A. D. SERTILLANGES, O. P.
CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXXII)
[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]
LIBRO QUINTO
I NOVISSIMI
VIII. — Il Giudizio finale.
D. La trasformazione di tutte le cose è anteriore o posteriore all’ultimo giudizio?
R. Quello è un solo grande cataclisma, a un tempo materiale e morale; noi non abbiamo da notarvi dei punti. Tuttavia, sotto certi aspetti, la logica delle cose pone il giudizio a capo, poiché l’ordine supremo è una sanzione; sotto altri aspetti, il cataclisma materiale precede, poiché la risurrezione dei morti e il loro collocamento in un nuovo essere ne è una parte.
D. L’aspetto morale del cataclisma ha per te il carattere d’una seconda venuta di Cristo?
R. Lui stesso l’ha presentato così. Dopo « la sua venuta di mansuetudine » (Pascal), Egli ha annunziato la sua venuta come giudice. La prima era stata umile e nascosta; la seconda dev’essere fulgida e gloriosa, perché è la consumazione dell’opera e la piena evidenza de’ suoi frutti.
D. Hai segnalato l’errore dei primi cristiani che credevano prossimo il giudizio: non vi contribuì in qualche modo Gesù?
R. Su questo punto Gesù si rifiutò a ogni precisione. Egli giunse fino ad assicurare che anche il Figliuolo dell’Uomo — come Figliuolo dell’Uomo — non sapeva « né il tempo né l’ora », e cioè che questo non faceva parte del suo messaggio. Egli si attiene a questo consiglio impellente: Vegliate! il Figliuolo dell’Uomo viene come un ladro. Ciò si verifica eminentemente per ciascuno, perché la morte è segreta, e ogni giudizio particolare è una parte del giudizio generale. Ma ciò si verifica altresì, nel suo piano, per tutta quanta l’umanità, e non vi è ragione di precisare di più, perché questo non ha conseguenza morale, e per noi vale assai meglio l’incertezza. Appunto per questo, nel suo Discorso della fine, Gesù prende per simbolo e sostegno de’ suoi annunzi sopra la fine dei tempi la rovina prossima di Gerusalemme, indicando soltanto che al di là, le prospettive si prolungano, senza che nessuna cronologia precisi la forma o l’estensione di tale prolungamento.
D. Qual è la ragione d’essere d’un giudizio collettivo, dopo il giudizio particolare?
R. La dottrina è sempre la stessa. La nostra Religione non è individualista, ma sociale; è una comunione. Dal momento che l’opera di Cristo è una vita comune, comune dev’essere lo sforzo e comune la mèta. Si vive gli uni accanto agli altri e sovente lontani gli uni dagli altri, ma uniti dallo Spirito di Cristo. Si parte gli uni dopo gli altri, ma per ricongiungersi attorno a Cristo, e in modo visibile, perché la società è cosa visibile, e all’ultimo termine di ogni vita, perché solo allora saranno prodotte alla luce le conseguenze totali delle opere umane.
D. Nel giudizio di ciascun’anima, le conseguenze de’ suoì atti non sono già state pesate?
R. Dio ha tenuto conto, nel nome della sua prescienza, di tutte quelle conseguenze che le nostre opere porterebbero dopo di noi; ma ciò dev’essere alla fine pubblicamente stabilito.
D. Che necessità di fare questa manifestazione formidabile, specialmente se deve estendersi a tutto il contenuto dei cuori?
R. ll contenuto dei cuori è tutto l’ordine morale, del quale i fatti esterni non sono che la testimonianza. Se l’ordine morale deve rifulgere un giorno, bisogna che si compia la profezia di Cristo: Nulla vi è di nascosto che non sia palesato, nulla di segreto che non debba finire con essere conosciuto.
D. Riguarda forse gli altri quello che ho pensato o voluto io nel segreto della coscienza?
R. Tutto quel che siamo noi riguarda tutti, poiché noi siamo in società spirituale. Come abbiamo detto a proposito del sacramento della penitenza, nulla di ciò che fa ciascuno, nulla di ciò che egli pensa, nulla di ciò che desidera o progetta è estraneo alla Chiesa universale né senza effetto sopra il suo funzionamento. La solidarietà fra noi è stretta fino all’unità, poiché in Gesù Cristo e nel suo Spirito noi siamo una sola cosa. – Chiamati insieme, retti da un unico potere, ma in stato di reagire immensamente gli uni sopra gli altri, sia consciamente, sia senza saperlo e senza volerlo, ma con la certezza precedente e imprescrittibile che ciò avviene, noi abbiamo un diritto scambievole alla verità, sotto lo sguardo del grande Giudice. Ragioni di sapienza mantengono dei segreti nel corso dei tempi; ma il tempo, alla fine, deve versare il suo tesoro agli occhi dell’universale assemblea. Quello che è stato fatto nella notte dev’essere esaminato nel giorno.
D. Tu dài a ciascun essere un universo per testimonio?
R. È il diritto di questo universo, che è un universo morale. È il diritto altresì di ciascun essere, e, se egli è stato buono, la sua suprema gloria.
D. Ma se non è stato buono?
R. In vece di una gloria, è una giustizia che si farà alla luce, quando tanti fariseismi felici avranno la loro sanzione di vergogna, « e quando apparirà in una età assoluta l’eterna laidezza delle temporali lebbre » (C. Péguy).
D. Viceversa, tu fai di ciascun essere il testimonio di tutto l’universo e di tutte le età?
R. Sì, « quando tutto si rischiarerà delle fiamme della memoria, quando ogni uomo sarà come un grande spettatore» (Péguy).
D. Ma i buoni che tu vuoi così glorificare, non avranno da arrossire di molte cose?
R. La loro vergogna sarà coperta dalla divina misericordia, della quale avranno più gioia che affanno del male. Il rossore d’una fronte non apparisce più quando vi brilla il sangue di Cristo.
D. Come comprendi tu questa manifestazione universale di tutti a tutti? Come è possibile?
R. S. Tommaso ci vede un fatto soggettivo, una « illuminazione interna », come nel giudizio particolare, ma questa volta collettiva. Dio che sa tutto, apre la sua scienza agli spiriti.
D. Che cosa ne viene a questo Dio?
R. La manifestazione dell’opera sua, e la giustificazione della sua condotta in tutto l’universo.
D. Qui non si tratta che dell’ordine morale.
R. L’ordine morale dipende dall’altro. O piuttosto non ve ne sono due; ma è la Realtà, che è morale, perché Dio è l’organizzatore, il legislatore supremo e il fine. Nel Giudizio, ciò brillerà, a confusione dei nostri dubbi, delle nostre sconoscenze cieche, dei nostri rimproveri colpevoli e insensati alla Provvidenza, delle nostre bestemmie.
D. Anche l’inferno sarà giustificato?
R. L’inferno fornirà le sue ragioni; i dannati, digrignando i denti, sottoscriveranno all’Amen apocalittico; la giustizia farà vedere il suo posto nell’ordine, e il velo di bellezza si estenderà.
D. E il purgatorio?
R. Esso non sarà più. Il definitivo annulla il provvisorio. Non si attende né si sospira, quando tutto è concluso.
D. Dunque due gruppi solamente?
R. I due gruppi evangelici: le pecorelle e i capri, la destra e la sinistra, che segnano la doppia fine d’una esistenza sublime e tragica, « quando si avanzeranno verso un’ultima morte, e verso il primo giorno d’una beatitudine » (C. Péguy).
D. Formidabile visione!
R. Formidabile per chi lo vuole, esaltante per chi si dà al compito umano; ad ogni modo, grandiosa, e tale che il senso estetico più potente non avrebbe potuto concepire, ma che la coscienza morale più esigente ha il dovere di approvare.
D. E dopo questo?
R. Dopo questo, comincia il regno definitivo. Il regno è la consumazione di tutta l’opera, e perciò è lì quello che si può vedere finalmente, benché non unicamente, né certo principalmente, in questa invocazione del Pater: Venga il tuo regno!
D. È questo dunque îl fine che Gesù ebbe di mira?
E. Lo ebbe di mira ad ogni modo nella sua profezia solenne, all’uscire dal tempio, salendo lentamente il Monte degli Ulivi. E quale audacia, in quella predizione del « piccolo Giudeo » di Renan, se noi dovessimo veramente ridurre Gesù a questa statura! Eccolo che incatena la sorte della sua dottrina, quella della sua opera, quella della sua persona al ciclo intero dell’umanità sopra la terra e al suo eterno incoronamento! Una tale affermazione è grave! Essa implica la trascendenza assoluta della religione nata da Cristo e il suo spiegamento preminente nella storia, il carattere affatto eccezionale del Fondatore e la sua dominazione sopra il tempo. Ora la prova di queste pretensioni è stata cominciata; essa prosegue ogni giorno; non è ancora compiuta e l’avvenimento terminale è senza dubbio lontano; ma manifestamente la via è presa, la posizione è segnata e sfolgoreggiante. Si può attendere l’avvenire.
EPILOGO
Consigli all’ineredulo.
Non pensare, caro incredulo, che io voglia prendere sopra di te la minima autorità personale. Chiunque tu sia, in qualsiasi stato ti trovi, io mi sento semplicemente tuo fratello, e se ho qualche vantaggio come primo arrivato, non è che un motivo per me di venirti in soccorso. Io sono nel porto di pace; tu vi tendi ancora. Forse non vi tendevi, e forse ciò che precede, per industria della Verità vivente, ti ha indotto un po’ ad orientarviti. In questo caso la mia audacia fraterna non ti urterà più; io posso tenderti la mano e dirti affettuosamente, con un profondo rispetto della tua libertà della quale Dio solo è padrone: Ecco quello che io credo che tu possa oramai tentare. – Dopo ciò che abbiamo detto del punto di partenza della Religione, tu devi comprendere che la prima cosa è di metterti di fronte a te stesso, alla tua condizione in questo mondo, al tuo stato di coscienza rispetto al bene che conosci, e a’ tuoi doveri verso Colui che non conosci, forse per negligenza, o per un segreto timore. – Qui, io oso farti una domanda stringente. Non sei battezzato? Non hai fatto la prima comunione? Non hai praticato, liberamente, la Religione de’ tuoi padri? E credi tu che ciò non abbia alcun peso, per dirigere o per giudicare la tua condotta religiosa ulteriore? — Qui vi era dell’incoscienza, mi dirai. Mi hanno battezzato senza di me; mi hanno poi suggerito la fede e la pratica. Più tardi, venne la riflessione. — Sia pure. Io ti ho concesso che ciò è possibile, benché le persone di esperienza sorridano, a volte, di ciò che la pubertà o l’età delle ambizioni giovanili chiama sue « riflessioni ». Ma io domando a te, nel segreto, non aspettando altra risposta che quella che raccoglierà liberamente la tua propria coscienza: Sei tu sicuro che il problema risolto in quel momento contro Dio, tal quale ti era fino allora apparso, sia stato legittimamente risolto, voglio dire con tutta la serietà che esigeva la questione, con tutta l’indipendenza che ci voleva riguardo a quei sentimenti segreti che ci invitano a respingere i costringimenti? Se sì, io ti comprendo. Ogni Cattolico dirà senza dubbio che tu ti sei ingannato; ma poiché, per ipotesi, il tuo errore non è rimproverevole, ti devono prendere come sei, e tu sei in diritto di domandare alla Religione i suoi titoli. Mi sono collocato in questa ipotesi scrivendo le pagine che precedono; io l’ammetterò ancora in ciò che segue. Solo così per modo di dire io mi permetto di fare appello alla tua lealtà e di additarti le conseguenze di una dichiarazione possibile. Se fosse vero che questo problema di abbandono religioso non fosse stato saggiamente risolto, che neppure fosse stato proposto, che tu avessi fatto come tanti altri, dei quali il capriccio, la passione, le ambizioni, i comodi, o un ambiente anonimo formano tutta la convinzione, tu avresti il dovere di ritornare a questo esame, di riprendere la questione dove l’hai lasciata, e di chiedere a te stesso non se la Religione ha dei titoli alla tua adesione, ma se tu, battezzato, comunicato, praticante di ieri, hai anche dei motivi sufficienti per disertarla. Non bisogna rovesciare le parti. Qui interviene il principio di possesso. La tua eredità, la tua educazione, i tuoi impegni giovanili, la tua pratica anteriore non sono tutto; ma sono qualche cosa, sono anzi molto, e se tu li rigetti, se tu ti « converti» a rovescio e decidi di cambiare rotta, devi dire il perché. Dov’è questo perché!?… Se esso esiste, se è serio, se, lealmente parlando, è di necessità assoluta per la tua coscienza, io ne prendo atto e ripigliamo la conversazione di questo libro. Se esso fosse vago o inesistente, io ti direi: Il tuo dovere — un dovere stretto — è di rimetterti nella condizione in cui eri alla vigilia di questo mancamento, cioè di rientrare nel retto sentiero e di riprendere la tua vita cristiana, salvo a fare ora quello che avresti dovuto fare allora, per rischiarare i tuoi dubbi. Quando si è fuori, non c’è bisogno di ragioni per entrare. Quando si è dentro, si ha bisogno di ragioni per uscire. E quando uno è uscito senza ragione, deve rientrare, in attesa delle ragioni per riuscire, se ce ne sono. – La situazione allora sarà forse un po’ difficile; ma con un po’ di buon volere, si esce d’impaccio. Poiché nel cattolicismo tu sei in casa tua, frequenta la tua Religione, imparala di nuovo, unisciti a’ suoi riti nella proporzione che permettono le tue disposizioni attuali, parla a Dio tutti i giorni, non fosse che per dirgli che tu non sei sicuro di credere in Lui e « ch’Egli ti annoia » (PAOLO CLAUDEL). Sorveglia la tua vita morale; all’uopo purificala, e fa’ il bene, affinché in te il bene si traduca in luce. Che se inoltre tu avessi anime a carico, come sposo, padre, capo, educatore, io ti direi con una insistenza fraterna assai più calorosa: Dammi retta, pensa al peso di responsabilità che porti; rifletti alle care anime, alle anime fiduciose sulle quali tu influisci con la tua noncuranza, a quelle che rattristi, a quelle che immobilizzi, quando un buon esempio opportuno le farebbe decidere. Tutto ciò è di una gravità eterna, e grave altresì per questa povera vita, così miserabile fuori del conforto della fede. – A te spetta di concludere, caro incredulo che forse usurpi questo titolo, che io dovrei allora chiamare caro negligente, caro smemorato, caro infedele, che il cuore di un fratello invita all’ovile. – Ora suppongo che tu sia in regola. Tu non sai; tu non hai impegni; tu cerchi. Ecco allora quel che ti suggerisco. Posto il problema della fede, non l’abbandonare più finché esso non sia risolto in modo certo. Se anche, per impossibile, non dovesse esser risolto, tu avresti almeno il benefizio di queste nobili parole di Pascal: « Vi sono due sorta di persone che si possono chiamare ragionevoli: o quei che servono Dio con tutto il loro cuore perché lo conoscono, o quei che lo cercano con tutto il loro cuore perché non lo conoscono ». Studia seriamente; medita: ecco l’uomo interiore che vede; l’uomo sparso al di fuori è la vittima di allucinazioni successive, che lo attaccano al supposto reale, diametralmente opposto al vero. – Non ti dico: sii sincero: penso che tu lo sia nel senso corrente della parola; io ti dico: non credere facile la sincerità, noi siamo abilissimi a ingannare noi stessi! Chi è veramente sincero con se stesso? Eppure il nostro dovere è di accettare le affermazioni dell’anima nostra, e anzitutto di scoprirle. Fuggirsi, o rifiutarsi è il primo peccato dell’anima irreligiosa. Fatti dunque un cuore semplice, un cuore di bambino; noi siamo tutti bambini di fronte alla verità eterna; non ci conviene, prendendo un atteggiamento d’orgoglio, collocarci in qualche modo al di sopra di essa, oppure, con segrete resistenze o con gravi desideri, collocarci al di sotto. Rimaniamo a livello, per quanto possiamo, ma inclinati davanti a ciò che da tutte le parti ci oltrepassa. – Bisogna studiare la Religione con spirito religioso, come ci si applica alla scienza con uno spirito di sapiente, o alla poesia con uno spirito poetico. Lo spirito di sofisticheria non le conviene. Esigenze smoderate in materia di dimostrazione darebbero prova di un falso metodo. Qui non siamo nel campo delle matematiche, e Aristotile osservò profondamente che a ciascun ordine di cognizione non bisogna chiedere che il genere di certezza che esso comporta. Tu non stringi un’amicizia, non entri in una carriera, non prendi moglie, su dimostrazioni perentorie. « Ciò è ridicolo », ti direbbe Pascal. Anche la Religione è cosa morale; essa invoca le ragioni del cuore; così dev’essere, se essa dev’essere la verità di tutte le anime. Pensar religiosamente è adottare le forme del pensiero più prossime all’amore. Non ti lasciare imbrogliare da troppe questioni particolari. Non ti fermare a tutti i grovigli. Vi sono difficoltà da per tutto; se t’indugi a risolverle una dopo l’altra, non arrivi mai. Attieniti all’essenziale, al fatto. « La vera forza dell’intendimento consiste nel non lasciare offuscare ciò che sappiamo da ciò che non sappiamo » (EMERSON). Ricordati che ogni difficoltà particolare del Cristianesimo trova la sua soluzione nell’insieme; che la coerenza e l’adattamento sono il segno del vero. Procura dunque di vedere ciascun problema, se esso si presenta veramente e se è importante, come nel centro d’una sfera di verità, che allora lo rischiara da ogni parte. – L’opinione agisce sopra di te come sopra tutti: concedile la sua parte d’azione legittima; nessuno può pensare solo. Guardati dalle correnti di pensiero, che non rappresentano se non una moda passeggera. Ciò che è passeggero del resto può essere lunghissimo, per rapporto alla nostra breve vita. Non badare al numero, che si lascia così presto sorprendere e così facilmente trascinare, in questo tempo di pubblicità e di confusione di mente. L’ignoranza di quasi tutti questi individui in materia religiosa è così piena e allegra che essa disarmerebbe, se essi stessi non pretendessero di armarsi di essa. Ma di fatto, bada bene, vi è lì nello stesso tempo che un pericolo per la più pura buona fede, una tentazione sottile. « Coloro che non amano la verità prendono il pretesto della contestazione della moltitudine di quei che la negano… Essi si nascondono nella stampa e chiamano il numero in loro soccorso » (PASCAL). – Diffida dei sapienti e dei pensatori che si volgono contro la fede per abuso della loro specialità, affermazioni affrettate, ignoranza a volte stupefacente di ciò che pretendono di giudicare. E d’altra parte diffida dei credenti che mettono scioccamente la loro fede in contraddizione con la scienza o l’esperienza, per ignorare il tutto e per confondere ogni cosa. Disgraziatamente sono essi troppo numerosi. Ve ne sono pure tra i professionisti. Ne faresti le meraviglie? Esigi forse che in Religione più che altrove una marca dia competenza universale? Non tutto quello che dice un soldato ha il peso di una dottrina di Foch; non tutto quello che dirà un sacerdote è parola di Vangelo. Fa, quando bisogna, le tue riserve, e « non credere a ogni parola » (S. PAOLO), Se nonostante i tuoi sforzi sinceri la luce tarda a venire, non te ne stupire e non ti scoraggiare. Consentire alle tappe fa parte della virtù del camminatore. Si parte, si fa una lunga strada sinuosa e molto spesso coperta; alla fine si arriva. Chi sa dove sei veramente? I più grandi avvenimenti dell’anima hanno luogo in noi molto prima che l’anima se ne accorga; essi sfolgoreggiano un giorno, ma nacquero in segreto, come la fiamma in un ceppo lentamente riscaldato. Attendiamo; lasciamo che le cose si rischiarino da se stesse, lasciamo maturare l’anima, attenta, sotto il sole di Dio. – Quando un’impressione di verità comincerà a colpirti, e la tua mente sarà inclinata, potrà accaderti di trovare in te altre resistenze, come ripugnanze invincibili, certe pieghe della sensibilità, certi abiti mentali, e più di tutto quella certa immobilità che non ha nome, né forma, né causa visibile; inerzia dell’anima, o piuttosto un intoppo che non trovi modo di superare. In tal caso non si tratta più direttamente di uno sforzo intellettuale, ma di un atteggiamento pratico. Poiché la verità è anche bellezza e utilità, la si può raggiungere da questo lato; il giro non è illegittimo. Ora il bello e l’utile ci muovono, là dove la luce ci lascia fissi al suolo. Puoi dunque compenetrarti delle bellezze della Religione; piaccia alla tua immaginazione e alla tua sensibilità per le sue armonie, per il suo culto, per gli scritti de’ suoi grandi uomini, per la sua arte, per i suoi monumenti, e anche per le sue ideali promesse. Bisogna « eccitare gran bramosia », diceva Pascal; bisogna eccitarla anche per conto proprio. « Non potendo il cuore dell’uomo agire senza qualche attrattiva, in un certo senso si può dire che quello che non gli piace gli è impossibile » (BOSSUET). – Parimenti non devi dimenticare la « macchina », l’« automa » e l’«imbestiamento » pascaliani, che sono stati così male capiti forse perchè l’incomprensione era più confortevole. Tu sei convinto astrattamente; ma lo spirito non ha scattato, l’adesione effettiva non vuol venire: cammina, affinché il movimento ti trascini. La bestia, in noi, vuol essere « trattata da bestia », l’automa messo in moto. Pratica tutto quello che sai, è un dovere. Pratica anche, nei limiti della saggezza e delle possibilità morali, quello che speri di sapere, a fine di arrivare: saperlo, in forza di questo adagio: « Non conosciamo le cose se non praticandole » (MAURIZIO BARRÈS). E tutto ciò vuol dire: Convertiti prima, cioè volgiti nel senso che bisogna, e allora la Verità stessa, la Verità vivente ti convertirà. Non si trova Dio se non mettendosi sulla sua strada. – Eccomi all’ultimo consiglio. Il centro della Religione è Cristo: non esitare; va diritto a Lui. L’intermedio della critica non è necessario. Questa può venire alla sua ora; essa ha il suo posto, ma il contatto diretto ha ben altra efficacia! Gesù è prova a se stesso, ti dicevo. Ascolta queste parole solenni: Io sono nato e sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità; chiunque è figlio della verità ascolta la mia voce. Ciò non inganna. Entra dunque nel Vangelo senza sforzo; entravi ingenuamente; lascia che il tuo spirito avvicini quello di Gesù, il tuo cuore apprezzi questa ineffabile Persona, e il senso tuo del reale gusti la realtà vivente di questi fatti, che gravi critici inaridiscono e dissipano al soffio delle parole. Non invano ti attaccherai al vero Maestro. Egli è il « Ponte »; è la « Porta »; chi va a lui « non cammina nelle tenebre; ma avrà il lume della vita » (S. GIOVANNI). – Io non ti faccio l’ingiuria di credere che una volta sufficientemente convinto e invitato internamente, tu esiti a dichiararti a cagione di vane considerazioni estranee. Quello che si chiama rispetto umano è un meschino rispetto di se stesso. Fu detto della conversione: « Fuori, è un uomo che si smentisce; dentro, è un uomo che si compie » (ABELE BONNARD): sapendo compierti saprai riportare la stima. L’essenziale è di deciderti e di spiegare per questo il coraggio necessario. « Per la fede come per l’amore, ci vuole del coraggio, del valore; bisogna dire a se stesso: Io credo » (TOLSTOI). E bisogna finalmente che confidi nel tuo Dio, senza il quale tutto quello che ho potuto dire, tutto quello che potrei dire sarebbe vano. La fede, come tutto l’insieme della vita cristiana, è una collaborazione; è noi con Dio, è Dio con noi, per il suo Cristo, nel centro e sino ai confini dell’anima, sino ai confini della vita. – Per conseguenza prega. Fino dal principio siamo convenuti che tu lo potevi fare, che lo dovevi fare. Poste tutte le altre condizioni, ascolta Cristo che ti dice: «La tua conversione è affare mio; non temere, e prega con confidenza, come per me » (PASCAL). Se fai così, fratello mio, io ti oso promettere da parte di Dio la certezza nella fede, la pace nella certezza, quella pace « che supera ogni sentimento umano » ed apre una via larga alle opere e alle ricompense dell’amore.
Visto, nihil obstat:
Torino, 20 luglio 1937 d. Luigi Carnino
Imprimatur: Torino, 20 luglio 1937
Can. Gio. Dalpozzo Prov. Gen,