LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (21)
Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI
con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.
Ristampa della 4° edizione – Riveduta.
LUCE DIFFUSA
LA RICONOSCENZA E IL RINGRAZIAMENTO
NEGLIGENZA INESPLICABILE.
Noi siamo soliti, almeno, a parole, dire, ripetere a sazietà, il «grazie» a chi ci fa, o sembra farci, un qualunque beneficio, o ci concede un favore, anche se insignificante. Non indaghiamo se, e fino a che punto, questi «grazie, grazie » abbiano radici nel cuore e disposizioni pratiche corrispondenti nella volontà. Tuttavia, se questo nostro sentimento di riconoscenza, questa manifestazione di ringraziamento è abbastanza comune verso i nostri simili, non lo è, purtroppo, egualmente verso Dio nostro Padre e massimo benefattore. – Il fatto fu, e lo è continuamente ancora, constatato da molti santi, da tante anime pie che se ne mostrarono, e se ne mostrano sconsolati: «se vi è cosa di cui non si sappia spiegare la completa assenza nella religione pratica della maggior parte degli uomini — dice il P. Faber (Tutto per Gesù. Torino – S.E.I., pag. 215.) — è il ringraziamento. È ben difficile esagerare la negligenza che molti dimostrano riguardo a questo dovere; si fanno certamente poche preghiere, ma si fanno meno ancora ringraziamenti. Se un milione di Pater e di Ave s’innalzano dalla terra per domandare a Dio di allontanare da noi tutti i mali e per far discendere le sue grazie, quante di queste preghiere si diranno poi per ringraziare Dio dei mali da cui ci ha liberati e delle grazie che ci ha date? Ohimé! è troppo facile trovare la causa di questa ingratitudine: alla preghiera ci spinge naturalmente il nostro interesse, ma la riconoscenza è inspirata solo dall’amore ». Il corsivo di queste ultime righe è mio; ed è per rimarcare questa dolorosa affermazione che, purtroppo, corrisponde alla realtà dei fatti!
IL DOLORE DEL CUORE DI GESÙ.
Proprio per questa mancanza di riconoscenza, dopo la guarigione miracolosa dei dieci lebbrosi, Gesù, come fedelmente san Luca (XVII, 12-17) riferisce, uscì in una espressione piena di dolore, vedendo che uno solo fra i dieci, ed era un samaritano, aveva sentito il dovere di ritornare da Lui per ringraziarlo. « E come (Gesù) stava per entrare in un villaggio, gli si fecero incontro dieci lebbrosi, che si tennero a distanza ed, elevando la voce, esclamarono: “ Gesù, Maestro, abbi pietà di noi! ’’. A quella vista Egli disse loro: Andate a mostrarvi ai sacerdoti. » E mentre vi andavano, furono guariti.
» Or, uno di essi, vedendosi guarito, tornò indietro glorificando Dio ad alta voce, e si gettò con la faccia a terra davanti ai piedi (di Gesù) a ringraziarlo; ed egli era un Samaritano.
» Prese allora a dire Gesù: Non sono stati guariti tutti e dieci? E dove sono gli altri nove? Non s’è trovato nessun’altro, che sia tornato a rendere gloria a Dio, se non questo straniero?
» E a lui soggiunse: Alzati, va’; la tua fede ti ha salvato ». Una semplice considerazione. Risalta evidente, nei lebbrosi, il contrasto tra la condotta anteriore e quella posteriore alla guarigione. Prima della guarigione, il desiderio d’essere esauditi « li rendeva ossequiosi e prudenti; stavano in distanza per timore di irritarlo (Gesù) con l’avvicinarglisi troppo…; alzavano la voce dicendo: “ Gesù, Maestro, abbi pietà di noi”. Compiuto poi il miracolo, nove di loro, pieni di una gioia egoistica, andarono a presentarsi ai sacerdoti: ma uno, “uno solo… vedendosi guarito… si prostrò al piedi di Gesù e lo ringraziò » (Faber, op. c., p. 216). Di qui la sorpresa, la meraviglia, l’afflizione del Cuore di Gesù. La riconoscenza, ch’è un dovere d’amore, era stata soffocata dall’egoismo… negli altri nove lebbrosi guariti. – A parecchi secoli di distanza, Gesù ci fa sentire ancora lo stesso lamento. Santa Matilde, in preghiera davanti al santo Tabernacolo, aveva domandato a Gesù che cosa gli piacesse di più nell’uomo, e Gesù così, benevolmente, le rispose: « Il mio più vivo piacere è ch’egli mediti con profonda riconoscenza, e ricordi sempre sempre le ingiurie che ho sofferte nei miei trentatré anni, la miseria in cui vissi, gli affronti sopportati dalle mie creature ed infine quanto soffersi in Croce morendo nella più amara ed atroce delle morti per amore dell’uomo, per redimere l’anima sua col mio prezioso Sangue e farne una sposa fedele. Vorrei che ognuno mi fosse grato per un tanto beneficio, di gratitudine tenerissima, come se tutto avessi sofferto solo per lui ». Ogni anima deve ritenere rivolto a se stessa questo invito di Gesù, ricordare queste parole, meditarle, conformare e coordinare, secondo il giusto e santo desiderio del Maestro divino, i pensieri, le parole, le opere.
IL RINGRAZIAMENTO È DOVEROSO.
Non solo per un bisogno del cuore nostro; non solo pel desiderio giustissimo e per il diritto che ne ha Gesù, ma, anche perché la riconoscenza è vivamente consigliata, suggerita, comandata dai Santi e dai Padri della Chiesa. La miglior guida, in questo, come dice il P. Faber, è l’autorità della S. Scrittura. L’apostolo Paolo scrivendo agli Efesini, dice che Noi dobbiamo rendere grazie di tutte le cose a Dio Padre in nome di Gesù Cristo (Ef., V, 20). Ai fedeli di Corinto dice: «Fratelli, sempre rendo grazia per voi al mio Dio, per la grazia di Dio che vi è stata data…» (I Cor., 1-4). E ancora: « Dobbiamo abbondare con tutta la semplicità che opera in noi, ringraziando Dio» (II Cor., IX, 11). Ecco l’ammonimento che dà ai Filippesi: « Non desiderate nulla, ma in ogni occasione esprimete il vostro desiderio a Dio con la preghiera, con le suppliche e col ringraziamento » (Filip., IV, 6). – E ai Colossesi: «Poiché avete ricevuto il Signor nostro Gesù Cristo, camminate in lui, appoggiati su di lui e edificati in lui e confermati nella fede come l’avete appreso, rendendo, per mezzo di lui grazie abbondanti » (Col., II, n). Più avanti, ancora: « Non trascurate la preghiera, ma vigilate attentamente nei vostri ringraziamenti » (Col., IV, 2). Rivolto a Timoteo, afferma che: « ogni creatura di Dio è buona, e non bisogna rifiutare nulla di ciò che si riceve con ringraziamento» (I Tim., IV, 3). Indirizzandosi ai Romani dice: « E il carattere dei Gentili era tale che, sebbene conoscessero Dio, non lo glorificavano come Dio e non lo ringraziavano » (Rom., I, 21). La lode e il ringraziamento sono la delizia più grande degli Angeli e dei Santi in Paradiso; saranno anche la nostra occupazione, per così dire, più gradita in cielo. – Nell’Apocalisse di S. Giovanni, il linguaggio degli Angeli, dei seniori e di tutte le creature viventi si riduce alle seguenti parole: Amen! Benedizione e gloria, sapienza, grazia, onore, potenza e forza al nostro Dio, in tutti i secoli! Amen. – Gesù disse a santa Brigida che il ringraziamento è uno dei fini dell’istituzione del S. Sacrificio della Messa: Il mio corpo, le disse, è ogni giorno immolato su l’altare, affinché gli uomini che mi amano si ricordino più spesso dei miei benefici. Ringraziate Dio, dice san Bernardo, e voti ne riceverete dei favori sempre più grandi. – S. Lorenzo Giustiniani, nel suo Trattato dell’obbedienza, così si esprime: «Chi volesse, egli dice, contare tutti i benefici di Dio, somiglierebbe a chi si sforzasse di racchiudere le potenti acque dell’immenso oceano in un piccolo vaso… E più avanti: Mostrate soltanto a Dio che voi siete riconoscenti di quello che vi ha dato, ed Egli verserà sopra di voi dei favori sempre più abbondanti ». – San Paolo della Croce, durante una sua grave malattia, passava le ore e i giorni nel ringraziare e lodare Dio, ripetendo sovente con particolare attenzione e devozione quelle parole del Gloria in excelsis: « Noi ti ringraziamo per la tua grande gloria ». Alla maggior gloria di Dio era la frase, la giaculatoria, il motto araldico preferito di S. Ignatio di Lojola, lasciato in eredità alla Compagnia di Gesù. – Una grande caratteristica del santo don Bosco fu la sua immensa riconoscenza: verso Dio soprattutto; per Maria SS. Ausiliatrice, che chiamava la sua Regina potente, la sua ispiratrice, e alla quale tutto solo e sempre attribuiva; pei suoi collaboratori, pei suoi benefattori, pei suoi alunni stessi, per chiunque gli avesse fatto anche il minimo benefizio… La gratitudine è l’anima della religione, dell’amore filiale, dell’amore a quelli che ci amano, dell’amore alla società umana, dalla quale ci vengono tanta protezione e tante dolcezze. Tutte le astuzie per giustificare l’ingratitudine, sono vane; l’ingrato è vile. Così il mite e grande Silvio Pellico che, per avere molto sofferto, era specialmente indicato e qualificato nel ringraziare anche per le minime attenzioni che gli si usavano.
MOTIVI DI RICONOSCENZA.
Noi dobbiamo ringraziare continuamente il Signore per tutti i suoi benefizi. Anzitutto pei suoi benefizi generali, cioè quelli che concede a tutti gli uomini indistintamente, come: la creazione, la conservazione, la redenzione, il perdono dei nostri peccati, tutte le grazie della santa umanità di Gesù, i gloriosi privilegi della Madre di Dio e tutto lo splendore degli Angeli e dei Santi. Indi, dobbiamo ringraziare il Signore per tutti i favori, pubblici e privati, che, nella sua misericordia, diede a ciascuno di noi personalmente, individualmente. Tutti i grandissimi beni dell’anima e del corpo; la grazia dei sacramenti, le sante ispirazioni, gli aiuti speciali per la nostra perfezione e santificazione. – Di più: san Giovanni Crisostomo voleva pure che si ricordassero con particolare riconoscenza i benefizi nascosti che Dio ci diede a nostra insaputa. « Il Signore, egli dice, è una sorgente abbondante di clemenza, le cui acque scorrono su di noi e intorno a noi, anche quando non lo sappiamo ». – Per questi, e per tanti altri motivi di ringraziamento, la Chiesa ci insegna il modo di manifestare a Dio la nostra gratitudine. Nel prefazio della S. Messa si trovano queste belle parole: Vere dignum et justum est… nos tibi semper et ubique gratias agere: è cosa veramente degna e giusta che noi ti ringraziamo sempre, o Signore… Sempre e ovunque, perché — in qualunque luogo — non v’è momento, che non sia un benefizio del Signore. Presso il popolo giudaico vediamo con grande ammirazione che non appena il Signore aveva concesso qualche benefizio al suo popolo, questi cantava subito un inno di lode e di ringraziamento a Dio suo massimo, insuperabile benefattore. Ci risuonano nell’anima le parole del Salmista: Quid retribuam Domino pro omnibus quæ retribuit mihi? — Che potrò io mai rendere al Signore per tutti i benefizi che ho da Lui ricevuti? — Come non ricordare, qui, il meraviglioso cantico della Vergine Santissima quando, nell’entrare in casa della cugina Elisabetta, uscì in quel meraviglioso: Magnificat anima mea Dominum? Questi esempi, questi motivi debbono indurre anche le anime nostre a cantare le glorie del Signore, a dirgli di continuo tutta la nostra più filiale riconoscenza! Questo, però, non basta. Il modo e il mezzo più bello per ringraziare Dio pei suoi benefizi, è quello di farne buon uso, servendoci dei benefizi e dei doni stessi per aumentare la sua gloria e procurare la salvezza della nostra anima.
NELLE TRIBOLAZIONI DELLA VITA.
Se, generalmente parlando, poche sono le anime che sentono e comprendono appieno la necessità del ringraziamento, della laus perennis al Creatore per tutti i favori e i benefizi da Lui ricevuti, pochissime sono, certamente, quelle che comprendono il dovere della riconoscenza, del ringraziamento a Dio per le tribolazioni, per i dolori, per le contrarietà d’ogni genere che Dio manda, o permette, alle anime. Difficilmente gli uomini ricordano che Dio è Padre, e soprattutto Padre buono, Padre tenerissimo che vuole solo il nostro bene, e che pel nostro bene tutto dispone con ordine, peso e misura. Se questo concetto fosse sempre tenuto presente dalle anime, non vi dovrebb’essere difficoltà di sorta a persuaderci della verità delle parole di Giobbe: Se abbiamo ricevuto con gioia i benefici dalla mano del Signore, perché non dovremmo accettare, egualmente, i mali che egli ci manda? «Non crediamo, dice il P. Faber (Op. cit, p. 236-7), che si esiga da noi un sacrificio troppo grande, quando ci viene raccomandato di ringraziare Dio di tutte le afflizioni, di tutte le tribolazioni a cui fummo sottoposti nel passato e che soffriamo ancora presentemente… – San Giovanni d’Avila soleva dire che un solo Deo gratias di un cuore afflitto vale più di parecchie migliaia di esclamazioni simili in mezzo alla prosperità ». « No, dice sant’Antioco, noi non possiamo dire di una persona ch’è veramente riconoscente, finché non l’abbiamo veduta ringraziare di cuore Dio in mezzo alle avversità… San Giovanni Crisostomo, nelle sue omelie su l’Epistola agli Efesini, dice che noi dobbiamo ringraziare Dio anche per l’inferno e per i tormenti che vi si soffrono, perché nulla ci aiuta tanto a dominare le nostre passioni, quanto il pensiero di quei supplizi. – Come possiamo accettare le tribolazioni?- Facciamo nostro il pensiero del Tissot (La vita interiore semplificata, pag. 288. Torino, 1913). Dobbiamo accettare le sofferenze con gratitudine, non con gioia, perché questa non dipende da noi. Da noi dipende la riconoscenza; da Dio la gioia. Come regola generale, teniamo la massima favorita di S. Francesco di Sales: nulla chiedere, nulla rifiutare. Questa massima può servire molto bene di formula alla condotta cristiana attraverso le desolazioni e le consolazioni. L’anima, poi, che vuole realmente amare Gesù e seguirlo, gli sarà altresì riconoscente per le sofferenze ch’egli ha, per noi, sopportate. – Come non ricordare, senza commuoversi intensamente, tutte le prove di amore nel dolore, nel sacrificio totale di sé, nel rinnegamento assoluto e perfetto, nella desolazione completa che Gesù volle soffrire per la redenzione delle anime nostre? Giustamente possiamo ricordare e ripetere: Tota Jesu Christi vita, crux fuit et martyrium. Non basta. Gesù dispone, nella sua infinita sapienza, che i dolori da noi sofferti con rassegnazione e per amor suo, in questa vita, siano ordinati a farci evitare le sofferenze del Purgatorio…
IL MALE DELL’INGRATITUDINE.
Per mostrare quanto grave male sia l’ingratitudine, ricordiamo ancora il dolore provato da Gesù nel vedersi comparire davanti, per ringraziarlo, soltanto uno dei dieci lebbrosi da lui beneficati e guariti. Uno solo dei dieci sentì e compì il grave dovere della riconoscenza! Presso gli uomini, l’ingrato è giudicato vile, è disprezzato, odiato, fuggito, costretto a vivere nell’isolamento e nell’abbandono. « Ma se il vizio dell’ingratitudine è odioso in faccia agli uomini, ed è da tutti giustamente condannato; tanto più lo è in faccia a Dio, e da lui perciò è severamente condannato. L’ingratitudine arresta il corso dei benefizi di Dio, dissecca la sorgente della pietà, e mette ostacoli a tutti i disegni di Dio su di noi » (Morino, Il Tesoro evangelico, III, pag. 363). Perché tanto dispiacciono a Dio gli ingrati? Perché, più col fatto che colle parole, essi dicono a Dio che non hanno più bisogno di Lui. E in seguito a tale condotta che il Signore ha fatto sentire i penosissimi lamenti verso i Giudei! … Popule meus, quid feci tibi? Aut in quo contristavi te? Responde mihi! Quia eduxi te de terra Aegypti parasti crucem Salvatori tuo! – Gli Israeliti dimostrarono ingratitudine a Mosè che in nome di Dio li aveva liberati dalla schiavitù d’Egitto; dimostrarono ingratitudine a Dio che nel deserto li aveva nutriti con la manna, cibo disceso dal cielo; dimostrarono ingratitudine per essere stati avviati alla terra promessa… Per tutti questi e per altri molti segni di ingratitudine, gli Israeliti de’ quali Dio si lamentò, furono da lui maledetti e nessuno di essi penetrò in quella terra promessa. Quante anime cristiane, già tanto beneficate da Dio, non entreranno nel regno dei cieli per la loro ingratitudine! È straziante il lamento che Dio fece sentire al suo popolo per mezzo del profeta Isaia: Udite, o cieli, e tu, o terra, ascolta: ho nutrito ed esaltati dei figli, ma essi mi hanno disprezzato. Il bue distingue il suo padrone, e il giumento la greppia del suo signore, ma il mio popolo non mi riconosce e non vuole intendermi: oh! guai a questo popolo ingrato e prevaricatore! Perché il Signore non si disgusti, non si stanchi di noi, non abbia a punirci severamente, cerchiamo di dirgli e dargli, in teoria e in pratica, tutta la nostra più viva, più sentita, più filiale riconoscenza.
LA GRATITUDINE E IL RINGRAZIAMENTO CI PORTANO ALLA SANTITÀ.
Narrano i biografi di santa Geltrude ch’ella si offerse, una mattina, durante la celebrazione della S. Messa, proprio nel momento dell’elevazione, in ringraziamento al Padre celeste per tanti benefizi da Lui ricevuti, e comprendendo poi che in quell’offerta doveva unirsi ai sentimenti del Cuore di Gesù, si prostrò con la faccia per terra e così disse al Padre Celeste: Mi offro con Gesù per tutto quello che può contribuire meglio alla vostra gloria. Appena detto questo Ebbe immediatamente la gioia sovrumana di vedere Gesù prostrato alla sua destra, e di sentire da Lui le seguenti parole: Io e quest’anima siamo una cosa sola. E subito la Santa di rimando a Gesù: « Oh Signore! anch’io sono tutta vostra ». Dice il Faber (Tutto per Ges, p.270): «Il crescere in santità non è altro che ricevere continuamente nuove grazie con le quali Dio ricompensa ciascuno degli atti con cui noi corrispondiamo alle grazie che già ci ha fatto, e noi sappiamo che nessuna cosa può attirare su di noi grazie così abbondanti o invitare Dio a versare su di noi i suoi tesori, quanto la divozione del ringraziamento ». Se la lode e il ringraziamento sono la vita degli Angeli e dei Santi e saranno la nostra occupazione nel Paradiso, il lodare e il ringraziare Dio ora, mentre siamo su la terra, nel pellegrinaggio in questa valle di lagrime, non è forse, un paradiso anticipato, e perciò l’unione nostra con Dio? – « Nulla, dice il Tissot (La vita interiore semplificata, Torino,1913), è forse così potente quanto questo ringraziamento per il progresso spirituale dell’anima; nulla porta la vita con tanta abbondanza ed impetuosità fino nelle intime fibre, poiché nulla apre così pienamente la via .a Dio. Questa sola pratica basterebbe a santificare l’anima in poco tempo; sarebbe in me la garanzia di tutte le virtù e la condizione del loro progresso ». – In breve: la riconoscenza e il ringraziamento a Dio ci fanno vivere contenti e soddisfatti di tutto nella vita cristiana; ci sorreggono nel lavorare e sopportare tutto per la gloria di Dio; ci aiutano a considerare proprio come nostri gli interessi di Gesù. Queste considerazioni vengono avvalorate dal seguente pensiero di S. Bernardo: «Il mare è origine di tutte le sorgenti e di tutti i fiumi; ma di tutte le virtù e di ogni scienza è principio Gesù Cristo: la continenza, la purezza del cuore, la rettitudine della volontà, traggono la vita da questa fonte. Pel ringraziamento questo fiume celeste ritorni al suo principio, affinché continui ad irrigare la terra». Giustamente quindi il pio autore dell’Imitazione di Cristo poté dire: « Sii dunque grato per ogni piccola cosa, e sarai fatto degno di riceverne delle maggiori » (V, 21).
Signore, che posso rendervi io, povera creatura, per tanti benefici? Che posso rendervi che non sia indegno di voi? Benché voi non abbiate bisogno dei miei beni (Salmo XV, 2) è tuttavia giusto ch’io riconosca la vostra bontà infinita verso di me.
C. MARMION.