VITA E VIRTÙ CRISTIANE (Olier) 10

VITA E VIRTÙ CRISTIANE (10)

GIOVANNI G. OLIER

Mediolani 27-11 – 1935, Nihil obstat quominus imprimetur. Can. F. LONGONI

IMPRIMATUR: In Curia Arch.Mediolani die 27 – II – 1935 F. MOZZANICA V. G.

CAPITOLO VII

Della virtù di penitenza

VI.

Preghiere e affetti di penitenza.

Questo pure, mio Dio e mio Padre, ardisco chiedervi con le parole medesime di Gesù Cristo, che morendo su la Croce esprime il desiderio di soffrire ancora in noi per dilatare le sue pene, prolungare la sua penitenza, farvi così in perpetuo ammenda onorevole e darvi una soddisfazione continua in mezzo alla vostra Chiesa. Perciò, grande Iddio, prostrato ai vostri piedi, mi sottometto ad ogni vostra giustizia, a tutte quelle pene e vendette cui vorrete sottopormi. E in attesa che vi piaccia darmi qualche penitenza, accetterò tutte quelle che, per mio onore, mi saranno da Voi imposte a mezzo della vostra Chiesa e delle persone che hanno diritto d’umiliarmi e di assoggettarmi ai rigori della penitenza. E tutto ciò in unione col vostro diletto Figlio, l’unico e universale penitente della Chiesa. Signor mio Gesù, che vivete in me col vostro spirito onde terminare di soffrire tutte quelle pene e quella penitenza che eravate disposto a portare durante la vostra vita per la gloria del Padre vostro, se fosse stato il suo beneplacito; fatemi questa grazia che, usando della potenza del vostro spirito in me, io sia animato in tutte le mie azioni dalle disposizioni di una vera penitenza; fate che io non perda mai la vista dei miei peccati, perché non posso averla che nella luce della vostra sapienza, la quale ai peccatori, come in uno specchio tersissimo, fa vedere le macchie delle loro anime. Fate inoltre, o mio Signore e mio Dio, che essendo riempito di confusione per l’enormità delle mie colpe, non compaia mai senza vergogna, per la mia orribile deformità, sia al cospetto della Maestà del Padre vostro, sia davanti ai suoi santi altari, sia nella preghiera come in tutte le sante pratiche e i santi ministeri. Fate ancora che non ardisca di comparire senza confusione in mezzo ai santi Sacerdoti ed ai Cristiani miei maestri, stimandomi indegno della loro società e tenendomi in ispirito ai loro piedi oppure lontano da essi. Tali pure siano le mie di posizioni riguardo a me stesso e che rimanga continuamente confuso ed annientato in me stesso, non osando pensare a me che con orrore e spavento, stimandomi meno di un verme della terra, più vile che i rifiuti del mondo; riputandomi indegno di prendere il mio cibo e le altre cose per il sostentamento della mia vita. indegno anzi della vita stessa, non prenda mai senza rincrescimento ciò che è necessario per conservarmela.

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Adorabile mio Signore, per le lacrime che avete versate sopra Gerusalemme, vale a dire sopra tutti i peccati della Chiesa; per quelle lacrime che sul Calvario, avete versato nella santa contrizione che avete continuamente sentita per i miei peccati sopra i quali avete pianto, come su Lazzaro, in un fremito che indicava l’emozione che essi causavano nel vostro spirito: vi chiedo la grazia di piangerli ogni giorno della mia vita, e di vivere in un amaro dolore di averli commessi. Ch’io viva nell’orrore di tutto me stesso come pure di ogni sentimento peccaminoso che insorga in me! Ch’io combatta e crocifigga tutte le mie inclinazioni naturali, tutti i miei sensi interni ed esterni, e tutte le passioni disordinate dell’anima mia!

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Infine o mio Dio, per quel grido che la forza e il fervore del vostro Spirito penitente vi fecero emettere sulla Croce, nell’abbandono dell’anima vostra alla vendetta del Padre e a quell’orribile giudizio che dovevate subire sopra di Voi stesso, vi domando la grazia di vivere, come Voi, abbandonato al rigore del giudizio e della giustizia del Padre vostro sopra i miei peccati. Fin d’ora accetto tutta quella crocifissione che vi compiacerete di ordinare per me nella vita presente.

1° In unione con la vostra povertà e nudità su la croce, e con l’abbandono da parte delle creature che allora avete sofferto e per onorare questa vostra pena, mi abbandono a tutta la povertà alla quale potrò mai essere ridotto, sia per qualche ordine aspro della divina Provvidenza e della sua santa giustizia, come per la noncuranza o la cattiveria da parte delle creature.

2° In unione coi disprezzi, con le ingiurie, con gli obbrobri che avete sofferti sul Calvario e per rendere onore a queste umiliazioni, mi abbandono, in pena dei miei peccati, a tutte le calunnie, derisioni, confusioni e ignominie che potranno mai accadermi.

3° In unione coi dolori con cui vi siete meritato quel bel nome di uomo dei dolori «Virum dolorum » (Isa. LIII, 3) e per onorarli, mi abbandono pure alle sofferenze, malattie, infermità, agonie ed infine alla morte medesima, ultimo supplizio del peccato In unione con la vostra morte così penosa e ignominiosa, accetto, in castigo dei miei peccati, qualsiasi tormento, qualsiasi pena, qualsiasi genere di morte che vi piacerà di farmi soffrire.

4° In unione e in onore dell’abbandono interiore che avete sofferto da parte del Padre vostro, e di tutte le vostre pene interiori, mi abbandono al Padre vostro per soffrire tutte quelle pene di cui vorranno onorarmi la sua santità e la sua giustizia; dolente di non aver usato bene sinora delle sue sante visite. Oh! se ora mi fosse dato ancora di soffrirle in soddisfazione dei miei delitti, quanto mi riterrei fortunato di presentarvele per l’amore e la gloria del Padre vostro! E per quanto riguarda l’uomo vecchio che vive in me, che sta tutto nel peccato come pur troppo riconosco, ed è stato attaccato alla Croce con Voi (Rom. VI, 6), adorabile nostro Capo, sotto il vostro esterno di peccato: prometto a Dio, davanti a Voi, o mio Gesù, di tenerne tutte le membra crocifisse e incatenate sulla Croce; protesto di non voler lasciar a queste membra nessuna libertà di operare secondo la loro malizia, ma di fare ogni sforzo, al contrario, per annientarne gli atti perversi affinché solo dallo spirito siano riempite e vivificate, e mi servano solo per compiere opere sante. Le nostre membra non sono più di Adamo ma di Gesù Cristo, che è venuto a consacrarle e santificarle con la presenza del suo Spirito, per muoverle e dirigerle alla gloria di Dio. Noi siamo trasferiti, dice S. Giovanni, dalla morte nella vita. Non apparteniamo più a noi, soggiunge S. Paolo, perché siamo stati redenti col prezzo di un sangue prezioso, affinché coloro che vivono non vivano già per sé, ma per Colui che è morto e risuscitato per essi (I Joann., III, 14, – I. Cor. V, 19, 20; – Il Cor., V, 18).

VII.

Frutti ed effetti della vera penitenza.

1. Lo Spirito Santo rende l’anima partecipe del suo odio contro la carne. – 2. Dio riprende il suo posto nell’anima e se ne appropria. – 3. Se l’anima diventa Sposa di Dio, ripara lo sfregio orribile fatto dal peccato allo Spirito Santo e, trasformata nella natura divina, vive in Dio.

I primi sentimenti che lo Spirito Santo produce in noi, in seguito alle virtù teologali, sono quelli di religione riguardo a Dio e di penitenza riguardo a noi stessi. Dopo di averci fatto conoscere ed amare Iddio con la fede, la speranza e la carità, il suo primo effetto è di applicarci ai doveri di rispetto e di sottomissione verso la divina Maestà, nei quali consiste la religione; poi sentimenti di orrore, di avversione, di riprovazione e di distruzione del peccato, della nostra carne e di noi stessi, ciò che chiamasi penitenza.

1. Quando lo Spirito abita in noi in pienezza; quando diventa re della nostr’anima; quando l’ha separata da sé medesimo e dai propri interessi, che l’ha tirata dalla sua parte, convertita e ridotta ad essere una cosa sola con se stesso, la sua prima operazione è di renderla partecipe del suo zelo, del suo odio, del suo orrore contro la carne e contro essa medesima in quanto è forma e amica della carne. Così, lo Spirito Santo è il padre della penitenza e l’anima ama la penitenza nella misura in cui vive nello Spirito Santo, perché tanto più è animata da zelo contro sè stessa quanto più è passata nella natura di Lui. (I. Cor. VI, 17)

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2. Allora si vede un Dio vittorioso in noi, veramente vittorioso dell’amor proprio e di noi medesimi: un Dio che eleva l’anima alla vera estasi, tirandola fuori di sé stessa mediante la sua divina virtù per farla entrare in sé medesimo e nei suoi interessi; Dio si appropria l’anima in tal modo che essa passa in Lui, dimentica tutto ciò che è in sé medesima e ciò che vorrebbe, se appartenesse ancora a sé. Dimodoché l’anima dimenticando completamente sé stessa e tutti i suoi propri interessi, abbandona tutti i suoi primitivi sentimenti; perduta nell’amore di Dio e passata in Dio contro sé stessa, diventa una stessa cosa e uno stesso spirito con Lui.

3. Appropriata così a Dio, l’anima diventa sposa di Dio e totalmente aliena dalla sua prima aderenza alla carne. Prima, essa era una medesima cosa con la carne che vivificava, ne amava gli interessi, ne assecondava i sentimenti e i desideri; ora invece, essendone interamente separata, tende a Dio nel suo intimo amore, s’investe degli interessi di Dio, delle inclinazioni, dei sentimenti e della vita di Dio, mentre non ha più che odio, opposizione e avversione contro la carne. – L’anima che è amica della carne ha desideri contrari allo Spirito (Tutte queste espressioni di G. Olier significano che lo Spirito Santo unisce intimamente a sé l’anima penitente e fa sì che essa si distacchi da sé medesima per darsi a Lui e rendergli gloria.), quindi è contraria a Dio, rivolgendo tutti i suoi desideri verso le creature e verso tutto ciò che dà gusto e soddisfazione alla carne. Ed è cosa miserabile questo voler obbligare lo Spirito a mettersi dalla nostra parte; è segno che la sua azione in noi è debolissima e che la carne lo ha vinto, costringendolo ad aver compassione della nostra delicatezza. In tal case lo Spirito in noi è come un Dio in fasce, un Dio bimbo e infermo, un Dio nella debolezza: allora si vede la carne tutta trionfante nella sua dominazione. Una tale inferiorità è più ignominiosa per lo Spirito Santo che se Egli non fosse in noi; perché se fosse assente, almeno non soffrirebbe un simile affronto: il suo nemico, è vero, trionferebbe, ma almeno senza combattere; la carne sarebbe meno gloriosa nel suo trionfo. Ma, avere un Dio presente, eppure trionfarne, calpestarlo, impedirgli di superare il proprio schiavo, anzi tenergli il piede sulla gola, è cosa spaventevole; è ciò che S. Paolo chiama: contristare lo Spirito Santo; è questo fare allo Spirito di grazia la più villana delle ingiurie (Ephes., IV, 30 – Hebr, X, 29). L’anima invece che è amica e sposa di Dio, cerca gl’interessi di Dio e non desidera che d’inabissarsi interamente in Lui. Dimodoché investendosi della natura della divinità, essa diventa nemica e vendicatrice di sé stessa, partecipando a quel fuoco divino che in essa opera i medesimi effetti di quello della fornace di Babilonia, il quale divorava i carnefici che lo alimentavano. La fiamma li investiva ed essi non avevano nemico peggiore di quel fuoco che i medesimi avevano acceso. – L’anima che vive in Dio, respinge e condanna continuamente la propria carne; esce dal suo Dio, simile ad un tizzone ardente; e in quella guisa che il tizzone, avendo preso la natura del fuoco, abbrucia, ciò che il fuoco medesimo abbrucerebbe, così anima trasformata in Dio che è un fuoco consumante, divora e distrugge il peccato, diventando ardente ed infiammata di zelo contro la carne e contro il peccato il quale abita nella carne. Così, secondo la misura dell’odio che l’anima porta a sé stessa, della riprovazione che fa della propria carne e dell’orrore che nutre verso il peccato, si deve giudicare della misura in cui lo Spirito di Dio sia stabilito e potente in essa; perché in verità, questo divino Spirito è padrone in noi nella misura in cui la carne gli è sottoposta; l’anima pure è trasformata nella natura di Dio nella misura in cui essa odia sé stessa (Odiando sé stessa, la sua carne e le cattive inclinazioni della nostra natura corrotta dal peccato, l’anima diventa sempre più unita a Dio ed acquista con Lui maggiore somiglianza soprannaturale.). Estasi felice quella che mette l’anima in un tale stato permanente di rinuncia a sé medesima: le fa dimenticare e trascurare ogni suo interesse e il suo essere proprio; la mantiene in tale stato di morte a sé stessa, in un tale trasporto e in una tale consumazione in Dio, che essa rovina e distrugge sé medesima, senza risentirne, ovvero, se ne risente, non tralascia perciò di annientarsi perfettamente. Beata quell’anima che, investita della vita e dello zelo di Dio, non ha più nulla che sia rivolto a sé medesimo, né pensiero. Né stima, né volontà, né inclinazione, né movimento, ma vive sempre in Dio senza mai uscirne! Una tale estasi, quanto è differente da quelle estati passeggere che momentaneamente trasportano l’anima in Dio con un rapimento di gioia e di consolazione! Passati questi rapimenti momentanei, la carne rimane ancora integra, col suo desiderio di essere ricercata, adulata, accarezzata; dimodoché facilmente l’anima ritorna al suo amor proprio e al desiderio del proprio interesse e spesso non ritiene nulla di ciò che Dio sovranamente desidera; perché ciò che Dio desidera è l’annientamento della creatura, l’annientamento della ricerca di noi stessi e della inclinazione che ci porta alla propria soddisfazione e alla pienezza di noi medesimi.

VITA E VIRTÙ CRISTIANE (Olier) 11