LE VIRTÙ CRISTIANE (16)

LE VIRTÙ CRISTIANE (16)

S. E. ALFONSO CAPECELATRO – Card. Arcivescovo di Capua

Tipografia liturgica di S. Giovanni – Desclée e Lefebre e. C., Roma – Tournay

MDCCCXCVIII

PARTE IIIa

CAPO V.

Desiderio e amore grande di giustizia.

Quel medesimo divino Maestro, il quale, quando ci annunzia i dommi che si riferiscono a Dio, parla con una precisione di parola, che direi geometrica; adopera quasi sempre un’altra forma di linguaggio nell’insegnarci la sua morale. In questo caso egli, facendosi piccolo con i piccoli, non disdegna di parlare con molta semplicità, in parabole, o di usare il linguaggio immaginoso e colorito, in uso presso gli Orientali, e particolarmente presso il popolo d’Israele. E cotesto linguaggio Gesù l’usa, sia perché il popolo I’intende e l’imprime meglio anche nella fantasia e nella memoria, sia perché  in tutta la natura esteriore Iddio sapientissimo impresse l’immagine dello spirito umano, il quale è esso stesso immagine di Dio. Or, l’insegnamento della quarta beatitudine che è questo: Beati coloro che han fame e sete di giustizia, riesce sovranamente poetico e immaginoso nella forma, mentre che è altissimo e nobilissimo nella sustanza. Infatti, il moralista pagano si contentava di dire ama la giustizia; ma Gesù non si tenne pago a voler che amassimo la giustizia: comandò che la amassimo, avendone sempre sete e fame: lo che è molto più. – Per intendere il significato di questa beatitudine, sarebbe necessario di ben dichiarare che valga la parola giustizia nel linguaggio biblico. Ma il lettore non avrà dimenticato, io spero, ciò che fu detto di essa, nel luogo dove mi accadde di trattare delle virtù cardinali: e però basta qui farne una brevissima ricordanza. La parola giustizia nel senso biblico, e anche nel cristiano nato in gran parte dal primo, indica egualmente la virtù particolare, che ha questo nome, e altresì l’insieme di tutte le virtù genericamente prese. Or, anche in questa beatitudine, secondo l’insegnamento comune dei Padri della Chiesa, Gesù mirò all’uno e all’altro significato; e volle che il fedele avesse fame e sete della virtù particolare della giustizia, non meno che dell’insieme di tutte le virtù cristiane forse intese più specialmente a questo secondo significato, che è più comprensivo, e che, quando non ha altra aggiunta, meglio corrisponde al senso cui la Bibbia dà alla parola giustizia. L’immagine, scelta da Gesù, per esprimerci il proprio concetto è non solo vera, ma di una singolare efficacia. La fame e la sete sono due grandi e intensi stimoli della natura corporea; e sono stimoli che, mentre appagati, riescono principio di vita, si rinnovellano sempre, e non si chetano mai interamente, insino a che l’uomo resti nella vita presente. Infatti, non spunta mai il nuovo sole sull’orizzonte a indorare le cime dei monti ea rallegrare la natura, senza che l’uomo sano, il quale pure s’era sfamato e dissetato il dì avanti, non senta intenso il desiderio di nuovo cibo e di nuova bevanda. Parimente l’esser giusto non vale a spegner nell’animo del Cristiano la fame e la sete della giustizia. Egli, se è buono, e conosce e ama Iddio, desidera sempre, con intenso desiderio, nuova giustizia, o che è il medesimo, l’accrescimento della giustizia, onde si sente rallegrato. Anche per il giusto non deve mai sorgere un nuovo giorno, senza che egli non senta nuova fame e nuova sete di giustizia. Però colui, che, diventato giusto una volta, non ha nuovi desiderj di virtù, è Cristiano tiepido, e rassomiglia a quell’uomo infermo del corpo, che per effetto del morbo, da cui è travagliato, . non desidera punto un nuovo cibo e una nuova bevanda, che ne rinfranchino e ne accrescano le forze, – Ma ripieghiamoci un tratto su noi medesimi, e studiamo la natura del desiderare nell’uomo, Il desiderio, che, preso nel senso suo più stretto, è una voglia accesa di bene non presente e non posseduto, riesce cosa piena di misteri. Nei fatti umani spesso il possedimento del bene desiderato o spegne il desiderio precedente, o si muta nella voglia accesa di seguitare a possedere ciò che già si possiede. Nella vita beata ed eterna il possedere Iddio, e il desiderio accesissimo di seguitare a possederlo costituiscono, come sarà più lungamente dichiarato appresso, la felicità dell’Angelo e del comprensore. Nella vita presente poi, quando si tratti della virtù, accade questo, che l’uomo, prima di possedere il bene della virtù, lo desidera; e dopo, poiché la virtù acquistata è finita, imperfetta e iniziale, non se ne appaga del tutto. Allora si sente spinto dalla stessa natura, e molto più dalla grazia, a desiderarne l’accrescimento. Per questo rispetto il Cristiano si trova nelle condizioni di chi, avendo una gran fame e una gran sete, riceve un cibo e una bevanda scarsa; sicché né l’uno arriva a sfamarlo, né l’altra a dissetarlo del tutto. Naturalmente ei desidera nuovo cibo e nuova bevanda; proprio a quel modo che il Cristiano giusto desidera nuova giustizia. La sola differenza, sta in ciò, che l’accrescimento del cibo e della bevanda umana finiscono per appagare il corpo nostro, intanto che l’accrescimento della giustizia non appagherà mai lo spirito umano, prima di quell’ora beata, in cui, essendo arrivato nell’eterno regno, tutta la sua grandissima capacità umana verso il Bene sarà effettivamente riempita. Questo in vero è il grande e alto mistero dell’anima nostra, che, mentre essa è finita, ha avuto da Dio il dono di desiderare un Bene infinito, di tendervi, e di non acquetarsi mai insino a che non lo consegua. Però sant’Agostino insegna che tutta la vita del Cristiano è un continuo e santo desiderare. (Tract. IV, in Epist. S. Joan). Or questo insegnamento, oltre ad essere supremamente filosofico e profondo, riesce un commento alle cose già dette, e mi apre la via a una nuova considerazione, intorno a quella fame e sete di giustizia, che Gesù nella quarta beatitudine ci fece precetto di avere. Nella vita morale accade quel medesimo, che vediamo ogni giorno accadere nella vita intellettuale. Nella vita intellettuale della scienza, delle lettere, delle arti belle, o di qualsiasi altra coltura, è impossibile restare a lungo fermi in un punto. Chi non vuole imparare nuove cose, a costui incontra di disimparare quelle che già conosceva; e chi non si sforza di ricordare spesso le cose imparate, le dimentica o tutte o in parte. Insomma l’intelletto nostro, è di per sé attivo e operante. Quando si ferma a lungo in un punto, tosto si assonna e si addormenta; di che non solo nessun raggio di nuova luce lo ravviva e rallegra, ma, a poco a poco, perde l’antica, e si trova, quasi direi, al bujo. Non vediamo forse accadere ciò quasi sempre negli studi della gioventù, dei nostri tempi particolarmente? I quali studj, ancorché fatti bene e premurosamente, non lasciano traccia nella mente e nella memoria dei giovanetti, se, col crescer degli anni, i giovani si lascino andare ai passatempi o ai negozj o ai commerci della vita materiale. Ora proprio la stessa cosa avviene nella nostra giustizia, o, che è il medesimo nella nostra vita morale. Chi si ferma in essa e non vuol progredire, va indietro. Restare fissi in una certa mediocrità morale, che è pur tanto corrispondente alla fiacchezza dei nostri tempi, è impossibile. Di qui sorge la necessità di non appagarsi della giustizia posseduta; ma di esser sempre famelico e sitibondo di giustizia nuova. Fate che manchino questa fame e questa sete, tanto nobili e benefiche; e il giusto corre grave pericolo di andar con tanta retrogradazione indietro, da perdere proprio la giustizia, abbandonandosi alla vita delle basse cupidità e delle passioni. Né questo che io dico è teorica astratta. La quotidiana esperienza lo conferma, pur troppo, ad ogni passo. – Infine, come Gesù promette nella prima beatitudine un regno, nella seconda una terra, e nella terza una consolazione, così in questa quarta promette un satollamento: beati, dice, voi che avete fame e sete di giustizia, perciocché sarete satollati. È sempre lo stesso pensiero, espresso variamente. E il pensiero è questo, che la virtù ci fa beati nella vita eterna, e che altresì dalla virtù distillano alcune gocce di soavità e di dolcezza, anche nella vita presente. Sono queste gocce della nostra beatitudine terrena, come quei piccoli ruscelletti d’acqua, che scorrono lentamente tra le rocce, i quali in alcuni tempi scorrono e in altri si disseccano. Le gocce di quei ruscelletti disperse tra le rocce non bastano a dissetare chi ha gran sete, ma nondimeno se alcuno vi accosti le labbra, rinfrescano alquanto la persona, le fanno bene, e le arrecano sollievo. – Però l’insegnamento di questa quarta beatitudine non sta tanto nel raccomandare a ciascuno quell’insieme di tutte le virtù che è detto giustizia, o anche la virtù particolare della giustizia, quanto nel comandarci il progresso morale. È un progresso che, come ciascun altro viene alimentato dal continuo desiderio del bene, desiderio qui espresso sotto il simbolo della fame e della sete. È un progresso, nel quale mettono radice tutti gli altri; perché sta in una regione più alta e più comprensiva di ciascun’altra.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.