FESTA DI SAN GIUSEPPE 2022
Sancta Missa
San Giuseppe, Sposo della B. V. Maria, Conf.
Doppio di 1* classe. – Paramenti bianchi.
La Chiesa onora sempre, con Gesù e Maria, San Giuseppe, specialmente nelle feste di Natale; ecco perché il Vangelo di questo giorno è quello del 24 dicembre. La Chiesa diede a questo Santo fin dall’VIII secolo, secondo un calendario copto, un culto liturgico nel giorno 20 luglio. Alla fine del XV sec. la sua festa fu fissata al 19 marzo e nel 1621 Gregorio XV l’estese a tutta la Chiesa. – 1870 Pio IX proclamò San Giuseppe protettore della Chiesa universale. Questo Santo, « della stirpe reale di Davide », era un uomo giusto (Vang.) e per il suo matrimonio con la Santa Vergine ha dei diritti sul frutto benedetto del seno verginale della Sposa. Una affinità di ordine legale esiste tra lui e Gesù, sul quale esercitò un diritto di paternità, che il Prefazio di San Giuseppe designa delicatamente con queste parole « paterna vice ». Senza aver generato Gesù, San Giuseppe, per i legami che l’uniscono a Maria, è, legalmente e moralmente, il padre del Figlio della Santa Vergine. Ne segue che bisogna con atti di culto riconoscere questa dignità o eccellenza soprannaturale di San Giuseppe. Vi erano nella famiglia di Nazareth le tre persone più grandi ed eccellenti dell’universo; il Cristo Uomo-Dio, la Vergine Maria Madre di Dio, Giuseppe padre putativo del Cristo. Per questo al Cristo si deve il culto di latria, alla Vergine il culto di iperdulia, a San Giuseppe il culto di suprema dulia. Dio gli rivelò il mistero dell’incarnazione (ìd.) e « lo scelse tra tutti gli uomini » (Ep.) per affidargli la custodia del Verbo incarnato e della Verginità di Maria [Toccava al padre imporre un nome al proprio figlio. L’Angelo, incaricando da parte di Dio di questa Missione Giuseppe, gli mostra con ciò che, nei riguardi di Gesù, ha gli stessi diritti che se egli ne fosse veramente il padre.]. – L’inno delle Lodi dice che: « Cristo e la Vergine assistettero all’ultimo momento San Giuseppe il cui viso era improntato ad una dolce serenità ». San Giuseppe salì al cielo per godere per sempre faccia a faccia la visione del Verbo di cui aveva contemplato cosi lungamente e da vicino l’umanità sulla terra. Questo santo è dunque considerato giustamente come il patrono ed il modello delle anime contemplative. Nella patria celeste San Giuseppe conserva un grande potere sul cuore del Figlio e della sua Santissima Sposa (Or.). Imitiamo in questo santo tempo la purezza, l’umiltà, lo spirito di preghiera e di raccoglimento di Giuseppe a Nazaret, dove egli visse con Dio, come Mosè sulla nube.
Incipit
In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps XCI : 13-14.
Justus ut palma florébit: sicut cedrus Líbani multiplicábitur: plantátus in domo Dómini: in átriis domus Dei nostri.
[Il giusto fiorisce come palma, cresce come cedro del Libano: piantato nella casa del Signore: negli atrii della casa del nostro Dio].
Ps XCI: 2.
Bonum est confiteri Dómino: et psállere nómini tuo, Altíssime.
[É bello lodarTi, o Signore: e inneggiare al tuo nome, o Altissimo.]
Justus ut palma florébit: sicut cedrus Líbani multiplicábitur: plantátus in domo Dómini: in átriis domus Dei nostri.
[Il giusto fiorisce come palma, cresce come cedro del Libano: piantato nella casa del Signore: negli atrii della casa del nostro Dio].
Oratio
Orémus.
Sanctíssimæ Genetrícis tuæ Sponsi, quǽsumus, Dómine, méritis adjuvémur: ut, quod possibílitas nostra non óbtinet, ejus nobis intercessióne donétur:
[Ti preghiamo, o Signore, fa che, aiutati dai meriti dello Sposo della Tua Santissima Madre, ciò che da noi non possiamo ottenere ci sia concesso per la sua intercessione]
Lectio
Léctio libri Sapiéntiæ.
Eccli XLV: 1-6.
Diléctus Deo et homínibus, cujus memória in benedictióne est. Símilem illum fecit in glória sanctórum, et magnificávit eum in timóre inimicórum, et in verbis suis monstra placávit. Glorificávit illum in conspéctu regum, et jussit illi coram pópulo suo, et osténdit illi glóriam suam. In fide et lenitáte ipsíus sanctum fecit illum, et elégit eum ex omni carne. Audívit enim eum et vocem ipsíus, et indúxit illum in nubem. Et dedit illi coram præcépta, et legem vitæ et disciplínæ.
[Fu caro a Dio e agli uomini, la sua memoria è in benedizione. Il Signore lo fece simile ai Santi nella gloria e lo rese grande e terribile ai nemici: e con la sua parola fece cessare le piaghe. Lo glorificò al cospetto del re e gli diede i comandamenti per il suo popolo, e gli fece vedere la sua gloria. Per la sua fede e la sua mansuetudine lo consacrò e lo elesse tra tutti i mortali. Dio infatti ascoltò la sua voce e lo fece entrare nella nuvola. Faccia a faccia gli diede i precetti e la legge della vita e della scienza].
Graduale
Ps XX : 4-5.
Dómine, prævenísti eum in benedictiónibus dulcédinis: posuísti in cápite ejus corónam de lápide pretióso.
[O Signore, lo hai prevenuto con fauste benedizioni: gli ponesti sul capo una corona di pietre preziose.]
V. Vitam pétiit a te, et tribuísti ei longitúdinem diérum in sæculum sæculi.
[Ti chiese vita e Tu gli concedesti la estensione dei giorni per i secoli dei secoli].
Ps CXI: 1-3.
Beátus vir, qui timet Dóminum: in mandátis ejus cupit nimis.
V. Potens in terra erit semen ejus: generátio rectórum benedicétur.
V. Glória et divítiæ in domo ejus: et justítia ejus manet in sæculum sæculi.
[Beato l’uomo che teme il Signore: e mette ogni delizia nei suoi comandamenti.
V. La sua progenie sarà potente in terra: sarà benedetta la generazione dei giusti.
V. Gloria e ricchezza sono nella sua casa: e la sua giustizia dura in eterno].
Evangelium
Sequéntia + sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt 1: 18-21.
Cum esset desponsáta Mater Jesu María Joseph, ántequam convenírent, invénta est in útero habens de Spíritu Sancto. Joseph autem, vir ejus, cum esset justus et nollet eam tradúcere, vóluit occúlte dimíttere eam. Hæc autem eo cogitánte, ecce, Angelus Dómini appáruit in somnis ei, dicens: Joseph, fili David, noli timére accípere Maríam cónjugem tuam: quod enim in ea natum est, de Spíritu Sancto est. Páriet autem fílium, et vocábis nomen ejus Jesum: ipse enim salvum fáciet pópulum suum a peccátis eórum
[Essendo Maria, la Madre di Gesù, sposata a Giuseppe, prima di abitare con lui fu trovata incinta, per virtù dello Spirito Santo. Ora, Giuseppe, suo marito, essendo giusto e non volendo esporla all’infamia, pensò di rimandarla segretamente. Mentre pensava questo, ecco apparirgli in sogno un Angelo del Signore, che gli disse: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere Maria come tua sposa: poiché quel che è nato in lei è opera dello Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, cui porrai nome Gesù: perché egli libererà il suo popolo dai suoi peccati].
Sermone di san Bernardo Abbate
Omelia 2 su Missus, verso la fine
Chi e qual uomo sia stato il beato Giuseppe, argomentalo dal titolo onde, sebbene in senso di nutrizio, meritò d’essere onorato così da essere e detto e creduto padre di Dio; argomentalo ancora dal proprio nome, che, come si sa, s’interpreta aumento. Ricorda in pari tempo quel gran Patriarca venduto altra volta in Egitto; e sappi ch’egli non solo ha ereditato il nome di quello, ma ne ha imitato ancora la castità, ne ha meritato l’innocenza e la grazia. E se quel Giuseppe, venduto per invidia dai fratelli e condotto in Egitto, prefigurò la vendita di Cristo; il nostro Giuseppe, fuggendo l’invidia d’Erode, portò Cristo in Egitto. Quegli per rimaner fedele al suo padrone, non volle acconsentire alle voglie della sua padrona: questi, riconoscendo vergine la sua Signora madre del suo Signore, si mantenne continente e fu il suo fedele custode. A quello fu data l’intelligenza dei sogni misteriosi; a questo fu concesso d’essere il confidente e cooperatore dei celesti misteri. Il primo conservò il frumento non per sé, ma per tutto il popolo: il secondo ricevé la custodia del Pane vivo celeste e per sé e per tutto il mondo. Non v’ha dubbio che questo Giuseppe, cui fu sposata la Madre del Salvatore, sia stato un uomo buono e fedele. Voglio dire, «un servo fedele e prudente»
Omelia di san Girolamo Prete
Libr. 1 Commento al cap. 1 di Matteo
Perché fu concepito non da una semplice vergine, ma da una sposata? Primo, perché dalla genealogia di Giuseppe si mostrasse la stirpe di Maria; secondo, perch’ella non fosse lapidata dai Giudei come adultera: terzo, perché fuggitiva in Egitto avesse un sostegno. Il martire Ignazio aggiunge ancora una quarta ragione perché egli fu concepito da una sposata : affinché, dice, il suo concepimento rimanesse celato al diavolo, che lo credé il frutto non di una vergine, ma di una maritata. Prima che stessero insieme si scoperse che stava per esser madre per opera dello Spirito Santo» Matth. 1, 18. Si scoperse non da altri se non da Giuseppe, al quale per la confidenza di marito non sfuggiva nulla di quanto riguardava la futura sposa. Dal dirsi poi: « Prima che stessero insieme », non ne segue che stessero insieme dopo: perché la Scrittura constata ciò che non era avvenuto.
Omelia di sant’Ambrogio Vescovo
Lib. 4 al capo 4 di Luca, verso la fine
Guarda la clemenza del Signore Salvatore: né mosso a sdegno, né offeso dalla grave ingratitudine, né ferito dalla loro ingiustizia abbandona la Giudea: anzi dimentico dell’ingiuria, memore solo della clemenza, cerca di guadagnare dolcemente i cuori di questo popolo infedele, ora istruendolo, ora liberandone (gl’indemoniati), ora guarendone (i malati). E con ragione san Luca parla prima di un uomo liberato dallo spirito malvagio, e poi racconta la guarigione d’una donna. Perché il Signore era venuto per guarire l’uno e l’altro sesso; ma prima doveva guarire quello che fu creato prima: e non bisognava omettere (di guarire) quella che aveva peccato più per leggerezza di animo che per malvagità.
OMELIA
S. Giuseppe e le persecuzioni contro i Cattolici.
[A. Carmagnola: S. GIUSEPPE, Ragionamenti per il mese a lui consacrato. RAGIONAMENTO XIII. – Tipogr. e Libr. Salesiana. Torino, 1896]
Uno fra i tanti ammaestramenti che ci dà la storia è questo: che i buoni sono sempre stati ingiuriati, maltrattati, perseguitati dai cattivi. Difatti fin dal principio del mondo ci mostra Abele perché innocente e santo ucciso dal suo fratello Caino. In seguito ci mostra Giacobbe perché buono perseguitato dal suo fratello Esaù; e poi Giuseppe perché puro e casto venduto dai suoi fratelli, e dalla moglie di Putifarre fatto gettare dentro una prigione; Mosè perché fedele agli ordini di Dio ed esigente dagli altri la pratica dei medesimi, colpito dalle altrui mormorazioni ed ingiurie; Davide perché fatto secondo il cuor di Dio odiato a morte da Saulle; Elia perché santo profeta del Signore perseguitato dall’empia Gezabele e dallo scellerato Acabbo; Daniele, i tre fanciulli della fornace ardente, Eleazaro e cento e cento altri maltrattati perché osservatori esatti della santa legge di Dio. Né questa è una dimostrazione, che appartenga unicamente alla storia sacra, della quale ho citato gli esempi, no, essa appartiene anche alla storia profana, imperciocchè la maggior parte delle ingiustizie, delle persecuzioni, delle scelleratezze, di tutti quanti i delitti di cui questa ci parla, sono l’effetto dell’odio dei malvagi contro dei buoni. Né di ciò vi deve esser meraviglia, giacché i buoni sono naturalmente un pugno negli occhi dei tristi. Questi vorrebbero operare il male, senza che alcuno li contrastasse menomamente e rinfacciasse la loro malvagità; ma poiché i buoni, anche senza volerlo direttamente, sono colla loro santa vita un contrasto continuo ed una continua riprensione alla vita malvagia dei tristi, perciò questi inveleniscono contro dei buoni e si fanno a perseguitarli in tutti i modi possibili. Or bene, il nostro caro S. Giuseppe, il quale fu dopo Maria il più gran Santo, l’uomo sommamente buono e giusto, sarà egli andato esente dai cattivi trattamenti dei malvagi? No, pur troppo. Tuttavia, egli sopportò i mali trattamenti con somma umiltà e pazienza, anzi con vera gioia. Nel che è opportunissimo esempio a noi Cristiani Cattolici, che appunto perché Cristiani Cattolici, siamo dal mondo perseguitati. Prendiamo adunque oggi questo esempio per noi tanto necessario. L’argomento è importantissimo; ponetevi perciò grande attenzione.
PRIMA PARTE.
Abbiamo ieri considerato come S. Giuseppe e Maria Santissima per obbedire all’editto del loro imperatore, lasciarono la città di Nazaret ove dimoravano e si recarono a Betlemme, distante circa quattro o cinque giorni di Cammino, Or bene è probabile che vi giungessero nel pomeriggio di quel giorno, che corrispondeva al nostro 24 Dicembre. Senz’altro si recarono tosto dal pubblico ufficiale per dare il proprio nome, né solamente il loro, ma eziandio quello di Gesù, che quanto prima doveva nascere. Così appunto pensano tra gli altri il Venerabile Beda e S. Alfonso Maria dei Liguori. Adempiuta per tal modo la prescrizione della legge, poiché cominciava a farsi notte, pensarono di cercare un luogo per ricoverarsi durante la medesima. Costumavasi in oriente, che presso le porte della città di qualche importanza fosse un fabbricato, più o meno vasto, destinato ad accogliere i forestieri e servir loro di ricovero. Chiamavasi con parola che presso a poco significa pubblico albergo. D’ordinario nulla c’era di più grossolano e povero, che cotesti alberghi od asili notturni. Quasi sempre l’albergo consisteva in un recinto quadrato con portico coperto lunghesso le mura; portico sostenuto da colonne di pietra o di legno, formanti quasi pilastri di arcata. Il suolo poi del portico era elevato alquanto a guisa di terrazza e ai viaggiatori serviva di letto per riposare e di mensa per mangiare. Ciascuno per altro doveva portar seco le stuoie o i tappeti e insieme gli alimenti. Lo spazzo quadrato del mezzo era destinato alle cavalcature, cammelli o giumenti, che fossero. Il certo si è che un luogo siffatto serviva assai più a mortificare le membra, che a dar loro un po’ di riposo. Qui adunque, siccome poveri, si presentarono Giuseppe e Maria a chiedere ospitalità. Ma la moltitudine degli arrivati era già così grande che, come dice il Vangelo, per essi non vi era più posto, non erat eis locus (Luc. II, 7). A Giuseppe dovette cascare il cuore, e ben possiamo immaginarci, che si sarà messo a supplicare: Un angolo, un brevissimo spazio, un posto pur che sia!… non per me, che non me ne importa di serenare la notte all’aperto,ma per questa povera mia sposa, la quale… oh Dio! Ma è inutile; l’albergo riboccava di forestierie gli si chiuse la porta in faccia.Ma qui bisogna considerare attentamente la cosa. Io dico adunque, che si allontanerebbe dal giusto assai chi pensasse che S. Giuseppe nell’esserestato respinto dal pubblico albergo, lo sia stato con cortesia ed umanità. Chi era alla testa del medesimo,per essere un uomo che stava in mezzo alla folla ed era seccato da mille istanze, doveva facilmente irritarsi. E ciò specialmente verso il fine ne della giornata in cui aveva già ricevuto tante noie. Quindi non è difficile il comprendere che cotesto pubblico ufficiale, nel licenziare S. Giuseppe da quel luogo, facesse uso di parole ingiuriose, di improperi e forse anche di imprecazioni, massime nel vedere il contegno così umile, così modesto, così riservato del Santo. Così pure,non è per nulla una supposizione infondata, che coloro i quali essendo già al possesso di un postonell’albergo, assecondando la baldanza, cheda ciò ne proveniva loro, si facessero a deridere e financo ad insultare S. Giuseppe e Maria, che per essere giunti troppo tardi, venivano messi alla porta con tanta mala grazia. Quindi è che non sembra ingannarsi punto la pietà secolare dei fedeli, allorché compatisce alle dolorose umiliazioni che Giuseppe e Maria dovettero soffrire in quella circostanza per i cattivi trattamenti che essi ricevettero: umiliazioni che tornavano loro tanto più gravi ed acerbe, non già per sé medesimi, ma per il Bambino Gesù, che era vicino a nascere, e che avrebbero voluto vedere da tutti sommamente onorato. Pertanto, dopo di essere stati così villanamente trattati alla porta del pubblico albergo, S. Giuseppe, secondo ché comunemente e giustamente si crede, volse in giro i suoi passi a cercare altrove, or in questa or in quell’altra casa un posto, se non per sé,almeno per la sua sposa. Ma anche a tutti questi altri luoghi non ricevette che repulse ed insulti, sicché colla pena più acerba nel cuore, come voi sapete, dovette poi invitare la sua Sposa Maria ad uscire di Betlemme e ricoverarsi con lei in una grotta della campagna.Ora, io mi fermo qui, e domando: Qual è la ragione principale, per cui S. Giuseppe non poté a Betlemme trovare albergo per la sua sposa e per sé? Quale la ragione per cui venne dai Betlemiti Respinto con ingiurie, villanie e mali trattamenti? Quale? Taluni dicono essere stata la povertà. Certamente questa è una forte ragione,giacché anche l’odierna esperienza ci dimostra che mentre si usano tanti riguardi verso le persone riccamente vestite, si trattano poi con alterigia e disdegno le persone vestite poveramente; e che ben aveva ragione l’Apostolo S. Giacomo di alzare la voce contro coloro che fanno questa distinzione di persone. Tuttavia, io penso che, la ragione principale per cui S. Giuseppe venne in tale circostanza fatto segno ai mali trattamenti dei Betlemiti, sia stata propriamente la sua bontà la sua giustizia. E difatti, se anche poveramente vestito, ma pur decentemente, come è da immaginare, egli si fosse presentato a quelle case confare energico, risoluto, autorevole, se egli avesse manifestato la sua discendenza dalla stirpe Di Davide, se più ancora egli avesse manifestato ai Betlemiti il grande mistero, che si nascondeva nel seno purissimo di Maria sua sposa, Par certo che che non solo non sarebbe stato respinto, mai Betlemiti sarebbero andati a gara per dargli ciascuno ospitalità in casa propria. Ma appunto. perché il vedevano presentarsi loro con aria umile, modesta, riservata, direi persino timida, perciò lo respingevano, aggiungendo persoprappiù le villanie e gli insulti. Sicché anche S. Giuseppe, propriamente perché buono e giusto, venne maltrattato dai malvagi. Ma forseché S. Giuseppe si adirò contro di essi? Forse che alle ingiurie rispose con ingiurie? O forse che di ciò mosse lamento contro la divina Provvidenza? Mai no. Il tutto sopportò con umiltà, con pazienza, persino con gioia. Egli pensava che quel Gesù che stava per nascere era stato dai profeti paragonato ad un agnello, che non si lamenta sotto le forbici del pastore che lo tosa, e che però avrebbe patito ogni sorta di scherni, ingiurie e di villanie e finalmente la passione e la morte senza lamentarsi mai, e già proponendosi l’esempio del futuro Redentore si animava con interna allegrezza ad imitarlo, giacché se egli allora penava e grandemente penava, non era per sé, ma unicamente per Gesù e per Maria. Ma quale fu la sorte di Giuseppe in questo avvenimento, tale eziandio fu mai sempre la sorte delle anime buone e giuste. Difatti gli Apostoli, che sono i primi fra i buoni che si presentano alla nostra ammirazione nel nuovo Testamento, furono subito perseguitati appena si misero a professare e predicare pubblicamente la fede e la morale di Gesù Cristo. Dopo gli Apostoli, i Martiri, i quali per la loro virtù nel mantenersi fermi alla fede di Gesù Cristo furono fatti morire con i più squisiti tormenti. Dopo i Martiri i Santi tutti, i quali o in un modo o in un altro furono dagli uomini maltrattati, svillaneggiati, calunniati, messi in catene, mandati in esilio sempre per la principale ragione della loro santità. Ma anche i Santi tutti come S. Giuseppe sopportarono sempre ogni dileggio e persecuzione con umiltà, pazienza e gioia, incominciando dagli Apostoli, dei quali sta scritto che se ne andavano allegri dal cospetto del Concilio, dove erano stati frustati, perché erano stati fatti degni di patire contumelie per il Nome di Gesù Cristo: ibant gaudentes a conspectu concilii, quoniam digni habiti sunt pro nomine Iesu contumeliam pati (Att. V, 41); e venendo su ai Martiri, che in mezzo ai loro tormenti trovavano ancora tanta forza da scherzare coi loro persecutori, come tra gli altri un S. Lorenzo; che diceva al tiranno: Suvvia, voltami dall’altra parte, ché da questa sono già abbastanza arrostito; fino agli ultimi Santi, i quali in mezzo alle persecuzioni hanno sempre lodato e benedetto Iddio, che si degnasse di renderli tanto simili al suo Divin Figliuolo Gesù, e chiamavano in grazia di essere sempre più disprezzati per Lui: Pati et contemni pro te. Or bene, tale eziandio è la sorte che tocca a noi Cristiani Cattolici, massime in questi ultimi tempi, appunto perché ci studiamo d’essere Cristiani Cattolici non solo di nome, ma anche di fatto, non solo in teoria, ma anche in pratica, perché insomma ci studiamo di essere giusti in mezzo ai tanti perversi che abbondano nel mondo. Ed in vero per cominciare dal Papa, e dai Vescovi che per la dignità, cui Iddio li ha sollevati, sono l’uno il duce supremo e gli altri i generali dei Cattolici, chi non sa quante villanie, quante ingiurie, quanti insulti sì lanciano contro di loro, massime allora che essi colla loro autorevole parola, collo zelo di cui sono santamente accesi si adoperano a piene forze per smascherare l’errore, per tenerne lontani gli incauti, per animar tutti all’adempimento dei loro doveri, compreso eziandio quello di cittadino? Oh allora non c’è calunnia, non c’è menzogna, non c’è impostura che contro di loro non si inventi; nei discorsi che si tengono, nei giornali che si stampano, nelle figure che si inventano si fa di tutto per vilipenderli, per accusarli, per condannarli. Questo, si blattera, è un Papa troppo superbo, il quale si ostina a reclamare per sé un regno che non gli compete e pretenderebbe vedere prostrati dinnanzi a sé mogi mogi tutti i sovrani del mondo; quest’altro è un Arcivescovo troppo intrigante e audace, che lascia di curare le anime dei suoi fedeli per intromettersi in affari che non gli spettano e fare il capo partito; quell’altro aspira ad avere nelle sue mani il regime di ogni ordine cittadino e così via via, assai di più di quello che per rispetto a sì grandi personaggi io non dico. – Di poi, dopo il Papa e i Vescovi, ecco i preti, che pei Cattolici sono come i capitani. Essi, voi lo sapete che non invento, sono insultati da per tutto e da tutti, sui giornali, nei romanzi, ai teatri, nelle sale di conversazione, dove loro si carica addosso ogni prepotenza, ogni ambizione, ogni vizio, sulle piazze, per le vie, dove non solo squadriglie di studenti, giovinastri e fanciulli tant’alti, ma eziandio persone che paiono volersi rispettare, li salutano coll’allegra fanfara dei qua qua e li riveriscono col bel titolo di corvaccio. E da ultimo venendo ai laici, che dire degli improperii, che si scaraventano contro di loro massime se sono uomini pubblici e che nei loro pubblici affari fanno coraggiosamente professione di Cattolicismo? Gli uh e gli oh, le maldicenze, le ingiurie, le fischiate sono per loro, massime in certe circostanze speciali, il pane quotidiano. Né ciò è men vero per i Cattolici, sebbene persone private. Che non si dice contro quel giovane, quella fanciulla, quella donna, quell’uomo, perché frequentano la Chiesa e i Sacramenti, non bestemmiano e non partecipano a cattivi discorsi ed a male azioni? Che son bigotti, baciapile, succhiamoccoli e mille altre cose. Tant’è: anche i Cristiani Cattolici dei nostri giorni, appunto perché come Cristiani Cattolici cercano di evitar il male e fare il bene, sono villanamente insultati, maltrattati, perseguitati. Ma intanto che accade in ciò? Alcuni fra i Cattolici, nel vedersi continuamente fatti bersaglio all’ira dei tristi, si sfiduciano di una battaglia così lunga e finiscono a darla vinta al mondo e passare dalla parte dei malvagi; altri poi, per nulla curando l’insegnamento di Gesù Cristo, col quale ci mostra essere impossibile servire a due padroni, si studiano di regolarsi in modo da parer Cattolici coi Cattolici, liberali coi liberali e persino framassoni coi framassoni. Altri, infine, non entrando neppur essi nelle mire della divina Provvidenza, si lamentano del continuo della medesima e non sanno darsi pace perché non accorra sollecita a far presto trionfare la causa dei Cattolici perseguitati. Or bene, è questa la condotta che si deve tenere? Nossignori. Tale non fu la condotta di San Giuseppe: tale non fu quella di tutti gli altri Santi. Se vogliamo imitare il loro esempio ed imitandolo compiere il dovere, che abbiamo in faccia a Dio, dobbiamo tutti sopportare con umiltà, con pazienza e persino con gioia le persecuzioni dei malvagi. Oh! il disprezzo, l’insulto, la persecuzione è cosa che come a Cristiani non ci deve mancare. Gesù Cristo lo ha detto chiaro agli Apostoli, e nella persona degli Apostoli a tutti: Vos in mundo pressuram habebitis (Giov. XVI, 33): voi nel mondo patirete pressure. Vi malediranno, vi perseguiteranno, vi metteranno le mani addosso, ve ne faranno d’ogni sorta: non est discipulus super magistrum (Matt. X, 24); il discepolo non sarà trattato diversamente dal maestro: e come ora i maligni si scagliano contro di me, così un giorno si scaglieranno contro di voi. Così ha parlato Gesù Cristo, epperò l’Apostolo S. Paolo non è altro che l’eco fedele di Lui, quando dice che tutti quelli che vogliono vivere piamente in Gesù Cristo. soffriranno persecuzioni: Omnes qui pie volunt vivere in Christo Jesu persecutionem patientur. (2 Tim. III, 12). Ma appunto perciò è segno che noi non non siamo del mondo ed apparteniamo a Gesù Cisto. . Si de mundo essetis mundus quod suum esset diligeret. Se voi foste del mondo, vale a dire dei partiti anticattolici, questi vi farebbero mai sempre le loro carezze e vi prodigherebbero i loro favori: ma perché non siete tali, vi abbominano, vi maledicono, vi coprono di disprezzo: Propterea quia non estis de hoc mundo, mundus vos odit (Giov. XV, 19). E ciò non deve essere per tutti un grande eccitamento a soffrire le persecuzioni in pace, con umiltà, ed eziandio con gioia? l’essere. nella stessa mente di Dio separati dai malvagi, dai tristi, dagli ingiusti? e nel tempo stesso assomigliare così da vicino a Gesù Cristo? Coraggio adunque, coraggio! Prendiamo oggi da S. Giuseppe il grande esempio, risolviamo di praticarlo volonterosamente, ed un giorno ne avremo anche noi il premio avuto da S. Giuseppe.
SECONDA PARTE.
Gesù Cristo, che fu in sulla terra il primo disprezzato, è ora in cielo il primo esaltato: propter quod et Deus exaltavit illum et donavit illi nomen quod est super omne nomen. (Filipp. II, 9). Dopo Gesù Maria, e dopo Maria San Giuseppe, e poi tutti gli altri Santi, i quali, credetelo, se in cielo potessero ancora desiderar qualche cosa, desidererebbero certamente di poter venire ancora in terra per patire ed essere disprezzati di più di quel che lo siano stato. Or bene quella è pure la nostra sorte, se soffriremo ora volentieri le ingiurie, i disprezzi, le persecuzioni dei cattivi. Gesù Cristo lo ha detto, ed Egli non falla: Beati qui persecutionem patiuntur propter iustitiam, quoniam ipsorum est regnum cœlorum (Matt. V, 10). Beati quelli che soffriranno persecuzioni per la giustizia, perché di essi è il regno dei Cieli. Ora noi siamo i derisi, i disprezzati, i perseguitati, e i nostri avversari ridono, sghignazzano, trionfano. Ma verrà un giorno nel quale le sorti saranno ben mutate.È questa appunto la verità che il glorioso martire San Valeriano, sposo di Santa Cecilia, faceva così bellamente intendere al prefetto Almacchio, che poi lo condannava a morte:« Nel tempo dell’inverno io ho veduto alcuni uomini traversare la campagna e tutto allegri ed esultanti abbandonarsi ad ogni sorta di piaceri. Nel tempo stesso io scorgeva nei campi molti contadini, intenti gli uni a zappare la terra e a piantar viti, gli altri ad innestare alberi e a recidere col ferro i virgulti, che potessero recar nocumento alle piantagioni; e tutti di buona lena attendere con gran fatica ai lavori d’agricoltura. Gli uomini del piacere, avendo riguardato quei contadini, deridevano le loro fatiche e dicevano: O stolti che siete, lasciate un po’ questi lavori troppo gravosi e venite con noi a stare allegri ed a prender parte ai nostri spassi. Perché mai compiere sì dure fatiche? Perché logorar la vita in un’occupazione sì triste? E dicendo tali cose davano in iscoppi di risa, battevano le mani e facevano degli insulti. Ma i contadini continuavano pazientemente a lavorare. Intanto passò la stagione delle piogge e del freddo e successero i bei giorni del sereno; e quei campi coltivati con tanti sudori si erano coperti di rigogliosa vegetazione; qua e là vedevansi i rosai vagamente fioriti: dai festoni delle viti pendevano magnifici grappoli, ed i rami degli alberi si curvavano sotto il peso di abbondanti e deliziosi frutti. E i contadini, le cui fatiche erano state schernite, erano in grande allegrezza, mentre gli sciocchi e frivoli abitatori della città, che si erano vantati di maggior saggezza, si trovavano nella più spaventosa penuria, e pentiti, ma troppo tardi, del tempo sprecato negli spassi, si lamentavano e andavano dicendo: Ecco là coloro, che noi insensati chiamavamo stolti; i loro sudori ci sembravano una vergogna; la vita, che essi menavano ci metteva orrore, tanto appariva miserabile agli occhi nostri; tenevamo per vili le loro persone e credevamo disonorarci coll’entrare in loro compagnia. Ma ora il fatto prova, che i saggi erano essi, e gli stolti noi, caduti adesso nella miseria e nella infelicità, disgraziati che siamo. Oh se avessimo faticato anche noi! Se anche noi avessimo fatto come quei contadini! Ma noi li abbiamo beffati in mezzo alle nostre passate delizie, ed ora eccoli essi circondati di fiori e coronati di gloria ». Così il martire S. Valeriano bellamente espose l’esito dell’apparente mistero d’ingiustizia che vi ha ora nel trionfo dei malvagi e nelle persecuzioni e sofferenze dei buoni. E tale appunto sarà il grido che metteranno fuori i tristi dalla loro bocca spumante di rabbia nel giorno dell’estremo giudizio: Nos insensati, vitam illorum æstimabamus insaniam et finem illorum sine honore: ecce quomodo computati sunt inter filios Dei et inter Sanctos sors illorum est (Sap. V, 4). E mentre noi, se avremo patito volentieri le persecuzioni e le maledizioni del mondo, ci sentiremo a benedire da Dio e ad invitare da Lui al possesso del regno dei cieli: Venite, benedicti Patris mei, possidete paratum vobis regnum a constitutione mundi (Matt. XXV, 34): i malvagi si sentiranno invece da Dio medesimo a maledire per sempre: Discedite a me, maledicti, in ignem æternum. (Ibid.41). In quel giorno adunque in cui noi siamo insultati e perseguitati per la nostra fede, a somiglianza di S. Giuseppe rallegriamoci, pensando che in paradiso ci sta preparata una gran mercede per i nostri patimenti: Gaudete et exultate in illa die, quoniam merces vestra copiosa est in cœlis (Matt. V, 12).
Offertorium
Orémus
Ps LXXXVIII: 25.
Véritas mea et misericórdia mea cum ipso: et in nómine meo exaltábitur cornu ejus.
[La mia fedeltà e la mia misericordia sono con lui: e nel mio nome sarà esaltata la sua potenza].
Secreta
Débitum tibi, Dómine, nostræ réddimus servitútis, supplíciter exorántes: ut, suffrágiis beáti Joseph, Sponsi Genetrícis Fílii tui Jesu Christi, Dómini nostri, in nobis tua múnera tueáris, ob cujus venerándam festivitátem laudis tibi hóstias immolámus.
[Ti rendiamo, o Signore, il doveroso omaggio della nostra sudditanza, prengandoTi supplichevolmente, di custodire in noi i tuoi doni per intercessione del beato Giuseppe, Sposo della Madre del Figlio Tuo Gesù Cristo, nostro Signore, nella cui veneranda solennità Ti presentiamo appunto queste ostie di lode.]
Præfatio de S. Joseph
… Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Festivitáte beáti Joseph débitis magnificáre præcóniis, benedícere et prædicáre. Qui et vir justus, a te Deíparæ Vírgini Sponsus est datus: et fidélis servus ac prudens, super Famíliam tuam est constitútus: ut Unigénitum tuum, Sancti Spíritus obumbratióne concéptum, paterna vice custodíret, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Coeli coelorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti júbeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:
[È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno: noi ti glorifichiamo, ti benediciamo e solennemente ti lodiamo di S. Giuseppe. Egli, uomo giusto, da te fu prescelto come Sposo della Vergine Madre di Dio, e servo saggio e fedele fu posto a capo della tua famiglia, per custodire, come padre, il tuo unico Figlio, concepito per opera dello Spirito Santo, Gesù Cristo nostro Signore. Per mezzo di lui gli Angeli lodano la tua gloria, le Dominazioni ti adorano, le Potenze ti venerano con tremore. A te inneggiano i Cieli, gli Spiriti celesti e i Serafini, uniti in eterna esultanza. Al loro canto concedi, o Signore, che si uniscano le nostre umili voci nell’inno di lode]
Communio
Matt 1: 20.
Joseph, fili David, noli timére accípere Maríam cónjugem tuam: quod enim in ea natum est, de Spíritu Sancto est. [Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere Maria come tua sposa: poiché quel che è nato in lei è opera dello Spirito Santo].
Postcommunio
Orémus.
Adésto nobis, quǽsumus, miséricors Deus: et, intercedénte pro nobis beáto Joseph Confessóre, tua circa nos propitiátus dona custódi. [Assistici, Te ne preghiamo, O Dio misericordioso: e, intercedendo per noi il beato Giuseppe Confessore, propizio custodisci in noi i tuoi doni].
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)