IL SACRO TRIDUO
( P. PIO PARSCH O.S.A.: L’ANNO LITURGICO – VOL. III – IV Ed. Soc. Ed. VITA E PENSIERO, MILANO, 1949
I tre ultimi giorni della Settimana santa si chiamano spesso triduo sacro (triduum sacrum). Si possono meditare in tre modi:
a) Essi sono, anzitutto, centro e fine del tempo in preparazione alla Pasqua. La Chiesa è maestra nell’arte di condurre ad ascendere a poco a poco; dalla Settuagesima in poi, noi abbiamo seguito un continuo crescendo: prima tappa, il Tempo di Settuagesima; poi la Quaresima, nella quale abbiamo avuta una continua spinta a progredire; poi il Tempo di Passione. Un’altra tappa fu la Domenica delle palme con l’entrata nella Settimana santa. Ora entriamo nel Santo dei santi: È triduo sacro.
b) Questi tre giorni appartengono ormai alla Pasqua; poiché la morte e la Resurrezione di Cristo sono inseparabili e formano i misteri pasquali. Così noi facciamo il passaggio dalla Settimana santa alla settimana di Pasqua, quasi senza accentuarlo. La solennità del Sabato santo è già celebrazione della resurrezione e del Battesimo.
c) I tre giorni possono essere considerati come una unità; un vero triduo o trilogia, un dramma unico in tre parti: il dramma della redenzione di Cristo. Sotto questo punto di vista abbiamo già considerato anche il Mattutino. Altrettanto si può dire degli altri uffici. L’Ufficio delle tenebre accentua piuttosto la « Passione dolorosa » e i lamenti del Signore morente; mentre gli altri uffici hanno diverso contenuto ed esprimono un diverso atteggiamento dell’anima. Essi celebrano soprattutto la « Beata Passio » e hanno per oggetto l’aspetto vittorioso della redenzione di Cristo. Il Mattutino, del resto, sono di origine relativamente recente (VIII, IX secolo), mentre gli altri uffici risalgono ai tempi più antichi. – Il contenuto principale della trilogia dei Mattutini è: l’agonia, la morte di croce, la pace della tomba. Invece gli altri uffici trattano: dell’Eucaristia, del trionfo della croce, del Battesimo e della Resurrezione. In tal modo trova alimento tanto la pietà soggettiva, quanto la pietà oggettiva. Nella nostra anima si alternano la « Passione dolorosa » e la gloria della croce. – Nel Medio Evo questi tre giorni erano giorni di risoso; sospeso il lavoro, il popolo poteva tranquillamente prender parte alle sacre funzioni. I Cristiani dovrebbero comprendere che la celebrazione di queste giornate, le più ricche di sacre memorie, esige una conveniente preparazione e l’anima quieta. Purtroppo le circostanze attuali impongono, alla maggioranza, di non poter seguire appieno le cerimonie di questi giorni. In qualche regione almeno il Venerdì santo è giorno di riposo; e di ciò approfittano i parroci zelanti per la celebrazione della odierna liturgia. In ogni caso è raccomandabile il possibile per tenersi un po’ liberi in questi tre giorni. Chi può andare alla parrocchia, seguirà lì le sacre cerimonie. Le donne di casa facciano in modo di aver terminata la pulizia per la Pasqua almeno il mercoledì. Si veda nelle famiglie la buona disposizione a vivere degnamente questi giorni. I pastori di anime dovrebbero disporre l’orario delle sacre funzioni in modo da rendere possibile l’intervento anche agli uomini che sono occupati. È così triste tenere le sacre nella Chiesa quasi vuota, oppure solo davanti a vecchi e bambini.
GIOVEDI SANTO
(doppio di I classe)
Stazione a S. GIOVANNI IN LATERANO.
La passione di Gesù, il corpo di Gesù, l’amore di Gesù
Nella liturgia romana questo giorno si chiama: « La Cœna Domini, la cena del Signore », e spiega già l’avvenimento principale del giorno: l’istituzione del santissimo Sacramento durante l’ultima Cena. Mentre nel Mattutino si è considera specialmente l’agonia di Gesù nell’orto, nelle cerimonie del giorno il punto centrale è dato dall’ultima cena. Richiamiamo brevemente alla nostra memoria gli avvenimenti dell’ultima cena: al mattino Gesù manda i suoi due Apostoli prediletti Pietro e Giovanni, da Betania a Gerusalemme per preparare il primo Sacrificio della Messa. Nel tardo pomeriggio, Gesù lascia Betania, prende congedo dalla Madre, passa attraverso il monte degli ulivi; si reca nella sala del banchetto. – Dopo il tramonto del sole comincia la cena. Ecco l’ordine degli avvenimenti: 1) La cena di Pasqua (Agnello pasquale); 2) La lavanda dei piedi; 3) La denunzia del traditore; 4) L’istituzione della SS. Eucarestia; 5) Il discorso di addio e la preghiera sacerdotale. Le cerimonie si dividono in quattro parti: l) La Messa; 2) La consacrazione degli Olii santi; 3) La spogliazione degli altari; la lavanda dei piedi.
LA RICONCILIAZIONE DEI PENITENTI.
– Nel Pontificale romano c’è ancora oggi questa cerimonia commovente: che se non è più in uso, tuttavia essa può insegnarci lo spirito di penitenza, e la gioia della riconciliazione. Il Vescovo col suo clero in vesti di penitenza violacee, si ginocchia davanti all’altar maggiore e tutti recitano i salmi penitenziali e le litanie dei Santi. Intanto i penitenti attendono fuor della porta, a piedi nudi, prostrati al suolo, tenendo in mano una candela spenta. Alle prime invocazioni delle litanie dei Santi, il Vescovo manda due suddiaconi con candele accese incontro ai penitenti. I suddiaconi, sulla soglia della chiesa, alzano la mano e mostrano le loro candele accese e, davanti ai penitenti, cantano il primo messaggio di pace: l’Antifona: « Come è vero che Dio vive, io non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva ». Ciò detto, spengono i ceri e tornano dal Vescovo. Subito il Vescovo manda due altri suddiaconi incontro ai pubblici penitenti; e dalla loro bocca risuona, dalla soglia della chiesa, il secondo messaggio di pace, l’Antifona: « Il Signore dice: fate penitenza, ché il Regno dei cieli è vicino »; spente le loro candele, anch’essi tornano dal Vescovo nell’interno della chiesa. Ma ora è finita l’attesa dei penitenti. – All’Agnus Dei delle litanie, il Vescovo invia uno dei diaconi più attempati, con un cero acceso. Appena egli, ritto sulla soglia della chiesa, ha cantato l’Antifona « Alzate il vostro capo, ecco è prossima la vostra salvezza », accende con la sua le candele dei penitenti e non spegne più il cero, ma torna con esso al Vescovo che l’ha inviato. Come è ben simboleggiata nelle tre Antifone l’efficacia delle litanie dei Santi per i penitenti! Dopo il canto delle litanie segue la cerimonia della riconciliazione fatta dal Vescovo stesso. Egli lascia l’altare e si reca con tutto il clero nel mezzo della navata. Lì siede sopra una sedia senza spalliera e il clero si schiera in due file alla porta di entrata. L’arcidiacono, vestito solennemente, va verso i penitenti che stanno fuori delle porta e li chiama forte: « Fate silenzio ed ascoltate attentamente ». Si rivolge al Vescovo e gli legge un lungo discorso, nel quale allude al giorno della grazia, che sta per sorgere: « È giunto, o venerato pastore, il tempo pieno di grazia, il giorno della bontà divina e del soccorso, il giorno in cui, atterrata la morte, comincia la vita eterna. Nella vigna del Signore degli eserciti i nuovi tralci devono essere potati, per purificare i vecchi tronchi ». A queste parole il Vescovo si alza e passando attraverso le file del clero, si mette davanti al portale della chiesa. Qui egli stesso tiene un breve discorso alla schiera dei penitenti, ai quali ricorda la bontà divina e il sacrificio del perdono; annunzia loro che quanto prima saranno riammessi nella Chiesa e spiega ad essi quale dovrà essere d’or innanzi la loro vita. Dalle parole egli passa al canto: un canto di paterno invito: « Venite, venite, o figli, venite, voglio insegnarvi il timor santo del Signore ». Il diacono, che è dalla parte dei penitenti risponde: « Inginocchiamoci ». E tutti i penitenti genuflettono. Il diacono che è dalla parte del Vescovo, ordina: « Alzatevi » e ancor due volte i penitenti si inginocchiano e si alzano all’invito del diacono. È ormai prossima l’entrata della processione coi penitenti. Lentamente il Vescovo varca il portale e prende posto nell’interno della chiesa, presso il portale stesso: « Entrate e sarete illuminati; e il vostro volto non dovrà arrossire ». Subito viene intonata un’Antifona (tolta dal salmo XXXIII), che descrive la fedeltà accordata a coloro che temono il Signore. Durante questo canto i penitenti si prostrano al suolo e vi rimangono tra le lacrime finchè è terminato il salmo. Allora l’arcidiacono presenta, leggendola, al Vescovo la replica per la riconciliazione dei penitenti: « Apostolico pastore, degnati di ridar loro ciò che per le istigazioni del demonio essi avevano perduto. In forza delle preghiere e dei tuoi meriti, siano riavvicinati a Dio questi uomini, per la Grazia del perdono divino. Molto hanno sofferto per i loro traviamenti, ma ora il Signore li vuole nella terra dei viventi e possono perciò aspirare alla felicità, essendo debellato l’autore della loro morte ». Il Vescovo fa alcune domande per sapere se i penitenti siano degni del perdono e, alla risposta affermativa ha luogo il solenne ingresso nella chiesa. Ancor una volta si leva la voce del diacono: « Alzate il vostro capo » I penitenti si alzano. Il Vescovo porge la mano ad uno di loro, il quale a sua volta prende la mano del vicino e così tutti in fila, tenendosi per mano; sotto la guida del Vescovo, entrano nella chiesa. Che singolare corteo! Che magnifica impressionante scena liturgica! – Con la mano libera il Vescovo tiene il pastorale mentre i fedeli portano ceri accesi. Precede il vescovo nei paramenti violacei, seguono i penitenti nei loro lunghi sai di penitenza. È un passaggio suggestivo dalla severità alla gioia della penitenza. Il coro canta lietamente l’Antifona: « Io vi dico che gli Angeli del cielo fanno festa per un solo peccatore che si converta! ». Il Vescovo, nel mezzo della chiesa, parla ai penitenti che lo circondano e ricorda la gioia del padre per il ritorno del figliol prodigo e prosegue cantando: « Rallegrati, figlio mio, perché tuo fratello era morto ed ora vive, era perduto ed è stato ritrovato ». Ritrovato poiché ora si compie la riconciliazione. Il Vescovo canta una preghiera, nel tono del Prefazio: ricorda al Padre celeste che il Redentore è morto per sanare tutte le ferite « perché risorgiamo per la sua benignità », e supplica il Padre di perdonare i peccati degli uomini. La scena cambia d’un tratto: è il grande momento in cui viene pronunciata la sentenza di una piena riconciliazione: tutti s’inginocchiano: il Vescovo sopra un tappeto, clero e popolo sul terreno. Si intona l’Antifona « Cor mundum »: « Crea in me, o Signore, un cuore mondo e rinnova in me lo spirito di perseveranza », si cantano i salmi L (il grande Miserere), LV (la fiducia in Dio nelle stringenti necessità), LVI (la vittoria della fiducia). Quindi il Vescovo si alza e recita sopra i penitenti sei lunghe preghiere per impetrare la remissione dei peccati e finalmente impartisce l’assoluzione solenne: « Nostro Signore Gesù Cristo per mezzo mio, suo servo, vi assolva da tutti i vostri peccati, e dopo avervi assolti, vi conduca per sua misericordia nel suo Regno celeste! ». Poi egli asperge i penitenti per la prima volta rendendo loro gli onori liturgici perduti, con l’acqua benedetta, e li incensa, dicendo: « Alzatevi voi che dormite, alzatevi dalla morte e Cristo vi illuminerà! ». In chiusa egli concede loro l’indulgenza plenaria e la benedizione pontificale. E con ciò essi sono pienamente riammessi nella comunità della grazia e della vita liturgica.
2. – DELLA MESSA.
La Messa del giovedì santo ha una specialissima importanza, perché si celebra in memoria dell’ultima cena ed è oltremodo commovente e suggestivo, nello spirito della liturgia, essere partecipanti e non semplici spettatori; dobbiamo sostituirci ai discepoli che nel cenacolo erano raccolti intorno al Maestro che lavava loro i piedi e porgeva ad essi il suo Corpo e il suo Sangue. – La Messa ha una doppia intonazione: lieta e triste. Lieta: l’altare è adorno; la Croce sopra l’altar maggiore velata di bianco; i sacerdoti vengono alla Messa in bianche vesti; sì canta gioiosamente il Gloria, che manca da molto tempo. E, per l’ultima volta, tutte le campane suonano a festa, ma le campane tacciono presto in segno di dolore. Sulla festosità di questo giorno consacrato all’istituzione della SS. Eucarestia, si tende un velo di lutto, oggi può essere celebrata in ogni chiesa una sola Messa. Il sacerdote, che nel rango ecclesiastico è superiore agli altri, prende il posto di Cristo; gli altri si mettono tra i discepoli e ricevono la santa Comunione dalle mani di lui. La Messa dovrebbe essere una vera festa di famiglia, che riunisce il parroco, i soi coadiutori e tutti i fedeli — Cristo e i suoi discepoli — attorno alla tavola del Signore.
La stazione oggi è a S. Giovanni in Laterano. la vera Chiesa parrocchiale della cristianità. Così, secondo la liturgia è l’intera famiglia della Chiesa romana che si riunisce per la celebrazione dell’ultima cena. All’Introito sentiamo la fiera affermazione di Paolo: « Noi dobbiamo gloriarci della croce di Cristo… ». Tutta la felicità della redenzione si rivela al nostro sguardo. Quasi dimentichiamo la parte dolorosa della Passione per vedere solo la Resurrezione, il pensiero della quale si prolunga nella Colletta e nel Graduale (« perciò Dio l’ha esaltato ». La Messa appartiene dunque già alla solennità pasquale. – La Colletta porta due pensieri che si riferiscono alle due persone di Giuda e del buon ladrone. Il buon ladrone rappresenta i penitenti che oggi vengono riconciliati; perciò l’Offertorio parla in loro nome: « Io non morrò, ma vivrò e racconterò le opere del Signore ». Di Giuda e della sua condanna la liturgia parla in alcuni passi: nella Epistola (Cor. XI, 20-32) (almeno nell’allusione alle Comunione indegna) e nel Vangelo « quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda Iscariota il pensiero di tradirlo… ». Osserviamo il contrasto nel Canone: « Nel giorno nel quale il nostro Signore Gesù Cristo fu dato (=traditus) per noi… » nel giorno tesso « nel quale il nostro Signore Gesù Cristo commise (= « tradidit ») ai suoi discepoli la celebrazione dei suoi Misteri… ». Il Vangelo (Joan. XIII, 1-15) racconta l’atto di umiltà di Gesù che lavò i piedi agli Apostoli. È un’eloquente lezione di amor del prossimo che Egli ci dà. Le due letture sono il testamento del Maestro che si congeda: Egli ci lascia il suo corpo e il suo amore. Oggi non si dà il bacio di pace; i liturgisti del Medio Evo ne vedono la ragione nel bacio di Giuda; il vero motivo però dovrebbe essere un altro, poiché il bacio non c’è nemmeno nel Sabato santo; dunque è omesso durante tutto il rito. – Con la Comunione si collega il ricordo di ambedue le grandi prove di amore date in questo giorno dal Signore: l’Eucarestia e la lavanda dei piedi; questa ultima forma l’oggetto dell’Antifona. C’è in questo un pensiero profondo: noi non possiamo imitare la oblazione eucaristica; ma l’amore vicendevole e servizievole che si manifesta nella lavanda dei piedi, sì. Questo amore è la espressione e il compimento di quella unità con Cristo e coi fratelli che l’Eucaristia stabilisce in noi. Dopo la Messa le particelle consacrate vengono riposte in una cappella a parte; e questo vuol dirci: lo sposo è portato via; la Chiesa è vuota! Il pensiero della Chiesa primitiva era diverso, la processione con le particole consacrate che rimanevano dopo ogni Messa, veniva ripetuta ogni giorno, poiché la Eucaristia non era conservata, come oggi, nelle chiese. La chiesa non resta vuota, Cristo è presente, raffigurato nell’altare e la Casa di Dio è l’abitazione augusta della SS. Trinità!
3. CONSACRAZIONE DEGLI OLII. SANTI.
– È raro poter assistere alla cerimonia della consacrazione degli Olii santi, poiché si fa solo nelle chiese cattedrali dove officina il Vescovo. Per Pasqua la materia di tutti i sacramenti deve essere rinnovata; e poiché alla vigilia occorrono già gli Olii santi per la benedizione del fonte battesimale, così il Vescovo li consacra oggi.
Sappiamo che ci sono tre specie di Olii nella Chiesa. L’olio per l’estrema Unzione, l’Olio per i catecumeni e il sacro Crisma.
L’Olio dei catecumeni si adopera per la benedizione del fonte battesimale, per l’amministrazione del Battesimo, per la consacrazione dei sacerdoti e per quella degli altari. – Il sacro Crisma è il più santo tra tutti gli Olii, perché è, in certo senso, tramite dello Spirito Santo; si adopera nel Battesimo, nella Cresima, nella consacrazione episcopale, in quella delle chiese, dei calici, delle patene e delle campane. La consacrazione degli Olii santi si compie in modo solennissimo. Secondo l’uso antico vi partecipano dodici sacerdoti, sette diaconi, e sette suddiaconi, cioè i rappresentanti di tutti gli Ordini maggiori. In primo luogo si benedice l’Olio per l’estrema Unzione e precisamente alla fine del canone della Messa, prima del Pater Noster, nella stesso punto in cui, nel tempo antico, si benedicevano le offerte non consacrate; gli altri due Olii vengono benedetti dopo la Comunione. L’efficacia di questi Oli è espressa nelle preghiere della benedizione. L’Olio dei catecumeni serve di « purificazione dell’anima e del corpo » e deve sgominare l’influenza delle dodici potenze infernali. – Il sacro Crisma porta la grazia e la santificazione. Dove prende il suo nome da Cristo, che vuole dire Unto; è l’Olio dei sacerdoti, dei re, dei profeti, dei martiri; per mezzo del sacro Crisma i fedeli « vengono investiti della dignità regale, sacerdotale e profetica e rivestiti col manto della Grazia incorruttibile ».
4. LA SPOGLIAZIONE DEGLI ALTARI. –
Dopo la Messa si spogliano gli altari; cioè si tolgono le tovaglie e perfino le reliquie. Quest’uso nei tempi antichi era quotidiano, poiché allora si considerava l’altare come la tavola, che si copre solo per il banchetto, come si fa per la mensa nelle case private. Questo uso antico si è conservato nella Settimana santa, insieme ad altri dell’antica Chiesa, in memoria della Passione del Signore. L’altare è figura di Cristo. La spogliazione dell’altare allude alla spogliazione di Cristo prima della sua crocifissione, perciò durante la cerimonia si canta il salmo XXI, col ritornello: « Si sono divise le mie vesti e tirarono a sorte la mia tunica ». Il salmo XXI è il salmo messianico della Passione, nel quale Davide contempla l’abbandono di Gesù sulla croce. La Chiesa, spoglia di ogni ornamento, dà oggi l’impressione della desolazione e della solitudine. Il S. Sacrificio si interrompe fino alla resurrezione del Signore.
5. LA LAVANDA DEI PIEDI.
– Nelle chiese cattedrali e in quelle dei monasteri si conserva un uso venerando che negli antichi tempi non era limitato al solo Giovedì santo: la lavanda dei piedi; cerimonia chiamata anche « mandatum » cioè comando del Signore. Mentre il Vescovo o l’Abate lava i piedi a dodici vecchi (o a dodici fanciulli), il coro canta un bellissimo inno all’amor del prossimo: Dove c’è l’amore e la carità fraterna, ivi è Dio; / rallegriamoci e giubiliamo in lui. / Temiamo e amiamo Dio, che è vita / e amiamoci scambievolmente con cuore puro ». C’è in questo canto un senso di freschezza, di pace, di amabilità, di serenità ingenua. È veramente il canto dei figli di Dio, della famiglia di Dio unita nella carità. La lavanda dei piedi non deve essere considerata come uno spettacolo qualunque, ma deve darci insegnamenti per la nostra vita. Abbiamo visto che una parrocchia potrebbe, in questo giorno offrire il pranzo a dodici dei suoi poveri più anziani e che gli uomini più autorevoli potrebbero servirli, oppure i singoli fedeli potrebbero invitare un povero alla loro mensa e mentre mangi leggergli il Vangelo della lavanda dei piedi e parlargli dell’amore del prossimo. – L’Ufficio divino del Giovedì santo può essere riassunto in tre parole: il corpo di Gesù, la passione di Gesù, l’amore di Gesù.
6. DAL MATTUTINO DEL VENERDI’ SANTO.
– La seconda parte della trilogia e il punto culminante di essa, è il Mattutino del venerdì santo. Potremmo chiamarlo: la morte di Cristo sulla croce. Quantunque l’azione non si svolga in ordine cronologico, possiamo stabilire come scena centrale Gesù pendente dalla croce e considerare le altre scene di questo giorno come figure e ricordi che passano davanti allo sguardo del Salvatore crocifisso. I sentimenti espressi nel Mattutino scelti tra i salmi più cupi e desolati del Salterio sono profondamente tristi; le Lamentazioni sembrano voler accrescere il dolore; altrettanto tristi, quanto belli, sono i Responsori.
Rappresentiamoci il Signore in croce e ascoltiamo le espressioni del suo affetto e del suo dolore: ora è l’abbandono senza conforto; ora il lamento desolato; pensiamo alle scene dei giorni trascorsi o della sera precedente che Egli rievoca.
Rileviamo i passi più belli del Mattutino:
Al primo Notturno comincia il combattimento dei Giudei e dei Gentili contro Dio e il suo Cristo (salmo Il). Poi vediamo la divina vittima sulla croce: « Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? ». Cantiamo il salmo messianico XXI: « Si sono divise le mie vesti tra loro e tirarono a sorte la mia tunica ». Questo canto è uno dei passi più importanti del Mattutino. Segue un salmo di calma fiducia, il quale esprime i sentimenti dell’anima del Signore in mezzo all’angoscia mortale: « Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; di che temerò? ». – Nelle letture vediamo la sposa disonorata: « A chi ti paragonerò, a qual cosa ti somiglierò, o figlia di Gerusalemme?… poiché grande come il mare è il tuo dolore ». La liturgia spiega di nuovo una scena del Golgota: « il velo del Tempio si squarciò, e tutta la terra tremò; gridò il ladrone dalla croce: ricordati di me, o Signore, quando sarai giunto nel tuo regno. Le rupi si spezzarono e si aprirono i sepolcri, molti corpi di santi, che erano addormentati, risorsero ». Nella terza lettura ecco l’Uomo dei dolori, Cristo: « Io sono l’Uomo che conosce la miseria sotto la verga dell’ira. Mi ha trascinato e condotto nelle tenebre e non nella luce ».
Nel secondo Notturno recitiamo il salmo della flagellazione XXXVII: « Non c’è parte sana nella mia carne a cagione dell’ira tua; non hanno pace le mie ossa a causa dei mici peccati ». Nulla è così commovente come la preghiera di Crito sulla croce (salmo XXXIX). –
Nelle lezioni ascoltiamo nuovamente S. Agostino che applica il salmo LXIII alla Passione di Cristo. Il quinto Responsorio, a metà del Mattutino, descrive la morte delSignore. – Nel terzo Notturno il salmo LXXXVII, profondamente triste, ci mette davanti al punto culminante del dramma: « La mia anima è piena di dolori e presso al sepolcro è la mia vita ». – Le lezioni portano un pensiero affatto nuovo: Cristo è il nostro eterno Pontefice che sull’altare della croce compì il suo Sacrificio unico, il sacrificio perfetto perché ad un tempo Egli fu sacerdote e vittima. – L’ultimo Responsorio mostra il quadro finale: Cristo all’estremo dei suoi dolori:
« Si sono offuscati i miei occhi nel pianto, poiché s’è allontanato da me colui che mi consolava. Mirate, o popoli tutti, se vi è dolore simile al mio dolore ».