A. CAPECELATRO:
LA DOTTRINA CATTOLICA
De Angelis e figli ed. e tip., NAPOLI, 1877
Vol. II. LIBRO III, CAP. XIII
Per potere esporre con chiarezza gl’insegnamenti della Chiesa intorno al primato dottrinale del Romano Pontefice, ei c’è bisogno di volgere un po’ lo sguardo addietro, e di rifare una parte del cammino già fatto. La Chiesa, come fu detto, non vive d’una dottrina propria, sì bene della dottrina rivelata da Cristo. E Cristo, come capo della Chiesa, essendo in una comunione perennemente vivificatrice con tutt’i membri di essa, a tutti la comunica amorevolmente. Di qui deriva, che la Chiesa ha nel suo seno il tesoro inestimabile di una dottrina ferma, sicura, anzi infallibile. Non pertanto, poiché i membri della Chiesa hanno diversi uffizj, ciascuno riceve l’infallibile dottrina secondo la capacità l’uffizio suo proprio. Quei membri che costituiscono la Chiesa insegnata, hanno l’infallibilità che i teologi chiamano passiva; perciocché, ascoltando umilmente i pastori uniti col Papa, ascoltano Cristo (chi ascolta voi ascolta me, disse Gesù), e professano così una fede infallibile. Quei membri che costituiscono la Chiesa insegnante, ossia i Vescovi e il Papa, hanno la infallibilità attiva, in quanto che non solo professano, ma insegnano infallibilmente le dottrine di Gesù Cristo. Così il principio vero dell’infallibilità della dottrina nella Chiesa è sempre Gesù Cristo, infinito conoscitore ed amatore di verità, anzi Verità infinita Egli stesso. In effetti non ci sono varj maestri della dottrina celeste qui in terra, ma un solo è il Maestro, Gesù Cristo; il quale, luce vera che illumina tutto il mondo, tiene chiusi in sé tutt’i tesori della scienza e della sapienza del Padre; ed anzi è la sustanziale Parola del Padre. – Poiché, dunque, nella Chiesa ci ha un insegnamento infallibile, due cose principalmente importano sapere: quale sia la materia di esso insegnamento, e per quali organi questo insegnamento, comune a tutta la Chiesa, si manifesti senza pericolo di errore. Della materia di esso insegnamento fu discorso nei capitoli antecedenti, e qui appena se ne farà un altro cenno. Ora rimane che esponiamo quali siano nel corpo della Chiesa gli organi visibili e certi, pei quali Gesù Cristo infallibilmente ci comunica la sua dottrina. – In prima la Chiesa insegnata non può essere l’organo dell’insegnamento infallibile; perciocché ove il fosse, per ciò stesso smetterebbe la sua natura di Chiesa insegnata, e diverrebbe insegnante. Organo dunque di questa infallibilità dev’essere naturalmente la gerarchia ecclesiastica; non quella parte della gerarchia che ha per uffizio principale il culto e l’amministrazione lei sacramenti, com’è il sacerdozio; ma quella parte della gerarchia che costituisce propriamente e nel senso più stretto la Chiesa insegnante, cioè l’Episcopato congiunto col Papato. I Vescovi però, comunque li vogliamo considerare uniti, sono parecchi; e Gesù Cristo, benché li costituisse ciascuno maestro nella sua diocesi, pure sapientissimamente. non li costituì ciascuno maestro infallibile della dottrina. Oso anzi dire che se l’avesse fatto, sarebbero mancati i vincoli veri della gerarchia, e i membri si sarebbero agevolmente sciolti dalla vitale comunione che debbono avere col loro capo. Avremmo avuto diversi corpi e non un sol corpo, parecchie Chiese e non una sola Chiesa. Il Signore volle invece sapientissimamente che nella dottrina, come in tutto il governo della Chiesa, i molti si dovessero ridurre all’uno, per la strettissima congiunzione di ciascuno col capo. Così l’unità e l’infallibilità della dottrina derivano nella Chiesa insegnante dall’uno, che è Capo visibile della Chiesa, in quella stessa guisa che derivano dall’Uno che n’è il Capo invisibile. Così l’Uno Gesù Cristo è il principio infallibile della dottrina; e l’uno Papa è l’organo infallibile della stessa dottrina. – Ma chi guardi al mirabile e saldo congegno della Chiesa, non basta dichiarare che il Papa sia nel corpo della Chiesa l’organo infallibile della dottrina di Cristo: bisogna chiarire per quali vie ciò accada. Come non ci ha nella Chiesa un solo pastore, ma parecchi pastori sottoposti al primo; così non ci ha nella Chiesa un solo maestro che tiene il luogo di Cristo, ma parecchi maestri pur sottoposti al primo. Il Papa, ponete ben mente a questo, come capo della Chiesa, è in un’intima, perenne e vitale congiunzione con l’Episcopato, che essendo corpo insegnante, riesce esso stesso nel corpo della Chiesa strumento dell’infallibilità di Cristo. Di qui segue che ad aver questa infallibilità, non deve mancare mai l’Uno che Cristo fece infallibile, e nel quale si appunta e si personifica tutto l’Episcopato; e ci deve pur sempre Chiesa la visibile o la invisibile congiunzione dell’Uno coi Vescovi, i quali senza di ciò sarebbero essi stessi ingnati e non insegnanti. – Pertanto questa vitale congiunzione dell’Episcopato col romano Pontefice, quando si tratti della dottrina, si può manifestare per tre modi; cioè pel Concilio ecumenico, per un giudizio esterno e visibile del Papa con la Chiesa dispersa, e per la definizione del solo Papa, invisibilmente congiunto con l’Episcopato. Nel Concilio ecumenico il Papa e tutt’i Vescovi raccolti attorno a lui con un solo giudizio esterno, giudicano della vera. Nella dottrina, e definiscono infallibilmente i dommi della fede e della morale. Ciascun Vescovo ivi giudica, e il giudizio di ciascuno e di tutti è infallibile per la congiunzione che tiene col Capo. Fuori del C oncilio, quando il Papa interroga esplicitamente o implicitamente tutto l’Episcopato intorno alla dottrina cattolica, e giudica con essi, si ha per un altro modo lo stesso giudizio unico ed esternamente visibile dei dommi cattolici. Infine il Papa può altresì, quando lo stimi opportuno pel bene della Chiesa, giudicare e definire da sé solo i dommi di fede; e siffatto giudizio è di per sé infallibile, né ha bisogno per esser tale che l’Episcopato lo esamini, lo discuta e lo accetti. Nonpertanto ciò non significa che in tal caso il Papa sia separato dai Vescovi. Invece anche allora ei definisce la verità in virtù della promessa ad esso congiunto, d’inerranza fattagli da Cristo, e pure in virtù di quella vitale e strettissima comunione che c’è sempre tra il Capo e il corpo della Chiesa insegnante, tra il Papa e l’Episcopato. Che questa vitale comunione, da cui sorge l’unità della dottrina, non si manifesti con un giudizio esterno e col suono materiale della voce, che importa? Non deriva essa forse dalla volontà stessa di Cristo, e dalla promessa ch’Egli fece di tener sempre congiunti nella Chiesa il capo coi suoi membri, e particolarmente con l’Episcopato, il quale senza di ciò né sarebbe uno, né anzi si potrebbe mai ridurre ad unità vera? Che importa che la vitale comunione tra il Papa e i Vescovi non si vegga dagli occhi nostri corporei, come nel Concilio? Deriva essa forse la dottrina della fede dal numero maggiore o minore dei giudici, dalla sapienza umana, dalle dispute, dalla dialettica, dall’acume dell’umano intelletto? No certo; ma deriva tutta e sola dallo Spirito del Signore, che congiunge il Capo col corpo episcopale, ed assiste la Chiesa e particolarmente il suo Capo, perché nella dottrina della fede e della morale non erri. Né vale il dire che alcuni dei Vescovi, poiché non sono interrogati, possono opinare contro alle dottrine definite dal Papa, ed infermarne il valore; perciocché l’Episcopato cattolico si costituisce dai Vescovi che hanno la vitale congiunzione col loro capo: ond’è che quei Vescovi i quali, dopo che il domma sia definito, ricusano di averla, sono membri scissi dalla vita vera della Chiesa, sono tralci secchi e buoni al fuoco soltanto. Però, siccome nel Concilio alcuni Vescovi che dissentono, non impediscono l’infallibilità del giudizio del Papa e dell’Episcopato; così fuori del Concilio alcuni Vescovi che non accettino la definizione papale, non impediscono che essa esprima la dottrina di tutta la Chiesa insegnante, che è quanto dire del Capo e dell’Episcopato strettissimamente ad esso congiunto. – Da tutte le cose dette dunque si conchiude che il Papa, quando definisce dommi di fede, è come la bocca che parla ai fedeli infallibilmente la dottrina la quale è la dottrina di Cristo. La dottrina ch’ei l’attinge dalla Chiesa; perciocché egli non ha ispirazioni di dottrina nuova, ma deve cercarla diligentemente e con tutt’i mezzi umani nel deposito della Scrittura, della tradizione, affidato alla Chiesa. Il poterla poi parlare infallibilmente, quando, come maestro della Chiesa universale, definisce ex cathedra, dipende dall’assistenza dello Spirito Santo, che gli fu promessa da Gesù Cristo, la quale è comune a lui ed alla Chiesa insegnante sempre che è unita con lui. – Posti dunque siffatti principj, la via rimane sgombra da parecchi impedimenti, e ci sarà agevole considerare infallibilità della Chiesa in tutte le sue manifestazioni, voglio dire nei concilj ecumenici, nel consenso generale dell’Episcopato disperso; e nelle definizioni che il Pontefice fa ex cathedra, senza Concilio e senza interrogare l’Episcopato. In prima alcuni si rivoltano e prendono scandalo di questo triplice modo di manifestarr che ha l’infallibilità di Cristo e della Chiesa. Ma costoro mi assomigliano a colui che prendesse scandalo vedendo che il Signore non illumina sempre la terra col sole; ma nel giorno col sole; e nella notte con la luna o con le stelle. Non c’è punto da stupire che l’infallibilità della dottrina si esterni dalla Chiesa per tre differenti modi: bastando il pensare che, secondo le diverse condizioni di tempo, di luogo, di opportunità, ciascuno dei tre modi può riuscire a sua volta utilissimo. Il Concilio e l’adesione estrinseca dell’Episcopato non riunito hanno il vantaggio di far conoscere assai agevolmente la tradizione di tutta la Chiesa, di unire anche esteriormente quei Vescovi che sono intimamente uniti tra loro, di alimentare lo spirito di carità e di umiltà in tutti, di dare alle definizioni dommatiche il prestigio delle grandi assemblee o del numero, ed infine di fare assai più agevolmente accettare e spiegare dai singoli Vescovi nelle loro diocesi le verità intorno a cui disputarono insieme. Le definizioni poi papali hanno d’altra parte il vantaggio di supplire alle conciliari ed a quelle della Chiesa dispersa, allorché esse riescono o impossibili o difficili; di troncare più presto le dispute, ed impedire che l’errore s’alimenti; di rinvigorire l’autorità di quel Primato romano che è tanto efficace a mantenere l’unità della Chiesa. E che tutti tre questi modi siano utili ed efficaci, secondo le diverse condizioni dei tempi e dei luoghi, si argomenta dal fatto che tutti tre sono stati in uso nella Chiesa sino dai primi tempi, e principalmente i due, delle definizioni conciliari e delle definizioni papali. Noi incontriamo spesso nella storia ecclesiastica le une e le altre; e pur veggiamo chiaramente che se sempre si fosse dovuto attendere la riunione d’un Concilio ecumenico per definire le verità di fede, sovente la Chiesa avrebbe dovuto restare nelle tenebre dell’incertezza molti e molti anni, e le eresie si sarebbero assai più ingigantite di quel che non fecero. D’altra parte, o che le definizioni siano conciliari o papali, mai non è consentito ai Vescovi o al Papa di definire le verità, senza adoperare tutt’i possibili sforzi per conoscere, anche umanamente, quale sia la vera tradizione scritta o orale lasciataci da Gesù Cristo, e procedere alla definizione solo quando sono rimossi intorno ad essa tutt’i dubbj possibili. Questa obbligazione sì nel Papa solo e sì nel Concilio nasce dalla natura stessa di un insegnamento che s’ha da attingere ai fonti della Bibbia e della tradizione; ed è raffermata dall’esempio costante della Chiesa pìù antica; anzi dallo stesso esempio degli Apostoli, i quali si raccolsero insieme a Gerusalemme, e diligentemente cercarono la verità, bene e trattasse di concilio, benché si trattasse di cosa nè molto grave né difficile a definire. – La infallibilità della Chiesa si manifesta in prima, come si è detto, quando l’Episcopato è congiunto con il Papa, nel Concilio ecumenico, il quale definisce le verità della fede. Intorno a ciò non può nascere il più lontano dubbio. Nel Concilio gerosolimitano la decisione fu data, con esempio nuovo negli annali del mondo, come sentenza dello Spirito Santo: È sembrato allo Spirito Santo ed a noi. – I Padri antichi consideravano le definizioni dei concilj come parola di Dio; onde basta per tuttì il detto di S. Gregorio Magno: che cioè egli accettava e venerava i quattro concilj ecumenici tenuti sino allora, ossia il Niceno, il Costantinopolitano, l’Efesino ed il Calcedonese come i quattro Evangeli (Epist. 24). Pertanto dalla stessa dottrina del Concilio ecumenico si deduce, che ad avere un vero e legittimo Concilio ecumenico si richiede in prima che ci sia l’intero Episcopato; la quale cosa s’intende che tutt’i Vescovi ci debbano essere invitati, benché forse alcuni vi manchino. Per ottenere poi che l’Episcopato sia nel Concilio ecumenico sempre congiunto col Papa ch’è suo capo, naturalmente si richiede che il Papa lo convochi, lo presieda e lo confermi. Quando una di queste condizioni mancasse, mancherebbe l’unione vitale del corpo episcopale col Capo, s’ avrebbero molti membri del corpo insegnante, non il corpo insegnante che senza il capo non può sussistere. Posto ciò, si potrebbe a maggior chiarimento chiedere: Poiché il Papa è, anche fuori il Concilio, infallibile, nel definire le dottrine della fede, sono poi nel Concilio veri giudici delle dottrine i Vescovi, o tutta la giudicatura. Della fede nel concilio appartiene al Papa? E bisogna rispondere che i Vescovi sono veri giudici della fede nel Concilio, benché il loro giudizio diventi solo infallibile per la strettissima congiunzione che esso ha col giudizio del Papa; in quella stessa guisa che nel corpo umano l’occhio ha, per esempio, l’ufficio proprio di vedere, la bocca di parlare e il piede di camminare; ma nè l’occhio vede, né la bocca parla, né il piede cammina se siano divelti dal capo nel quale vivono e sussistono. E che sieno veri giudici i Vescovi nel Concilio, si prova sì dal fatto del concilio di Gerusalemme, nel quale S. Jacopo disse la sua sentenza con queste parole: « Io giudico », sì dalla formola adoperata sempre da ciascun Vescovo nel sottoscrivere i Concilj: «Io definendo (ossia facendo giudizio) sottoscrissi »; sì infine dalla costante tradizione, che non lascia scorgere ombra di dubbio intorno a siffatta dottrina. – Poco ci rimane a dire dell’altro organo dell’infallibilità della Chiesa che si trova nel consenso espresso o tacito di tutta La Chiesa non riunita in Concilio. Basterà ricordare che non solo il consenso espresso della Chiesa insegnante fu avuto dagli antichi Padri come indizio sicuro della vera dottrina, ma anche il tacito: ond’è che quando non si potevano agevolmente unire i Concilj per la persecuzione che infieriva, S. Ignazio Martire, Tertulliano, Origene, S. Cipriano e molti altri spessissimo si appellavano al consenso unanime delle diverse Chiese per combattere gli eretici e dichiararli fuori della via della salute. (Vedi specialmente S. Ignat. adversus Haeres. 1. 3; Tertul. de Praescrip. 21). – Rimane ora a parlare dell’infallibilità del Papa quando definisce le dottrine della fede e dei costumi ex cathedra. Questa infallibilità, mentre è veramente la parte più importante dell’argomento, è quella che meglio rivela il Primato del Romano Pontefice in fatto di dottrina: è quella pure che eccita l’ira o il beffardo riso dei miscredenti, e per di più riesce occasione di false e maligne interpretazioni. Or bene veggiamo in prima su quali autorità di Scrittura e di tradizione si fondi il domma dell’Infallibilità papale quando definisce ex cathedra. Diremo appresso dei limiti nei quali si contiene, e di alcune delle difficoltà che le si oppongono. Gesù Cristo insegnò apertamente, come fu detto, che il romano Pontefice successore di S. Pietro è il fondamento della Chiesa cattolica: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. Ora nella Chiesa ciò che più importa è la dottrina della fede; la quale fa nel mondo spirituale quel medesimo ufficio benefico e vivificatore che fa il sole nel mondo corporeo. Dalla vita della fede nasce nella Chiesa la vita della carità e quella del culto. Chi corrompe la fede, avvelena ed uccide 1’albero della vita morale e religiosa nella sua radice; il quale perciò presto o tardi non è buono ad altro che ad ardere. Ebbene, se il Romano Pontefice, insegnando, come Capo e maestro universale, la fede di tutta la Chiesa, potesse errare; dite, come mai egli maestro d’errore sarebbe fondamento d’una Chiesa colonna di verità? La Chiesa, per vivere eternamente, deve avere una fede stabile, ferma, non mai indebolita dall’errore. Ora se il fondamento della Chiesa si muove, tentenna, barcheggia e muta per errore; sarà mai fermo ed immutabile l’edifizio che su di esso si eleva? In somma una Chiesa indefettibile ed infallibile non può stare sopra un fondamento defettibile e soggetto all’errore. – Ancora, Gesù disse a S. Pietro: « Simone, Simone, ecco che satana è andato in cerca di voi (degli Apostoli) per vagliarvi, come si fa del frumento. Ma io ho pregato per te affinché la tua fede non venga mai meno: e tu una volta ravveduto conferma i tuoi fratelli » (Luc. XXII, 31, 33). Benché i protestanti si sforzino di tirare queste parole ai loro sensi strani; tutta la tradizione sì in Oriente che in Occidente ha trovato in esse non già un fatto particolare di S. Pietro, ma una delle più evidenti prerogative del primato di lui. Qui Gesù Cristo parla, come si vede dal contesto, del regno della sua Chiesa. Vede che gli Apostoli saranno soggetti alle tentazioni grandi di satana, e per rassicurarli tutti, si volge al solo Pietro, e come gli avea detto una volta: Tu sei Pietro; gli dice ora: Ho pregato per TE affinché la tua fede non venga mai meno: e Tu una volta ravveduto conferma i tuoi fratelli. Non prega il Signore per tutti gli Apostoli, ma per Pietro; non dice che la fede di ciascuno di loro non verrà mai meno, ma che non verrà mai meno quella di Pietro; non dice agli Apostoli che si raffermino gli uni gli altri nella fede; ma al solo Pietro che raffermi nella fede i suoi fratelli. Evidentemente anche qui Gesù Cristo attende sapientissimamente all’unità della sua dottrina. E come prima ha fondato la Chiesa sopra una sola pietra, ora prega per la fede di un solo, affinché questo solo la confermi in tutti i suoi fratelli. – Infine Gesù Signore, come anche fu detto avanti, provvide efficacissimamente all’unità della Chiesa quando costituì il Romano Pontefice successore di S. Pietro, pastore universale, dicendogli: « Pasci è miei agnelli, pasci le mie pecorelle » (Joann. XXI, 15 e seg.). Ora che è mai pascere o reggere la Chiesa? È innanzi tutto e soprattutto pascere le menti dei fedeli d’una sana dottrina da cui deriva in essi la vita dell’amore e del culto; è dare ai loro intelletti quella luce sicura di verità soprannaturale che a poco a poco s’incalora nell’anima, e diviene carità. Ogni più piccolo errore nell’insegnamento della fede, la muta in rovina delle anime dei fedeli. Il nutrimento allora, anzi che vivificare; a poco a poco uccide; perciocché la sola verità dà vita, e l’errore presto o tardi uccide; anzi esso stesso è morte. Ora se il Pontefice Romano è Pastore universale, egli è maestro universale; poiché qui appunto del pascolo della dottrina principalmente si tratta, E se è maestro universale di una società che deve restare immobile nella verità; come mai errerebbe egli ed errerebbe proprio quando si costituisce maestro di tutta la Chiesa, e in nome suo e di tutt’i pastori insegna la fede a tutt’i credenti? In somma, o guardiamo il Pontefice come pietra fondamentale della Chiesa, o come confermatore nella fede dei Vescovi suoi fratelli, o come pastore dei Vescovi e dei credenti, sempre s’ha da tener l’occhio particolarmente alle dottrine della fede. Però meritamente si conchiude che un Papa il quale fosse al tutto fallibile, si accorderebbe solo con una pietra che vacilla, con un confermatore della fede che erra, con un pastore infermo che alimenta tutto il gregge di errori. Questi dunque sono i principali tratti della Bibbia, dai quali la Chiesa cattolica imparò la Infallibilità papale. Questi stessi però ci mostrano il principale limite che s’ha da porre a questa infallibilità, che sta nella distinzione nel Papa tra l’uomo privato e il Maestro universale della Chiesa; perciocchè in tutti questi testi si considera non l’uomo, ma l’uffizio, o che è il medesimo, non l’uomo maestro particolare, ma l’uomo maestro in rapporto con tutta la Chiesa, sì come pietra, sì come confermatore del collegio apostolico, sì come pastore universale. Ma di ciò appresso. – A questo punto, se io scrivessi intorno al papato anche un semplice trattatello di teologia, mi sarebbe bisogno di esaminare la tradizione che parla di questa verità assai diffusamente. I soli testi dei Padri addotti dal Bellarmino sono tanti, ed esprimono questa papale infallibilità in tanti modi, che a volerli addurre ed esaminare, ci sarebbe da farne un libro. Io però non uscirò dal sistema che ho seguìto in tutti gli altri argomenti; e solo perché questa materia dell’inerranza papale è oggi più delle altre oppugnata, farò un cenno della tradizione intorno ad esso. S. Francesco di Sales (Controverses, disc. XL pag. 247) raccoglie dai Padri varj dei titoli che essi danno al Papa, i quali alcuni si riferiscono più particolarmente al suo primato, ed altri al suo uffizio di dottore universale. Io ne adduco taluni qui appresso, e prego i miei lettori di considerare che quando mai il Papa, nel definire la fede insegnando a tutta la Chiesa, potesse errare, egli in ciò che più importa poco o punto differirebbe dagli altri Vescovi. E allora perché magnificarlo ed esaltarlo tanto? Capace di errare come ciascun Vescovo, il suo uffizio nel Concilio ecumenico assomiglierebbe a quello d’un presidente di assemblee che numera i voti, e riconosce le verità religiose dov’è il maggior numero. Fuori del Concilio, e quando il Concilio non si potesse riunire, le sue decisioni dommatiche si potrebbero sempre infermare dal sospetto dell’errore, e dal dubbio che alcuno, e forse parecchi dei Vescovi non accettano la definizione fatta, o non l’approvano secondo il loro dritto. In somma o fuori o dentro il Concilio il Papa fallibile, nel magistero della fede non potrebbe avere alcuna superiorità vera e sustanziale sopra gli altri Vescovi. Ma ecco i titoli che il Santo di Sales raccoglie dai Concilj e dai Padri. Il Papa è successore di Pietro (Iren. adv. Haeres. III, 3.), santissimo vescovo della Chiesa cattolica (Concil. di Soissons), santissimo e beato patriarca (Ibid.), beatissimo signore (Augustin. Epjst. 95), patriarca universale (Leon. Epist. 95), Vescovo elevato al culmine dell’apostolato (S. Cyprian. Epist. III. 12), capo della Chiesa qui in terra (Innocent. ad Con. Milevit.), sovrano pontefice dei vescovi (Concil. Chalced. in Praef.), sommo sacerdote (Idem. Sess. XVI), principe dei preti (Stephan. Ep. Cartag.), prefetto delle cose di Dio (Conc. Cartag. Ep. ad Damas.), guardiano della vigna del Signore (Ibid.), principe dei vescovi (Conc. Chalced. Epist. ad Theod.), erede degli Apostoli (S. Bernard. De Consider.), confermatore della fede dei Cristiani (Hieron. Praef. in Ev. ad Dam.), Sovrano pontefice (Concil. Calced. ad Theod.), bocca di Gesù Cristo (S. Joann. Chrys: Homil; 2 in Div. Serm.), bocca dell’apostolato (Orig. Homil. 55, in Matth.), giudice supremo della fede (S. Leo in Apost.); sorgente apostolica (S. Ignat. Ep. ad Rom.), Cristo per l’unzione (S Bern. De Consid.), Vescovo dei Vescovi (Concil. Chalced. în Praef.), padre dei padri (Idem. — Molti altri titoli si omettono per brevità). – Ma non potendo io qui estendermi ad addurre le testimonianze della tradizione, non vo’ lasciare di riferire tre definizioni di Concilj ecumenici, nei quali si trova implicitamente sì ma pur chiaramente quel medesimo domma che fu poi definito nel concilio Vaticano. Le tre definizioni sono la prima del concilio IV di Costantinopoli nell’851, e questa stessa si deve dire più propriamente del 519, perché allora fu proposta da S. Ormisda Pontefice a tutti i vescovi d’Oriente che la sottoscrissero: concilio di Firenze nel 1439. Così abbiamo tre definizioni di Concilj, l’una che si può far risalire sino al sesto secolo, la seconda del decimoterzo e l’altra del decimoquinto. La prima si dilunga da noi di oltre mille e trecento anni, l’ultima di quattro secoli e più. E nondimeno oggidì si spaccia da moltissimi che l’nfallibilità papale è una invenzione nuovissima del concilio Vaticano. Sennonchè le parole dei tre Concilj affermano la papale infallibilità? Negli stessi termini e con la precisione, onde fu fatto nella definizione vaticana, no; ma che la includano a me pare chiaro; però lascio giudicarne chi legge. La formula del Papa Ormisda è questa: « La prima condizione di salvezza è il custodire le regole della vera fede, e il non allontanarsi in nulla dalla tradizione dei Padri, perché non si può lasciare da parte la sentenza di Gesù Cristo nostro Signore, il quale ha detto: Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa. Queste parole sono state provate dai fatti; perciocché la Religione cattolica è stata sempre conservata immacolata nella Sede Apostolica, cioè romana, e la sua dottrina è stata sempre ritenuta come santa…. Desiderando noi dunque di non essere separati dalla fede e dalla dottrina di questa Sede, speriamo di meritare di essere nella sola comunione che viene proclamata dalla stessa Apostolica Sede, nella quale risiede l’intera e vera solidità della Religione cristiana ». Il Concilio di Lione definisce così: « La santa Chiesa romana possiede la sovranità e il pieno primato e principato sulla Chiesa Cattolica intera, ed essa riconosce con verità ed umiltà che l’ebbe ricevuto con la pienezza del potere dallo stesso Signore nel Beato Pietro principe cioè Capo degli Apostoli, del quale il romano Pontefice è successore. – E siccome questa Chiesa è obbligata più di tutte le altre a difendere le verità della fede; « … così allorché si elevano questioni sulla fede, esse debbono essere mediante il suo giudizio definite ». – Infine nel Concilio di Firenze è detto: « Definiamo che la S. Sede Apostolica ed il Pontefice sommo hanno il primato sul mondo intero; e lo stesso Pontefice romano è il successore del Beato Pietro principe degli Apostoli, e vero Vicario di Gesù Cristo, Capo di tutta la Chiesa, PADRE e Dottore di tutt’i Cristiani, ed a lui nella persona del Beato Pietro fu affidata da Gesù Cristo nostro Signore la piena potestà di pascere, reggere e governare la Chiesa universale ». – Intorno a queste tre testimonianze di Concilj ecumenici sarebbero da fare molte e sottili considerazioni: ma io me ne passo, lasciando a ciascuno di studiarle a suo bell’agio. Soltanto vorrei che niuno cercasse d’infermarne il valore, dicendo che la parola infallibile non ci si trova. Perciocché è chiaro che se proprio la parola ci fosse stata, la definizione vaticana sarebbe riuscita al tutto inutile. Ma la questione con gli avversarj, si badi bene, non è già di sapere se nella Bibbia, nella tradizione e nelle definizioni più antiche vi sia la verità espressa proprio in quella forma e con quelle parole in cui si definisce; ma se vi sia la verità stessa, considerata vuoi nella sua sostanza vuoi almeno nel suo germe. La stessa verità cambia, dirò così, di luce e di posto, secondo che il nostro occhio con attenta riflessione la guardi da un punto più tosto che dall’altro; e da ciò nasce, come fu detto, il bisogno dei nuovi dommi, o, che è il medesimo, delle nuove parole e più appropriate per mantenere sempre la non nuova dottrina che si applica, si spiega, si determina meglio. Da ciò nasce altresì l’indefinito progresso della teologia cattolica, che di grado in grado trae e perfeziona le cose talvolta appena abbozzate nella dottrina antica. Ai tempi di Ormisda la parola d’infallibilità papale non ci poteva essere; o, sé vi era, non aveva importanza; perciocché la riflessione umana non s’era fissata punto sull’idea del Papa fallibile o infallibile. Allora era necessario sapere dove fosse la religione immacolata; con quale Sede importasse aver comunione; quale Chiesa serbasse intera la fede. E a queste interrogazioni si rispondeva che la Religione era immacolata nella Sede romana; che la comunione con essa Sede era ciò che più rilevava; e che infine la vera solidità della Religione intera si trovava nella stessa Sede pontificia. Ora, quale di queste tre cose si potrebbe unire con un Vescovo della Chiesa romana che insegnasse a tutta la Chiesa una fede falsa? Niuna. In quelle parole dunque è compresa l’infallibilità del Pontefice romano, benché allora niuno facesse a se stesso questa interrogazione: — Il Pontefice romano è egli fallibile o infallibile nel definire la fede? — Pertanto le medesime cose si possono dire intorno alle altre due testimonianze del Concilio di Lione e di Firenze. Ma anche qui è necessario che io tronchi il discorso e passi oltre. – Guardiamo un altro aspetto della infallibilità del romano Pontefice. Una delle prove più gravi e più concludenti della papale infallibilità sta nella storia della Chiesa: in quella storia, di cui a gran torto gli avversarj fanno un’arma di guerra contro di noi; perché la leggono infoscata sconvolta dalle loro passioni, e soprattutto perché la leggono volendoci trovare idee e giudizj preconcetti. Nella storia della Chiesa, a cominciare dai primi suoi tempi, s’incontra una serie di fatti che provano la fede comune della cristianità nell’Infallibilità della Sede e del Pontefice romano. Moltissime questioni che direttamente o indirettamente appartengono alla fede, le decide di per sé il sommo Pontefice; e quella decisione, non che sia mai contrastata dalle altre Chiese è anzi ardentemente invocata. Papa S. Clemente, per detto di S. Epifanio, condanna Ebione come eresiarca; Papa S. Igino (lo attestano S. Ireneo e Tertulliano) esclude dalla Chiesa Cerdone e Valentino eretici; San Aniceto Papa scomunica Marcione; S. Eleuterio Papa anch’egli proscrive gli errori di Montano. Chi condanna le eresie dei Catafrigi e dei Quartodecimani? Il Papa S. Vittore. Chi fulmina l’eresie dei Novaziani? S. Cornelio Papa. Chi proscrive gli errori di Sabellio? Il Papa S. Dionigi successore di S. Sisto. Dopo data la pace alla Chiesa, Papa Liberio indirizza una lettera solenne ai Vescovi d’Oriente, affinché confessino con gli Occidentali la Trinità consustanziale delle divine persone; e dopo questo giudizio del romano Pontefice, la lite s’ha come terminata. Nel 378 S. Damaso Pontefice pubblica la sua lettera Tractatoria contro le eresie di Apollinare e di Macedonio; S. Siricio condanna l’eresia di Gioviniano; e infine S. Innocenzo conferma i due Concilj Africani contro il pelagianesimo; ed è che S. Agostino dica che per quella conferma la causa è finita. Che più? Nel 494 un Pontefice romano, S. Gelasio,in un Concilio particolare di Roma, giunse sino a determinare il canone delle Sante Scritture. Fatti diquesto genere se ne potrebbero addurre moltissimi. Maio mi fermo qui, e chiedo a me stesso: Per quale ragione mai le dispute più gravi della fede si risolvevano spesso dal Pontefice romano? Perché mai il Pontefice romano egli e non altri dichiarava chi fosse eretico, lo fulminava d’anatemi, e lo metteva fuori del seno della Chiesa? Non avea ciascuna diocesi il suo Vescovo maestro della sana dottrina; e sopra i Vescovi non c’erano i metropolitani; e sopra i metropolitani i primati, e sopra i primati i Patriarchi? Perché le dispute di religione, quasi sempre nei primi tempi nate in Oriente, si de finivano in Occidente ed in Roma? — certo perché i Pontefici romani avessero fama singolare di dottrina. Il primo dei Papi veramente grande per questo rispetto fu S. Leone, che fiorì nel 440: Laonde S. Girolamo, noverando nella Chiesa sino ai suoi tempi centotrentasei uomini illustri per dottrina, appena ricorda quattro Pontefici Romani, Clemente, Vittore, Cornelio e Damaso; i quali ancora scrissero soltanto qualche lettera intorno alle dottrine della fede. Molto meno le dispute di religione si finivano in Roma, perché i Pontefici romani fossero al caso di esaminare la tradizione meglio degli altri Vescovi; trattandosi anzi d’una Religione che ebbe la culla e la primitiva tradizione piuttosto in Oriente che in Occidente. E poi si sarebbero contentati i primi fedeli di una fede fondata sulla scienza storica, o sulla erudizione di qualche Pontefice? Chi lo dicesse, mostrerebbe di non aver capito un jota dello spirito dei Primi Cristiani. La scienza, l’erudizione, la storia, l’ingegno, il vigore dialettico, tutto cedeva per essi a Gesù Cristo. Una sola cosa volevano conoscere, ed era dove fosse mai loSpirito del Signore, quello Spirito che dovea insegnare alla Chiesa ogni verità. Se dunque si chiedeva dal Pontefice Romano la decisione della dottrina della fede; se si chiedeva da lui qual cosa avesse insegnato Gesù Signore,ciò sì faceva perché tutti sapevano che il Beato Pietro avea ricevute promesse singolari intorno al Magistero della fede, e che a lui bisognava far capo per isciogliere senza appello tutti i. dubbj di religione. – Questa è la dottrina dell’Infallibilità definita nel Concilio Vaticano, e che qui appresso mi studierò di chiarire anche meglio. Contro di essa, certo, si sono mosse difficoltà in gran numero. Ma non ci fu mai definizione dommatica che non ne suscitasse forse più assai. E qui ben si potrebbe provare, se ne fosse il luogo, che ciò deriva dalla natura stessa delle verità religiose, dai fonti a cui attingono, e dal lavoro che fa intorno ad esse la ragione umana. Ma di questo argomento mi è forza tacere per amore di brevità. Neppure posso lungamente discorrere delle obbjezioni fatte contro l’Infallibilità papale, e non sose sia bene che io ne dica qualche cosa. Scelgo le due principali e più conosciute, ed eccone appena un cenno. – Chi di voi nel tempo del Concilio non ha udito parlare di Papa Onorio, che evidentemente errò contro la fede,e poi della Chiesa gallicana, la quale sostenne sempre che il Pontefice non fosse infallibile? Ora il fatto di Papa Onorio, chi voglia restringerlo in poche parole, è questo.Dopo che fu definito in Cristo esservi due nature, l’umana cioè e la divina, si cominciò a discutere se in Cristo vi fossero due volontà e due operazioni, ovvero una volontà ed una operazione. Sergio, Patriarca di Costantinopoli, scrive a Papa Onorio, pregandolo di troncare questa nuova questione con imporre silenzio. Il Papa rispose una celebre lettera a Sergio, nella quale alcuni han voluto trovare la definizione erronea ed ereticale che in Cristo fosse la sola volontà; e cotesta obbjezione si avvalora tanto più, che nel sesto Concilio ecumenico Papa Onorio fu condannato appunto per siffatta disputa. Ma il fatto è che la lettera di Papa Onorio non si può avere come una definizione ex cathedra; che essa non si definisce nulla, ma solo si cede alle istanze di Sergio, dicendosi che intorno a questa nuova controversia non si ha da decidere allora cosa alcuna; e che infine il Concilio ecumenico condannando Onorio, lo condannò come negligente nel difendere la fede, ma non mai come Pontefice, che in una definizione dommatica insegna errori a tutta la Chiesa (Chi vuole le prove di tutto ciò, legga i molti libri scritti su questo argomento, e particolarmente il dottissimo volume scritto da Monsig. Hefele in occasione del Concilio). – L’altro fatto della opinione contrari: della Chiesa gallicana fu anch’esso una sorgente di molti equivoci. Non si può provare né punto né poco che la Chiesa gallicana abbia sempre sostenuto ciò che sostenne nella celebre dichiarazione dell’assemblea del 1682, nella quale fu detto, che nelle questioni della fede il Papa ha la principale parte; che i suoi decreti riguardano tutta la Chiesa e ciascuno in particolare; ma che ciò non pertanto il suo giudizio « non è irreformabile se non allorché la Chiesa gli ha dato il suo consentimento ». Si prova anzi il contrario: che cioè la Chiesa di Francia, da S. Ireneo sino ai nostri tempi, moltissime volte professò nei suoi Concilj la papale infallibilità. Basti citare alcune parole dell’assemblea dei vescovi del 1625, confermate da altri trentuno Vescovi francesi che scrissero a papa Innocenzo X nel 1653. Ecco le une e le altre. « La Chiesa di Francia insegna che nelle questioni intorno alla fede i giudizj dei sommi Pontefici godono di una divina e sovrana autorità nella Chiesa universale, e che tutti si debbono ad essi sottomettere con l’intelletto e col cuore, sia che l’Episcopato esprima il suo assentimento, sia che ometta di farlo….. Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa sopra di Pietro, dandogli le chiavi del cielo con l’infallibilità della fede, che si è veduta prodigiosamente restare immutabile nei suoi successori sino ai nostri giorni». Ma v’è ancora altro. Il fatto dell’assemblea dei ventidue Vescovi del 1682, nella quale si negò la papale infallibilità, bisogna ben ponderarlo e guardarlo con tutte le sue particolarità. L’assemblea del 1682, com’è evidentemente provato da molti storici di polso, non rispose alla fede comune della Chiesa di Francia: non fu al tutto libera, ma guasta dalle eccessive ingerenze e del re e dei cortigiani: il Papa poi e le altre Chiese non l’accettarono, protestando anzi contro. Infine, poco dopo, molti dei Vescovi che, per timore di peggio o per debolezza di animo, sottoscrissero la celebre dichiarazione, la ritrattarono (Vedi intorno a ciò le ventinove lettere del Cardinale Litta). Quanto al dottissimo Bossuet, egli almeno nell’assemblea del 1682 cercò di temperare le pretese esorbitanti di alcuni Vescovi, ed appresso le temperò anche più, distinguendo, sebbene contro il vero, tra l’Infallibilità della Sede papale e quella del Papa. (le Recherches historiques sur l’Assemblée du clergé de France de 1682 per M. Gerin). – Io spero che dalle cose dette sin qui l’idea della papale Infallibilità si sia di Grado in grado affacciata più limpida alle nostre menti. Ora ci rimane a fare un ultimo passo, adducendo le parole della definizione del Concilio Vaticano e facendovi sopra poche riflessioni che giovino a farcela intendere. Il Papa col Concilio Vaticano nella quarta sessione fece una Costituzione dommatica intorno alla Chiesa; e al capo IV definì la papale Infallibilità con queste parole: « Noi aderendo fedelmente alla tradizione ricevuta fin dai primi tempi della fede cristiana, a gloria di Dio nostro Salvatore, ad esaltazione della Cattolica Religione, ed a salute dei popoli cristiani, coll’approvazione del sacro Concilio insegniamo e definiamo esser domma da Dio rivelato che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando, esercitando l’ufficio di Pastore e di Dottore di tutt’i Cristiani, definisce in virtù della suprema sua apostolica autorità una dottrina intorno alla fede o ai costumi da tenersi da tutta la Chiesa, gode, mercè l’assistenza divina nella persona del B. Pietro a lui promessa, di quell’infallibilità, di cui. il divin Redentore volle fosse fornita la sua Chiesa nel definire le dottrine appartenenti alla fede e ai costumi; e che perciò tali definizioni del Romano Pontefice per sé stesse, e non già pel consenso della Chiesa sono irreformabili. Se alcuno, che Dio nol voglia, presumerà di contraddire a questa nostra definizione, sia anatema ». Solenni parole coteste, lungamente ponderate e discusse al lume della fede e con l’assistenza di quello Spirito Santo, che fu promesso alla Chiesa come maestro e rammemoratore d’ogni verità! Posta siffatta definizione, e guardando pure a ciò che insegnano comunemente i teologi, consideriamo dunque quali precipue condizioni si richiedono ad avere una definizione infallibile del Papa. In prima, poiché si parla di definizione delle verità religiose è chiaro che non si accenna neanche da lontano l’impeccabilità pontificia; come è piaciuto di dire ad alcuni, non si sa se più goffi o ignoranti. Ancora, poiché si parla del Papa quando definisce e non quando istruisce i fedeli, e si richiedono parecchie altre condizioni ad aver Papa che parla ex cathedra; è evidente che nel Papa si può considerare il dottore privato ed il maestro dei dommi della fede a tutta la Chiesa. Come dottore privato il Papa può, certo, errare; ed il Bellarmino dà come probabile, quantunque molti altri il neghino, ch’ei possa essere sino eretico, e in questo caso deposto dalla Chiesa. Come dottore universale della Chiesa e quando definisce intorno alla fede, è infallibile. Ma si esamini anche più addentro la Costituzione vaticana. Pietro fu stabilito da Gesù Cristo capo infallibile della Chiesa per mantenere l’unità della fede: il Concilio dice che il Papa è infallibile nelle dottrine della fede e della morale. Dunque il Papa è infallibile quando definisce i dommi della fede e della morale. In quali casi questa infallibilità, secondo i più dei teologi, si possa estendere oltre la divina rivelazione e solo per custodire il deposito della divina rivelazione, fu dichiarato parlandosi dell’infallibilità della Chiesa, che è una stessa ed unica infallibilità con quella del Papa. Ma è certo pure che l’infallibilità sì della Chiesa e sì del Papa non si ha da estendere al di là di quelle cose che sono tanto intimamente ed evidentemente congiunte con le verità rivelate; che, negando quelle, si nega anche queste. Dippiù, il Papa, com’è detto nella Costituzione vaticana, è infallibile nel definire le verità religiose. Ora definire una verità, non è soltanto affermarla; ma affermarla solennemente, e imporla come obbligatoria a tutti i fedeli; affermarla ed imporla come verità rivelata, o così intimamente congiunta con essa, che non se ne può separare. Di qui segue che molte affermazioni anche dottrinali del Papa alla intera Chiesa possono assolutamente parlando essere erronee, come può accadere in tutti quei preamboli che precedono sì nelle Bolle e sì nei Concilj la definizione stessa del domma. Ancora, il Papa, secondo la definizione vaticana, deve parlare come Dottore e Pastore universale; quindi deve parlare a tutta la Chiesa e imporre a tutta la Chiesa l’obbligo di credere ciò che egli insegna. Infine il Papa per essere infallibile deve adoperare certe forme estrinseche, dalle quali apparisca che egli intenda di affermare un domma di fede e di obbligare ad esso tutt’i fedeli. La più consueta di queste forme è il fulminare l’anatema, dichiarando eretico chi nega le verità definite. Questa forma non è essenziale ad avere vera e propria definizione dommatica; ma se il Papa (insegna così il dottissimo teologo Mauro Cappellari, poi Papa Gregorio XVI) « non dichiara che a malgrado l’omissione di questa o di altra forma simile, egli intende di definire e di obbligare, non si deve credere ch’egli abbia assolutamente definito, facendo uso dell’infallibilità promessa a Pietro e ai suoi successori » (Trionfo della Santa Sede. Terza Ediz. rivista dal Cappellari già Papa). – Queste ed altre simili regole si possono addurre per conoscere quali sieno le definizioni dommatiche ed infallibili del Papa. Il parlare di esse più minutamente e l’entrare in certe dispute che oggidì si muovono intorno a siffatto argomento, non mi pare che sia cosa del mio libro. Espongo, ma non fo uno scritto di polemica. Io conchiudo dunque questo tema della papale Infallibilità, notando che una delle più belle glorie del Cattolicismo è la stima grande e l’amore grandissimo ch’esso ispira alla verità. L’Infallibilità papale, che il mondo o deride o oppugna o adultera, è un testimonio perenne del conto in che noi teniamo la verità. La verità per noi è tal bene, che avanza tutti gli altri. Per essa morì il Verbo. di Dio incarnato: per essa il Signore rinnova ogni giorno nella Chiesa e nel suo capo il miracolo dell’infallibilità. Un uomo infallibile di per sé è certo cosa incredibile; ma un uomo in certe solenni occasioni strumento dell’infallibilità di Dio, è cosa che s’armonizza pienamente con tutte le teoriche del Cristianesimo. Coloro che non intendono l’inerranza papale, senza avvedersene rimpiccioliscono il Cristianesimo, e non comprendono: la strettissima unione di Gesù Cristo con la sua Chiesa e col suo Vicario. Quanto a me, l’infallibilità papale mi pare come un raggio dell’infinita luce di Cristo, e come un nuovo miracolo dell’infinito suo amore: onde essa m’innamora sempre più di Gesù Cristo, e mi spinge ad amarlo, a magnificarlo è a benedirlo sempre più vivamente. Quali degnissimi frutti poi coglierà la Chiesa da questa solenne definizione, che parve ad alcuni soltanto inopportuna, lo vedranno, meglio di quel che si possa fare oggi, coloro che verranno dopo di noi; quando l’azione diretta di Dio sopra la Chiesa sarà resa manifesta dai fatti nei quali si troveranno involti i nipoti nostri. La divina Provvidenza apparecchia per tempo le vie dell’avvenire!
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In questa festa della “vera” Chiesa Cattolica, il pusillus grex cattolico, augura al Santo Padre Gregorio XVIII lunga vita e Pontificato glorioso, benché impedito. Anche N. S. Gesù Cristo è stato rinchiuso nel sepolcro, ma dopo 3 giorni è risorto glorioso vincendo il mondo e la morte. Così sarà anche per lei, ne siamo certi, mentre lo stagno di fuoco eterno aspetta gli usurpanti vicari di satana e dell’anticristo, i falsi profeti del novus ordo con i loro apostati adepti. Auguri santità, le stiamo vicino con la preghiera e la fede viva in Cristo, nella sua Chiesa, oggi eclissata ma sempre viva, e nel suo Vicario, successore del Principe degli Apostoli. Preghi per noi, ostinati Cattolici, uniti nel Corpo mistico di Cristo !!!
LUNGA VITA AL PAPA!