma in fiori e in frutti, così le anime nostre ricevono da Gesù la grazia che lor fa produrre i frutti di salute. Quest’unione con Cristo raccomanda pure san Paolo a quelli che vogliono crescere in grazia e in virtù : « Attuando la verità nell’amore, cresciamo in Lui in tutto, in Lui che è Capo, Cristo; dal quale tutto il Corpo, bene compaginato e connesso, per mezzo d’ogni giuntura di somministrazione, secondo l’operazione stabilita per ciascun membro, prende incremento pe svilupparsi nell’amore! » (Ephes. IV, 15-16). La nostra vita spirituale deriva dunque da Gesù, nostro Capo, ove ella risiede nella sua pienezza, per diramarsi in ciascuno di noi; la nostra grazia, la nostra santità, è come un’estensione della santità di Cristo; onde il vero Cristiano può dire come san Paolo: Vivo, ma non più io, vive in me Cristo ? » /Gal. II, 20). O Salvatore benedetto, quanto siamo felici di essere così incorporati a Voi e partecipare alla vostra vita! E poiché la misura del nostro progresso dipende in gran parte dalla nostra corrispondenza alla vostra grazia e dalla nostra docilità a seguire il moto e la direzione che voi ci date, degnatevi di operare in noi il volere e il fare, affinché, sotto il vostro impulso, cresciamo in voi coll’imitazione delle vostre virtù.

2° Capo dell’umanità, il Verbo incarnato è, per così dire, il mediatore nato tra Dio e l’uomo. E chi mai può far questo ufficio meglio di Colui che riunisce in una sola e medesima per sona le due nature, la divina e l’umana? Uomo capo della umana stirpe, ha il diritto di rappresentarci dinanzi a Dio, e la sua infinita pietà, la sua inclinazione per noi vivamente lo spronano a compiere tale ufficio. Uguale poi al Padre e allo Spirito Santo, ha libero accesso presso Dio a rendercelo propizio. Sarà quindi il nostro mediatore, mediatore di redenzione e mediatore di religione.

A) Innanzi tutto Gesù è il nostro mediatore di redenzione. Come capo dell’umanità peccatrice, assume sopra di sé il peso delle nostre iniquità e s’incarica di espiarle in nome nostro. Si offre fin da principio come vittima, e, dopo una lunga vita di fatiche e di patimenti, compie sul Calvario il suo Sacrifizio, riparando con l’ubbidienza sua e col suo amore, l’offesa fatta dalla disubbidienza dei nostri progenitori. Questi atti di ubbidienza e di amore hanno un valore morale infinito, per ragione della dignità della persona del Verbo che fa suoi i patimenti della natura umana: e si può dire con tutta verità che rendono a Dio gloria maggiore che non glie ne abbia tolta il peccato. Un solo di questi atti sarebbe bastato a riparare interamente i peccati degli uomini. Ora Gesù ne ha fatti di innumerevoli, e tutti ispirati all’amore più puro, e li ha coronati col sacrifizio più sublime e più eroico, coll’intiera immolazione di sé sul Calvario. Possiamo dunque ripetere la parola di san Paolo: « Dove abbondò il peccato, là sovrabbondò la grazia; affinché, come regnò il peccato per la morte, così anche la grazia regnasse per la giustizia e per la vita eterna, per Gesù Cristo Signor Nostro » (Rom. V.,20). Gesù, espiando i nostri peccati, merita pure per noi tutte le grazie di cui abbiamo bisogno a riconquistare il cielo: grazie di conversione, grazie di perseveranza, grazie per resistere alle tentazioni, grazie per trar profitto dalle nostre prove, grazie di rinnovamento spirituale, grazie per praticar le virtù, anche in grado eroico, grazie di unione intima con Dio, grazie mistiche. Possiamo quindi dire con san Paolo: « Benedetto Dio e Padre del Signor Nostro Gesù Cristo, che benedisse con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo; conforme ci elesse in lui prima della creazione del mondo, ad essere Santi e immacolati agli occhi suoi, avendoci nell’amor suo predestinati all’adozione di figli, per Gesù Cristo. secondo il beneplacito della sua volontà, onde si celebri la gloriosa grazia sua, della quale ci ricolmò in ogni sapienza e saggezza »(Ephes., I, 3). – Ad ispirarci maggior confidenza, Gesù istituì i sette Sacramenti, segni visibili che ci conferiscono la grazia in tutte le principali circostanze della vita e ci danno diritto a grazie attuali per far bene a tempo opportuno tutti i nostri doveri cristiani e tutti i doveri del nostro stato. Ma fece anche di più: ci diede pure il potere di sodisfare e di meritare. Incorporati a Cristo ne partecipiamo la vita, e i nostri atti, uniti ai suoi e informati dalla divina carità di cui Egli è il principio, sono nello stesso tempo sodisfattorii, meritorii e impetratorii. Se abbiamo la sventura di peccare dopo il battesimo, i nostri atti di penitenza e di contrizione fecondati dalla virtù del sangue di Gesù, muovono il cuore di Dio e ci ottengono il perdono: il sacramento della Penitenza ci agevola ancor più la remissione dei peccati, perché Gesù stesso, vivente nel sacerdote, viene ad assolverci. Anche le più piccole azioni fatte in istato di grazia e in unione con Gesù, sono meritorie della vita eterna e aumentano ad ogni istante, se vogliamo, il nostro capitale di grazia abituale sulla terra e di gloria nel cielo. – Quando preghiamo, lo Spirito di Gesù viene pregare con noi con gemiti inesplicabili (Rom. VIII, 26); il che spiega la fecondità delle nostre preghiere; poiché tutto quello che chiediamo al Padre in Nome di Gesù, cioè incorporandoci a Lui e fondandoci sui Suoi meriti, siamo sicuri di ottenerlo! (S. Giov., XVI, 23.). Siano dunque rese grazie al Verbo incarnato, che, non pago di riparar le nostre offese e di espiare i nostri peccati, ci colma di beni Spirituali così abbondanti, che possiamo ripetere con la Chiesa; « O fortunata colpa di Adamo che ci ha meritato un così nobile Redentore! » (Ufficio del Sabato Santo, Exsultet…).

B) Gesù è anche il nostro mediatore di Religione. Noi siamo obbligati a glorificar Dio ma ne siamo incapaci, come siamo incapaci di salvarci da noi stessi: Dio ha diritto ad ossequi infiniti e gli ossequi nostri sono meschini e finiti. Ma il Verbo incarnato, il grande Religioso del Padre, ha porto e porge continuamente a Dio adorazioni infinite: come uomo, si umilia ed adora: come Verbo, dà a queste adorazioni una dignità ed un valore morale infinito. Possiamo quindi dirgli col Cardinal di Bérulle (De l’état et des grandeurs de Jésus, Discours II, p. 129.): « Voi siete quel servo eletto che solo servite Dio come merita di esser servito, cioè con servizio infinito: e solo lo adorate con adorazione infinita, come è infinitamente degno di essere adorato. Prima di voi questa suprema Maestà non poteva, né dagli uomini né dagli Angeli, essere servita e adorata con quella specie di servizio con cui è ora amata e adorata secondo l’infinità della sua grandezza, secondo la divinità della sua essenza, secondo la maestà. delle sue Persone. Da tutta l’eternità c’era, sì, un Dio infinitamente adorabile, ma non c’era ancora un adoratore infinito, non c’era ancora un uomo o un servo infinito capace di rendere un servizio e un amore infiniti. Siete Voi, Gesù, ora, questo adoratore, questo uomo, questo servo, infinito nella potenza, nella qualità, nella dignità, da sodisfare pienamente a questo dovere e porgere a Dio questo divino ossequio. Oh! grandezza di Gesù, anche nel suo stato di abbassamento, di essere il solo degno di porgere perfetto ossequio alla divinità! Oh! grandezza del mistero dell’Incarnazione che pone uno stato, una dignità infinita entro l’essere creato! Oh! divino uso di questo divino mistero, avendo noi ormai per Lui un Dio servito e adorato senza alcuna sorta di difetto in questa adorazione! » . Ora questo stesso Gesù vive in noi col suo Spirito e per mezzo suo ci comunica la sua religione, onde abilitarci a glorificar Dio come si merita. Secondo la bella dottrina dell’Olier: « Gesù viene in noi e si lascia sulla terra tra le mani dei sacerdoti come ostia di lode, per parteciparci il suo spirito di immolazione, per associarci alle sue lodi, per interiormente comunicarci i sentimenti della sua religione. Si diffonde in noi, si insinua in noi, profuma l’anima nostra riempiendola delle interiori disposizioni del suo spirito religioso, di guisa che dell’anima nostra e della sue ne fa una sola, che anima di uno stesso spirito di rispetto, di amore, di lode, di sacrifizio interno ed esterno di tutte le cose, per la gloria di Dio suo Padre; e mette così l’anima nostra in comunione con la sua religione per far di noi in Lui, come abbiam detto, veri religiosi del Padre suo » Quale consolazione per noi di potere, unendoci a Gesù, glorificar Dio come si merita!

3º Con Gesù noi offriamo pure il sacrificio più eccellente, perché Gesù è sacerdote (Esporremo più ampiamente questa dottrina sul sacerdozio e sul sacrificio di Gesù nella seconda parte), e il sommo sacerdote della nuova Legge; anzi, a dire il vero, è il solo e unico sacerdote, perché, non morendo, Egli non ha successori ma solo rappresentanti visibili. Tale è la bella dottrina esposta da san Paolo nell’Epistola agli Ebrei. – Il Verbo incarnato diviene sacerdote nel giorno dell’Incarnazione; fintanto che rimane nel seno del Padre, non può abbassarsi né adorare. Ma, appena si riveste della nostra natura umana, il Verbo viene consacrato sacerdote da Colui che lo ha scelto da tutta l’eternità a questo ufficio, e che attua in questo giorno il suo disegno dicendogli: « Tu sei sacerdote secondo l’ordine di Melchisedech » (Hebr. V, 6). Inizia quindi fin da questo primo istante il suo ufficio sacerdotale: « Entrando nel mondo, Cristo dice al Padre: Vittima ed offerta non volesti, ma mi formasti un corpo; olocausti e sacrifici espiatori non gradisti. Allora io dissi: Eccomi… Vengo a fare, o Dio, la tua volontà… E in questa volontà noi siamo santificati per l’offerta del suo Corpo che Gesù fece una volta per sempre » (Ebr., X, 5-7, 10). Gesù sarà dunque nel medesimo tempo il sacrificatore e la vittima. In tutto il corso della vita immola la volontà con la spada dell’ubbidienza; ma sul Calvario, propriamente parlando, compie il suo sacrifizio immolando, per mezzo dell’ubbidienza e dell’amore, il suo corpo e la sua anima con la maggior perfezione possibile, e adempiendo così ogni giustizia. Per la prima volta Dio fu allora perfettamente glorificato secondo tutte le condizioni da Lui stesso fissate, e gli uomini furono in diritto salvati, non restando ad essi che appropriarsi, per mezzo della fede, della carità e delle buone opere, le soddisfazioni e i meriti del Redentore divino. La Risurrezione e l’Ascensione verranno, certo, a consumare il sacrifizio; ma l’immolazione reale e cruenta avvenne sul Calvario. – A fine di darci il modo di glorificar Dio come si merita e applicarci i frutti della redenzione, Gesù istituì nell’ultima Cena il sacrificio della Messa, nella quale più non cesserà, sino alla fine del mondo, di offrirsi vittima per noi sotto le specie del pane e del vino. Oh! quanto dobbiamo essergliene grati! Noi infatti, sia pure indegni, possiamo, offrendo il sacrificio della Messa oppure assistendovi, appropriarci gli interni sentimenti di Gesù sull’altare, offrire a Dio i suoi atti di religione e ottenere per noi e per quelli che ci son cari tutte le grazie che ci occorrono.

4° Se l’atto principale del sacerdote è il sacrifizio, uno dei suoi doveri essenziali è anche quello di insegnar la dottrina sacra, di essere dottore. Ufficio che il Verbo incarnato adempie in modo eminente. Gesù è la luce che, venuta in questo mondo, illumina tutti gli uomini (S. Giov., I, 9) Oh! Quale immenso bisogno essi ne hanno! Le religioni pagane erano degenerate in tali superstizioni che i filosofi più non vi credevano, e, stanchi di errare da sistema in sistema, erano caduti in una specie di scetticismo. La religione giudaica aveva conservato il monoteismo e il culto del vero Dio, ma gli Scribi e i Farisei la interpretavano così grettamente, che pareva ormai divenuta una meschina casuistica. Ed ecco Gesù che sgombra la Legge dalle false interpretazioni e, innalzandosi molto al disopra delle piccine concezioni dei Giudei, predica quella religione dello spirito che, costituita in un perfetto corpo di dottrina. Affida quale sacro deposito alla custodia e alla interpretazione di una Chiesa infallibile, a cui promette la divina sua assistenza sino alla fine dei secoli. – Questa dottrina risponde a tutti i problemi che affannano l’anima umana: donde veniamo? Chi siamo? dove andiamo? Donde veniamo? Veniamo da Dio, che ci ha creati e santificati e colla sua Provvidenza si occupa paternamente di noi. Non è un Dio solitario: è un Dio vivente in tre Persone, che trova in se stesso tutto ciò che occorre per essere infinitamente beato. Nondimeno, per puro amore, per farci partecipi della sua felicità, ci trae dal nulla, ci adotta per figli. ci comunica la sua vita; e avendo noi perduti, per la colpa del nostro primo padre, i nostri diritti al Paradiso, non esita ad inviarci suo Figlio per redimerci. Chi siamo? Siamo figli adottivi di Dio, fratelli del Verbo incarnato, membra del mistico suo corpo, figli della santa Chiesa; abbiamo un’anima immortale, riscattata dal sangue dell’eterno Figlio di Dio. Dove andiamo? A Dio nostro Padre, al quale un giorno saremo eternamente uniti con la visione beatifica e con un amore indissolubile; e andiamo a lui, incorporandoci a Gesù, nostro mediatore; imitandone le virtù, specialmente il suo amore per Dio e per gli uomini: e avvicinandoci ogni giorno più alla perfezione del nostro Padre celeste. Queste verità si consertano mirabilmente tra loro e corrispondono così bene ai bisogni della nostra mente e del nostro cuore, che anche i ragazzi del Catechismo le capiscono e le gustano. E con che autorità Gesù insegna! « Le turbe stupivano della sua dottrina, perché le istruiva come avente autorità e non come i loro Scribi! ». Gli stessi suoi nemici furono obbligati a confessarlo: « Nessuno ha mai parlato come quest’uomo » (S. Giov. VII, 46). Gesù, infatti, parla con potenza di affermazione assoluta: è un Veggente che contempla nel seno del Padre le verità che annunzia; è un Maestro che ha tutta l’autorità di Dio: « Io sono la via, la verità e la vita » (S. Giov. XIV, 6). Parla con fulgida chiarezza, facendosi tutto a tutti, adoprando popolo i paragoni più semplici, le immagini graziose, e argomentando contro gli Scribi e i Farisei con logica inflessibile. Ma ha specialmente una forza di persuasione irresistibile: conosce tutte le segrete vie del cuore e per quelle spera con quel dono di affettuosa intuizione che è proprio di coloro che amano. Gesù infatti può e con tutta verità: « Venite a me, o voi tutti che siete affaticati ed oppressi, e io vi ristorerò »(Matth. XI, 28).

5° Questa forza di persuasione è mirabilmente rinvigorita dai divini esempi di Gesù; Egli è veramente il modello più perfetto che si possa da noi imitare. Figli di Dio per adozione, siamo obbligati ad avvicinarci con la santità della vita alla perfezione del nostro Padre celeste. Ma in che modo conseguire questo ideale? L’eterno Figlio di Dio, sua vivente immagine, si fa uomo, vive sulla terra una vita umana e divina, e ci invita a calcar le sue orme. È un perfetto modello di tutti gli stati di vita. Visse per trent’anni la vita nascosta, ubbidiente a Maria e a Giuseppe, lavorando da semplice operaio, e dandoci così l’esempio di quelle umili virtù che dobbiamo praticare ogni giorno. Nella sua vita pubblica, c’insegna il modo di conciliare la preghiera con l’azione; di santificare le relazioni sociali e le opere di apostolato; e come comportarci così nella prospera come nell’avversa fortuna. La sua vita dolorosa ci dà l’esempio della pazienza più eroica in mezzo a tormenti fisici e morali: dotato di una sensibilità squisita, sentì più vivamente di noi l’ingratitudine degli uomini, l’abbandono dei discepoli, il tradimento di Giuda, gl’insulti dei nemici e i tormenti che gli inflissero; eppure tutto sopportò senza lamentarsi, lieto di soffrire per Dio e per gli uomini.-  Ed è un modello pieno di attrattiva: vedendo Gesù, vittima innocente, che pena e soffre per nostro amore, osservando che i suoi patimenti sono tanto fecondi in frutti di salute, ci sentiamo tratti ad amare il divino Crocifisso, ne abbracciamo amorosamente la croce, e siamo noi pure lieti di patire per Lui, onde meglio assomigliargli e partecipare alla fecondità del suo apostolato, aspettando il momento di parteciparne pure la sua gloria: « Si tamen compatimur, ut et conglorificemur » (Rom. VIII, 17). Ecco perché, nonostante l’istintivo orrore che abbiamo al patire, tante anime si offrono a Gesù in vittime e sono liete di patir con Lui, per amor suo e secondo le sue intenzioni. – Ma poi Gesù ci ha singolarmente agevolato il lavoro meritandoci la grazia di imitarlo: ognuno degli atti fatti da Gesù prima di morire ci meritò la grazia di fare atti simili; non si contenta quindi di attirarci a sé con l’efficacia dell’esempio, ma vi aggiunge una forza interiore che opera sulla nostra volontà. Siate dunque eternamente benedetto, o Verbo incarnato, perché così efficacemente ci sorreggete coi vostri esempi e colla vostra grazia. Fratelli vostri e membri del mistico vostro Corpo, noi vogliamo, nonostante la nostra debolezza, camminare sull’orme vostre, portare con voi la piccola nostra croce quotidiana, imitare i vostri sentimenti interiori e le vostre virtù. Ne siamo da soli incapaci; ma ci attaccheremo a Voi, e, come Santa Teresina, ci abbandoneremo nelle vostre braccia o meglio sul vostro sacro Cuore, che sarà come dolcemente confidiamo, l’ascensore che ci porterà fino a Dio.

ART. IV. — CONCLUSIONE: GESÙ DEVE ESSER IL CENTRO DELLA NOSTRA VITA.

« Per me infatti il vivere è Cristo! » (Fil. I, 21)

« Vivo, ma non più io,

« Vive in me Cristo » (Gal. II, 20).

Quando un dotto è talmente assorto negli studi da non pensar più ad altro che alla scienza e non vivere più che per essa, ripete continuamente agli amici; la mia vita è la scienza. Quando un commerciante è talmente ingolfato negli affari che dimentica tutto il resto, esclama spesso: gli affari sono la mia via. Così quando un Cristiano, degno veramente di questo nome, ha capito che il Verbo incarnato è tutto per lui, quando non pensa, non ama, non vive più che per Lui, ripete spesso nel suo cuore come san Paolo: la mia vita è Gesù. – Gesù diviene allora il centro dei suoi pensieri e dei suoi affetti; Gesù è per lui la via, la verità e la vita. Vediamo di capire, di gustare, di praticar questi pensieri.

1° Gesù centro dei nostri pensieri e dei nostri affetti. 

Come sopra dicemmo, Gesù è il capo di un Corpo mistico di cui noi siamo le membra, è il nostro mediatore presso il Padre, è il sacerdote che offre per noi il solo vero Sacrifizio, è il dottore che ci insegna le verità eterne, è il modello perfetto che ci trae dietro a sé nelle vie della perfezione e della felicità infinita. Gesù è dunque tutto per noi, e noi dobbiamo ripetere con l’Olier: Chi ha Gesù ha tutto.

A) E allora non dovrà Gesù essere veramente il centro di tutti i nostri pensieri? A chi potremo noi pensare se non a Colui che è il nostro tutto? Così fanno i pii lettori del Vangelo; e che cercano essi in questo libro divino se non quel Gesù che è la delizia del loro cuore? Con quale amore rileggono quelle pagine che ritraggono così fedelmente i fatti, i detti, i gesti del divin Salvatore! Si pascono talmente della sua dottrina, delle sue massime, delle sue virtù, che non pensano più che a Lui. Quando debbono dar giudizio su qualche cosa importante, chiedono a sé stessi; che m’insegna il Maestro su questo punto? Sanno infatti che i nostri giudizi, per esser veri, debbono esser conformi a quelli di Colui che è la verità infallibile. Se vogliono pregare, pensano istintivamente a Colui che, essendo il grande Religioso del Padre, solo può glorificare Dio come si merita, e si uniscono a Lui per adorarlo e domandargli grazie. Vanno al lavoro? Rammentano che Gesù aiutava la madre nelle umili cure domestiche e lavorò con le sue mani nella povera bottega di Nazareth. Se fanno qualche visita, se conversano col prossimo, non dimenticano che Gesù vive nel cuore dei nostri fratelli come vive nel nostro, e conversano con Lui nella persona del prossimo.

B) Gesù diviene così il centro dei nostri affetti.

Come infatti pensare a Gesù senza amarlo? Non è egli forse la Bellezza e la Bontà infinita? Non raduna forse nella sua persona tutte le perfezioni della divinità e tutte le grazie della più compita umanità? Oh! come impallidiscono tutte le umane bellezze di fronte alla Bellezza Infinita! Dacché conobbi Gesù Cristo, diceva il Lacordaire, nulla mi parve più abbastanza bello da guardarlo con passione ». Se gli Apostoli sul Tabor, vedendo l’umanità di Nostro Signore trasfigurata, furono così rapiti di ammirazione da esclamare: « È buono per noi lo star qui » (Matth. XVII, 4), quanto più dobbiamo esser rapiti noi di fronte alla bellezza sovrumana che risplende in Gesù risorto? E chi potrà dirci la sua bontà per noi? San Tommaso, in una strofa mirabilmente sintetica, compendiò le grandi manifestazioni dell’amore divino verso di noi.

Nel presepio si fa nostro fratello,

Nell’ultima cena nostro alimento, —

Sulla croce nostro riscatto,

In cielo nostra ricompensa.

Nel suo nascere, Gesù si fa nostro compagno di viaggio su questa terra di esilio, nostro amico, nostro fratello, nostro consolatore, e ormai non ci lascerà più soli. Istituendo l’Eucaristia, diviene nostro alimento, e sazia del suo corpo, del suo sangue, della sua anima, della sua divinità, le anime amanti che hanno fame e sete di Lui. Morendo sulla croce, sborsa il prezzo del nostro riscatto, ci libera dalla schiavitù del peccato, ci ridona la vita spirituale e ci dà il più grande Segno di amore che si possa dare ad amici. Finalmente nel cielo, sarà Egli stesso la nostra ricompensa, vedremo faccia a faccia la sua divinità, contempleremo estasiati la sua umanità glorificata, lo possederemo interamente, e la nostra felicità si confonderà quindi innanzi colla sua, perché parteciperemo alla sua gloria. Chi mediti queste verità non può non amare generosamente Colui che tanto ci ama e che solo è degno del nostro amore. Gesù è veramente il miglior nostro amico, il solo che abbia per noi dato la vita, il solo che possa appagare il nostro cuore fatto espressamente per Lui. Chi ha Gesù ha tutto, chi non ha Gesù non ha nulla. – Ecco ciò che aveva capito un valoroso Cristiano, Augusto Cochin (Espérances chrétiennes, P. 339), il quale diceva a coloro che non hanno la fortuna di essere credenti: « Voi, o filosofi, non potete capire che cosa è Gesù per noi e quanto noi lo amiamo. Ei ci sta sempre dinanzi agli occhi, ci tiene, a così dire, la mano sulla spalla, nel lavoro come nel riposo, alla tribuna come al banco, a mensa come al capezzale. Ogni Cristiano che intende ciò che crede vive alla presenza e in compagnia di Gesù. Partitevi dunque, partitevi pure, o visioni di poeti, o divinità ispiratrici, o incantatrici bellezze della vita! Partitevi pure anche voi, o santi affetti! Non c’è poesia, non c’è passione, non c’è grazia, che possa mai pareggiare il verace e tenero amore che la Persona di Gesù Cristo ci ispira ».

2° Gesù, via verità e vita.

Amando Gesù a questo modo, noi facciamo di Lui il centro delle nostre azioni, il centro di tutta la nostra vita. Gesù è per noi la via, la verità e la vita.

A) Gesù è la via che dobbiamo seguire per andare a Dio: Egli infatti, come abbiamo detto, è il nostro mediatore di religione e di redenzione. Vogliamo offrire a Dio i nostri atti di adorazione, di riconoscenza e di amore? Ne siamo da per noi incapaci; ma, incorporandoci a Gesù veniamo ad appropriarci gli ossequi che in nome nostro Egli offre al Padre e uniamo le nostre lodi a quelle del nostro Mediatore divino; e Dio le gradisce per ragione di suo Figlio. – « Eravamo, dice l’Olier (Catéch. chrétien, 2 part, lez. IX), debitori a Dio di un milione di doveri religiosi, ma eravamo incapaci di pagarglieli da soli: dovevamo adorarlo, amarlo, lodarlo, ringraziarlo e pregarlo come merita e come siamo obbligati a fare: Magnus Dominus et laudabilis nimis (Psal. XCV, 4; CXLIV, 3). Avevamo quindi bisogno che il grande nostro Maestro con la sua carità servisse pure di supplemento ai nostri doveri e fosse il mediatore della nostra religione; per questo volle risuscitare e salire al cielo ed essere sempre vivente, ad interpellandum pro nobis, dice san Paolo, per pregare e lodare il Padre in vece nostra e supplendo al nostro difetto ». Abbiamo avuto la disgrazia di offendere Dio? Gesù, mediatore di redenzione, pérora Egli stesso la nostra causa e si offre in vittima propiziatoria per i nostri peccati: « Se qualcuno ha peccato abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo, dl giusto. È Egli stesso la vittima di propiziazione per i nostri peccati, e non solo per i nostri, ma per quelli di tutto il mondo » (Act. XI, 5). Vogliamo implorar nuove grazie? Ecco Gesù pronto ad appoggiare le nostre preghiere con tutto il valore dei suoi meriti infiniti: « In verità in verità vi dico: quanto chiederete al Padre in Nome mio, ve lo concederà » (S. Giov. XVI, 24). Gesù infatti prega allora per noi e con noi; e Gesù è sempre esaudito per la dignità della sua persona: « exauditus est pro sua reverentia » (Hebr. V, 17). Anche lo Spirito Santo riceviamo per mezzo del Figlio; come Dio, Gesù si unisce al Padre per inviarcelo; come uomo, ci merita la grazia di ricevere questo divino Spirito e di profittar dei suoi doni. « È conveniente per voi che io me ne vada, perché, se io non vo, non verrà a voi il Consolatore; ma, andato che sarò, ve lo manderò… Quando verrà quello Spirito di verità, vi guiderà ad ogni verità… Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel Nome mio, Egli vi insegnerà ogni cosa e vi rammenterà tutto quello che io già vi dissi ». Pei meriti del nostro Salvatore Gesù lo Spirito Santo « sostiene la nostra debolezza, perché quello che abbiamo convenientemente da chiedere non sappiamo; ma lo stesso Spirito sollecita per noi con gemiti inesplicabili » (Rom. VIII, 26). Il Verbo incarnato è dunque la via che conduce al Padre e allo Spirito Santo, ond’è pur la via che ci mena alla più alta perfezione. È anche la nostra via nel senso che, come abbiamo già dimostrato, è il modello perfetto di tutte le virtù che dobbiamo praticare. Seguiamolo dunque amorosamente, perché, seguendo lui, non ci smarriremo ma cammineremo nella luce.

B) Gesù è l’infallibile verità che dobbiamo credere e amorosamente abbracciare. Come Verbo, è l’infinita sapienza, la luce che illumina tutte le menti. Come uomo, possiede una triplice scienza: la visione beatifica, per la quale vede faccia a faccia Dio e in Dio tutto il dominio del reale, il passato, il presente e il futuro; la scienza infusa, che si estende a tutte le realtà dell’ordine naturale e soprannaturale; la scienza sperimenta ch’ei venne progressivamente acquistando e senza essere universale come le altre due, finì coll’abbracciare tutte quelle verità a cui mente umana può arrivare. – Gesù è dunque il nostro Maestro per eccellenza: « Voi avete un solo maestro, Cristo!  » (Matth. XXIII, 10). Altri si scelga pure, se vuole, « una folla di maestri a solleticare i propri orecchi, e si allontani pure dalla verità voltandosi alle favole » (II Tim. IV, 3-4). noi andremo a Colui che ha parole di vita eterna, a Colui che venne in questo mondo per rendere testimonianza alla verità. Andremo a Lui con tutta l’anima, col doppio lume della ragione e della fede. « Noi, come ben dice il P. Lacordaire ci moviamo entro due sfere, quella della natura e quella della grazia; ma l’una e l’altra hanno il Verbo, Figlio di Dio, per autore e per fiaccola. Onde la Chiesa, infallibilmente assistita da quello Spirito che l’ha messa al mondo, non rinunzia mai alla difesa della ragione, e sempre la tenne come una porzione della sua eredità… Non fate di Gesù Cristo, nostro Maestro, una eccezione al corso generale delle cose; della Chiesa una piccola società sperduta in mezzo ai secoli e alle nazioni… Figli di Dio, abitazione del nosttro Corpo è l’universo, e i secoli la misura dei nostri giorni… La ragione è la nostra illuminatrice; la fede uno splendore irradiato dallo splendore eterno; la Chiesa un mondo che abbraccia il passato, il presente e l’avvenire, i popoli della terra e gli spiriti del cielo, e tra questi due estremi tutto ciò che il Verbo di Dio ha potuto concepire senza dircelo e fare senza mostrarcelo ». Il Concilio Vaticano confermò le nobili idee del P. Lacordaire, mostrando che la ragione e la fede sono due sorelle, figlie dello stesso Padre, che non si possono contradire. – Il Verbo incarnato sarà dunque la nostra luce nello studio di tutte le scienze sacre e profane: non dimenticheremo che ogni verità è come una particella della divina sapienza, e riferiremo tutte le nostre cognizioni alla gloria del Verbo incarnato. Ma lo cercheremo specialmente nel Vangelo, che leggeremo e rileggeremo, amorosamente baciando le pagine del sacro libro, affezionandoci alla dottrina del Maestro, che è il dottore infallibile; di questa dottrina faremo la regola della nostra vita, memori che il miglior mezzo per conoscere la verità è di praticarla: « qui autem facit veritatem venit ad lucem! » (S. Giov. III, 21).

C) Gesù è anche la vita. Questa vita ei la attinge interamente come Dio nel seno del Padre; come uomo, ne possiede una così copiosa partecipazione da essere la fonte onde la dobbiamo attingere tutti noi. E ve l’attingiamo per mezzo dei sacramenti, arcani canali della grazia, che, usciti dal sacro Cuore di Gesù, vengono a spanderla nelle anime nostre. Qualunque sia il sacramento che riceviamo, rammentiamoci sempre che la vita divina di cui ci fa partecipi è il frutto del sangue di Gesù e del suo amore per noi. Ma soprattutto quando riceviamo l’Eucaristia, riflettiamo bene entro di noi che riceviamo Gesù medesimo, cioè il Verbo incarnato con tutti i tesori della sua divinità, come pure la santa sua umanità, col Padre e collo Spirito Santo che gli sono inseparabilmente uniti (Per lo svolgimento di questo pensiero, vedi il sostanzioso opuscolo del P. Barnadot, De l’Eucharistie è la Trinité.); e che, se sappiamo allargar l’anima, la vita divina vi fluirà a torrenti: « Ego veni ut vitam habeant, et abundantius habeant (S. Giov. X, 10) ». Ma non dai soli sacramenti attingiamo questa vita, sì ancora da tutte le azioni fatte in istato di grazia e in unione con Gesù. Tutte allora divengono una specie di comunione spirituale: innestati a Cristo, noi partecipiamo alla sua vita come i tralci partecipano alla linfa della vite, e ognuno delle nostre azioni accresce in noi la grazia santificante, cioè la partecipazione alla vita divina che è già in noi. – Beate le anime che assaporano e praticano queste belle e sublimi dottrine che san Paolo e San Giovanni insegnavano continuamente ai primi Cristiani e che trasformarono il mondo! Beate le anime che, secondo il bel pensiero dell’Olier, hanno abitualmente Gesù dinanzi agli occhi, nel cuore e nelle mani! (Introduction à la vie chrétienne, cap. IV) Studiamoci di aver Gesù dinanzi agli occhi contemplandolo come perfetto modello di tutte le virtù che dobbiamo praticare. Quando preghiamo o meditiamo o studiamo o adempiamo i doveri del nostro stato, domandiamoci, come san Vincenzo de’ Paoli: « Che farebbe Gesù al mio posto? Adoriamolo nello stesso tempo è supplichiamolo di aiutarci a imitare le sue disposizioni interiori . « e quando il nostro cuore si sarà sfogato in amore, in lodi e in altri doveri, stiamocene in silenzio innanzi a lui con queste medesime disposizioni e sentimenti religiosi in fondo all’anima » (Olier, l. c.). Studiamoci di avere Gesù nel cuore, vale a dire supplichiamo lo Spirito Santo che animava l’anima umana del Salvatore e che è pur sempre l’anima del suo Corpo mistico, che si degni di venire in noi per renderci conformi a Gesù Cristo. « Ci daremo a Lui perché Egli ci possieda e ci animi della sua virtù; dopo di che resteremo ancora un po’ di tempo in silenzio presso di Lui, per lasciarci interiormente penetrare dalla divina sua unzione » (Olier, l. c.). Studiamoci di avere Gesù nelle mani, cioè preghiamolo di fare in modo « che la divina sua volontà si adempia in noi, che ne siamo le membra, che dobbiamo star soggetti al nostro Capo e che non dobbiamo avere altro moto se non quello che ci dà Gesù Cristo, nostra vita e nostro tutto, il quale, empiendo l’anima nostra del suo Spirito, della sua virtù e della sua fortezza, deve operare in noi e per noi tutto quello che desidera » (Olier, l. c.). Tale è la pratica di questa comunione spirituale, che si può fare non solo davanti al santissimo Sacramento, ma in ogni luogo e in ogni tempo, da chiunque sia in stato di grazia. Allora Gesù è veramente il centro della nostra vita, dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, delle nostre azioni; allora Gesù ci si fa ad ogni istante una fonte d’acqua viva, perché trova nelle anime nostre la docilità e la generosità che desidera. « Accostiamoci dunque confidentemente al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ad aiuto opportuno: Adeamus ergo cum fiducia ad thronum gratiæ, ut misericordiam consequamur et gratiam inveniamus in auxilio opportuno » (Hebr. IV, 16).E ripetiamo di gran cuore con san Paolo: « La mia vita è Gesù! ».

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII “QUAM ÆRUMNOSA”

Questa breve Enciclica considera i problemi ai quali andavano incontro gli emigranti italiani in America sul finire dell’ottocento, non solo di ordine pratico ed economico, ma soprattutto di natura spirituale potendo la loro anima soccombere alla mancanza di cibo spirituale, cioè della retta dottrina cattolica, e della grazia sacramentale per mancanza di operatori spirituali nel c. d. Nuovo mondo.. Il Santo Padre dava disposizioni e chiedeva consiglio ai Vescovi onde organizzare un soccorso valido per alleviare i bisogni spirituali e, per quanto possibile, anche materiali di tanti poveri italiani costretti ad emigrare in condizioni estremamente disagiate. Oggi purtroppo un problema ancora maggiore si presenta nei nostri territori, non solo italiani, ma in tutti quelli un tempo cattolici, venendo a mancare sia la dottrina cristiana, sia la grazia sacramentale, entrambe gestite da un falso clero (tranne qualche anziano e decrepito sacerdote validamente ordinato prima del 1968, spesso infettato o almeno sospetto, dal sottile veleno di un modernismo eretico e pagano. È vero che tutto questo era già stato previsto dai Profeti dell’Antico Testamento, a cominciare da Daniele, e poi dallo stesso divin Maestro citando appunto Daniele nel Vangelo di s. Matteo, e poi a seguire da San Paolo, San Pietro, ed in modo ancor più dettagliato da S. Giovanni nell’ultimo libro posto a chiusura della rivelazione divina (l’Apocalisse), ma certo fa un certo effetto vedere come davanti ai nostri occhi, manchi il vero pane di vita ai figli malati di inedia sacramentale della Chiesa, e la luce della dottrina apostolica a tanti “emigranti dal Cristianesimo” e smarriti in una landa di paganesimo teorico e pratico diffusa in tutto il pianeta creato da Dio per dargli gloria e meritare una eterna salvezza. Ma forti nella fede, aspettiamo tempi ancor più duri, sapendo che la Chiesa di Cristo non sarà mai demolita dalle porte degli inferi, come oggi sembra, ma rivivrà sempre più immacolata e rinnovata negli umani splendori nell’attesa di potersi ricongiungere nella gloria eterna alla Gerusalemme celeste per godere dell’unico vero Bene, la visione diretta dell’Amore divino scaturito dalla Trinità Santissima.

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Leone XIII
Quam ærumnosa

Lettera Enciclica

Quanto infelice e sventurata sia la condizione di coloro che ogni anno emigrano in massa dall’Italia verso le regioni dell’America per cercare mezzi di sussistenza, è così noto a voi che non è il caso di insistervi da parte Nostra. Anzi, voi vedete da vicino i mali da cui essi sono oppressi e che sono stati da molti di voi ricordati con dolore in frequenti lettere a Noi inviate. È deplorevole che tanti miseri cittadini italiani, costretti dalla povertà a mutar patria, incorrano spesso in angustie più gravi di quelle cui vollero sfuggire. E spesso alle fatiche di vario genere in cui si logora la vita del corpo, si aggiunge la rovina delle anime, assai più funesta. La stessa prima traversata degli emigranti è piena di pericoli e di sofferenze; molti infatti s’imbattono in uomini avidi, di cui diventano quasi schiavi e, stivati come mandrie nelle navi, e trattati in modo disumano, sono lentamente spinti alla degradazione della loro stessa natura. Quando poi approdano nei porti previsti, ignari della lingua e dell’ambiente, vengono addetti al lavoro quotidiano e si trovano esposti alle insidie degli speculatori e dei potenti a cui si erano sottomessi. Coloro poi che con il proprio spirito d’iniziativa riuscirono a procacciarsi quanto basta al proprio sostentamento, vivendo tuttavia tra chi non pensa ad altro che al bisogno e al vantaggio proprio, abbandonano a poco a poco i nobili sensi dell’umana natura e imparano a condurre la stessa vita di chi ha orientato tutte le speranze e tutti i progetti verso la terra. Da qui derivano spesso gli stimoli della cupidigia e gl’inganni delle sette, che costì di soppiatto assalgono la religiosità indifesa e trascinano molti sulla via che conduce alla perdizione. Tra questi mali, certo il più luttuoso consiste nel fatto che, in mezzo ad una così grande moltitudine di uomini, in tanta vastità di territori, e in difficili condizioni ambientali, non è facile che gli emigranti si trovino vicina come sarebbe giusto, la salutare assistenza dei ministri di Dio, i quali, conoscendo la lingua italiana, possano trasmettere loro la parola di vita, somministrare i sacramenti, recare quegli opportuni soccorsi dai quali la loro anima sia elevata alla speranza dei beni celesti e la loro vita spirituale sia sostenuta e fortificata. Perciò in tanti luoghi sono molto rari coloro che, in punto di morte, siano assistiti da un sacerdote; non sono rari i neonati a cui manca il sacerdote che infonda il lavacro rigeneratore; sono molti che contraggono matrimonio senza tenere in alcun conto le leggi della Chiesa, per cui la prole cresce simile al padre e così presso siffatti gruppi sociali i costumi cristiani sono cancellati nell’oblio e si sviluppano pessimi comportamenti. Riflettendo su tutto ciò e deplorando la misera sorte di tanti uomini, che come gregge privo di pastore vediamo errare per luoghi scoscesi e ostili, e insieme ricordando la carità e i dettami dell’eterno Pastore, ritenemmo Nostro dovere recare ad essi tutto l’aiuto possibile, offrire loro pascoli salutari e provvedere al loro bene e alla loro salvezza con tutti i mezzi che la ragione suggerisce. Tanto più volentieri abbiamo affrontato questa impresa, in quanto siamo sospinti dall’amore verso persone che hanno in comune con Noi la terra natale e Ci arride la speranza che non Ci verrà mai a mancare l’impegno vostro e la vostra cooperazione. Perciò avemmo cura che nella sacra Congregazione di Propaganda Fide si studiasse questo argomento. Ad essa demmo l’incarico di cercare e valutare i rimedi con cui sia possibile allontanare o almeno alleviare tanti mali e disagi, e di proporre a Noi il modo di realizzare compiutamente un tale proposito, mirando al duplice risultato di giovare alla salute delle anime e di lenire, per quanto possibile, i disagi degli emigranti. Poiché la causa principale dei mali crescenti sta nel fatto che a quegli infelici manca l’assistenza sacerdotale che amministra e accresce la grazia celeste, decidemmo di inviare costì dall’Italia numerosi sacerdoti, i quali possano confortare i loro conterranei con la lingua conosciuta, insegnare la dottrina della fede e i precetti di vita cristiana ignorati o dimenticati, esercitare presso di loro il salutare ministero dei sacramenti, educare i figli a crescere nella religione e in sentimenti di umanità, giovare infine a tutti, di qualunque grado, con la parola e con l’azione, assistere tutti secondo i doveri della missione sacerdotale. E affinché ciò possa compiersi più facilmente, con Nostra lettera sotto l’anello del Pescatore del 15 novembre dello scorso anno istituimmo l’Apostolico Collegio dei Sacerdoti presso la sede vescovile di Piacenza, sotto la direzione del venerabile Fratello Giovanni Battista vescovo di Piacenza, ove possano convenire dall’Italia gli ecclesiastici che animati dall’amore di Cristo, vogliano coltivare quegli studi, esercitare quelle funzioni e quella disciplina per cui possano con ardore e con successo andare in missione nel nome di Cristo, presso i lontani cittadini italiani, e diventare efficaci dispensatori dei misteri divini. Tra i discepoli di quel Collegio che abbiamo voluto fosse come un seminario di ministri di Dio per la salute degli Italiani che vivono in America, abbiamo voluto che fossero accolti ed educati anche i giovani provenienti dai vostri Paesi, nati da genitori italiani, purché, come chiamati dal Signore, desiderino essere iniziati agli ordini sacri, in modo che poi, fortificati dal sacerdozio e ritornati costà, sotto la vostra autorità pastorale possano svolgere quelle funzioni del ministero apostolico di cui vi sia necessità. Non dubitiamo affatto che al loro ritorno essi saranno da voi ricevuti con paterna carità e che otterranno le opportune facoltà di esercitare il sacro ministero presso i loro concittadini dopo aver avvertito il parroco; infatti essi verranno a voi come truppe ausiliarie affinché, sotto l’autorità di ciascuno di voi, nella cui diocesi si troveranno, si dedichino alla sacra milizia. Certamente nell’esordio della loro attività, questi aiuti non potranno essere copiosi quanto la situazione e il tempo richiedono, né l’opera di coloro che verranno inviati potrà essere all’altezza del numero e delle necessità dei fedeli, così che in ogni e più remoto luogo vi siano sacerdoti che abbiano cura delle anime. Perciò consideriamo un’ottima iniziativa se nelle diocesi che contano un maggior numero di immigrati dall’Italia, si costituiranno convitti di sacerdoti che, uscendo di là percorrano le regioni circostanti e le coltivino con sacre spedizioni. Toccherà poi alla saggezza vostra distinguere in che modo e in quali luoghi si possano più opportunamente fissare quei domicili. Ci siamo preoccupati di significare a voi, con questa lettera, tutto ciò che abbiamo ritenuto doveroso per la Nostra Provvidenza Apostolica. Se poi qualcuno di voi, o per sentimento e giudizio personale, o per opinioni maturate con i Fratelli, riterrà che da Noi si possa fare dell’altro a vantaggio e conforto di coloro per i quali abbiamo scritto questa lettera, sappia che Ci farà cosa gradita se sull’argomento riferirà in modo dettagliato alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide. Da questa iniziativa che abbiamo intrapreso per la cura e la salvaguardia di innumerevoli anime prive di ogni conforto della religione cattolica, Ci ripromettiamo copiosi frutti, soprattutto se, come confidiamo, si aggiungeranno a sostenere e a proteggere tale impresa le cure e le sovvenzioni di quei fedeli alla pietà dei quali corrispondono le ricchezze.,Per il resto, dopo aver pregato Dio misericordioso – che vuole tutti gli uomini salvi e in condizione di conoscere la verità – affinché sia propizio a questa impresa e le assicuri un prospero svolgimento, come testimonianza dell’intimo amore per voi, Venerabili Fratelli, per tutto il Clero e per i fedeli di cui siete guida, con grande affetto nel Signore impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 10 dicembre 1888, nell’anno undecimo del Nostro Pontificato.

DOMENICA FRA L’ASCENSIONE (2022)

DOMENICA FRA L’ASCENSIONE (2022)

Semidoppio. • Paramenti bianchi.

Noi celebreremo l’Ascensione del Signore rettamente, fedelmente, devotamente, santamente, piamente, se, come dice S. Agostino, ascenderemo con Lui e terremo in alto i nostri cuori. I nostri pensieri siano lassù dove Egli è, e quaggiù avremo il riposo. Ascendiamo ora con Cristo col cuore e, quando il giorno promesso sarà venuto lo seguiremo anche col corpo. Rammentiamoci però che né l’orgoglio, né l’avarizia, né la lussuria salgono con Cristo; nessun nostro vizio ascenderà con il nostro medico, e perciò se vogliamo andare dietro il Medico delle anime nostre, dobbiamo deporre il fardello dei nostri vizi e dei nostri peccati » (Mattutino). Questa Domenica ci prepara alla Pentecoste. Prima di salire al cielo Gesù, nell’ultima Cena ci ha promesso di non lasciarci orfani, ma di mandarci il Suo Spirito Consolatore (Vang., All.) affinché in ogni cosa glorifichiamo Dio per Gesù Cristo (Ep.). — Come gli Apostoli riuniti nel Cenacolo, anche noi dobbiamo prepararci, con la preghiera e la carità (Ep.) al santo giorno della Pentecoste, nel quale Gesù, che è il nostro avvocato presso il Padre, ci otterrà da Lui lo Spirito Santo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI: 7, 8, 9 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja.

[Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore, e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Ps XXVI: 1 Dóminus illuminátio mea et salus mea: quem timébo?

[Il Signore è mia luce e la mia salvezza: di chi avrò timore?].

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja.

[Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore,e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Oratio.

Orémus. –

Omnípotens sempitérne Deus: fac nos tibi semper et devótam gérere voluntátem; et majestáti tuæ sincéro corde servíre.

[Dio onnipotente ed eterno: fa che la nostra volontà sia sempre devota: e che serviamo la tua Maestà con cuore sincero].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet IV: 7-11

“Caríssimi: Estóte prudéntes et vigiláte in oratiónibus. Ante ómnia autem mútuam in vobismetípsis caritátem contínuam habéntes: quia cáritas óperit multitúdinem peccatórum. Hospitáles ínvicem sine murmuratióne: unusquísque, sicut accépit grátiam, in altérutrum illam administrántes, sicut boni dispensatóres multifórmis grátiæ Dei. Si quis lóquitur, quasi sermónes Dei: si quis minístrat, tamquam ex virtúte, quam adminístrat Deus: ut in ómnibus honorificétur Deus per Jesum Christum, Dóminum nostrum.”

[“Carissimi: Siate prudenti e perseverate nelle preghiere. Innanzi tutto, poi, abbiate fra di voi una mutua e continua carità: poiché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri senza mormorare: ognuno metta a servizio altrui il dono che ha ricevuto, come si conviene a buoni dispensatori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come fossero parole di Dio: chi esercita un ministero, lo faccia come per virtù comunicata da Dio: affinché in tutto sia onorato Dio per Gesù Cristo nostro Signore.”]

La carità, dice letteralmente la odierna Epistola, copre una moltitudine di peccati: sentenza che ha una notissima parafrasi popolare nella esclamazione posta dal Manzoni in bocca a Lucia di fronte all’Innominato: Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia! Sentenza, che, a voler sottilizzare, presenta, ossia presenterebbe una certa difficoltà. Che cosa significa propriamente? Che cosa vuol dire l’Apostolo? La carità di cui parla che cancella o copre (le due metafore, appunto perché metafore, si possono equivalere) che carità è? La carità verso Dio? E allora la sentenza è una tautologia. Sfido, quando un’anima ha la carità i peccati sono belli e svaniti; come quando uno ha caldo, il freddo se n’è bello e ito. La carità verso il prossimo nei limiti soprattutto pratici, in cui essa è possibile anche senza amor di Dio? Certo bisogna intenderla così, così l’intende il buon senso cristiano. Giacché di fatto ci può essere, c’è un certo amor del prossimo anche là dove e quando ancora non arda completo l’amore verso Dio. C’è della gente che ha cuore e non ha fede. Che ha cuore, ma non osserva ancora tutt’intiera la legge. C’è della gente che ha molto, ha parecchio da farsi perdonare da Dio. – Ebbene l’Apostolo riprende l’insegnamento del Maestro: per essere perdonati (da Dio) bisogna perdonare (agli uomini); perché Dio sia buono con noi, dobbiamo noi essere buoni coi nostri fratelli. I casi son due; e ve li espongo, perché uno dei due può essere benissimo il caso vostro. Il miglior caso è questo: un uomo ha da poco o da molto disertato i sentieri della bontà, della verità forse; ma adesso comincia a rientrare in se stesso, ad accorgersi della cattiva strada, per cui si è messo, a sentirne dolorosamente il disagio… Non parliamo ancora di conversione, ma di un lontano principio di essa. Non parliamo di fuoco, ma la scintilla c’è: un oscuro desiderio della casa paterna improvvidamente abbandonata, del Padre che vi attende il prodigo figlio. Che fare? e che cosa consigliare a quest’anima? Non, s’intende, come mèta integrale e finale, ma come primo avviamento operoso e pratico e profondo? Fa’ del bene al tuo prossimo, tutto il bene che puoi, il maggior bene che tu possa. Fa’ del bene, fa’ della carità, anche se, per avventura, tu avessi smarrito la fede o l’avessi smozzicata ed informe. Fa del bene. Perché, lo ha detto così bene San Vincenzo: è mistero la SS. Trinità, mistero la Incarnazione del Verbo, e davanti al mistero può ribellarsi, orgogliosa la tua ragione, ma non è mistero che un tuo fratello soffra la fame e che tu potresti sfamarlo con le briciole del pane che ti sopravanza. E allora: da bravo, coraggio! Comincia di lì. Dà del pane a chi ha fame. Fa’ quest’opera buona; esercita questa carità. È carità che farà del bene anche a te, bene materiale, ma anche un po’ spirituale a colui che lo riceve; bene spirituale a te che lo dai. Ti farà del bene, ti renderà più buono, meno cattivo, sarebbe più esatto dire: diminuirà, sia pur di poco, ma diminuirà la tua lontananza da Dio benedetto. Anzi, questo lo farà anche se tu non lo pensi e non ne abbia l’intenzione; come medicina fa del bene anche al malato che la prende senza sapere che è medicina, senza desiderare di guarire. La carità avvicina l’uomo all’uomo e avvicina l’uomo a Dio. Lo rende meno dissimile da Lui, meno difforme da Lui. E Dio ce lo ha detto, ce lo ha detto Gesù Cristo: Vuoi essere perdonato? Perdona. Dio tratta noi nella stessa misura e forma che noi trattiamo i nostri fratelli. Spietati noi coi fratelli? Spietato Dio con noi; tutto giustizia e niente misericordia. Misericordiosi noi coi fratelli nostri? Misericordioso Dio con noi; pieno di misericordia e di perdono. – Non si potevano saldare più nettamente, profondamente le due cause: l’umana e la divina, la filantropia e la carità! E questa saldatura mi permette di dire una parola anche a quelli che fossero o si fingessero buoni Cristiani: siate caritatevoli, fate carità, abbiate misericordia anche voi, perché innanzi tutto non c’è un Cristiano senza torti con Dio; ma se ci fosse, non dovrebbe fare a Dio il torto di essere senza cuore pei figli di Lui, suoi fratelli, di vantarsi o credersi perfetto, senza carità, senza misericordia.

(p. G. Semeria: Epistole della Domenica – Milano – 1939)

Graduale

Allelúja, allelúja.
Ps XLVI: 9
V. Regnávit Dóminus super omnes gentes: Deus sedet super sedem sanctam suam. Allelúja.

[Il Signore regna sopra tutte le nazioni: Iddio siede sul suo trono santo.
Allelúia.]

Joannes XIV: 18
V. Non vos relínquam órphanos: vado, et vénio ad vos, et gaudébit cor vestrum. Allelúja.

[Non vi lascerò orfani: vado, e ritorno a voi, e il vostro cuore si rellegrerà. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XV: 26-27; XVI: 1-4

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Cum vénerit Paráclitus, quem ego mittam vobis a Patre, Spíritum veritátis, qui a Patre procédit, ille testimónium perhibébit de me: et vos testimónium perhibébitis, quia ab inítio mecum estis. Hæc locútus sum vobis, ut non scandalizémini. Absque synagógis fácient vos: sed venit hora, ut omnis, qui intérficit vos, arbitrétur obséquium se præstáre Deo. Et hæc fácient vobis, quia non novérunt Patrem neque me. Sed hæc locútus sum vobis: ut, cum vénerit hora eórum, reminiscámini, quia ego dixi vobis”.

[In quel tempo: Disse Gesù ai suoi discepoli: Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio. Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve lo detto già.

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

COSCIENZE MALATE

È triste quando si spegne la luce degli occhi: ogni cosa perde la linea e il colore, ed una oscurità senza tempo né mutamenti benda il volto del povero cieco. È triste quando si spegne la luce dell’intelligenza: l’anima è strappata via a forza e sepolta viva nella materia che la rende incapace d’agire. Il povero deficiente è al mondo quasi come un vegetale, senza saperlo; ha uno spirito immortale, e non sa d’averlo. Ma più triste ancora è quando si spegne la luce della coscienza: l’uomo ha sani gli occhi ma non vede, ha intelligenza aperta ma non capisce; non vede e non capisce che corre verso la sua finale e irrimediabile rovina. Le altre sventure sono la privazione di un grande bene, ma solo per i pochi anni della vita terrena. Questa ci sospinge verso la perdita di tutto il bene, e per tutta l’eternità. La coscienza vale assai più della scienza; ed il mondo più che gli uomini di scienza ha bisogno di uomini di coscienza, cioè di santi. – Che cos’è dunque la coscienza? Essa è un incorruttibile tribunale interiore che giudica ogni atto, ogni parola, ogni pensiero e di ciascuno pronuncia la sua sentenza: questo è buono e tu sei meritevole; questo è cattivo e tu sei riprovevole. Esso è l’eco della voce di Dio che ci parla senza strepito, che ci muove senza violenza. Non pretendete che Gesù vi appaia corporalmente come a S. Pietro e vi fermi bruscamente sulla strada per imporvi di convertirvi o di pregare. Neanche pretendete che Dio vi mandi visibilmente la Madonna o qualche Angelo. Se rientrate in voi, se la vostra coscienza non è stata guastata dall’impurità e dall’orgoglio, allora sentirete realmente quello che Dio vuole e quello che non vuole da voi. Potete ora comprendere la grande importanza che la coscienza ha nella vita dell’uomo. E potete ora comprendere l’enorme disgrazia di chi l’ha pervertita. Costui cammina verso l’abisso dell’iniquità, e siccome la coscienza è guasta, lo lascia smemorato nel suo traviamento, quasi illuso di camminare verso la giustizia. È questa la terribile illusione che Gesù denunciò prima di morire ai suoi Apostoli. «Verrà l’ora in cui chi vi scaccerà e vi ucciderà crederà di fare una buona cosa e penserà di dare gloria a Dio. Povere coscienze ottenebrate che non conoscono più né il Padre né me! Voi però non scoraggiatevi. Vi manderò lo Spirito Santo che vi darà la forza anche di morire per rendermi testimonianza ». La grave parola del Signore ci persuade a considerare le malattie della coscienza, specialmente quelle che sono le più disastrose, perché danno l’illusione di essere onesti e religiosi. Ci sono tre tipi di coscienze malate: la coscienza cieca; la coscienza farisaica; la coscienza pervertita. – 1. COSCIENZA CIECA. Quando l’aeroplano in volo entra nella nebbia, al pilota trema un poco il cuore. Manca ogni visibilità: di sopra e di sotto, a destra e a sinistra non c’è che una informe e flottante massa grigiastra. Dove sarà? Non avrà deviato dalla giusta rotta? È tempo di discendere? Come abbassarsi di quota se non si vede nulla? Un ostacolo improvviso, una collina, un campanile, potrebbero determinare la rovina. – Nessuna paura; c’è il marconista in continuo collegamento coi campi d’aviazione che gli segnalano le condizioni opportune per atterrare; ci sono perfettissimi strumenti di misurazione che indicano di momento in momento la quota d’altezza, la velocità di volo, la direzione. Intanto l’aeroplano vola ciecamente nella nebbia. E se la radio non funzionasse più? Se gli istrumenti di misurazione si fossero guastati senza che nessuno se ne accorgesse? Basterebbe un minimo errore di calcolo. Allora ogni cosa più orribile può accadere. Qualche anno fa un aeroplano smarritosi nella nebbia si fracassava a tutta velocità contro la collina di Lanzo Torinese, spiaccicandovi otto persone. La vita nostra, quaggiù sulla terra, è in tutto simile a un volo nella nebbia, la nebbia dei sensi. Noi non vediamo Dio, non vediamo il Paradiso che è la meta a cui tendiamo, non vediamo a che altezza e a che punto siamo del nostro viaggio. Ma abbiamo però la coscienza, dove ci sono strumenti perfetti di misurazione morale, e dove arrivano i radiogrammi del Signore. Appena con qualche peccato si esce dalla giusta rotta, allora nella coscienza si fa sentire una punta come di spina confitta, come di tarlo che rode. Guai a chi non bada e disprezza queste segnalazioni preziose! La coscienza si vendica facendosi sempre più fioca, fin che si spegne. Allora l’uomo è un disperso nella nebbia dei suoi istinti. Quel danaro, quella roba di mal acquisto non gli scotta più: per lui è come se fosse di guadagno legittimo. Quella lite maliziosamente intentata e con raggiri vinta non gli rimorde più: per lui è come se avesse sostenuto un proprio diritto. Quegli scherzi equivoci, quelle impudenti libertà di parola e di mano, quegli spettacoli corruttori, ora gli sembrano innocui divertimenti, una maniera allegra e piacevole di passar la vita. Ma se la rupe della morte gli si adergesse improvvisa davanti?… Ah! che disastro: altro che quello dell’aeroplano contro la collina di Lanzo Torinese. – 2. COSCIENZA FARISAICA. Quando la luce vera si spegne nella coscienza, è facile che s’accendano falsi fanali che deformano la visuale. Ne deriva così quella coscienza farisaica che fu bollata a parole roventi dal Signore. Di essa voglio ora ricordare due caratteristiche.

a) La coscienza farisaica è una lampada cieca che proietta la luce sugli altri e tiene nell’ombra chi la porta. I farisei vedevano il fuscellino nell’occhio del prossimo, e non s’accorgevano di avere una trave nel proprio. I farisei scovavano macchie e scandali dappertutto, anche nelle azioni più buone, eccetto che in sé e nella propria condotta. I farisei avevano da sparlare di tutti, eccetto che di sé. « O Dio — pregava un fariseo nel tempio fulminando indietro uno sguardo di disprezzo, — ti ringrazio che non sono come gli altri uomini; tutti ladroni, ingannatori, adulteri come quel pubblicano laggiù » (Lc., XVIII, 11). – I farisei non ci sono più, ma il fariseismo è una malattia che è rimasta, e forse un poco ammorba anche la nostra anima. Che cos’è questa smania di osservare gli sbagli degli altri, di essere tra i primi a lanciare contro di essi la pietra, di mormorare, di sprezzare tutti? Segno che c’è una trave nel nostro spirito e non la vediamo. Che cos’è quest’altra smania di criticare continuamente i preti, il Vescovo e lo stesso Papa, come si fosse più parrocchiani del parroco e più Cattolici del Papa? Segno è che non si è buoni parrocchiani né buoni Cattolici.

b) Altra caratteristica della deformata coscienza farisaica è di fissarsi sulle cose minime e trascurare le massime. I farisei scolavano mosche per ingoiare cammelli. Facevano l’offerta al tempio e poi divoravano le case delle vedove e degli orfani. Temevano di contaminarsi entrando nella casa d’un pagano come Pilato e non temevano di contaminarsi facendo ammazzare il Signore. Ci può essere ancora chi fa consistere tutta la sua religione soltanto in cose esteriori: qualche preghiera a fior di labbra; la messa bassa alla festa; qualche piccola offerta nelle cassette dell’elemosina; dare il nome a qualche pia confraternita. Ma poi nessuna giustizia con gli operai, o col padrone; nessuna carità e compassione per il prossimo che soffre o che chiede; nessuno scrupolo di vivere anni ed anni in peccato mortale, conservando un’abitudine o un affetto proibito dalla legge di Dio. Come i farisei, questi Cristiani puliscono l’esterno del piatto e del bicchiere, e dentro lo lasciano colmo di immondezze e di ingiustizie. – 3. COSCIENZA PERVERTITA. « Viene l’ora — ha detto Gesù — in cui chi vi uccide crederà di rendere ossequio a Dio ». Non molto tempo dopo questa profezia, l’Apostolo Paolo fu arrestato in Gerusalemme e custodito dal tribuno romano. Ebbene, quaranta persone fecero un voto a Dio, invocando sopra di sé le più fiere maledizioni se non l’avessero mantenute. Il voto era questo: non toccare cibo né bevanda, sino a che non avessero ucciso Paolo. Decisero d’attendere il momento in cui il tribuno l’avrebbe condotto dalla prigione al tribunale del Sinedrio, per strapparlo fuori dalle mani delle guardie e finirlo. Fortuna volle che un nipotino di Paolo, un figlio di sua sorella, venne a sapere la cosa e arrivò in tempo a sventare la congiura (Atti, XXIII, 12-21). Fu però ucciso dopo qualche anno a Roma, dove anche S. Pietro e dove anche numerosi Cristiani furono uccisi come nemici della civiltà e della patria, e degli dei dell’Impero. Forse che oggi non ci sono uomini che con giuramento si legano a perseguitare i preti e i buoni Cristiani, a odiare il Papa, a distruggere la Chiesa? Sono nazioni intere che scacciano i ministri e i fedeli del Signore, accusandoli di disfattismo, di nemici della grandezza patria, di sostenitori delle ingiustizie sociali. Si organizzano perfino i bambini, e quando a schiere passano davanti a qualche chiesa o immagine religiosa, si insegna a loro di levare il pugno chiuso e gridare: «No! No!» Ah, quelle piccole mani che Gesù accarezzava, quelle candide voci che facevano tremare il cuore del Figlio di Dio! Ma quando è possibile questo pervertimento totale della coscienza? « Quando – risponde Gesù nel Vangelo — non si conosce più il Padre né me ». Invano, o Cristiani, deprecheremo da noi e dalla nostra patria questo orrendo male, se non ci mettiamo a conoscere il Padre e il Figlio che ci ha mandato. Conoscerlo con l’intelligenza: istruzione cristiana. Conoscerlo con le opere: vita cristiana.

I TESTIMONI DI CRISTO. Gesù ascese al cielo. Più nessuno con questi occhi potrà vederlo, né con queste orecchie udirlo, senza un miracolo. Chi, dunque, testimonierà a tutti coloro che non l’hanno né visto né udito, ch’Egli veramente è il Figlio di Dio, ucciso e risorto? Lo Spirito Santo e gli uomini. « Quando. verrà lo Spirito di Verità e di Consolazione che io vi manderò dal Padre, Egli attesterà per me ». E la testimonianza dello Spirito Santo nella Chiesa è perenne e duplice: esterna, con i miracoli e le profezie; interna, con la luce e la grazia che, infuse nel cuore, inducono l’uomo alla fede e alla santità. Ma Gesù dopo quella dello Spirito Santo, ha voluto anche la testimonianza degli uomini. « Voi pure — soggiunse il Maestro divino, — mi farete da testimoni. Né vi faccio mistero di quel che v’aspetta: Vi scomunicheranno dalle loro sinagoghe, vi imprigioneranno: ecco, vien l’ora in cui chi vi uccide, s’illuderà di rendere ossequio a Dio. Coraggio! in quel momento ricordatevi che Io ve ne avevo parlato ». Su questa testimonianza umana per il Cristo, intendo fermare brevemente la vostra attenzione. Essa nei secoli non è mai mancata, né mancherà per l’avvenire; sempre, suscitati dallo Spirito Santo, sorgeranno uomini pronti a testificare per il Figlio di Dio con la morte cruenta o con la vita eroica. Ma anche da noi Gesù aspetta una testimonianza: perciò non sarà certo inutile farci una domanda in proposito. – 1. LA TESTIMONIANZA DEI MARTIRI. Il sangue dei martiri è una voce di verità. Pietro e Giovanni erano stati trascinati in Sinedrio, in cospetto di Anna e di Caifa, i due che avevano condannato Gesù. « In nome di chi osate predicare e compire prodigi? » fu domandato a loro. E Pietro rispose: « Capi del popolo, in nome di Gesù Cristo Signore nostro, quello che voi avete crocifisso e che Dio risuscitò da morte ». E tutto il Sinedrio a minacciarli: « Guardatevi bene dal parlare ancora di Lui con qualunque persona ». Pietro e Giovanni esclamarono: « Non possiamo tacere ciò che udimmo e vedemmo ». Non enim possumus non loqui (Atti, IV, 20). E da quel giorno in Gerusalemme, in Antiochia, in Roma, senza paura e senza riposo, la voce di Pietro annunciò il Vangelo; per farlo tacere, dovettero ucciderlo sul colle Vaticano, nell’anno 67. Giovanni, l’Apostolo prediletto a cui era stata affidata Maria, fu trasportato a Roma ove si lasciò immergere in una caldaia d’olio bollente. Scampato prodigiosamente, fu condannato all’esilio nell’isola di Patmos. E Giacomo, parente di Gesù, fu gettato dal pinnacolo del tempio di Gerusalemme, fu lapidato mentre pregava per i suoi nemici, e finalmente finito da un gualchieraio con un arnese del mestiere. E Andrea, a Patrasso, in Grecia, fu messo in croce: per tre giorni da quel pulpito testimoniò la divinità di Cristo alla gente che, piangendo, l’ascoltava. E dopo gli Apostoli sono migliaia di fanciulli e di fanciulle, di uomini e le donne che intrepidi versano il loro sangue. Il diacono Lorenzo vedendo il Papa San Sisto II, di cui era al servizio, trascinato al martirio, ne invidia la sorte e lo supplica, piangendo, di condurlo seco a morire. Non furono rari gli episodi come quello della morte del pontefice Caio. Nelle catacombe, nel giorno di Pasqua, moltissimi Cristiani s’erano adunati: il pontefice Caio era all’altare. Mentre l’ostia si cangiava nel Corpo di Cristo, e il popolo raccolto adorava, si sentirono forti grida: « Morte ai Cristiani! ». Queste grida partivano dagli sgherri di Diocleziano penetrati colà per tradimento. La folla, senza scomporsi proseguì ad adorare Cristo eucaristico. I soldati, sguainate le spade, colpirono a destra e a sinistra. « Figli carissimi, — gridò il pontefice Caio, — Cristo è morto ed è risorto per noi. Coraggio: Egli vuole incoronarci ». E tutti ad una voce gridarono: « Noi siamo Cristiani! ». La strage continuò ma nessuno diede un lamento. Le madri serrando al seno i figliuoli, dicevano: « Andiamo in Cielo: ecco arriva il Signore a prenderci ». Il pontefice Caio disse alla sua volta: « Anch’io sono Cristiano! ». E la sua testa stroncata rotolò sui gradini dell’altare. Non si deve pensare che la stagione dei martiri sia finita da quei primi secoli: anche ai nostri tempi abbiamo avuto gloriosi martiri. È del 1861 il martirio di Teofano Vénard, missionario francese nell’Asia (Tonchino): prima di morire ha voluto scrivere ad ognuno dei suoi cari una lettera di ricordo. « È mezzanotte: intorno alla mia gabbia non si vedono che lance e lunghe spade. In un angolo della camera un gruppo di soldati gioca alle carte, un altro gruppo gioca ai dadi. A due metri da me una lampada proietta la sua tremula luce sul mio foglio di carta cinese e mi permette di tracciarti queste linee. Io aspetto di giorno in giorno la mia sentenza Forse domani io sarò condotto alla morte. Morte felice, non è vero? Morte desiderata che conduce alla vita… ». « Mio caro Enrico — scrive al fratello — non consumare la tua vita nelle vanità del mondo… Resistere alle inclinazioni della carne ed assoggettarla allo spirito, stare in guardia contro le insidie del demonio e le pratiche del mondo, osservare i precetti della Religione, questo è essere uomo. Ti ho scritto queste parole in un momento solenne: fra alcune ore, io sarò messo a morte per la Fede di Gesù Cristo… Addio, fratello; vieni a trovarmi in cielo ». Il 2 febbraio 1861 gli fu troncata la testa. A questi fatti, ci ritorna spontanea la bella frase d’un gran pensatore: « Io credo a dei testimoni che si lasciano sgozzare » (PASCAL). – 2. LA TESTIMONIANZA DEI SANTI. In mezzo alla tenebra notturna, Dio accese le stelle, che splendono lontane e miti fino al levare del sole: il navigante sbattuto dall’onde, il pellegrino sperduto negli intrichi del bosco, le guardano e ritrovano la via sicura. Come le stelle, così sono i santi in mezzo alle tenebre del mondo: i santi sono i pallidi riflessi della faccia splendente di Dio. Gli uomini incerti tra le passioni e gli errori, rivolgono a loro lo sguardo, intravedono la felicità e la verità, ritrovano il cammino della vita cristiana. Quanti, pensando a S. Francesco d’Assisi, il poverello di Dio, sentirono la forza di staccare il cuore dall’avarizia! Altri, per l’esempio di S. Domenico, fuggirono le eresie che guastano la fede; altri ancora, davanti all’umiltà di S. Carlo Borromeo, compresero che gli onori del mondo sono nebbia al vento; altri innumerevoli da S. Luigi Gonzaga han ricevuto la forza di domare la passione impura e di resistere tutta la vita come gigli intatti e candidi. Sanctis tuis maxima lux (Sap., XVIII, 1). Dai tuoi santi, o Gesù, una gran luce si diffonde che dirada la nostra oscurità e illumina il nostro cammino. Essi sono i tuoi testimoni: chi li avvicina si sente attratto da una forza misteriosa come quella che usciva un giorno dalla tua veste; chi li ascolta parlare, coglie nel timbro della loro voce e nel senso della loro parola un’eco della tua voce, o Signore, e della tua parola viva che giunge a noi dai secoli lontani: chi li vede mortificarsi aspramente, beneficare generosamente, morire gaudiosamente vede sulla loro faccia una somiglianza con Te. Quando un santo passa sulla terra, sono sempre numerosissimi quelli che comprendono la testimonianza che egli dà a Gesù Cristo, e perciò sono moltissimi che sempre van dietro a Lui. Chi può dire quanti frati, a piedi scalzi, han seguito e seguiranno le orme di San Francesco? Chi può dire quanti hanno studiato e predicato per imitare S. Domenico? Guardate i missionari che ogni anno partono intrepidamente verso barbare contrade, incoraggiati dalla protezione di S. Francesco Saverio! Guardate i Gesuiti che ancora numerosissimi difendono con lo studio e con le opere la Chiesa Cattolica, sospinti dallo spirito del loro fondatore S. Ignazio! Sono migliaia di giovani che ogni anno nelle istituzioni salesiane sentono la carezza del Santo Don Bosco; sono migliaia di infelici, rifiutati dall’umana società, che sono accolti nella Piccola Casa della Divina Provvidenza a Torino, dove palpita il cuore del Cottolengo; sono migliaia di persone, in ogni parte della terra, di ogni condizione sociale, che nella loro anima furono commossi dalla testimonianza di Santa Teresa del Bambino Gesù. È vero che il mondo disprezza i Santi, come anche il pipistrello disprezza la luce; è vero che sono creduti ignoranti, gente illusa e malata, gente che non ha capito il piacere della vita. A chi crederemo noi? Alla testimonianza del mondo, o alla testimonianza dei Santi? – Ecco: presso i Romani ci fu un processo famoso. Emilio Scabro, uomo integerrimo di costumi e amante della giustizia, fu accusato da un certo Varo, persona iniqua e scellerata e bugiarda. Il giudizio davanti al popolo si svolge brevemente così: «Cittadini! Emilio Scabro afferma, Varo nega: a chi credete voi?» Bastò questo per salvare Emilio Scabro da ogni accusa. Le opere sono la prova delle parole. Guardate le opere dei Santi e confrontatele son quelle del mondo. – 3. LA NOSTRA TESTIMONIANZA. a) La prima testimonianza che Gesù aspetta da ciascuno di noi è quella del buon esempio. « Tu vai in Chiesa, e sei peggiore degli altri! ». Quest’insulto che i nemici dei Cristiani lanciano sovente, qualche volta ha un fondamento di realtà: le opere non corrispondono alla fede professata. Il grande Apostolo scrive: Exemplum esto fidelium in verbis, in caritate, in fide. in castitate. Esaminatevi la coscienza sulla guida di queste parole.

In verbis. Le dottrine della fede devono essere studiate e professate a fronte alta. Invece che fate voi, uomini di poca fede? Il Vangelo dice, per esempio, che bisogna far penitenza, e nei vostri colloqui d’altro non si parla se non di godimento e di piaceri. Il Vangelo lancia la maledizione al mondo ed ai suoi scandali: invece senza tanti riguardi voi dite che il mondo vi piace e troppo spesso discorrete di scandali con parole meno pudiche. Il Vangelo dice di non giudicare nessuno, eppure giorno non passa senza mormorazioni e denigrazioni.

In caritate. Il Vangelo in ogni povero che soffre, in ogni opera buona, ci mostra Gesù che soffre e chiede: invece noi ci attacchiamo così al danaro che l’elemosina ci fa paura.

In fide. Voi tutti credete che nell’Ostia Santa ci sia Dio, credete che Egli è Pane e Forza dell’anima vostra: e come va che non lo ricevete? che non lo visitate?

In castitate. Credete che il peccato sia la lebbra dell’anima, e ve lo tenete addosso tranquillamente per settimane e per mesi. Credete che il vostro Corpo sia tempio dello Spirito Santo, e poi non lo rispettate? Queste sono false testimonianze, che Gesù rifiuta e condanna: «Siate testimoni suoi con i discorsi, con l’amore, con la fede, con la castità ». – b) Oltre al buon esempio, noi possiamo e dobbiamo testimoniare Cristo con l’Azione Cattolica. Intorno ad ogni parrocchia fioriscono numerose istituzioni che non solo mirano a conservare ed aumentare nei singoli la fede, ma anche a propagarla in altri che vivono lontano dall’altare di Dio. Gli oratorî, i circoli maschili e femminili, le associazioni per gli uomini e per le donne cattoliche sono benedette e volute dal Santo Padre, Queste opere aspettano la vostra cooperazione: amatele, interessatevi, iscrivetevi, beneficatele! Ed ancora non è una bella maniera di far da testimoni a Cristo col partecipare al Terz’ordine di S. Francesco, o alla Compagnia del SS. Sacramento? Adorare l’Eucaristia, avere il giorno e l’ora stabiliti per servirlo in un modo particolare, fargli da scorta nelle processioni in divisa d’onore, accompagnarlo al capezzale dei moribondi, non è questa una edificante testimonianza? –  Ma forse ciascuno, pur convinto in cuor suo di dover dare a Cristo la propria testimonianza, si sente debole e pieno di timore e di umano rispetto. Anche gli Apostoli erano così dapprima, ma poi venne lo Spirito Santo e li trasformò. Prepariamoci anche noi con la preghiera e con la purità di coscienza alla prossima Pentecoste: lo Spirito Santo trasformerà noi pure in uomini nuovi che nella famiglia e nella società faranno da testimoni impavidi e integerrimi a Cristo.

– IL RISPETTO UMANO. Abramo, quando condusse sul monte suo figlio per sacrificarlo a Dio, compì un atto di eroismo, forse unico nella storia. Alcuni han detto che suo merito grande fu l’obbedienza con la quale accettò, senza replicare, un comando durissimo. Altri han detto che fu la fede sua ferma per la quale credette che sarebbe diventato padre d’una innumerabile generazione, mentre con la sua mano doveva spegnere la vita del suo unigenito. Ma il vescovo S. Zenone, pur riconoscendo e l’obbedienza e la fede di Abramo, disse che il suo merito più grande fu la fortezza con la quale si espose alle dicerie di tutti e ai motteggi dei maligni. Tutti si sarebbero levati contro di lui, l’avrebbero chiamato tigre in sembianze d’uomo, assassino in sembianze di padre. Un padre che assiste alla morte di suo figlio senza una lacrima, che anzi ha la crudeltà egli stesso di affondare la lama in quel piccolo cuore… e, forse, lo avrebbero condannato, credendo di rendere giustizia davanti a Dio. Ma Abramo camminò diritto, non ascoltando che il verbo di Dio. Ed in questo sta la sua grandezza: aver superato ogni rispetto umano. Il rispetto umano: ecco il male della nostra società. Ed è contro questo male che Gesù ci mette in guardia quando dice: « Lo Spirito Santo che io manderò dal Padre, renderà testimonianza di me. Ma anche voi dovete rendermi testimonianza in faccia agli uomini; e coraggiosamente: perché ci saranno di quelli che vi derideranno, che rifiuteranno la vostra compagnia nelle sinagoghe: anzi verrà il tempo che chi vi ucciderà crederà di rendere onore a Dio. Queste cose ve le ho dette perché non abbiate a scandalizzarvi ». E noi sappiamo come siano vere queste parole. E forse noi stessi abbiamo già sentito il pungolo dello scherno e delle persecuzioni, e fors’anche talvolta il coraggio ci è venuto meno. Perché non avvenga mai così, consideriamo come il rispetto umano ci renda odiosi davanti a Dio e davanti agli uomini. – 1. CI RENDE IGNOBILI DAVANTI A DIO. Il rispetto umano è apostasia e rende inutile ogni divina grazia. Una delle umiliazioni più atroci che Gesù patì nella sua passione, fu certamente sotto il pretorio di Ponzio Pilato, procuratore di Giudea. Tutti l’accusavano e Gesù taceva. Pilato aveva paura di quel silenzio di Gesù. Ogni anno alla festa di Pasqua era costumanza di liberare un prigioniero, quello qualsiasi che la folla chiedeva. Quell’anno c’era in carcere un rivoluzionario che aveva anche commesso un omicidio in una rivolta: Barabba. Pilato si rivolse al popolo e domandò: «Volete Gesù 0 Barabba? ». Allora su tutta la folla passò il soffio istigator dei sacerdoti e dei seniori. Pilato chiese ancora: « Gesù o Barabba? ». E tutto il popolo urlò: « Barabba! ». Ma come! non era Gesù il maestro, il benefattore, il taumaturgo, colui che guariva gli ammalati e asciugava il pianto agli afflitti? Non importa. Libero Barabba! Il medesimo affronto, in un modo più velato ma non meno vero, rivolgono a Dio quelli che si lasciano dominare dalle dicerie o dalle minacce dei cattivi. Essi preferiscono il mondo a Dio; i giudizi del mondo ai giudizi divini. Il giovane che nell’opificio, sentendo parole blasfeme o turpi, non ha il coraggio d’impor silenzio e finge, magari, d’acconsentire; l’uno che mangia di grasso nei giorni proibiti pur di non suscitar lo scherno dei compagni d’osteria; la donna che tralascia i Sacramenti per non sembrare una piuzza, tutti costoro rifiutano Dio e si volgono al mondo; vogliono Barabba e crocifiggono Cristo. Il rispetto umano, dunque, è un’apostasia: non solo, ma è anche un grave male dell’anima, che rende inutile ogni grazia divina per la salvezza. Può bene Iddio suscitargli in cuore delle disposizioni. a una vita più cristiana, può suggerire propositi di conversione: ma l’uomo preso dal rispetto umano per la paura della gente lascia abortire le buone ispirazioni. Dio può ben fargli sentire una predica che lo illumini, che lo convinca: ma egli non ha il coraggio di mostrarsi convinto. Dio può mandargli anche una malattia che lo conduca all’orlo della vita e gli faccia guardar nell’abisso dell’eternità; ma poi, guarito, c’è ancora il medesimo spettro: che cosa diranno? che cosa faranno? Perfino in punto di morte ci sono uomini vittime ancora del rispetto umano e ritardano il Viatico e l’Olio Santo perché non vogliono essere creduti moribondi. E per vergogna di vivere come Cristiani, muoiono come cani.  – 2. CI RENDE IGNOBILI DAVANTI AGLI UOMINI. Il rispetto umano è una viltà e una schiavitù. — Eusebio, il padre del grande Costantino, passò in rivista le sue schiere. Poi, fermato in mezzo al campo, esclamò  « Chi di voi è Cristiano, venga alla mia destra ». Tutti sapevano quanto Eusebio fosse ancora attaccato all’idolatria: ed Eusebio sapeva pure che molti de’ suoi soldati erano Cristiani. Alcuni coraggiosi, con passo deciso, si posero alla sua destra: « Noi siamo Cristiani ». L’imperatore li guardò con fiero cipiglio: « Solo voi? ». Ma nessun altro si mosse. « Allora » conchiuse Eusebio, « voi formerete la mia legion d’onore e tutti gli altri Cristiani siano espulsi dalle mie schiere: perché come oggi hanno avuto vergogna del loro Dio davanti all’imperatore, domani in faccia al nemico avranno vergogna del loro imperatore ». Non migliore di questa è la ricompensa del mondo per quelli che si fanno vilissimi schiavi; il mondo schernisce i forti per invidia, ma disprezza i deboli per la loro viltà. E nessuno si fida d’un uomo che non ha il coraggio delle proprie idee. Così i disgraziati perdono Dio per correre dietro al mondo che ha schifo della loro viltà. Il rispetto umano è anche una schiavitù. Il maggior dono che Dio ha fatto all’uomo, creandolo, è la libertà. Per fin questa rinnega l’uomo dominato dal rispetto umano. Che v’è di più vergognoso che regolarsi secondo il capriccio altrui? Dentro c’è un’idea, una convinzione, una fede… e la si soffoca per timore che a qualcuno possa dispiacere. E si diventa la canna che piega ad ogni urto e la banderuola che gira sul tetto: un giorno si è Cristiani e un giorno pagani, a seconda del vento che tira. O Cristiani, conserviamo quella dignità che Dio ci diede, creandoci uomini. Siamo orgogliosi dell’integra e diritta libertà che Cristo ci ha acquistato col suo sangue, ed il mondo, a suo dispetto, sarà costretto a rispettarci.- Dio un giorno si pentì d’aver creato l’uomo e Noè già fabbricava la rozza nave.  Per lunghi anni il patriarca picchiò i martelli e sudò a congiungere i legnami piallati. E S. Giovanni Crisostomo descrive gli scherni degli uomini corrotti contro il pio Noè. « O vecchio che rimbambisci! O falso profeta: non vedi com’è terso il cielo mentre tu minacci diluvio? ». E Noè picchia il martello senza posa. E quelli: « Tutti amano goder aria libera e cielo spazioso e costui vuol farsi una cassa di legno per chiudersi vivo con la sua famiglia e con le bestie e con la roba». E Noè ha finito l’arca e vi entra. E la gente a correre in giro con urla, con fischi, con feroci dispetti. Ma dopo sette giorni le cateratte del cielo s’aprirono con fragore immenso: ogni fonte straboccò, ogni fiume straripò, e le onde del mare inondarono la terra. Tutti perirono nel diluvio universale: ma l’arca galleggiava sull’acque verdastre, E Noè lodava il Signore. La nostra vita, quaggiù, per noi, è come l’Arca di Noè. Ogni opera buona è motivo di scherno e di persecuzione per i nemici di Dio. Non cediamo, non vergogniamoci del Vangelo. Non erubesco Evangelium. Quando il rispetto umano sta per renderci vili, ricordiamoci delle parole che Cristo ci dirà nel giudizio: «Perché tu hai avuto vergogna di me, davanti agli uomini, io pure avrò vergogna di te, davanti al Padre mio ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XLVI:6. Ascéndit Deus in jubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúja.

 Secreta

Sacrifícia nos, Dómine, immaculáta puríficent: et méntibus nostris supérnæ grátiæ dent vigórem.

[Queste offerte immacolate, o Signore, ci purífichino, e conferiscano alle nostre ànime il vigore della grazia celeste.].

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joannes. XVII:12-13; 15 Pater, cum essem cum eis, ego servábam eos, quos dedísti mihi, allelúja: nunc autem ad te vénio: non rogo, ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo, allelúja, allelúja.

[Padre, quand’ero con loro ho custodito quelli che mi hai affidati, allelúia: ma ora vengo a Te: non Ti chiedo di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal male, allelúia, allelúia.]

Postcommunio.

Orémus.

Repléti, Dómine, munéribus sacris: da, quæsumus; ut in gratiárum semper actióne maneámus.

[Nutriti dei tuoi sacri doni, concedici, o Signore, Te ne preghiamo: di ringraziartene sempre.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (205)

LO SCUDO DELLA FEDE (205)

LA VERITÀ CATTOLICA (II)

Mons. ANTONIO MARIA BELASIO

Torino, Tip. E libr. Sales. 1878

ISTRUZIONE II.

lo credo in Dio Padre.

Ci lasciammo, vi ricordate, nella prima istruzione tra le braccia della madre Chiesa col dire: Io credo in Dio; persuasi che il primo, il più necessario, il più consolante dovere è questo di credere in Dio. Ora come la madre colla amorosa sua parola ridesta nel fantolino l’anima quasi dormente entro il corpicciuolo, e gli fa guardare d’intorno le cose, ne eccita la curiosità, sicché il fanciulletto vuol sapere il perché di tutto che vede, e a lei muove continue dimande; e la mamma rispondendo ai suoi perché, delle più necessarie cose lo istruisce; così la madre Chiesa dopo d’aver sollevato 1’animo e il cuor nostro a credere in Dio, mentre noi contemplando lo spettacolodi tutte cose create, rapiti in sublime incanto, vorremmo saper la ragione per cui Dio creò le cose con tanta cura e bontà, non aspetta le nostre richieste, ma ci dice subito « è perché Dio è Padre in Se stesso, e mostra amor di padre in tutte le creature, e specialmente con noi uomini cui vuol beati con Lui in Paradiso. Ecco quel che v’ho da spiegare quest’oggi. Deh vi piaccia di continuarmi la vostra attenzione. Noi dobbiamo quest’oggi considerare che « crediamo in Dio Padre, che mostra amor di Padre in tutte le creature e specialmente in noi cui vuole come figliuoli suoi prediletti beati in Paradiso. ». Oh! Gesù Benedetto nostro Divin Maestro, Voi che ci avete insegnato che la cosa più buona per vivere eternamente beati è credere in Dio Padre, e in Dio Padre conoscere Voi Suo Figliuolo, dateci del vostro Cuore ad amar Dio Padre. Voi poi, o Maria Madre nostra santissima, giacché le madri metton sul labbro per la prima parola d’amore il nome del padre, menateci davanti a Dio e mostrateci a ben ripetere « Io credo in Dio Padre »  – Comincerò qui a spiegarvi in prima come si dice che Dio è Padre. Prima di tutto parlando di Dio, noi dobbiamo sollevarci Sopra :] basso modo di pensare del mondo; e quando diciamo che Dio è Padre, non dobbiamo immaginarci che Dio sia Padre a quel modo che l’uom terreno è padre de suoi figliuoli. Erano i poveri pagani che per avere un Dio, il quale a lor modo di credere lasciasse loro fare quel che volevano, anzi tenesse mano ai loro vizi, sì formarono un Dio, poi un altro e poi un altro Dio a fantasia accondiscendente alle loro passioni. Essi sostenevano che l’uno e l’altro loro Iddio fabbricato fosse padre in schifose carnalità; e padre dicevan Saturno, padre anche Giove e re degli dei e degli uomini; padre Plutone ore dei luoghi infernali. Ma sì eh? che dovevano ridere nel loro cuore corrotto, quando raccontavano di loro tante schifezze ributtanti, quali non voglio neppur nominare. Voi che avete studiato le sapete purtroppo; giacché ve le hanno date da leggere nelle scuole sui libri delle favole, per farvi imparare belle parole che ricordano così tristi fatti. Dio Creatore formò non di sua Sostanza, ma colla potenza della sua parola tutte le creature, e ne piglia tanta cura, quanta più non potrebbe un padre dei suoi figliuoli. Così si mostra ch’Egli Onnipotente Signore dell’universo, in fondo però è un Padre di bontà senza fine. Io per farvelo vedere in questa istruzione, voglio far proprio come Gesù Cristo là sul greppo della montagnola con quella buona gente del popolo che lo attorniava. Qui intorno a me, vi dirò con Lui, seduti alle mie ginocchia, guardate d’intorno a tutte cose; e voi ben conoscerete come debbe essere buon Padre il Dio dei cieli. Vedete quest’erbetta che vi spunta tra i piedi? Dio aveva fatto un granellino, lo mise a covare al caldo come in un letticciuolo nel terriccio; ne apri il guscio, e vi sviluppò appresso radichette gonfie di latte come il seno della madre: poi come sarà il fusticciuolo venuto su, Dio lo veste a ricchezza nella gioventù bellamente infiorandolo. Se poi mette fuori un bottoncino, Dio se ne piglia cura, lo avvolge in fogliette; ma irte di fuori di punte pungenti, affinché non vadano gl’insetti a guastarlo. Sicché le piante provvedute d’ogni ben da Dio si espandono ridenti guardando il Cielo, come gl’innocentini in faccia alle mamme: e se voi domandate, perché Dio si prende tanta sollecitudine per loro, la Madre Chiesa vi risponde « è perché Dio tutta bontà in Se Stesso, mostra nelle piante un amor come di padre. Ah dite, dite voi dunque, o figliuoli « io credo in Dio Padre. » Andate a cercare gli uccelli; voi li troverete nel nido come in morbido letticciuolo ben preparato chetini e contenti: la madre li scalda sotto le ali, li ciba, li difende e veglia a tutto; ma son nati nudi nudi quei tenerini, e la madre non sa cucire. Via, via, il Signore di sua mano fa loro le vesti di bellissime piume. Oh 1’augellin già cinguetta sull’orlo del nido, balza fuori, fa la svolta. e via per l’aria, canta allegro, e par che dica « mi provvide di tutto come buon padre Iddio. » Cantate, cantate augelletti, a lodare Dio, senza pure conoscerlo: ma noi che il conosciamo esclameremo inteneriti « Io credo in Dio Padre. ». Guardate poi dentro là nel fondo delle acque che visibilio di pesci svariatissimi! In quell’abisso, sotto quelle onde pesanti forse resteranno soffocati?… Ma no, ch’essi stretti stretti nella propria vita colle aline al paro di augelli, colla coda a modo di remo, sono qui, là, in mezzo delle acque, guizzano via come saette, si buttan ballando sulle onde del mare in burrasca, si abbassano nel fondo a riposare sulla melma, si addormentano nel fango; ma cogli occhi brillanti par che dicano: « pensò Dio tutto per noi come Padre »; e noi col sorriso della compiacenza diremo: « Oh sì che io credo in Dio Padre. » Qual ronzio di bestioline? sono gl’insetti che formicolano dappertutto. La farfalla che ha da vivere in aria, aleggia sui fiori, splende co’ suoi bei colori al sole e svolazza leggierissima come il pensiero. Le mosche e i moscherini più minuti che trovano nel molliccio il lor buon mangiare, perché non restino impicciati da Dio sono tenuti sollevati sopra fili sottili di gamboline; essi stendono la lor proboscide per succhiare dall’alto; e se stanno in riposo fissi e come incantati, Dio fece loro due occhietti che saltano fuori dalle testine a far guardia fino di dietro. Alle formiche fu insegnato a vivere come in buona repubblica; e alle api in gran famiglia patriarcale tutte intorno all’ape regina loro madre, che direi coi costumi da patriarca. Se a voi fanno schifo li vermi, ma ai meschinelli mostra Dio a strisciare lisci lisci nel buco, e vi vermicolano dentro alla quieta. E troppo tenera la sprezzata lumachella: ma Dio le diede due cornetti, fili sottili con cui tasta tutto dintorno; e se un soffio d’aria la può offendere, essa ha la sua casetta di osso attaccata alla vita pel bisogno di tutti i momenti: e ritirata nella chiocciola, sta tranquilla più che la dama nel suo gabinetto. Oh! sentite là il leone che fa col ruggito rimbombar la caverna; ed ah! che balza fuori dalla spaccata montagna la iena, coi peli rabbuffati sul dorso. Queste belve feroci hanno anch’esse nei loro covi i piccolini; il lione piega l’orrenda testa a lambirli delicatamente; e la iena nasconde quei raffi d’unghioni di ferro, e posando d’intorno di loro le zampe molli come i polpastrelli di morbida mano, stende loro la poppa nuda di peli, e così quella belva che ha la rabbia nel fuoco degli occhi, dà il latte dolcissimo ai suoi bestiolini. È Dio fa trattare da quei feroci animali colla tenerezza di padre e di madre i loro piccolini; perché Egli vuole a tutte le sue creature far provare amor di padre. Al variar delle stagioni Dio pensa di far a tutti gli animali per l’inverno le vesti più grevi. Essi morirebbero pel mutamento dei climi o troppo caldi o freddi, ma Dio mostra loro il luogo ove riparare, e li provvede per fari lunghissimi viaggi. Al cammello che deve attraversare a tutta lena il gran deserto infuocato dal sole, Dio mantien nello stomaco un otre d’acqua sempre buona, affinché non muoia di sete; perché poi la rondinella deve attraversare smisurati mari, Dio le mostrò, quando è stanca, a posarsi leggera sull’onde col corpicciolo, che scivola liscio come una barchettina e far di remo colla zampetta e alzar l’alina per vela, e batter colla coda come col timone le acque arruffate dal vento. Arrivano poi le rondini nei nostri paesi, e proprio allora, quando brulican per terra gl’insetti o volan per l’aria; così trovano preparata l’esca. Provvede dunque tutti di tutto Iddio come il più buono dei padri e tutti ci invitano a dire « io credo in Dio Padre. » Intanto tornati a casa troviamo i buoi tra noi quieti: allungano mansueti il collo a portare il giogo e durare nel lavoro l’intiera giornata; e il cavallo scorgiamo che scuote la testa, raspa impaziente il terreno, lì per rompere al corso, ma con l’occhio sgranato guarda indietro ad aspettar il comando. Perché Dio fece cavalli e buoi così obbedienti? Vel dirò io; è per trovar loro dei padroni che li piglino per servi, ma stabili che pagassero loro il salario coll’averne cura e mantenerli; come un padre colloca il figliuol suo presso un padrone a patto che lo tratti bene. Voi vedete di fatto che se il cane è fedelissimo al padrone fin oltre la morte, il Signor gli fa dare il pago coll’indurne il padrone a trattarlo direi quasi uno della stessa famiglia. Oh sì! veramente Dio mostra con tutti amor di padre; sicché noi dobbiamo col cuor sulle labbra esclamare: « io credo in Dio Padre » Che se poi consideriamo noi stessi, bisogna piangere di tenerezza al pensare come Dio con noi uomini si mostra Padre di bontà a tutte prove nel preparare le cose per noi, proprio come fa coi suoi figliuoli il più buono dei padri. Sicché quando ci crea e ci mette nel mondo par che ci dica: « guardate; guardate, come ho già tutto preparato per voi; per voi disposi soda la terra, vi coltivai le piante, creai gli animali prima di voi; epperò entrati nel mondo considerate di essere nella casa del Padre vostro. Fermiamoci un po’ a pensare come Dio pensò a tutto. Affinché potessimo pigliar possesso della terra, ci creò ritti sulla persona abili a fermarci sicuri sulla la pianta de’ piedi, con mani e braccia che si acconci ad eseguire quello che vogliamo. Dio ci ha fatti tendere di scavare la terra per trovarvi i nascosti metalli, ci ha fatto sapere che se armiamo con un pezzo di ferro falcato girandolo intorno, si raccoglieranno i frumenti a fasci nel nostro seno; che se menerem colpi a piè d’un albero che torreggia superbo fin tra le nubi, la pianta ci cadrà ai piedi, e si lascierà squarciare, e segare per tutti gli usi che noi vogliamo. Dio ci ha lasciato capire che in mettendo un sasso sopra dell’altro,  fabbricheremo la case per nostra sicurezza, e che gettando le reti nell’acqua potremo arretare i pesci fin dentro le viscere del mare; e che, se gli animali fuggono in su per l’aria, li potremo far cadere al suolo quasi come con un colpo di fulmine; e che il fulmine stesso farem cadere giù dalle nubi. Così Dio ci disse: « io vi do da studiare, da industriarvi, nel mondo; adoperatevi e troverete che Io ho già preparato tante belle e buone cose da servirvene a volontà… » Onnipotente Creator di ogni cosa, tuttoché così grande, con noi mostrate proprio di pensare da Padre, di provvedere da Padre, di amarci da Padre; di che noi grideremo inteneriti sino alle lacrime: « io credo in Dio Padre. » – Ma però, o miei fratelli, io vi do da pensare alquanto facendovi osservare che, se Dio provvide a tutte le creature per tutti i loro bisogni; con noi uomini, mentre pur fa conoscere che vuole a noi maggior bene, tratta in modo da lasciarci ancora maggiori bisogni. Ascoltate. Vedete le piante: perché hanno da star ferme radicate sul suolo han bisogno di aver d’appresso l’alimento per mantenersi; e Dio mise il cibo nella terra e nell’aria a loro d’intorno, e nelle radici e nelle foglie fece lor tanti buchi come bocche per assorbirlo. Eppure Egli non ha da amar tanto le piante, perché le piante non Lo conoscono, né si curan di Dio. Gli animali han bisogno di muoversi e cercar da mangiare, e guardarsi da ciò che a loro nuoce; e Dio diede loro per questo la forza di muoversi, diede i sensi del corpo e l’istinto, per cui essi vivono, mangiano, dormono, e par che dicano « noi non abbiamo un fastidio al mondo; Dio pensò a tutto per noi. » E sì che gli animali son men cari a Dio perché non lo intendono e non sanno amare. E poi Dio solamente a noi uomini non diede sulla terra tutto il bene che sospiriamo. Noi vogliamo la pace, e non troviamo pace mai, sempre tra incerte speranze, e maggiori paure. Vogliamo godere d’ogni bene e se assaggiamo qualche bene, vogliam sempre un bene maggiore; se non fosse altro, vogliamo star bene per sempre; mentre vediamo, ahi! che il tempo ci porta via quel po’ di ben che abbiamo. Siamo adunque nel mondo le creature più inquiete. E perché Dio che ci ama da Padre non ci lascia esser proprio contenti sopra la terra? Perché? Oh! voi già l’intendete il perché. Dio ci ha creati non per fermarci qui; ma per farci contenti eternamente in cielo. Sì, sì, è perché Dio ama noi uomini proprio con amor da padre vero, e come Padre vuole avere i suoi figliuoli sempre con sé beati in paradiso. Al cielo, al cielo innalziamo la mente, il cuore, le nostre grida, piangendo inteneriti: « O Padre nostro che siete ne’ cieli, liberateci dal male; ed è tutto male per noi se non possediam Voi sommo Ben nostro in paradiso « o Pater noster…. libera nos a malo: » Or dunque se abbasseremo gli occhi alla terra grideremo con quella bell’anima che era santa Maria Maddalena de’ Pazzi, « erboline e piante e fiori, io v’intendo; vi ha creato Iddio coll’amor di Padre, e se per questo voi guardate il cielo ma senza dir niente, diremo noi anche per voi che lo amiamo da Padre: sclameremo colle parole che il sublime e semplice s. Francesco d’Assisi volgeva alle tortorelle: « tortorine sorelle mie, voi sospirate!… animali, e che volete voi dirci colle vostre grida? Volete dirci che vorreste amar Dio? Ah che voi non avete cuore da farlo! Ebbene, v’impresteremo noi dell’amore di cui abbiamo pieno il cuor nostro, per amarlo insieme con tutti. » Se guarderemo al Cielo, noi esclameremo insieme colla bell’anima innamorata di santa Teresa « oh quanto è ricco il Padre nostro Creator del tutto » e finiremo col dire piangendo per tenerezza con un largo sospiro del cuore, « io credo in Dio Padre » (Sì veramente è la più cara cosa i conoscere che Dio in fine è così buon Padre; e ben dobbiamo ringraziare la Chiesa, la quale da buona madre, dopo di averci detto di credere in Dio, c’insegna subito che Dio è Padre. Poiché se ella a dir vero ci lasciasse pensare da noi chi sia questo Creatore cui dobbiamo creder per forza che vi sia, perché vediamo tutto da Lui creato; noi uomini non avremmo mai immaginato da noi che Dio fosse così buon Padre. Sentite difatti come gli uomini, che vollero pensare da sé con quelle lor matte teste, quante sognarono orrende cose di così buono Iddio. Lasciamo i poveri popoli che diventati come selvaggi, udendo nell’India ruggire tremendamente la tigre, slanciandosi addosso per divorarli dissero « la tigre così forte, è Dio. Lasciamo i poveri negri abbrutiti anch’essi, che udendo fischiar nei deserti dell’Africa l’orrido serpente nel vibrarsi come una saetta alla lor vita, esclamarono: serpente è Dio. » Non vorrei anche dirvi come popoli civili ma più corrotti s’immaginavano i loro Dei pieni di vizi più schifosi, e diventarono dissennati così, che impastavan del fango, scolpivan di sassi le figure più bizzarre per dirsi « questo fango e questa pietra opera delle nostre mani sono Dio » perché non sì abbia da dirmi che quei popoli eran troppo ignoranti nei tempi passati. Poiché ecco proprio a questi lumi di sole, uomini che si danno del fiero e si dicono da cime di filosofi che si innalzano sopra di tutti (figuratevi che di dicono trascendentali, che vuol dire che passano sopra alle menti di tutti) e si siedono a scranna a dettare fin nelle più famose università, ne dissero… Abbiate pazienza se ve ne dico di quelle dette da loro alcuna cosa strana che voi dovete esclamare « incatenateli come matti furiosi. » Damiron sostenne che Dio è un corpo di fuoco. Misericordia! Qual tremendo incendio dovrebbe bruciar tutto l’universo se Dio fosse fuoco … Michelet scrisse che Dio  è un combattimento. Ahi chi ci salva da non restar distrutti da questo Dio che combatte con la forza con che muove i mondi! Hegel poi sogna che Dio è la trasformazione delle nostre persone! Oh Dio è ben una miserabile cosa, se Dio siamo noi! Scelling dice la più pazza cosa del mondo che siamo noi i quali creammo Dio creatore del cielo e della terra. Ma deh chiudete le orecchie per non udir la più orrenda bestemmia dalla bocca indiavolata Proudomme… «Dio (ha egli il furore di dire) Dio … è …. Il male! ….. Oh Santissimo Iddio!!….. Deh calmatevi o figliuoli; perché essi a loro dispetto confessano la verità nel loro modo diabolico col demonio che li invasa. Costoro non volendo adorare Dio santissimo che è il Padre di tutti i beni, il Sommo Bene, adorano l’autor del male per Dio e se lo tengono per loro padre… Lo dice Gesù: vos ex patre diaboli estis! Oh per me io credo che, se venissero fuori dalla negra tetraggine della morte eterna le anime degli antichi filosofi (immaginiamoci l’anima di Cicerone che aveva tanto buon senso) ad ascoltar queste bestemmie esclamerebbero: « per me ritorno piuttosto nel sonno dell’eterna morte: perché questi filosofi farebbero del mondo un peggior inferno! » Per questo la Chiesa inorridita a tali bestemmie vorrebbe conservare un resto di buon senso e facendosi, se fosse possibile, ascoltare fino dai suoi nemici fin dal principio e come sulla porta del Concilio Vaticano, come vi ho già spiegato nella prima Istruzione, va gridando ai suoi figliuoli così da farsi udire da tutti: « Guardatevi da costoro: i miserabili sono maledetti e scomunicati. » – Conc. Vat. Cit.). Grande Iddio della bontà, noi vi ringraziamo che vi siete fatto conoscere di essere tanto buon Padre! Così noi suoi figliuoli tra le braccia del Padre nostro arriviamo a capire certi fatti caratteristici degli animali; e arriviamo a spiegar certi misteri del cuore umano; anzi penetriamo il più profondo mistero o segreto del Cuore di Dio. Attendete e considerate certi fatti negli animali. La lepre tutto il dì appiattata sotto la frasca osa appena allungare il collo e brucare le foglie appresso appresso; tutta orecchie, a larghi occhi; paurosa origlia e guata, è l’animaletto per istinto più pauroso di tutti; ma se i segugi l’appostano, quando ha sotto i leprottini, balza ardita dal covacciolo, e quà e là sempre a grandi salti innanzi ai cani, se li tira appresso a ghermire se stessa. E quando i cani affranti l’han perduta di vista, fa la svolta e torna ai suoi piccini, lasciando il cacciatore a cercarla da lontano. Or perché diventa tanto ardimentosa contro l’istinto suo?….. Perché Dio l’ha creata secondo il pensiero e il cuor di padre. Vedete pur la timidetta rondinella delle aline tremolanti, sempre li per volarsene via, fugge in aria; ma se ritorna col cibo pei pulcini, e trova la casa sotto il cui tetto tiene il nido, tutta in fiamme, vola a battersi contro il fuoco. Ah il fuoco l’abbrucia… ella svolta via, ma ritorna all’assalto, si caccia dentro della fiamma e va a cader carboncino ardente sui pulcini già abbruciati… Eh via mi dicano i naturalisti, qual forza è che la spinge tanto contra l’istinto. Non lo san dire?…….. Lo diremo noi che abbiamo imparato dalla Chiesa che Dio in fondo della Divinità è Padre per natura il quale in tutte le creature trasfonde dell’amor di Padre verso i loro figliuoli. Vi ho detto sopra che credendo che Dio è Padre, si spiegano in noi uomini certi misteri di cui non si potrebbe dare in altro modo ragione. Voi ben sapete come noi uomini sappiam tirar bene i nostri conti per fare ciò che conviene al nostro interesse. Sì; ma perché mai la madre senza far calcolo, ove le si avventi il lupo, presto nasconde il bambino sotto il proprio petto, e volge la vita a lasciare squarciare se stessa? Perché se un padre dalla riva, se vede il figliuol suo travolto dall’acqua, furente, non istà lì a far calcoli, no, ma si getta di repente nell’onda, e strascinato dal vortice che lo ingoia, sporge in alto il figliuol e vuol dire annegando: « che io pur muoia, ma si salvi il figlio mio? » perché?…….. Ah noi ben lo sappiamo il perché; è perché Dio nel creare al cuore della madre e del padre guardò il proprio cuore: e il Cuor di Dio è il Cuor di Padre tutto divino. Di che noi sentiam bisogno di ripetere sempre: « Io credo in Dio Padre e Dio Padre di bontà infinita. » Per farvi intendere poi i secreti del Cuor di Dio Padre, e capire in qualche modo a che cosa fino possa giungere l’amore di Dio Padre, sentite un fatto che si racconta. Fu un povero padre, che appena natogli un bambino, cercato a morte da’ suoi nemici dovette fuggire di casa. Ma dopo alcun tempo non ne poté più, tornò a stare appresso al figliuolo a costo della propria vita. Però a fine di mantenere l’incognito si faceva tenere da lui per servitore(eh vi so dir io se era un servitore ben fedele!). Che pazienza infinita nell’andargli appresso in tutti gli aggiramenti! in tutti i pericoli era sempre li a salvarlo. Un dì un assassino assale con un pugnale il padrone, e ve’… il servo si slancia all’improvviso in mezzo a coprirlo col proprio petto. Un altro dì il padrone si getta incauto in pericolo da perdersi certamente: e il servo è là; l’attraversa, lo vuol salvare ad ogni costo, gli contrasta, lo minaccia anzi, ed alza fino le braccia a percuoterlo. Il padrone indignato a tanto: « oh chi sei tu, vile servo, che hai siffatto ardimento? » E il servo allora; « figliuol mio, riconoscimi, io sono tuo padre, io!… » Ah allora cade la benda dagli occhi al figlio, allora questi, comprende in un lampo i misteri di quell’amore senza pari. Deh anche noi inteneriti fino alle lagrime, esclamiamo che comprendiamo tutti i misteri della bontà di Dio. Egli è Padre. Forse il profeta Giona nol capiva per bene. Il perché mandato a predicare a Ninive, e a dirle sulla parola di Dio, che essa cadrebbe e i suoi cittadini dentro quaranta giorni sarebbero mandati tutti in perdizione: egli stava là sulla montagna ad aspettare che Ninive fosse schiacciata sotto i colpi dello sdegno di Dio. Passato il quarantesimo dì, in veggendo che Ninive stava tuttavia, egli diceva: « Signore, e la vostra parola? Qui ci vaa dell’onor vostro! È nel vostro interesse che io parlo. » Il Signore mandò un vermicello a roder dentro un fil di pianta d’edera che egli con amor coltivava; e l’edera, che dell’ombra proteggeva il profeta piegò le foglioline e appassita disseccò, tanto che il profeta voleva piangere pel dolore. Allora il Signore pare gli dicesse: « o Giona, ti è tanto cara questa pianticella solo perché l’hai allevata con amore, ma tu non ami al paro di me da Dio: io ho creato i Niniviti; gli uomini mi uscirono di mia mano e me li guardo in seno coll’amor di Padre. O Giona, sai qual è il mio onore e il mio pro’ maggiore? è l’amare da Padre! » Oh! adesso sì finalmente sì conosce il perché Gesù Cristo parli con parola così amabile, che non si può dire di più. Sentite che Egli stesso ce ne dà la ragione: « è perché la mia dottrina è la dottrina del Padre, » come volesse dire: « mi preme tanto farvi conoscere quanto è buono il Padre nostro. Adesso si fa chiaro, perché dice, che la madre di famiglia, perduta la moneta d’oro, tutta fuori di sé mette sossopra la casa, e, se la trova, fa la gran festa. Egli con questa immagine ci vuole far intendere che il tesoro del suo Cuore sono i poveri figli peccatori: perché li ama tanto, fa festa, se gli tornan in seno. Ecco perché a quei servitori impazienti che gridavano: « strappiam via la zizzania? » Gesù fa rispondere dal ,buon padrone: « aspettate alla fin dell’annata, perché non abbiate insieme colla mal erba da strapparmi un filo di buon frumento. » E quando poi quei discepoli là con uno zelo arrabbiato gli dicevano: « vedete, Gesù, noi siamo andati proprio a vostro nome a quei del tal paese, e non ci vollero ricevere!…… eh eh! Fate piovere a loro addosso il fuoco dal cielo e servirà per una tremenda lezione. » È Gesù a loro rispondere: « ah! non sapete di quale spirito voi siete; » e poi ancora; « il mio è lo spirito del Padre mio. » E quando Pietro sentendosi dire di perdonare e perdonar sempre, gli saltava su davanti: « ma dunque ho da perdonar fino a settanta volte? » e Gesù: « Anzi settanta volte sette » per dire: tutte volte che si son convertiti. Adesso intendo, perché si vedono dei poveri giovani voltar le spalle a Dio e volere fin dimenticar che vi sia Dio…….. per fargliene sugli occhi di quelle!!…..; e Dio quasi dire: « pazienza, sono poveri figli; ed io son loro Padre!» E anche noi, o cari, anche noi continuiamo degli anni tanti a goder d’ogni ben di Dio, e forse villanamente senza neppur dirgli grazie; e Dio dire, « pazienza! poveri disgraziati, essi non san quel che fanno, sono proprio poveri figli; ma io son Padre! » Vi voglio dire ancora, perché lo dice Gesù, che se un qualche cattivo come, fu il prodigo figlio abbandona la religione, alza la testa indragato, al pari del serpente d’inferno e fa guerra a Dio, se poi rovinato in ogni brutto vizio alla disperata, e almen perché non ne può più, vuol tornare a Dio….; se ritorna, sentite, sentite fa con quel suo Cuore Gesù, se ritorna…. Dio gli corre incontro, se lo serra al petto, e per rimprovero lo veste di nuovo, per castigo lo porta al convito e mena gran festa. Ah! si sì, che siamo obbligati a dire piangendo: « Io credo in Dio Padre.» Figliuoli, io non posso andare più in là!; mi trema il cuore pensando che proprio come un padre ha compassione dei suoi figliuoli: così Dio ha compassione di noi che ci conosce così meschinelli — quomodo miseretur pater filiorum; misertus est Dominus… quoniam Ipse cognovit figmentum nostrum. (Psal. 102). –  Però mi voglio gettar per terra e dire al Signore anche a nome vostro Confiteor. Vi confesso, o grande Iddio, che Voi siete un Padre di bontà; e che a noi, che siam pure ignorantelli, sembra d’intendere il più sublime segreto, il più profondo mistero della vostra inaccessibile Divinità il quale spaventa le menti le più profonde, tanto che nel loro orgoglio nol possono credere. Sì, se per tutti è un mistero il capire come Dio si è potuto far uomo; a noi tra le braccia di Dio Padre par di vederglielo nel suo Cuore come abbia potuto; anzi ci pare fin di comprendere come Dio abbia potuto morire per noi. Sì, noi abbiamo conosciuto che Dio è Padre. È dunque l’eterna fonte dell’amore di Padre, perché da Dio discende ogni paternità; e Dio trasfonde l’amor della paternità alle creature. Ora Egli creando ad immagine sua i padri e le madri, sol per farli un po’ simili a Se stesso mise tanto amore in loro, da esser capaci di sacrificare sino la propria vita pei loro figliuoli, e sol perché son creati ad immagine sua; ed Egli poi che in realtà ha in sé l’Eterno Amore Sostanziale, non doveva poter sacrificar Se stesso? Se lo possono meschini uomini e povere donnicciole; non aveva da poterlo un Dio? …Ah! L’Eterno Padre Iddio, come vi spiegherò, ha l’eterno suo Figliuol Unigenito; per Lui creò noi uomini a fine di averne in noi dei figliuoli che lo amassero da figliuoli, e per amarci Egli da Padre benché sia Dio. Or chi può misurare il tesoro immenso di bontà che è il Cuor del gran Padre Iddio? … Poté dunque cavarsi dal suo seno il suo Figliuolo; (perdonatemi la povera umana espressione che non può dir bene cose tanto divine) e il Figliuol di Dio fattosi Uomo per fare diventare noi suoi figliuoli e farci adottare per figli dal suo Padre Celeste, poté volere e volle in forza del suo Amore divino sacrificare e Corpo e Sangue a nostro salvamento. Sì sì! quando Gesù, morì sulla Croce, e sì lasciò squarciare il Cuore per darci fin l’ultima goccia di Sangue, allora mostrò che Egli col Padre nello Spirito canto Eterno Amore, è Padre anch’esso dei figliuoli del suo Sangue. Col cuor che non ne può più per non poter dir tutto che si merita Iddio, conchiudiamo con un po’ d’esame sulla nostra vita.

Esame.

Se Dio pur così grande, ci ama da Padre, noi fino adesso come l’abbiamo amato da buoni figli?… Poveri noi che lo disprezzammo orribilmente!

Pratica.

.1° Siamo adunque noi i poveri figli che l’abbiamo abbandonato, proprio come il figliuol prodigo! Ecco perché ci troviamo così miserabili… Deh noi abbiamo ancora il Padre nostro, e noi ritorniamogli subito in braccio, confessando dolenti i nostri peccati.

.2° Abbiamo qui nel Sacramento Gesù Figliuol del Padre celeste, e Padre nostro anch’esso perché ci ha fatti rinascere col suo Sangue, e sta qui per sollevarci al Padre nel cielo. Deh! Almen tuute le mattine e le sere, abbracciamoci col cuore a Gesù nel  Sacramento, e per dir tutto nelle nostre orazioni gridiamo col Cuor suo che sempre prega il Padre suo per noi — « O Padre nostro »: recitiamo il Pater noster uniti a Gesù Cristo, è col Pater noster che noi veniamo a dire — O Padre nostro Dio Santissimo, tutta la gloria, tutto l’amore a Voi; a noi tutta la vostra misericordia!

Catechismo.

D. Ditemi adunque la bella, la cara verità che abbiamo considerato quest’oggi?

R. Noi abbiamo considerato che Dio è Padre.

D. Perché si dice che Dio è Padre?

R. Si dice che Dio è Padre, perché coll’amor di Padre ha creato tutte le cose, e coll’amor di Padre le conserva e governa: perché Dio ha creato noi, e come suoi figliuoli ci vuol beati seco in Paradiso. Perché essendo Dio Padre col Figliuolo e lo Spirito Santo un Dio solo, Dio Padre mandò il suo Figliuolo a farsi uomo a fine salvare noi col suo Eterno amore lo Spirito Santo e così averci beati seco in Paradiso. – Ma di questo vi parlerò nella ventura istruzione. Sicché ora andate a casa, e ripetete tra voi: noi abbiam ben capito che Dio è il gran Padre di tutti, ma specialmente di noi, e siam consolati al pensiero che ci ama come figliuoli del Sangue del suo Figlio. Lungo il giorno poi dite sovente abbracciati col cuor a Gesù: « O Padre, o Padre. »

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (2)

ADOLFO TANQUEREY

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ (2)

Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle Missioni

ROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF.1930

NIHIL OBSTAT – Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.

IMPRIMATUR Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.

PARTE PRIMA

Gesù vivente in noi per comunicarci la sua vita

CAPITOLO I.

Il Verbo incarnato fonte della nostra vita spirituale.

Per conoscere bene la vita cristiana è evidente che bisogna risalire alla sua fonte. Ora questa fonte è la stessa santissima Trinità, perché nessuno può farci partecipi della vita divina fuori di Colui che ne possiede la pienezza. Tutte e tre le divine Persone concorrono a questa grande opera; ma fu eletto il Figlio a discendere in terra, a divenir nostro Capo, a incorporarci al suo Corpo mistico e farci così partecipare alla sua vita. Per intendere meglio questa verità, vediamo che cos’è il Verbo divino: 1° nel seno del Padre; 2° nel mistero della sua incarnazione; 3° nelle sue relazioni con noi; 4° onde poi conchiuderne che dev’essere il centro della nostra vita spirituale.

ART. I. – IL VERBO NEL SENO DEL PADRE.

Chi ci descrive la vita del Verbo nel seno del Padre è San Giovanni (S. Giov. I, 1-6).

 « In principio era il Verbo

e il Verbo era presso Dio

e il Verbo era Dio.

Egli era, al principio, presso Dio.

Tutto si fece per mezzo di lui

e senza di lui non si fece nulla

di quanto esiste. –

In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini.

E la luce splende fra le tenebre

e le tenebre non la ricevettero ».

In questo magnifico prologo sono poste in luce due grandi verità: 1° La vita del Verbo in Dio: 2° la sua azione sul mondo.

I° La vita del Verbo in Dio.

In principio, cioè, prima della creazione del mondo, come altrove spiega Nostro Signore stesso, il Verbo era. San Giovanni adopera questo modo di dire per farci capire la preesistenza o l’eternità del Verbo; infatti, prima della creazione, prima dell’inizio del tempo, quando Dio esisteva nella sua eternità, il Verbo era, ed era senza principio. E dov’era? Nel seno di Dio. Dio, che dà la fecondità alle creature, è Egli stesso eternamente fecondo, di fecondità tutta spirituale. Dio pensa da tutta l’eternità: ma a che cosa può mai pensare Dio se non a sé stesso? Pensando a se stesso, produce un’immagine della divina sua sostanza, immagine perfettamente simile, immagine sostanziale di incantevole bellezza e di perfezione infinita. Questa immagine sostanziale è una vera Persona, perché in Dio nulla è di imperfetto; è quindi un’immagine infinita, viva, operosa, una persona come lo stesso Padre; dal quale è distinta perché ne riceve la vita; ma al quale è perfettamente uguale perché questa vita la riceve intiera. Questa Persona è il Figlio di Dio, è il suo Verbo, è un altro Lui stesso, è lo splendore della sua gloria (Hebr. I, 3), è il suo Unigenito (S. Giov. I, 18). Il Padre ama questo suo Figlio con amore infinito e ne è infinitamente riamato; da tale mutuo amore sorge una terza Persona uguale alle altre due, lo Spirito Santo, vincolo sostanziale tra il Padre e il Figlio, che procede dall’uno e dall’altro e che si chiama Amore o Divina Carità. – Tale è il mistero della santissima Trinità, mistero che non possiamo ora comprendere ma che contempleremo un giorno nel cielo; e sarà la sua chiara visione quella che ci renderà eternamente beati. – Questo mistero, rivelato da Gesù stesso, cioè da Colui che continuamente lo contempla, spande già una viva luce sull’interna vita di Dio. Se non avessimo che il debole lume della ragione, Dio ci apparirebbe come in un’oscura lontananza e noi potremmo chiedere che cosa stia mai facendo così solo nel cielo. Ora la fede ci rivela che Dio non è solitario nell’eterna sua dimora: ce lo mostra uno certamente nella natura ma trino nelle Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. – Sono quindi tre a possedere quest’unica natura, tre a vivere in famiglia nella più perfetta intimità: il Padre pensa continuamente al Figlio e L’ama con amore infinito; il Figlio gli ricambia amore per amore; il Padre e il Figlio amano infinitamente lo Spirito Santo; e questi, che è l’amore sostanziale, li ricambia di pari affetto. Quale unione! Qual perfetta unità! e quanto sono felici questi tre di amarsi così con amore infinito! Ora proprio questo Dio uni-trino abita e vive nell’anima che è istato di grazia; cosicché anche noi possiamo dire con Suor Elisabetta della Trinità: « O miei Tre, o mio lutto, o mia beatitudine, o solitudine infinita, o immensità ov’io mi perdo, io mi abbandono a Voi come una preda; seppellitevi in me, affinché io mi seppellisca in voi, aspettando il momento di venire a contemplar nella vostra luce l’abisso delle vostre grandezze ». È poiché qui ci occupiamo soprattutto della Persona del Verbo, a Lui ripeteremo pure la preghiera della pia Carmelitana: « O Verbo eterno, o Parola del mio Dio, io voglio passar la vita ad ascoltarvi, voglio farmi a Voi perfettamente docile onde imparar tutto da Voi: e poi, nonostante tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze, voglio sempre fissar Voi e restare sotto la fulgida vostra luce. O astro mio diletto, affascinatemi, onde non abbia mai più a sottrarmi dai vostri raggi ». (Preghiera composta dalla pia Carmelitana, che si trova in fine della sua biografia).

2° Il Verbo Creatore.

Dopo aver contemplato il Verbo in sé stesso e nelle sue relazioni con le altre due Persone della santissima Trinità, diciamo ora qualche cosa sulle sue relazioni con le creature. « Tutto si fece per mezzo di Lui e senza di Lui non si fece nulla di quanto esiste (S. Giov. I, 3). Queste parole ci dicono che il Verbo è, col Padre e collo Spirito Santo, la causa efficiente della creazione. La creazione è, infatti, un’opera esterna, ad extra come dicono i teologi, e quindi opera comune alle tre divine Persone. Se indaghiamo la parte più particolarmente attribuita al Verbo in questa opera comune, possiamo dire, con san Giovanni, che per mezzo di lui, per ipsum, fu creato tutto. Dio, infatti, opera per mezzo del suo pensiero; onera quindi per mezzo del suo Verbo che, come dicemmo, altro non è che il suo pensiero sussistente. Così appunto parla il Libro dei Proverbi: ci presenta la divina Sapienza, generata da Dio all’inizio delle sue vie, e in atto di assisterlo in quest’opera di sapienza che è la creazione: « Quando fissava i cieli, io ero presente, quando gettava una volta sulla superficie dell’abisso, quando assodava in alto le nubi, quando dava forza alle sorgenti sotterranee, quando fissava al mare i suoi termini perché non li oltrepassasse, quando posava le fondamenta della terra, io ero all’opera accanto a Lui; compiacendomi ogni giorno e ricreandomi in sua presenza, scherzando sull’orbe (in orbe) della terra e trovando le mie delizie tra i figlioli degli uomini (Prov. VIII, 27-31) ». È facile ravvisare sotto le frasi di questo linguaggio poetico l’azione del Verbo che, essendo la Sapienza del Padre, tutto previde, tutto ordinò in peso, numero e misura, perché tutto cooperi alla gloria di Dio e al bene delle creature. – Ne segue che il Verbo è la causa esemplare di tutte le creature. Prima di produrre cli esseri, Dio, come dice san Tommaso, forma in sé l’idea o il modello di ciascuno (Sum, Theol., I, q. 15; q. 34, a. 3, 5.). Come l’architetto, prima di costruire un palazzo, ne concepisce idea e ne fa il disegno, così, ma in maniera infinitamente più perfetta, Dio, prima di creare questo grande palazzo del mondo, ne concepisce il disegno e l’ordinamento fin nei più minuti particolari; perché nulla sfugge alla sua scienza universale e infinita. – Noi, dunque, esistiamo in Dio, nel pensiero di Dio, da tutta l’eternità. Dio vede fino a qual punto ogni essere parteciperà, in modo certamente limitato ma reale, del suo essere divino. Dio quindi è il modello, l’esemplare sul quale noi siamo formati: ecco perché si dice che siamo creati a sua immagine. « Facciamo l’uomo immagine e somiglianza nostra? ». Ora, appunto nel suo pensiero, nel suo Verbo interiore, Dio concepisce tutti gli esseri. il Verbo è quindi il modello, il prototipo, la causa esemplare di tutte le creature. – Quanto è efficace questa considerazione a darci un’idea così della nostra grandezza come della nostra dipendenza! Della nostra grandezza, perché l’essere nostro, per quanto imperfetto, è una partecipazione dell’Essere divino, è l’attuazione di un’idea divina: da tutta l’eternità Dio concepì il grado di perfezione che dobbiamo conseguire, e questo grado, qualunque esso sia, è qualche cosa di nobilissimo e di altissimo, perché è conforme a un pensiero divino e ci avvicina al Verbo di Dio. Della nostra dipendenza: essendo evidente che non possiamo attuare l’ideale concepito da Dio se non col suo soccorso e sotto la mozione divina. Creati da Lui secondo un tipo da Lui stesso concepito, noi non possiamo conseguire questo ideale se non lasciandoci plasmare da Lui: è Lui che opera in noi il volere e il fare (Fil. II, 13).  Il che è necessario; perché il consenso della nostra volontà è cosa che, in ultima analisi, non può venire che da Dio: è Dio che, dopo aver creato le nostre facoltà, le inclina verso il bene e ci fa acconsentire alla grazia. Dipendenti da Lui nel nostro essere, ne dipendiamo anche nelle nostre azioni. – Io godo, o mio Dio, di questa mia assoluta dipendenza da Voi, perché ho infinitamente fiducia in voi che in me. Voi siete, o Verbo. divino, la Sapienza infinita, ed è un onore per me il chiedere a voi i consigli di cui ho bisogno: voi siete la luce del mondo, ed è cosa dolce per me, in mezzo alle tenebre che mi circondano, partecipare alla vostra luce; Voi siete la fonte della vita, e io sono lieto di dissetarmi a quest’acqua viva che zampilla su alla vita eterna; voi siete il Figlio per eccellenza ed io godo di essere adottato da Voi nella divina famiglia. Siate per sempre benedetto, o Verbo di Dio, di avermi fatto partecipare, per quanto era a me possibile, alla vostra Sapienza, alla vostra Vita, al vostro De Essere divino! L’unica mia ambizione sarà ormai di accostarmi al divino esemplare che mi è proposto come modello. Tale è del resto, il dovere che più specialmente ci viene imposto dal fatto della vostra Incarnazione.

Art. II. — IL VERBO NEL MISTERO DELLA SUA INCARNAZIONE.

« E il Verbo si fece carne e abitò tra noi,

e noi abbiamo contemplata la sua gloria,

gloria come di Unigenito del Padre,

pieno di grazie e di verità » (S. Giov. I, 14)..

Parole sublimi che dicono l’infinita condiscendenza del Verbo, di cui abbiamo descritto l’origine eterna e le parti di Creatore! Il Verbo era beato nel seno del Padre; viveva nella sua intimità, era da Lui amato con amore infinito e Lui riamava con reciproco amore; sostanzialmente unito allo Spirito Santo che procede da Lui e dal Padre, trovava in questa divina Famiglia l’eterna sua beatitudine. Eppure, volle abbassarsi fino a noi: « Il Verbo si fece carne, e abitò tra noi ». Perché questo abbassamento? Fu certamente, come ultimo scopo, per glorificare il Padre: « gloria in altissimis Deo (S. Luc.) ». Nella sua natura divina il Verbo è uguale al Padre e non può abbassarsi dinanzi a Lui per porgergli ossequio; ma, dal giorno in cui si è personalmente unito a una natura. umana, può curvare questa natura creata avanti alla divina maestà, ad adorarla, lo darla, benedirla, glorificarla. Allora per la prima volta Dio riceve ossequi di valore infinito, perché gli sono offerti da una persona infinita, dalla persona del Verbo incarnato.Ma, come la Chiesa c’insegna nel Credo, il Verbo, facendosi uomo, ebbe pure un altro scopo: volle riscattarci, volle salvarci e ridarci i nostri diritti al Paradiso perduti per il peccato originale; in altre parole, volle comunicarci quella vita divina che attinge nel seno del Padre. L’uomo, creato da Dio, elevato da Lui all’ordine soprannaturale, aveva per sua colpa perduta quella partecipazione alla vita divina che Dio gli aveva si graziosamente largita al principio. Incapace di riparare da sé l’offesa infinita fatta a Dio col peccato e di riacquistare la grazia e la gloria del cielo, l’uomo pareva ormai in uno stato disperato.Ma ecco che l’eterno Figlio di Dio si offre al Padre per riscattare la caduta umanità: senza cessare d’essere Dio, si farà uomo e diverrà così il nuovo capo dell’umanità; si assumerà di espiare, a nome di lei, l’offesa infinita, e, incorporano a sé gli uomini divenuti suoi fratelli, li farà di nuovo partecipare alla vita divina. È opera di amore, se altra mai, perché il Verbo dà se stesso, se stesso abbandona ed immola per salvarci. Ma è anche opera di giustizia, perché l’offesa divina sarà così abbondantemente e sovrabbondantemente riparata colle soddisfazioni dell’Uomo-Dio, che rendono alla santissima Trinità maggior gloria che non glie ne abbia tolta il peccato. Tale è il mistero che dobbiamo esporre, studiando; 1° il fatto dell’unione tra il Verbo e la natura umana; 2° la natura e le conseguenze di questa unione.

1° Il fatto dell’unione fra il Verbo e la natura umana.

Quando san Giovanni dice : « Il Verbo si fece carne », non adopera questa parola nel senso ristretto di corpo umano, ma nel senso più generale, spesso usato nella Scrittura, di tutto il composto umano (corpo e anima). A preferire la parola carne l’indusse il pensiero di far meglio rilevare la condiscendenza e l’umiliazione del Figlio di Dio, che si degnò di unirsi non solo a ciò che è nobile nell’uomo, ma anche a ciò che è più meschino e più debole. Infatti, secondo la dottrina di san Paolo (Hebr. IV, 15), « noi non abbiamo un Pontefice incapace di compatire le nostre miserie; ei volle provarle tutte, eccetto il peccato ». Conveniva che, incarnandosi, « diventasse in tutto simile ai fratelli, onde riuscire pietoso e fido Pontefice presso Dio, ad espiare i peccati del popolo. Appunto perché ha Egli stesso sofferto e fu Egli stesso tribolato, è pronto a venire in aiuto a chi  è nella tribolazione – Hebr. II., 17-18 ». Il Verbo incarnato è dunque insieme vero Dio e vero uomo, tanto veramente uomo quanto è veramente Dio. Da tutta l’eternità possiede, secondo che abbiamo spiegato, la natura divina: ma, a partire dal giorno dell’Incarnazione, possiede anche tutta la natura umana, il corpo e l’anima. È quindi una stessa Persona, la Persona del Verbo, del Figlio eterno di Dio, che possiede le due nature, la divina e l’umana, che è Dio e che è uomo. Questa Persona si chiama Nostro Signor Gesù Cristo. Essendo Dio, è il nostro sommo padrone e Signore; avendoci salvati, si chiama Gesù, cioè Salvatore: vi si aggiunge il nome di Cristo, che significa unto, perché Gesù nella sua umanità è stato unto con l’unzione, o comunicazione della divinità. – Che Gesù sia insieme Dio e uomo, è una verità che troviamo affermata a ogni pagina evangelica. Se contempliamo Gesù al suo entrare nel mondo, lo vediamo concepito nella infermità della carne, giacente su poca paglia, fasciato come si fascia il bambino appena nato, incapace di parlare, intirizzito per il freddo e più per l’ingratitudine dei Giudei: Egli è dunque uomo come noi, soggetto alle nostre miserie. Ma è concepito da una Vergine per opera arcana dello Spirito Santo, è chiamato il Santo, il Figlio dell’Altissimo, il Figlio di Dio, e cominciano così a sfolgorare i primi raggi della sua divinità. Nell’inaugurazione del suo ministero, si fa battezzare da san Giovanni nelle acque del Giordano e compare quindi come uomo che ha preso su di sé la somiglianza del peccato; ma nello stesso tempo lo Spirito Santo scende su di Lui e dall’alto dei cieli il Padre lo proclama suo Figlio diletto, in cui ha riposto tutte le sue compiacenze. Nel deserto digiuna e soffre la fame, ed è perfino tentato dal demonio, per mostrarci che ha preso la nostra umanità con tutte le sue debolezze; ma trionfa dell’astuzia del demonio e gli Angeli scendono a servirlo come loro Signore. Nel corso del suo ministero, mena una vita povera e laboriosa, si affatica ed ha bisogno di riposarsi, si lascia calunniar dai nemici e contrariare nei suoi disegni, avvicenda vittorie e sconfitte, umiliazioni e trionfi, affermando così la realtà della sua natura umana. Ma nel medesimo tempo, come Dio, opera miracoli in proprio Nome col proprio potere; comunica anche ai discepoli la potestà di far miracoli in Nome suo; insegna alle turbe con un’autorità tutta divina, si dichiara padrone del sabato, proclama leggi nuove che debbonsi accettare sotto pena di perdere la vita eterna; anzi rimette i peccati e guarisce un paralitico per dimostrare che questo potere divino di perdonare gli appartiene come cosa propria; a meglio affermarlo, delegherà più tardi questo stesso potere ai suoi Apostoli e ai loro successori: si attribuisce la potestà di giudicare i vivi e i morti: chiede che gli uomini lo ubbidiscano come si ubbidisce a Dio; che lo amino sopra tutte le cose, anche più del padre e della madre; e che si diano e si consacrino interamente a Lui come si consacrano a Dio.  Soprattutto nella dolorosa sua Passione si manifesta la doppia sua natura. Nell’orto di Getsemani, Gesù agonizza ed è triste fino alla morte, un sudore di sangue gli bagna le membra, prega che l’amaro calice si allontani da lui; ma, quando vengono a catturarlo, opera un miracolo riattaccando a Marco l’orecchio che Pietro gli aveva tagliato. Dinanzi al Sinedrio si lascia insultare, schernire, percuotere, ma proclama altamente di essere il Figlio di Dio, il giudice dei vivi e dei morti; e fu appunto l’affermazione della sua divinità il titolo per cui venne dal Sinedrio condannato a morte. Sul Calvario, è inchiodato a una croce tra due ladroni; soffre la sete più acerba; ha l’anima desolata; muore mandando due volte un grande grido; è deposto e chiuso nel sepolcro. Ma ecco che la sua divinità tosto si manifesta; il sole si oscura come a far lutto per la morte del suo Creatore: il velo del tempio viene arcanamente lacerato: molti morti risorgono: e il terzo giorno Gesù stesso esce redivivo e glorioso dalla tomba, per attestare con quell’inaudito miracolo che è l’Autore della vita, il Dio del cielo e della terra. – È dunque impossibile a un uomo di buona fede che legga attentamente il Vangelo, di non riconoscere che Gesù è uomo e Dio, che parla ed opera nello stesso tempo come un semplice mortale e come il Re immortale. Ond’è da conchiudere che ha, nell’unità di una stessa Persona, la natura umana e la natura divina. Or questa Persona è proprio la Persona del Verbo o del Figlio eterno di Dio, il quale, pur conservando interamente la sua natura divina e rimanendo uguale a Dio, prende una natura umana pari in tutto alla nostra, tranne il peccato! Gesù, dunque, ha un corpo passibile e mortale come il nostro, un corpo che soffre il freddo e le intemperie delle stagioni, la fatica, la fame, la sete, e risente vivamente tutti i colpi, tutte le ferite che gli vengono inflitte nella Passione. L’anima sua è come la nostra, dotata di intelligenza e di volontà, ornata di tutti i tesori di sapienza e di scienza, ma ricca specialmente della grazia divina in tutta la sua pienezza, di guisa che a questa fonte inesauribile dobbiamo andare ad attingerla noi. Ma è pure anima dotata di squisita sensibilità, capace di gustare le gioie più vive, come di patire le tristezze, le angosce, le impressioni più dolorose. Egli quindi nella sua natura divina è uguale a Dio, ma nella sua natura umana è veramente nostro fratello. – Oh! quanto siamo fortunati di aver per fratello l’eterno Figlio di Dio! Non potremo mai ringraziarlo abbastanza di questa condiscendenza infinita. E che cosa ci chiede in cambio del dono che ci fa di tutto se stesso? Una cosa sola: il nostro cuore. Questo cuore che Egli ha creato, che lavato nel suo sangue, che gli appartiene per tante ragioni, ei ce lo chiede dolcemente, cortesemente, affettuosamente, per lasciarci il merito di darglielo liberamente; ce lo chiede per infondervi una partecipazione della vita divina da Lui attinta nel seno del Padre.

O Verbo Incarnato! o Gesù! o mio fratello! prendetelo, sì, questo povero mio cuore e infiammatelo talmente del vostro amore che mai si allontani da Voi e che possa aumentare sempre più il tesoro di vita che vi degnate di comunicargli.

2° Natura e conseguenze dell’unione tra il Verbo e la natura umana.

A) Or come avviene in Gesù Cristo l’unione tra le due nature e quali ne sono le caratteristiche? L’unione delle due nature in Gesù Cristo non è una semplice unione morale, quale corre tra due amici che siano un cuore e un’anima sola; ma è una unione sostanziale, cioè a dire l’unione di due sostanze che formano un tutto sostanzialmente uno, un unico principio di essere, di vita, di operazione. È quindi unione assai superiore all’unione che corre tra l’anima in stato di grazia e la santissima Trinità: le tre divine Persone sono per la grazia sostanzialmente in noi, ma la loro unione non forma con noi un tutto sostanziale. Dio e l’anima rimangono molto bene distinti e distinte pure le loro operazioni, sebbene Dio operi in noi e con noi per farci fare atti meritori. Ed è unione superiore – anche all’unione che corre tra il corpo e l’anima. Nell’uomo il corpo e l’anima sono nature incomplete, nel senso che né l’una né l’altra, prese da sole, costituiscono l’uomo; unendosi, formano una sola e medesima natura, la natura umana, come formano pure una sola persona. Or tale non è l’unione tra la natura umana e la natura divina nella Persona del Verbo; queste due nature sono complete in se stesse e rimangono distinte anche dopo l’unione; non si fa in Gesù Cristo fusione di due sostanze incomplete in una sola, ma unione di due nature perfette in una sola e medesima Persona. Questa Persona non è già il risultato dell’unione, ma le preesiste; è la Persona del Verbo, il quale, possedendo da tutta l’eternità la natura divina, comunica nel tempo la sua sussistenza e la sua esistenza a una natura umana in tutto simile alla nostra, tranne il peccato. Ecco perché si chiama unione personale, unione ipostatica, nome speciale che non conviene di fatto che all’Incarnazione. Onde possiamo definirla: « l’unione singolare e mirabile della natura divina e della natura umana nell’unica Persona del Verbo, unione dalla quale risulta quell’essere unico e adorabile che è Gesù Cristo » (E. Hugon, Le mystère de l’Incarnation, 2° ediz., p. 11). Se ne esaminiamo i tratti caratteristici, vedremo che questa unione è la più intima, la più soprannaturale, la più sostanziale, la più indissolubile di tutte le unioni.

a) L’unione è tanto più intima quanto più la persona in cui avviene è una in sé, e quanto in questa persona è intimamente unita a ognuno dei suoi due termini. Ora la Persona del Verbo nella quale avviene l’unione ipostatica, è in sé unità perfetta, l’unità assoluta; ed è poi intimamente unita a ognuna delle sue nature: a quella divina perché con lei realmente si identifica, e a quella umana perché le comunica la propria sussistenza ed esistenza. Unione tanto più mirabile quanto più i due termini fra cui avviene erano lontani tra di loro e il loro avvicinamento è più immediato; infatti, le due nature così distanti, la natura divina e la natura umana si uniscono in Gesù Cristo l’una all’altra senza confondersi e si uniscono nell’unica Persona del Verbo.

.b) È la più soprannaturale di tutte le unioni. Le altre forme di soprannaturale non sono che partecipazioni accidentali di Dio; mentre la unione ipostatica è la comunicazione sostanziale di Dio a una natura umana, la quale non ha altra sussistenza ed esistenza che quella del Verbo. È dunque la più perfetta delle comunicazioni divine, è il dono immediato di una Persona divina all’umanità.

c) È quindi la più indissolubile delle unioni: né il supplizio della croce né la morte stessa riuscirono a spezzarla. La ritroviamo nell’Eucarestia, dove, sotto le specie del pane e del vino, l’umanità santa di Gesù resta unita alla divinità del Verbo; e la ritroveremo in cielo, dove giubilando contempleremo il Verbo divino indissolubilmente unito per tutta l’eternità alla natura umana risorta e gloriosa.

B) Le conseguenze di questa unione sono onorevolissime per quella natura umana che è unita sostanzialmente al Verbo e per noi tutti.

a) La natura umana unita al Verbo è da questa unione incomparabilmente nobilitata. Quando un re sposa una persona, costei, qualunque sia il suo grado sociale, partecipa immediatamente alla dignità regia. A più forte ragione, quando il Verbo sposa una natura umana, la innalza alla dignità divina. Infatti, l’unione matrimoniale, per quanto intima, non è sostanziale e non toglie alla sposa la sua personalità; mentre l’unione del Verbo con la natura umana è unione sostanziale, cosicché questa natura non ha altra personalità che quella del Verbo divino. Ascoltiamo su questo punto il Cardinal di Berulle, l’apostolo del Verbo incarnato (Discours de l’état et des grandeurs de Jésus, disc. XI) « Il Verbo, entrando in questa umanità, non la distrugge, non la converte nella sua divina essenza… vuole elevarla a uno stato di dignità nuova, singolare, ineffabile. La trae a sé e la fa entrare nel suo essere divino e increato. La riceve come la sua unica e la sua diletta nel seno della sua Divinità… La riceve e la colloca per sempre nella sua grandezza, nella sua divinità, nella sua propria Persona, non avendo essa più sussistenza che nella sussistenza di Lui. Tutto ciò porta una comunicazione così alta e così grande, così particolare e così divina, che Dio si fa uomo e l’uomo diviene Dio… ». In altre parole, il Verbo incarnato, comunicando la propria personalità alla natura umana, la innalza fino a sé: quel Gesù che vediamo steso su un poco di paglia nel presepio, quel Gesù che lavora nella bottega di Nazareth, quel Gesù che si affatica nelle apostoliche sue corse, quel Gesù che nell’orto degli ulivi è triste fino alla morte, quel Gesù che viene inchiodato sulla Croce, che è tormentato dalla sete e insultato dai Giudei e che perdona ai suoi offensori, quel Gesù che spira rimettendo l’anima sua nelle mani del Padre, è veramente il Figlio eterno di Dio, Dio egli stesso; che, impassibile nella sua natura divina, patisce e muore nella sua natura umana. Onde il Padre vuole che il suo Cristo sia adorato ed amato come è Egli stesso; vuole che ogni ginocchio si pieghi davanti a Lui in cielo, in terra e nell’inferno, e che ogni lingua confessi che il Signore Gesù è nella gloria del Padre! (Fil. II, 10-11) – A queste divine premure l’anima umana di Gesù corrisponde col vivere in un’intiera e amorosa dipendenza dal Verbo. Nei suoi giudizi si lascia guidare non dalla propria ragione ma dalla luce divina; e questo è il senso di quelle profonde parole: « Voi giudicate secondo la carne, io non giudico nessuno. È se pur giudico, il mio giudizio è vero, perché Io non sono solo, ma con me è il Padre che mi ha inviato (S. Giov. VIII, 15-16) ». Quando Gesù parla, non esprime la dottrina sua e il pensiero suo, ma quello di Dio che lo ha inviato (Id. VII, 16). Quando opera, non fa la volontà sua, ma quella di Dio (S. Luc. II, 42). Né cerca mai la gloria sua, ma quella del Padre. Quindi, quando Dio gli chiede duri sacrifici, quando gli presenta l’amaro calice, le umiliazioni e i tormenti della Passione, Egli, dopo une dolorosa agonia, assoggetta la sua volontà a quella di Dio (S.Matth. XXVI, 42). Oh! beata dipendenza che trasforma le sue azioni, anche le più semplici, in atti di amore e dà loro un valore incomparabile!

b) Ma non la sola anima umana di Gesù viene nobilitata dall’incarnazione, veniamo con lei nobilitati anche noi. Perché questo Gesù, ché è Dio, è nel medesimo tempo nostro fratello, ed incorporandoci al suo Corpo mistico, ci fa partecipare, sebbene in grado minore, alla sua divina nobiltà; diventiamo per mezzo di Lui figli adottivi di Dio e partecipi della vita divina. Deh! quale onore! e quale immenso beneficio! Infatti, come il Verbo si dà a Gesù, così, sebbene in modo meno perfetto, Gesù si dà a noi. Membra del suo Corpo mistico, noi abbiamo il diritto di appropriarci le sue soddisfazioni, i suoi meriti, le sue preghiere, e di offrirle a Dio, per espiare i nostri peccati ed ottener grazie; è le nostre domande, le nostre aspirazioni, i sacrifici nostri acquistano per questo verso un valore incomparabile. Come potrebbe Dio respingere coloro che si presentano a Lui rivestiti di Gesù Cristo e dei suoi meriti infiniti? – Il nostro dovere è quindi di attaccarci a Gesù, fonte di vita sovrannaturale, e di darci a Lui per attingere copiosamente da Lui quella vivificante acqua della grazia che Egli tanto desidera di comunicarci. Quanto più strettamente ci uniamo a Lui col dono totale di noi stessi, tanto più riceviamo dalla sua pienezza, perché Gesù non si lascia mai vincere in generosità. Gli diremo dunque di gran cuore: O Verbo incarnato, io mi dò tutto intero a Voi con tutto ciò che posseggo, che è vostro, perché me l’avete dato Voi. A Voi il mio corpo, i miei lavori, le mie fatiche, le mie pene, i miei affanni; a Voi tutti i respiri del mio cuore. Come Dio, Voi siete la pienezza dell’essere, della bellezza, della bontà, della sapienza, della potenza, dell’amore misericordioso; Voi siete il mio tutto, Deus meus et omnia, e voi solo potete appagare tutti i desideri del mio cuore. Voi possedete, come uomo, tutti i tesori della scienza e della sapienza (Col. II, 3), la pienezza della grazia creata (S, Giov. I, 14); e da questa pienezza io ho ricevuto tutto ciò che sono e tutto ciò che possiedo: « de plenitudine ejus nos ommes accepimus » (S, Giov. I, 15). Voi dunque adunate nella vostra Persona tutte le amabilità divine e umane. A chi potremmo andare fuori di Voi? Voi solo avete parole di vita eterna. – Or questo capiremo anche meglio. Quando avremo considerato il Verbo incarnato nelle sue relazioni con noi, vivente ed operante nei nostri cuori.

FESTA DELL’ASCENSIONE (2022)

ASCENSIONE DEL SIGNORE (2022).

Stazione a S. Pietro,

Doppia di I cl. con ottava privilegiata di III ord. – Paramenti bianchi.

Nella Basilica di S. Pietro, dedicata a uno dei principali testimoni dell’Ascensione del Signore, si celebra oggi (Or.) l’anniversario di questo mistero, che segna il termine della vita terrena di Gesù. Durante i quaranta giorni, che seguirono la sua Risurrezione, il Redentore pose le basi della sua Chiesa, alla quale doveva poco dopo mandare lo Spirito Santo. L’Epistola e il Vangelo di questo giorno riassumono tutti gli insegnamenti del Maestro. Gesù lascia quindi questa terra, e tutta la Messa è la celebrazione della Sua gloriosa elevazione in cielo dove gli fanno scorta le anime liberate, dal Limbo (Ali.) che entrano al suo seguito nel regno celeste, ove partecipano più ampiamente alla sua divinità (Pref.). — L’Ascensione ci predica il dovere di innalzare i nostri cuori a Dio e infatti, l’Orazione ci fa chiedere di abitare in ispirito con Gesù nelle regioni celesti, dove siamo chiamati ad abitare un giorno con il corpo. Durante tutta l’Ottava si recita il Credo: «Credo in un solo Signore Gesù Cristo Figlio unico di Dio… che è asceso al cielo, dove siede alla destra del Padre ». Il Gloria dice pure: « Signore, Figlio unico di Dio Gesù Cristo, tu che siedi alla destra  del Padre, abbi pietà di noi. Nel Prefazio proprio che si recita fino alla Pentecoste, si rendono grazie a Dio pel fatto che « il Cristo risorto, dopo essere apparso a tutti i suoi discepoli, si sia innalzato in cielo sotto i loro sguardi ». Durante tutta l’Ottava si recita ugualmente un Communicantes proprio a questa festa; con esso la Chiesa ci ricorda che « celebra il giorno sacrosanto nel quale Nostro Signore, Figlio unico di Dio, si degnò di introdurre nella gloria e porre alla destra del Padre la nostra fragile carne ». alla quale si era unito nel Mistero dell’Incarnazione. – Ogni giorno la liturgia ci ricorda, all’Offertorio (Suscipe Sancta Trinitas) e al Canone (Unde et memores) che essa, secondo l’ordine del Signore, offre il Santo Sacrificio « in memoria della beatissima passione di Gesù Cristo, della sua risurrezione dalla tomba, e della sua gloriosa Ascensione al cielo ». Infatti l’uomo è salvato solo per l’unione dei misteri della Passione e della Risurrezione con quello dell’Ascensione. « Per la tua morte e per la tua sepoltura, per la tua santa risurrezione, per la tua mirabile Ascensione, liberaci, Signore » (lit. dei Santi). — Offriamo a Dio il Sacrifizio divino « in memoria della gloriosa Ascensione del Figliuol Suo » affinché, liberati dai mali presenti, giungiamo con Gesù alla vita eterna (Secr.).

Incipit


In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus


Acta 1:11.
Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in cœlum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.


[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].

Ps XLVI:2
Omnes gentes, pláudite mánibus: iubiláte Deo in voce exsultatiónis.


[Applaudite, o genti tutte: acclamate Dio con canti e giubilo.]

Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in cœlum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.

[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].

Oratio

Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui hodiérna die Unigénitum tuum, Redemptórem nostrum, ad coelos ascendísse crédimus; ipsi quoque mente in coeléstibus habitémus.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che noi, che crediamo che oggi è salito al cielo il tuo Unigenito, nostro Redentore, abitiamo anche noi col nostro spirito in cielo].

Lectio

Léctio Actuum Apostólorum.
Act 1:1-11

Primum quidem sermónem feci de ómnibus, o Theóphile, quæ coepit Iesus facere et docére usque in diem, qua, præcípiens Apóstolis per Spíritum Sanctum, quos elégit, assúmptus est: quibus et praebuit seípsum vivum post passiónem suam in multas arguméntis, per dies quadragínta appárens eis et loquens de regno Dei. Et convéscens, præcépit eis, ab Ierosólymis ne discéderent, sed exspectárent promissiónem Patris, quam audístis -inquit – per os meum: quia Ioánnes quidem baptizávit aqua, vos autem baptizabímini Spíritu Sancto non post multos hos dies. Igitur qui convénerant, interrogábant eum, dicéntes: Dómine, si in témpore hoc restítues regnum Israël? Dixit autem eis: Non est vestrum nosse témpora vel moménta, quæ Pater pósuit in sua potestáte: sed accipiétis virtútem superveniéntis Spíritus Sancti in vos, et éritis mihi testes in Ierúsalem et in omni Iudaea et Samaría et usque ad últimum terræ. Et cum hæc dixísset, vidéntibus illis, elevátus est, et nubes suscépit eum ab óculis eórum. Cumque intuerétur in coelum eúntem illum, ecce, duo viri astitérunt iuxta illos in véstibus albis, qui et dixérunt: Viri Galilaei, quid statis aspiciéntes in coelum? Hic Iesus, qui assúmptus est a vobis in coelum, sic véniet, quemádmodum vidístis eum eúntem in coelum.

“Io primieramente ho trattato, o Teofìlo, delle cose che Gesù prese a fare e ad insegnare in fino al dì, ch’Egli fu accolto in alto, dopo aver dato i suoi comandi per lo Spirito Santo agli Apostoli ch’Egli aveva eletti. Ai quali ancora, dopo aver sofferto, si presentò vivente, con molte e sicure prove, essendo da loro veduto per lo spazio di quaranta giorni e ragionando con essi delle cose del regno di Dio. E trovandosi con essi, comandò loro che non si partissero da Gerusalemme, ma aspettassero la promessa del Padre, che, diss’Egli, avete da me udita. Perocché Giovanni battezzò con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra pochi giorni. Essi adunque, stando con Lui, lo domandarono, dicendo: Signore, sarà egli in questo tempo, che tu restituirai il regno ad Israele? Ma Egli disse loro: Non spetta a voi conoscere i tempi e le stagioni, che il Padre serba in poter suo. Ma voi riceverete la virtù dello Spirito Santo, che verrà sopra di voi e mi sarete testimoni e in Gerusalemme e in tutta la Giudea e nella Samaria e fino alle estremità della terra. E dette queste cose, levossi a vista loro: e una nuvola lo ricevette e lo tolse agli occhi loro. E com’essi tenevano ancora fissi gli occhi in cielo, mentre se ne andava, ecco due uomini si presentarono loro in candide vesti e dissero loro: Uomini Galilei, perché state riguardando verso il cielo? Questo Gesù che è stato accolto in cielo d’appresso voi, verrà nella stessa maniera che l’avete veduto andarsene in cielo -.

Alleluia


Allelúia, allelúia.

Ps XLVI:6.8
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ. Allelúia.

[Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]

Ps LXVII:18-19.
V. Dóminus in Sina in sancto, ascéndens in altum, captívam duxit captivitátem.
Allelúia.

 [Il Signore dal Sinai viene nel santuario, salendo in alto, trascina schiava la schiavitú. Allelúia.]

Evangelium


Sequéntia
sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc XVI:14-20

In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit incredulitátem eórum et durítiam cordis: quia iis, qui víderant eum resurrexísse, non credidérunt. Et dixit eis: Eúntes in mundum univérsum, prædicáte Evangélium omni creatúræ. Qui credíderit et baptizátus fúerit, salvus erit: qui vero non credíderit, condemnábitur. Signa autem eos, qui credíderint, hæc sequéntur: In nómine meo dæmónia eiícient: linguis loquantur novis: serpentes tollent: et si mortíferum quid bíberint, non eis nocébit: super ægros manus impónent, et bene habébunt. Et Dóminus quidem Iesus, postquam locútus est eis, assúmptus est in cœlum, et sedet a dextris Dei. Illi autem profécti, prædicavérunt ubíque, Dómino cooperánte et sermónem confirmánte, sequéntibus signis.

“In quel tempo: Gesú apparve agli undici, mentre erano a mensa, e rinfacciò ad essi la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano prestato fede a quelli che lo avevano visto resuscitato. E disse loro: Andate per tutto il mondo: predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo: chi poi non crederà, sarà condannato. Ed ecco i miracoli che accompagneranno coloro che hanno creduto: nel mio Nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, maneggeranno serpenti, e se avran bevuto qualcosa di mortifero non farà loro male: imporranno le mani ai malati e questi guariranno. E il Signore Gesù, dopo aver parlato con essi, fu assunto in cielo e si assise alla destra di Dio. Essi se ne andarono a predicare per ogni dove, mentre il Signore li assisteva e confermava la loro parola con i miracoli che la seguivano.”

Recitato il Vangelo, viene spento il Cero pasquale, né più si accende, se non il Sabato di Pentecoste per la benedizione del Fonte.

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

IL MONDO INVISIBILE

Siamo al quarantesimo giorno della Risurrezione. Gesù condusse gli Apostoli fuori della città e li menò in cima al Monte Oliveto, rifacendo il cammino che aveva percorso con loro esattamente sei settimane addietro, la sera del Giovedì santo. Ma quale differenza di spirito! Allora verso la notte dell’agonia, ora verso il giorno del trionfo. Sulla cima Egli alzò un’ultima volta le mani a benedire i suoi Apostoli, poi i piedi forati si staccarono da terra, ed elevandosi in alto, partì da loro. Tutti tenevano il volto rivolto in su, guardando Lui che rimpiccioliva nella profondità del Cielo, illagato di luce; poi venne una nuvola e lo tolse alla loro vista, Cristo ormai era nella gloria del Padre, seduto alla sua destra. Quando gli Apostoli abbassarono gli occhi sulla terra che parve a loro sempre scolorata, sentirono che i desideri del cuore erano rimasti lassù, dietro allo scomparso, né giammai li potevano distogliere di lassù. A noi sarebbe parso meglio che Gesù non se ne fosse andato, che tutti avessero potuto vederlo con gli occhi, toccarlo con le mani, ascoltarlo con le orecchie. Ma se così fosse avvenuto la nostra fede avrebbe avuto minor merito, inoltre il nostro amore sarebbe stato meno puro e ancor troppo sensibile. Infine, v’è un’altra ragione, sulla quale intendo insistere. Se Gesù fosse rimasto in questo mondo visibile, non ci saremmo più abituati a sollevare pensieri e desideri al mondo invisibile che è il più importante, « poiché le cose visibili sono temporanee, mentre le cose invisibili sono eterne » (II Cor., IV, 18). Come una madre si nasconde per farsi cercare dai suoi piccini, così Gesù si è nascosto nel mondo invisibile perché noi ci sforzassimo di cercarlo « pur andando a tastoni » e di cercarlo là dove importa tenere il cuore, cioè il mondo invisibile. « Ricercate, dunque, le cose dell’alto, ove il Cristo dimora » (Col. III, 1). E perché ci fosse più facile questo contatto col mondo invisibile, Egli partendo promise di mandare lo Spirito Santo. Questa invisibile Persona divina avrebbe aiutato i buoni a distaccarsi dai beni passeggeri e insufficienti della terra, ed avrebbe condannato i cattivi che si avvinghiano perdutamente a questo mondo che si vede e che si tocca.

1. L’ESISTENZA DEL MONDO INVISIBILE

Ci sono dunque due mondi e lo diciamo nel « Credo » della Santa Messa: quello delle cose visibili e quello delle cose invisibili. Noi siamo nati in mezzo al primo, e sappiamo bene di che cosa sia formato: del sole e delle stelle, dell’aria e dell’acqua, dei monti. e delle pianure, delle piante e delle bestie, e soprattutto degli uomini e delle loro nazioni. Ma c’è pure un altro mondo, assai più vero di questo, assai più meraviglioso, assai più vicino a noi. Anzi ci viviamo in mezzo, eppure le nostre mani non lo toccano, e i nostri occhi non lo vedono, i nostri orecchi non lo sentono. Non meravigliamoci se i nostri sensi sono incapaci di percepire il mondo invisibile, perché essi non colgono che una minima parte di ciò che esiste: la più grande, la più bella realtà sfugge a loro. Se io dicessi ad un buon uomo della Etiopia, ignaro ancora della civiltà europea, che intorno a lui, anzi attraverso il suo stesso corpo passano parole misteriose, grida di gioia e urli di dolore, suoni d’ogni strumento e cori poderosi, egli mi guarderebbe stupefatto e penserebbe ch’io intenda raccontargli favole. Non può credere perché non ha mai visto le valvole per captare le onde marconiane. Prima che scoprissimo la radio, anche a noi europei simili cose apparivano un sogno irrealizzabile. Ebbene, Cristiani: se a qualcuno sentendomi parlare del mondo invisibile venisse il sospetto che sia tutto un sogno, si ricordi che noi ora siamo nelle condizioni di quel buon uomo d’Etiopia. Ci mancano le valvole adatte per captare le realtà del mondo invisibile. Ma un giorno, il giorno della nostra morte, le avremo. Intanto viviamo di fede; la fede nell’ascensione di Cristo nel mondo invisibile.

2. LE REALTÀ DEL MONDO INVISIBILE

a) La prima realtà del mondo invisibile è Dio. Colui che ha creato i cieli visibili, il sole abbarbagliante, i fiori coloriti, gli uomini che si vedono tra di loro, è invisibile. Il Dio onnipotente che esiste più realmente e più intensamente di tutti noi, non lo possiamo trovare coi nostri sensi. Un Vescovo francese al tempo di Luigi XIV, andò a visitare un’illustre famiglia e là domandò a un fanciullo di 8 anni, un ragazzetto sveglio, dopo d’aver preso un’arancia da un cestello che era sulla tavola: « Fanciullo mio ti voglio dare questa arancia, se tu mi dici dov’è Dio ». « E io, Mons. Vescovo, vi darò un intiero cestello pieno d’arance, se voi mi dite dove Dio non è ». Dio è dappertutto, eppure non lo vediamo. « Se uno è solo — è scritto nella Sacra Scrittura — io sono con lui. Rimuovi la pietra e li mi troverai, incidi il legno ed io son lì ». Anzi S. Paolo ha detto che noi siamo immersi in Dio: in Lui siamo, viviamo e respiriamo. Persuadiamoci, dunque di questa verissima realtà: non siamo mai soli, mai inosservati. Un Padre amorosissimo ci accompagna, un terribile osservatore ci scruta ogni momento la mente e il cuore. Ma una volta, il Dio invisibile ha voluto diventare una cosa che si vede. Per sua somma ineffabile misericordia, prese umana carne nel seno della Vergine Maria, e nacque in questo mondo sensibile. Per più di trent’anni visse come uno qualunque di noi: parlava; beveva, mangiava, camminava, soffriva. Poi ritornò nel suo mondo invisibile, dove ci ha promesso di preparare un posto per ciascuno di noi. Da allora più nessuno l’ha potuto vedere, eccetto qualche rarissimo e fortunato uomo. Lo vide, pochi anni dopo la sua scomparsa, Paolo quando nelle vicinanze di Damasco fu da Lui improvvisamente assalito, gettato nella polvere, disarmato e vinto amorosamente. Lo vide ancora, molti secoli dopo, Francesco d’Assisi sulla cima di una montagna, mentre sorgeva il sole, e si ebbe nel cuore uno smisurato amore per gli uomini, e nel corpo cinque piaghe spasimose. Lo vide pure, tre secoli fa, un’umile suora nel suo convento, Margherita Maria Alacoque e a lei diede grazia di rivelare le promesse e la devozione del suo Sacro Cuore. Per tutti noi però è come s’Egli non si fosse mostrato mai, tanto poca è l’esperienza che abbiamo della sua presenza. Ma nelle inesauste risorse del suo amore ci ha dato un segno che si vede e che si tocca, per dirigerci senza sbagliare verso la sua Persona che non si vede e non si tocca. Questo segno è la bianca e sottile Ostia consacrata: dove c’è quella, possiamo dire con certezza più che matematica che ivi c’è Gesù, vivo e vero, che non visto ci vede, che non udito ci ascolta. L’Eucarestia è il ponte che congiunge il mondo visibile col mondo invisibile. Con che amore, con che tremore dovremmo desiderarla e riceverla!

b) La seconda realtà del mondo invisibile sono gli Angeli. Voi tutti sapete che una notte alcuni pastori di Betlemme hanno visto gli Angeli, li hanno sentiti parlare, li hanno sentiti cantare mentre trasvolavano a schiere, e a schiere. Dicevano: « Gloria a Dio nel cielo, pace in terra agli uomini di buona volontà ». Tutti ricordano ancora che mentre S. Pietro dormiva nella prigione di Gerusalemme, proprio nella notte precedente il giorno fissato per ucciderlo, sopraggiunse un Angelo, che lo svegliò scuotendolo nel fianco, gli tolse le catene e gli disse. « Presto: buttati addosso il mantello e vieni con me ». Pietro senza rendersi conto di quello che faceva, ubbidì. Credeva fosse un sogno, ma si trovò nella strada libero e solo sotto le stelle. che illanguidivano ai primi soffi dell’alba (Atti, XII, 6-10). – Non so, se avete sentito che S. Filippo Neri volendo scansare una carrozza che gli veniva incontro in una corsa indiavolata, stava per cadere in una fossa profonda. E vi sarebbe caduto se una mano energica e pronta non l’avesse afferrato per un braccio: guardò e vide un Angelo che lo teneva stretto. Che meraviglie sono queste? Ma dunque degli Esseri splendidi e buoni ci sono ai fianchi senza che li possiamo vedere? Sì; essi vigilano sulle parrocchie, sulle nostre case, su ciascuno di noi. Nel regno del mondo sono soltanto i ricchi che possono permettersi il lusso di farsi servire; nel regno di Dio, tutti, anche il più miserrimo e diseredato, ha per servo e custode un Angelo. Come? chi è da più serve chi è da meno? Sì, perché il regno di Dio è regno d’Amore e non c’è gioia più cara che rendersi utili e donare agli altri. Vicini a noi miseri e indegni c’è sempre un Angelo splendido, amoroso, vigile, fedele, pronto all’aiuto: e non ci pensiamo. Vicino a ciascuna persona c’è un Angelo: e non ci badiamo. Nella nostra casa ci sono tanti Angeli: e non ce ne curiamo. Che perversa e ingrata ignoranza! c) Nel mondo invisibile abita infine la Madonna coi Santi. La Madre di Gesù, la tenerissima Madre nostra, essa pure è a noi invisibile. Si lasciò vedere nel secolo scorso a una fanciulla dalla grotta di Lourdes, ed ora spesse volte in quel luogo tocca e guarisce chi la chiama con fede e con amore, senza però farsi vedere. E con Lei sono tutti i Santi della Chiesa; con Lei son tutti i nostri cari morti che ci hanno preceduti col segno della fede. Non dobbiamo illuderci che siano lontani, che siano in un mondo al di là delle stelle, distaccati da noi fino alla nostra morte: no, ci sono vicini, facciamo con loro una medesima famiglia, che vive della medesima vita, che ama col medesimo Amore. Solo che essi non si rendono più presenti ai nostri sensi: come attori usciti dalla scena, ma che sono ancora là, sul palco, invisibili dietro le quinte.

CONCLUSIONE

Un poeta inglese ha immaginato l’impressione di Adamo quando. vide per la prima volta discendere l’oscurità della notte. Tutte le cose cominciarono a trascolorare, a perdere i loro contorni, a liquefarsi in una massa informe e scura. Sembrava che fosse la fine di tutto il mondo. Ma ecco improvvisamente luccicare la prima stella della sera. Espero; ecco l’esercito degli astri, ecco inaspettato sorgere il prodigio della luna. Tutta la creazione si fè più vasta allo sguardo del primo uomo attonito. Come avrebbe potuto immaginare che celate nella luce del giorno ci fossero tutte quelle cose? Come avrebbe potuto sapere, mentre erano visibili moscerini, insetti e foglie, che palpitavano nel cielo innumerevoli e immensi astri? (JOSEPH BLANCO WHITE, To Night). – Cristiani, quando intorno a noi discenderà la sera della morte, nessuna paura ci sgomenti: se questo mondo opaco delle cose visibili sembrerà svanire nel buio, da quel buio un altro mondo splendidissimo, e immenso, e beato affiorirà: il mondo invisibile. E lo vedremo. Vedremo Dio come è: vedremo la dolce e adorabile umanità di Cristo; vedremo il posto che Egli è salito a prepararci; ed ivi abiteremo con la Madonna, gli Angeli e i Santi e i nostri cari. E ripensando a questi giorni terreni, esclameremo attoniti: « Com’era poca e pallida cosa quella vita che allora ci sembrava tutto! ».

IL CREDO

Offertorium


Orémus
Ps XLVI:6.
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúia.
[Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]

Secreta


Súscipe, Dómine, múnera, quæ pro Fílii tui gloriósa censióne deférimus: et concéde propítius; ut a præséntibus perículis liberémur, et ad vitam per veniámus ætérnam.

[Accetta, o Signore, i doni che Ti offriamo in onore della gloriosa Ascensione del tuo Figlio: e concedi propizio che, liberi dai pericoli presenti, giungiamo alla vita eterna.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio


Ps LXVII: 33-34
Psállite Dómino, qui ascéndit super coelos coelórum ad Oriéntem, allelúia.

[Salmodiate al Signore che ascende al di sopra di tutti i cieli a Oriente, allelúia.]

Postcommunio


Orémus.
Præsta nobis, quǽsumus, omnípotens et miséricors Deus: ut, quæ visibílibus mystériis suménda percépimus, invisíbili consequámur efféctu.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente e misericordioso, che di quanto abbiamo ricevuto mediante i visibili misteri, ne conseguiamo l’invisibile effetto].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (1)

ADOLFO TANQUEREY

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ

Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle Missioni

ROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF.1930

NIHIL OBSTAT: Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.

IMPRIMATUR: Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.

A

 GESÙ VIVENTE IN MARIA

L’AUTORE SULLA SERA ORMAI DELLA VITA UMILE E GRATO CONSACRA QUESTE PAGINE SUPPLICANDOLO DI AMMETTERLO UN GIORNO ALLA CONTEMPLAZIONE DELLE ALTISSIME COSE CHE TENTÒ SPIEGARE AI FRATELLI, BRAMOSO DI INDURLI A GLORIFICARE, AMARE E SERVIRE IL PIU BUONO DEI PADRONI, IL PIÙ SAPIENTE DEI MAESTRI IL PIÙ AMABILE DEGLI AMICI IL PIÙ TENERO DEI PADRI.

AL LETTORE ITALIANO.

Il Tanquerey, della cui scienza teologica e della cui pietà è ormai superfluo far l’elogio, regala al clero, alle persone religiose, e anche a tutte le anime pie viventi nel secolo, un nuovo libro intitolato: « Le grandi verità cristiane che generano nell’anima la pietà (Les Dogmes générateurs de la piété.). – Queste grandi e così benefiche verità esposte nel nuovo libro sono tre ed è bene accennarle qui subito sinteticamente. – La seconda Persona della santissima Trinità, il Verbo divino, che, divenuto coll’incarnazione l’Uomo-Dio Gesù Cristo, ci incorpora a sé e trasfonde in noi, membra del suo corpo mistico, la divina sua vita, affinché, dotati di un organismo soprannaturale che si compone della grazia santificante, delle virtù infuse e dei doni dello Spirito Santo, e assiduamente sorretti dalla grazia attuale e dai sacramenti, viviamo quaggiù la stessa sua vita, incentrando in Lui, divino nostro Mediatore, i nostri pensieri, i nostri voleri, i nostri affetti, le opere nostre, che così acquistano con una dignità divina un merito di vita eterna e ci preparano ad essergli eternamente uniti nel cielo: ecco la prima di queste grandi verità, di cui ognun vede la mirabile complessità. Maria santissima, la creatura più vicina a Dio, più cara alle tre Persone della santissima Trinità, ,più simile a Gesù Cristo, eletta a Madre di Dio e costituita nostra Corredentrice, nostra Madre soprannaturale, nostra universale Mediatrice, nostro modello: ecco la seconda di queste grandi e dolci cristiane verità. Il sommo nostro Sacerdote Gesù Cristo, che, dopo essersi una volta cruentamente immolato sul Calvario a salute del caduto genere umano, ora quel grande ed eterno suo Sacrificio incruentamente rinnova ogni giorno sui nostri altari per mano del Sacerdote celebrante nella santa Messa, nella quale associa a sé tutti i Cristiani affinché i loro doveri religiosi riescano veramente accetti a Dio e le loro suppliche veramente efficaci, e colla santa Comunione s’immedesima con loro per trasformarli in sé e unirli più strettamente colla santissima Trinità; di guisa che alle inesauribili ricchezze di questo divino Sacrificio più largamente partecipa il Cristiano secondo che più attivamente concorre alla sua celebrazione, più intimamente si unisce in quest’offerta a Gesù, più profondamente s’investe del suo spirito di Vittima: ecco la terza delle grandi verità cristiane la cui meditazione genera nelle anime la verace pietà.

Queste tre grandi verità il Tanquerey espone con sufficiente ampiezza e bellamente illustra in questo nuovo libro; e lo fa non solo, com’era da aspettarsi, con dottrina teologica soda e profonda, in forma piana e pratica, ma soprattutto con tale unzione e con tale soave spirito cristiano che il lettore vi sente subito, oltre l’esimio teologo, l’anima sinceramente pia che vive intensamente le alte e dolci verità che viene esponendo. Come già feci, due anni or sono, del Compendio di Ascetica e di Mistica che incontrò così bene, sono ora lieto di poter presentare questo nuovo libro in veste italiana non indegna, spero; dell’originale e delle bellissime e altissime e santissime cose che vi si discorrono. Leggano dunque i Sacerdoti e i seminaristi leggano i Religiosi e tutte le anime pie, leggano e meditino queste belle e devote pagine del Tanquerey, se vogliono acquistare, in cambio di una pietà superficiale fatta di sentimentalità e di fantasia, la vera, la soda, la illuminata pietà. Oh se tutti i Cristiani conoscessero quanta luce, quanta forza scaturisce da queste verità ben meditate per nobilitare e veramente divinizzare la vita umana; per agere et pati fortia, per operare e patir da forti, con spirito, non stoico o razionalistico, ma cristiano, vale a dire con umile ossequio alla volontà di Dio, in unione di mente e di cuore con Gesù e con Maria, con l’occhio costantemente fisso alla beata eternità! Oh! Perché verità così divine e così benefiche non s’imprimono profondamente nell’anime dei sacerdoti.  onde essere poi opportunamente trasfuse nell’anime dei fedeli? – Al venerando Autore, che mi onora della sua amicizia, auguro di gran cuore che, nonostante l’età, Dio gli conceda ancora tanto di vita, da poterci dar presto su queste così importanti materie gli altri volumi promessi nell’Introduzione. Di questi nuovi regali gli saranno vivamente grate tutte le anime pie; perché a libri pieni, come questi del Tanquerey, di dottrina e di pietà tanto soave, tanto sostanziosa, tanto pratica, le anime seriamente pie si rifanno sempre con rinnovato diletto e con raddoppiato profitto.

Sarzana, Collegio della Missione, Pasqua del 1930.

FILIPPO TRUCCO, Prete della Missione.

INTRODUZIONE.

Nel 1829, Monsignor Gerbet pubblicava un libro pio e profondo sulla santissima Eucaristia intitolandolo « Considerazioni sul domma generatore della pietà cattolica ». Ma, chi ben consideri, tutti i dommi della nostra santa religione sono fatti per generare la pietà nelle anime: basta esporli bene e indicarne le conclusioni pratiche, perché le anime si sentano portate al Signore e infiammate di divino amore. – Infatti, i dommi cristiani ci dicono tutti, ognuno a suo modo, l’origine, la natura e i fortunati effetti di quella partecipazione alla vita divina che la santissima Trinità si degnò spandere nelle anime; tutti ci parlano dell’infinita bontà del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, che, comunicandoci la loro vita, ci stimolano con questo stesso fatto a sviluppare in noi e perfezionare cotesta vita, che è la perla preziosa, il tesoro dei tesori, l’unica cosa necessaria che dobbiamo cercar di possedere a qualunque costo, se vogliamo essere eternamente felici. Fra i dommi cristiani ce n’è poi uno che è nello stesso tempo centro e compendio di tutti gli altri: è il domma del Verbo incarnato che ci incorpora al suo Corpo mistico onde farci partecipare alla sua vita. – Questo domma esponiamo nella prima parte del nostro lavoro e sarà facile vedere come vi si connettono tutti gli altri. Infatti, il far conoscere il Verbo è già un entrare nel mistero della santissima Trinità, perché il Verbo è l’eterno Figlio del Padre e fonte con Lui onde procede lo Spirito Santo. Ma il Verbo si fece uomo e divenne il capo dell’umanità redenta, la testa di un Corpo mistico di cui noi siamo le membra. È quindi, nel presente disegno divino, il Mediatore necessario tra l’uomo e Dio: dal seno del Padre discende sulla terra, ricco per noi di grazie e di benedizioni, e dalla terra risale al cielo per offrire alla santissima Trinità gli ossequi nostri e i nostri ringraziamenti. – Ecco ora l’ordine con cui procediamo nella prima parte. Innanzitutto, il Verbo incarnato che attinge la vita divina nel seno del Padre ed è la fonte della nostra vita soprannaturale. Per comunicarci questa vita, il Verbo incarnato ci incorpora al suo Corpo mistico, affinché le membra prendano parte alla vita del capo. Incorporati a Cristo, noi partecipiamo veramente alla vita divina: le tre divine Persone vengono ad abitare in noi e c’infondono la grazia santificante, le virtù soprannaturali e i doni dello Spirito Santo. Perciò Maria, madre di Gesù, diventa madre nostra, « carne mater capitis, spiritu mater membrorum eius ».

Quindi quattro capitoli che s’intrecciano logicamente fra loro:

Cap. I. — IL VERBO INCARNATO FONTE DELLA NOSTRA VITA SOPRANNATURALE.

Cap. II. — LA NOSTRA INCORPORAZIONE A GESÙ CRISTO.

Cap. Ill. — LA NOSTRA PARTECIPAZIONE ALLA VITA DIVINA.

Cap. IV. — MARIA MADRE NOSTRA E NOSTRA MEDIATRICE.

A coltivar questa vita divina, Gesù, sommo Sacerdote, ci fa prender parte al suo sacerdozio e al suo Sacrificio: è l’argomento della seconda parte. Gesù sacerdote è nello stesso tempo sacrificatore e vittima. A perpetuare sulla terra il suo Sacerdozio, si sceglie tra gli uomini dei rappresentanti visibili che, per mezzo del carattere sacerdotale impresso loro nell’anima, diventano veramente altrettanti Cristi. Tra Maria, Madre di Gesù e Mediatrice di grazia, e il Sacerdote, corrono relazioni speciali che debbono essere fatte ben rilevare. Anche il popolo cristiano viene associato al Sacerdozio di Gesù e diremo in che senso e fino a qual punto. Onde appare sempre meglio che il santo Sacrificio della Messa è l’atto più grandioso e solenne della virtù della Religione, atto sociale, celebrato dal Sommo Sacerdote Gesù col ministero dei Sacerdoti, visibili suoi rappresentanti, e coll’attiva partecipazione dei fedeli. Ed è quindi chiaro che da un tal Sacrificio Dio è infinitamente glorificato, e i fedeli efficacemente santificati, a patto che vi assistano attivamente, unendosi agli interni sentimenti di Gesù sacerdote e vittima.

Quindi cinque capitoli;

Cap. I. — GESÙ NOSTRO SOMMO SACERDOTE.

Cap. II. — IN CHE MODO IL SACERDOTE PARTECIPA AL SACERDOZIO DI GESÙ CRISTO.

Cap. III. — MARIA SANTISSIMA E IL SACERDOTE

Cap. IV. — IN CHE SENSO IL POPOLO CRISTIANO È ASSOCIATO AL SACERDOZIO DI GESÙ CRISTO.

CAP. V. — DEL SANTO SACRIFICIO DELLA MESSA.

Il nostro libro è diretto innanzi tutto ai Sacerdoti e ai seminaristi per aiutarli a Stimar degnamente ed efficacemente predicare quelle grandi verità rivelate che gli Apostoli predicarono con tanto frutto ai primi Cristiani; ma è fatto anche pei semplici fedeli, specialmente se viventi in comunità religiose, i quali, come ci risulta dalle molte lettere che ne abbiamo ricevuto, prendono vivissima parte a queste verità. Ecco perché, pur esponendo la dottrina teologica, adoperiamo termini semplici e concreti che possano essere facilmente capiti da tutti. – È nostra intenzione, se il Signore si degnerà concederci vita e forze, di pubblicare ancora altri volumi di questo genere. Vorremmo mostrare come, quando noi Cristiani soffriamo, Gesù, che patisce in noi, divinizza in qualche modo i nostri dolori; vorremmo esporre come Gesù opera in noi coi santi Sacramenti; e finalmente dire come Gesù ci farà un giorno entrare a parte della sua gloria nel cielo. – Benedica la Vergine Madre queste pagine e aiuti noi e tutti i nostri lettori a metterle in pratica.

Seminario Maggiore di Aix-en-Provence, il 25 marzo 1930 z 1930. Annunziazione della SS, Vergine.

LA VITA INTERIORE (27)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (27)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

TENEBRE DISSIPATE

LA VITA D’ABBANDONO

LA VIA.

Fede, fiducia, confidenza, amore… abbandono. Ecco tracciata la via all’abbandono. Le radici sono nella fede, nello spirito di fede. L’anima che opera con fede, acquista la fiducia. Chi opera con fiducia in Dio sente la confidenza; il passo dalla confidenza all’amore, è brevissimo. L’amore puro e santo porta all’abbandono. Per raggiungere l’unione con Dio, cioè la vita interiore, è necessario abbandonarsi filialmente e umilmente alle sante disposizioni della volontà di Dio.

DIO IN NOI.

Per mezzo dello spirito di fede noi vediamo Dio in tutto, e in tutto lo sappiamo presente e operante; soprattutto in noi, nei nostri cuori. Gioiosa, consolante verità. Ma, purtroppo, quanto è ignorata questa grande verità! Possiamo ricordare, qui, le parole che Gesù rivolse a Filippo, nell’ultima cena: tanto tempo che sono con voi, e voi non mi avete ancora conosciuto? (GIOV., XIV, 9). Dio abita realmente in noi sino dall’istante in cui abbiamo ricevuto il Battesimo. Allontanati, disse, infatti, allora, il sacerdote, allontanati, o satana, da questo fanciullo, perché diventi il tempio del Dio vivo, e lo Spirito Santo abiti in lui. È certo che se noi non l’abbiamo allontanato col peccato mortale, Dio continuò e continua ad abitare in noi. Cioè: noi e Gesù facciamo una cosa sola; così, noi per mezzo di Gesù possiamo tutto; così realmente Gesù vuole che facciamo nostri e coltiviamo come mostri i suoi interessi: la gloria del Padre, del Figliuolo, dello Spirito Santo; mentre Egli fa, e considera come suoi i nostri interessi, la santificazione nostra. Ma, in verità, quanto poco abbiamo pensato all’Ospite divino che vuole vivere e vive unito con noi! Dobbiamo confessare amaramente con santa Teresa: « Io comprendo di avere un’anima, ma la stima che merita quest’anima, ma la dignità dell’Ospite divino che vi abitava, ecco ciò che non comprendevo. Le vanità della vita erano una benda che mi coprivano gli occhi. Se avessi compreso, come lo capisco ora, che un sì gran Re abitava il piccolo palazzo dell’anima mia io non l’avrei lasciato così frequente solo! ».

ITINERARIO A DIO.

E se col peccato avessimo allontanato, cacciato, perduto Dio? Delle vie che riconducono a Dio, quella più segnata d’orme è la via del dolore. Il figliuolo prodigo, ritrovò il cammino della casa paterna quando alla sua pena non diedero più lenimenti le lascivie e le gozzoviglie delle città idolatre. La gioia e le lautezze fanno obliosi. Tutti gli altari, purtroppo, hanno sempre avuto più tributo di pianto che d’inni. Il grido di sant’Agostino: Inquietum est cor nostrum, Domine, assomma un’esperienza che è di tutti i tempi. Dio prorompe dalla sventura, e mentre l’anima lo ricerca tribolata e piena d’affanno, diventa ebbra di gioia nel ritrovamento. In quei momenti l’anima avverte Dio, ancora oscuro, ma presente. Non ama interpreti né intermediari, né formule. Pare che l’anima così dica: io voglio cercarti da me… parlarti direttamente, offrirti con le mie mani il dono della mia anima così come tu l’hai fatta… Picchio a te, supplico a te. Aprimi. Il mio cuore ha sete di te… Ha bisogno di appoggiarsi a una speranza, di legarsi a una certezza. (Dio è qui. Mondadori, Milano, 1927). Questo Dio che il tribolato chiama e cerca dappertutto, nel cuore degli uomini, negli aspetti delle cose, nella tripudiante testimonianza della natura, appare, a poco a poco, preciso e radiante e splendente: è il Dio dell’amore vero, dell’amore puro, il Dio della Misericordia infinita che toglie ogni tremore, che cancella ogni angoscia, asciuga ogni lagrima, che inonda di luce, vivifica di amore e stringe paternamente al cuore le anime, le anime dei suoi figli… che tornano a inebriarsi del suo amore.

NOI CON DIO

In due modi possiamo noi « povere creature umane », accettare la santa volontà di Dio: a stento, o con piena fiducia, con sereno abbandono… La vita interiore è in questa seconda maniera, nell’uniformità del nostro col volere di Dio. Perché? Ecco: Sono creatura tua. Fa di me ciò che tu vuoi. Non chiederò perché. Accetterò i tuoi decreti come si accetta il giro delle stagioni, il pullulare del germoglio e il distaccarsi della foglia secca, l’impennarsi del cavallone schiumoso e l’abbattersi contro la clamorosa scogliera (Ibidem). L’anima comprende che il vero e unico suo bene consiste nell’eseguire la santa volontà di Dio. La volontà di Dio diventa, adunque, oggetto dei desideri e delle compiacenze della nostra anima. « Essa sa che la mente di Dio pensa a lei e il suo Cuore ordina e dispone le cose a suo profitto: perché, adunque, dovrebbe essa ancora pensarvi e occuparsene, come se non le bastasse la sapienza infinita e la immensa bontà del suo Dio? Essa si abbandona pertanto ciecamente e tranquillamente al corso delle cose, come esso viene guidato dalla Divina Provvidenza; quali si siano gli avvenimenti, essa prova uguale soddisfazione, poiché in qualunque circostanza impera il volere di Dio, suo bene e sua felicità: che si avverino piuttosto tali che tali altre cose, non è affare dell’anima, ma di Dio, per essa ciò che importa è che ogni avvenimento risponda alla volontà divina. » Questo è il vero spirito di abbandono, che costituisce l’essenza della vita spirituale e della santità » (Op. cit., p. 417). Benché i nostri cieli siano oggi sbarrati dai fili del telegrafo e nella chiarità dei nostri orizzonti spicchino molti fumaioli, i campanili non sono diminuiti né di numero né di altezza. Vogliamo dire che l’apprendimento e la pratica dell’abbandono in Dio non è, poi, una cosa tanto difficile da pretenderne la riserva per alcune anime privilegiate, e l’esclusione per le altre tutte.

MOTIVI DI QUESTO ABBANDONO.

Sono molti. Ma sia sufficiente ricordare: Gesù è buono; Gesù accoglie tutti, sempre; Gesù è misericordioso; Gesù è fedele. Basta che la nostra anima si fermi un istante su queste considerazioni e ne sarà immediatamente persuasa, convinta. Non è Gesù che disse: ego sum pastor bonus? Sì il buon pastore che cerca le sue pecorelle… Di lui, il Vangelo, dice: «percorreva la Galilea, la Samara, la Giudea, insegnando nelle sinagoghe dei Giudei e annunziando il Vangelo del regno, guariva tra i popoli ogni languore e ogni infermità (MATT., IV, 23)… E folle numerose accorrevano a Lui, conducendo seco sordi, ciechi, paralitici, malati e molti altri, che deponevano ai suoi piedi, ed Egli li guariva (MATT.; XV, 30). Poiché Gesù è buono, accoglie tutti. Questa è la prova di un buon cuore. — « Durante la sua vita terrena accoglieva tutti con la medesima benevola bontà. La sua fronte era sempre calma e il suo occhio sorridente. Tutti potevano avvicinarlo senza timore, e l’avvicinavano, infatti. » I farisei e i sadducei vanno ad esporgli le difficoltà e a tendergli tranelli. Gesù dissipa i loro intrighi con una parola luminosa, con una diversione inattesa, con un miracolo, ma non li scaccia. » I ricchi l’invitano alla loro mensa, talora per sincera ammirazione, talora per vana ostentazione, Gesù accetta l’invito e qualche volta, non invitato, s’invita da se stesso. » Frequenta la casa dei grandi come il tugurio del povero, va a riposarsi nella villa di Lazzaro, a Magdala, come nella capanna della suocera di Pietro, il pescatore. » Accoglie, con la medesima bontà, il giovane ricco, il dotto Giuseppe d’Arimatea il mendicante cieco, seduto lungo la via e lo sventurato coperto di lebbra, che da lontano implorava la sua clemenza. » Distribuisce i suoi benefizi a tutti. Resuscita Lazzaro, suo amico; e restituisce l’orecchio a Malco, suo persecutore. Richiama alla vita la figlia del gran sacerdote Giairo, e il figlio unico della vedova di Naim. Gesù è sempre buono e cortese. » Ha qualche preferenza e la rivolge ai fanciulli, ai poveri, agli umili » (Schryvers, L’amico divino, pag. 418-1 9, Torino). – È misericordioso. L’infinita sua misericordia è la principale manifestazione della sua onnipotenza. Fu la sua misericordia, che l’indusse a lasciare il cielo per la terra, a soffrire e a morire per salvarci! Ha compassione della folla che lo segue… Attende al pozzo la Samaritana, e, dolcemente, la persuade a riconoscersi colpevole. Piange sulle sventure di Gerusalemme, su la morte di Lazzaro. Libera la Maddalena dai demoni e folgora Paolo su la via di Damasco, trasformandolo in un suo invincibile atleta. Di più: Gesù è fedele. L’ha voluto dire e confermare egli stesso: Io dò la mia vita per le pecorelle (Giov., X, 15); e: Nessuno strapperà dalle mie mani coloro che il Padre mi ha dato (Giov., X, 28). – Talora Gesù ci sembra lontano lontano, o almeno, assente. Ma non è così. Risvegliamo anche noi, come gli Apostoli sul lago di Genezareth, Gesù che ci sembra addormentato. Scuotiamo le nostre ali, eleviamo il volo, corriamo alla divina sorgente; e ripetiamo la preghiera insistente a Gesù dolce, a Gesù Amore: Dammi da bere di quell’acqua che sola può dissetarmi, ché, chi ne beve una volta non ha più sete mai.

CONCLUDENDO.

La volontà di Dio, è duplice. Comprende cioè quello che dobbiamo fare noi e quello che Dio vuole fare in noi stessi. Ci richiede, cioè, il Signore, che noi operiamo, e che operando, sottomettiamo, adattiamo noi, dolcemente, all’azione sua. Tutto, però, è sempre secondo le divine disposizioni, momento per momento. Dio si serve degli avvenimenti, delle cause seconde; per mezzo di esse ci annuncia la sua volontà. Ascoltare, accettare, eseguire queste divine disposizioni è abbandono in Dio, è unione con Dio, è vita interiore. Ma questa, è vita di abbandono, non tanto della creatura verso Dio, quanto di Dio alla creatura. « In verità è più abbandono di Dio che nostro. Abbandono significa rinuncia e sacrificio. Ora che cosa noi rinunciamo, quando ci diamo a Dio? Non solo non rinunciamo a nessun bene, ma ci arricchiamo di ogni bene e di ogni fortuna » (A. Gorrino, op. c., pag. 420.).

LA VITA INTERIORE (28)