UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO X -“LAMENTABILI SANE EXITU”

Questo decreto della Sacra Congregazione dell’Indice, sottoscritto da S.S. Pio X, quindi parte integrante del suo Magistero Ordinario Universale, stroncava allora i modernisti “novatori” che tentavano la demolizione progressiva dei principii dottrinali della Chiesa Cattolica, per assimilarla al protestantesimo, in vista della sua inevitabile distruzione (se fosse mai possibile!), e stronca i neo modernisti attuali del novus ordo postconciliare, specie se riletto insieme all’Enciclica del Santo Padre Pio XII, l’Humani generis che segnalava il ritorno di un modernismo mutato nella pelle, ma non nella sostanza, anzi ancor più sottile ed accanito di quello denunciato ad esempio dalla Pascendi Dominici Gregis, o dal Syllabo di S. S. Pio IX. Tutte le proposizioni eretiche ed anticattoliche denunciate, condannate e riprovate da questi documenti, sono oggi, più o meno velatamente enunciate, anzi attualmente senza vergogna affermate ipocritamente nella falsa chiesa dell’uomo, preparata da secoli dall’infiltrazione – lenta ma continua – di una quinta colonna della sinagoga di satana, esplosa poi con il conciliabolo c. d. Vaticano secondo – condannato mezzo millennio primo dalla bolla Execrabilis da S. S. Pio II, come sovversivo del Magistero apostolico – e poi sfociato nell’attuale melma liturgica, sacramentale e dottrinale postconciliare, vera fogna di tutte le eresie contenute nella c. d. Nouvelle theologie, parte integrante della nuova falsa chiesa dell’anticristo, capeggiata dai due apostati-marrani araldi di lunga data dell’anticattolicesimo, vere ruspe spazzacristianesimo (si fieri potest!). I frutti di questi lupi travestiti (… e pure in modo maldestro), sono sotto gli occhi di tutti coloro che hanno appena le palpebre socchiuse: Una società totalmente paganizzata e priva di ogni valore e virtù cristiani, ribellione in ogni settore a Dio e alla sua legge, anche naturale, asservimento completo ad ideologie un tempo demoniache, oggi definite democratiche e progressiste. Ma lasciamo perdere, inutile sprecare tempo e tastiera, leggiamo queste proposizioni condannate in eterno ed infallibilmente da S. S. Pio X, cercando di evitarle scrupolosamente tutte, per non finire nello stagno di fuoco serbato agli adepti delle eresie, degli scismi e delle apostasia, in attesa che la Vergine Maria porti al trionfo la vera unica Chiesa di Cristo guidata dal suo legittimo Vicario in terra. Et IPSA conteret caput tuum…

S.S. SAN PIO X

“LAMENTABILI SANE EXITU”

“SUL PERICOLO COSTITUITO DA CERTI ESEGETI CHE, CON L’APPARENZA DI INTELLIGENZA E COL NOME DI CONSIDERAZIONE STORICA, CORROMPONO LA DOTTRINA”

SUPREMA SACRA INQUISIZIONE ROMANA ED UNIVERSALE

Con deplorevoli frutti, l’età nostra, impaziente di freno nell’indagare le somme ragioni delle cose, non di rado segue talmente le novità, che, lasciata da parte, per così dire, l’eredità del genere umano, cade in errori gravissimi. – Questi errori sono di gran lunga più pericolosi qualora si tratti della disciplina sacra, dell’interpretazione della Sacra Scrittura, dei principali misteri della Fede. È da dolersi poi grandemente che, anche fra i Cattolici, si trovino non pochi scrittori i quali, trasgredendo i limiti stabiliti dai Padri e dalla Santa Chiesa stessa, sotto le apparenze di più alta intelligenza e col nome di considerazione storica, cercano un progresso dei dogmi che, in realtà, è la corruzione dei medesimi. Affinché dunque simili errori, che ogni giorno si spargono tra i fedeli, non mettano radici nelle loro anime e corrompano la sincerità della Fede, piacque al Santissimo Signore Nostro Pio per divina Provvidenza Papa X, che per questo officio della Sacra Romana ed Universale Inquisizione si notassero e si riprovassero quelli fra di essi che sono i precipui. Perciò, dopo istituito diligentissimo esame e avuto il voto dei Reverendi Signori Consultori, gli Eminentissimi e Reverendissimi Signori Cardinali Inquisitori generali nelle cose di fede e di costumi, giudicarono che le seguenti proposizioni sono da riprovarsi e da condannarsi, come si riprovano e si condannano con questo generale

Decreto:

1. La legge ecclesiastica che prescrive di sottoporre a previa censura i libri concernenti la Sacra Scrittura non si estende ai cultori della critica o dell’esegesi scientifica dei Libri dell’Antico e del Nuovo Testamento.

2. L’interpretazione che la Chiesa dà dei Libri sacri non è da disprezzare, ma soggiace ad un più accurato giudizio e alla correzione degli esegeti.

3. Dai giudizi e dalle censure ecclesiastiche, emanati contro l’esegesi libera e superiore, si può dedurre che la fede proposta dalla Chiesa contraddice la storia, e che i dogmi cattolici in realtà non si possono accordare con le vere origini della religione cristiana.

4. Il magistero della Chiesa non può determinare il genuino senso delle sacre Scritture nemmeno con definizioni dogmatiche.

5. Siccome nel deposito della fede non sono contenute solamente verità rivelate, in nessun modo spetta alla Chiesa giudicare sulle asserzioni delle discipline umane.

6. Nella definizione delle verità, la Chiesa discente e la Chiesa docente collaborano in tale maniera, che alla Chiesa docente non resta altro che ratificare le comuni opinioni di quella discente.

7. La Chiesa, quando condanna gli errori, non può esigere dai fedeli nessun assenso interno che accetti i giudizi da lei dati.

8. Sono da ritenersi esenti da ogni colpa coloro che non tengono in alcun conto delle riprovazioni espresse dalla Sacra Congregazione dell’Indice e da altre Sacre Congregazioni Romane.

9. Coloro che credono che Dio è l’Autore della Sacra Scrittura sono influenzati da eccessiva ingenuità o da ignoranza.

10. L’ispirazione dei Libri dell’Antico Testamento consiste nel fatto che gli Scrittori israeliti tramandarono le dottrine religiose sotto un certo aspetto particolare in parte conosciuto e in parte sconosciuto ai gentili.

11. L’ispirazione divina non si estende a tutta la Sacra Scrittura al punto che tutte e singole le sue parti siano immuni da ogni errore.

12. L’esegeta, qualora voglia affrontare con utilità gli studi biblici, deve, anzitutto, lasciar cadere quel certo qual preconcetto inerente l’origine sovrannaturale della Sacra Scrittura.

13. Gli stessi Evangelisti e i Cristiani della seconda e terza generazione composero le parabole evangeliche in modo artificioso così da spiegare gli esigui frutti della predicazione di Cristo presso i giudei.

14. Gli Evangelisti riferirono in molte narrazioni non tanto ciò che effettivamente accadde, quanto ciò che essi ritennero maggiormente utile ai lettori, ancorché falso.

15. Gli Evangeli furono soggetti a continue aggiunte e correzioni, fino alla definizione e alla costituzione del canone; in essi, pertanto, della dottrina di Cristo, non rimase che un tenue e incerto vestigio.

16. I racconti d Giovanni non sono propriamente storia, ma mistica contemplazione del Vangelo; i discorsi contenuti nel suo Vangelo sono meditazioni teologiche sul Mistero della Salvezza, destituite di verità storica.

17. Il quarto Evangelo esagerò i miracoli, non solo perché apparissero maggiormente straordinari, ma anche affinché fossero più adatti a significare l’opera e la gloria del Verbo Incarnato.

18. Giovanni rivendica a sé il ruolo di testimone di Cristo; in verità egli non è che un eccellente testimone di vita cristiana, ovvero della vita di Cristo alla fine del primo secolo.

19. Gli esegeti eterodossi espresso più fedelmente il vero senso della Scrittura di quanto non abbiano fatto gli esegeti cattolici.

20. La Rivelazione non poté essere altro che la coscienza acquisita dall’uomo circa la sua relazione con Dio.

21. La Rivelazione, che costituisce l’oggetto della Fede cattolica, non si è conclusa con gli Apostoli.

22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non sono verità cadute dal cielo, ma l’interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana si è data con travaglio.

23. Può esistere, ed esiste in realtà, un’opposizione tra i fatti raccontati dalla Sacra Scrittura ed i dogmi della Chiesa fondati sopra di essi; sicché il critico può rigettare come falsi i fatti che la Chiesa crede certissimi.

24. Non dev’essere condannato l’esegeta che pone le premesse, cui segue che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non neghi direttamente i dogmi stessi.

25. L’assenso della Fede si appoggia da ultimo su una congerie di probabilità.

26. I dogmi della Fede debbono essere accettati soltanto secondo il loro senso pratico, cioè come norma precettiva riguardante il comportamento, ma non come norma di Fede.

27. La Sacra Scrittura non prova la Divinità di Gesù Cristo; ma è un dogma che la coscienza cristiana deduce dal concetto di Messia.

28. Gesù, durante il suo Ministero, non parlava per insegnare di essere il Messia, né i suoi miracoli miravano a dimostrarlo.

29. Si può ammettere che il Cristo storico sia molto inferiore al Cristo della Fede.

30. In tutti i testi evangelici, il nome “Figlio di Dio” equivale soltanto a nome “Messia” e non significa assolutamente che Cristo è vero e naturale Figlio di Dio.

31. La dottrina su Cristo, tramandata da Paolo, Giovanni e dai Concili Niceno, Efesino e Calcedonense, non è quella insegnata da Gesù, ma che su Gesù concepì la coscienza cristiana.

32. Non è possibile conciliare il senso naturale dei testi evangelici con quello che i nostri teologi insegnano circa la coscienza e la scienza infallibile di Gesù Cristo.

33. È evidente a chiunque non sia influenzato da opinioni preconcette che Gesù ha professato un errore circa il prossimo avvento messianico, o che la maggior parte della sua dottrina, contenuta negli Evangeli sinottici, è priva di autenticità.

34. Il critico non può affermare che la scienza di Cristo non sia circoscritta da alcun limite, se non ponendo ipotesi – non concepibile storicamente e che ripugna al senso morale – secondo la quale Cristo abbia avuto la conoscenza di Dio in quanto uomo e non abbia voluto in alcun modo darne notizia ai discepoli e alla posterità.

35. Cristo non ebbe sempre la coscienza della sua dignità messianica.

36. La Risurrezione del Salvatore non è propriamente un fatto di ordine storico, ma un fatto di ordine meramente sovrannaturale, non dimostrato né dimostrabile, che la coscienza cristiana lentamente trasse dagli altri.

37. La Fede nella Risurrezione di Cristo inizialmente non fu tanto nel fatto stesso della Risurrezione, quanto nella vita immortale di Cristo presso Dio.

38. La dottrina concernente la Morte espiatrice di Cristo non è evangelica, ma solo paolina.

39. Le opinioni sull’origine dei Sacramenti, di cui erano imbevuti i Padri tridentini, e che senza dubbio ebbero un influsso nei loro Canoni dogmatici, sono molto distanti da quelle cui ora gli storici del Cristianesimo dànno credito.

40. I Sacramenti ebbero origine perché gli Apostoli e i loro successori interpretarono una certa idea e intenzione di Cristo, sotto la persuasione e la spinta di circostanze ed eventi.

41. I Sacramenti hanno come unico fine di ricordare alla mente dell’uomo la presenza sempre benefica del Creatore.

42. La comunità cristiana inventò la necessità del Battesimo, adottandolo come rito necessario e annettendo ad esso gli obblighi della professione cristiana.

43. L’uso di conferire il Battesimo ai bambini fu un’evoluzione disciplinare, ragion per cui il Sacramento è diventato due, cioè il Battesimo e la Penitenza.

44. Nulla prova che il rito del Sacramento della Confermazione sia stato istituito dagli Apostoli; la formale distinzione di due Sacramenti, cioè del Battesimo e della Confermazione, non risale alla storia del cristianesimo primitivo.

45. Non tutto ciò che narra Paolo a proposito dell’istituzione dell’Eucaristia [I Cor., 11, 23-25] è da considerarsi fatto storico.

46. Il concetto della riconciliazione del Cristiano peccatore, per autorità della Chiesa, non fu presente nella comunità primitiva: fu la Chiesa ad abituarsi lentamente a questo concetto. Per di più, dopo che la Penitenza fu riconosciuta quale istituzione della Chiesa, non veniva chiamata col nome di Sacramento, poiché era considerata come Sacramento vergognoso.

47. Le parole del Signore “Ricevete lo Spirito Santo; a coloro ai quali rimetterete i peccati saranno rimessi e a coloro ai quali non li rimetterete non saranno rimessi” [Joh., 20, 22-23] non si riferiscono al Sacramento dellaPenitenza, anche se i Padri tridentini vollero affermarlo.

48. Giacomo, nella sua epistola [Jac., 5, 14 sqq.], non volle promulgare un Sacramento di Cristo, ma raccomandare una pia pratica e se in ciò riconobbe un certo qual mezzo di Grazia, non lo intese con quel rigore con cui lo intesero i teologi che stabilirono la nozione e il numero dei Sacramenti.

49. Coloro che erano soliti presiedere alla cena cristiana acquisirono il carattere sacerdotale per il fatto che essa progressivamente andava assumendo l’indole di un’azione liturgica.

50. Gli anziani che, nelle adunanze dei Cristiani, esercitavano l’ufficio di vigilanza, furono dagli Apostoli creati preti o vescovi per provvedere all’ordinamento necessario delle crescenti comunità, e non propriamente per perpetuare la missione e la potestà Apostolica.

51. Il Matrimonio fu riconosciuto dalla Chiesa come Sacramento della nuova Legge solo molto tardi; infatti, perché il Matrimonio fosse considerato Sacramento, era necessario che lo precedesse la piena dottrina della Grazia e la spiegazione teologica del Sacramento.

52. Cristo non volle costituire la Chiesa come società duratura sulla terra, per lunga successione di secoli; anzi, nella mente di Cristo, il regno del Cielo, unitamente alla fine del mondo, doveva essere prossimo.

53. La costituzione organica della Chiesa non è immutabile; ma la società cristiana, non meno della società umana, va soggetta a continua evoluzione.

54. I dogmi, i sacramenti, la gerarchia, sia nel loro concetto come nella loro realtà, non sono che interpretazione ed evoluzioni dell’intelligenza cristiana, le quali svilupparono e perfezionarono il piccolo germe latente nel Vangelo con esterne aggiunte.

55. Simon Pietro non ha mai sospettato di aver ricevuto da Cristo il primato nella Chiesa.

56. La Chiesa Romana diventò capo di tutte le Chiese non per disposizione della Divina Provvidenza, ma per circostanze puramente politiche.

57. La Chiesa si mostra ostile ai progressi delle scienze naturali e teologiche.

58. La verità non è immutabile più di quanto non lo sia l’uomo stesso, poiché si evolve con lui, in lui e per mezzo di lui.

59. Cristo non insegnò un determinato insieme di dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi tempi e circostanze.

60. La dottrina cristiana fu, nel suo esordio, giudaica; poi divenne, per successive evoluzioni, prima paolina, poi giovannea, infine ellenica e universale.

61. Si può dire senza paradosso che nessun passo della Scrittura, dal primo capitolo della Genesi fino all’ultimo dell’Apocalisse, contiene una dottrina perfettamente identica a quella che la Chiesa insegna sullo stesso argomento, e perciò nessun capitolo della Scrittura ha lo stesso senso per il critico e per il teologo.

62. Gli articoli principali del Simbolo apostolico non avevano per i Cristiani dei primi tempi lo stesso significato che hanno per i Cristiani del nostro tempo.

63. La Chiesa si dimostra incapace a tutelare efficacemente l’etica evangelica, perché ostinatamente si attacca a dottrine immutabili, inconciliabili con i progressi odierni.

64. Il progresso delle scienze richiede una riforma del concetto che la dottrina cristiana ha di Dio, della Creazione, della Rivelazione, della Persona del Verbo Incarnato e della Redenzione.

65. Il Cattolicesimo odierno non può essere conciliato con la vera scienza, a meno che non si trasformi in un cristianesimo non dogmatico, cioè in protestantesimo lato e liberale.

Nella seguente Feria V, il giorno 4 dello stesso mese ed anno, fatta di tutte queste cose accurata relazione al Santissimo Signor Nostro Pio Papa X, Sua Santità approvò e confermò il Decreto degli Eminentissimi Padri e diede ordine che tutte e singole le sopra enumerate proposizioni siano considerate da tutti come riprovate e condannate.

Dato a Roma, presso il Palazzo del Sant’Uffizio, il giorno 3 del mese di Luglio dell’Anno 1907

Pietro Palombelli,

Notaro della Sacra Inquisizione Romana ed Universale

DOMENICA I. DI QUARESIMA (2022)

DOMENICA I. DI QUARESIMA (2022)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Giovanni in Laterano

Semidoppio. – Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.

Questa Domenica è il punto di partenza del ciclo quaresimale (Secr.) cosicché l’assemblea liturgica si tiene oggi, fin dal IV secolo a S. Giovanni in Laterano, che è la basilica patriarcale del romano Pontefice edil cui nome rievoca’ la redenzione operata da Gesù, essendo questa Basilica dedicata anche al SS.mo Salvatore. Subito dopo il battesimo, Gesù si prepara alla vita pubblica con un digiuno di 40 giorni, nel deserto montagnoso, che si estende fra Gerico ele montagne di Giuda (Gesù si riparò, dice la tradizione, nella grotta che è nel picco il più elevato chiamato Monte della Quarantena). Là satana, volendo sapere se il figlio di Maria era il Figlio di Dio, lo tenta (Vang.). Gesù ha fame e satana gli suggerisce di convertire in pane le pietre. Allo stesso modo opera con noi e cerca di farci abbandonare il digiuno e la mortificazione in questi 40 giorni. È la concupiscenza della carne. – Il demonio aveva promesso al nostro primo padre che sarebbe diventato simile a Dio; egli trasporta Gesù sul pinnacolo del Tempio elo invita a farsi portare in aria dagli Angeli per essere acclamato dalla folla. Tenta noi ugualmente nell’orgoglio, che è opposto, allo spirito di preghiera e alla meditazione della parola di Dio. È l’orgoglio della vita. – Come aveva promesso ad Adamo una scienza uguale a quella di Dio, che gli avrebbe fatto conoscere tutte le cose, satana assicura Gesù che gli darà l’impero su tutte le cose se egli prostrato in terra lo adorerà (Lucifero, il più bello degli angeli, si credette in diritto, secondo alcuni teologi, all’unione ipostatica che l’avrebbe elevato alla dignità di figlio dì Dio. Egli cercò di farsi adorare come tale da Gesù, come l’anticristo si farà adorare nel tempio di Dio (II ai Tessal.) . Il demonio allo stesso modo cerca con noi, di attaccarci ai beni caduchi, quando stiamo per sovvenire il prossimo con l’elemosina e le opere di carità. È la concupiscenza degli occhi o l’avarizia. – Il Salmo 90 che Gesù usò contro satana, — poiché la spada dello Spirito, è la parola di Dio (Agli Efesini, VI, 17).— serve di trama a tutta la Messa e si ritrova nell’ufficiatura odierna. « La verità del Signore ti coprirà come uno scudo », dichiara il salmista. Questo salmo dunque è per eccellenza quello di Quaresima, che è un tempo di lotta contro satana, quindi il versetto 11: « Ha comandato ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie », suona come un ritornello durante tutto questo periodo, alle Lodi e ai Vespri. Questo Salmo si trova intero nel Tratto e ricorda l’antico uso di cantare i salmi durante la prima parte della Messa. Alcuni dei suoi versetti formano l’Introito col suo verso, il Graduale, l’Offertorio e il Communio. In altra epoca, quest’ultima parte era formata da tre versetti invece di uno solo e questi tre versetti seguivano l’ordine della triplice tentazione riferita nel Vangelo. – Accanto a questo Salmo, l’Epistola, che è certamente la stessa che al tempo di S. Leone, dà una nota caratteristica della Quaresima. S. Paolo vi riassume un testo di Isaia: «Ti esaudii nel tempo propizio e nel giorno di salute ti portai aiuto » (Epist. e 1° Nott.). S. Leone ne fa questo commento: « Benché non vi sia alcuna epoca che non sia ricca di doni celesti, e che per grazia di Dio, ogni giorno vi si trovi accesso presso la sua misericordia, pure è necessario che in questo tempo le anime di tutti i Cristiani si eccitino con più zelo ai progressi spirituali e siano animate da una più grande confidenza, allorché il ritorno del giorno nel quale siamo stati redenti ci invita a compiere tutti i doveri della pietà cristiana. Così noi celebreremo, con le anime e i corpi purificati, questo mistero della Passione del Signore, che è fra tutti il più sublime. È vero che noi dovremmo ogni giorno essere al cospetto di Dio con incessante devozione e rispetto continuo come vorremmo essere trovati nel giorno di Pasqua. Ma poiché questa forza d’animo è di pochi, e per la fragilità della carne, viene rilassata l’osservanza più austera, e dalle varie occupazioni della vita presente viene distratta la nostra attenzione, accade necessariamente che la polvere del mondo contamini gli stessi cuori religiosi. Perciò è di grande vantaggio per le anime nostre questa divina istituzione, perché questo esercizio della S. Quaresima ci aiuti a ricuperare la purità delle nostre anime riparando con le opere pie e con i digiuni, gli errori commessi negli altri momenti dell’anno. Ma per non dare ad alcuno il minimo motivo di disprezzo o di scandalo, è necessario che il nostro modo di agire non sia in disaccordo col nostro digiuno, perché è inutile diminuire il nutrimento del corpo, quando l’anima non si allontana dal peccato » (2° Notturno). – In questo tempo favorevole e in questi giorni di salute, purifichiamoci con la Chiesa (Oraz.) « col digiuno, con la castità, con l’assiduità ad intendere e meditare la parola di Dio e con una carità sincera » (Epist.).

Incipit

In nómine Patris,  et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XC: 15; XC: 16

Invocábit me, et ego exáudiam eum: erípiam eum, et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum.

[Mi invocherà e io lo esaudirò: lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni.]

Ps XC:1 Qui hábitat in adjutório Altíssimi, in protectióne Dei cœli commorábitur.

[Chi àbita sotto l’égida dell’Altissimo dimorerà sotto la protezione del cielo].

Invocábit me, et ego exáudiam eum: erípiam eum, et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum.

[Mi invocherà e io lo esaudirò: lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni.]

Oratio

Orémus.

Deus, qui Ecclésiam tuam ánnua quadragesimáli observatióne puríficas: præsta famíliæ tuæ; ut, quod a te obtinére abstinéndo nítitur, hoc bonis opéribus exsequátur.

[O Dio, che purífichi la tua Chiesa con l’ànnua osservanza della quaresima, concedi alla tua famiglia che quanto si sforza di ottenere da Te con l’astinenza, lo compia con le opere buone.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios. 2 Cor VI:1-10.

“Fratres: Exhortámur vos, ne in vácuum grátiam Dei recipiátis. Ait enim: Témpore accépto exaudívi te, et in die salútis adjúvi te. Ecce, nunc tempus acceptábile, ecce, nunc dies salútis. Némini dantes ullam offensiónem, ut non vituperétur ministérium nostrum: sed in ómnibus exhibeámus nosmetípsos sicut Dei minístros, in multa patiéntia, in tribulatiónibus, in necessitátibus, in angústiis, in plagis, in carcéribus, in seditiónibus, in labóribus, in vigíliis, in jejúniis, in castitáte, in sciéntia, in longanimitáte, in suavitáte, in Spíritu Sancto, in caritáte non ficta, in verbo veritátis, in virtúte Dei, per arma justítiæ a dextris et a sinístris: per glóriam et ignobilitátem: per infámiam et bonam famam: ut seductóres et veráces: sicut qui ignóti et cógniti: quasi moriéntes et ecce, vívimus: ut castigáti et non mortificáti: quasi tristes, semper autem gaudéntes: sicut egéntes, multos autem locupletántes: tamquam nihil habéntes et ómnia possidéntes.” –  Deo gratias.

[Fratelli: Vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: «Nel tempo favorevole ti ho esaudito, e nel giorno della salute ti ho recato aiuto». Ecco ora il tempo favorevole, ecco ora il giorno della salute. Noi non diamo alcun motivo di scandalo a nessuno, affinché il nostro ministero non sia screditato; ma ci diportiamo in tutto come ministri di Dio, mediante una grande pazienza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angustie, nelle 9battiture, nelle prigioni, nelle sommosse, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con la purità, con la scienza, con la mansuetudine, con la bontà, con lo Spirito Santo, con la carità sincera, con la parola di verità, con la potenza di Dio, con le armi della giustizia di destra e di sinistra; nella gloria e nell’ignominia, nella cattiva e nella buona riputazione; come impostori, e siam veritieri; come ignoti, e siam conosciuti; come moribondi, ed ecco viviamo; come puniti, e non messi a morte; come tristi, e siam sempre allegri; come poveri, e pure arricchiamo molti; come privi di ogni cosa, e possediamo tutto]. (2 Cor VI, 1-10).

FAR FARE BUONA FIGURA A DIO.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938) ]

Veramente S. Paolo in questo brano di lettera parla se non proprio ai sacerdoti, certo per i ministri di Dio. Per fortuna, ministri di Dio, in un certo senso almeno, lo siamo tutti noi Cristiani, dobbiamo esserlo, e perciò vale per noi tutti la esortazione fondamentale per gli Apostoli: evitare le brutte figure (morali) e fare bella figura (morale). E la ragione addotta è quella che rende la esortazione più interessante e più universale: col non fare brutta figura, fare anzi bella figura, noi, per… non far fare brutta figura, per far fare bella figura a Dio. Ne siamo i ministri: ecco perché le nostre belle o brutte figure rimbalzano su di Lui. Rappresentanti di Dio! Che grande parola. Ed essa è proprio matematicamente esatta, precisa quando si tratta di noi Sacerdoti, di noi apostoli veri e propri. La gente ci confonde un po’ con Dio; giudica Lui, giudica della Religione da quello che noi, proprio noi, siamo e facciamo. Ma giudizi analoghi gli uomini senza fede o con poca fede pronunciano davanti alla condotta di un fedele Cristiano. E se questi sono buoni, il volgo suddetto ne conclude che buona è la religione, buono è quel Dio di cui la religione si ispira e nutre. Ma viceversa con la stessa logica fa rimbalzare sulla religione, su Dio le nostre miserie. E conclude che la religione non serve a nulla, a nulla di buono e grande, quando nulla di grande e di buono essa produce in noi. – Il ragionamento per cui si giudica della religione in sé, della sua bontà ed efficacia universale da uno a pochi casi, è un ragionamento che vale fino ad un certo punto, zoppica, zoppica assai, alla stregua della logica pura ed ideale. Zoppica ma cammina. Non avrebbe il diritto di farlo ma lo si fa, con una facilità, una frequenza, una sicurezza impressionante. E di questo bisogna tener conto, che lo si fa, come teniamo conto, nella vita, di tanti altri fatti che ci appaiono o misteriosi o paradossali, ma sono fatti e « contra factum non valet argumentum. » Questo fatto deve metterci addosso un brivido ed un fuoco. Brivido di terrore pensando alla debolezza delle nostre spalle, al peso davvero formidabile. Si fa così presto noi a cadere. Quando e dopo che avremo ubbidito agli istinti egoistici e alla loro desolante miseria si dirà da parecchi: ecco che cosa è la religione! Ecco a cosa serve Dio! Noi avremo screditato, noi screditeremo, noi screditiamo ciò che al mondo vi è di più sacro. Sconquassiamo dei pilastri giganteschi della vita. Perciò prendiamo come programma nostro la parola di Paolo: « noi non diamo di scandalo in cosa alcuna. » E non fermiamoci, ma continuiamo: « anzi ci mostriamo in ogni cosa degni di raccomandazione. » Il che non sarà che un rifarci alla bella parola di Gesù Cristo: « veggano tutto il bene che voi fate, voi, miei discepoli, e glorifichino perciò il Padre che sta nei Cieli ». – Dicano amici e nemici osservandoci: come sono buoni i veri figli di Dio; come è buono il Padre celeste che li ispira e li guida.

 Graduale

Ps XC,11-12

Angelis suis Deus mandávit de te, ut custódiant te in ómnibus viis tuis.

In mánibus portábunt te, ne umquam offéndas ad lápidem pedem tuum.

[Dio ha mandato gli Ángeli presso di te, affinché ti custodíscano in tutti i tuoi passi. Essi ti porteranno in palmo di mano, ché il tuo piede non inciampi nella pietra.]

Tractus.

Ps XC: 1-7; XC: 11-16

Qui hábitat in adjutório Altíssimi, in protectióne Dei cœli commorántur.

V. Dicet Dómino: Suscéptor meus es tu et refúgium meum: Deus meus, sperábo in eum.

V. Quóniam ipse liberávit me de láqueo venántium et a verbo áspero.

V. Scápulis suis obumbrábit tibi, et sub pennis ejus sperábis.

V. Scuto circúmdabit te véritas ejus: non timébis a timóre noctúrno.

V. A sagitta volánte per diem, a negótio perambulánte in ténebris, a ruína et dæmónio meridiáno.

V. Cadent a látere tuo mille, et decem mília a dextris tuis: tibi autem non appropinquábit.

V. Quóniam Angelis suis mandávit de te, ut custódiant te in ómnibus viis tuis.

V. In mánibus portábunt te, ne umquam offéndas ad lápidem pedem tuum.

V. Super áspidem et basilíscum ambulábis, et conculcábis leónem et dracónem.

V. Quóniam in me sperávit, liberábo eum: prótegam eum, quóniam cognóvit nomen meum,

V. Invocábit me, et ego exáudiam eum: cum ipso sum in tribulatióne,

V. Erípiam eum et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum, et osténdam illi salutáre meum.

[Chi abita sotto l’égida dell’Altissimo, e si ricovera sotto la protezione di Dio.

Dica al Signore: Tu sei il mio difensore e il mio asilo: il mio Dio nel quale ho fiducia.

Egli mi ha liberato dal laccio dei cacciatori e da un caso funesto.

Con le sue penne ti farà schermo, e sotto le sue ali sarai tranquillo.

La sua fedeltà ti sarà di scudo: non dovrai temere i pericoli notturni.

Né saetta spiccata di giorno, né peste che serpeggia nelle tenebre, né morbo che fa strage al meriggio.

Mille cadranno al tuo fianco e dieci mila alla tua destra: ma nessun male ti raggiungerà.

V. Poiché ha mandato gli Angeli presso di te, perché ti custodiscano in tutti i tuoi passi.

Ti porteranno in palma di mano, affinché il tuo piede non inciampi nella pietra.

Camminerai sull’aspide e sul basilisco, e calpesterai il leone e il dragone.

«Poiché sperò in me, lo libererò: lo proteggerò, perché riconosce il mio nome.

Appena mi invocherà, lo esaudirò: sarò con lui nella tribolazione.

Lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni, e lo farò partécipe della mia salvezza».]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Matthæum.

Matt IV: 1-11

“In illo témpore: Ductus est Jesus in desértum a Spíritu, ut tentarétur a diábolo. Et cum jejunásset quadragínta diébus et quadragínta nóctibus, postea esúriit. Et accédens tentátor, dixit ei: Si Fílius Dei es, dic, ut lápides isti panes fiant. Qui respóndens, dixit: Scriptum est: Non in solo pane vivit homo, sed in omni verbo, quod procédit de ore Dei. Tunc assúmpsit eum diábolus in sanctam civitátem, et státuit eum super pinnáculum templi, et dixit ei: Si Fílius Dei es, mitte te deórsum. Scriptum est enim: Quia Angelis suis mandávit de te, et in mánibus tollent te, ne forte offéndas ad lápidem pedem tuum. Ait illi Jesus: Rursum scriptum est: Non tentábis Dóminum, Deum tuum. Iterum assúmpsit eum diábolus in montem excélsum valde: et ostendit ei ómnia regna mundi et glóriam eórum, et dixit ei: Hæc ómnia tibi dabo, si cadens adoráveris me. Tunc dicit ei Jesus: Vade, Sátana; scriptum est enim: Dóminum, Deum tuum, adorábis, et illi soli sérvies. Tunc relíquit eum diábolus: et ecce, Angeli accessérunt et ministrábant ei.”

[Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. E avendo digiunato quaranta giorni e quaranta notti, finalmente gli venne fame. E accostatoglisi il tentatore, disse: Se tu sei Figliuol di Dio, di’ che queste pietre diventino pani. Ma egli rispondendo, disse: Sta scritto: Non di solo pane vive l’uomo, ma di qualunque cosa che Dio comanda.. Allora il diavolo lo menò nella città santa, e poselo sulla sommità del tempio, e gli disse: Se tu sei Figliuolo di Dio, gettati giù; imperocché sta scritto: che ha commesso ai suoi angeli la cura di te, ed essi ti porteranno sulle mani, affinché non inciampi talvolta col tuo piede nella pietra. Gesù disse: Sta anche scritto: Non tenterai il Signore Dio tuo. Di nuovo il diavolo lo menò sopra un monte molto elevato; e fecegli vedere tutti i regni del mondo, e la loro magnificenza; e gli disse: Tutto questo io ti darò, se prostrato mi adorerai. Allora Gesù gli disse: Vattene, Satana, imperocché sta scritto: Adora il Signore Dio tuo, e servi lui solo. Allora il diavolo lo lasciò; ed ecco che gli si accostarono gli Angeli, e lo servivano.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA QUARESIMA

Di S. Eusebio si racconta che quand’era ancora diacono, mentre portava all’altare un calice preziosissimo, incespicando lo lasciò cadere. E il calice si spezzò. Rimase un istante esterrefatto: e guardava i rubini sfaldati, e gli smalti a frantumi, e la coppa divisa in due sul pavimento. Poi, dimentico che dietro alle sue spalle la chiesa era gremita di popolo, piangendo forte raccolse i frammenti e li depose sulla tavola dell’altare. Ed ecco miracolosamente ogni pezzo unirsi e saldarsi perfettamente così da ricostruire il calice prezioso, integro e intatto (Brev. Ambr., 12 agosto). – Ognuno di noi, dentro di sé, porta un calice di valore infinito, deterso col sangue di Cristo: l’anima propria. Ma forse, in un momento di passione, in un’ora di tentazione, in una brutta sera di carnevale, l’abbiamo lasciata cadere nel fango e nei sassi del peccato. E subito l’anima nostra s’è infranta, facendo fuggire lo Spirito Santo che in essa teneva la sua dolce dimora, perdendo lo splendore gemmeo della grazia per tingersi della lordura del peccato. Se è così, non ci rimane che imitare Eusebio: dimentichiamo tutto, curviamoci dentro di noi, e raccogliamo i brandelli della nostra anima dilaniata dal demonio, e piangendo collochiamola sull’altare di Dio: anche per essa si rinnoverà il prodigio del calice infranto. Ben venga allora la quaresima: in tutto l’anno non c’è tempo, più’ di questo, propizio per placare l’ira del Signore, né giorni più di questi favorevoli per rimediare ai danni dell’anima nostra. Perciò accogliete volentieri alcuni consigli che vi aiuteranno ad approfittare di queste settimane; per voi li desumo dal santo Vangelo.

1. Gesù lascia gli uomini, le loro case, i loro campi, le loro botteghe, le loro strade, e s’inoltra nel deserto ove il silenzio è re, e la solitudine è sovrana.

2. Gesù per quaranta giorni e quaranta notti non tocca cibo, ma prega.

3. Gesù, al demonio che viene a tentarlo perché converta le pietre in pane da mangiare risponde: « Non di solo pane ha bisogno l’uomo, ma soprattutto di ogni parola che sgorga dal labbro di Dio ». – Dall’esempio di Nostro Signore derivano a noi tre norme precise: Fuggiamo lontano da tutte le occasioni. Facciamo penitenza e preghiera.. Cibiamoci a sazietà della parola di Dio e dei suoi Sacramenti. – LONTANO DALLE OCCASIONI. A credere ai poeti antichi, ci fu una volta una fanciulla di nome Atalanta ch’era invincibile alla corsa. Moltissimi avevano con lei gareggiato ma erano rimasti vergognosamente vinti. Or venne Ippomene, uomo dal cuore astuto, e chiese di vincere la gara. Tutti già ridevano della sua sconfitta, quando egli cominciò a gettare sul cammino delle mele d’oro. Atalanta, meravigliata dal loro splendore, si fermava a raccoglierle, a guardarle: ma intanto gli spettatori emisero un altissimo grido. Ippomene l’aveva oltrepassata e in quel momento toccava la mèta. Si scosse a quegli applausi la fanciulla rapidissima, in un attimo comprese: le mele d’oro le caddero dalle mani. Invano; ella aveva per sempre perduto (Catullo II). Io non credo né ad Atalanta né ad Ippomene ma credo però all’anima ed al demonio. È l’anima nostra come un fanciullo che deve correre rapidamente al paradiso. Ma il demonio, dal cuore furbo e maligno, getta sul suo cammino le mele d’oro delle cattive occasioni: è quella compagnia, è quel ritrovo, è quella persona, è quel gioco. Cristiani: non fermatevi a raccogliere gli ingannevoli frutti del nemico nostro, altrimenti perderete la corsa della vita. – Fa ridere, o meglio fa piangere, l’ingenuità di quelle anime che propongono di non offender più il Signore, di passare una santa quaresima, e non vogliono abbandonare le loro abitudini e le funeste occasioni, e non vogliono ritirarsi nel deserto. – Dicono di convertirsi e poi si attaccano ancora a tutto quello che nel mondo si trova di più adatto a pervertirle. Dicono di non voler offendere Dio e intanto si danno alla lettura di giornali, di riviste e di libri sospetti empii ed immorali. Dicono di non voler offendere Dio, e si mettono in conversazioni in cui il pudore e la carità sono offesi ad ogni momento. Dicono di non voler offendere Dio, e indugiano in certe affezioni che ammolliscono il cuore e lo inclinano, a poco a poco, verso la colpa e il disonore. Dicono di non voler offendere Dio, e accorrono a spettacoli, a circoli o riunioni dove troveranno persone capaci di esercitare sulla loro anima mortifere impressioni. Dicono di non voler offendere Dio, e poi con la moda e coi belletti sono avide di vedere e di farsi vedere dal mondo. Non si illudano: con queste disposizioni è impossibile convertirsi. – MORTIFICAZIONE E PREGHIERA. La prima mortificazione che tutti dobbiamo fare è quella che dalla santa Chiesa ci è raccomandata: il digiuno e l’astinenza dalle carni nei giorni prescritti. Mangiar di grasso, senza dispensa o senza motivo ragionevole, è peccato mortale. Fa vergogna che molti Cristiani non sappiano rendere, per golosità o per rispetto umano, questo piccolo sacrificio a Gesù che non ha dubitato di dare per noi tutto il suo sangue. – E dopo aver mortificato la nostra carne, mortifichiamo la nostra avarizia: non deve mancare nella quaresima qualche elemosina. Con essa ringrazieremo Dio dei beni che ci ha largito, rallegreremo i poveri e la Chiesa, otterremo un più generoso perdono dei nostri peccati. E infine mortifichiamo il nostro orgoglio: se in cuore custodiamo qualche risentimento sia soffocato; se in famiglia ci piace dominare sopra gli altri, assoggettiamoci; se qualcuno ci fa delle osservazioni, accogliamole con bontà. Alla mortificazione aggiungete anche la preghiera. Ma una devozione, sopra tutte, io vi raccomando come la più opportuna in questo tempo: la « Via Crucis ». Almeno una volta alla settimana non mancate mai di compierla: i patimenti del Figlio di Dio ad uno ad uno passeranno davanti ai vostri occhi, si stamperanno nel vostro cuore, e comprenderete cose che non avevate mai comprese. Che meravigliose sorgenti d’amore e di virtù sono le piaghe del Crocifisso! Quando Longino con la lancia trapassò il Cuore di Gesù morto, si dice che alcune stille di sangue caddero sopra i suoi occhi, ch’erano malati, e improvvisamente li sanarono (PAPINI, Vita di Cristo, pag. 567). Se mediteremo con affetto la passione del Signore, qualche stilla del preziosissimo sangue pioverà anche sui nostri occhi che sono malati, e si lasciano ingannare dai falsi splendori di questo mondo. Sentiremo allora che una sola cosa è necessaria, salvare l’anima; sentiremo allora che la disgrazia più grande e più vera è soltanto il peccato. – LA PAROLA DI DIO E I SACRAMENTI. Fin dai primi secoli del Cristianesimo, la parola di Dio è stata il nutrimento spirituale con cui la Chiesa, nel decorso del digiuno quaresimale, ha nutrito i suoi figliuoli. « Non di pane soltanto ha bisogno l’uomo — ha risposto Gesù al demonio — ma soprattutto ha bisogno della parola che scende dal labbro di Dio ». Ci sono anime deboli, che ad ogni tentazione tremano e cadono miseramente: ascoltino le prediche della Quaresima e troveranno la forza spirituale di respingere gli assalti delle passioni. Salomone disse che il discorso di Dio è come uno scudo di fuoco. – Ci sono anime indurite nei vizi: da anni non si confessano più, non sentono più nemmeno i rimorsi dei gravi peccati che ogni giorno commettono. Costoro hanno un estremo bisogno di ascoltare le prediche della quaresima: dice la Sacra scrittura che la parola di Dio discende e rammollisce i cuori. Ci sono anime che ignorano la propria vocazione, che ignorano anche le verità principali della fede, che ignorano i propri doveri: anche queste non devono tralasciare le prediche della quaresima che illumineranno le loro menti. Dicono i Salmi che la parola di Dio è come una lucerna che rischiara la strada di quelli che camminano, ma tutte le volte fu abbruciata nel rogo di satana. – ADORA E SERVI SOLTANTO IL SIGNORE, RIBELLANDOTI ALLE PASSIONI CATTIVE. Un antico poeta greco. Alceo, grande amatore del vino, da tutte le stagioni cavava titoli per bere più solennemente. Nell’autunno — diceva — convien bere per onorare la vendemmia; nell’inverno per discacciar il freddo; nella primavera per ringiovanire con i prati; nell’estate per vincere il calore esteriore col calore interiore. Questa maniera di ragionare non dispiace nemmeno a moltissimi Cristiani! « In carnevale, dicono, bisogna star allegri perché è il tempo d’ogni pazzia. E in quaresima poi… bisogna star allegri ancora per uccidere la noia che altrimenti ne deriverebbe ». Così tutto l’anno, tutta la vita è una baldoria senza confine. E la mortificazione? Questa parola amara essi non la conoscono, non esiste nella loro religione del piacere in cui si adora il ventre. Quorum deus venter est. Davanti ad essi si presenta la gola: « Io ti darò l’ebbrezza del vino, il prurito delle vivande gustose, l’assopimento della sazietà… se tu mi adorerai ». E quelli adorano la gola, vivono per mangiare e per bere, non rispettano più la legge del digiuno e dell’astinenza.Davanti ad essi si presenta il corpo con i suoi reprobi sensi: « Io ti darò la beatitudine sfrenata, io ti farò il più felice degli uomini… se tu mi adorerai ». E quelli adorano il corpo con tutte le sue pigrizie, con tutte le sue lusinghe: «Io ti darò casa bella, campi vasti, molti servi, vesti lussuose: ti darò perfino l’onore che non meriti, le amicizie più desiderabili… se tu, prostrato, mi adorerai ». E quelli adorano il danaro e per lui consumano la vita, trascurano la famiglia, vendono l’anima e il paradiso. Eppure anche per costoro sta scritto: « Adorerai soltanto Iddio e lui servirai! »Non ci rincresca, o Cristiani, in questa santa quaresima imitare Gesù, Salvatore nostro, nei quaranta giorni che rimane nel deserto. Mortifichiamoci coll’ubbidienza. alle leggi della Chiesa che ci obbligano al digiuno e all’astinenza; mortifichiamoci con la preghiera più fervorosa e più frequente in casa e in Chiesa, mortifichiamoci con qualche elemosina elargita per amore di Dio.E se questo è poco, offriamo in spirito di penitenza il nostro faticoso lavoro quotidiano, il peso del nostro dovere adempito scrupolosamente, la rassegnazione generosa nei crucci della vita! E quelli che sono ammalati o gracili di salute, innalzino al cielo la loro sofferenza corporale.Tutti però facciamo mortificazione, perché tutti abbiamo peccato e possiamo peccare ancora. – Col desiderio della parola di Dio, con la fuga delle occasioni, con la mortificazione del nostro corpo, noi in questi quaranta giorni seppelliremo il vecchio cadavere che abbiamo ereditato da Adamo. E nel luminoso mattino della Pasqua, tra l’osannare di tutte le campane, e il gioioso rinverdire dei campi, risusciterà trionfante nell’anima nostra Gesù, il Figlio di Dio: vittoriosi della sua vittoria, ricchi della sua conquista, vivremo finalmente della sua vita. Solo così, con gaudio, celebreremo la Resurrezione del Signore.

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps XC: 4-5:

Scápulis suis obumbrábit tibi Dóminus, et sub pennis ejus sperábis: scuto circúmdabit te véritas ejus.

[Con le sue penne ti farà schermo, il Signore, e sotto le sue ali sarai tranquillo: la sua fedeltà ti sarà di scudo.]

Secreta

Sacrifícium quadragesimális inítii sollémniter immolámus, te, Dómine, deprecántes: ut, cum epulárum restrictióne carnálium, a noxiis quoque voluptátibus temperémus.

[Ti offriamo solennemente questo sacrificio all’inizio della quarésima, pregandoti, o Signore, perché non soltanto ci asteniamo dai cibi di carne, ma anche dai cattivi piaceri.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XC: 4-5

Scápulis suis obumbrábit tibi Dóminus, et sub pennis ejus sperábis: scuto circúmdabit te véritas ejus.

[Con le sue penne ti farà schermo, il Signore, e sotto le sue ali sarai tranquillo: la sua fedeltà ti sarà di scudo.]

Postcommunio

Orémus.

Qui nos, Dómine, sacraménti libátio sancta restáuret: et a vetustáte purgátos, in mystérii salutáris fáciat transíre consórtium.

[Ci ristori, o Signore, la libazione del tuo Sacramento, e, dopo averci liberati dall’uomo vecchio, ci conduca alla partecipazione del mistero della salvezza.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (195)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXX)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO QUINTO

I NOVISSIMI

VI. — La Risurrezione della carne.

D. Il tuo Credo parla anche della risurrezione dei corpi?

R. «Ogni anima che si salva, salva anche il suo corpo » (C. PÉGUY).

D. Donde viene questa credenza?

R. Come quella dell’immortalità, quella del cielo e dell’inferno, anche la dottrina della risurrezione dei corpi è nel Vangelo, come ti dicevo, e assai presuntuosi sono quei che prendono dal Vangelo una « morale » a loro modo rigettando lezioni così fondamentali!

D. In quali termini si presenta la dottrina?

E. « Viene l’ora in cui quelli che sono nei sepolcri udiranno la sua voce (del Figliuolo dell’Uomo), e ne usciranno: quelli che avranno fatto il bene per una risurrezione di vita, quelli che avranno fatto il male per una risurrezione di giudizio » (Vang. di S. GIOVANNI).

D. Si credette subito a queste parole?

R. I primi Cristiani credettero ad esse a tal segno che questa credenza offuscò in molti di loro la nozione della sopravvivenza delle anime, quella del giudizio individuale, e, come ho ricordato e spiegato sopra, fece credere a una brevissima durata del mondo.

D. Devi confessare che, nella credulità iniziale che menava a queste conclusioni, vi era molta ignoranza.

R. Vi era della semplicità, e bisognerebbe vedere se questa facilità a credere dei misteri, là dove interviene l’onnipotenza divina e dove i destini ultimi sono in gioco, non sarebbe più filosofica, più assennata di tanti bei sorrisi.

D. Ancora bisogna rispettare la ragione e tenersi nei limiti del possibile.

R. Pascal conosce un poco questo genere di regole, ed ecco quello che egli osserva: « Quale ragione hanno essi di dire che non si può risuscitare? Che cosa è più difficile, nascere o risuscitare? Che quello che non è mai stato sia o che quello che è stato sia ancora? È più difficile venire in essere che il ritornarvi? La consuetudine rende l’uno facile e la mancanza di consuetudine rende l’altro impossibile. Popolare modo di giudicare! ».

D. Non capisco guari la somiglianza dei due casi.

R. Bisogna tuttavia che essa sia impressionante, poiché, quattordici secoli prima di Pascal, Tertulliano scriveva: « Tu cerchi di sapere come rivivrai? Sappi prima, se ti è possibile, come sei arrivato alla vita ».

D. Dove sta esattamente la somiglianza?

R. I nostri genitori sono gli autori della nostra vita; ma Dio ne è maggiormente l’autore, e quello che essi poterono, Dio lo può benissimo senza di loro. Per mezzo dei nostri genitori e in essi, è l’anima il principio di vita, e quest’anima, che importa con sé la vita, può benissimo rendercela. Che una materia che è stata una volta impastata da formare un uomo ,sia impastata una seconda non è più difficile di quello che è vedere un’argilla modellata e rimodellata secondo un medesimo ideale.

D. Ma dove ritrovare, qui l’« argilla »?

R. So assai! vi sono le polveri gettate al vento e disseminate nelle piante, che gli animali mangiano, che un uomo può rimangiare. Vi è l’antropofago, e tante altre puerilità di « spiriti forti ».

D. Perché puerilità?

R. Perché con ciò si sfoggia una leggerezza di argomentazione ridicola; perché si sottintende una scienza certa di ciò che nessuno sa, ciò che è veramente il più « popolare modo di giudicare », se pure non si fa così ingiuria al popolo.

D. Che cosa rimproveri tu all’argomentazione?

R. Di procedere come se la materia necessaria alla ricostituzione di un corpo in una vita eterna fosse identica agli atomi materiali che vi si succedono come l’acqua in un torrente. E questo è una stoltezza notoria.

D. E di quali sottintesi pretensiosi vuoi tu parlare?

R. Si argomenta con fierezza relativamente alla materia: ci si figura dunque di sapere che cosa essa è. E vedo ridere Pascal. Sento i dotti e i filosofi moderni disputare con sempre minore speranza a proposito di questo Proteo, domandarsi se esso esista altrimenti che come forza, parlare della sua « smaterializzazione », della sua fuga all’infinito a misura che la si analizza. Il tuo obiettante ignora deplorevolmente queste cose.

D. Ma quale necessità, per l’anima immortale assorbita in Dio, di ridarsi una materia?

R. Come se tu domandassi: Che necessità, per l’uomo, di esistere? L’anima immortale non è l’uomo. S. Tommaso osserva che non le appartiene più nemmeno il nome di uomo. Non si può dire, parlando con precisione: Un tale è presso Dio. « Un Tale » è semplicemente distrutto; sussiste solo una parte della sua persona, la parte principale, è vero, talmente principale che l’altra a buon diritto è giudicata insignificante per la felicità essenziale. Ma l’essenziale richiede l’accessorio, dicevi tu. Se non vi è risurrezione della carne, l’anima umana è salva; ma l’uomo non è salvo; l’umanità è estinta; l’universo di Dio è impoverito di una specie che noi amiamo di credere la prima, che ad ogni modo è d’un pregio immenso, grazie all’unione dello spirito; quel posto unico al quale si arresta indubbiamente l’attenzione degli Angeli, dove si fissa con terrore e fascino quella delle bestie, ai confini della materia e dello spirito quel posto non è più occupato, e la morte, che Cristo doveva abbattere, ha conservato il suo impero; non si può più esclamare con S. Paolo « O morte, dov’è la tua vittoria; o morte; dov’è il tuo stimolo? ».

D. Sia pure! L’uomo non esiste più, e ciò può impoverire l’universo; ma ciò che importa all’anima? Non è forse essa, come spirito, in una piena integrità, e per conseguenza in una piena indifferenza riguardo al suo corpo?

R. L’integrità dell’anima è nell’integrità e nell’armonia di tutte le sue funzioni, un gran numero delle quali esigono uno strumento materiale. Mancando di queste funzioni, l’anima è mutilata, e per quanto alta sia la sua vita per la sua unione col suo principio, questa vita non è interamente normale. Un sublime moncherino è sempre un moncherino. La vita dell’anima separata è quella di un amputato che prova in tutte le sue estremità nervose l’impressione del membro perduto; non si può dire che ciò sia una condizione felice, benché incomparabili compensi ne annullino praticamente il peso. Lo stato naturale dell’anima comporta un coscienza corrispondente al nostro essere intero: Or nella sopravvivenza dell’anima sola, non vi è più coscienza corporale, non vi è più sensibilità, né impressione dell’universo e di se stesso al completo, né immaginazione, né, propriamente, memoria, poiché il tempo fisico non corre più. Però di tutto questo sussiste il principio, poiché l’anima è una e non può vedersi dividere le funzioni fino alla loro radice. Come supporre che questo principio d’ampie operazioni, ridotto a una sola, cioè il pensiero, non abbia una tendenza naturale verso tutto quello che esso non ha più? Come immaginarlo soddisfatto di vedere eternata questa amputazione? Il pensiero è la quintessenza dell’anima, ma non è tutta l’anima, neppure aggiungendovi il suo correlativo di tendenza che è l’amore.

D. Tu parli da naturalista; ma il punto di vista soprannaturale non t’’invita ad eliminare queste osservazioni?

R. Esattamente l’opposto. Il principio della sopravvivenza del corpo è stato posto col soprannaturale stesso, poiché la giustizia originale, al punto di partenza, implicava l’immortalità. In seguito alla caduta interviene la morte; ma la riparazione per mezzo di Cristo, che, prendendo carne, viene in soccorso della carne come in soccorso dell’anima, ci rende il diritto dell’immortalità corporale. La Risurrezione dopo tre giorni ne è il pegno. Perciò S. Paolo, apostrofando taluni de’ suoi Corinzi, esclama: « Se si predica che Cristo è risorto da morte, come mai certuni tra voi dicono che non vi è risurrezione da morte? Se non vi è risurrezione da morte, neppure Cristo è risuscitato ».

D. Una religione spirituale non dovrebbe disinteressarsi di un avvenire corporale?

R. La nostra Religione non è una religione « spirituale », ma una religione umana. Essa è integralmente umana appunto perché è divina, e non è forse cosa più umana che l’anima, un giorno purificata, possa riprendere il suo ufficio, associando alla sua estasi il corpo che ella invano cercava, quaggiù, di trascinare alla felicità? La nostra Religione è fondata sopra l’incarnazione, come ti dicevo, e non sopra la disincarnazione. – La visibilità della Chiesa, il suo carattere sociale, i suoi mezzi sacramentali, la sua pratica tutta quanta attestano questo carattere. La risurrezione dei morti è un corollario richiesto dalla coerenza dottrinale come dalla natura delle cose. Uniti, nella Chiesa, allo Spirito di Cristo, facendo corpo con Cristo, noi, alla nostra ora, abbiamo diritto di prender parte alla risurrezione di Cristo e al trionfo della sua carne mortale. « Se lo Spirito che ha risuscitato Gesù abita in voi, esso vivificherà anche i vostri corpi mortali » (S. PAOLO).

D. Possiamo allora domandarci perché questo ritardo sino alla fine dei tempi, quando Cristo risuscita dopo tre giorni. Possiamo anche domandarci perché la morte, poiché Cristo la vinse.

R. Abbiamo veduto sopra che la morte e gli altri effetti del peccato furono mantenuti per la nostra utilità spirituale, e non come sevizie, per la continuità e l’armonia dell’opera provvidenziale, per il benefizio della nostra unione con Cristo e della nostra cooperazione al suo sforzo redentore, ecc. Anche per i nostri peccati attuali, la morte è una purificazione. La morte parziale chiamata mortificazione comincia il compito; il verme sepolcrale lo compie, e, col suo sottile taglio, spezza gli attacchi della carne a questa fondamentale concupiscenza che è in noi. La morte individuale è dunque in tal modo giustificata non come carnefice, ma come incaricata di una missione, come ancella.

D. Ciò non spiega l’attesa sino alla fine del mondo.

R. Ciò la spiega mediante un’osservazione supplementare. Un corpo individuale è un insieme momentaneo di atomi e di forze che si adoperano a servire un’anima, ma che poi l’abbandonano per rientrare nel mare donde altre anime a migliaia, attingeranno. Tal è la provvidenza generale. La vita è come una serie di onde su un mare; l’ondulazione non s’interrompe se non alla fine, quando, trovandosi compiuto il lavoro delle forze e delle anime, potrà venire la gran calma. Ora è di regola che la provvidenza generale limiti, all’uopo, la provvidenza particolare di questo o di quell’essere, per unirsela e per servire i fini comuni. La materia compie presentemente il suo ufficio universale; lavora alla nascita di nuovi eletti, alla loro prova terrestre, al loro progresso mediante lo sforzo, al compimento sociale di Cristo, capo dell’umanità di tutti i tempi. Quando il numero degli eletti sarà completo come la predestinazione eterna vuole; quando lo sforzo collettivo degli uomini sarà compiuto, l’incarnazione pienamente utilizzata, il livello di civiltà che Dio attende ottenuto, il perfetto potrà venire per tutti e conseguentemente per ciascuno; le anime si potranno ridare il loro corpo, organizzarlo a perfezione come ne avranno il potere, unite al Capo dell’ordine, e cominciare veramente la loro eternità.

D. È un disegno che si compie a lunga scadenza.

R. Così dev’essere; ma il capolavoro è indifferente alla durata. Quando si tratta di una vita eterna, « mille anni sono come un giorno e un giorno come mille anni ».

D. Di quale « perfezione » parli tu, riguardo alla vita corporale futura?

R. Quando l’anima riprende il suo lavoro di fabbricazione, di organizzazione, di animazione e tutto l’insieme delle sue funzioni riguardo al corpo, lo riprende in condizioni talmente nuove, che la vita così rilanciata, il corpo così ricostituito non possono mancare di provarne gli effetti. L’anima è intimamente unita al suo principio, che è il principio di tutto. Principio essa stessa, ma nella dipendenza dal Primo, trova nella sua intimità beata di che infondere nel corpo delle energie che non possiamo neppure sospettare, in questa pesante esistenza. Una calamita applicata a limatura l’organizza: l’anima calamitata in Dio non organizzerà essa il suo corpo in vista di funzioni più alte, più perfette, meglio adatte a un ambiente rinnovato del quale parleremo, meno lontane dall’anima stessa e da’ suoi soprannaturali poteri? Ecco quello che ci fa chiamare il corpo risuscitato un corpo spirituale, per rapporto al corpo animale di cui abbiamo l’esperienza. Queste espressioni sono di S. Paolo, e sono profonde.

D. Qual è il loro senso preciso?

R. Il corpo animale è quello che vive nel senso fisiologico della parola, e cioè che muore; infatti la vita è una morte perpetua che perpetuamente si redime, fino al declinare e all’arrestarsi finale. L’assimilazione o nutrizione è il suo fenomeno fondamentale. Nutrirsi è morire e rinascere a ciascuna pulsazione della carne. In uno stato immortale, la carne non potrà più essere così palpitante e fluente; la sua organizzazione sarà necessariamente stabile, com’è stabile lo spirito, unito a Dio-Spirito, ed è per questo che il corpo risuscitato si chiama un corpo spirituale. Questa parola non significa un cambiamento di natura, ma un cambiamento di stato.

D. Come un tale stato di fissità è possibile, per quello che vive?

R. «Vi sono in cielo e sopra la terra più cose che non ne conosca la tua filosofia » (HAMLET). Ti si concede che la parola vita, qui e là, non ha esattamente lo stesso senso; solo una analogia la fa rassomigliare. Del resto, le teorie attuali della materia, ti dico io, ci preparano a tutto. La nostra esperienza banale relativamente all’universo è dovunque in rotta. Noi cominciamo a sospettare il segreto degli esseri e i loro poteri infiniti di metamorfosi. Presto il « corpo spirituale » o qualsiasi altra cosa non ci stupirà più.

D. In qual forma risusciteremo noi?

R. Nella nostra, tal quale la vuole il principio di vita sciolto dagl’impedimenti del corpo animale.

D. Che cosa vuol dire questo?

R. Vuol dire un’integrità, una bellezza, un’assenza di difetti e di particolarità accidentali che non fanno nessun torto al carattere individuale, come neppure al tipo della razza. Precisare di più non sarebbe in nostro potere.

D. Tuttavia si è parlato di « doni » particolari che si attribuiscono al corpo spirituale.

R. Due di essi si riferiscono a ciò che ora ho detto. Il corpo risorto sarà al sicuro dalla dissoluzione interna alla quale l’alimentazione reca un rimedio provvisorio, al sicuro dalla morte, al sicuro dall’accidente vitale, ed è quello che si chiama la sua impassibilità. Esso si troverà esente da vizi deformanti, e sarà se stesso a fondo, tipo e carattere, ed è quello che si chiama la sua chiarezza, per allusione alla luce immanente che è l’idea creatrice nel composto morfologico, o vivente. Inoltre il vivente immortale dovendo adattarsi a un ambiente indefinitamente largo, cittadino dell’opera di Dio e non più della minuscola terra, viene dotato dell’agilità, che lo mette in proporzione col suo mondo nuovo. Finalmente gli ostacoli di altri tempi, dipendenti dalla pesante opacità e dalla resistenza degli ambienti saranno vinti dalla sottigliezza, qualità che si manifesta in Cristo quando, pure essendo le porte chiuse, dopo la sua risurrezione, apparisce in mezzo a’ suoi.

D. Quali fenomeni di sensibilità puoi supporre in tali corpi?

R. Qui, evidentemente, ogni scienza è sconcertata e ogni psicologia incompetente. Noi crediamo nondimeno a una vita sensitiva non solo rispettata, ma anche accresciuta, purificata, resa più delicata, più vicina allo spirito e alle sue forme d’azione, e, naturalmente, cessando di essere esauriente per i suoi organi, così come diciamo della vita generale del corpo.

D. Asserisci dunque che vi sono dei piaceri?

R. Certamente. Quello che è la gioia per l’anima, lo è il piacere per il corpo. Una beatitudine umana senza piaceri del corpo non sarebbe armonica. Il tutto sta nel concepire questi piaceri corporali in concordanza con lo stato che viene descritto, nel non prenderne da Maometto il pensiero grossolano, nel non attribuire dei piaceri di nutrizione a ciò che non si nutre, di generazione a ciò che non genera più, ecc. Ma gli organi dei sensi hanno altri usi, e se ora è impossibile descrivere il loro funzionamento quanto il loro oggetto, tutto induce a dire che essi rimangono, in testimonianza e per l’autentica espansione, nel perfetto, della nostra essenza umana.

D. La felicità corporale così compresa aggiunge qualcosa a ciò che hai chiamato beatitudine essenziale?

R. Non potrebbe aggiungere alcun che, dal momento che procede da essa. Ma procura la sua estensione, e si può dire che l’estensione di una felicità, anche senza valore che propriamente vi si aggiunga, è una felicità nuova.

D. Una felicità nuova per l’anima?

R. Una felicità nuova per l’anima, che, nel beatificare il suo congiunto, trova la soddisfazione della sua propria tendenza, la testimonianza dell’unità umana di cui essa è il principio, la gioia di questa unità, di quest’armonia interiore che accelera in tutti i sensi, nel nostro essere, le onde della vita.

D. Dici tuttavia che la felicità dell’anima non è aumentata e che per conseguenza, tutto considerato, la risurrezione non le è necessaria?

R. La felicità dell’anima non è aumentata; quella che viene al corpo l’attraversa essa stessa e le appartiene prima di estendersi al corpo. E di fatto, per quanto alta convenienza presenti la risurrezione del corpo, per quanto armonica in grazia di essa sia la dottrina e generosa si mostri la Provvidenza, ne segue tuttavia che la felicità dell’anima sarebbe, fuori della felicità del corpo, una felicità un po’ compressa in se stessa, ma pure una felicità piena. « Assai avara è un’anima a cui Dio non basta ».

IL SACRO CUORE DI GESÙ (52)

IL SACRO CUORE (52)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE TERZA.

Sviluppo storico della divozione.

CAPITOLO QUINTO

SFORZI SPECIALI PER ORGANIZZARE E PER DIFFONDERE LA DEVOZIONE.

Ho creduto di dover raggruppare in un capitolo a parte ciò che riguarda le Visitandine, i Gesuiti e San Giovanni Eudes. Perchè? Prima di tutto perché è una materia molto estesa e avrei dovuto scrivere un capitolo lunghissimo e sproporzionato se avessi raccolto tutto in uno stesso capitolo. Mi pare inoltre che qui si ritrovino meglio le tracce di uno sforzo speciale di un’azione compiuta per organizzare e diffondere la divozione. Infine son state iniziate discussioni sulla parte precisa che bisogna fare alle Visitandine, ai Gesuiti, a S. G. Eudes nella propaganda della divozione. Senza voler prendere partito nella controversia si può desiderare di conoscere i fatti con esattezza. Son dunque fatti e testi che son raccolti qui. Cominciamo con le Visitandine, collegando, come si conviene, la loro divozione a quella di S. Francesco di Sales e di S. Giovanna di Chantal.

I. – SAN FRANCESCO DI SALES E LE VISITANDINE

S. Francesco di Sales merita, a doppio titolo, un posto speciale in questa storia: per i suoi scritti e per le sue intuizioni soprannaturali sulla vocazione delle Visitandine. Nei suoi trattati ascetici il santo non ha parlato ex professo del Cuore di Gesù; ma aveva, per esso, una gran devozione e ne abbiamo, nei suoi scritti, molte prove squisite. Tuttavia, non vi lascerei alcuna cosa che gli sia personale, all’infuori della maniera e dello stile. Quelli che hanno scritto sul sacro Cuore, ne han raccolte un buon numero, e si potrebbe fare un libro intero intorno ai sentimenti di S. Francesco di Sales sul sacro Cuore. Basta citare poche righe. Egli scrive a S. Chantal, verso Natale: « Voi state bene… presso questa sacra culla…. Il suo piccolo cuore palpitante d’amore per noi, dovrebbe infiammare veramente il nostro. Ma guardate come Egli scrive amorosamente il vostro nome nel fondo del suo divin cuore che palpita là sulla paglia per la passione amorosa che ha per il vostro progresso spirituale; e non manda un solo sospiro verso suo Padre a cui voi non abbiate parte, né un solo tratto di spirito altro che per la vostra felicità. La calamita attira il ferro, l’ambra attira la paglia e il fieno; o che noi siamo ferro, per durezza, o che noi siamo paglia per imbecillità, ci dobbiamo unire a questo piccolo sovrano lattante che è una vera calamita dei cuori ». E la vigilia della festa di santa Caterina da Siena: « Perché non ci avviene come a questa benedetta santa… che il Salvatore ci togliesse il cuore e mettesse il suo al posto del nostro? Ma non farebbe più presto a rendere il nostro tutto suo?… Oh! ch’egli lo faccia, questo dolce Gesù; io lo scongiuro per il suo proprio cuore e per l’amore ch’esso racchiude, che è l’amore degli amori ». I testi di questo genere non son rari in lui, ma basterebbero questi a giustificare le parole di Pio IX, nel breve pontificio che lo proclama Dottore della Chiesa: « Anche le sue lettere offrono una grande messe ascetica. Ed è una meraviglia il considerare specialmente come, pieno dello spirito d’Iddio, ed avvicinandosi all’Autore stesso della soavità, egli ha gettati i germi di quella divozione al sacro Cuore di Gesù che, nei nostri tristi tempi, abbiamo la gioia grandissima di veder meravigliosamente propagata a gran profitto della pietà ». Tuttavia, non è per gli scritti o per i suoi sentimenti che lo storico della divozione dà grande importanza a S. Francesco; importanza speciale ha nei riguardi della missione e dello spirito della Visitazione. Si direbbe che avesse previste le relazioni della sua Congregazione col sacro Cuore. Mons. Bougaud cita, accomodandoli un po’ è vero, numerosi testi interessanti a questo riguardo: « Non volete, egli diceva alle sue religiose, essere figlie adoratrici e serve del cuore amoroso di questo divin Salvatore? ». E diceva ancora: « Le religiose della Visitazione, che saranno così felici di osservar fedelmente le loro regole, potranno portare il nome di figlie evangeliche, fondate particolarmente in quest’ultimo secolo per essere le imitatrici delle due più care virtù del sacro Cuore del Verbo Incarnato, la dolcezza e l’umiltà, che sono come la base e il fondamento del loro ordine e danno loro il privilegio particolare e la grazia incomparabile di portare la qualità di figlie del sacro Cuore ». Infine ecco quel che scriveva a S. Chantal, il 10 giugno 1611. Era il venerdì dopo l’ottava del SS. Sacramento, giorno destinato alla futura festa del sacro Cuore. « Dio mi ha dato questa notte (il pensiero) che la nostra casa della Visitazione è, per sua grazia, assai nobile e considerevole d’aver il suo stemma, il suo blasone, la sua divisa e il suo grido di armi. Ho dunque pensato, mia cara madre, se voi siete d’accordo, che noi dobbiamo prendere per stemma un unico cuore trafitto da due frecce racchiuso in una corona di spine; in questo povero cuore sarà incastrata una croce che lo sormonterà e sarà impressa con i sacri Nomi di Gesù e di Maria. Figlia mia, vi dirò la prima volta che ci vedremo mille piccole idee che mi son venute a questo proposito, perché la nostra piccola Congregazione è veramente opera del Cuor di Gesù e di Maria. Il Salvatore, morendo, ci ha generati dall’apertura del suo sacro Cuore; è dunque ben giusto che il nostro cuore si mantenga, con un’accurata mortificazione sempre circondato dalla corona di spine che posò sulla testa del nostro Capo, mentre l’amore lo teneva attaccato sul trono dei suoi mortali dolori ». – La Visitazione era come consacrata precedentemente al sacro Cuore; era, per così dire, battezzata in quel cuore divino. – Pare che le Visitandine avessero coscienza della loro missione molto prima di Margherita Maria. Nel libro detto delle Piccole meditazioni, spesso attribuite a santa Chantal, la Madre l’Huillier, che ne è l’autrice, scriveva ciò che segue: « Il nostro dolce Salvatore… ci ha favorito specialmente noi altre della Visitazione, per il dono e favore che ha fatto al nostro Ordine del suo Cuore o, per dir meglio, delle virtù che vi risiedono, giacché ha fondato il nostro amabilissimo istituto su questi due principî: Imparate da me che sono dolce ed umile di Cuore. È la parte che ci è toccata di tutti i suoi tesori… Sì che noi possiamo avere la soddisfazione, se impariamo e pratichiamo bene la lezione che questo amoroso Salvatore ci dà, di aver l’onore di portare il titolo di figlie del Cuore di Gesù ». Segue questo grido di riconoscenza: « È molto dolce, anima mia cara, che questo mite Gesù ci abbia scelte per far di noi le figlie del suo Cuore. Perché, o mio Salvatore, non avete favorito così qualcun altro nella vostra Chiesa? E cosa abbiamo fatto noi, alla vostra bontà, per averci destinato questo tesoro dell’eternità in questi ultimi secoli »? – La santa fondatrice della Visitazione, qui come sempre, non formava che una sola anima col Padre. « Diventate veramente umile, dolce e semplice, scriveva, affinché con questo mezzo il vostro povero cuore, che amo teneramente, sia un vero cuore di Gesù ». « Dio ci faccia la grazia, diceva ancora, di essere nel suo cuore, vivente e morente ». Sulla carta in cui S. Francesco di Sales dichiarava di accettare i suoi voti da parte d’Iddio, e che ella ordinò di sotterrare con lei, scriveva in margine questa invocazione alla SS. Vergine: « Mia dolcissima Madre, mettete nel Cuore del vostro Figliuolo questa indegna figlia e le sue risoluzioni; affinché esse siano eterne ». Abbiamo già citato, parlando di S. Francesco di Sales, le belle parole che santa Chantal diceva alle sue figlie sulla dolcezza e l’umiltà che le renderebbero vere «figlie del cuor di Gesù ». Ch’esse siano testualmente del santo fondatore o della santa fondatrice, esprimono un pensiero familiare all’uno e all’altra. Nella bella edizione delle Visitandine, esse son precedute da queste altre ugualmente attribuite a santa Chantal: « Se le suore della nostra Congregazione saranno molto umili e fedeli a Dio avranno il cuore dello Sposo crocefisso per dimora e soggiorno in questo mondo, ed il suo celeste palazzo per abitazione eterna ». – Infine, fra le meditazioni ch’ella aveva scritto per le solitudini annuali, la diciottesima ha per titolo: « In qual modo l’anima religiosa rapisce il cuore del suo amato ». – Negli annali della Visitazione si trovano i nomi di molte religiose devotissime al Cuore di Gesù o favorite dalle sue grazie insigni. È necessario segnalare almeno alcuni casi. Madre Francesca della Fléchère (+ 1665) faceva un « patto » col suo cuore, che per onorare i dolori e le gioie dei sacri Cuori di Gesù e di Maria; essa non darebbe mai segni del suo proprio dolore né della sua gioia. Madre Anna di Beaumont (+ 1656), sentiva in uno dei suoi ritiri la sua anima « nascosta dall’amore nel cuore » del suo Gesù. Suor Maria Collet (+ 1664) riposò un giorno lungamente sul cuore di nostro Signore. Suor Claudia Garnier. (1667) imparò da nostro Signore, « che la dimora delle anime abbattute è il cuor di Gesù, e ch’Egli le ha care come la pupilla dei suoi occhi ». Madre Anna Rosset (+ 1667) si trovò un giorno « con le labbra attaccate alle piaghe del sacro costato con un tal trasporto del suo cuore nel Cuore di Gesù, che cadde svenuta… Mi pareva, dice, che questo divin cuore dicesse al mio debole: « Noi non ci separeremo mai, ci ameremo eternamente cuore a cuore… ». Era il 1614, Essa fu, dicono le antiche memorie, la prima figlia della Visitazione a cui il divin Maestro scoprì i tesori del suo Cuore adorabile. – La Madre Maria Costanza di Bressaud (+ 1668) scrive: « Considerando un giorno nostro Signore sulla croce, mi fu detto che il suo cuore era aperto affine di mostrarci il suo amore e con l’intenzione di ricevere tutti i nostri cuori nel suo. Volli gettarvi io pure il mio, ma questa grazia mi fu ricusata a causa della mia indegnità. Tuttavia compresi che questo rifiuto era dovuto solo al fatto di farmelo domandare con più ardore. Ciò che feci con grande affezione. Ed allora il mio cuore fu attirato presso al sacro Cuore e gli si unì e gli si serrò in una maniera intimissima, per imprimergli le sue virtù, e per chiuderlo in maniera che non vi potesse più entrare alcuna affezione all’infuori dell’amore. Poi, con parole tutte di dilezione, questo divin Cuore mi assicurò della sua protezione e assistenza speciale in tutte le occasioni in cui fossi ricorsa a Lui ». Verso il 1661, suor Guglielmina Dumas scriveva nel suo monastero di Chartres: « O mio Dio, vi domando in grazia che, fin dal mio primo svegliarmi, le mie prime aspirazioni salgano verso il vostro trono e mi uniscano e incorporino al Cuor di Gesù, affinché in lui e per lui io vi conosca, vi ami e vi adori come voi lo desiderate… Poiché io non posso vivere senza respirare ed inspirare, io intendo o mio Dio, con le mie aspirazioni, d’attirare nell’anima mia il cuore di Gesù. Voglio che i miei pensieri non siano concepiti e prodotti che nello spirito e cuore di Gesù ». Suor Guglielmina non morì che nel 1694, quattro anni dopo santa Margherita Maria. Aveva udito parlare della veggente di Paray? La cosa è probabile, viste le frequenti comunicazioni fra i monasteri della Visitazione. Ma ne mancano le prove. Un caso analogo è quello di Maria Michele Bouffard (1661-1698), suora conversa della Visitazione di Nantes, che fu anch’essa, molto prima che si parlasse di Margherita Maria, in relazione tutta intima con il Cuore di Gesù. Per altre due sorelle di Margherita Maria, grandi devote al Cuore di Gesù, molto prima delle rivelazioni, non è possibile alcun dubbio. Suor Marta Gaultier (è 1692) scriveva nel 1668: « Voi sapete, o Vergine Santa, Madre del mio Salvatore, che non ho che un solo desiderio ed un’unica volontà; è di essere unita a Dio ed a voi, mia buona Madre, e di amare il divin Maestro, perfettamente e ardentemente. Ma da chi posso ottenere Questa grazia, o Vergine Santissima, se non da voi, che siete la madre d’amore? Prendete il mio cuore, inabissatelo nel vostro, in quello di Gesù Cristo. Ch’esso si perda in lui come la goccia nell’oceano, il nulla nel tutto; o piuttosto, che sia tutto consumato nelle fiamme d’amore ». – Suor Marta Gaultier doveva apprendere, qualche anno dopo, a Digione, le rivelazioni di Paray e prendere parte alle prime feste del nuovo culto. » Un’altra Visitandina, un’umile conversa, Suor Giovanna Benigna Gojoz, veniva a sapere soprannaturalmente nel monastero di Torino, dove morì nel 1692, le grazie fatte dal sacro Cuore a Margherita Maria. « È certo, dice il suo storico, che nell’anno 1687 ella mi fece conoscere diverse grazie della Nostra sorella Margherita Maria Alacoque, di cui non si parlava per nulla ancora nel nostro paese. Mi disse che era una persona per mezzo della quale Dio sarebbe glorificato e che insegnerebbe nella Chiesa una divozione di gran profitto ». Suor Giovanna Benigna fu ella stessa colmata di favori dal Cuore di Gesù. Dopo una lunga preparazione per l’unione col Salvatore in croce, More, essa dice, mi nascose in Gesù e mi trovai nel cuore adorabile del mio Salvatore dove dimorai, come perduta a me stessa, per tre anni interi ». Lo storico aggiunse: « Lo spirito d’amore, la Spinse sempre più nell’interno di questo divin Cuore e suor Benigna era lì come la colomba nel cavo della pietra angolare ». – Un giorno ella vide il suo cuore « fra le mani divine di quest’Amore increato che lo teneva come in un vaso prezioso. Conobbi in quel vaso il Cuore di Gesù, e mi fu detto: « Gesù ha preso il vostro cuore, ma vi dona il suo che contiene il vostro ». Io lo vidi allora, quel povero cuore di Benigna, ma così piccolo che rimasi afflitta trovandolo tanto limitato e così poco amore… Allora l’amore stesso mi consolò della mia impotenza e mi disse: « Mia colomba, io riparo alla tua mancanza d’amore, col mio amore, alla tua piccolezza con l’amore del Cuore di Gesù, alla tua debolezza con la mia bontà onnipotente. infine il cuor di Gesù, e il tuo, Benigna, sono uniti ». Ella scrisse, in un’altra circostanza: « L’amore mi disse ancora: « Quando conduco lo sposo nel tuo cuore devi accarezzarlo. Benigna non deve temere niente, perché l’amore stesso ha segnalato il suo posto nel Cuor di Gesù; là è la sua dimora più ordinaria, e dove lo Sposo le fa sentire i suoi abbracci celesti ». – Fra queste Visitandine, devote al Sacro Cuore; la Madre Anna Margherita Clement, che morì al monastero di Melun il 3 gennaio 1661, merita un posto a parte nella storia della divozione. Ella fu quanto, o forse di più di quella di cui abbiamo parlato, una grande amante del Cuor di Gesù, colmata delle sue grazie ed istruita nei suoi segreti; ebbe, un giorno, come S. Caterina da Siena, il senso che Gesù le scioglieva il cuore e metteva il suo al suo posto. Ma vi è ancora di più. Essa ebbe l’intuizione netta che la Visitazione era stata fatta dal sacro Cuore e per il sacro Cuore. Vide S. Francesco di Sales, durante la sua vita, dimorare nel Cuor di Gesù e ricevervi l’ispirazione di fondare un ordine che avrebbe, per proprio compito, « di rendere omaggio a questo Cuore divino ». La sua Vita, pubblicata venticinque anni più tardi, nel 1686 arriverà in tempo per sostenere santa Margherita Maria e secondarla nel suo apostolato, come lo dirà ella stessa con gioia visibile, in una delle sue lettere al P. Croiset.

LA VITA INTERIORE (6)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (6)

Sac. Dott. GIOVANNI NATTISTA CALVI,

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna – Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione Riveduta.

GLI ESERCIZI DI PIETÀ

LA LETTURA SPIRITUALE

RICCA SORGENTE...

Dopo la preghiera vocale e la meditazione, dopo l’esame di coscienza, la lettura spirituale è la sorgente più ricca di vita interiore. L’anima che sente vivo vivo il desiderio del raccoglimento, dell’intimità, della conversazione con Dio, non ha che da praticare l’esercizio della lettura santa. Quanto più progredirà nella lettura attenta e raccolta, tanto più s’accorgerà del suo distacco dal mondo esteriore, dalle creature. Crescerà in lei quasi prepotente il desiderio di vedere, di sentire Gesù, di essere unita con lui nella mente, nella volontà, nel cuore. S’avvedrà che la lettura santa è la parola di Gesù!

È LA SORELLA DELL’ORAZIONE.

L’autore dell’Imitazione di Cristo (Libro III, c. iv, 16) parlando delle prove e delle tentazioni con cui il demonio suole vessare le anime desiderose di amare il Signore, esce in questa constatazione: « Egli (cioè il demonio) ti soffia molti cattivi pensieri per cagionarti tedio e paura, per ritrarti dall’orazione e dalla lettura santa ». Rileviamo subito il felice accostamento di orazione e lettura. Chi suole essere sempre con Dio deve spesso orare e spesso leggere. Perocché quando noi oriamo, favelliamo con Dio; e quando noi leggiamo, Iddio favella con noi (Corona, cap. III). È proprio così. Lo confermano i Santi: « Quando preghiamo, noi parliamo con Dio; quando leggiamo i divini oracoli, ascoltiamo Dio che ci parla» (S. Ambrogio, Off., 1, 20). « La S. Scrittura è come una lettera venutaci dalla patria nostra » (S. AGOSTINO, serm. 56 ad Fr.). E ancora: « Chi suole essere sempre con Dio, deve frequentemente attendere alla preghiera e alla lettura spirituale» (SANT’AGOSTINO, Quæst., 120). Così molti altri Santi e maestri di vita spirituale raccomandano tanto insistentemente questa santa lettura e dicono, d’essa, quasi le stesse lodi della preghiera… San Bernardo soleva ripetere — e come lui, S. Alfonso Maria de’ Liguori ai suoi religiosi — che non si può trarre vero profitto nella vita della perfezione senza la pratica della meditazione e della lettura spirituale. Per questo motivo tutti i fondatori di Ordini e di Congregazioni religiose stabilirono tra le pratiche di pietà proprie dell’Ordine o della Congregazione, anche l’esercizio quotidiano della lettura spirituale.

ECCELLENZA ED EFFICACIA.

Non sempre ci è data la comodità di avvicinare e di consultare il Padre spirituale per essere consigliati sul modo di operare, particolarmente nei dubbi. Non sempre possiamo avere la gioia di udire un santo e dotto predicatore che c’illumini, ci attragga, ci persuada. Non tutti i predicatori poi, dicono cose appropriate per noi, individualmente. Talora qualche predica potrà, persino, disturbare il nostro spirito se noi non saremo pronti a pensare a giudicare con spirito di fede. Invece, è sempre possibile trovare e leggere un buon libro. La lettura spirituale supplirà a tutto, suggerendoci essa i lumi necessari e la guida per combattere e vincere il demonio, sopprimere il nostro amor proprio e far trionfare la volontà di Dio. Quando poi la predica ci fosse piaciuta e ci fosse stata di grande giovamento, non abbiamo la possibilità di invitare il predicatore a ripetercela pel nostro maggior profitto… Al contrario, si può leggere e rileggere un libro e rifletterci sopra con tutta la nostra comodità e tranquillità. – Il libro, dice S. Gregorio Magno (Moral., 2, 1), « è come uno specchio postoci innanzi agli occhi dell’anima ». – La lettura spirituale, asserisce S. Alfonso, riempie la mente di pensieri santi e di buoni desideri. Così, l’anima permeata dai consigli e dai virtuosi esempi dei santi, « sente come un bisogno di vivere alla presenza di Dio, di stare quasi sempre unita a Lui, di fare spesso atti di amore verso Dio, e di praticare tanti atti di virtù ». Soprattutto nella lettura spirituale l’anima sente l’invito dolce e fascinante di Gesù che vuole la nostra dedizione al suo santo servizio, e perciò ci fa splendere chiaramente l’obbligo che abbiamo di imitare Lui, re di ogni perfezione, di secondare e praticare i suoi esempi, già secondati e praticati dai santi. – Quante anime furono, si può dire, trasformate e fatte sante dopo la lettura di qualche libro spirituale che le indusse a lasciare il mondo e a darsi generosamente a Dio! Il colpo di grazia che convertì Agostino, come abbiamo già accennato, fu la lettura di poche righe dell’epistola di S. Paolo ai Romani (XIII, 13-14) alla quale era stato indotto dalla voce d’un fanciullo invisibile che ripeteva: Tolle et lege, tolle et lege.Dopo tanta e sì lunga lotta tra lo spiritoe la carne, finalmente risolvette di troncareogni ulteriore indugio.Così pure, per mezzo della lettura d’unlibro buono di Vite dei santi, al gloriosoS. Ignazio di Loyola Gesù fece sentireil suo dolce invito. Questo meraviglioso invito, gradito, accettato, seguito, indusse Ignazio ad abbandonare il brutto mestiere dell’uso delle armi per gli uomini, e a indossare le armi per la difesa di Gesù e dei suoi interessi. Come sarebbe possibile non vedere, con questo, la cura amorosa della Provvidenza divina che giunge, così dolcemente, al cuore e all’anima di questi suoi grandi figli e tanto efficacemente li attrae nella via e nella pratica della santità?

COME DOBBIAMO LEGGERE.

Perché la lettura spirituale, sorgente tanto ricca e fresca di vita interiore, possa essere efficace, dobbiamo, prima d’iniziare la lettura:

a) metterci alla presenza di Dio e raccomandarci a lui, affinché c’illumini la mente e riscaldi il cuore;

5) leggere, non solo con attenzione e raccoglimento per una più ampia conoscenza del Signore e delle verità eterne, ma altresì per attingere nuovi rinforzi per la nostra volontà;

c) aver cura di leggere non molte cose, o cose troppo difficili, ma sempre attentamente, e con ordine quel poco che possiamo, adattato alla nostra intelligenza e alle nostre esigenze spirituali;

d) cercar di leggere con ordine, pausa, ponderazione, e fermandoci su quei passi che ci fanno maggior impressione;

e) cercare di scegliere qualche buon pensiero per ricordarlo durante il giorno, affinché ci serva di ammaestramento e di guida.

Mi sembra utile, qui, ricordare un suggerimento che S. Giovanni Bosco diede ai suoi giovanetti e che può essere utile a tutte le anime. « Oltre le consuete preghiere del mattino e della sera, vi esorto a spendere eziandio un po’ di tempo a leggere qualche libro che tratti di cose Spirituali… Dalla lettura di questi libri riporterete grandissimo vantaggio per l’anima vostra » (Il Giovane provveduto). Poiché molte anime si crucciano perché loro sembra di non trovare nessun vantaggio nel leggere, o nel sentire e leggere tante cose veramente belle e buone, riteniamo conveniente riferire le parole che ha, proprio per esse, S. Francesco di Sales: « …non bisogna pretendere di mettere in pratica tutto ciò che vi troverete di bello. Andate avanti dolcemente, aspirando dopo cotesti belli insegnamenti; e ammirando; e ricordatevi che non si tratta che uno mangi da solo tutto un festino preparato per molti ». – Avvertimenti chiari e sereni che non abbisognano di commento. S’intende che dobbiamo, sempre, scegliere quei libri nei quali l’anima può sentirsi meglio attratta al servizio di Dio e alla pratica della virtù. Dopo il S. Vangelo, l’Imitazione di Cristo e altri libri fondamentali ben noti alle anime, le vite dei santi sembrano indicatissime per la loro utilità pratica. Infatti, nei libri di istruzione sulla virtù noi leggiamo ciò che si deve fare; ma nelle biografie dei santi si legge ciò che fecero, tra mille ostacoli, tanti uomini ch’erano, come noi, di carne e di ossa, soggetti a tutte le tentazioni. – Un antico re dell’Egitto scrisse sulla sua biblioteca: Alimenti dell’anima. Infatti, chi legge mangia. Buone letture, buon cibo spirituale che nutre, riscalda, e fa crescere… la nostra unione con Dio.

MERCOLEDI’ DELLE CENERI (2022)

MERCOLEDI DELLE CENERI,

Della Morte.

(S. LEONARDO DA PORTO MAURIZIO: Prediche quaresimale, vol. I. – Stamp. Mazzoleni, Bergamo, 1822)

Memento homo quia pulvis es, et în pulverem reverteris. Nolite thesaurizare vobis thesauros in terra.

I. Che la Chiesa per guarire le infermità dell’uomo stempri per primo antidoto alle sue piaghe la cenere, e gli porga prima medicina la morte, l’intendo; ma che l’uomo resistendo colla contumacia del male al vigore di sì gran meditamento, vada screditando le ceneri in faccia alla morte, raddoppi i disordini di una pessima vita, non lo capisco. Nasce l’uomo, e sin dai primi giorni. del viver suo dà in delirj; apprende come tesori ciò, che non è che vil cenere, apprende come cenere ciò che è un gran tesoro: reputa un gran bene il sommo dei suoi mali ed infortunj, reputa un gran male il suo vero bene: Dicit malum bonum, et bonum malum. A fermar questi capogiri entrano unitamente di mezzo il Vangelo e la Chiesa; il Vangelo lo spoglia di quei beni da lui stimati tesori: nolite thesaurizare vobis thesauros in terra. La Chiesa lo asperge di ceneri da lui aborrite come veri mali: memento homo quia pulvis es, et in pulverem reverteris. Ma se ben si considerano, i tesori del Vangelo, e le ceneri della Chiesa sono diversi vocaboli sì ma sono però le istesse cose; perché i tesori, che proibisce il Vangelo, sono vere ceneri, e le ceneri che e’ impone sul capo la Chiesa, sono veri tesori; né altra differenza vi è, se non che i tesori apparenti destinati dal Vangelo sono ceneri sollevate, i tesori veri, dei quali ci arricchisce la Chiesa, sono ceneri abbattute. Adesso capisco in che consista il rimedio più efficace dell’infermità dell’uomo; convien levar via dal mondo questa maledetta ipocrisia, che fa apparir bene quel che è male, e male quel che è bene; fa apparire un gran tesoro quel che è polvere, e polvere quel che è un gran tesoro. Risvegliatevi , se così è; acciecati mondani, e capite la gran verità della Chiesa: memento homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris. Ed acciò sappiate una volta discernere i tesori dalle polveri, e le polveri dai tesori e vi approfittiate della memoria della morte per ovviare i disordini della vita, vi propongo questa due gran verità, che serviranno per base di tutte te altre, che dovrò proporvi nel presente corso quaresimale: cioè la brevità di una vita, che sempre muore, di cui tutti siamo sicuri, perché tutti siamo mortali: Memento, quia pulvis es, e sarà il primo punto. L’immortalità di una morte, che non muore mai, di cui tutti portiamo pericolo, perché tutti siamo peccatori: Memento, quia in pulverem reverteris, e sarà il secondo. Ecco due prese di polvere atte a rimediare tutte le infermità dell’uomo. La prima polvere, che è polvere dei vivi: pulvis es con porci in mostra la brevità di una vita, che in un volo anzi in un lampo sparisce, ci farà disprezzare il presente, con farci conoscere, che non sono altro che cenere i suoi tesori; la seconda polvere, che è polvere dei morti: et in pulverem reverteris, con dimostrarci il pericolo. di una morte immortale, che non mai finisce, ci farà assicurare il futuro, con porci in possesso della beata eternità, in cui si goderanno i veri tesori. Se non altro tutti alla fine apprenderete, che per voi la memoria della morte è un gran tesoro, tutto il resto non è che poca polvere, che poca polvere; Nolite thesaurizare vobis thesauros in terra. Incominciamo? No …. – Prima d’incominciare, fermiamoci ancora; a voi mi rivolgo, o gran Vergine, o gran Madre. Eccomi su le mosse di questo corso quaresimale; e come mai potrò io camminare sicuro senza aver voi per mia guida in viaggio sì disastroso? Deh o gran Signora, se voi di lassù vedete, che io quaggiù; sia per andare in cerca di altro, che di anime. A Voi, e al figliuol vostro sì care, voi prego, o gran Madre, troncatemi pur ora e voce e vita, e concedete a questo popolo benedetto un ministro fedele qui loquatur ad cor Jerusalem. – Che vi è in grado altrimenti; a me non dà il cuore cominciare, senza prima ottener dalla vostra benefica mano, la S. Benedizione …. Benedite dunque; o gran Vergine questa mia povera lingua, e benedite altresì il cuore di chiunque mi ha da udire, acciò la mia lingua parli al cuore, e dal cuore ne riporti i frutti di vita, Si sì, beneditemi Madre pietosa, beneditemi…. Adesso sì, che con la benedizione della mia gran Madre, della mia gran Signora Maria, volontier incomincio.

II. Nasce l’uomo, e dal primo momento del vivere suo, comincia a morire, e a torto si lamenta, che un affare di tanta importanza, di quanta è il morire, si faccia. in un momento. Ahimè  che si muore in tutta la vita, e con la morte non meno si finisce di vivere che di morire. Gran cosa, tutti noi stiamo sul vivere molto, che non è in poter nostro; e sul viver bene, che si può, e si deve far da noi, ci stiam sì poco. Tutti noi apprendiamo per un gran male la morte del corpo, che presto passa, e anch’essa muore; e la morte dell’anima, che è immortale, e non finisce mai, l’apprendiam sì poco. Che delirj sono mai cotesti? la vita del corpo, che è una vita moribonda, una vita, che sempre muore, e si risolve in cenere, la teniamo cara, come un gran tesoro, e la vita dell’anima, che è il più gran tesoro, che possiamo avere in questa vita, la disprezziamo come: vilissima cenere. Con tutta ragione dunque, o pietosissima Madre, santa Chiesa per farci rientrare in noi stessi, c’intimate questa mane: Memento homo quia pulvis es. Ricordati uomo; che sei polvere:Polvere! sento chi mi ripiglia, come può dir questo con verità la Chiesa? se mi concede,che son uomo: memento homo, comedunque son polvere, e, se son polvere, comeson uomo? Quest’occhio sì brillante, concui io guardo, certamente or non è polvere;questa lingua, con cui io parlo non è polvere; questo mio. sembiante sì florido non è polvere, la polvere non parla, non sente, non vive. Io parlo, sento, e vivo,dunque non son polvere. Ah inganno! Dice benissimo, la Chiesa: pulvis es, pulvis es.La creta benché colorita con una. bella vernice non lascia di esser creta. Se voi dal più basso ufficio di garzon di stalla togliete un giovane per fargli apprender lettere, cinger spada, e costui vedendosi una bella livrea indosso, facesse delle insolenze, vo gli direste opportunamente: eh meschino! Va va, che ancor puzzi di stalla, e sta in mia mano rimandarti giù alla stalla: oh! Adesso non è più stalliere: bene, dite voi, se non è; lo fu, e lo sarà, stando in mio potere rimandarlo la, e tanto basta. Così per appunto disse Dio ad Adamo, che vedendosi adorno di scienza; e di grazia,cominciava ad alzare il capo con affettare di essere da più di quel che era: Eritis sicut Dii. Dio gli disse; Pulvis es; et in pulverem reverteris? Mi meraviglio di te povero figlio del fango Damasceno; sei polvere e ritornerai polvere, mentre vivi una vita moribonda, che sempre muore, ed altro non è, che un impasto di vilissima cenere.

III. Ma per disinganno della nostra superbia, e per fondamento di tutto il discorso preme non poco, che noi tutti veniamo a capire, che tanto Dio, come la Chiesa non isbagliano intimarci, che presentemente siamo polvere, non solo che saremo polvere: in pulverem reverteris ; ma che con tutta verità siamo polvere anche di presente … pulvis es. La ragione è chiara; perché l’uomo in qualsivoglia stato sì trovi, certo è, che fu polvere, ed ha da ritornare in polvere. Non vi pare legittima la conseguenza? Attendete. Apparisce Dio a Mosè nel deserto di Madian, e gli dice: porta al tuo popolo la nuova del vicino riscatto, e se non ti voglion credere; digli così: Qui est misit me ad vos. Quello che è mi ha inviato a voi. Quello che è? che nome è mai questo? anche Mosè è quello che è, anche Faraone è quello che è, anche il popolo;a cui dovea portar  l’imbasciata è quello che è. No, risponde S. Girolamo, solo di Dio si dice: qui est, perché solo Dio èquello che è; e la ragione la cava il Dottore dall’Apocalisse … qui est, qui erat, et qui venturus est: Quello che è, quel che fu,quel che sarà, quello veramente è quello che è, e questo è Dio, e perché Dio fu Dio, e sarà Dio, e però si dice, che Dio è quello che è: Qui est, qui erat, et qui venturus est. Ma chi non è insieme, e indivisamente quel che fu, e quel che sarà non è quello che è; ma è solamente ciò che fu, e ciò che sarà, e questi siamo noi. Volgete l’occhioal passato; che cosa siamo stati? polvere. Volgete l’occhio al futuro, che cosa saremo? polvere. Dunque se siamo stati polvere,e saremo polvere, adesso siamo polvere… Qui est. quod fuit? dice Salamone, ipsum quod futurum est. Quid est, quod factum est? ipsum quod faciendum est. Che cosa è quel che fu? quel medesimo, che sarà.Che cosa è quel che sarà? quel medesimo, che fu. Dunque nel passato si vede il futuro, e nel futuro si vede il passato E il presente dove si vede?… Salomone non lo dice, lo dirò io: il presente si vede e nel passato, e nel futuro; perché che cosa è il presente? non è altro che il passato del futuro, e il futuro del passato. Dunque se nel passato siamo stati polvere, e nel futuro saremo polvere, nel presente siamo polvere. Ma questa ragione sì speculativa, e metafisica non si comprende bene da tutti; convien dunque delucidarla in grazia dei meno intelligenti. Prendete in mano un oriuolo da polvere, e miratelo con attenzione; di sopra ha polvere, che ancor non è caduta, di sotto ha polvere, che già è caduta, e giace nel fondo; in mezzo ha polvere, ed è quel sottil filo, che, si muore, e cade da vetro in vetro; or questo sottil filo è la nostra vita, la quale è polvere, perché è l’istessa polvere, che fu di sopra, è l’istessa polvere che fu di sotto; e perché fu polvere, e sarà polvere, però è polvere; e infatti come un oriuolo, in cui già è caduta la polvere, parlò Isaia della nostra misera vita: finitis est pulvis, consummatus est miser, deficit qui conculcabat terram. – Or venite qua tutti, e toccate con mani la verità, che la nostra vita è una vita moribonda, una vita che sempre muore, e in un lampo sparisce, anzi per una gran parte già è morta; scuotete la polvere del vostro oriuolo, vedete quanta n’è già caduta. Qua, o giovane, dov’é la tua fanciullezza? passò; dunque ella è polvere già caduta. Qua, o uomo adulto: dov’è la tua gioventù? passò; dunque ella è polvere già caduta. Qua; o vecchio, dov’è la tua virilità? passò; dunque ella è polvere già caduta; sicché in te, o giovane, è morta la fanciullezza; in te, o uomo, è morta la gioventù; in te, o vecchio, è morta la virilità; dunque, la vostra vita non solo è vita moribonda, che sempre muore, ma per una gran parte già è morta. E voi vivete sì spensierati, come se foste immortali, come se mai aveste a morire? Oh inganno fallacissimo! Benedetta sia S. Chiesa, che ci risveglia questa mane; e ci disinganna con intimarci: Memento homo, quia pulvis es. Ricordati; uomo miserabile, che sei polvere; sentitela tutti: Pulvis es, pulvis es, voi, voi, uomo leggerissimo, che per quattro lodi, per aria v’invanite tanto: Pulvis es. Voi. o donna vana, che per un poco. di vernice, o di bel colore sul volto, ve ne andate tutta altera, e vi pavoneggiate; riscuotendo le adorazioni anche in mezzo alle Chiese, come se foste una. gran Dea: Pulvis es. Voi ambizioso a cui un poco di fumo dà sì fattamente negli occhi, che vi fa perder di vista e Dio, e l’anima, e l’eternità: Pulvis es. Voi, sensuale, che adorate quel vostro misero corpo, studiando tutta l’arte di compiacerlo con quei sozzi, e schifi diletti, deh aprite gli occhi, e studiate questa breve lezione che vi dà S. Bernardo: quid fuisti, quid es, quid eris… Che cosa foste? polvere. Che cosa siete? Che cosa sarete polvere. Pulvis es, pulvis es; siete polvere, e per gran parte polvere già caduta ; siete un cadavere, siete un po’di terra putridita e questo per punto fu il palar misterioso del Profeta Geremia: Terra, terra, terra audi vocem Domini. – Terra, terra,  terra ascolta la voce del. Signore. Santo Profeta a chi parlate voi? Parlo all’uomo. E perché dimandarlo alla terra tre volte? Perché in verità l’uomo è tre volte terra. È terra nella sua origine; è terra nel suo essere, è terra nel suo finire. È terra, se consideri il passato, è terra, se-rifletti al presente; è terra se pensi al futuro. E con tanto di terra sugli occhi, e con tanto di morte addosso, non ci risvegliamo questa mane? È possibile che si tiri innanzi quella vita scellerata con quella mala pratica, con quegli odj, con quei rancori, con quegli aggravj di roba altrui? E con la morte sì inviscerata nelle ossa sì seguiterà a viver così? Peccatori dove avete il senno? è possibile tanto d’insensibilità? non basta questo per riscuotervi, per farvi abbassare le ali a tutti?…

IV. Che tuoni sono mai questi, che rimbombano in questa Chiesa, e si sentono per la prima volta da questo Pergamo? Terra, cenere, morti, cadaveri! Dunque questo mondo sarà un vero cimitero? E tra noi, e i defunti non vi sarà differenza alcuna? Quelli son polvere, noi siamo polvere, eccoci tutti polvere. No la differenza c’è, e però attendete.. Osservaste mai in tempo d’estate, quando tutte le strade son polverose; nasce talvolta un vento impetuoso, che insinuandosi per mezzo alla polvere la solleva in alto, e ne fa giuoco per le vaste campagne dell’aria; vedete di grazia, come quella polvere, quasi dissi animata da quello spirito, or grandeggia a modo di torre, ora spiegasi a forma di padiglione, or aggruppasi come un globo di nuvole, or avventasi al volto dei passeggieri; va in qua in là, per questa, per quella via, alle porte, alle finestre, entro povere case, entro superbi palazzi, in cima alle torri più alte; in fondo alle valli più cupe, né siferma mai, finché dura il che la balza all’insù, la spinge al basso, conduce in giro, la sparge in largo, e ne fa mille giuochi: fermatosi poi il vento, ecco che la polvere ancora si ferma dove appunto il vento la lasciò, dentro casa, o sulla cima del tetto, o nel piano della campagna. E qual polvere, e qual vento è mai questo? La polvere siamo noi: Pulvis es, terra es, il vento è la nostra vita; lo disse il Profeta Giobbe; ventus est vita mea; levasi il vento ecco la polvere alzata: fermasi il vento, ecco la polvere caduta. Polvere alzata sono i vivi che vanno, che vengono, che entrano, che escono. Polvere caduta sono i morti, che giacciono in sepoltura, sopra la quale leggerete passim: hic jacet, hic jacet, e vuol dire: questa poca polvere, che sta sotto questa pietra, si sollevò tanti anni fa; si mantenne in aria per tanto tempo, e giunse al tale ed al tal posto alla tale, e tal dignità; adesso hic jacet, hic jacet ; sicché e vivi, e morti siam tutti polvere; i vivi son polvere alzata dal vento, i morti son polvere abbandonata dal vento; i venti che soffiano sono di due sorti; il primo è il vento della vita: ventus est vita mea. Il secondo è il vento della fortuna, che: porta in alto più l’uno, che l’altro. Questi due venti mancano sul più bello, e la polvere dà giù: Aufers spiritum eorum, ecco il vento: Aufers spiritum eorum, et deficient, et in pulverem suum revertentur. Ecco la polvere. Oh poveri mondani vi vedo pure fatti ludibrio dei venti! Ecco là colui che se ne sta in alto sull’auge delle sue grandezze; mirate come è riverito da tutti, corteggiato da tutti, applaudito da tutti, e quanto durerà? sinché dura il vento; e poi? e poi sarà polvere calpestata dai piedi dei più vili garzoni. Ecco là. quell’altro, che è nel fior dell’età, mirate come si dilata, come spiega i suoi affetti, come scorre per ogni prato, va a caccia dei passatempi, e sì ubbriaca dei più sozzi diletti, e quanto durerà? Sinché dura. il vento; e poi? e poi deficit, et in pulverem suum revertetur. Osservate quel mercante,che tutto ingolfato nei negozj ad altro non attende, che ad accumular ricchezze efar denaro, tutto traffichi, tutto corrispondenze, tutto rigiri, senza un momento di respiro, né per l’anima, né per l’eternità.Oh che polvere agitata! E quanto durerà? Sinchè dura il vento; e poi? e poi si poserà in un sepolcro, sopra di cui si leggerà scritto hic jacet, hic jacet. O vita mortale, aura fugace, polvere volante, che ti aggiri per aria con quei vasti, e vani disegni di gusti lusinghieri, di accumulate ricchezze, di ambite dignità, di potenza, di fama di gloria,di nome immortale dopo la morte, quanto durerai quanto? Te lo dirò io: quanto ha di stabilità un soffio di vento, che è senza regola, e senz’ordine: ubi sult spirat, et nescis unde veniat, aut quo vadat. Qua, umana. superbia, vedi chiara la verità! che la tua vita è una vita moribonda, una vita, che sempre muore, una vita, che non è che un soffio? Giù dunque, giù, giù, abbassa il capo, e confessa con tutta schiettezza, che in realtà sei polvere: memento, quia pulvis es. Che la tua vita non è che un soffio di vento: memento, quia ventus est vita tua, e che Iddio vendicatore quanto prima; Auferet spiritum iuum, et in pulverem tuum reverteris.

V. Or qui discorriamolo; miei cari peccatori, non essendo noi che un poco di polvere, e la nostra vita, che un poco di vento, come mai saremo sì temerarj a disprezzar la Legge santissima di quel Dio: qui potest corpus occidere et animam perdere; di quel Dio, che può in un baleno spargere all’aria questa nostra polvere, e calmare in un subito il turbine di sì impetuoso vento? Di quel Dio che può far cenere di questo nostro corpo, e mandare in precipizio per tutta l’eternità questa nostra povera anima? Dilettissimi peccatori, come ardirete di peccare, se rifletterete che peccando offendete quel Dio: che potest occidere, vi può far morire in tutti i tempi, e la mattina quando vi destate, e la sera quando vi coricate, e vi ritirate al riposo? potest occidere in ogni luogo; vi può far morire quando andate a spasso a quel giardino, quando giuocate in quella veglia, quando ballate in quel festino, quando giacete in quel letto, quando vi trovate in quella conversazione: potest occidere. Vi può far morire in tutti i modi: potest occidere in una stilla di acqua; così fece morire in un banchetto Alessandro, potest occidere in un acino di uva, così fece morire giocando un Fabio; potest occidere con un morso di animaluccio, così fece morire. Scherzando un Baldo; potest occidere in un boccone di fungo, così fece morire mangiando un Claudio: potest occidere con un accidente apopletico, con una goccia improvvisa, che già da molto tempo si va generando dentro di voi. Eh che sapete voi di quel che passa nell’intimo di voi stessi? Forse non potrebbe succedere ad alcun di voi, come a quel celebre capitano detto il Caldoro, che con sorte rara arrivato tra le battaglie all’età di 75 anni passeggiava lieto per il campo, e si gloriava di essere tuttavia sì disposto della persona, e sì vivace come fosse di venticinque anni. Non dubitate, che finì in un punto e di vantarsi e di vivere, perché percosso da un fiero accidente, fu stramazzato morto a terra; peccator mio, non potrebbe succedere l’istesso a voi? Deh appigliatevi all’esempio del s. Davidde, che considerando quante sia breve la nostra vita, a quanti accidenti sia esposta, a quanti rischi, si pasceva giornalmente di cenere: cinerem tanquam panem manducabam. Cenere come pane? Si mangiava la cenere come pane, perché siccome il pane è il cibo più comune, che si confà a tutte le complessioni, così la cenere, cioè la memoria della morte è l’alimento più sostanziale dell’anima per conservarla nella grazia di Dio: Cinerem tanquans panem manducabam

VI Ma chi non sa, che la maggior parte degli uomini vanno ingannati in questo punto? Non solo non vogliono mangiar la cenere come pane, ma hanno per oggetto di sommo orrore il sol pensarvi, si figurano lontano lontano, quel termine che è vicino vicino. Pertanto perdonatemi; o Savio; in quella vostra distribuzione dei tempi, che tassate a tutti, l’avete sbagliata: avete lasciato il meglio, avete posto il tempo del nascere, ed il tempo del morire, senza far menzione del tempo di vivere: Temps nascendi, tempus moriendi. È il tempo di vivere dov’è? mettetelo,;che ci va in ogni conto: Tempus…Ma se nell’atto stesso di porlo gli fuggedalla penna… Ma lo vogliono in ogni modo,ditelo: tempus vivendi, ma qual è il tempodi vita, dice Agostino, se il tempo che sivive, è lo stesso di quello che si toglie dallavita? Quanti anni avete voi? v’ interroga ilSanto; venti, trenta, quaranta. Ah ingannati!non dite che gli avete; dite che gli aveteperduti, perché: Quidquid temporis vivitur:, de spatio vivendi demitur. Or vedete quantov’ingannate, allorché scrivete a quell’amico,ci rivedremo nella prossima primavera; cela spasseremo in quel giardino, in quellavilla, vi sarà la. commedia, la veglia; vi saràla tale ;..sarà piucché lieta la conversazione.Ah meschini! interverrà a voi ciò che intervenne a quel ricco dell’Evangelo … Che andava facendo i suoi conti: Hobeo multa bona reposita in annos plurimos. Sì, sì, gli scrive contro Cirillo: habes: multa bona, sed annos plurimos unde poteris obtinere? Avete ì beni, avete i giardini, le ville, le conversazioni, le veglie, ma gli anni da goder questi beni, dove gli avete voi? Io vedo, che lo Spirito Santo per bocca del Savio vi stringe i panni addosso con quel tempus nacendi, tempus moriendi; e con questa cifra vi dà ad intendere e che la vita non è altro che un principio di morte. Vite principium; mortis exordium; anzi non facendo menzione della vita, vi vuol far capire che l’uomo che vive, è un defunto animato, una morto Spirante, un sensitivo cadavere; e tutta insieme finalmente la vita altro non è, che un corso, una fuga, un volo, un lampo, un precipizio alla morte. O vita umana, vita mortale, vita moribonda, fallacissima e fugacissima vita! Memento dunque quia pulvis es. – A voi l’intimo o boriosi, a voi, o superbi: a voi, che siete polvere innalzata dal vento, e vi agitate per l’aria. con tanti giri, e rigiri, ah che quanto. prima sarete polvere abbattuta! in pulverem. reverteris.

VII Il Memento, che con le parole della Chiesa ho intimato sin ora ai vivi: Memento homo, quia pulvis es, non è quello, che mì spaventa; tutto il mio timore l’ho riserbato per il memento, che ho da intimare ai morti, e sì rinchiude in quelle parole: et in pulverem reverteris. Ai vivi ho rammentato, che la prima polvere è de vivi: Pulvis es. La seconda polvere è polvere de’ morti: et in pulverem reverteris. Ai vivi ho rammentato che sono polvere sollevata, e quanto prima saranno polvere abbattuta. Ai morti devo rammentare, che sono polvere abbattuta, e quanto prima saranno polvere sollevata. Ai vivi dissi: Memento homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris. Dissi all’uomo, ricordati. uomo; che sei polvere, perché fosti polvere, ed hai da ritornare in polvere. Adesso dico alla polvere, ricordati polvere che sei uomo, perché fosti uomo, ed hai a ritornare ad esser uomo: Memento pulvis, quia homo es, et in hominem reverteris. Or qui discorriamola familiarmente: o noi crediamo, che la nostra polvere ha da ritornare ad esser uomo, o non lo crediamo? Se l’uomo finisce col solo ridursi in polvere, non ho più che dire: a che servono le prediche, a che le quaresime? Usciamo pur di chiesa,perché tutto è perdimento di tempo: ma se vostra polvere ha un dì a risuscitare e ritornare ad esser uomo, io non saprei ciò che mai vi abbia a dire. Ah dilettissimi, alme non fa paura la polvere, che ho da essere, mi fa paura quel che ha da esser lamia polvere: non temo la morte, temo l’immortalità,temo il pericolo d’una morte immortale, che non finirà mai (ed oh quanto è più importante la prima questa feconda verità!) Non temo il giorno delle ceneri,temo il giorno di Pasqua, in cui mi si ricorda la mia risurrezione ad una vita, o una morte immortale che non muore mai: Scio enim quod Redemptor meus vivit, et in novissimo die de terra surrecturus sum. Scio, non dice credo, ma scio, perché la verità è certezza dell’immortalità dell’uomo, è non solo di fede, ma anche scientifica.Per scienza, e ragion naturale la conobbero e Aristotele, e molti altri filosofi gentili: e pure a parlar con ingenuità, se rifletto al nostro modo di vivere, ritrovoche noi non siamo né come mortali, né come immortali. Non come mortali perché trattiamo le cose: di questa vita, come se questa vita fosse eterna Non come immortali, perché amo con tal dimenticanza della vita eterna, come se non vi fosse. Or qui sì, che mi sento accendere di un santo zelo, e non posso trattenermi, che a tutta voce non esclami: miseri mortali a che pensate voi? che scempiaggine è mai la vostra! sapete pure che avete a morire? sapete pure che dopo la morte avete a risuscitare e sapete pure che vi aspetta un’eternità che non ha fine? come dunque non temete una morte immortale? una morte che non finirà mai? Chi vi ha tolto il senno, dilettissimi? In che impiegate voi i vostri pensieri, le vostre sollecitudini? di che si tratta qui? dite dite, di che si tratta? non si tratta dell’anima? E di un’anima che è vostra, anziché è di voi? E di un’anima che è unica, e di un’anima che è immortale, e di un’anima, che se una volta si perde, la perdita è irrecuperabile? e di quest’anima immortale voi mostrate sì poca premura? ahimè! memento, vi dirò col Grisostomo, memento quod de anima loqueris: Che vogliate mettere a risico la roba, la sanità, la vita, l’onore, e tutto il resto, ve le passo: ma l’anima, ma l’anima che è eterna, perché cimentarla al pericolo di una morte immortale, di una morte, che non finirà mai? Deh aprite gli occhi, carissimi, e vi serva di freno quest’esempio moderno per trattenervi, e non lasciarvi andare al precipizio.

VIII. Una Principessa di grande stima avea un Paggio di buonissima indole da lei amato a tal segno, che più volte l’aveva onorato col titolo di figlio. Questo paggio avendo assistito alla mensa una mattina, in cui erano in palazzo molti convitati, finita la tavola, invece di andare a reficiarsi, si ritirò nella sua stanza, e così vestito si gettò sul letto. I Padroni stavano dopo la tavola in conversazione, e la servitù era tutta applicata a godersi gli avanzi di quel lauto convito, e il povero paggio solo con terribili convulsioni di stomaco stava ravvolgendosi per il letto in miserabil tormento; e perché il male consisteva in umori maligni come poi si scoprì con l’istesso rivolgersi gli giunse più facilmente al cuore; lo soffocò, e senz’anima, che comparisse mai ad ajutarlo, ne morì. Erano già passate alcune ore, il paggio non si vedeva comparire; andato un suo compagno alla stanza, lo vede disteso sul letto con le braccia qua e là in abbandono; lo scuote, credendo, che dormisse, ma il sonno era della morte. Ohimè! è morto, è morto, si sparge la nuova per il palazzo. La Principessa corre in persona a quello spettacolo, e vede il povero giovane età di quindici anni, quello, che tre ore prima aveva servito a tavola; lo vede colla livrea ancora indosso senza parola, e senza fiato. A quella a cominciò a bollire nel cuor della padrona una confusione di affetti, di dolore, di compassione tenerissima, di spavento orribile di sé medesima, di timor panico della morte, e lo mostrò la mattina seguente, in cui ordinati molti suffragi per quell’anima, mandò a chiamare un confessore dei più accreditati, e si confessò. Il confessore dalla qualità del caso, dal modo del racconto, e dal sentimento in cui la principessa si confessò, conobbe in lei una straordinaria mozione di affetti, e però le disse: Vorrei che V. Eccellenza questa mattina, comunicata che sarà, domandasse a Dio che cosa pretende da lei con averle fatto vedere un tale spettacolo. Lo farò. Comunicata che fu, si ritirò in sé stessa, e fatto un atto di viva fede disse: Signore mio, che pretendete da me con un avviso così terribile? parlate, Signore, perché, se sono stata sorda per l’addietro, non sarà così per l’avvenire. Stette così alquanto in silenzio, e con voce interna chiarissima si sentì dire: Vorrei vederti più apparecchiata alla morte di quello che non sei; quando si deporranno tanti capricci di testa? Quando  sì riformerà un vestir sì immodesto? Quando  si farà la pace tra te, e me tuo Dio? di che ti fidi? della gioventù? il paggio era più giovane di te; della sanità? Più sano e più robusto di te vera il paggio. Aspetti l’avviso di qualche lunga malattia? ecco, che anche senza malattia si muore? se la morte coglieva te, come ha colto il paggio, adesso dove ti troveresti con quel gruppo di coscienza non ancora sciolto, con quei debiti non soddisfatti, con quelle tante colpe personali, e tante altre, che sono a tuo carico, per esserne stata tu l’occasione? è possibile, che non temi una morte immortale, una morte che non morirà mai? Inorridì a questa scoperta la principessa, e piangendo a calde lagrime tornò a’ piedi del confessore, e le disse: Padre, non partirò dai vostri piedi, se non accordiamo questi due punti; l’uno un’esatta confession generale di tutto il passato; l’altro è un’esatta regola di vivere, e sedere, di trattare per l’avvenire. L’uno e l’altro si fece, e l’eseguì. con tanta esattezza, che dopo alcuni anni avvisata della morte, rispose ridendo; lodato sia Dio: sono già tanti anni, che aspetto questa nuova ogni dì.

IX. Via su, carissimi, risvegliatevi tutti; e seguitate l’esempio di questa savia principessa, che riformò sì bene la sua vita, che le fruttò un sommo contento in punto di morte, e lasciate che di bel nuovo v’intimi: memento pulvis, quia homo es, et in hominem reserteris. Polvere che fosti uomo, ricordati che sei uomo, e caduto a terranon hai da rimaner sempre polvere, ma la resurrezione della carne t’ha da impastareun altra volta in uomo: in hominem reverteris.Vi è per te un’altra nascita, vi è perte un’altra vita, vi é per te un altro mondo: Credis hoc? lo credete, Cristiani miei?e se lo credete, perché non mettete al confrontol’uomo momentaneo che siete, con l’uomo eterno che sarete? La vita istantaneache vivete, la morte che passa, con lamorte che non muore mai? Deh per le viscere di Gesù non vi vogliate più lungamente ingannare, riscuotetevi, ed abbiate pietà (ve ne prego con le braccia incrocicchiate sul petto) pietà, pietà delle povere anime. vostre, e per cominciar la quaresima con frutto, fate quel tanto che fece l’accennata. principessa, che ubbidiente al consiglio del confessore si ritirò in se stessa udì la voce di Dio, apprese il pericolo di una morte immortale che non muore mai, e fece quella bella conversione, che le raddolcì tutte le amarezze della morte. E per venire alla pratica, ecco la prima grazia che vi chieggo:in ogni giorno di questa quaresima ascoltate con divozione la santa Messa. Non me la negate, e in tempo della Messa raccogliete un poco in voi, e ognuno di voi a solo asolo con Dio pensi per quella mezz’ora e alla morte vicina, ed alla sua vita passata.Lasciate pure per quel tempo ogni altravozioncella, e ponderate questi due punti per impiegar bene questi due quarti d’ora:nel primo quarto, quanto son io vissuto,come son io vissuto nel tempo addietro? Oh quanta materia di pianto troverete qui!…Nel secondo quarto, quanto mi resta da vivere, e come ho io da vivere in avvenire! oh che bei proponimenti concepirà il vostro cuore… ve li replico quanto son io vissuto, e come son io vissuto per il passato nel primo quarto. Quanto mi resta da vivere, e come io ho da vivere per l’avvenire nel secondo. Oh benedetta quaresima, se ogni giorno per mezz’ora vi atterrete in questo gran pensiero, Allora sì che apprendendo quanto presto sparisca il volo, anzi il lampo d’una vita sì fallace, al tuono del Memento homo, quia pulvis es; et in pulverem reverteris, disprezzerete il presente, apprezzando il pericolo d’una morte immortale, che non muore mai al fulmine del Memento pulvis, quia homo es, et in hominem reverteris, assicurerete il futuro. – Riposiamo.

Motivo per l’Elemosina, ed altri avvisi

X. Thesaurizate vobis thesauros in Cœlo, i tesori detestati dal Vangelo sono ceneri; volete che siano veri tesori, metteteli nelle mani dei poveri, (Il detto di S. Lorenzo a Valeriano.) Per altro eccomi, popolo mio dilettissimo, venuto a voi per vento, per nevi, per ghiacci, e molti altri incomodi e disagi. Chi mi ha qui condotto? Sapete chì? un desiderio vivo di mettere in salvo le anime vostre; e mi protesto, che  non quæro vestra, sed vos, non quæ mea sunt, sed quæ Jesu Christi. Una grande impresa è la mia, e un grande affare è il vostro. Sarà mio ufficio additarvi la via della salute, sarà vostro impegno il camminare per essa, ed oh che affare di somma premura è per voi il salvarvi! Dilettissimi si tratta di salvare un’anima, anima sola, anima immortale, anima, che se una volta si perde, la perdita è irrimediabile; e per salvare quest’anima qual è il mezzo più essenziale, il più comune, di cui si serve Dio? Eccolo. La predicazione evangelica; e tanto basta per farvi capire l’obbligo immenso; e strettissimo, che avete di venire a sentire tutte le Prediche. Dissi, tutte, perché, come notano gravissimi autori, la salute dell’anima pende talvolta da un lume, da un tocco interiore da una ispirazione accettata; né voi potete sapere a quale delle prediche di questa quaresima sia annessa quella ispirazione efficace che ha da far il colpo nel vostro cuore; se a quelle Dei giorni festivi, o quelle dei giorni feriali; e però chi ha zelo di salvarsi vede benissimo, che senza un gran rischio di perdersi non ne deve lasciare neppure una. – Ma non basta venire. alla predica, bisogna anche attendere a ciò che si dice nella predica, e qui notate, che mentre si predica, parlano due, Dio è l’uomo. Dio come capo, e principale; l’uomo come mezzano e suo ministro. Sicché la predica è un complesso di umano, e di divino. Due cose vi concorrono a ben formarla, la voce di Dio e la voce dell’uomo; la voce di Dio è l’istessa in tutti i Predicatori, e per sentir questa dovete venire alla predica, perché questa è che ammollisce il cuore, dà la spinta al bene, e con virtù efficace trionfa del cuore dell’uomo; conforme dice il Salmista: Dabit soci suæ vocem virtutis. La voce poi dell’nomo è varia nei Predicatori, chi l’ha più elegante, più bizzarra, e fiorita; chi rozza, e disadorna. Sia però come si voglia, è sempre, dice Paolo: Æs sonans, et cymbalum tinniens. Ed ecco perché la maggior parte non profittano della predica, perché vengono per sentire la voce dell’uomo, non la voce di Dio, per notare lo stile, le arguzie, le figure. No no chi verrà alle mie prediche non si aspetti fiori; un tronco aspro, rozzo qual mi vedete, è incapace di bella verdura. Venite dunque per sentir, la voce interna di Dio, che in ogni predica picchierà alla porta del vostro cuore, e in questo modo spero che ne caverete un gran profitto. –  Padre, verremo ma con patto, con patto! che patto? con patto che non siate tanto lungo e lasciate certe invettive, o esagerazioni… già intendo: quel che tengo preparato in ogni predica è per trattenervi un’oretta in circa, ma perché io non sto attaccato alla carta, se talvolta lo spirito di Dio animerà la lingua dell’uomo, volete che tronchi il filo? non tornerebbe bene né a me, né a voi; tanto più, che l’esperienza m’insegna che quelle cose, che Iddio ispira nel fervor del dire, sono quelle, che riportano la vittoria. Voglio dire, se qualche volta a quell’oretta si facesse una piccola aggiunta non sarà lunghezza, ma condiscendenza allo spirito del Signore, che così disporrà. In quanto poi all’inveire, Isaia m’intima: Clama, ne cesses, quasi tuba exalta vocem tuam. Vuole, che la lingua del Predicatore faccia l’officio di tromba, non di lira; e S. Paolo mi fa intendere: Argue, obsecra, increpa. Non mi vuole adulatore, ma Predicatore, e Predicatore apostolico, voglio dire, che contro il vizio converrà gridare, ma sempre con rispetto al vizioso. Sgriderò, riprenderò la malizia dei peccatori, ma con quella venerazione somma, che si deve ad una udienza sì cortese. Quello che vi potete aspettar di buono si è, che tutto quello che vi dirò, lo dirò con un buon cuore, e di cuore, e potrete dire liberamente: quest’anno ci è toccato un Predicatore, che dice le cose all’apostolica, alla buona, ma dice col cuore, e di cuore; e direte il vero. Son povero Religioso, ma uomo: di parola, e quel che vi prometto, l’attenderò, dirò di cuore; e però venite, perché spero, che il mio Gesù con la sua grazia guiderà ai cuori quel che mi uscirà dal cuore.

Seconda Parte

XI. Fedeli cari, circa il punto massimo e fondamento del ritornare in polvere, e del dover morire sbagliano pochi, circa il quando sbagliano tutti, e giovani, e vecchi, e infermi, e sani, e gracili, e robusti. Ognuno pensa, e tutti muojono prima di quello che pensano, sapete perché? Perché nell’oriuolo della lor vita non considerano, né la polvere che è caduta, né la polvere che cade, ma considerano solo quella, che resta a cadere, e perché di questa non vedono il fine, si sognano tutti una vita lunga, come se fossero eterni. Oh inganno, oh inganno! la polvere che rimane nel nostro oriuolo è pochissima, cari peccatori, è pochissima breves dies hominis sunt. Ma fingiamo, che sia moltissima: quante volte accade che in un oriuolo da polvere, che si attraversi un piccolo atomo, una tenuissima scheggia, e voi vedete, che nel più bello del correre, e quando men si pensa perde il corso e si arresta? così avviene sovente a; una goccia che d’improvviso assale il cuore, una spina, che sì attraversa in gola, un impensato accidente ferma il corso alla vita, e si muore; ce lo dice pure a chiare note il S. Evangelo; cioè, che la morte. Ci sorprenderà, quando meno ce lo aspettiamo … Qua hora, ohimè, dicesse almeno quo anno, dicesse almeno quo mense, dicesse almeno quo die saressimo sicuri almen di un giorno. No no, qua hora non putatis, Filius hominis veniet. In quell’ora, in quel momento che meno ce lo aspetteremo, ci sorprenderà la morte, morte impensata, e però morte mala, morte pessima per noi, se non ci risvegliamo una volta. Da questa morte improvvisa, benché fortunata, e corroborate dai Sacramenti, fu sorpreso un giovine fresco e robusto di età, uno di questi per appunto, che si promettono molti anni divita; e successe il caso in una processione di penitenza, che facevasi in certa missione con grandissimo concorso, e commozione di popolo, in cui portavansi inalberati a vista di tutti alcuni stendardi. Fra questi uno ven’era, che rappresentava la morte in alta e gigantesca corporatura, la quale con una ano reggeva già bassata al taglio la falce, e con l’altra mostrava un orologio, che trasmetteva da un vetro all’altro gli ultimi granelli di polvere col motto sopra volante preso da Isaia: Finitus est pulvis. Il padre missionario sopra un palco. si fece collocare da un fianco quello stendardo, e additandola morte in quell’atteggiamento della falce in moto e dell’orologio sul finire, caricò con grande spirito il seguente pensiero. Peccatori miei dilettissimi, all’entrar, che facciamo in questo mondo, si volta l’orologio di nostra vita, e siccome. vi sono orologj diun quarto, di mezz’ora, di un’ora, di tre,e di sei ore, così la nostra vita si misura con orologj di 20, di 21, di 30, di 40 anni,la morte sta attenta: quando finitus est pulvis, e all’ultimo granellino scarica il colpo,e tronca la vita. Or chi di voi può sapere, quanta polvere ancor gli resti? Non mi state a dire; il tale ha sessant’anni, che vive, el’orologio suo ancor fila; se tutti gli orologj fossero uguali direste bene, e sarebbe ragionevole il vostro discorso; ma se vi sono orologj di pochi, e orologj di molti anni, perché volete voi argomentare dall’uno all’altro? a voi parlo, peccatore ostinatissimo:a che termine sta l’orologio di vostra vita?che ne sapete voi? chi sa che non siamo vicini all’ultimo granellino, chi lo sa?Quel giovane, che si trovava presente a questo discorso, prese per se queste parole,si partì col capo basso, andando seco stesso dicendo: Che so io, di qual misura sial’orologio di mia vita, e quanto di polvere mi resti a scorrere? e se fossi verso il fine?che sarebbe di me? Attuffato in questo pensiero entrò in una chiesa, si dispose alla confessione di cui aveva gran bisogno, e portatosi ai piedi di un confessore non solo si confessò con grande esattezza, e contrizione, ma persuasissimo, che gli restava poca polvere. per compire il corso di sua vita, si risolse a mutar totalmente costumi, e modo di vivere. Volete altro? Il  pensiero, che Dio gli mandò della brevità di sua vita, fu sì vero, che in quell’istesso giorno, in cui si confessò, nell’istesso se ne morì.

XII. Or qui contentatevi che io rubi a quel buon Missionario le parole, e tutto fuoco di zelo mi rivolgo a voi col dire: Dilettissimi peccatori, a che termine sta l’orologio di vostra vita? chi sa, che per molti di voi non sia sul finire? chi mi assicura che alcuni di voi prima di arrivare a casa non caschi morto per la via? e quando ciò non accada, chi mi assicura che per molti di voi non termini l’orologio prima di arrivare a Pasqua? In tutti i luoghi, nei quali ho predicato la quaresima, sempre è morto qualcheduno di quel popolo, dunque probabilmente in questo luogo ancora, prima che siamo a Pasqua, morirà alcun di voi; e a chi toccherà? sapete a chi? a chi meno se lo aspetta, a chi meno ci pensa. Che si fa dunque, e che più s’indugia a fare una vera e soda conversione? Deh contentatevi; che mi abbracci col mio Gesù Crocifisso, e con le ceneri in capo, e col Crocifisso alla mano, vada girando per le piazze, per le case, per le botteghe; entri là, dove si trattengono quei drappelli degli sfaccendati, quei circoli dei litiganti, quelle radunanze dei giocatori, e quivi a gran voce gridi penitenza, fratelli, penitenza! Deh lasciate i giuochi, o giovani, le liti, o pretendenti; le pratiche, o sensuali; non più amori, non più balli, non più veglie, o scapestrati, non più specchi, o donne vane, non più rancori, o vendicativi, non più furti, non più ingiustizie, o interessati. Penitenza, dilettissimi, penitenza. Ecco la trista nuova, questa mane con le parole di santa Chiesa: Pulvis es, et in pulverem reverteris. Siete polvere, e ritornerete in polvere,per ora polvere sollevata, sarete tra poco polvere abbattuta, dunque non più si tardi a smorbar tante oscenità, non più si tardi a sradicar tante oscenità, non più si tardi a sradicar tanti odj, non più si tardi a piangere amaramente i nostri peccati. Lacrime di compunzione esigono da noi gli apparati mesti di questa Chiesa. Le voci flebili dei Sacerdoti, e tante cerimonie sacre, che tutte  spirano compunzione, pentimento, e dolore, non ci invitano a piangere le nostre scelleratezze? Dunque ai piedi di questo Cristo non voci di un cuor contrito chiediamogli tutti umilmente perdono. Come! Avete avete voi ripugnanza a farlo? Ah se così. è, a quelle ceneri mi appello, a quelle ceneri che avete in capo; discopritele pure, manifestatele. Non le veggio io questa mane egualmente sparse, e su ì capi canuti, e su i crini biondi? E vecchj, e giovani non avete tutti le ceneri in capo? e che vi dicono quelle ceneri? Penitenza vi dicono, popolo mio dilettissimo, penitenza; pianti amari, dolor dei peccati, lacrime di vera compunzione. Ah mio Dio, che facciam noi! Avremo a viver sempre ostinati, sempre induriti nel mal fare? No, dilettissimi, no; deh, ubbidite tutti alla voce di Dio, tutti picchiatevi il petto, tutti rivolti a questo santo Crocifisso ditegli con le lagrime agli occhi; ah Gesù mio è venuto una volta per me il tempo di una vita santa; lo protesto; lo prometto e tutto contrito ai vostri piedi. Ah peccator, mio; lo dite di cuore? Ecco Gesù che vi abbraccia, ecco Gesù che vi consola, e per venire a capo del vostro proponimento, promettetegli una mezz’ora il dì in tutti i giorni di questa quaresima, meditando in tempo della messa quei due punti: quanto son io vissuto, e come son io vissuto. per l’addietro; quanto mi resta da vivere, e come ho da vivere in avvenire, e cavatene per frutto stabile di non commettere mai peccato mortale, ma particolarmente in questa quaresima. Ecco, popolo mio dilettissimo la gran grazia che vi chieggo questa mane, non peccate in questi santi giorni, rimirate tutti questo santo Crocifisso, promettetelo tutti a Gesù di non commetter peccato alcuno in questa quaresima, e vi riuscirà, se vi fisserete bene in capo il disinganno di S. Chiesa: Memento homo, quia pulvis es; et in pulverem reserteris, riflettendo, che la vostra vita è una vita moribonda, che sempre muore, e si risolve in cenere; e molto più, se v’imprimerete nel cuore, che questa cenere ritornerà ad essere uomo: Memento pulvis, quia homo es, et in hominem reverteris, con bene apprendere il pericolo di una morte immortale, che non muore mai. Ed ecco che, armati di queste due belle verità, troverete in pratica, che per voi la memoria è un gran tesoro, tutto resto è, che poca polvere, che poca cenere.

LE VIRTÙ CRISTIANE (17)

LE VIRTÙ CRISTIANE (17)

S. E. ALFONSO CAPECELATRO – Card. Arcivescovo di Capua

Tipografia liturgica di S. Giovanni – Desclée e Lefebre e. C., Roma – Tournay MDCCCXCVIII

PARTE IIIa

CAPO VI.

LA QUINTA BEATITUDINE.

La virtù della misericordia

La misericordia che è uno dei più soavi attributi di Dio, procede in Lui, a nostro modo d’intendere, da infinita bontà e da infinito amore, o piuttosto è la stessa bontà, e lo stesso amore infinito, in quanto si volgono ai miseri. Da ciò segue che la bontà e l’amore di Dio rifulgano particolarmente nella creazione; intanto che la misericordia, frutto dell’una e dell’altro, riluce soprattutto nella redenzione, che illumina i ciechi, rialza i caduti, libera gli schiavi, consola tutt’i miserabili, e restituisce un regno di eterno godimento ai figliuoli del pianto e del dolore. Così si comprende perché la misericordia di Dio sia celebrata ad ogni tratto nella Bibbia, e Iddio stesso prenda diletto di essere chiamato Padre delle misericordie; così è chiaro perché San Tommaso insegni, che il Signore provi una cotal gioja nell’usare misericordia alla famiglia dei suoi figliuoli. (Deus voluptuose familia suæ miserebitur. – Sum. I, 21, 43; III, 112, 34).. – Che dire poi della misericordia infinita e dolcissima, usataci da Gesù, durante la sua vita terrena? Misericordiosissimo fu il nostro Gesù verso di Matteo gabelliere, della Maddalena famosa peccatrice, di Zaccheo pubblicano, dell’adultera, del buon ladro, di Pietro che lo negò, di Paolo persecutore e di tutti i peccatori. Miracolo di misericordia Gesù nel redimere il genere umano con la morte di Croce, Egli effigiò dolcissimamente questa virtù della misericordia nelle parabole del re, che rilascia diecimila talenti al debitore, del Samaritano, del buon pastore e del figliuol prodigo. Infine in uno dei suoi più commoventi miracoli, avvenuto allorché risuscitò il figliuolo unico d’una vedova, il quale era portato al sepolcro; l’Evangelista nota che lo fece per misericordia inverso la madre, alla quale, accostatosi, amorevolmente disse : “Non piangere,” (Luc. V, 13)  tosto le restituì vivo il figliuolo. Quanta pietà, quanta compassione, quanta misericordia in questo fatto! Ora il medesimo Gesù, dopo che sul monte delle beatitudini, ci ebbe parlato della giustizia, uscì a discorrere della misericordia, che tempera e raddolcisce la virtù particolare della giustizia, e prende un nobilissimo posto in quell’insieme di virtù, che pur chiamiamo giustizia. Gesù dunque disse così: Beati i misericordiosi, perciocché essi conseguiranno misericordia. – La misericordia cristiana è un affetto santo, che si desta nel cuor dell’uomo alla vista delle altrui miserie, e lo muove a sentirne pietà e a soccorrerle. Da questa definizione si vede che la misericordia nostra non solo rassomiglia alla divina misericordia e la specchia, ma mette capo in essa, come il tralcio nella vite. Noi siamo misericordiosi verso i nostri fratelli, perché Iddio è stato ed è infinitamente misericordioso verso di noi, e anche perché nei nostri fratelli la miseria, il dolore, l’infortunio, non che cancellino o adombrino la divina immagine, piuttosto la perfezionano, e ce la rendono più cara. Infatti, i miserabili e i pazienti non somigliano forse a Cristo, molto più che i ricchi e i gaudenti? E poiché qui avanti mi accadde di dire che, a nostro modo d’intendere, la misericordia in Dio è frutto di bontà e di amore: è giusto considerare, che, anche in noi, la misericordia deriva da bontà e da amore. Perché Iddio ci ha fatto naturalmente buoni e propensi ad amare; noi ci sentiamo spontaneamente inchinati alla misericordia verso i miserabili. Però accade che anche il miscredente o il paganeggiante, seguendo la naturale propensione, usi talvolta misericordia al suo prossimo. Quando poi la naturale bontà e la naturale capacità d’amore sono eccitate e nobilitate dalla grazia, allora queste due naturali capacità non solo fruttificano largamente, ma si centuplicano, si nobilitano e si perfezionano. La storia del Cristianesimo, messa a confronto della storia pagana, ci mostra evidentemente come la misericordia dei tempi antichi non fosse neanche il millesimo di questa dei tempi cristiani. Quella era come un piccolo ruscelletto, che trovava intoppi continui nelle umane passioni vigoreggianti: questa è come un ricco e limpido fiume, che vince gli ostacoli, e corre a rallegrare tutte le genti. Non per ciò dico che di misericordia ce ne sia oggidì tanto che basti. Mai no. Quella che c’è, non basta; riesce anzi assai scarsa al bisogno; perché il Cristianesimo non è diffuso quanto è desiderabile, né è compreso e praticato come e quanto si dovrebbe. Grande è il bisogno che il genere umano ha di questa virtù della misericordia; tanto grande, quanto è grande il numero delle umane miserie. Che mesta parola è mai questa, umana miseria, la quale talvolta ci oscura l’animo anche nei momenti più belli e soavi della vita! E intanto di coteste umane miserie, chi potrebbe mai dirmi quante ve ne siano nel mondo, in un sol giorno o anche in una sola ora della vita? Chi ha mai ingegno o capacità bastante a numerarle? Quante mai ve ne ha tra i barbari e i semibarbari! Quante anche nel mondo civile! Mi piange il cuore al pensarvi; e se il pensiero vi si ferma un po’ a lungo, un’ombra di tristezza vela il mio animo, e o mi raccolgo taciturno in me stesso o, adorando i divini misteri, prego. I maestri in divinità indicano sei differenti gradi di misericordia, i quali sono, come sei diversi scalini, per i quali l’uomo ascende verso il monte della perfezione. E beato veramente chi li ascende tutti, e ha tanto di forza da arrivare all’ultimo, che è proprio solo dei perfetti, e che solo dai perfetti è compreso e desiderato. Il primo grado della cristiana misericordia è compatire ai miserabili, i quali talvolta anche dal solo compatimento purché sia sincero e cordiale, traggono un qualche bene; e chi anche solo compatisce, in ciò imita Cristo, del quale insegna S. Paolo che, sebbene grandissimo e vero Dio, pure, in quanto uomo, compatisce alle nostre infermità. (HEBR. IV, 14). – Poi si sale un po’ più in alto: ed ecco che il Cristiano misericordioso viene largamente in ajuto, per quanto è in suo potere, a tutte le miserie corporali, che pur son molte e, talvolta, egualmente gravi o più gravi delle spirituali. Da qui facilmente sorge un vivo desiderio di portare rimedio anche alle miserie dello spirito, di lor natura peggiori di quelle del corpo, e assai più degne di compassione; perciocché lo spirito è molto più nobile del corpo, e le miserie tanto più sono gravi, quanto è più alta la natura del paziente. Però il Cristiano misericordioso soccorre, secondo il poter suo, alle anime ignoranti con l’istruzione dei veri religiosi e morali, alle anime afflitte con le consolazioni della pietà e della carità, alle anime peccatrici, sforzandosi di ritrarle dal loto delle colpe loro. Il misericordioso secondo Gesù Cristo non si appaga ancora. Ascende più in alto, e sale un altro scalino nella scala della misericordia. Imitando Gesù Cristo, va Egli stesso in cerca della miseria corporale e spirituale per compatirle e soccorrerle; e fa bene, perciocché molte e gravissime miserie del corpo e dello spirito sono occulte, e non si conoscerebbero mai, se la cristiana misericordia non s’ingegnasse di scovarle dove sono celate, e di sanarle col suo balsamo. Né basta. Evvi ancora una perfezione maggiore di misericordia, e si ha, quando taluno sottrae a sé ciò che gli è comodo, utile o necessario, per soccorrere gli altri. Infine l’ultimo scalino in questa via fiorita della misericordia è il dare tutte le cose proprie e anche tutto se stesso per venire in ajuto del prossimo. Così fece, tra gli altri, il grande san Paolino da Nola; il quale, da ricchissimo che era, volle, per amore dei poveri, diventar povero lui. Onde egli e la sua diletta moglie Terasia ebbero grazia da Dio di desiderare di vivere l’uno accanto dell’altro castissimamente; monaco Paolino, monaca Terasia. Così vissero molti anni come fratello e sorella, uniti soltanto nella pietà, nella virtù e in una carità, che celestialmente si confondeva in essi con l’amore di sposi. – Di queste varie parti della misericordia cristiana non tutte appartengono all’essenza della virtù stessa. Alcune, e massimamente l’ultima, sono proprie soltanto dei Santi e dei perfetti. Nondimeno tutt’i Cristiani è bene che le conoscano, le stimino, secondo il dovere, e si sforzino almeno di desiderarle. Certo, sono tutte lucenti e bellissime, e tutte si trovano in piena armonia con i sentimenti più nobili, più gentili e più delicati del cuore umano, Se il cuore umano, tra i figliuoli della Città del mondo, a poco a poco questi sentimenti li ha smarriti o quasi, gli è perché le stesse cupidità, che, come spine, lo pungono, e lo eccitano ai piaceri, attutiscono nell’uomo quanto vi ha di più nobile e generoso. In qualche caso anzi le passioni non solo spengono nell’animo ogni luce di misericordia, ma lo rendono ferino; sicché le storie ci narrano di uomini, che, diventati più crudeli delle belve, han preso diletto delle miserie altrui. Chi il crederebbe? Gli uomini, che pur son tutti figliuoli d’un Padre infinitamente misericordiosissimo, son giunti sino a banchettare, a gavazzare a danzare oscenamente tra gli orrori delle stragi e delle morti barbaramente inflitte a creature innocenti! Ma questi cotali uomini pajon mostri piuttosto che uomini; mostri, i quali ci possono insegnare quanto sia terribilmente infocata la fiamma delle passioni, allorché non s’abbia cura di spegnerla a tempo. – L’Apostolo san Paolo, in tutta la sua vita e nelle sue lettere, ci dà esempj stupendi della cristiana misericordia. Ma nella seconda sua lettera ai Corinti si trova una misericordia così nobile, affettuosa, tenera e gentile, che mi par bene di ricordarla a chi legge. San Paolo dunque, non pago di usar misericordia a tutti, afferma che, se qualcuno soffre, ed egli per compassione e misericordia del dolore altrui, soffre egualmente: se alcuno è infermo, la malattia dell’altro quasi par che gli si infiltri e penetri nel sangue suo: se alcuno inciampa o è in pericolo di cadere in peccato, egli si sente ardere di zelo; o per sollevarlo caduto, o per sorreggerlo pericolante o per togliere di mezzo lo scandalo. (Quis infirmatur, et ego non infirmor, quis scandalizatur, et ego non uror?) (2 ad Corinz. XI, 29). – Ma, ritorniamo alle parole, con cui il divino Maestro ci annunzia la beatitudine dei misericordiosi, per chiarirne l’ultima parte. Egli disse: Beati i misericordiosi, perciocché conseguiranno misericordia. Qual è mai la misericordia che essi conseguiranno? È la vita eterna. Quel medesimo premio, che Gesù aveva promesso prima ai poveri di spirito, ai mansueti, agli afflitti, agli affamati di giustizia, ora lo promette ai misericordiosi, e lo chiama non più regno o terra o consolazione o satollamento; ma misericordia, e con ottima ragione. – Il premio eterno della visione beatifica di Dio è detto nelle Scritture, a volte giustizia, a volte misericordia. In verità esso è l’uno e l’altra cosa, secondo che si consideri in uno o in un altro aspetto. San Paolo, per darci animo ad operare il bene, insegna che il premio di esso ci è dovuto, ed è giustizia. “A me è riserbata una corona di giustizia, che mi darà il Signore giusto giudice”. Ed è giustizia; perché, avendo Iddio promesso il premio a chi crede in Lui e lo ama; il tenere la promessa è in Dio vera e propria giustizia. Nonpertanto, quasi sempre, questo medesimo premio è detto nella Bibbia e presso i Padri misericordia. Anzi il regno eterno del Paradiso non è solo una misericordia di Dio verso degli uomini, ma è come un tesoro di molte misericordie. sue verso di noi. Fu misericordia il redimerci, misericordia il farci nascere nel seno della Chiesa, misericordia il farci bere le prime aure della grazia celeste, misericordia il darci tutte le altre grazie abituali e attuali, misericordia il perdonarci tante e tante volte dopo le nostre colpe, misericordia il farci perseverare nel bene sino alla morte. Qual cosa abbiamo noi che non ci sia stata data da Dio o per bontà o piuttosto per misericordia sua? – Il frutto dunque dolcissimo ed eterno di tutte queste misericordie non può essere che un’infinita ed inenarrabile e dolcissima misericordia, che ci rallegrerà in eterno. Perciò giustamente nei Salmi è detto che il beato in cielo canterà in eterno le misericordie del Signore. – Da ultimo in questa beatitudine, meglio forse che in tutte le altre, possiamo affermare che un saggio del premio eterno lo sentiamo pure durante la vita terrena. Invero anche nella vita presente le misericordie divine e le umane si diffondono assai largamente sui misericordiosi. Vive forse un solo uomo al mondo che non abbia bisogno della misericordia divina, di quella misericordia, dico, che perdona, soccorre la povertà, lenisce i dolori e consola l’anima? E della misericordia umana non sentiamo noi parimente bisogno? O dobbiamo assolutamente negare la terribile e angosciosa realtà del dolore, o ci è forza di ammettere che sentiamo tutti un grandissimo bisogno della misericordia altrui. Forse che vanno esenti da questo bisogno o i ricchi o i potenti o gli scienziati o i giovani o i forti o gli ingegnosi? Certo no; perciocché non uno di questi è scevro sempre dalle miserie dell’ anima e del corpo: e dovunque è miseria, ivi è bisogno di misericordia, a quel modo che dovunque evvi terreno arido e bruciato, ivi è necessità di pioggia benefica. Or l’una e l’altra misericordia, cioè la divina e l’umana, il Signore ce le promette, a condizione che siamo misericordiosi anche noi verso del prossimo. Ed è giusto; perché Iddio e gli uomini non hanno alcuna ragione di aver misericordia di coloro che chiusero il cuore ai sentimenti di misericordia verso i proprj fratelli. D’altra parte è altresì giusto che il Signore versi particolarmente i tesori delle sue misericordie sopra coloro che sono misericordiosi, e che gli uomini facciano il medesimo. – Se alcuno di quei che leggono in questo libro, ora non sente bisogno della misericordia (non dico di Dio, perché ciò è impossibile) ma di quella del prossimo, non lasci di usare misericordia agli infelici suoi fratelli. Anzi se volesse ascoltare un mio consiglio, questo è proprio il tempo di raddoppiarla. Verrà anche per lui l’ora in cui avrà bisogno della misericordia altrui; verrà anche per lui l’ora oscura del dolore. Se non fosse altro, è mai possibile che non venga per lui l’ora terribilmente paurosa e difficile della morte? E allora, se egli sarà stato largo in misericordia verso i suoi fratelli, facilmente gli occorreranno alla memoria le parole onde Gesù, come è detto nei Vangeli, giudicherà le anime uscenti dai proprj corpi: “Ebbi fame, e mi deste mangiare, ebbi sete e mi deste bere, fui pellegrino e mi ricettaste, ignudo e mi rivestiste, infermo e mi visitaste, carcerato e veniste a me… Ogni volta che avete fatto (ciò) o qualche cosa di bene per uno dei più piccoli miei fratelli, l’avete fatto a me.

LA VITA INTERIORE (5)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (5)

Sac. Dott. GIOVANNI NATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna – Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione Riveduta.

GLI ESERCIZI DI PIETÀ

L’ESAME DI COSCIENZA

ESAME DI PREVIDENZA.

Quest’esame si fa, per solito, di mattina,e consiste nel prevedere col pensiero, o,meglio, nel costruirci la nostra giornata eciò che ci potrà accadere, come la dovremoe come la vorremo trascorrere. Nel santoEvangelo si parla di un costruttore il quale,avendo stabilito d’innalzare una torre, pensae riflette se ha tutto quello che è necessario per condurla a compimento. Similmente si accenna ad un tale il quale, prima di dichiarare la guerra ad un altro re, riflette seriamente su la possibilità e la probabilità di riuscire vittorioso. Questi sono insegnamenti preziosi per le nostre anime. Ogni giorno noi abbiamo occasione di fare il bene e di fuggire il male. Nello stesso ordinario compimento dei nostri obblighi quotidiani possiamo essere, più, o meno, diligenti, delicati, precisi… – Ecco la necessità di prevedere ciò che ci potrà succedere, per disporre con prudenza il modo e i mezzi perché tutto riesca di nostro maggior profitto spirituale. Maestro, anche in questo, il grande San Francesco di Sales. Egli, con la sua dolcezza, così ci istruisce: « Prevedete quali affari, quali commerci e quali occasioni potete incontrare in un dato giorno per servire Dio, e quali tentazioni vi potranno sopravvenire di offenderlo o per collera o per vanità o per qualche altro disordine: e con una santa risoluzione preparatevi a usare bene dei mezzi che vi si offriranno per servire Dio e per aumentare la vostra divozione; e al contrario, apparecchiatevi a bene evitare, a combattere e a vincere ciò che può presentarsi di contrario alla vostra salute (spirituale) e alla gloria di Dio. E non basta fare questa risoluzione: bisogna altresì preparare i mezzi per eseguirla ». – I mezzi vengono suggeriti da Dio stesso. Basta, per questo, l’umile supplica che sgorga spontanea dal cuore; essi sono, perciò, tanti e diversi quante sono le anime che, per questo fine, e secondo le loro speciali occupazioni e particolari attitudini, si rivolgono a Dio. – Con certezza, possiamo ritenere che l’esame di previdenza darà anche una direzione e un impulso alla nostra volontà, e perciò alle nostre azioni e, quindi, anche alla giornata. Tutto questo esercizio genererà anche la virtù della fortezza nel combattere durante il giorno, gli ostacoli preveduti fin dal mattino.

ESAME PARTICOLARE.

L’esame particolare, ci conduce, direttamente e rapidamente, al raccoglimento, alla vita: interiore, alla cura e alla preferenza degli interessi di Dio, alla sottomissione e all’adorazione della sua santa volontà. – Ricordiamo, qui, come ognuno ha stretto obbligo di attendere al proprio miglioramento, di cercare la santificazione di se stesso. Per questo il Signore ci comanda d’essere santi, di essere perfetti: sancti estote, perfecti estote. – Nel percorso di questo cammino, non si può mai dire: basta. Perciò l’Apostolo Paolo scrivendo ai Filippesi così loro dice: « Benché da tanto tempo io serva il Signore, tuttavia non mi credo ancora giunto a quel grado di perfezione a cui pure aspiro; perciò non penso a quello che ho fatto e sofferto nel passato, penso invece a quel che mi resta da far». – Ancora: il non cercare di progredire, il desiderare di fermarsi, il dire basta, è lo stesso che tornare indietro. Tutti i maestri della vita dello spirito concordano nella massima: Non progredi, regredi est. L’esame particolare è uno dei mezzi più efficaci per la nostra perfezione e santificazione: “Esso consiste, dice il Tronson, nell’esaminarsi più d’una volta e minutamente sopra un oggetto particolare, come sarebbe un vizio, una virtù, uno dei nostri esercizi; per scoprire non solo i nostri peccati, come si fa nell’esame generale, ma anche i più piccoli nostri difetti e le nostre più leggere imperfezioni. Questo lavorio tutto spirituale ha il fine, adunque, di ricercare l’acquisto. — a una a una — di tutte le virtù, e di sopprimere — uno per volta — tutti i nostri difetti. – Esaminandoci su gli sforzi fatti per l’acquisto d’una virtù, p. e., la pazienza, noi, automaticamente, e immediatamente, veniamo a conoscere quante volte abbiamo praticato in un dato tempo, la virtù della pazienza, e quante volte, nello stesso tempo, siamo caduti nella impazienza. – La tattica esperta della riunione delle forze nell’attacco frontale del nemico, non è meno efficace nel concentramento di tutte le forze per un assalto vigoroso contro un nostro difetto, per sopprimerlo, e all’acquisto d’una particolare virtù per praticarla. – È nota la favola del vecchio che invitò molti giovani a spezzare i rami ammassati e legati d’una sua fascina. Nessuno, dopo molte prove riuscì ad accontentare il vecchio. Questi, invece, sciolse la fascina spezzò i rami a uno a uno. Ecco, chiaro, il significato della favola: così, noi pure dobbiamo fare coi nostri difetti per mezzo dell’esame particolare. Eliminato, tra i difetti, quello che dicesi predominante, perché in noi è più attivo, più sviluppato, e, quasi, la cellula iniziale di tutti gli altri questi cadranno di per sé, e lasceranno di svilupparsi per mancanza di sostegno e di naturale nutrizione. Infatti, ucciso, Golia; i Filistei, in un momento, furono tutti sbaragliati e messi in fuga. « Se noi sradicassimo un difetto ogni anno, dice l’autore dell’Imitazione di Cristo, saremmo ben presto perfetti ». Quale grande conforto per noi! Perché, perché tardiamo a praticare questo esame? No. Esso non è cosa nuova, né, tanto meno difficile. Richiede, da parte nostra, un po di costanza e di vigilanza. – Gli antichi Savi, esortavano i loro discepoli a rivedere di continuo, giorno per giorno, i loro pensieri, le parole, le azioni e di annotarne il loro valore, buono o non buono, con palline bianche e nere. – Nella nostra santa religione però, ha preso, quest’esame, una forma nuova e importantissima. Fu nel secolo XVI che il grande S. Ignazio di Loyola perfezionò e diffuse questa efficacissima pratica di pietà. Egli suggeriva di tenere a disposizione un quadernetto apposito e di segni giorno per giorno, il numero delle mancanze e quello dei successi nell’acquisto della virtù proposta o la soppressione del difetto preso di mira. Di più. Consigliava d’imporsi una penitenza per ogni mancanza. S. Ignazio, può dirsi, giustamente, il grande santo dell’esame particolare. Egli lo praticò anche nel giorno in cui morì. Fu, infatti, trovato sotto il guanciale, il suo quadernetto bene aggiornato sino a poche ore prima della morte. – Una possibile obbiezione può venire da chi credesse questa pratica un impaccio troppo pesante e ingombrante. No. Non è così. Basta incominciare per sentire di amarla e, perciò, volerla continuare. Giosuè Borsi, Guido Negri detto il capitano santo, Loreto Starace, tre valorosi che diedero la vita in olocausto per la patria, praticarono anche in guerra questo santo esercizio. Se, pure, noi, ne faremo uso con serietà e con perseveranza, troveremo in esso un coefficiente molto pratico del nostro raccoglimento. – Terminiamo con le parole di un santo religioso: « Mio Dio, poiché è vostro grande desiderio che io lavori alla mia perfezione, poiché questo lavoro è, per me un obbligo rigoroso e voi me lo facilitate sommamente colla pratica dell’esame particolare, non sarebbe un disordine inescusabile se mi vi rendessi infedele? Non permettetelo, o mio Dio! ».

ESAME GENERALE.

Come abbiamo già detto, l’esame generale, si fa, ordinariamente, al termine della giornata, o di un periodo di tempo determinato. – S. Giovanni Crisostomo così ce lo presenta in una sua omelia: Quando viene la sera, egli dice, e s’avvicina il tempo del sonno, giudicatevi, esaminate la vostra coscienza sulle azioni della giornata. Se siete fedeli a questa pratica, sarete pieni di fiducia, quando arriverà il momento di comparire al tremendo tribunale di Dio. Chi segue la pratica di questo santo esercizio, col dare quotidianamente uno sguardo allo stato della sua coscienza contrarrà facilmente l’abito del vigilare su di se stesso. – Quest’abito, poi, conduce fortunatamente l’anima alla pratica di una vita sempre più cristiana.

MODO DI ESAMINARSI.

Vi sono, anche in questo esame, tanti modi quanti sono i gusti. Tuttavia due modi possono essere indicati: 1) Il primo consiste nell’interrogare la nostra anima seguendo l’ordine dei comandamenti di Dio e della Chiesa. Questo modo ha, però, necessità di essere integrato da molte altre cognizioni. Richiede, perciò, una certa preparazione accompagnata dall’attenzione e dalla memoria.

2) Il secondo modo, invece, consiste nella ricerca che l’anima fa:

a) riguardo al come ha compiuto i suoi doveri verso Dio, verso il prossimo, verso se stesso;

b) e riguardo agli obblighi del proprio stato. Tutto questo poi, nei pensieri, nelle parole, nelle azioni, nelle omissioni.

Ognuno così potrebbe chiedersi: Quest’oggi, sono vissuto da Cristiano, cioè da uomo dell’eternità, conforme a Gesù Cristo nella mia intelligenza, ne’ miei confronti e ne’ miei giudizi? Gli sono stato conforme nel mio cuore, ne’ miei affetti, nelle mie antipatie, nelle mie inclinazioni, nelle mie parole in tutto il mio esteriore? Ho cercato la gloria di Dio? (De Ségur).  – Per questo autointerrogatorio, l’ora più propizia sembra proprio la sera. L’ora cioè, nella quale gli uomini d’affari, i banchieri, i capi di famiglia mettono in ordine i loro conti, fanno il confronto tra le uscite e le entrate, definiscono le questioni, decidono sul da farsi all’indomani, deliberano sulle spese, stabiliscono il saldo delle partite. Questo modo di agire salva, tante volte, certe Imprese che in nessun altro modo potrebbero essere sostenute. Se questo si fa, se tutto questo si ottiene nella cura degli affari materiali che hanno la breve durata d’un giorno, una maggior attenzione dovremmo porre nella cura degli affari spirituali! Quest’attenzione, questa cura possiamo darla, e dobbiamo, anzi, darla, all’anima nostra per mezzo dell’esame generale. Con dolore, però, dobbiamo sovente constatare, come, anche in questo i figli delle tenebre sono più saggi dei figli della luce.

LA PREGHIERA.

Affinché l’esame possa dare i suoi frutti, conviene elevare fiduciosa supplica al Signore perché ci dia la luce necessaria a ben conoscere noi stessi e a rilevare, con precisione, le condizioni del nostro spirito. La luce di Dio ci farà conoscere le colpe gravi, per le quali è necessario, anche, ricercarne il numero e le circostanze che cambiano la specie del peccato. Ci farà conoscere le colpe veniali, di ogni genere, nelle quali con troppa facilità, forse, siamo soliti a sdrucciolare. Comunque: e delle colpe gravi e di quelle veniali è bene cercare l’origine, la causa; enumerare gli effetti disastrosi per detestarle maggiormente. Da ricordare, a questo punto, le parole di Gesù agli Apostoli: Vigilate e pregate per non cadere in tentazione. Soprattutto poi, pregheremo Gesù perché ci dia il dono delle lagrime; ci conceda, cioè, di piangere i nostri peccati, di sentirne vivissimo il dolore per averne da Dio stesso il perdono. Il dolore ecciterà il proposito: il proposito ci persuaderà della necessaria penitenza, della doverosa espiazione delle nostre colpe – Espiazione e penitenza proprio necessarie prima di entrare in Paradiso. Disponiamo lo spirito a farne delle penitenze quando e quanto ci sia possibile, ricordando le parole dell’Apostolo: Se ci condanniamo nella vita presente, non saremo condannati nella vita futura. – Il grande San Bernardo raccomandava caldamente ai suoi religiosi molta severità nell’esame e nella penitenza. Esaminatevi, diceva, e giudicatevi con lo stesso rigore col quale esaminereste e giudichereste un altro! Da quest’esercizio dell’esame generale vedremo scaturire, ben presto, un vantaggio spirituale notevolissimo. Questo progresso nella via del bene, ci avvicinerà, con maggior confidenza, a Gesù. La vicinanza a Gesù ci farà conoscere l’immensa grazia della sua intimità: allora desidereremo veramente l’unione con Lui e con Lui vivremo la sua vita interiore.

CONSIDERAZIONI.

Ancora alcune parole sui vantaggi speciali dell’esame di coscienza. Tra le diverse virtù, quelle che più ne ricevono alimento, sono: l’umiltà e la carità. Non si può non essere umili di mente e cuore, controllando ogni giorno il male ch’è in noi, nonostante i propositi fatti per emendarci! Come, poi, non essere caritatevoli e indulgenti col prossimo, mentre abbiamo in noi, sovente, l’occasione di constatare le medesime miserie? Fu affermato con verità da un maestro di spirito: Senza esame di coscienza sarete fra dieci o vent’anni quello che siete ora; non cercate un difetto di meno e una virtù di più. – In qualche Ordine religioso, la malattia può dispensare da tutte le pratiche di pietà. Si fa eccezione per l’esame di coscienza. Anche ammalato, il religioso è obbligato, da sé, o con l’aiuto di qualche confratello, a esaminarsi ogni giorno. – È logico e chiaro di per sé, il grande vantaggio che ne deriva per la Confessione sacramentale. Come, pure, e viceversa, è palese il danno che ne deriva all’anima non preparata che si presenta al santo tribunale di penitenza. Né solo… prepara al sacramento della penitenza, ma può anche supplirlo in caso di morte improvvisa, mentre la fuga di noi stessi, dopo di aver abbassato la nostra vita di uomo e di Cristiano, avrebbe per ultimo risultato quello di condurci tremanti e già condannati al tribunale di Dio. Si teme il tu per tu con la propria coscienza, eppure si avrà un giorno il tu per tu con Dio. Sapete che cosa sarà il giudizio di Dio? Sarà la coscienza di se stessi divenuta inevitabile. L’esame di coscienza è una delle principali fonti di quello che viene detto lo spirito di iniziativa. Dice un pio autore che dalla mancanza di questo spirito d’iniziativa si arguisce, quasi con certezza, la mancanza di un serio e continuato esame. Il conoscere se stesso è, però, solo un mezzo. Dobbiamo arrivare a conoscere Dio; a conoscerlo bene per amarlo molto, per amarlo infinitamente. Occorre, per questo, incominciare dall’esame di noi stessi. – Ci sembra opportuna, in questo punto, la seguente osservazione di Pascal: È certo che l’uomo più è illuminato e meglio conosce di essere miserabile. È dunque miserabile perché si conosce, ma è grande perché si conosce miserabile. – Concludiamo con un pensiero del caro San Francesco di Sales: I frequenti esami di coscienza sono ottimi alla sera, al mattino e al mezzodì. Ogni Cristiano amante della sua salvezza deve aver cura di ricaricare l’orologio del suo cuore: e nel corso della giornata è bene che consideri in quale stato si trovi.

« Noverim Te, noverim me! »: ch’io conosca Te, o mio Dio, e che conosca me.

(S. AGOSTINO).