CONGETTURE SU LE LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (9)

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (9)

Tratte dall’Apocalisse, dal Vangelo, dalle Epistole degli Apostoli, e dalle Profezie dell’Antico Testamento

Messe in relazioni con le rivelazioni della Suora della Natività

di Amedeo NICOLAS

PARTE SECONDA

CAPITOLO V.

LA SETTIMA ETÀ DELLA CHIESA

I buoni sono costituiti, i martiri sono preparati, i santi stanno per soffrire; la bella chiesa di Filadelfia dura poco tempo; i princìpi anticristiani che erano stati indeboliti e schiacciati, ma non distrutti, riappaiono allo scoperto e seducono nuovamente gli uomini. Lo zelo dei sacerdoti e dei pastori si raffredda; la tiepidezza lo sostituisce, e con essa giunge una maggiore indifferenza, una più generale apostasia, una più criminale prevaricazione (Prævaricantes prævaricati sunt, et prevaricatione transgressorum prævaricati sunt – Questo passaggio è così forte che è intraducibile). Il cane ritorna alle ordure che aveva vomitato; il maiale, una seconda volta, sguazza nel suo brago (Contigit enim eis illud veri proverbii: Canis reversus ad suum vomitum, et sus lota in volutabro luti, II. Epistola di San Pietro, cap. II, v. 22); infatti, più o meno nello stesso momento in cui la santa Chiesa di Filadelfia iniziava il suo benefico dominio, tutto l’inferno si affollava, con diabolica gioia, intorno alla culla di colui che sarà l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’anticristo!

(*)

La Suora della Natività rappresenta qui la settima età, e il quadro che ne dipinge è anche appropriato alla fine della quinta età e all’inizio della sesta, sotto molti aspetti:

T. 1, p. 313. « Vedo in Dio che, molto prima dell’arrivo dell’anticristo, il mondo sarà afflitto da guerre sanguinose (La guerra propriamente detta è il carattere della prima rivoluzione iniziata nel 1789); i popoli si solleveranno contro i popoli, le nazioni contro le nazioni (la guerra civile, le insurrezioni sono i caratteri principali della seconda rivoluzione, che si chiama rivoluzione di luglio, con le sue conseguenze) – [noi aggiungiamo le guerre mondiali del XX secolo – ndr.-], a volte unite e a volte divise per combattere per o contro lo stesso partito. Gli eserciti si scontreranno spaventosamente e riempiranno la terra di omicidi e di carneficine. Queste guerre interne ed esterne causeranno enormi sacrilegi, profanazioni, scandali e mali infiniti per le incursioni fatte nella santa Chiesa usurpandone i diritti. Oltre a questo, vedo che la terra sarà scossa in vari luoghi da terremoti e movimenti terribili. Vedo le montagne frantumarsi e scoppiare con uno schianto che si propaga alla terra intorno. Vedo vortici di fiamme, fumo, zolfo e bitume uscire da queste montagne, che riducono in cenere intere città. Tutto questo e mille altri disastri precederanno la venuta dell’uomo del peccato (Tutto questo è storia contemporanea, ricordate Pointe à Pitre nel 1844, Tebe nel 1847, Brousse nel 1854, l’isola di Candia nel 1856, il regno di Napoli nel 1857, il Messico nel 1858, così come le numerose commozioni avvertite in tutte le parti del mondo dal 1854). »

T. 2 p. 318. « Più ci avviciniamo al regno dell’anticristo e alla fine del mondo, più le tenebre di satana si diffonderanno sulla terra, e più i suoi satelliti faranno sforzi per far cadere i fedeli nelle loro trappole e nelle loro reti. »

T. 1, p. 316. « Più ci avviciniamo alla fine del mondo, più vedo che il numero dei figli della perdizione aumenta e quello dei predestinati diminuisce. » Questo sarà fatto in tre modi… 1° per il grande numero di coloro che Egli (Dio) chiamerà a sé per salvarli dalle terribili piaghe che colpiranno la sua Chiesa; 2°. Per il gran numero di martiri che fortificherà nella fede coloro che la persecuzione non avrà falcidiato;  3° per la moltitudine di apostati che rinunceranno a Gesù Cristo per seguire il partito del suo nemico (… abbiamo detto qualcosa di simile nella seconda parte, capitolo 4 (VIII). »

T. 1, p. 7. « Ci saranno tanti martiri alla fine come all’inizio della Chiesa, e ho saputo che la persecuzione sarà così violenta negli ultimi tempi che in pochi anni ci sarà lo stesso numero di immolati di allora, dopo di che avrà luogo il Giudizio universale. »

T. 1, p. 317.« Qualche anno prima della venuta del mio grande nemico, satana susciterà falsi profeti che annunceranno l’anticristo come il vero Messia promesso, e cercheranno di distruggere tutti i dogmi del Cristianesimo… e io farò profetizzare i piccoli bambini… (Le parole della Santa Vergine ai due pastorelli de La Salette sembrano essere una delle realizzazioni di questo annuncio…) e i vecchi; i giovani annunceranno cose che faranno conoscere il mio ultimo avvento… Quello che ti dico qui, figlia mia, così come tutto quello che ti ho mostrato, sarà letto e raccontato fino alla fine dei secoli. » (*).

La storia di questa settima e ultima età è tracciata dal resto della sesta tromba (la sesta tromba è divisa tra la sesta età e la settima, perché l’azione dei malvagi in queste due età è la stessa, nasce dalle stesse cause, procede dagli stessi principi, e ha lo stesso oggetto: il regno dell’anticristo), dalla settima Chiesa, dal settimo sigillo, la settima tromba e la settima lode. Inizierà al primo attacco che seguirà la Chiesa di Filadelfia, che ci sembra durare circa 30 anni (Holzhauer fa iniziare quest’epoca con la nascita (nativitatem) dell’Anticristo. M. de Wüilleret – vol. 1, p. 208 – traduce “nascita” invece che “apparizione”). – Durante la sesta epoca, il Vangelo era stato predicato in tutto il mondo; tutti i popoli avevano accettato il Cristianesimo, ad eccezione del maggior numero di Giudei, che contavano solo quattro o cinque milioni di anime nel mondo, e di una parte dei maomettani, che erano stati ricacciati nei deserti orientali. Questa predicazione universale, che doveva precedere la consumazione, era stata fatta come una testimonianza di condanna per le nazioni che di lì a poco sarebbero cadute nell’apostasia, e che d’ora in poi sarebbero state inescusabili (Et prædicabitur hoc evangelium in universo orbe, in testimonium genti bus, et tunc veniet consummatio, San Matteo, cap. XXIV, v. 14). Ed ora, dopo poco tempo, San Giovanni, nel suo capitolo XI, vv. 1-2, vede e ci mostra la Chiesa Cattolica, così grande e così estesa nel passato, ridotta alle esili dimensioni di un solo tempio, che si ordina di misurare essendo la cosa facile a causa dell’esiguità del terreno occupato da questo edificio, e del piccolo numero dei fedeli che vi sono raccolti (Et datus est mihi calamus similis virgæ, et dictum est mihi: Surge et metire templum Dei, et altare, et adorantes in eo, – Apoc . cap. XI, v. 1). Quanto alla corte e a tutto ciò che si trova al di fuori di questo tempio, e che quindi è molto più grande, l’Apostolo non deve tenerne conto, né misurarlo, perché la loro immensa estensione renderebbe l’operazione troppo lunga e difficile, e perché d’altra parte sono stati abbandonati ai popoli apostati e anticristiani che calpesteranno sotto i loro piedi la Città Santa per quarantadue mesi – Atrium autem, quod est foris templum, ejice foras, et ne metiaris illud : quoniam datum est gentibus, et civitatem sanctam conculcabunt mensibus quadraginta duobus – ibid. v. 2 – (Holzhauser – t. 1, p. 466, ecc., Wüilleret – pensa che questi due versetti indichino, al contrario, l’espansione del Cattolicesimo in tutto il mondo. Questo è il contrario della nostra opinione. Le ragioni che egli ne dà non hanno alcun valore e sono confutate dal testo. È impossibile accettare che un tempio che si trovi di solito in una città sia più grande della città stessa. Ora i malvagi calpestano la città santa, che è certamente più grande di un tempio, per quarantadue mesi; quindi, la visione di Holzhauser non può essere sostenuta.).

I. Il nome e la storia della settima Chiesa, quella di Laodicea, danno le cause di questa grande defezione, di questo cambiamento così straordinario. Il venerabile Holzhauser – vol. 1, p. 209, ecc. Wüilleret) dà al nome di questa Chiesa il significato di vomito; si è senza dubbio ispirato ad un passo dell’Apocalisse relativo a questo tempo; ma la lingua greca non può dare luogo a una tale traduzione. Laodicea è composta da due parole: λαος (= laos – popolo) e ὄικη (= oike: diritto, giudizio, giustizia). La combinazione di queste due parole può fornire due significati ugualmente plausibili: il primo: che le creature negheranno il loro Creatore, e si arrogheranno gli attributi della Divinità (cosa che effettivamente l’anticristo farà); e il secondo: che Dio giudicherà poi il popolo, cosa notoriamente certa.

II. Gesù Cristo, rivolgendosi a questa Chiesa, prende il titolo di Testimone fedele e vero, di Creatore (Testis fidelis et verus, qui est principium creaturæ Dei, Apoc. cap. III, v. 14) perché ha già dato la sua testimonianza a tutte le nazioni, specialmente nell’ultima e universale predicazione del Vangelo (in testimonium omnibus gentibus, San Matteo, cap. XXIV, v. 14), e perché non è affatto come l’anticristo, questo testimone infedele e bugiardo, che vuole spacciarsi per Dio, quando è invece solo un semplice mortale, per il Creatore, quando è solo una creatura. « Conosco le vostre opere – dice il divino Maestro a questa Chiesa infelice – so che non siete né freddi né caldi, che siete tiepidi; è per questo che vi rigetterò, che comincerò a vomitarvi dalla mia bocca, a esercitare tutta la mia ira contro di voi, a punirvi secondo i vostri demeriti e a lasciarvi andare al mio nemico, che è principalmente il vostro. (Scio opera tua, quia nec frigidus, nec calidus; utinàm frigidus esses, aut calidus! Sed quia tepidus es, nec frigidus, nec calidus, incipiam te evomere ex ore meo, – Apoc. cap. III, v. 16). E con queste parole ci fa sapere in anticipo quanto profonda sarà la caduta di questi Cattolici, che una volta erano così pii, così ferventi e così zelanti. Una volta caduti in uno stato così degradante, gli uomini non avranno più il senso del diritto e del dovere, del giusto e dell’errato. Essi cercheranno, con più foga che nella quinta età, onori, ricchezze, piaceri, comodità e la soddisfazione di una natura viziata, senza nemmeno sospettare che questa condotta sia in diretta opposizione ai consigli e ai precetti del Salvatore. Pensano di essere ricchi perché hanno grandi beni sulla terra, e non vedono che sono infelici, miserabili, poveri e nudi, perché non possiedono i veri beni, quelli della grazia. Presuntuosi fino all’eccesso, penseranno di poter fare del bene con la propria virtù, di non aver bisogno della potenza di Dio per questo, e dimenticheranno che l’uomo non è altro che peccato, e che, privato dell’aiuto del cielo, non può fare alcun bene soprannaturale, ed è capace solo di male. Si crederanno dotti, eruditi e profondi, perché avranno una conoscenza approfondita delle scienze che hanno per oggetto il tempo e la materia, e non si accorgeranno di essere così accecati da non poter più vedere la verità e la sana dottrina che sono le luci e gli occhi dell’intelligenza. Immagineranno di essere abbondanti nelle buone azioni, mentre presenteranno solo una spaventosa nudità agli occhi divini (Quia dicis, quod dives sum, et locupletatus, et nullius egeo: et nescis quia tu es miser, et miserabilis, et pauper, et cæcus, et nudus, – ibid, v. 17). Per questo il divino Maestro consiglia loro di comprare da Lui l’oro puro, provato dal fuoco della tribolazione, lo zelo e la carità, per diventare veramente ricchi, per rivestirsi della veste bianca della penitenza, poiché non hanno più la veste bianca dell’innocenza per coprire la confusione della loro nudità; di ungere i loro occhi con il collirio della verità, affinché cessi la loro cecità (suadeo tibi emere a me aurum ignitum, probatum, ut locuples fias, et vestimentis albis induaris, et non appareat confusio nuditatis tuæ, et collyrio inunge oculos tuos, ut videas, – ibid. v. 18). Egli dichiara loro che, se abbandona al loro senso reprobo coloro che lo odiano e che Egli odia, non agisce allo stesso modo nei confronti di coloro che ancora ama nonostante la loro pigrizia e il loro errore; ma li avverte, parla loro, li rimprovera e li castiga nel tempo per salvarli per l’eternità (Ego quos amo castigo. Æmulare ergo, et pænitentiam age, – ibid. v. 19). Poiché la fine del mondo è vicina, dice loro che sta davanti alla porta delle anime e del tempo; che bussa perché essa gli sia aperta; e che coloro che gli apriranno saranno uniti a Lui in un banchetto divino che non avrà mai fine (Ecce sto ad ostium, et pulso: si quis audierit vocem meam, et aperuerit mihi januam, intrabo ad illum, et cænabo cum illo , et ipse mecum, ibid. v. 20). E infine, poiché il Figlio dell’uomo sta per ottenere la vittoria suprema sugli uomini e sui demoni e il suo trono sta per essere stabilito nei secoli dei secoli, promette al vincitore di farlo sedere con Sé su quel trono, proprio come Egli stesso, che ha vinto, siede sul trono con il Padre suo celeste (Qui vicerit, dabo ei sedere mecum in throno meo: sicut et ego vici, et sedi cum Patre meo in throno ejus, ibid. v. 21).

III. Il settimo sigillo ci dà un’idea ancora più triste della settima età. Non appena viene aperto il cielo, c’è un silenzio come di mezz’ora (Et cum aperuisset sigillum septimum, factum est silentium in cælo, quasi media hora (Holzhauser – t. 1, p. 234, etc., Wüilleret – vede in questo silenzio così breve il regno di Giuliano l’Apostata. Noi non possiamo ammettere questa opinione; ne abbiamo già dato le ragioni in vari luoghi), Apoc. cap. VIII, v. 1. – Questo silenzio non è sulla terra, che è piena di tumulti, sconvolgimenti, confusione e crimini; è in cielo, nel bene, nella verità; esso annuncia, a nostro avviso, la proibizione della predicazione del Vangelo, la proscrizione del culto cattolico, l’abolizione del Sacrificio perpetuo (juge sacrificium), la chiusura e la profanazione dei templi del vero Dio, di cui uno solo (quello che a San Giovanni fu ordinato di misurare) rimane ad uso dei fedeli, la quasi invisibilità della Chiesa, che si nasconde nelle montagne e nei deserti (Tunc qui in Judæa sunt fugiant ad montes San Matt. cap. XXIV, v. 16 – Holzhauser, t. 2, p. 36, Wüilleret – dice che la Chiesa avrà allora il suo ritiro in Occidente sulle montagne.), il dominio dell’empietà sul male, il regno dell’abominio della desolazione.

(*)

La Suora dettaglia gli eventi che precederanno il regno dell’anticristo. Ci sono ancora dei passaggi che possono essere applicati alla quinta e alla sesta età. L’albero della Rivoluzione non essendo stato sradicato, ma tagliato rasente al suolo, le sue quattro radici fanno crescere quattro germogli che vengono riconosciuti per quello che sono, e vengono immediatamente tagliati (tom. 1, p. 406). Gli empi avevano formato la loro trama in segreto (le società rivoluzionarie e anticattoliche sono chiamate “società segrete”), perché le radici erano nascoste nel terreno, e si affrettarono ad attaccare la Chiesa.

T. 4, p. 407. Ci saranno alcuni, dice la Suora, che si nasconderanno in luoghi sotterranei… Faranno anche uso di diavoli, dell’arte della magia e degli incantesimi (Le tavole rotanti e battenti, i medium, quello che si chiama spiritismo, sembrano entrare in questa categoria di mezzi che saranno usati, e sono già stati usati da tempo). Questi nemici della Chiesa avranno belle apparenze, ma saranno scoperti e colpiti. La loro azione non sarà di lunga durata; potrà durare qualche anno. La Chiesa non sarà oppressa nei suoi ministri e nel loro ministero; ma molte persone di entrambi i sessi saranno ingannate (vol. 1, p. 407).

I malvagi scoperti e condannati si nasconderanno, faranno riunioni notturne e si rinchiuderanno nelle foreste. Comporranno opuscoli pieni di ogni sorta di devozioni, novità e storie false, che saranno diffuse dai loro amici. Gli opuscoli saranno seguiti da opere più seriose, che si diffonderanno allo stesso modo e infetteranno diverse regioni con il loro veleno, senza che nessuno se ne accorga. Essi stabiliranno una falsa legge che chiameranno inviolabile. Essi istruiranno e governeranno come i legislatori di satana (tom. 4, p. 414). –

Per meglio riuscire si daranno a grandi austerità, faranno grandi elemosine, daranno tutti i loro beni ai poveri e si impegneranno in tutti i tipi di pratiche devozionali. Ci saranno dei sacerdoti in buona fede intercessori presso i Vescovi; molti di questi ultimi saranno addirittura ingannati (tom.. 4, p. 416).

La Chiesa si stupirà di un cambiamento che non sarà stato prodotto da missioni e sermoni (La Chiesa sarà sorpresa di un cambiamento che non è stato portato dalle missioni e dalle prediche. Alcuni preti si accorgeranno di cose sospette – t. 4, p. 412). Quando questi malvagi si crederanno scoperti, ricorreranno all’ipocrisia, appariranno molto più religiosi, negheranno qualsiasi associazione con gli empi, e si scuseranno della loro ignoranza quando sarà loro dimostrata (tom. 4, p. 412). –

La Chiesa, avendoli fatti osservare e scoprire (vol. 4, p. 468), ordinerà digiuni, processioni, missioni, preghiere pubbliche, un giubileo che convertirà molti di coloro che furono sedotti e preserverà quelli che erano disposti ad essere ingannati (t. 4, p. 425).

Quando questi malvagi avranno un numero di discepoli tanto grande quanto serve per popolare un regno, si spargeranno e faranno molto male alla Chiesa, che sarà attaccata da tutte le parti da stranieri, idolatri, e dai suoi stessi figli. » (t. 4, p. 415).

Dal momento in cui questi empi usciranno dalle loro caverne, fino a quando la Chiesa riconoscerà il loro male, ci sarà un lungo tempo, forse anche mezzo secolo più o meno, che essi impiegheranno per sedurre i fedeli ( t. 4, p. 419). (Tutti questi eventi segreti potranno prendere una grande porzione della bella e santa Chiesa di Filadelfia. Tutto sarà nascosto per molto tempo. Quando saranno scoperti, saranno immediatamente colpiti).

Finita questa crisi, ne seguirà presto un’altra. I malvagi, vedendosi traditi e scoperti, saranno furiosi (t. 4, p. 425), e si riuniranno con il loro capo nella città più famosa (t. 4, p. 428), per tramare ancora. La grazia toccherà una parte di loro, anche diversi capi, stregoni e maghi (vol. 4, p. 430), che saranno fedeli alla grazia (vol. 4, p. 432, 433), diventeranno santi così come i loro figli, ed in seguito subiranno il martirio (tom. 4, p. 434).

Questa seconda volta si convertiranno, attraverso le austerità e le preghiere della Chiesa, quasi altrettanti peccatori che la prima volta, attraverso missioni, digiuni e giubilei (tom. 4, pagina 434).

Quelli che avanno perseverato nella loro ribellione, sentendo la loro impotenza, si daranno a satana, che apparirà in mezzo a loro, li rimprovererà per la loro viltà, prometterà loro l’anticristo e tutti i beni della terra; essi faranno un contratto con lui, gli giureranno fedeltà fino alla morte, si impegneranno a odiare Gesù Cristo, a rinunciare al loro Battesimo, ad amare ed adorare il diavolo, e gli diverranno simili (vol. 4, pp. 437, 440, 441, 442, 445). La loro legge maledetta, detta inviolabile, sarà unita al contratto che hanno sottoscritto con satana – vol. 4, p. 446 – Essi esorteranno il popolo a seguire questa legge con la minaccia di costringerli a farlo. La faranno affiggere e leggere pubblicamente, e pubblicheranno tutti i tipi di castighi destinati a punire il recalcitrante (t. 4, p. 450). Prima di usare il rigore, prenderanno mezzi di seduzione più efficaci. I demoni appariranno sotto le spoglie di angeli della luce per annunciare il vero Messia; passeranno diversi anni prima che essi usino apertamente la forza e la coercizione ( vol. 4, p. 451 ), e allora inizierà la persecuzione dell’Anticristo che sarà diventato il loro capo.

Quando i complici dell’anticristo inizieranno la guerra, si metteranno vicino a Roma, che perirà interamente. Il Papa subirà il martirio; la sua sede sarà preparata per l’anticristo (ma egli non la occuperà, non ne avrà il tempo. La Suora non sa se questo sarà fatto un po’ prima dell’anticristo dai suoi complici, o dall’anticristo stesso – vol. 4, p. 460).

Quando il Figlio della Perdizione si presenterà come tale, ci sarà un terribile scandalo nella Chiesa, una terribile carneficina in tutto l’universo. Non ci sarà altro che inganno, tradimento, ipocrisia, gelosia, abomini, malvagità, illuminazione, falsi devoti, produzione di illusioni magiche, falsi miracoli, false profezie, falsi profeti. Arriveranno al punto di far apparire luci e figure splendenti, che prenderanno per divinità (Abbiamo visto nella seconda parte, cap. 1, che l’Antipapa, luogotenente dell’anticristo in Europa, animerà il ritratto della Bestia. Questo ha qualche connessione con le parole della Suora della Natività. – tom. 1, p. 320).

I ministri di Gesù Cristo combatteranno contro tutte queste mostruosità, ma saranno messi a morte e periranno con il martirio (tom. 1, p. 322).

Ci si applicheranno sui pastori e sui fedeli tutte le circostanze della crocifissione di N. S. J.-C. – Il numero dei martiri che Dio avrà segnato non sarà superato (volume 1, p. 322, 323, 330, 331, tom. 4, p. 452).*)

IV. L’ultima parte della sesta tromba ci fa conoscere l’azione di Dio e soprattutto quella di satana nei tempi malvagi. – Enoch ed Elia, i due grandi testimoni del Creatore (Sic Holzhauser, t. 1, p. 482, Wüilleret) appaiono nel mondo, vestiti di sacchi. – Essi sono come due ulivi che producono l’olio untuoso e salutare della conversione e della santità, come due candelabri che illuminano gli intelletti in mezzo alle fitte tenebre dell’inferno. Predicano e profetizzano per milleduecentosessanta giorni agli uomini che si sono smarriti; annunciano loro l’avvicinarsi della fine dei tempi e la venuta finale del Figlio dell’uomo, in modo da farli sfuggire alla seduzione, o per sottrarre ad essa coloro che ne siano già stati colpiti (Et dabo duobus testi bus meis, et prophetabunt diebus mille ducentis sexu ginta, amicti saccis. Hi sunt duæ olivæ, et duo cande labra, in conspectu Domini terræ stantes, Apoc. cap. XI, v. 3, 4).  Per esercitare più efficacemente il loro ministero, questi due profeti ricevono un grande potere da Dio; essi hanno il potere di far uscire un fuoco dalla loro bocca, cioè di produrre per loro ordine un fuoco che divorerà coloro che si sono fatti loro nemici e cercano di far loro del male (Si quis voluerit eis nocere, ignis exiet de ore eorum, et devorabit inimicos eorum: et si quis voluerit eos lædere, sic oportet eum occidi, ibid. v. 5). Essi hanno anche il potere di chiudere il cielo, di impedire che piova sulla terra durante il tempo della loro profezia, di trasformare l’acqua in sangue, e di colpire il mondo con piaghe ogni volta che vogliono (Hi habent potestatem claudendi cælum, ne pluat diebus prophctia ipsorum; et potestatem habent super aquas convertendi eas in sanguinem, et percutere terram omni plaga quotiescumque voluerint, ibid. v. 6.

(*) Estratto analitico della Suora della Natività.

A causa del gran numero di martiri e di apostati, la Chiesa è ridotta a un piccolo numero, in confronto a quello che era in passato (Nel cap. XI, v. 1, dell’Apocalisse, a San Giovanni viene ordinato di costruire il tempio di Dio. Holzhauser vede la Chiesa più numerosa che mai, mentre sa che l’altro capitolo tratta della persecuzione dell’anticristo e della fine del mondo. Noi interpretiamo questo versetto nel senso opposto; la Suora della Natività è conforme alla nostra congettura. Dopo i giorni in cui ci sono più martiri, San Michele si presenta alla Chiesa, la rende invisibile e la fa passare in mezzo ai suoi nemici (Questa invisibilità della Chiesa rimanda al silenzio di mezz’ora che si trova nel settimo sigillo, capitolo VIII, v. 1), perché il numero dei martiri è compiuto, e la conduce in una solitudine dove deve soffrire la fame, la sete, la carestia e la povertà, ma dove Dio la sostiene con miracoli reali, la nutre con un pane miracoloso, la sua parola divina e il suo stesso corpo. I suoi nemici, non vedendola più, penseranno di averla distrutta, ma Essa persiste; le grotte formate dalle montagne che si sono aperte le servono da rifugio. Vi si costruiscono templi, vi si erigono altari (vol. 1, p. 334), i buoni Angeli vengono a raccontare ai fedeli ciò che accade altrove, e riportano alla Chiesa molti sventurati che l’avevano rinnegata o non l’avevano mai conosciuta (vol. 1, p. 339). Nei giorni in cui ci sarà stato il maggior numero di martiri, Nostro Signore stesso apparirà alla sua Chiesa, e manderà San Michele a renderla invisibile e a condurla nella solitudine, finquando il numero dei martiri sarà completato (vol. 4, p. 482).

V. Elia deve predicare ai Giudei a Gerusalemme e in Palestina (Qui scriptus es in judiciis temporum lenire iracundiam Domini, cor patris ad filium, et restituere tribus Jacob (Elia viene annunciato nelle profezie come colui che debba mitigare l’ira del Signore, far tornare il cuore del Padre al Figlio suo e restaurare le tribù di Giacobbe.- Eccles. cap. XLVIII, v. 10); è quindi necessario che la loro dispersione sia cessata in anticipo e che siano riuniti nel loro paese. – Ezechiele ci rappresenta questo ritorno sotto l’immagine di ossa aride in cui ritorna lo spirito della vita e che rivivono (cap. XXXVII), e dice, in nome di Dio: « Ecce ego assumam filios Israel de medio nationum ad quas abierunt, et congregabo eos undique, et adducam eos ad humum suam. Et faciam eos in gentem unam in terra in montibus Israel, et rex unus erit omnibus imperans, et non erunt ultra duæ gentes, nec dividentur ampliùs in duo regna – Io prenderò i figli d’Israele tra le nazioni in cui erano andati. Li radunerò da tutte le parti, li farò diventare una sola nazione, nella loro terra, sui monti d’Israele. Un solo re regnerà su di loro; non saranno più due nazioni e due regni » (ibid. v. 21, 22). – Perché questa profezia si compia, i Giudei devono poter formare di nuovo un popolo, e l’impero turco, che occupa il loro paese, deve essere distrutto. La prima condizione è più o meno soddisfatta, la seconda sarà presto realizzata. Fino alla fine del secolo scorso, i figli di Israele erano disprezzati e rifiutati in tutto il mondo. Tenuti accuratamente lontani da tutte le carriere, il loro unico mezzo di sussistenza era il commercio, poiché non potevano possedere proprietà. Trattati come nemici ed emarginati da tutte le nazioni, e specialmente dai maomettani, non avendo alcuna forza materiale, erano odiati da tutti a causa del loro deicidio, e rispondevano a questa avversione generale con un’ostilità occulta verso tutti i popoli, vivendo solo di inganni, rapine, usura e bugie. La filosofia e la sua figlia legittima, la rivoluzione, forse volendo smentire le profezie cattoliche, emancipò i Giudei in Francia, e questo esempio fu gradualmente seguito da quasi tutta l’Europa, così che i turchi sono quasi gli unici al momento, a tenerli ancora in schiavitù. L’emancipazione ha prodotto gli effetti che ci si aspettava, ha permesso a questo popolo di intraprendere tutte le carriere; ha avuto ministri notevoli, finanzieri eminenti, grandi oratori, soldati illustri, abili ingegneri, scienziati di prim’ordine, magistrati, profondi giureconsulti, grandi artisti; in una parola, possiede tutto ciò che è necessario per formare una nazione indipendente che governi se stessa. – Per quanto riguarda l’impero turco, la sua caduta è imminente, come abbiamo già detto. Questo grande corpo non può più sostenersi da solo; la vita lo ha abbandonato; è stato ridotto in uno stato di agonia; esso sarebbe già inesistente da più di quasi quarant’anni, se gli si fosse potuto sostituire qualcosa, o se si fosse potuto raggiungere un accordo per la divisione dei suoi vasti possedimenti.

VI. Quando i Giudei saranno tornati nel loro paese e vivranno con fiducia e sicurezza nella terra dei loro padri, Gog, l’anticristo, verrà su di loro con un grande esercito, come annuncia Ezechiele quando dice: « Post dies multos visitaberis; in novissimo annorum venies ad terram, quæ reversa est à gladio, et congregata est de populis multis ad montes Israel, qui fuerunt deserti jugiter. Hæc de populis educta est, et habitabunt in ea confidenter universi – Tu sarai visitato dopo molti giorni. Nell’ultimo dei tuoi anni verrai nel paese distrutto dalla spada, i cui abitanti sono stati radunati da tutti i popoli sui monti d’Israele, che erano stati a lungo desolati, dove abiteranno con fiducia. » (cap. XXXVIII, v. 8). – L’uomo del male non sorgerà immediatamente come il Messia promesso, egli sorgerà dall’abisso del nulla e dell’oscurità; sorgerà come Tamerlano, che iniziò come capo di una banda di ladri e assassini, e diventerà il capo dei Mussulmani (Bestia quæ ascendit de abysso, Apoc. XI, v. 7. Bestia quam vidisti fuit et non est, et ascensura est de abysso, ibid. cap. XVII, v. 8).

Secondato da questo popolo, discendente di Magog, figlio di Jafet, egli farà grandi conquiste. Avendo raggiunto una grande potenza, verrà, negli ultimi anni della sua vita (In novissimo annorum, Ezech. cap. XXXVIII, v. 8), dalle parti di Aquilone, per ascendere sulla Palestina, con diversi popoli (Et venies de loco tuo à lateribus Aquilonis, et populi multi tecum, ibid. v. 15. Et ascendes super populum meum Israel quasi nubes, ut operias terram; in novissimus diebus eris – Negli ultimi tuoi anni, tu verrai dai lati di Aquilone e molti popoli con te, e monterai sul mio popolo Israele come una nuvola per coprire la terra. Tu ci sarai negli ultimi giorni – ibid. v. 16).

Divenuto padrone della Terra Santa, concepirà un pensiero malvagio, quello di farsi adorare come Dio (In die illa ascendent sermones super cor tuum, et cogitabis cogitationem pessimam, ibid. v. 10. Qui adversatur et extollitur supra omne quod dicitur Deus , aut quod colitur , ita ut in templo Dei sedeat , ostendens se tanquàm sit Deus – In quel giorno i discorsi che vi saranno fatti gonfieranno il vostro cuore, e concepirete il pensiero più cattivo … Colui che si pone come nemico e vuole esaltarsi al di sopra di tutto ciò che si chiama Dio e viene adorato come tale, fino al punto di sedersi nel tempio e mostrarsi come se fosse Dio). II Tessalonicesi 2, v. 4) (Ego veni in nomine Patris mei, et non accepistis me; si alius venerit in nomine suo, illum accipietis – Sono venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete. Se un altro viene nel suo nome, lo riceverete. Sic Holzhauser, t. 4, p. 471, Wüilleret). Vangelo di San Giovanni, cap. V, v. 43).

VII. Elia ed Enoch combattono contro l’anticristo con tutto il loro potere, per impedire che i popoli siano sedotti, per trattenerli o per farli ritornare; e per questo colpiscono la terra con un gran numero di piaghe. – La prima piaga è un’ulcera crudele e pericolosa che colpisce coloro che portano il segno della bestia e adorano la sua immagine, e che risparmia tutti gli altri (Et abiit primus -Angelus – et effudit phialam suam in terram, et factum est vulnus sævum et pessimum in homines qui habebant characterem bestiæ, et in eos qui adoraverunt imaginem ejus – Il primo Angelo versò la sua coppa sulla terra, e gli uomini che avevano il segno della bestia o che avevano adorato la sua immagine furono colpiti da una piaga crudele e molto maligna), Apoc. cap. XVI, v. 2). – Il secondo trasforma il mare in sangue e dà la morte a tutto ciò che ha vita in esso (Et secundus Angelus effudit phialam suam in mare, et facta est sanguis tanquàm mortui, et omnis anima vivens mortua est in mari – E il secondo Angelo versò la sua coppa nel mare, che divenne sangue, come il sangue di un cadavere, e ogni anima vivente nel mare morì, 1 – ibid. v. 3). – Il terzo trasforma le altre acque in sangue (Et tertius effudit phialam suam super flumina, et super fontes aquarum, et factus est sanguis – E il terzo Angelo versò la sua coppa sui fiumi e sulle sorgenti, ed essi furono trasformati in sangue – ibid. v. 4). La quarta è il calore e il fuoco che affliggeranno gli uomini (Et quartus Angelus effudit phialam suam in solem, et datum est illi æstu affligere homines et igni. Et æstuaverunt homines ostu magno, et blas phemaverunt nomen Dei habentis potestatem super has plagas, neque egerunt pænitentiam ut darent illi gloriam – E il quarto Angelo versò la sua coppa sul sole. E gli fu dato di colpire gli uomini con calore e fuoco; e gli uomini ebbero grande calore e bestemmiarono il Nome di Dio, che aveva potere su queste piaghe, e non peccarono, né glorificarono Dio – ibid. v. 8, 9). – La quinta piaga è rappresentata dalle tenebre che oscurano il trono della bestia e il suo impero (Et quintus Angelus effudit phialam suam super sedem bestiæ, et factum est regnum ejus tenebrosum, et commanducaverunt linguas suas præ dolore; et blasphemaverunt Deum coeli pro doloribus et vulneribus suis, et non egerunt pænitentiam ex operibus suis – E il quinto Angelo versò la sua coppa sul trono della bestia e lo riempì di tenebre e si divorarono la lingua per il dolore. Hanno bestemmiato Dio per questo, e non hanno fatto penitenza per i loro peccati – ibid. v. 10, 11).

VIII. La sesta coppa è ben rimarchevole: essa non ha alcun legame con le piaghe con cui i due profeti colpiranno la terra; al contrario, indica l’operazione dell’anticristo e dei suoi seguaci. Questa coppa è versata sul grande fiume Eufrate, cioè sui paesi civilizzati, sull’Europa, che sono rappresentati, come abbiamo detto, dal nome di questo fiume; essa prosciuga tutte le acque vivificanti della verità e della grazia per mezzo dello pseudoprofeta, l’antipapa, che fa apostatare l’Occidente e lo sottomette all’anticristo e ai re dell’Oriente (Et sextus Angelus effudit phialam suam in flumen illud magnum Euphraten , et sic cavit aquam ejus, ut præpararetur via regibus ab ortu solis – E il sesto Angelo versò la sua coppa sul grande fiume Eufrate per preparare la via ai re dell’Oriente. – ibid. v. 12).

IX. Dopo questa apostasia dell’Occidente, il mondo intero è sottomesso all’uomo del male. Questo, gonfio dei suoi successi, vuole elevarsi fino alla Divinità; si impegna a detronizzare il vero Messia, a farsi adorare come Dio. Per questo, tre spiriti immondi escono dalla sua bocca, come dal drago e dal falso profeta, come rane che gracchiano. Sono spiriti di demoni che operano prodigi e vanno da tutti i re della terra per radunarli per il giorno della grande battaglia di Dio (Et vidi de ore draconis, et de ore bestiæ, et de ore pseudoprophetæ spiritus tres immundos in modum ranarum . Sunt enim spiritus dæmoniorum facientes signa, et procedunt ad reges totius terræ congregare illos in prælium ad diem magnum Omnipotentis, ibid. v. 13, 14). Il numero di questo esercito è incalcolabile; esso copre la faccia della terra, circonda il campo dei santi e la città amata (Et congregabit eos in prælium, quorum numerus est sicut arena maris, Apoc. cap. XX, v. 7. Et ascenderunt super latitudinem terræ, et circumierunt castra sanctorum et civitatem dilectam (Questo testo prova che avevamo ragione nel dire che il tempio che San Giovanni doveva misurare, nel capitolo XI, v. 1, 2, significa che la Chiesa sarà ridotta a un piccolo numero, e che ciò che è fuori del tempio è molto più grande, poiché, secondo il capitolo XX dell’Apocalisse, gli empi coprono la terra. L’anticristo li riunirà in un luogo chiamato in ebraico Armageddon, mentre il Figlio dell’uomo annuncia che verrà come un ladro, per confondere questo grande impostore (Ecce venio sicut fur, Apoc. XVI, v. 15. Et congregabit illos in locum, qui vocatur hebraïcè Armagedon, ibid. v. 16). – Dio, per vendicare la sua gloria oltraggiata, opprime la terra con terribili disgrazie; tutta la natura è desolata; uomini e animali sono in grande costernazione davanti al volto adirato del Signore; le montagne, le muraglie sono rovesciate; strade e sentieri scompaiono; il fratello alza la spada contro il fratello; la spada è su tutte le montagne del Signore, sui capi del Cattolicesimo. Peste, sangue, una pioggia torrenziale, pietre enormi colpiscono gli uomini. Lo zolfo e il fuoco cadono sull’esercito del figlio della perdizione e sui numerosi popoli che lo seguono (Et commovebuntur à facie mea pisces maris, et volucres coeli, et bestiæ agri, et omne reptile quod movetur super humum, cunctique homines qui sunt super faciem terræ; et subvertentur montes et cadent sepes, et omnis murus corruet in terram, Ezech, cap. XXXVIII, v. 20. Et convocabo adversùs eum in cunctis montibus meis gladium, ait Dominus Deus: gladium uniuscujusque in fratrem suum dirigetur, ibid. v . 21. Et judicabo eum peste, et sanguine, et imbre vehementi, et lapidibus immensis. Ignem et sulphur pluam super eum, et super exercitum ejus, et super populos multos qui sunt cum eo (I pesci del mare, gli uccelli del cielo, le bestie dei campi, ogni essere strisciante che striscia sulla terra e ogni uomo vivente saranno in preda al terrore e all’agitazione in mia presenza. I monti saranno abbattuti, le siepi e i muri cadranno. Chiamerò una spada su tutti i miei monti, dice il Signore; la spada di un fratello sarà rivolta contro il suo fratello. Li giudicherò con pestilenza, sangue, pioggia battente e grandi pietre. Farò piovere fuoco e zolfo su di lui, sul suo esercito e sulle persone che sono con lui. (ibid. v. 22). I malvagi, lungi dall’umiliarsi e chiedere pietà, si induriscono ancora di più alla vista di tanti mali. Bestemmiano il Nome di Dio invece di fare penitenza. Diventano ancora più feroci contro i Cristiani. Il terrore è ovunque. Per evitare un pericolo, si cade nelle trappole, nelle reti che vengono tese. La terra è disfatta, schiacciata, scossa, agitata come un ubriaco. Interi paesi sono inghiottiti nell’abisso che si apre (Formido, et fovea, et laqueus super te, qui habitator es terræ. Et erit: Qui fugerit à voce for midinis cudet in foveam, et qui se explicaverit de foved tenebitur laqueo. Cataractæ de cælis apertæ sunt, et concutientur fundamenta terra. Confractione confringetur terra, contritione conteretur terra, commotione commovebitur terra. Agitatione agitabitur terra sicut ebrius, et auferetur quasi tabernaculum unius noctis, et gravabit eam iniquitas sua, et corruet, et non adjiciet ut resurgat (Paura, insidie e reti sono su di te, o abitante della terra; chi sviene dalla paura cadrà nella fossa. Colui che esce dalla fossa sarà trattenuto dalla rete. Le cataratte del cielo si apriranno, le fondamenta della terra saranno fortemente scosse, la terra sarà spezzata, schiacciata e riversata; sarà traballante come un ubriaco, e portata via come la tenda di una sola notte. La sua iniquità peserà su di lei, e sarà appesantita e non si rialzerà (come nella sesta epoca). Isaia, cap. XXIV, v. 17-20).

(*) Dio assiste la sua Chiesa, manda veri profeti, elargisce miracoli, anche per sostenere i fedeli (Essendo il permesso di comprare e vendere concesso solo a coloro che avranno il segno della bestia, gli altri devono essere in miseria. (Apoc. cap, XIII, v. 17.) (Suor della Natività, t. 4, p. 452). I buoni avranno frequenti apparizioni degli Angeli buoni, specialmente di San Michele. Vedremo la resurrezione pubblica e notoria di diversi martiri (Nel cap. XI, v. 11, di Apoc. si dice che Elia ed Enoch, messi a morte dall’anticristo, risorgeranno.) Elia ed Enoch, uccisi dall’anticristo, saranno risuscitati, contro i quali non si potrà fare nulla, perché non moriranno, e consoleranno e fortificheranno i fedeli (Elia ed Enoch, quindi, forse predicheranno anche dopo la loro risurrezione. Questa volta i Giudei seguiranno Elia. – . Anche se visibili ai loro fratelli, essi godranno della vista di Dio – tom. 1, p. 332. *).

X. Quando Enoch ed Elia hanno terminato la loro testimonianza, cioè milleduecentosessanta giorni dopo averla iniziata, sono messi a morte dall’anticristo a Gerusalemme (Et cùm finierint testimonium suum, bestia quæ ascendit de abysso faciet adversùs cos bellum, et vincet illos, et occidet eos – Non appena avranno finita la loro testimonianza, la bestia che sale dal pozzo senza fondo farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà). Apoc. cap. XI, v. 7). I loro corpi rimangono per tre giorni e mezzo nelle strade della città, perché è vietato seppellirli. Tutti gli uomini li vedono e possono così accertare la loro morte (Et corpora eorum jacebunt in plateis civitatis magnæ, quce vocatur spiritualiter Sodoma et Ægyptus, ubi et Dominus eorum crucifixus est. Et videbunt de tribubus, et populis, et linguis, et gentibus corpora eorum per tres dies et dimidium; et corpora eorum non sinent poni in monumento – E i loro corpi saranno deposti nelle piazze della grande città che è spiritualmente chiamata Sodoma ed Egitto, dove il loro Signore fu crocifisso. E gli uomini di ogni tribù, popolo, lingua e nazione vedranno i loro corpi per tre giorni e mezzo, perché non sarà permesso di metterli in una tomba. – ibid, v. 8, 9). – Grande è la gioia degli abitanti della terra nell’apprendere di questa doppia morte; si danno a tutti i segni esteriori di contentezza; mandano regali per congratularsi gli uni con gli altri, perché i due inviati di Dio li avevano notevolmente tormentati (Et inhabitantes terram gaude bunt super illos, et jucundabuntur; et muncra mittent invicem, quoniam hi duo prophetæ cruciaverunt eos, qui habitabant super terram, ibid. v. 10.

(*) L’anticristo, vedendosi vittorioso ovunque, si fa adorare come Dio; ma viene colpito dal soffio della bocca di Gesù Cristo, e viene gettato con i suoi complici nell’inferno (t. 1, p. 323, t. 4, p. 453). Non tutti i suoi complici cadono con lui, un gran numero viene risparmiato. Molti di questi ultimi si convertono (Vol. 1, p. 325, Vol. 4, p. 455), così come molti poveri Cristiani che erano stati sviati dalla paura e dalle illusioni. Quelli che periranno formeranno i due terzi dei complici. Quelli che saranno risparmiati e salvati ne costituiranno un terzo (tom. 4, p. 456*).

XI. Ma questa gioia cieca è molto breve; perché tre giorni e mezzo dopo la loro morte (Holzhauser-t. 1, p. 495, ecc. Wüilleret- pensa che questi tre giorni e mezzo forniscano tre settimane o ventuno giorni. Questo ci sembra arbitrario e sistematico). Lo spirito della vita ritorna nei corpi dei due profeti per ordine di Dio; essi si raddrizzano e si alzano in piedi; un grande timore coglie tutti coloro che li vedono (Et post dies tres et dimidium, spiritus vitae à Deo intravit in eos; et steterunt super pedes suos, et timor magnus excidit super eos qui viderunt eos, ibid. v. 11). Una grande voce dal cielo disse loro: “Salite qui”, ed essi si alzarono in una nuvola alla vista dei loro nemici (Et audierunt vocem magnam de cœlo dicentem: Ascendite hùc; et ascenderunt in cælum in nube, et viderunt illos inimici eorum, ibid. V. 12).

XII. L’Anticristo è confuso a questa vista; sente scoperta la sua impostura; invoca satana, affinché lo aiuti a tenere sotto il suo impero il popolo cieco che lo adora. Egli capisce che deve anche salire in aria, come i profeti; lo fa per il potere del diavolo; sale dal monte degli Ulivi (Sic Holzhauser, t. 1, p. 501, Wüilleret). Ma il fulmine che esce dalla bocca del Figlio dell’uomo lo precipita nell’abisso (Et tunc revelabitur ille iniquus quem Dominus Jesus interficiet spiritu oris sui, II° Tess. cap. 2, v. 8. Et ignis des cendit de cælo, et devoravit eos; et Diabolus, qui seducebat eos, missus est in stagnum ignis et sulphuris, ubi et bestia et pseudoprophetæ cruciabuntur die ac nocte in sæcula sæculorum – E allora sarà rivelato quell’uomo malvagio che il Signore Gesù finirà con un soffio della sua bocca. E il fuoco scese dal cielo e li divorò, e il diavolo che li aveva ingannati fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo, dove la bestia e i falsi profeti saranno tormentati notte e giorno nei secoli dei secoli. -) È a questa battaglia, a questo trionfo di Gesù Cristo sull’anticristo e i suoi seguaci, che si riferiscono i vv. 11-21 del capitolo XIX dell’Apocalisse, dove il cavaliere su un cavallo bianco, che è chiamato il Verbo di Dio – et vocatur nomen ejus Verbum Dei -, governa le nazioni con una verga di ferro, calpesta il torchio dell’ira di Dio e, dopo una battaglia senza pari, distrugge la bestia, i falsi profeti, i loro numerosi eserciti e tutti coloro che erano dalla loro parte. – Apoc.. XX, v. 9, 10. – Nello stesso tempo, c’è un grande terremoto; la decima parte della città di Gerusalemme è rovesciata e distrutta (Et adhuc decimatio et convertetur – Sarà decimata di nuovo, e sarà convertita. – La decima parte della città è caduta, Isaia, cap. VI, v. 13. – Et decima pars civitatis cecidit, Apoc. cap. XI, v. 13). Settemila uomini sono sepolti sotto le rovine, e quei Giudei che avevano seguito il figlio della perdizione come il vero Messia, colpiti dalla resurrezione e dall’ascensione di Elia ed Enoch, dalla terribile caduta dell’anticristo e dal grande cataclisma che l’accompagna, riconoscono di essersi ingannati, danno gloria a Dio e confessano Gesù Cristo (Et in illa hora factus est terræmotus magnus, et decima pars civitatis cecidit; et occisa sunt in terræ motu nomina hominum septem millia. Et reliqui in terrorem sunt missi, et dederunt gloriam Deo cæli, Apoc. cap. XI, v. 13. Et post hæc revertentur filii Israel, et pavebunt ad Dominum et ad bonum ejus in novissimo dierum, Osea, cap. III, v. 5. Et aspicient ad me quem confixerunt, et plangent cum planctu magno quasi super unigenitùm – In quell’ora ci fu un grande terremoto. La decima parte della città cadde, sette mila uomini morirono. Gli altri, pieni di paura, diedero gloria a Dio. – Dopo questo, i figli d’Israele ritorneranno a Dio e al bene, e saranno pieni verso di Lui di un timore ossequioso. “Essi getteranno gli occhi su di me che hanno confitto, piangeranno su di me come su di un figlio unico e diletto” – Zacc. cap. XII, v. 10). E con questa tardiva ma sincera conversione, i Giudei, che erano il primo popolo di Dio nell’ordine dei tempi, diventano anche il suo ultimo popolo; e mentre il deicidio che avevano commesso, aveva fatto loro preferire i Gentili dal punto di vista morale e religioso, e li aveva resi gli ultimi, diventano di nuovo i primi davanti a Dio (Sic erunt novissimi primi, et primi novissimi – Gli ultimi saranno i primi, e i primi saranno gli ultimi – S. Matth. cap. XX, v. 16).

XIII. Dieci dei capi degli eserciti dell’anticristo sparsi per il mondo, che sono anche dieci re, o le dieci corna della bestia di cui si parla nel capitolo XVII dell’Apocalisse (Et decem cornua quo vidisti decem reges sunt, v. 12 ), non sono abbattuti dalla caduta del loro padrone. Lungi da ciò, essi continuano a seguire le sue vie e ad esercitare il suo potere per un’ora dopo di lui, cioè per un tempo molto breve (Potestatem tanquàm reges unâ horâ accipient post bestiam, ibid. v. 12). Combattono contro l’Agnello, sono vinti da Lui, abbandonano la legge empia del figlio della perdizione, la grande prostituta di questo tempo, si rivoltano contro di essa, contro coloro che la difendono e contro la grande città che ne è il bastione; li desolano, li spogliano, mangiano la loro carne e li bruciano con il fuoco (Hi cum Agno pugnabunt, et Agnus vincet illos , Apoc. XVII, v. 14. Hi odient fornicuriam et desolatam facient illam et nudam, et carnes ejus manducabunt, et ipsam igni concremabunt, ibid. v. 16). Un grande massacro ha luogo in tutto il mondo dei seguaci dell’anticristo, e specialmente a Gerusalemme e in Terra Santa. Gli uccelli dell’aria e le bestie della terra banchettano sui loro corpi e si ubriacano del loro sangue (Tu ergo, fili hominis, hæc dicit Dominus Deus: Dic omni volucri, et universis avibus, cunctisque bestüs agri: Convenite, properate, concurrite undiquè ad victimam meam, quam ego immolo vobis, victimam grandem super montes Israel, ut comedatis curnem et bibatis sanguinem, Ezech . XXXIX, v. 17. Et comedetis adipem in saturitatem, et bibetis sanguinem in ebrietatem, de victimâ quam ego immolo vobis – Tu dunque, figlio dell’uomo, di’ a tutti gli uccelli del cielo e alle bestie dei campi: Affrettatevi, venite e radunatevi da ogni parte alla grande vittima che io ho posto davanti a voi sul monte d’Israele, perché possiate mangiare la sua carne e bere il suo sangue. Ne sarete soddisfatti, ne sarete felici, tanto è grande questa vittima! –  ibid. v. 19.). Questi grandi eventi convertono molti uomini; Dio è nuovamente glorificato e santificato; al ritorno di Israele si aggiunse quello di gran parte delle Nazioni, che finalmente capiscono che Dio ha abbandonato il suo popolo solo a causa dei loro crimini (Et magnificabor et sanctificabor, et notus ero in oculis multarum gentium, ct scient quia ego Dominus, Ezech. XXXVIII, v. 23. Et ponam gloriam meam in gentibus, et videbunt omnes fines terræ judicium meum quod fecerim et manum meam quam posuerim super eos. Et scient domus Israel quia Dominus Dcus à die illa et deinceps: et scient gentes quoniam in iniquitate sud capta est domus Israel, eo quòd dereliquerint me – Io sarò glorificato, santificato e conosciuto in molte nazioni; sapranno che io sono il Signore. Metterò la mia gloria tra i popoli e tutti gli abitanti della terra capiranno la giustizia del mio giudizio e del castigo che ho inflitto loro, e la casa d’Israele saprà per sempre che io sono il Signore. E le nazioni sapranno che ho colpito la casa d’Israele per la loro iniquità e perché mi hanno abbandonato – Ezech. XXXIX, v 21, 22, 23). – Come si è potuto vedere, noi abbiamo detto che la seconda parte del capitolo XIX dell’Apocalisse, che inizia al v. 11, potrebbe forse essere applicata all’azione del grande Monarca; noi la applichiamo qui, senza paura, al grande e ultimo combattimento dell’Agnello contro l’anticristo, perché il capitolo XIX è forse figurativo e potrebbe convenire a più tempi, proprio come la grande meretrice si trova in più epoche. – San Giovanni è completamente d’accordo con Ezechiele su questa seconda applicazione, perché dice come lui: Et vidi unum Angelum stantem in sole, et clamavit voce magna, dicens omnibus avibus, quæ volabant per medium cæli: Venite, et congregamini ad cœnam magnam Dei; ut manducetis carnes regum, et carnes tribunorum, et carnes fortium, et carnes eouorum, et sedentium in ipsis, et carnes omnium liberorum, et servorum, et pusillorum, et magnorum. Et vidi bestiam, et reges terræ, et exercitus eorum congregatos, ad facien dum prælium cum illo qui sedebat in equo, et cum exercitu ejus. Et apprehensa est bestia, et cum eâ pseudo propheta: qui fecit signa coram ipso, quibus seduxit eos, qui acceperunt characterem bestiæ, et qui adora verunt imaginem ejus. Vivi missi sunt hi duo in stagnum ignis ardentis sulphure: Et cæteri occisi sunt in gladio sedentis super equum, qui procedit de ore ipsius: et omnes aves saturatæ sunt carnibus eorum – E vidi un Angelo che stava in piedi nel sole, e gridava a gran voce, dicendo a tutti gli uccelli che volano nel cielo: Venite e radunatevi al grande banchetto di Dio, per mangiare la carne di re, di capitani, di uomini potenti, di cavalli, di cavalieri, di uomini liberi e di schiavi, piccoli e grandi; e vidi la bestia, i re della terra e i loro eserciti, radunati insieme, per combattere contro colui che sedeva sul cavallo e contro il suo esercito. E la bestia fu presa, e con essa il falso profeta, che aveva fatto prodigi davanti a lui, con i quali aveva ingannato coloro che avevano ricevuto il segno della bestia e adorato la sua immagine; ed entrambi furono gettati vivi nel lago di fuoco e di zolfo. Gli altri furono uccisi dalla spada di colui che era sul cavallo, che usciva dalla sua bocca; e tutti gli uccelli furono riempiti della loro carne. – XIX, v. 17-21).

XIV. Dopo una carneficina così vasta e spaventosa, una quantità innumerevole di cadaveri copre la terra e infetta l’aria. Devono essere sepolti per evitare che la peste uccida quelli che sono ancora vivi. Israele usa sette mesi per seppellire i corpi dei seguaci dell’anticristo, per purificare l’atmosfera. (Et sepelient eos domus Israel, ut mundent terram septem mensibus, Ezech. XXXIX, v. 12). In altre parti del mondo, poiché la morte si è diffusa ovunque, vengono nominati dei commissari onde percorrere la terra, per cercare i cadaveri, per segnare i luoghi dove si trovano e per farli seppellire. Queste operazioni iniziano dopo i sette mesi già menzionati (Sepeliet autem eum omnis populus terræ, et erit … Et viros jugiter constituent lustrantes terram, qui se peliant et requirant eos qui remanserant super faciem terræ, ut emundent eam: post menses autem septem quærere incipient. Et circuibunt peragrantes terram; cumque viderint os hominis, statuent juxta illud titulum, donec sepeliant illud pollinctores in valle multitudinis Gog). I popoli della terra li seppelliranno a loro volta. Saranno istituiti dei commissari che andranno in giro per il mondo a cercare coloro che sono rimasti sulla superficie della terra per purificarla. Inizieranno la loro ricerca dopo sette mesi. Attraverseranno tutti i luoghi; appena vedranno un cadavere, gli metteranno vicino un segno di riconoscimento, e i becchini lo seppelliranno nella valle della moltitudine di Gog. – Ezech . cap. XXXIX, v. 13, 14, 15); e inoltre durante sette anni consecutivi, i figli d’Israele usano, per cucinare i loro cibi e riscaldarsi, la legna proveniente dalle armi e dalle macchine da guerra delle truppe dell’anticristo (Et egredientur habitatores in civitatibus Israel, et succendent et comburent arma, clypeum, et hastas, arcum, et sagittas, et baculos manuum, et contos: et succendent ea igni septem annis – Gli abitanti delle città d’Israele usciranno e bruceranno per sette anni le armi, gli scudi, le lance, gli archi, le frecce, i bastoni e gli elmi. – Non sic Holzhauser (t. 1, p. 502, ecc., Wüilleret). Egli sostiene che dopo la caduta dell’anticristo, non ci saranno più né anni, né mesi, ma solo giorni. Il passo di Ezechiele distrugge questa opinione da cima a fondo. Holzhauser non avrebbe commesso questo errore se non si fosse limitato al testo dell’Apocalisse.), ibid. v. 9.

XV. Il secondo “guai” è passato (Væ secundum abit, Apoc. cap. 11, v. 14). Il terzo viene presto, più rapidamente del secondo arrivato dopo il primo, e al suono della settima tromba ( Et ecce tertium venit cito, ibid.). Molti uomini timorosi si sono avvicinati alla Chiesa, di cui Israele, convertito, forma il nucleo; ma molti altri si sono induriti ancora di più e vogliono iniziare una nuova guerra contro l’Onnipotente. D’altra parte, la fine del mondo è vicina, e deve essere annunciata da segni di avvertimento (Et iratæ sunt gentes, et advenit ira tua, et tempus mortuorum judicari, et reddere mercedem servis tuis prophetis, et sanctis, et timentibus nomen tuum, pusillis et magnis, et exterminandi eos qui cor ruperunt terram – E le nazioni sono adirate, e la tua ira è venuta, e il tempo di giudicare i morti, e di dare la ricompensa ai tuoi servi i profeti, ai tuoi santi, a quelli che temono il tuo Nome, ai piccoli e ai grandi, e di sterminare quelli che hanno corrotto la terra. – Apoc. cap. XI, v. 18) . – Appena si sente il suono della settima tromba, grandi voci gridano nel cielo: “È fatta, il regno di questo mondo è diventato il regno del Signore e del suo Cristo” – Et septimus Angelus tubâ cecinit, et factæ sunt voces magnæ in cælo, dicentes: Factum est regnum hujus mundi, Domini nostri et Christi ejus – Questo dimostra che prima del regno del mondo c’era il regno di Satana chiamato principe di questo mondo – et regnabit in secula seculorum. Amen – E il settimo Angelo suonò, e vi furono grandi voci nel cielo, dicendo: Il regno di questo mondo è diventato il regno del Signore e del suo Cristo, ed egli regnerà nei secoli dei secoli – ibid. v. 15). Il settimo Angelo alzò la sua coppa in aria, e una grande voce uscì dal tempio che è vicino al trono e gridò: È fatto (Et septimus Angelus effudit phialam suam in ae rem, et exivit vox magna de templo à throno, dicens: Factum est (Sic Holzauzer – t. 1, p. 502, Wuilleret). E il settimo Angelo versò la sua coppa nell’aria, e venne una voce dal tempio, vicino al trono, dicendo: “È fatto”. – Apoc. cap. XVI, v. 17. Nello stesso tempo il sole si oscura, la luna rifiuta la sua luce, le stelle cadono dal firmamento e le virtù dei cieli sono scosse; Questo può essere inteso sia moralmente che fisicamente (Statim autem post tribulationem dierum illorum, sol obscurabitur, et luna non dabit lumen suum, et stellæ cadent de cœlo, et virtutes cælorum commovebuntur – Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole sarà oscurato, la luna non darà più la sua luce ; le stelle cadranno dal cielo e le virtù dei cieli saranno scosse. ) (S. Matt. cap. XXIV, v. 29). Poi si vedono lampi, si sentono tuoni, si sentono terremoti così forti che non c’è mai stato né ci sarà mai nulla di simile (Et facta sunt fulgura, et voces, et tonitrua, et terræ motus factus est magnus qualis nunquàm fuit ex quo homines fuerunt super terrum, talis terræ motus sic magnus, Apoc. XI, v. 18). . Le città delle nazioni cadono, e Dio si ricorda della grande Babilonia (La grande città, che potrebbe essere Gerusalemme – Questa è l’opinione di M. de Wüilleret), colpita già nella sesta età e che era stata sollevata dalla sue rovine, per farle bere, una seconda volta, il calice del vino della sua ira; e tutte le isole spariscono sotto le acque e le montagne non si trovano più. (Queste cose possono essere intese sia in senso morale che naturale). (Et facta est civitas magna in tres partes, et civitates gentium ceciderunt, et Babylon magna venit in memoriam ante Deum, dare illi calicem vini indignationis iræ ejus. Et omnis insula fugit, et montes non sunt inventi.

(*)

Estratto dalla Suora della Natività:

« Dopo questa catastrofe, i terremoti aumentano; si diffonde una fitta oscurità. La terra si apre da tutte le parti; uomini e città sono inghiottiti. Gli elementi confusi si scontrano, le virtù dei cieli sono scosse. Il fuoco del cielo e della terra si unisce al tuono e al fulmine. Il mare minaccia di inondare la terra (vol. 1, p. 325), i peccatori sono parzialmente distrutti, la punizione di alcuni provoca, per paura, la conversione di molti altri (tom. 1, p. 326, tom. 4, p. 458). Più della metà del numero di quelli finiti sull’orlo dell’abisso, che sono stati risparmiati, si convertono; l’altra metà si riunisce per cospirare ancora: a loro volta essi sono colpiti e precipitati, in mezzo ai loro piaceri e dissolutezze (tom. 1, p. 327; tom. 4, pp. 457, 458).

« Sterminati i malvagi, San Michele istruisce la Chiesa, la fa uscire dalla solitudine e la conduce al suo ultimo giorno (tom. 1, p. 339); perché il giudizio non deve arrivare subito dopo (Ci sarà dunque ancora un periodo di tempo abbastanza lungo tra l’arrivo della Chiesa al suo ultimo soggiorno e l’ultimo giorno del mondo. – Se teniamo conto anche di tutti gli eventi che seguono la caduta dell’anticristo, si potrà pensare che, se il giudizio dovesse arrivare nel secolo del 1900, giungerà solo nella sua seconda parte). Se ne ignora l’epoca (tom. 4, p. 457).

« Vedo in Dio – dice la Suora – che possono passare diversi anni. Ma non vedo quanti anni ci saranno (tom. 4, p. 457).

« Questo ultimo soggiorno della Chiesa è un luogo dove la natura ha “raccolto tutte le sue ricchezze e tutte le sue bellezze” (Quest’ultimo soggiorno somiglierà dunque al primo, cioè al Paradiso Terrestre) e dove “l’uomo non ha nulla da desiderare per la vita del corpo; una terra di “delizie, un vero paradiso terrestre … un terreno che produce naturalmente tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la felicità dei suoi abitanti … San Michele proibisce loro di andare oltre i limiti del distretto che ha prescritto loro, perché la terra che li circonda è una terra maledetta, macchiata dai crimini e dalla corruzione di coloro che la abitano… Ciò che più mi colpisce di questa terra felice è che ha un corpo di luce fatto apposta per essa, e che solo i suoi abitanti ne beneficeranno (Volume 1, p. 343) … Essi godranno, oltre ad altri vantaggi, della dolce e confortante luce di un sole che sarà fatto solo per loro, e che illuminerà solo l’orizzonte sensibile e lo stretto recinto di quest’altro Eden, mentre si vedrà solo un orribile caos in tutta l’estensione dei paesi lontani o circostanti. » (vol. 1, p. 345). – I fedeli vi costruiranno diversi templi; uno solo sarebbe insufficiente, perché non ci potrebbe essere mai una parrocchia così grande (vol. 1, p. 345) (Questa costruzione di diversi templi indica anche che ci sarà un tempo piuttosto lungo e notevole dall’arrivo della Chiesa in questo luogo, fino all’ultimo giorno). Il fervore dei fedeli sarà molto grande; gli Angeli porteranno a loro tutti coloro che si convertiranno, anche molti uomini non battezzati che non avevano conosciuto Dio (vol. 1, p. 346); essi formeranno una piccola repubblica dove non ci saranno leggi, né giurisdizione, né polizia. Questa sarà la vera teocrazia, che sarebbe stata l’unico governo, se l’uomo non avesse peccato – questo è conforme alle parole di Dio a Samuele I Re, VII, 7. – (vol. 1, p. 348). L’incertezza sull’ultimo giorno e il desiderio di gioire della vista di Gesù Cristo diffonderanno una grande pena sui Cristiani. Tutto gli aiuti del cielo saranno ritirati da loro; gli Angeli non li assisteranno più visibilmente, non sentiranno più i profeti, saranno quasi tentati di perdere la speranza (Il tempo deve dunque essere abbastanza lungo, altrimenti non si sarebbe tentati di perdere la speranza). (t. 1, p. 350, 356, 357, 358, 364). Infine, moriranno tutti in un’estasi divina, nel ringraziamento che seguirà ad una Comunione generale, nel momento in cui non se lo aspettavano (tom.. 1, p. 364, 356). Gli altri uomini moriranno nello stesso momento. (tom.. 1, p. 365). (*)

XVI. Dopo questi terribili eventi, il tempio di Dio si apre nel Cielo, mostrando a tutti gli occhi l’arca del suo testamento. Nuovi lampi attraversano i cieli; si sentono voci meravigliose; una enorme grandinata si abbatte sugli uomini; spaventosi terremoti spargono ovunque terrore e morte. Gli empi si induriscono ancora di più, bestemmiano ancora di più il Nome di Dio. (Et apertum est templum Dei in cælo, et visa est arca testamenti ejus in templo ejus; et facta sunt fulgura, et voces, et tonitrua, et terræ motus; et grando magna sicut talentum descendit de cœlo in homines, et blasphemaverunt Deum homines propter plagam grandinis, quoniam magna facta est vehementer – E il tempio di Dio si aprì nel Cielo, e in questo tempio si vide l’arca del testamento, ci furono lampi, voci, terremoti e una forte grandinata, una grandine emorme come un talento scese sugli uomini: E questi bestemmiarono Dio a causa di quella grandine, perché era molto crudele. Allo stesso tempo, tutti coloro che vivono sulla terra muoiono in una sola volta; il Figlio dell’Uomo appare su un grande trono bianco, così come è salito in cielo il giorno della sua ascensione. (Hic Jesus qui assumptus est à vobis in cælum sic veniet, quemadmodùm vidistis eum euntem in Cœlum, Act. Ap. cap. 1, v. 11). I cieli e la terra scompaiono davanti alla sua augusta presenza, i corpi risorgono; il mare del Battesimo rende i cadaveri che conteneva; la morte spirituale, la dannazione, abbandona gli sventurati che saranno condannati pubblicamente alle fiamme eterne, e che sono già condannati dal giudizio particolare. I libri sono aperti per la perdita dei malvagi; il libro della vita è anche aperto per la glorificazione e la ricompensa dei fedeli che il mare ha reso; i decreti eterni sono promulgati; gli eletti seguono il loro Redentore nella Gerusalemme celeste, e i reprobi, l’inferno e la morte sono gettati nelle fiamme eterne, cosa che costituisce la seconda morte. (Et vidi thronum magnum candidum, et sedentem super eum, à cujus conspectu fugit cœlum et terra, et locus non est inventus eis. Et vidi mortuos, magnos et pusillos, stantes in conspectu throni, et libri aperti sunt: et alius liber apertus est qui est vitæ, et judicati sunt mortui ex his quæ scriptu erant in libris, secundùm opera ipsorum. Et dedit mare mortuos suos, qui in eo erant: et mors et infernus dederunt mortuos suos, qui in ipsis erant – Si deve pensare che il mare rappresenti qui gli eletti, se si nota che San Giovanni ne parla in opposizione alla morte e all’inferno che sono gettati nel lago di fuoco.): et judicatum est de singulis secundùm opera ipsorum. Et infera nus et mors missi sunt in stagnum ignis. Hæc est mors secunda. Et qui non inventus est in libro vitæ scriptus, missus est in stagnum ignis – Poi vidi un grande trono bianco e su di esso sedeva una figura davanti alla quale il cielo e la terra fuggirono e scomparvero. Poi ho visto i grandi e i piccoli morti apparire davanti al trono. Furono aperti dei libri: uno era il libro della vita, e i morti furono giudicati secondo ciò che era scritto nei libri, secondo le loro opere. Il mare consegnò i morti che aveva, la morte e l’inferno consegnarono i loro; e ognuno fu giudicato secondo le sue opere. L’inferno e la morte furono gettati nel lago di fuoco. Questa è la seconda morte, e tutti coloro che non erano scritti nel libro della vita furono gettati in questo lago – Apoc. cap. XX, v. 11 a 15).

XVII. Quanto al giorno, alla settimana, al mese, all’anno in cui arriverà la fine, nessuno li conosce tranne Dio; ma ci sembra certo che tra la caduta dell’anticristo e l’ultimo giorno del mondo, ci sarà un numero più o meno grande di anni, ma che saranno sempre più di sette (Holzhauser – tomo 1, pag. 502, 505, Wüilleret – pensa che invece di anni e mesi, passeranno solo giorni. – Il Commento all’Apocalisse di Holzhauser è generalmente considerato come ispirato dal cielo; e per questa ragione molte menti rifiuteranno le nostre congetture nei molti punti in cui esse differiscono da ciò che è contenuto nel suo libro; dobbiamo quindi dichiarare tutto il nostro pensiero su questo argomento; il lettore lo apprezzerà. – Noi crediamo che Holzhauser sia stato ispirato o assistito. Troviamo tra l’altro un segno in ciò che dice sulla durata della vita dell’anticristo, che fissa a cinquantacinque anni e mezzo (seicentosessantasei mesi), senza sostenere la sua affermazione con alcun ragionamento, con alcun motivo umano.  – Troviamo, al contrario, una prova di non ispirazione in ciò che ha scritto sul tempo che separa la caduta dell’anticristo dalla fine del mondo; perché se Gog di Ezechiele è l’anticristo, ovviamente il mondo finirà dopo più di sette anni, non meno di un mese dopo questa caduta. Come conciliare tutte queste cose che sembrano contraddittorie? Crediamo di poterlo fare nel modo seguente: “Non è stabilito che tutto ciò che ci venga dato come commento di Holzhauser sia interamente suo. I suoi amici e seguaci non ispirati potrebbero aver aggiunto delle cose dopo la sua morte. – D’altra parte, Holzhauser può essere stato ispirato per alcune cose, per alcune parti, e non per altre, dove sarebbe stato lasciato a se stesso ed esposto all’errore. – Non è quindi straordinario trovare nel suo Commento sia verità che falsità.)

XVIII. Concludendo queste congetture, benediciamo l’Agnello che si è incarnato per noi e ci ha redento con lo spargimento di tutto il suo sangue. Facciamo ora quello che faranno i santi e gli eletti alla fine della settima età, quando il Signore dirà loro: Venite, benedetti del Padre mio (Venite, benedetti Patris mei, S. Matt. cap. XXV, v. 35). Diamogli la settima lode, la benedizione (benedictionem, Apoc. cap. V, v. 12), con un cuore sincero, devoto e pentito, e riceveremo la grazia di benedirlo per tutta l’eternità.

FINE

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (8)

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (8)

Tratte dall’Apocalisse, dal Vangelo, dalle Epistole degli Apostoli, e dalle Profezie dell’Antico Testamento

Messe in relazioni con le rivelazioni della Suora della Natività

di Amedeo NICOLAS

PARTE SECONDA

CAPITOLO IV.

LA SESTA ETÀ DELLA CHIESA

.I. Il male si è elevato nella quinta età e nel tempo di transizione da questa età alla sesta, si è spinto fino all’abolizione del Sacrificio perpetuo, all’abominazione della desolazione nel luogo santo. Invece di adorare un solo mortale, come avverrà nella settima epoca, ogni uomo adorava se stesso e si faceva il suo Dio. Gli empi hanno dominato ovunque; solo loro hanno avuto abbondanza, influenza, potere e tutto ciò che la terra può dare loro. I figli della Chiesa, in gran numero, hanno rinnegato e apostatato da Dio ed il suo Cristo; li hanno disprezzati, oltraggiati, dileggiati e bestemmiati; i veri fedeli, ridotti a pochi individui isolati, hanno vissuto nell’umiliazione, nella povertà, la sofferenza e l’oppressione. I Pastori hanno lasciato che molti del loro gregge si perdessero a causa della loro negligenza e del loro lassismo. Molti di quelli che sembravano buoni erano viziati e incancreniti come gli altri; pensavano di essere vivi e invece erano morti (Nomen habes quod vivas, et mortuus es, Apoc. cap. III v. 1), perché seguivano le vie dell’inferno mentre pensavano di seguire quelle del cielo. Ancora un po’ di tempo, non ci sarebbe stata più fede sulla terra, e il Figlio dell’Uomo venendo non ne avrebbe trovata affatto (Filius hominis veniens, putas, inveniet fidem in terra? San Luca. Vangelo cap. XVIII, v. 8). Si potrebbe pensare che siamo arrivati agli ultimi giorni, e che non ci resti altro da fare che avvolgerci in un sudario, coprirci gli occhi e aspettare, in questo stato, il grande e supremo cataclisma: la morte di ogni creatura. Ma no, la fine non è ancora arrivata; gli empi devono prima essere confusi e ricevere le punizioni dovute ai loro crimini, e devono essere inferti colpi così forti da provocare la loro conversione quasi forzata e lo sterminio di coloro che non si arrendono; Dio deve vendicare la sua gloria oltraggiata, la sua croce disprezzata, e riprendere possesso di un mondo che gli appartiene, che ha creato e che gli uomini avevano dato a satana (In gloriam meam creavi eum, formavi eum et feci eum, Isaia, cap. XLIII, v. 7). Il Signore deve far esplodere la sua giustizia ed esercitare il suo giudizio su quei viventi che hanno così a lungo e così fortemente insultato la sua divinità, la sua bontà, il suo amore, la sua potenza (Dominus a dextris tuis confregit in die iræ suæ reges. Judicabit in nationibus, implebit ruinas, conquassabit capita in terra multorum (Sal. CIX, v. 5, 6). Bisogna che Egli rialzi i suoi fedeli oppressi, toglierli da sotto la verga dei peccatori, affinché non stendano le mani nell’iniquità, e infine dare loro l’impero (Hic patientia sanctorum est qui custodiunt mandata Dei et fidem Jesu, Apoc. cap. XIV, v. 12. Qui autem perseveraverit in finem, hic salvus erit, S. Matt. cap. XXIV, v. 13. Quia non relinquet Dominus virgum peccatorum super sortem justorum, ut non extendant justi ad iniquitatem manus suas, Ps. CXXIV, v. 3). È necessario che il numero degli eletti debba essere riempito, il numero dei martiri debba essere completo, il che richiede una preparazione precedente (Et dictum est illis ut requiescerent, donec compleantur conservi eorum et fratres eorum qui interficiendi sunt sicut et illi , Apoc. cap. VI, v. 11). Il Vangelo deve essere predicato in tutto il mondo, non in modo nascosto ed individuale, come è stato finora tra i popoli infedeli, ma in modo aperto e pubblico, come è nei Paesi meglio disposti al Cattolicesimo; deve inoltre essere rispettato e praticato da ogni tribù, ogni lingua, ogni Nazione, ogni popolo (Et prædicabitur Evangelium in universo mundo in testimonium gentibus, St. Matth. cap. XXIV, v. 14), perché è solo dopo questo felice evento che verrà la consumazione (Et tunc veniet consummatio, ibid. v. 14). Infine, Babilonia, la grande prostituta, la madre delle fornicazioni e delle abominazioni della terra, deve cadere, ubriaca del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù (Et vidi mulierem ebriam de sanguine sanctorum et de sanguine martyrum Jesu, Apoc. XVII, v. 6), Babilonia, la grande confusione, che regna sui popoli e sui re (Aquæ quas vidisti ubi mulier sedet populi sunt, et gentes, et linguæ, Ap. cap. XVII, v. 15. Et mulier quam vidisti est civitas magna quæ habet regnum super reges terræ, v. 18 ). Dio deve tutte queste cose a se stesso, perché ha fatto dire a San Giovanni: « Tu devi profetizzare di nuovo alle nazioni, ai popoli, alle lingue e a molti re ». (Oportet te etenim prophetare gentibus, et populis, et linguis, et regibus multis, cap. X, v. 11). Lo deve ai suoi Santi, ai quali lo promise nel quinto sigillo, quando gli chiesero: « Fino a quando, Signore, che sei santo e verace, rinvierai il giudizio su quegli esseri viventi che ci opprimono, quando vendicherai il nostro sangue ingiustamente sparso? » (Usquequò, Domine – sanctus et verus – non judicas, et non vindicas sanguinem nostrum de iis qui habitant in terra? cap. VI, v. 10), e ai quali ha raccomandato la pazienza fino a quando il numero dei confessori e dei martiri non fosse completato (Et dictum est illis ut requiescerent adhuc tempus modicum, donec compleantur conservi eorum et frutres eorum qui interficiendi sunt sicut et ipsi, ibid. v. 11); Egli lo deve all’immutabilità e alla necessità della sua parola, poiché ha detto che i Santi avrebbero infine ricevuto il potere e ottenuto il regno con la loro pazienza (Suscipient autem regnum sancti Dei altissimi, et obtinebunt regnum, Dan. cap. X, v. 18). – E tutti questi annunzi e promesse sono ripetuti nell’Apocalisse, quando San Giovanni dice: « Vidi un altro Angelo che volava in mezzo al cielo, avendo il Vangelo eterno da annunciare alla terra, ad ogni nazione, ad ogni tribù, ad ogni lingua, ad ogni popolo, e dicendo a gran voce: temete il Signore e rendetegli l’onore che gli è dovuto, perché l’ora del suo giudizio si avvicina; adorate, voi semplici creature, Colui che ha fatto il cielo e la terra e il mare e le sorgenti d’acqua. E un altro Angelo venne dopo di lui, dicendo: È caduta, è caduta, la grande Babilonia, che ha fatto bere a tutte le nazioni il vino e l’ira della sua fornicazione. (Et vidi alterum Angelum volantem per medium cæli, habentem Evangelium æternum, ut evangelizaret sedentibus super terram, et super omnem gentem, et tribum, et linguam, et populum, Apoc. cap. XIV, v. 6. Dicens voce magna: Timete Dominum, et date illi honorem, quia venit hora judicii ejus; et adorate Eum qui fecit cælum et terram, mare et fontes aquarum, v. 7. Et alius Angelus secutus est dicens: Cecidit, cecidit Babylon magna, quæ à vino iræ fornicationis suæ potavit omnes gentes, v. 8).

II. L’ora del trionfo dei buoni e della confusione degli empi è arrivata. L’Agnello, che per tanto tempo ha sopportato pazientemente i crimini degli uomini, sta finalmente per colpirli per riconquistare un mondo che è suo; comincia denunciando loro la sua giusta ira, e dice loro, per bocca di Davide, il suo Profeta, e con più ragione che mai: « Perché le nazioni fremono, e perché i popoli hanno formato vane trame? I re e i governanti della terra si sono uniti e si sono posti come nemici davanti al Signore e davanti al suo Cristo. – Spezziamo le loro catene, hanno detto, e gettiamo via da noi il loro giogo. Insensati! Colui che abita nei cieli si riderà di loro e il Signore si prenderà gioco di loro. Egli parlerà loro nella sua ira, e nella sua ira li metterà a soqquadro. Quanto a me, che questi ciechi non vogliono più, sono stato stabilito dal Signore, mio Padre, re su Sion, il suo santo monte, da dove predico la sua legge e i suoi precetti. Mi disse: Tu sei mio figlio, Io oggi ti ho generato. Chiedi a me e io ti darò le nazioni come tua eredità e tutta la terra come tuo dominio. Li dominerai con una verga di ferro e li frantumerai come un vaso di vasaio. E ora, o re, abbiate comprensione; comprendete la mia lezione, istruitevi, voi che giudicate la terra. (Quare fremuerunt gentes, et populi meditati sunt inania? Astiterunt reges terræ, et principes convenerunt in unum adversùs Dominum et adversùs Christum ejus. Dirumpamus vincula eorum, et projiciamus à nobis jugum ipsorum. Qui habitat in cælis irridebit eos, et Dominus subsannabit eos. Tunc loquetur ad eos in ira sua, et in furore suo conturbabit eos. Ego autem constitutus sum Rex ab eo super Sion montem sanctum ejus, prædicans præceptum ejus. Dominus dixit ad me: Filius meus es tu, ego hodie genui te. Postula e me, et dabo tibi gentes hæreditatem tuam, et possessionem tuam terminos terra. Reges eos in virgâ ferrea, et tanquàm vas figuli con frange eos. Et nunc, reges, intelligite, erudimini qui judicatis terram. Ps. 2).

III. Onde applicare queste parole, il sesto sigillo viene aperto, e improvvisamente c’è un grande terremoto; il sole diventa nero come un sacco di crine, e la luna tutta rossa come sangue (Et vidi, cùm aperuisset sigillum sextum, et ecce terræ motus magnus factus est, et sol factus est niger tanquàm saccus cilicinus, et luna tota facta est sicut sanguis, Apoc. cap. VI, v. 12). Un gran numero di stelle, cioè di sacerdoti che si credevano buoni, cadono sulla terra e, come il fico lascia cadere i suoi giovani germogli quando è agitato da un gran vento, affondano giù nel crimine (Et stellæ de coelo ceciderunt super terram, sicut ficus emittit grossos suos, cùm à magno vento movetur, ibid. v. 13). Gli uomini perduti non hanno più guide, non hanno più luce, non hanno più sentieri da seguire per condursi (Et cælum recessit sicut liber involutus – E il cielo si ritirò come un libro che è stato arrotolato -, ibid. v. 14). I potenti sono rovesciati, i grandi sono cacciati dai luoghi elevati che occupavano (Et omnis mons, et insulæ de locis suis molæ sunt – E ogni montagna e ogni isola sono rimosse dai loro luoghi-. Questo grande terremoto e le sue conseguenze possono essere un tutt’uno con gli eventi segnati alla fine del capitolo III immediatamente precedente, o possono venire immediatamente dopo di essi come risposta del cielo alle provocazioni della terra -, ibid. v. 14). I re della terra, i principi, i capitani, i ricchi, i forti, gli schiavi e i liberi si nascondono nelle caverne e nelle tane delle rocce e gridano ai monti e alle colline: cadeteci addosso e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello, perché il gran giorno dell’ira è venuto; e chi potrà resistere? (Et reges, et principes, et tribuni, et divites, et fortes, et omnis servus et liber absconderunt se in speluncis et in petris montium, ibid. v. 15. Et dicunt montibus et petris: Cadite super nos, et abscondite nos à facie sedentis super thronum, et ab irá Agni, v. 16. Quia venit dies magnus iræ ipsorum, et quis poterit stare (Holzhauser – t. 1, p. 293, Wüilleret – vede negli eventi che segnalano l’apertura del sesto sigillo la persecuzione di Diocleziano e Massimiano. Coloro che tremano davanti all’ira dell’Agnello e che hanno quindi paura di Lui sarebbero i fedeli, coloro che si preparano al martirio. – Questa opinione non ci sembra sostenibile. Sono ovviamente i malvagi che cercano di nascondersi in questo modo dalla faccia di Colui che è sul trono, e dall’ira dell’Agnello; perché l’Agnello è irato solo con loro, e non con coloro che lo amano al punto da dare la loro vita per Lui. L’opinione di Holzhauser confonde l’ira degli imperatori romani con quella dell’Agnello), v  17).

(*)

Nel T. 1, p. 308, la Suora della Natività vede una grande potenza guidata dallo Spirito Santo, che ristabilirà il giusto ordine con un secondo sconvolgimento. Il primo albero che la Suora aveva visto, che aveva cominciato ad abbattere l’albero della Chiesa e l’albero dello stato religioso, e che rappresentava il filosofismo, è completamente sradicato; infatti, la Suora dice, nel vol. 1, p. 291: “Ho sentito una voce che gridava: Tagliate l’albero selvatico alla radice, distruggetelo, e fate attenzione a preservare i primi due alberi. Ho sentito l’albero maledetto che veniva colpito, e l’ho visto cadere e rotolare con gran fracasso.” – Per quanto riguarda l’albero della rivoluzione, che ha quattro grandi radici che rappresentano la nazione (tom. 4, p. 407), esso è tagliato raso al suolo, e non sradicato; perché è detto, nel tom. 4, p. 394; « Anticiperò il tempo di tagliare questo albero; ma è la mia volontà, esso sarà solo tagliato fino a terra (Da questo possiamo concludere che il filosofismo non riparerà più, e non sarà usato dall’anticristo che, facendosi adorare come Dio, dovrà di conseguenza stabilire una religione. Quanto alla rivoluzione, questa sarà conservata; l’uomo del male la userà come mezzo per dividere e governare.). »

Nel Tom. 4, p. 401, la Suora vede questa caduta: « Vedo in Dio – dice – che verrà un tempo in cui questo grande albero sarà tagliato. Quando l’ora del Signore sarà venuta, Egli fermerà in un momento questa fortezza armata di satana, e rovescerà questo grande albero al suolo più rapidamente di quanto il piccolo Davide rovesciò il grande Golia. Allora grideremo: Rallegriamoci, gli operatori di iniquità sono vinti dalla forza del braccio onnipotente del Signore. Il cambiamento in meglio sarà improvviso, l’azione divina sarà necessariamente riconosciuta. » Questo concorda molto bene con il v. 8, cap. III dell’Apocalisse, Chiesa di Filadelfia: “Ecce dedi coram te ostium apertum quod nemo potest claudere, quia modicam habes virtutem, et servasti verbum meum, et non negasti nomen meum”.  « Vedo che la fede e la santa Religione si stavano indebolendo quasi quanto in tutti i regni cristiani; Dio permise che fossero flagellati dagli empi per risvegliarli dal loro assopirsi. » (La parola assopirsi concorda bene con quanto abbiamo detto sulla quinta età e l’inizio della sesta – Cum enim dormirent homines).

IV. Nello stesso tempo Sobna, prefetto del tempio, è portato via come un gallo; è gettato, come una palla di merce, su un terreno ampio e spazioso; muore nel luogo della sua caduta (Hæc dicit Dominus Deus exercituum: Vade, ingredere ad eum qui habitat in ta bernaculo, ad Sobnam, præpositum templi, et dices ad cum, Isaia, cap. XXII, v. 15: Quid tu hic, aut quasi quis hic? Quia excidisti tibi hìc sepulcrum, excidisti in excelso memoriale diligenter, in petra tabernaculum tibi, v. 16. Ecce Dominus asportari te faciet, sicut as portatur gallus gallinaceus, et quasi amictum sic sublevabit te, v. 17. Coronans coronabit te tribulatione, quasi pilam mittet te in terram latam et spatiosam: ibi morieris, et ibi erit currus gloriæ tuæ, ignominia domús Domini tui, v. 18; et expellam te de statione tua, et de ministerio tuo deponam te (Non possiamo dire chi sia questo Sobna; da queste parole, præpositum templi, sembrerebbe a prima vista un personaggio ecclesiastico. Il testo dà anche indicazioni leggermente diverse. Spetta quindi al futuro designare la persona che viene così nominata. Quanto a noi, riportiamo tutto ciò che ci sembra riferirsi all’apertura della sesta epoca, lasciando al futuro il compito di spiegare tutto), v. 19.

V. Allo stesso tempo, è colpita la grande Babilonia, cioè l’Inghilterra protestante, la cui condotta, sia interna che esterna, non è che un crimine da tre secoli, per la rivoluzione che essa conserva, alimenta, mantiene e arricchisce; e per l’anticristianesimo la grande città che lo propaga e ne è la sede, è colpita. I capi dei popoli avevano dato il loro potere alla bestia che portava la prostituta; ma ora la odiano, la colpiscono (Attrita est civitas vanitatis, Isaia, cap. XXIV, v. 10), la rendono deserta (clausa est omnis domus nullo introeunte, ibid. v. 10), la circondano con ogni sorta di mali (Et calamitas opprimet portas, ibid. v. 12), la desolano, la spogliano, mangiano la carne dei suoi abitanti e la distruggono con il fuoco (Hi odient fornicariam, et desolatam facient illam et nudam, et carnes ejus manducabunt, et ipsam igni concremabunt – La condotta degli Indiani verso l’Inghilterra assomiglia a quella che si tiene verso la prostituta). A questo scopo, un Angelo scende dal cielo, armato di grande potenza; la sua gloria illumina la terra; egli grida nella sua forza: “È caduta, è caduta, la grande Babilonia; è diventata la dimora dei demoni, degli spiriti immondi e degli uccelli immondi, perché gli uomini non vi abitano più. (Et post hæc vidi alium Angelum des cendentem de cælo, habentem potestatem magnam, et terra illuminata est à gloriâ ejus, Apoc. XVIII, v.). Et exclamavit in fortitudine dicens: Cecidit, cecidit Babylon magna, et facta est habitatio Dæmoniorum, et custodia omnis spiritus immundi, et custodia omnis volucris immundæ et odibilis, v. 2). Egli dichiara che la ragione di questa caduta che ha spaventato gli uomini è che questa donna prostituta aveva fatto bere a tutte le nazioni l’ira della sua fornicazione; che i re della terra si erano corrotti con lei, e i mercanti si erano arricchiti con il suo lusso e le sue delizie (Quia de vino iræ fornicationis ejus biberunt omnes gentes, et reges terræ cum illa fornicati sunt, et mercatores ejus de virtute deliciarum ejus divites facti sunt, v. 3). Ordina ai fedeli di lasciare questa città prima che sia colpita, per non essere a loro volta colpiti dai suoi nuovi crimini e dalla sua punizione (Exite de illâ, popule meus, ut ne participes sitis delictorum ejus, et de plagis ejus non accipiatis, v. 4); e davanti a questa immensa rovina, gli uomini piangono con tremore, come mostra il resto del capitolo XVIII dell’Apocalisse, che non svilupperemo, perché è solo la narrazione dettagliata di questo grande evento, e a noi interessano solo le grandi linee. Dopo questo terribile giudizio, che raggiunse gli uomini viventi e distrusse tutto ciò che si opponeva al bene, si apre la bella e santa chiesa di Filadelfia, che è inclusa nella sesta età, e il cui nome, che significa amore fraterno, annuncia che gli uomini vivranno allora come fratelli, come figli di Dio, e che ci sarà un solo Pastore e un solo gregge (Et erit unum ovile et unus pastor, San Giovanni, cap. X, v. 16); questo annuncia la fine degli scismi e delle eresie, come dice Holzhauser – Volume 1, p. 188, Volume 2, p. 12, Wüilleret -, e apre un’era di pace e di calma che potrebbe ben riferirsi a quella grande tranquillità che, sulla parola del divino Maestro, successe a una spaventosa tempesta scoppiata sul mare, e che fece dire agli Apostoli: « Et ecce motus magnus factus est in mari, ita ut navicula operiretur fluctibus, ipse verò dormiebat (Questo sonno di Gesù Cristo durante la tempesta si riferisce bene al carattere che abbiamo riconosciuto nella quinta età.). Et accesserunt ad eum discipuli ejus, et suscitaverunt cum dicentes: Domine, salva nos, perimus. Et dicit eis Jesus: Quid timidi estis modicæ fidei ? tunc surgens imperavit ventis et mari, et factu est tranquillitas magna, s. Matth. VIII, v. 24, 25, 26).

VI. Gesù Cristo apre questa chiesa, perché ha la chiave di Davide, e quindi Lui solo può aprire la porta del bene senza che nessuno possa chiuderla prima del tempo stabilito, e chiudere la porta del male, senza che nessuno possa riaprirla prima dello stesso tempo (Et Angelo Philadelphiæ ecclesiæ scribe : hæc dicit Sanctus et Verus, qui habet clavem David, qui aperit et nemo claudit, claudit et nemo aperit – Scrivi all’angelo di Filadelfia: Questo è ciò che dice colui che è santo e vero, che ha la chiave di Davide, che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre. – Apoc. cap. III, v. 7). Egli apre questa porta ai pochi fedeli della fine della quinta epoca e dell’inizio della sesta, perché avevano poca forza e, nonostante ciò, mantennero la sua parola e non rinnegarono il suo nome (Ecce dedi coram te ostium apertum quod nemo potest claudere, quia modicam habes virtu tem, et servasti verbum meum, et non negasti nomen meum. Ecco, io ti ho dato questa porta aperta davanti a te che nessuno può chiudere, perché tu hai poca forza, e tuttavia hai mantenuto la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. – ibid. v. 8). – Queste terne notevoli dei v. 7 e 8 del capitolo 3 di San Giovanni collegano evidentemente il tempo di cui si tratta con quello di cui parla Isaia nel capitolo XXII, a proposito del rovesciamento di Sobna, prefetto del tempio; perché, al posto di quest’ultimo, che è in una posizione dove non dovrebbe essere (Quid tu hic, aut quasi quis hic? Isaia, cap. XXII, v. 16), Dio chiama il suo servo Eliacim, figlio di Helcias (Et erit in die illa, vocabo servum meum Eliacim filium Helciæ, ibid. v. 20); mette sulla sua spalla la stessa chiave di David di cui si parla nell’Apocalisse, e tramite lui apre, come in San Giovanni, senza che nessuno possa chiudere; chiude senza che nessuno possa aprire (Et dabo clavem David super humerum ejus; et aperiet, et non erit qui claudat; et claudet, et non erit qui aperiat, – E io darò la chiave di Davide sulla sua spalla; egli aprirà e nessuno potrà chiudere; egli chiuderà e nessuno potrà aprire. – Isaia cap. XXII, v. 22) Questo Eliacim diventa lo strumento e il mezzo della misericordia divina e del regno dell’Agnello nel mondo. La profezia di Daniele e l’Apocalisse danno alcuni dettagli su questo strumento. “Nel primo, vediamo un personaggio simile al Figlio dell’uomo, e che quindi non è Lui, poiché è solo la sua immagine, che viene sulle nuvole del cielo, raggiungendo il trono degli Antichi Giorni, e che è condotto e posto dagli Angeli alla presenza della Maestà divina (Aspiciebam ergò in vi sione noctis, et ecce in nubibus cæli quasi Filius hominis veniebat, et usque ad Antiquum dierum pervenit, et in conspectu ejus obtulerunt eum – Guardai allora nella visione della notte, e vidi nelle nuvole del cielo uno che era simile al Figlio dell’uomo. Ed egli venne e si avvicinò all’Antico dei Giorni, e lo misero alla sua presenza. – Dan. cap. VII, v. 13). È a questo personaggio, immagine dell’Agnello, che Dio dà il regno e il potere, senza dubbio al posto dell’oppressione che pesava su di lui (Et dedit ci potestatem, et honorem, et regnum, et omnes populi, tribus et linguæ servient ei – E gli diede il potere e l’onore e il regno, e tutti i popoli, le tribù e le lingue, – ibid. v. 14). In lui e con lui i santi finalmente regnano in tutto il mondo (Suscipient autem regnum sancti Dei altissimi, ibid. v. 8. Et regnum obtinuerunt sancti, v. 22. Regnum autem, et potestas, et magnitudo regni quce est subter omne cælum detur populo sanctorum Altissimi – Ma i santi dell’Altissimo riceveranno potere; otterranno impero, regno, potenza, grandezza; il dominio su tutto ciò che è sotto il cielo sarà dato al popolo dei santi dell’Altissimo), v. 27).

VII. Secondo l’Apocalisse, questo strumento di misericordia è quel figlio maschio che la Chiesa ha dato alla luce, che è sfuggito alla furia del drago, perché è stato assunto fino a Dio ed è salito al suo trono (questo bambino potrebbe anche designare una famiglia che Dio ha così preservato). E fu destinato fin dal momento della sua nascita a governare tutte le nazioni con una verga di ferro (Et peperit filium suum masculum qui recturus erat gentes in virgâ ferrea, et raptus est filius ejus ad Deum et ad thronum ejus, Apoc. X, v. 5). Questo è il personaggio simile al Figlio dell’uomo, che viene su una nuvola bianca, proprio come dice Daniele, avendo una corona d’oro sul capo e una falce in mano (Et vidi, et ecce nubem candi dam, et super nubem scdentem Filio hominis, habentem in capite suo coronam auream, et in manu suâ falcem acutum, Apoc . XIV, v. 14). Sull’ordine che riceve di un Angelo, questo inviato di Dio miete la terra, sradica le zizzanie per gettarle nel fuoco, raccoglie il buon grano nel granaio del padre di famiglia (Et alius Angelus exivit de templo, clamans voce magnâ ad scdentem super nubem: Mitte falcem tuam, et mete, quia venit hora ut metatur, quo niam aruit messis terræ, ibid. v. 15. Et misit qui se debut super nubem falcem suam in terram, et demessa est terra – E un altro Angelo uscì dal tempio, gridando ad alta voce a colui che sedeva sulla nuvola: “Gettate la vostra falce e mietete la terra, perché il tempo della mietitura è venuto, e la messe è già disseccata. E colui che sedeva sulla nuvola mandò la sua falce sulla terra, e la terra fu mietuta” – ibid. v. 16). Inoltre, al tempo di questo grande Monarca, un nuovo Angelo, che può rappresentare un uomo, anche lui con in mano una falce affilata, obbedisce agli ordini di un altro Angelo che esce dal cielo, il quale, per questo, può essere il Santo Pontefice, Et alius Angelus exivit de altari, qui habebat potestatem super ignem , et clamavit voce magnâ ad eum qui habebat falcem acutum, dicens : Mitte falcem tuam acutam, et vindemia botros terræ, quoniam maturæ sunt uvæ ejus, Apoc, cap. XIV, v. 18. Et misit Angelus falcem suam acutam in terram, et vindemiavit vineam terræ, et misit in lacum iræ Dei magnum – E un altro Angelo uscì dall’altare avendo potere sul fuoco, e gridò forte a colui che aveva la falce, dicendo: Getta la tua falce affilata e raccogli l’uva della terra, perché è matura. E l’Angelo mandò la sua falce sulla terra e raccolse la vite della terra, e la gettò nel grande lago dell’ira di Dio. Holzhauser (vol. 2, p. 115, Wüilleret) vede il grande Monarca nell’uomo del capitolo XIV dell’Apocalisse, come lo vide nel figlio del capitolo XII, ibid.). Nel capitolo XIX dell’Apocalisse, San Giovanni vede il cielo aperto e un cavallo bianco montato da un cavaliere che è chiamato il Fedele, il Verace, che giudica e combatte con giustizia (Et vidi cælum apertum, et ecce equus albus, et qui sedebat super eum vocabatur fidelis et verax, et cum justitiâ judicat et pugnat, v. 11). I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco: molti diademi coronano il suo capo (Se questo cavaliere potesse rappresentare il grande Monarca, i vari diademi sul suo capo potrebbero indicare che egli regnerà su molti regni e porterà, per questo, il titolo di Imperatore.). Egli porta un nome scritto che nessuno conosce tranne lui (Oculi autem ejus sicut flammam ignis, et in capite ejus diademata multa, habens nomen scriptum quod nemo novit nisi ipse, v. 12). Le sue vesti sono cosparse di sangue, senza alcuna indicazione che egli stesso sia insanguinato, e il suo nome è il Verbo di Dio (Et vestitus erat veste aspersâ sanguine, et vocatur nomen ejus Verbum Dei, v. 15). Gli eserciti del cielo lo seguono, montati su cavalli bianchi e puri come i suoi, coperti di lino bianco e immacolato (Et exercitus qui sunt in cælo sequebantur eum, in equis albis, vestiti byssino albo et mundo, v. 14). Sulla sua veste e sulla sua coscia è scritto che egli è il Re dei re e il Dominatore dei dominatori (Et habet in vestimento et in femore suo scriptum: Rex regum et Dominus dominantium, v. 16). Il versetto 15 dello stesso capitolo ci dice che questo meraviglioso cavaliere ha in bocca una spada affilata da entrambi i lati, con la quale colpisce le nazioni, che governa con una verga di ferro, e che calpesta il torchio del furore dell’ira di Dio onnipotente (Et de ore ejus procedit gladius ex utrâque parte acutus, ut in eo percutiat gentes, et ipse reget eos in virgâ ferrea, et ipse calcat torcular vini furoris iræ Dei omnipotentis). Questo stesso versetto 15 sembrerebbe autorizzare a confondere questo cavaliere con il figlio del capitolo XII di San Giovanni, che, anche lui, governa le nazioni con una verga di ferro, con l’uomo del capitolo XIV dello stesso Profeta che miete la terra, e con l’uomo del capitolo VII di Daniele, perché i santi regnano finalmente nel mondo, e viene il Re dei re e Signore dei governanti. Ma non arriveremo a fare questo collegamento, a causa del nome incomunicabile di Verbo di Dio, che questo cavaliere porta, che un semplice strumento non potrebbe ricevere, se non per rappresentazione, e ci limiteremo a presentare alcune osservazioni su questo argomento che il lettore apprezzerà, dopo aver risposto a un’obiezione che ci può essere fatta riguardo al figlio del capitolo XII, l’uomo del capitolo XIV e quello di Daniele. Cosa sia del cavaliere del capitolo XIX di San Giovanni, Isaia ce lo mostra realmente come lo strumento della bontà divina; lo chiama Eliacim, il nome dato a Joas, che era rinchiuso nel tempio sotto la guardia del sommo sacerdote Joiada. Gli dà come suo padre Helcias, tutto ciò che non può convenire a N.S.J.-C.; e lo stesso Profeta celebra la grandezza di questo inviato dal cielo con queste notevoli parole: A finibus terræ laudes audivimus , gloriam justi – Dalle estremità della terra, abbiamo sentito la gloria del Giusto – cap. XXIV, v. 16, rifiutando di rivelare il futuro su questo punto e aggiungendo, per questo, queste significative parole: Et dixi: Secretum meum mihi, secretum meum mihi – E dissi: Il mio segreto è per me, il mio segreto è per me – ibid. v. 16). – Passiamo ora alla confutazione dell’obiezione di cui abbiamo parlato e alle osservazioni che abbiamo annunciato. L’obiezione consiste nel dire che queste parole: Similem Filio hominis del capitolo XIV di San Giovanni, e quelle: Quasi Filius hominis di Daniele, che sono tradotte in francese con “simile al Figlio dell’uomo”, designano Gesù Cristo stesso, e non il suo strumento; questo si basa sul capitolo I, v. 13, dove San Giovanni, vedendo, come si sostiene il nostro divino Maestro in persona, scrive di aver visto un personaggio simile al Figlio dell’uomo, perché la similitudine sarebbe qui l’identità. – Non pretendiamo che questa valutazione sia del tutto inesatta; è verissima se consideriamo il Salvatore come l’unico autore, l’unico principio del bene fatto da colui che è solo il suo strumento; ma ci sembra che i testi presi nel loro insieme o isolatamente non siano ripugnanti al nostro modo di vedere, e che lo sostengano, al contrario. Prima di tutto, il figlio del capitolo XII è, come abbiamo detto, il figlio della Chiesa, cosa che difficilmente sarà contestata; quindi non è il suo sposo, cioè Gesù Cristo stesso. L’uomo del capitolo XIV riceve da un Angelo l’ordine di mietere la terra; quello di Daniele è presentato dagli Angeli davanti alla Maestà divina; ora, Gesù Cristo non riceverebbe ordini dalle sue creature, non avrebbe bisogno di loro per presentarsi davanti a suo Padre; quindi non è personalmente nessuno di questi due uomini. La semplice somiglianza che indica una rappresentazione, una somiglianza nella funzione, come tra lo strumento e l’autore, porta alla non identità, prendendo i termini nel loro senso naturale e letterale. D’altra parte, non è affatto stabilito che la figura vista da San Giovanni nella sua visione al capitolo I sia Gesù Cristo stesso; è più probabile che non sia Lui stesso, ma solo il suo rappresentante, e se possiamo dimostrare questo punto per quanto sia possibile in una semplice congettura, l’obiezione cadrà naturalmente. Non si può affermare che sia stato il Maestro Divino in persona a parlare, apparire e mostrarsi a San Giovanni. Il versetto 1 del capitolo I dell’Apocalisse sembra contrario a questa opinione, quando dice che questo personaggio è solo l’Angelo, cioè l’inviato di Gesù Cristo, e che si esprime nel modo seguente: “Apocalisse” di Gesù Cristo, che ha ricevuto da Dio per scoprire ai suoi servi le cose che devono presto accadere, e che ha manifestato per mezzo del suo Angelo inviato a Giovanni, suo servo. (Apocalypsis Jesu Christi quam dedit Deus palàm facere servis suis quae oportet fieri citò, et significavit mittens per Angelum suum servo suo Joanni); e nel versetto 16 del capitolo XXII, Nostro Signore stesso conferma questo punto dichiarando di aver mandato il suo Angelo a fare questa rivelazione e a certificare queste cose (Ego, Jesus, misi Angelum meum testificari vobis hæc in Ecclesià). È perché colui che appare e mostra San Giovanni è un Angelo, che parla, non in nome proprio e in prima persona, ma in nome di un altro diverso da sé, in nome di Dio, di cui riporta solo le parole, come risulta dai testi seguenti: Hæc dicit qui tenet septem stellas, cap. 2, v. 1. Hæc dicit primus et novissimus, ibid. v. 8. Hæc dicit qui habet romphæam, ibid. v. 12. Hæc dicit Filius Dei, ibid. v. 18). Hæc dicit qui habet Spiritus Dei, cap. 3, v. 1. Hæc dicit Sanctus et Verus, ibid. v. 7. Hæc dicit: Amen, testis fidelis et verus, ibid. v. 14. Dio Padre e Gesù Cristo sono rappresentati in modo diverso. Il primo è visto seduto sul trono nel capitolo IV, v. 2 (Et ecce sedes posita erat in cælo , et supra sedem sedens – E vidi un seggio posto in cielo, e su questo seggio qualcuno seduto) . È lui che dice nel capitolo XXI, v. 5: “Farò nuove tutte le cose. (Et dixit qui sedebat in throno: Ecce nova facio omnia). Gesù Cristo appare nel corso della visione sotto la figura di un agnello che è come ucciso, con sette corna e sette occhi (Et vidi: Et ecce in medio throni … Agnum stantem tan quàm occisum habentem cornuu septem et oculos septem, cap. V, v. 6). Egli si mostra a San Giovanni in forma umana solo nella Gerusalemme celeste, dopo la fine della rivelazione che riguarda la terra e il tempo, e lo fa per dichiarare che colui che ha parlato fino ad allora non è Lui, ma il suo Angelo. La figura simile al Figlio dell’Uomo, il cui magnifico aspetto è descritto nell’Apocalisse capitolo I, v. 13-17, dice a San Giovanni nel v. 17: “Non temere, io sono il primo e l’ultimo”; e aggiunge nel v. 18: “Io sono vivo e sono stato morto; ecco, io vivo per sempre; ho le chiavi della morte e dell’inferno”. (Noli timere , ego sum primus et novissimus, v. 17. Et vivus et fui mortuus; et ecce sum vivens in sæcula sæculorum, et habeo claves mortis et inferni, v. 18); ma, da un lato, l’Angelo poteva apparire e parlare così per rappresentazione del Dio fatto uomo di cui occupava il posto in questo momento, prendendo in prestito per questo il suo esterno e riproducendo le sue stesse parole; d’altra parte, San Giovanni stesso lo confuse due volte con il vero Figlio dell’Uomo prostrandosi ai suoi piedi per adorarlo, tanto che l’Angelo dovette fargli notare che egli era solo un servo e che l’adorazione era dovuta solo a Dio (Et cecidi ante pedes ejus, ut adorarem eum; et dixit mihi: Vide ne feceris; conservus tuus sum. .. Deum adora, cap. XIX, v. 10. Et postquàm audissem et vidissem, cecidi ut adorarem antè pedes Angeli qui mihi hæc ostendebat, et dixit mihi: Vide ne feceris; conservus enim tuus sum … Deum adora. cap. XXII, v. 8, 9). Inoltre, anche se le parole Similem Filio hominis del v. 13, cap. I, si applicassero realmente e unicamente a Gesù stesso, non se ne potrebbe dedurre che debbano essere tali anche gli stessi termini usati da San Giovanni nel capitolo XIV e da Daniele nel capitolo VII, perché l’Apostolo, all’inizio della rivelazione, vede Gesù per la prima volta dalla sua ascensione che dice: “Io sono il Figlio di Dio”. Questo perché l’Apostolo, all’inizio della rivelazione, vedendo Gesù Cristo per la prima volta dalla sua ascensione, avrebbe potuto benissimo non riconoscerlo subito, trovando, a prima vista, solo una semplice somiglianza dove c’era un’identità, senza che questo avesse alcuna conseguenza per il resto della visione dove la sue conoscenze erano più sviluppate e più esatte. – Quanto al cavaliere del capitolo XIX dell’Apocalisse, che confonderemmo con lo strumento della bontà divina, con il figlio e l’uomo di San Giovanni, come pure con la figura di Daniele, se non fosse chiamato il Verbo di Dio, ci limiteremo a far notare che non avremmo mai confuso le persone, ma solo il ministero, vedendo nello strumento solo l’immagine dell’autore; che spesso la Sacra Scrittura fa questa confusione davanti alla quale noi indietreggiamo, come è per Ciro che, dovendo liberare i Giudei dalla cattività materiale, riceve il nome di Cristo, come il Salvatore che libera il suo popolo dalla servitù del peccato (Hæc dicit Dominus Christo meo Cyro – Questo è ciò che il Signore dice al mio Cristo Ciro – Isaia, cap. XLV, v. 1). E che a volte penseremmo di sbagliare, nel vedere in un passaggio l’azione di un inviato invece di quella del Figlio dell’Uomo, mentre un altro testo ci dimostra che è uno strumento che agisce nella stessa circostanza. Quest’ultima osservazione è fornita dal v. 7, capitolo III dell’Apocalisse, dove San Giovanni scrive: “Questo è ciò che dice colui che è santo e vero, che ha la chiave di Davide, che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre. (Hæc dicit Sanctus et Verus qui habet clavem David; qui apprit et nemo claudit, claudit et nemo aperit). Quando leggiamo queste parole, le applichiamo solo al Maestro divino; avremmo paura di fare violenza al testo estendendo questa applicazione ad un semplice strumento; eppure, se leggiamo Isaia, cap. XXII, v. 20, 22, vediamo che se il Verbo agisce con la sua divinità, non lo fa Egli stesso direttamente all’esterno, ma si serve di Eliacim figlio di Helcias, e pone sulla spalla di Eliacim questa potente chiave di Davide, che tramite lui, almeno esternamente, apre e nessuno chiude, chiude e nessuno apre (Vocabo servum meum Eliacim filium Helciæ, et dabo clavem David super humerum ejus: et aperiet , et non erit qui claudat , et non erit qui aperiat). Questa identità di azione e di ministero potrebbe permettere, non di confondere le persone, ma di comprendere l’autore e lo strumento sotto lo stesso nome, il nome principale, quello dell’autore. Tuttavia, come abbiamo detto, non trarremo alcuna congettura da questi versi del capitolo XIX della profezia di San Giovanni. In ogni caso, l’applicazione del capitolo XIX dell’Apocalisse a colui che sarà lo strumento della misericordia divina nel mondo, i capitoli XII e XIV di San Giovanni, il capitolo VII di Daniele e il capitolo XXII di Isaia, sembrano riferirsi a questo stesso strumento, e possiamo indagare chi è o sarà colui attraverso il quale tre Profeti dell’Altissimo hanno scritto cose così mirabili. Questo personaggio è, secondo noi, il grande Monarca il cui avvento nella sesta epoca Holzhauser annuncia in molti passi del suo Commentario (Holzhauser riconosce che il “figlio” del capitolo XII dell’Apocalisse può rappresentare il grande Monarca; ma siccome applica con ragione l’immagine di questo capitolo a varie epoche, vi vede anche l’imperatore Eraclio, poi Carlo Magno. Per quanto riguarda Eraclio, la sua applicazione, vera sotto un aspetto, è imprecisa sotto un altro. Questo sovrano fece grandi cose all’inizio del suo regno, ma poi cadde nell’eresia e morì monotelita; non poteva quindi essere, in tutta verità e per tutto, il figlio prediletto della Chiesa, perché perseguitò sua madre). Chi sarà questo grande re, qual è la sua famiglia, la sua personalità? È già venuto? Regna ora o deve ancora venire? Una fitta nube copre tutti questi misteri: sappiamo solo che il nome di Eliacim significa Dei resurrectio, che sembra essere inteso in senso morale, e che il nome di suo padre Helcias significa Pars Dei. Spetta al futuro dirci il resto e farci conoscere il nome di questo personaggio, che nessuno conosce se non lui (Habens nomen scriptum quod nemo novit nisi ipse, Apoc. cap. XIX, v . 12). Nonostante questa incertezza, abbiamo tutte le ragioni per pensare che questo grande Monarca sia o sarà un sovrano francese, e che la verga di ferro con cui governerà il mondo sia un esercito francese che gli sarà totalmente devoto. Ne traiamo le ragioni: 1° dal capitolo XII di San Giovanni, che lo mostra come il figlio maggiore o prediletto della Chiesa; 2° da quel detto così antico e riconosciuto in tutti i secoli: Gesta Dei per Francos (Gli atti di Dio sono compiuti sulla terra dai francesi. – Se la Francia ha fatto prigionieri due Ponteſici, ha pure resa possibile l’indipendenza temporale della Chiesa e ha restituito Pio IX ai suoi Stati.) ; 3° il carattere particolare che l’incoronazione dà ai nostri sovrani, che costituisce come sacerdoti, come i soli veri re, a tal punto che l’imperatore di Germania, venendo a sapere dell’assassinio giuridico di Luigi XVI, disse semplicemente alla sua corte: Il re è morto; 4° le credenze diffuse generalmente in tutto l’Oriente, che un principe francese sarà il distruttore dell’impero turco e il salvatore di coloro che seguono il falso profeta Maometto (Questa distruzione è già iniziata dalla guerra d’Oriente. Chi lo completerà? Il futuro ce lo dirà). (Scisma dei Greci. Maimbourg); 5° e il modo in cui la Chiesa cattolica ha sempre considerato la Francia. Il Papa Alessandro III dichiarava, infatti, che l’esaltazione dell’impero dei Franchi era inseparabile da quella della Chiesa romana. I francesi avevano ottenuto dalla Santa Sede i gloriosi titoli di concittadini degli Apostoli e servi di Dio (aves Apostolorum et domestici Dei). Sulla porta di San Luigi dei Francesi, a Roma, si leggevano e si leggono ancora queste toccanti parole: “Dieci giorni di indulgenza quando si prega per il Re di Francia”. Ma ciò che è più espressivo su questo argomento, è l’orazione che i Pontefici facevano fare per il nostro Paese. Eccone il testo: Omnipotens sempiterne Deus, qui, ad instrumentum divinissimæ tuæ voluntatis per orbem, et ad gladium et propagnaculum Ecclesiæ tuæ sanctæ, Francorum imperium constituisti, cælesti lumine, quæsumus, filios Francorum supplicantes semper et ubiquè præveni, ut ea quæ agenda sunt ad regnum tuum in hoc mundo efficiendum, videant, et ad implenda quæ viderint, charitate et fortitudine perseverantes convalescant, per Dominum, etc. – Dio onnipotente ed eterno, che per servire come strumento della tua divina volontà nel mondo e per la difesa e il trionfo della tua santa Chiesa, stabilisti l’impero dei Franchi, illumina sempre e ovunque con i tuoi lumi divini i figli dei Franchi che ti supplicano, affinché vedano ciò che devono fare per stabilire il tuo regno nel mondo, e affinché, perseverando nella carità e nella forza, portino a termine ciò che hanno visto. Per il N.-S. etc.). Questi sono i titoli della Francia! Qual è il popolo che ne possiede di simili? Quale è così ben posizionato, anche geograficamente, per compiere una tale missione? Quale nazione è missionaria e apostola per natura, nel bene e nel male? Il diavolo teme tutti i paesi cattolici, ma soprattutto il nostro Paese. Ecco perché l’ha attaccato per primo, sapendo che sarebbe stato seguito e imitato dalle altre nazioni. In questo non si sbagliava. La rivoluzione che, nel XVI secolo, aveva avuto in Inghilterra il suo regicidio, la sua repubblica, il suo dittatore, la sua usurpazione, è diventata universale solo alla fine del XVII secolo, quando è stata tale per il fatto che era francese; il male è iniziato in Francia, ma il bene vi si è sempre conservato e lotterà con l’inferno in un combattimento supremo; esso sarà vittorioso, e il nostro popolo aiuterà gli altri a scuotere il giogo del crimine, dell’anarchia e dell’empietà.

VIII. Essendo state esposte queste tre cose, dobbiamo solo seguire la storia del resto della sesta età nella sesta Chiesa, il resto del sesto sigillo, la sesta tromba, la sesta lode, e i dettagli forniti nei capitoli 12, 14, 17 e 19. La sesta Chiesa, la chiesa di Filadelfia, cioè dell’unità cattolica nel mondo intero (Et fiet unum ovile et unus pastor, San Giovanni, cap. X, v. 16), è la più bella che sia mai esistita. Ha questo in comune con la seconda Chiesa, quella di Smirne e delle persecuzioni romane: che Dio non la rimprovera; ma ha, più di essa, una testimonianza molto preziosa, quella di Dio che dichiara di amarla (Et scient quia ego dilexi te.). Questa testimonianza d’amore si accorda bene con le nozze dell’Agnello, di cui parleremo più avanti. Gesù Cristo parla alla sua Chiesa come a una sposa amata (Apoc. cap. III, v. 9). Il nostro Divino Maestro si annuncia a questa Chiesa come santo e verace (La verità farà scomparire l’errore, quindi scompariranno le eresie. – Sic Holzhauser, 61, p. 188, Wüilleret). – Hæc dicit sanctus et verus, ibid. v. 7). Erano queste stesse perfezioni che i poveri Cristiani oppressi della quinta età adoravano e chiedevano quando invocavano Dio per salvarli e vendicarli (Usquequò, Domine, sanctus et verus non judicas et non vindicas sanguinem nostrum de iis qui habitant in terra, cap. VI, v. 10). Il Maestro divino non viene allora (nella quinta epoca), rimanda la sua venuta alla sesta epoca, quando giudicherà e condannerà i civilizzatori e farà mietere la terra. Con queste perfezioni si annuncia che la santità regnerà nel mondo, che la verità sarà conosciuta e generalmente adottata, che ci sarà verità in tutto, in tutti i rami, in tutte le arti, in tutte le scienze, che saranno spinte fino agli ultimi limiti della possibilità; che tutti gli errori cadranno e non si vedranno più sulla faccia della terra – Sic Holzhauser, t. 1, p. 189, 195, 194, 201, Wüilleret). Il nostro Salvatore appare ancora come l’Onnipotente, che può fare tutto ciò che vuole, e la cui azione nessuno può ostacolare o impedire (Qui habet clavem David, qui aperit et nemo claudit, claudit et nemo aperit, cap. III, v. 7); Egli apre ai suoi fedeli una porta, quella del bene, che essi stessi non potevano aprire, e che nessuno potrà chiudere, perché, nonostante le loro poche forze, hanno mantenuto la sua parola e non hanno rinnegato il suo nome (Ecce dedi coram te ostium apertum quod nemo potest claudere, quia modicam habes virtutem, et servasti verbum meum, et non negasti nomen meum, ibid. v. 8). Egli conosce le loro opere e le approva pienamente (Scio opera tua, v. 8; quoniam servasti verbum patientiæ meæ, v. 10); gli promette la conversione di un certo numero di Giudei (Holzauzer – t. 1, p. 199, 200, Wüilleret – applica questa conversione, non a una parte dei Giudei, ma agli eretici e agli scismatici greci. (Ecce dabo de synagoga Satanæ qui dicunt se Judæos esse et non sunt, sed mentiuntur. Ecce faciam illos ut veniant, ut adorent ante pedes tuos, et scient quia ego dilexi te, ibid. v. 9). Egli annuncia la vicinanza del suo ultimo avvento, raccomanda loro di rimanere sempre fedeli, affinché nessuno riceva “la tua corona” (Ecce venio cito, tene quod habes ut nemo accipiat coronam tuam, v. 11); dichiara loro che, poiché hanno conservato la parola della sua pazienza, li preserverà dall’ora della tentazione (quella dell’anticristo), che verrà nel mondo intero per mettere alla prova coloro che abitano sulla terra, cosa che potrà fare, sia chiamandoli in cielo con una morte ordinaria ma prematura, sia dando loro la forza di uscire vittoriosi dalla battaglia (Holzhauser fornisce lo stesso mezzo di preservazione – t. 1, p. 202, 203, Wüilleret -) (Quoniam servasti verbun patientiæ meæ, et ego servabo ab hora tentationis, quo ventura cst in orbem universum, tentare habitantes in terra, v. 10). E infine promette al conquistatore di renderlo saldo, come una colonna nel tempio del suo Dio, di fissarlo per sempre in questo tempio, cioè nel bene, affinché non lo lasci più, di scrivere su di lui il nome del suo Dio, il suo nuovo Nome, e il nome della Gerusalemme celeste, che non lascerà più (Qui vicerit, faciam illum columnam in templo Dei mei, et foras non egredietur ampliùs; et scribam super eum nomen Dei mei, et nomen civitatis Dei mei, novæ Jerusalem quæe descendit de cœlo, et nomen meum novum – Sic Holzhauser, t. I p. 186, Wüilleret – v. 12).

(*).

Estratto della Suora della Natività:

T. 4, p. 401 « Dopo che Dio avrà soddisfatto alla sua giustizia, farà piovere abbondanti grazie sulla sua Chiesa; estenderà la fede; ravviverà la disciplina della Chiesa in tutte le regioni dove era diventata tiepida e lassa…  – Vedo tutti i poveri popoli, stanchi delle fatiche e delle prove così gravi che Dio ha mandato loro, tremare… Essi diranno: Signore, tu hai riversato nei nostri cuori la gioia e la forza della giovinezza; non sentiamo più il dolore del lavoro, della fatica e della persecuzione. (Così, lavoro, fatica e persecuzione sono la sorte dei veri figli della Chiesa fino al momento del trionfo. Questo è ciò che le nostre congetture tendono a stabilire). La Chiesa diventerà più fervente e più fiorente e sana che mai a causa della sua fede e della sua pietà. (Questo è molto in linea con il carattere della sesta Chiesa, che Dio non rimprovera, e alla quale dà una così bella testimonianza, dicendo in Apocalisse, cap. III, v. 9: “Et scient quia ego dilexi te”.). Questa buona Madre vedrà molte cose consolanti, anche da parte dei suoi persecutori, che verranno a gettarsi ai suoi piedi, la riconosceranno e chiederanno perdono a Dio e a lei per tutti i crimini e gli oltraggi che hanno commesso contro di essa. Questa santa Madre accoglierà nel suo seno tutti questi poveri penitenti; non li considererà più come suoi nemici, ma li metterà nel numero dei suoi figli »).

IX. L’apertura del sesto sigillo ci aveva mostrato un grande cataclisma che converte o estirpa i malvagi. La continuazione di questo sigillo, facendo la storia pubblica di una parte della sesta età, ci mostrerà sia gli effetti della bontà divina, sia quelli dello zelo ardente e veramente apostolico che caratterizza i fedeli, e specialmente il sacerdozio durante la chiesa di Filadelfia, e la concordanza fondamentale che esiste tra la Chiesa e il sigillo durante questo periodo di tempo. – Nel capitolo VII di San Giovanni, ove vediamo quattro Angeli che stanno ai quattro lati del mondo, trattenendo i venti che lo avrebbero tormentato, e impedendo loro di soffiare sulla terra, sul mare e sugli alberi che rappresentano il clero (Holzhauser – t. 1, p, 301, Wüilleret – vede in questi quattro Angeli i quattro imperatori romani Galerio, Massimino e Licinio. È la conseguenza forzata della sua opinione sui sigilli, e sul sesto in particolare. Un altro Angelo sale dall’Oriente, portando il segno del Dio vivente, e grida ad alta voce ai quattro Angeli ai quali è stato dato il potere di danneggiare la terra e il mare, di non farlo più finché non avrà segnato gli eletti di Dio sulla loro fronte. (Post hæc vidi quatuor Angelos stantes super quatuor Angelos terræ, tenentes quatuor ventos terræ, ne flarent super terram, neque super mare, neque in ullam arborem, Apoc. VII, v. 1. Et vidi alterum Angelum ascendentem ab ortu solis, ha bentem signum Dei vivi, et clamavit voce magnâ qua tuor Angelis quibus datum est nocere terræ et mari, v. 2. dicens: Nolite nocere terræ et mari, neque arboribus, quoadusquè signemus servos Dei nostri in frontibus eorum, v. 3). Questi servi così segnati (signati) sono innanzitutto i centoquarantaquattromila, dodicimila per ciascuna delle tribù d’Israele, con la particolarità che la tribù di Dan non è inclusa, il che può venire dalla sua totale estinzione, perché era la meno numerosa, come prova la piccola estensione che occupava; e che la tribù di Giuseppe è contata come due tribù, quella di Efraim e quella di Manasse, e che il numero delle dodici tribù è così ripristinato. cap. VII, v. 4 a 8). Questi centoquarantaquattromila uomini segnati per prima ci sembrano essere il numero dei Giudei la cui conversione N.-S. promise alla chiesa di Filadelfia, quando disse ad essa, nel cap. III, v. 9: Ecce dabo de synagoga Satanæ qui dicunt se Judæos esse, et non sunt, sed mentiuntur (Holzhauser – t. 1, p. 306, Wüilleret – vede in questi centoquarantaquattromila uomini segnati quelli che il martirio dei Cristiani porta alla conversione), perché i veri figli di Giuda sono i Cristiani Cattolici. I servitori segnati sono poi un numero innumerevole di persone di tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue che abbracciano la fede di Gesù Cristo (Post hæc vedi turbam magnam quam dinumerare nemo poterat, ex omnibus gentibus, et tribubus, et populis, et linguis – Dopo questo, ho visto una grande moltitudine che nessuno poteva contare, da ogni nazione, tribù, popolo e lingua, Apoc. cap. VII. V. 9). Propter hoc in doctrinis glorificate Dominum , in insulis maris nomen Domini Dei Israel –  Per questo motivo, glorificate il Signore con il vostro insegnamento, celebrate nelle isole del mare il nome del Dio d’Israele.- Isaia, cap. XXV, v. 13). – Questi nuovi Cristiani, dopo essersi rivestiti del candore della santità con il loro Battesimo e il loro fervore, stanno davanti al trono alla presenza dell’Agnello che fino ad allora li aveva misconosciuti, portando nelle loro mani la palma della vittoria che hanno ottenuto sull’errore e sul peccato, e nel trasporto della più viva gratitudine al Dio che li ha così portati alla conoscenza della verità, dicono ad alta voce: “Salve al nostro Dio che siede sul trono e all’Agnello! (Stantes ante thronum, et in conspectu Agni, amicti stolis albis, et palmæ in manibus eorum, et clamabant voce magna, dicentes: Salus Deo nostro qui sedet super thronum et Agno (Holzhauser –  t . 1 , p, 306, Wüilleret) applica questi passaggi alla persecuzione di Diocleziano. Questa applicazione ci sembra arbitraria, senza ragioni serie e molto improbabile. – Apoc. cap. VII, v. 9, 10)

(* – Dopo questo trionfo, la Chiesa regna sul mondo con Cristo.

Nel vol. 1, p. 295 a 301, N.-S. mostra alla Suora della Natività il Cristiano apostata e infedele e le mostra la facilità con cui quest’ultimo è convertito, annunciando così l’estensione della fede tra numerosi popoli.

Nel vol. 1, p. 301, la Suora dice: « Tutti i falsi culti saranno aboliti; tutti gli abusi della rivoluzione saranno distrutti e gli altari del vero Dio restaurati. I costumi antichi saranno ripristinati e la religione diventerà più fiorente che mai.

In t. 4, p. 401, aggiunge: “Vedo in Dio che la Chiesa sarà stabilita in molti regni, anche in luoghi dove non esisteva più da diversi secoli (Questi paesi ci sembrano essere Inghilterra, Scozia, Scandinavia, Russia, Grecia, diverse parti della Germania, Siria e Asia Minore.). Essa produrrà frutti in abbondanza, come per vendicare gli oltraggi che ha subito attraverso l’oppressione dell’empietà e le persecuzioni dei suoi nemici. »*)

X. La sesta tromba era iniziata con una nuova azione del male, e vedremo che finirà nello stesso modo. Ma come la santa Chiesa di Filadelfia è posta tra due Chiese molto deplorevoli, quelle di Sardi e Laodicea, così le due parti malvagie della sesta tromba sono separate da un intervallo di tempo che è tutto buono, perché, per effetto della potenza divina, l’azione del male è nulla sulla terra durante la sesta Chiesa. – L’Apocalisse, capitolo X, ci mostra un Angelo molto forte che scende dal cielo, vestito di una nuvola come una veste, con un arcobaleno sulla testa, la faccia che brilla come il sole e i piedi che brillano come una colonna di fuoco. Questo Angelo forte ha in mano un libro aperto, e mettendo un piede sulla terra e l’altro sul mare, grida con grande voce: che non ci sarà più tempo, ma che nei giorni del settimo Angelo, il mistero di Dio sarà consumato (Et vidi alium Angelum fortem descendentem de cælo, amictum nube, et iris in capite ejus; et facies ejus erat ut sol, et pedes ejus tanquàm columnæ ignis. Et habebat in manu suâ libellum apertum: et posuit pedem suum dextrum super mare, sinistrum autem super terram: Et clamavit voce magnà, quemadmodum cùm leo rugit, levavit manum suam in cælum, et juravit per viventem in sæcula sæculorum, qui creavit cælum et ca quæ in eis sunt, et terrum et ea quæ in eâ sunt , et mare et ea quæ in eo sunt: Quia tempus non erit amplius. Sed in dicbus vocis septimi Angeli, cùm coeperit tubâ canere consummabitur mysterium Dei, sicut evangelizavit per servos suos prophetas, Apoc. cap. X, v. 1, 2, 3, 5, 6, 7).

Questo Angelo che annuncia la fine dei tempi ci sembra essere il Santo Pontefice, che guiderà e consiglierà il grande Monarca. Questo libro aperto, e quindi pubblico e rivolto a tutti, ci sembra essere la raccolta delle decisioni di un grande Concilio che sarà tenuto dal grande Papa, sotto la cura del forte Monarca. Colui a cui viene detto di venire a prendere questo libro ci sembra essere questo monarca stesso, che deve farlo eseguire in tutto il mondo. Questo libro è dolce alla bocca e al gusto, perché contiene le regole e le vie della santità, che è dolce, anche in mezzo alla sofferenza; ma è amaro allo stomaco e difficile da digerire, perché può essere osservato solo da scismatici, eretici e infedeli con grande difficoltà. (Holzhauser – vol. 1, p. 449, Wüilleret) pensa che questo Angelo non sia il Santo Pontefice, ma il grande Monarca, e concorda con noi che il libro aperto indica un grande Concilio. Ma allora dovrebbe vedere in quest’epoca il Pontefice, poiché un Concilio è prima di tutto sotto la sua guida. Il forte Monarca lo riceve solo per eseguirlo. Tuttavia, il grande Monarca, consigliato dal santo Papa, deve farlo adottare da questi popoli; poiché sta scritto: “Devi profetizzare di nuovo alle nazioni, ai popoli, alle lingue e a molti re”. (Et audivi vocem de cælo iterùm loquentem mecum et dicentem: Vade et accipe librum apertum de manu Angeli stantis super mare et super terram. Et abii ad Angelum, dicens ei , ut daret mihi librum. Et dixit mihi: Accipe librum, et devora illum, et faciet amaricari ventrem tuum, sed in ore tuo erit dulce tamquàm mel. Et accepi librum de manu Angeli , et devoravi illum, et erat in ore meo tanquàm mel dulce; et cùm devorassem eum, amaricatus est venter meus, et dixit mihi: Oportet te iterùm prophetare gentibus, et populis , et linguis , et regibus multis, Apoc. cap. X, v. 8, 9, 10, 11)

(* – T.1, p. 308. « Vedo in Dio una numerosa assemblea dei ministri della Chiesa che sosterrà i diritti della Chiesa e del suo capo, e restaurerà la sua antica disciplina. In particolare, vedo due ministri del Signore che si distingueranno in questa gloriosa lotta.*)

XI. Il capitolo 19 di San Giovanni, v. 7, annunciava che le nozze dell’Agnello stavano per aver luogo, e il v. 9 proclamò beati coloro che vi sarebbero stati chiamati (Gaudeamus et exultemus, et demus gloriam ei; quia venerunt nuptiæ Agni, et uxor ejus præpara vit se . Et dixit mihi: Scribe: Beati, qui ad cœnam nuptiarum Agni vocati sunt; et dixit mihi: Hæc verba Dei vera sunt – Rallegriamoci, allietamoci, e rendiamogli gloria, perché son giunte le nozze dell’Agnello ed è pronta la sua Sposa,  e mi dice: beati coloro che sono invitati alle nozze dell’Agnello; e inoltre mi dice: queste parole sono vere. – Apoc. XIX, v. 7, 9). – Con questo banchetto, che ha luogo dopo la grande vittoria che Cristo ottiene attraverso i suoi rappresentanti, il Santo Pontefice e il Forte Monarca, durante la sesta età, e che è la figura di quello delle nozze eterne che avranno luogo in Cielo dopo l’ultimo giudizio, il divino Maestro sembra aver inteso sia la Chiesa di Filadelfia, sia la conversione generale di cui si parla in San Matteo, capitolo XXII, vv. 8-13, e in San Luca, capitolo XIV, vv. 6-24. – Questo padre di famiglia che vuole fare il matrimonio di suo figlio, è Dio Padre. E siccome nessun matrimonio o banchetto si tiene senza invitati, egli manda i suoi servi a convocare quelli che ha invitato; questi si rifiutano di venire. Manda loro nuovi servitori, sperando di non ricevere per due volte la stessa risposta sprezzante; questi, per affrettarsi e lasciare quelli a cui sono inviati senza scuse nel loro ritardo, dicono loro che non devono indugiare e perdere tempo, perché tutto è pronto. Offesi di malavoglia da questa insistenza, che è del tutto naturale in tali circostanze, e rifiutando di accettare l’insigne onore che è stato loro concesso, coloro che sono stati invitati non tengono alcun conto dell’invito. Vanno altrove, alcuni per occuparsi delle loro proprietà, altri dei loro affari; altri, più malvagi, sequestrano i servi, li oltraggiano e li uccidono. – E mi disse: “Queste parole sono veraci. Dio si adirò e ordinò alla gente della sua casa di andare nelle piazze, nelle strade e nei crocicchi, per portare i poveri e gli storpi, gli zoppi e i ciechi. Questo ordine viene eseguito; ma la sala del banchetto non è piena, il numero degli eletti non è ancora colmo, e il Signore comanda ai suoi ministri di insegnare di nuovo al mondo, di non limitarsi agli uomini delle città e delle periferie, cioè ai paesi civilizzati, ma di spingersi nei deserti, Egli comanda che, se non entrano volentieri, siano costretti ad entrare, in modo che la sala del banchetto non sia più vuota (Exi in vias, et sepes, et compelle intrare, ut impleatur domus mea, San Luca, cap. XIV, v. 23). – Quest’ultima predicazione e questa chiamata degli uomini alla salvezza differisce dalle precedenti, in quanto avviene, in un certo senso, per costrizione (compelle intrare); e questo si accorda molto bene con la condotta del grande Monarca che guiderà le nazioni con una verga di ferro (qui recturus erat omnes gentes in virga ferrea, – cap. XII, v. 5), li costringerà ad eseguire le prescrizioni del grande Concilio, dichiarerà guerra a tutti coloro che si rifiuteranno di farlo, e li costringerà ad entrare nell’ovile di Cristo. Quanto a questo sventurato che, solo tra tutti gli esseri viventi che partecipano al banchetto dell’Agnello, non era vestito con la veste nuziale, ci sembra essere l’anticristo stesso, che avrebbe vissuto allora, e che sarebbe stato un Cristiano Cattolico, poiché era nella sala del banchetto, ma si sarebbe dato al demonio. È perché il grande Monarca usa la forza per far tornare gli uomini al loro Dio, che il capitolo XIV di San Giovanni lo rappresenta come il mietitore della terra.

XII. Alla sesta età corrisponde la sesta lode, la gloria (gloriam, Apoc. cap. V, vv. 12 ); e, in effetti, una molto grande ne è resa a Dio da tutto il mondo che lo conosce, lo adora, lo ama e lo serve.

*) Estratto dalla Suor della Natività, riguardante la durata della sesta Chiesa:

T. 1, p. 308: « Ma, ahimè! Ma, ahimè, Signore, quando arriverà questo “tempo felice”… e quanto durerà? Questo è senza dubbio un segreto che tieni per te. Qui vedo solo che all’avvicinarsi dell’ultimo avvento di Cristo, ci sarà un sacerdote malvagio che causerà molte afflizioni alla Chiesa (Questo cattivo prete, non sarà l’antipapa di cui abbiamo parlato?). »

T. 4, p. 404: « La Chiesa godrà di una pace profonda per un tempo che sembra probabile di breve lunghezza. La tregua (Questi termini e questa parola tregua indicano che questo tempo sarà breve rispetto alle altre età della Chiesa) sarà più lunga questa volta, non di quanto sarà da ora fino al giudizio generale nell’intervallo delle rivoluzioni. Più ci avviciniamo al giudizio generale, più brevi saranno le rivoluzioni contro la Chiesa; e più breve sarà anche la pace che ne seguirà. »

«La Chiesa sarà ristabilita… ma sempre un po’ nel timore, perché assisterà a molte guerre tra diversi principi e re; le tregue tra queste guerre, saranno brevi, e ci saranno molte agitazioni nelle leggi civili » *)

CONGETTURE SU LE LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (9)

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (7)

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (7)

Tratte dall’Apocalisse, dal Vangelo, dalle Epistole degli Apostoli, e dalle Profezie dell’Antico Testamento

Messe in relazioni con le rivelazioni della Suora della Natività

di Amedeo NICOLAS

PARTE SECONDA

CAP. III.

GLI ULTIMI TEMPI DELLA QUINTA ETÀ ED I PRIMI TEMPI DELLA SESTA

I. Lutero aveva stabilito il principio della sovranità della ragione di ogni uomo per l’interpretazione delle Sacre Scritture; il filosofismo, la coda della Riforma, ne aveva tratto l’indipendenza della ragione umana da Dio. Bisognava far emergere la sovranità pratica del popolo per rovesciare tutto e riuscire a decattolicizzare le nazioni demonarchizzandole; e quest’ultimo passo, il più difficile di tutti, perché bisognava prima di tutto rovesciare delle fortezze armate che si sarebbero difese, aveva bisogno, per riuscire, di una forza sovrumana. D’altra parte, i mille anni di prigionia di satana nell’abisso erano stati completati; il gran dragone usciva dalla sua prigione e appariva sulla terra per sedurla di nuovo. Il capitolo XII dell’Apocalisse dirà cosa sta per fare. San Giovanni vede un grande segno nel cielo: una donna avvolta nel sole come in un vestito, con la luna sotto i suoi piedi e una corona di dodici stelle sul suo capo; era gravida, gridava nei dolori del parto e subiva grandi tormenti per dare alla luce il figlio che portava in grembo (Et signum magnum apparuit in caelo: mulier amicta sole, et luna sub pedibus ejus, et in capite corona stellarum duodecim; et in utero habens, clamabat parturiens, et cruciabatur ut pariat, Apoc . cap. XII, v. 1, 2).

II. Cos’è questa Donna? È la Chiesa; il sole che la circonda è il Sole di giustizia, Gesù Cristo stesso, che, come un tenero sposo, è con Essa fino alla fine dei tempi. Questa luna è l’umanità, che, come la stella della notte, riceve la sua luce dal Sole delle intelligenze, da Gesù Cristo, e senza di Lui sarebbe nelle tenebre. Queste dodici stelle rappresentano i dodici Apostoli, che sono come la corona della Chiesa Cattolica. Questo parto è la funzione essenziale della Chiesa, che dà continuamente figli al suo Sposo, producendoli solo nel dolore e nelle lacrime, perché essa è e sarà sempre militante sulla terra (Sic Holzhauser (t. 2, p. 3, Wüilleret); ma, inoltre, il parto di cui si parla qui sembra presentare qualcosa di straordinario e molto più notevole, come si può congetturare dal resto del testo sacro. – Dopo questa prima meraviglia, San Giovanni ne vede una seconda in cielo. È un grande drago rosso, con sette teste e dieci corna, e sette diademi sulle sette teste. La sua coda portava via con sé la terza parte delle stelle del cielo e le faceva cadere sulla terra. Questo drago vede la Donna e si ferma e sta davanti ad essa allorquando sta per partorire, per divorarne il figlio appena nato (Et visum est aliud signum in cælo: Ecce draco magnus, rufus, habens capita septem et cornua decem, et in capi tibus diademata septem; et cauda ejus trahebat tertiam partem stellarum cæli, et misit eas in terram; et draco stetit ante mulierem, quæ erat paritura, ut cùm peperisset filium ejus devoraret, ibid., v. 3, 4). Se la donna di cui abbiamo parlato è la Chiesa Cattolica, questo grande drago rosso è ovviamente satana. Le sue sette teste, che portano sette diademi, sono da un lato, moralmente, i sette peccati capitali che regnano nel mondo, e sono diventati, ai nostri tempi, la regola dei costumi e della condotta; dall’altro lato, le sette potenze con cui ha agito, e che hanno compiuto la sua opera, a volte controvoglia, contro la loro volontà e spinti dalla forza delle cose; e infatti la prima rivoluzione francese, che divenne universale per la potenza di espansione del nostro paese, aveva sette teste o sette governi, cioè il governo costituzionale negli ultimi anni del regno di Luigi XVI, la Convenzione, il Direttorio, il Consolato, l’Impero, la prima Restaurazione, i Cento Giorni. Le dieci corna possono essere dieci re che gli hanno offerto la loro potenza, si sono asserviti ai suoi disegni, spesso senza sospettarlo, e che finiranno per rivoltarglisi contro, quando l’Agnello li avrà illuminati e cambiati. Le stelle del cielo, di cui la coda del drago trascina la terza parte, facendola cadere sulla terra, rappresentano i sacerdoti, i religiosi, i Vescovi che egli ha sedotto con il rilassamento, la tiepidezza, i piaceri dei sensi, il richiamo dei beni della terra e l’orgoglio, che ha reso prima ribelli e scismatici con la costituzione civile del clero, e che ha precipitato, dopo, nei più grandi crimini (Holzhauser (t. 2, p. 12, Wüilleret vede in queste stelle cadenti lo scisma greco che, dopo essere tornato all’unità cattolica, durante la Chiesa di Filadelfia, seguirà poi l’anticristo. – Questo significato potrebbe essere uno di quelli veri).

III. Questo drago è il nemico naturale della Chiesa; inoltre, appena viene liberato e può agire in libertà, si ferma davanti ad Essa, non per sedurla, perché sa che non può, ma per divorare il suo bambino appena nato (Secondo Holzhauser – t. 2, p. 15, Wüilleret – questo drago rappresenta Chosroe, Maometto, l’anticristo. A noi sembra che sia solo satana, il capo degli angeli ribelli; il testo lo dimostra espressamente). Chi è questo bambino a cui il diavolo vuole impedire di vivere? Egli rappresenta, a nostro avviso, tutti i fedeli e ciascuno di loro in particolare; egli rappresenta il Cattolicesimo e in particolare l’esercizio pubblico del suo culto, che il demonio non può soffrire e che vorrebbe proibire su tutta la terra, come sarà nei giorni dell’anticristo. Inoltre, questo bambino potrebbe avere un significato particolare che crediamo di dover sottolineare, anche se ci è ancora avvolto nel mistero, a causa della nostra ignoranza del futuro.  La donna del capitolo XII dell’Apocalisse, cioè la Chiesa, ha altri figli. Ecco perché è detto, nel v. 17 di questo capitolo, che il drago si adirò con la donna, e che andò a fare guerra al resto dei suoi figli che osservano i comandamenti di Dio e danno testimonianza a Cristo (Et iratus est draco in mulierem, et abiit facere prælium cum reliquis de semine ejus qui custodiunt mandata Dei, et habent testimonium Christi). Da questa pluralità di figli della Donna, quindi, si può concludere che quello di cui si parla più in particolare nel capitolo XII è il principale di loro, il suo Figlio preferito, il suo Primogenito, non il maggiore dei suoi figli, quello con il destino più alto, e dal quale satana ha più da temere. Nonostante questa rabbia attenta, la Donna dà alla luce questo figlio maschio (Il sesso maschile indica la forza), che toglierà al diavolo l’impero del mondo e dominerà tutte le nazioni con una verga di ferro; e questo Figlio, sul quale riposano tante speranze, sfugge alla crudeltà del drago, venendo portato a Dio e salendo al suo trono (Et peperit filium masculum, qui recturus erat omnes gentes in virgâ ferreâ, et ruptus est filius ejus ad Deum et ad thronum ejus, cap. XII, v. 5).

IV. Furioso per non poter divorare questo figlio che il potere divino aveva messo fuori dalla sua portata, satana è deciso ad attaccare la Chiesa, sua madre. Ella fugge nella solitudine, dove Dio le ha preparato una dimora in cui è nutrita per mille e duecentosessanta giorni (Et mulier fugit in solitudinem ubi habebat locum paratum à Deo, ut ibi pascant eam diebus mille ducentis sexaginta, ibid. v. 6). La Chiesa cattolica si trovò veramente in questa solitudine, dal punto di vista terreno e umano, quando le nazioni e le potenze della terra la abbandonarono, permisero alla rivoluzione francese di impadronirsi degli Stati romani, e di prendere in prigionia due sovrani Pontefici, uno dei quali morì in esilio a Valencia in Francia, e l’altro poté, dopo cinque anni di prigionia, tornare nella Città eterna e finirvi i suoi giorni. – In questa posizione, la Chiesa era veramente nella solitudine, poiché Dio solo la conservava, la sosteneva e la nutriva, mentre gli uomini, lungi dal fornirle un qualsiasi sostegno, la perseguitavano senza tregua (Holzhauser, che è tedesco, vede in questa solitudine la Germania pagana che divenne cristiana nel IX secolo, per servire da baluardo alla Chiesa romana – t. 2, p. 19, Wüilleret – È un bel baluardo questo: il Paese che ha prodotto l’hussismo, il protestantesimo, si è impadronito di Roma sotto Carlo V, e metà del quale è ostile alla Chiesa cattolica!) – I milleduecentosessanta giorni di cui si parla nel v. 6 possono rappresentare la durata della prigionia di Pio VI, ben diversa da quella del suo successore, che si protrasse per un tempo simile; ma si potrebbe anche considerare la durata della prima rivoluzione francese. In questo caso, ogni testa del drago avrebbe regnato per mille duecentosessanta giorni, poiché ognuna di esse porta un diadema; e siccome ci sono sette teste, otterremmo circa venticinque anni per il tempo di questa rivoluzione, perché mille duecentosessanta giorni fanno tre anni e mezzo, e sette volte tre anni e mezzo fanno circa venticinque anni. – Il regno del moderno Apollyon, menzionato nel capitolo IX, v. 11, e nelle parole di Nostro Signore in Matteo XXIV, v. 6: « Sentirete parlare di guerre e voci di guerre; non turbatevi. Queste cose devono  avvenire, ma non è ancora la fine » (Audituri enim estis prælia et opiniones præliorum: videte ne turbemini; oportet enim hæc fieri, sed nondum est finis); infatti, la prima rivoluzione fu solo una lunga e crudele battaglia in Europa, Asia, Africa e persino in America. – Possiamo anche applicare a questi brutti tempi questo passo di Isaia, che descrive così bene le disgrazie che hanno segnato la fine del secolo scorso, con assassinii, regicidi, patiboli, annegamenti, matrimoni cosiddetti repubblicani, massacri, emigrazioni, proscrizioni, trasposizioni, furti e confische: « Ecco, il Signore dissiperà la terra, la spoglierà, ne affliggerà la faccia e disperderà i suoi abitanti. Sarà il popolo come il sacerdote, il servo come il suo padrone, la domestica come la sua padrona, il compratore come il venditore, il prestatore come il mutuatario, colui che deve come colui che chiede ciò che è dovuto. La terra sarà orribilmente dissipata e saccheggiata, perché il Signore ha pronunciato questa parola. La terra ha pianto e non ha cessato dal farlo ed è caduta nell’infermità. Anche l’intero universo ha pianto; le grandezze del popolo della terra caddero in debolezza. La terra è stata infettata e contaminata dai suoi abitanti, perché hanno trasgredito le leggi, mutato il diritto e violata l’alleanza eterna. Così la maledizione divorerà la terra e gli abitanti peccheranno ancora di più. Per questo motivo, i coltivatori diventeranno come degli insensati, e rimarranno pochi uomini. » (Ecce Dominus dissipabit terram, et undabit eam, et affliget faciem ejus, et disperget habitatores ejus, cap. XXIV, v. 1. Et erit sicut populus, sic sacerdos; et sicut servus, sic dominus ejus; sicut ancillæ, sic domina ejus; sicut emens, sic ille qui vendit; sicut fenerator, sic is qui mutuum accipit; sicut qui repetit, sic qui debet, v. 2. Dissipatione dissipabitur terra et direptione præ dabitur; Dominus enim locutus est verbum hoc , v. 3. luxit et defluxit terra, et infirmata est; defluxit orbis, infirmata est altitudo populi terræ, v. 4. et terra infecta est ab habitatoribus suis, quia transgressi sunt leges, mutaverunt jus, dissipaverunt fædus sempiternum, v. Propter hoc maledictio vorabit terram, et peccabunt habitatores ejus; ideòque insanient cultores ejus, et relinquentur homines pauci, v. 6). – Leggendo queste parole del Profeta, si può facilmente riconoscere che sono la storia esatta della prima rivoluzione. Il re Luigi XVI morì sul patibolo; la regina e Madame Elisabeth subirono la stessa sorte. I grandi che formavano l’altezza dei popoli della terra (altitudo populi terræ) furono abbassati, cacciati e massacrati. I ricchi e i poveri, i sacerdoti e il popolo furono ridotti in miseria; la terra fu saccheggiata e devastata da barbari civilizzati, mille volte più crudeli e rapaci dei barbari del Nord. Il commercio era distrutto, i campi erano abbandonati e desolati; Vescovi, sacerdoti e grandi uomini vagavano infelicemente lontano dalla loro patria, chiedendo agli stranieri il loro pane quotidiano, che spesso veniva loro rifiutato. Crimini sconosciuti fino ad allora venivano commessi ogni giorno e a migliaia, con il grande applauso delle tigri infuriate che erano salite al potere. La rivoluzione aveva trasgredito le leggi fondamentali di tutte le società, di tutte le monarchie; aveva cambiato la legge sociale (mutaverunt jus), schiavizzando e poi massacrando coloro che avevano ricevuto il diritto di governare da Dio, e dando potere a coloro che avevano il dovere di obbedire; aveva trasgredito, proscritto la legge divina e gettato al vento l’alleanza eterna detronizzando Dio, cacciandolo dai suoi templi, abolendo il Sacrificio perpetuo (juge sacrificium), adorando la ragione umana sotto l’immagine sozza ed ignobile di una prostituta, e mettendo sui nostri altari profanati l’abominio della desolazione al posto del Dio vivente.

(*)

Nel tomo 1, p. 302 e seguenti, la suora della Natività si trova su una bella montagna dove sorgeva una bella casa. Tutte le strade erano libere; tutte le entrate erano aperte ai forestieri che vi accorrevano con un’aria molto dissipata.  Improvvisamente dalla terra salirono vapori, formarono una nuvola nera che oscurò il giorno e si spinse verso la montagna. Sotto la nuvola c’era un oggetto sensibile, una specie di mezzaluna rossa, che ondeggiava rapidamente in tutte le direzioni e che, arrivando alla montagna, si staccò dalla nuvola e cadde ai piedi della Suora … era un drago spaventoso (Si noti la conformità della dichiarazione della Suora che vede un grande drago rosso con il v. 3, cap. XII dell’Apocalisse: Ecce draco magnus rufus). Ella corse immediatamente verso la bella casa. La Suora gridò nel prestare attenzione, ma fu derisa e si pensò che fosse pazza. –  Questa montagna e questa bella casa rappresentavano la Francia. Questi vapori rappresentavano i princìpi dell’irreligione e del libertinaggio in parte prodotti dalla Francia, in parte provenienti dall’estero. « La tempesta – dice la Suora – si è spinta verso la Francia, che deve essere il primo teatro della sua devastazione, dopo esserne stata il centro (la Francia è il centro del male che veniva in parte da altrove; ma è anche il centro del bene: Gesta Dei per Francos). L’oggetto che appariva sotto la nuvola rappresentava la rivoluzione o la nuova costituzione che si stava preparando per la Francia. »

Nel tomo 1, p. 289. La Suora vede prima due alberi. Uno bello, grande e forte, la Chiesa, l’altro della stessa natura, meno forte, che termina con una cima a due punte: lo stato religioso dei due sessi; poi vede un terzo albero, la filosofia moderna, che si erge in mezzo agli altri due e li batte entrambi. Il primo non ha perso nessuno dei suoi fiori, foglie e frutti, e continua a resistere; il secondo ha conservato solo il tronco e le radici.

Nel tomo 4, p. 394 e seguenti, ella vede un altro albero, la rivoluzione, senza foglie né verde, la cui corteccia era dura come il metallo di un cannone, e gli assomigliava, perché il suo spirito sarebbe stato sempre bellicoso. Era così alto che non se ne poteva vedere la cima, e si poggiava su una bella chiesa, sulla quale posava per schiacciarla. Aveva i suoi rami più o meno tagliati, cosa che rappresentava le guerre civili ed i massacri che Dio aveva permesso in Francia, e che, uniti alle guerre straniere, avevano fatto perire le anime più orgogliose e quelle più crudeli nella malizia.

I buoni facevano ogni sforzo per allontanare e sradicare questo albero; ma Dio vi si oppose, promettendo di abbreviare il tempo della sua caduta, e dichiarando che un giorno non sarebbe stato sradicato, ma tagliato al suolo. «Io Conosco – diceva Gesù Cristo – la ferocia e la durezza di questi spiriti maligni che sono più duri della corteccia di quest’albero dove la scure non può entrare, ma io farò un miracolo con la mia grazia (Quando si vede tutto ciò che è necessario perché Dio regni sulla terra, la debolezza dei mezzi umani, e quando si sente che questo regno debba venire presto, si tocca con mano la necessità di un grande miracolo per ottenere questo risultato).

La Suora, parlando dei crimini della prima rivoluzione, si esprime nel modo seguente:

T. 1, p. 263. «Io ho visto una grande potenza sollevarsi contro la santa Chiesa; ha sradicato, saccheggiato e devastato la vigna del Signore, dopo aver insultato il celibato e oppresso lo stato religioso; questa superba audacia ha usurpato i beni della mia Chiesa e si è come rivestita dei poteri di N. S. P. il Papa di cui ha disprezzato la persona e l’autorità (La Rivoluzione ha sempre disprezzato l’autorità del Papa; ha disprezzato tre volte la sua persona, con due catture e un esilio).  – Ho visto vacillare le colonne della Chiesa; ho visto persino cadere molte di esse, dalle quali c’era motivo di aspettarsi una maggiore stabilità. Tra coloro che dovevano sostenerla, c’erano vigliacchi, indegni, falsi pastori, lupi rivestiti dalla pelle dell’agnello, che entravano nell’ovile solo per sedurre le anime semplici, per divorare il gregge di Gesù, e per consegnare l’eredità del Signore alla depredazione dei rapitori, i templi e gli altari sacri alla profanazione (questi pastori sono le stelle del cielo che il dragone trascina con la sua coda e che faceva cadere sulla terra al v. 4 del cap. XII dell’Apoc.). Guai, dice J.-C.! Guai ai traditori e agli apostati, ai agli usurpatori dei beni della mia Chiesa e a tutti coloro che disprezzano la sua autorità! »

T. 1, p. 272  «Figlia mia – mi diceva Gesù Cristo – ci sono stati dei Giuda nella mia Chiesa che mi hanno tradito e venduto. Sono stato abbandonato, rinnegato di nuovo. Hanno liberato Barabba, e mi hanno condannato a morte. Sono stato crudelmente flagellato e coronato di spine. Sono stato ricoperto di vergogna e di obbrobri. Sono stato condotto al supplizio per essere crocifisso una seconda volta (Questi sacerdoti e pastori sono le stelle del cielo, che il drago trascinò con la sua coda e fece cadere sulla terra, al v. 4, capitolo XII dell’Apocalisse). Quali punizioni meritano così tanti e così sanguinosi oltraggi? Tuttavia  ho ascoltato le preghiere della mia Chiesa; il suo gemito e il suo sospiro mi hanno fatto violenza, e ho deciso di abbreviare il tempo del suo esilio (La parola esilio applicata alla Chiesa rappresenta bene la fuga della donna nel v . 6 , cap. XII dell’Apocalisse). » – Noi abbiamo congetturato che la prima rivoluzione sarebbe durata circa venticinque anni; la Suora non dice nulla di preciso su questo argomento, limitandosi a queste parole nel …

– tomo 4, p. 400: « Abbiate pazienza per molto tempo. – Dio era irritato contro la Francia, minacciava di distruggerla; Egli dice alla Suora: « La dividerò, essa sarà divisa come un vecchio mantello che si strappa e si butta via. Non lo do per certo, aggiunge la Suora, può succedere di meglio o di peggio, o niente del tutto, perché vedo questo in Dio solo in modo confuso (La divisione della Francia fu proposta nel 1815, è un fatto noto.).

V. Uno stato così violento non poteva durare a lungo; i popoli desideravano la pace. Essa fu data alla terra alla fine del primo guai (Væ unum abit, Apoc. cap. IX, v. 12); ma, poiché quest’ultima disposizione non proveniva che da lassitudine, poiché il fondo dei cuori non era cambiato, e poiché essi non vollero riconoscere e ringraziare la bontà divina che aveva concesso questa grazia, il male seguì la sua marcia progressiva. La guerra non si faceva sulla terra, che era tranquilla dal punto di vista materiale, ma in cielo, contro la verità, contro Dio. Essi furono attaccati da dottrine sataniche, chiamate liberali, che si coprivano di un bel nome e avevano l’apparenza del bene; da società più o meno segrete; da una crociata abilmente organizzata e condotta che, addormentando i difensori e le sentinelle avanzate della Religione, fu in questi pochi anni che il mondo fu sedotto al punto che la gente non osava più dichiararsi per Dio, che la veste di un sacerdote era disonorata e vituperata quando appariva sulle nostre piazze, e che le nostre solennità religiose erano sporcate da uomini impudenti e lascivi che venivano ad insultare Dio ai piedi dei suoi altari. – Fu in questi pochi anni che restaurarono la fortuna materiale della Francia e dell’Europa, e che, dal punto di vista morale, non furono una restaurazione, ma una rovina maggiore aggiunta a tante altre, ed il male, inesperto e volgare durante la prima agitazione, si fece sistema; fu allora che si stabilirono queste dottrine infernali del Liberalismo, del Radicalismo, del Socialismo e del Comunismo. – Questa fu probabilmente la grande battaglia combattuta dal drago contro San Michele e i suoi Angeli (Et factum est prælium magnum in cælo, Michael et Angeli ejus præliabuntur cum dracone, et draco pugnabat et Angeli ejus. – Holzhauser – t. 2, p. 23 a 28 Wüilleret – pensa che questa lotta fu combattuta tra gli Angeli ribelli e quelli fedeli, i primi volendo impedire che la Chiesa si stabilisse in Germania, e gli ultimi volendo il contrario. Questa applicazione può essere fatta, poiché i testi sacri possono riguardare diversi periodi, ma non è la principale. – Se si pensasse che l’applicazione che facciamo qui alla prima Rivoluzione francese e alla Restaurazione non sia chiara e sembri forzata, vi pregheremmo di notare che essa segue quasi necessariamente dalla divisione dell’Apocalisse, come l’abbiamo vista posta nel §. 4 dell’Introduzione, e dall’interpretazione del cap. XX contenuta nel §. 6; così la difficoltà risalirebbe più in alto. Apoc. cap. XII, v. 7). satana non poteva né sconfiggere l’esercito celeste, né estinguere completamente la verità (Et non valuerunt, neque locus inventus est eorum ampliùs in cælo, ibid. v. 8). Al contrario, egli fu respinto sulla terra con tutti i suoi angeli, e non nell’abisso; il che sembra indicare che cominciò a suscitare un nuovo tumulto, perché non era riuscito nella completa seduzione che aveva tentato (Et projectus est draco ille magnus, serpens antiquus qui vocatur Diabolus et Satanas, qui seducit universum orbem, et projectus est in tcrram, et Angeli ejus cum eo missi sunt, ibid. v. 29). – La Corte celeste celebrò questo trionfo del cielo, che annunciava per il futuro una vittoria sulla terra (Et audivi vocem magnam in cœlo dicentem: Nunc facta est salus et virtus, et regnum Dei nostri et potestas Christi ejus. Quia projectus est accusator fratrum nostrorum qui accusabat illos ante conspectum Dei nostri die ac nocte, ibid. v. 10. Et ipsi vicerunt propter sanguinem Agni, et propter verbum testimonii sui, et non dilexe runt animas suas usque ad mortem, v. 10; propterea lætamini, cæli, et qui habitatis in eis – Sentii una grande voce nel cielo: ora arrivano la salvezza, la virtù, il regno di Dio e la potenza del suo Cristo, perché l’accusatore dei nostri fratelli che li accusava davanti a Dio notte e giorno, è stato gettato a terra. Hanno vinto per il sangue dell’Agnello, per la parola della sua testimonianza. L’amore per la vita non ha impedito loro di sacrificarla per Gesù Cristo; rallegratevi, o cieli, e coloro che vi abitano!), v. 12.

(Si può benissimo applicare alla Restaurazione un passaggio della Suora della Natività: In Tom. 2, p. 26. « Vidi in spirito una grande sala che sembrava una Chiesa, ed era quasi piena di sacerdoti vestiti con albe bianche molto belle e fini, ma senza cappelli o casule. Erano arricciati e incipriati, molto gai e molto contenti. Essi cantavano arie di giubilo. Alcuni di loro leggevano ad alta voce composizioni in versi ed in prosa alle quali gli altri applaudivano. La Suora si rallegrò di gioia; ma vide accanto a lei il bambino Gesù, che sembrava avere tre anni, con in mano una grande croce – questa grande croce che Gesù portava non è la Croce di Migné -, che le disse, guardandola con uno sguardo triste: « Figlia mia, non ti ingannare, vedrai presto un cambiamento; non tutto è finito, e non sono alla fine come pensano; non è ancora il momento di cantare vittoria. Questa è l’alba che comincia, ma il giorno che segue sarà doloroso e tempestoso.)

VI. La vittoria riportata in cielo non si realizza così presto sulla terra. Il dragone, furioso per la sconfitta subita in alto, dove non c’è più spazio per lui (Neque locus inventus est eorum ampliùs in cælo, v. 8), solleverà prima una seconda rivolta che sarà tanto più forte, in quanto sa che gli resta poco tempo, e perseguiterà di nuovo la Donna che aveva dato alla luce un figlio maschio, e di conseguenza forte (Væ terræ et mari, quia descendit Diabolus ad vos, habens iram magnam, sciens quòd modicum tempus habet, ibid. v. 12). Et postquàm vidit draco quòd projectus esset in terram, persecutus est mulierem quæ peperit masculum – Guai a voi, terra e mare perchè il diavolo è disceso verso di voi con grande collera, sapendo che gli resta poco tempo – E quando il dragone vide che era stato gettato sulla terra, ri rimise a preseguitare la donna che aveva partorito il figlio maschio – ibid. v. 13), e la croce distesa e allungata, la croce sofferente e non ancora trionfante, apparve nell’aria nel 1826, il 17 dicembre, alla vista di diverse migliaia di spettatori, a Migné, nel cattolico Poitou, per iniziare ed aprire questa seconda persecuzione, che non assomiglia in alcun modo a quella che l’ha preceduta, e presenta un carattere molto particolare, a causa delle ali di una grande aquila che furono allora date alla Chiesa, quando essa fuggì.  In quest’epoca (1826), è stata concessa alla stampa in Francia la più completa libertà. La censura è abolita; la rivolta della rue Saint Denis, quella di Rouen, diretta contro i missionari cattolici, denotò la nuova piega che la società stava per prendere. Il Parlamento avido di regalità; le ordinanze ostili alla Chiesa sono strappate (giugno 1828) ad un re buono e religioso circondato da ministri senza fede, e in particolare da un Vescovo cieco o infedele al suo ministero. Il male trabocca e invade tutto. Il monarca vuole opporsi con nuove ordinanze, modelli di saggezza e verità, e alle quali un famoso oratore, che si atteggiava a difensore della legittima regalità, ha avuto il triste coraggio di dare la deplorevole qualificazione di colpevoli (Questo oratore è M. Berryer). Poi il trono fu rovesciato sulle rovine dell’altare da una formidabile insurrezione, aiutata dal tradimento di coloro sui quali il sovrano doveva contare di più. Da qui la sottomissione del Belgio, della Polonia, dell’Italia, del Portogallo, della Spagna e di tutti i Paesi cattolici d’Europa, perché era il Cattolicesimo che l’inferno e i suoi scagnozzi cercavano. Il pontefice Gregorio XVI, eletto dal Conclave il 2 febbraio 1831, fu costretto a rinchiudersi il giorno dopo nel Castello di Sant’Angelo di fronte alla rivolta dei suoi sudditi, concepita e guidata da stranieri. I suoi Stati furono invasi da corpi d’armata che non aveva chiamato in aiuto e che, in piena pace, sfondarono le porte aperte di Ancona e si impadronirono di quella città. Allo stesso tempo, Arcivescovadi e Chiese furono saccheggiate; i prelati furono cacciati dalle loro sedi; donne, bambini e vecchi, che avevano fatto un baluardo dei loro corpi innoffensivi, furono massacrati ai piedi della croce che i demoni volevano rovesciare. D’altra parte, il sangue inonda l’Europa; scorre in Francia in vari momenti e in vari punti: a Parigi, nel luglio 1830, nel giugno 1832, nell’aprile 1834, nel maggio 1839, nel febbraio 1848, il 13 giugno 1849 e nel dicembre 1851; a Lione, nel novembre 1831, nell’aprile 1834, nel giugno 1849; nella Vandea, nel 1832; a Marsiglia, nel giugno 1848, e in tutta la Francia nel dicembre del 1851. Esso cola in Spagna dal settembre 1833 al 1840, nella guerra civile che si è riaccesa più volte da allora, come nei movimenti insurrezionali menzionati dai rivoluzionari per ventiquattro anni; In Portogallo, nella guerra civile che detronizzò il re legittimo, Don Miguel, per intronizzare, con l’aiuto e il beneficio dell’Inghilterra, una regina brasiliana, così come nelle numerose ribellioni che hanno avuto luogo dal 1833; nei movimenti sediziosi di Svizzera, Prussia, Danimarca, Italia austriaca, Boemia, Vienna, Ungheria, Piemonte, Sicilia, Napoli, Roma. Il Sovrano Pontefice, che si era tentato di assassinare, si rifugiò nel novembre 1848 sotto l’ala protettrice dell’unico re Borbone rimasto sul trono, e tornò nella sua capitale solo nell’aprile 1850, grazie ad un esercito francese. Nello stesso tempo, la peste (il colera), portata dall’Estremo Oriente dalle truppe russe venute da lontano per sopprimere l’insurrezione polacca, e di conseguenza richiamata dalla rivoluzione francese che aveva provocato questa rivolta, si abbatté sull’Europa; cominciò invadendo l’Inghilterra, la più grande prostituta dei tempi moderni, quel Caino dei popoli che, se non sa combattere con vantaggio contro i popoli civili, respira, ispira e inocula il male in coloro che sono capaci di agire. Da lì arrivò a Parigi e al nord della Francia, dopo aver colpito la Russia, la Polonia e la Germania. Nel 1834 e 1835, desolò due volte Marsiglia e il sud della Francia; nel 1837 stese il suo sudario di morte su Italia, Sicilia, Spagna e Portogallo, visitando Marsiglia una terza volta; e nel 1849 devastò quasi tutta l’Europa e altre parti del mondo. A tutte queste disgrazie si aggiunge il terribile flagello delle inondazioni che devastarono molte regioni dal 1840 al 1845, e quello della carestia per la malattia della patata, iniziata nel 1842, che raggiunse il suo punto più alto nel 1846, e che decimò così fortemente le popolazioni, specialmente quelle dell’Irlanda, e fece morire di fame tanti uomini; dalla penuria di grano che si verificò nel 1846 e 1847, e dai terremoti che causarono tanta paura e disastri in tanti luoghi. Durante tutto questo tempo di sofferenza e di crimini, quando il male regnava sovrano, quando satana era veramente il principe di questo mondo, e quando il bene non lo era, la Chiesa era ancora in mezzo alla terra come in un deserto, abbandonata dagli uomini, tradita o perseguitata dalla maggior parte delle potenze; era sola, sostenuta da Dio solo, senza alcun mezzo esterno per difendersi. Tuttavia, non scomparve dall’Europa, fu conservata e nutrita da Colui che è l’Onnipotente, e che, come segno di una prossima vittoria e trionfo, le diede due ali di una grande aquila (Et datæ sunt mulieri alæ duæ aquilæ magnæ, ut volaret in desertum in locum suum, ubi alitur per tempus et tempora et dimidium temporis à facie serpentis (Apoc. XII, v. 14). (Alla donna furono date due ali di una grande aquila per volare nel deserto, nel luogo che era stato preparato per lei, dove fu nutrita per un tempo, tempi e mezzo tempo, fuori dalla presenza del serpente. – Secondo Holzhauser (vol. 2, pp. 33-37, Wüilleret), queste ali d’aquila rappresentano l’imperatore Carlo Magno, difensore della Chiesa). Il tempo di cui si parla nel v. 14 (Tempus, tempora et dimidium temporis) ci sembra che includa tre anni e mezzo, il che farebbe un nuovo regno del drago da ognuna delle sette teste, e che, a questo conteggio, fornirebbe ancora venticinque anni; infatti, ogni testa del drago regna a turno, poiché porta un diadema; così, aggiungendo questo numero di anni alla data dell’apparizione della croce di Migné, si arriverebbe alla fine del dicembre 1851 o all’anno 1852; e se si verificasse esattamente tutto ciò che è accaduto, si potrebbero trovare in Francia sette cambiamenti o modifiche di governo che hanno avuto luogo in questo intervallo di tempo (Potremmo essere accusati di vedere tutto in Francia, e di contare gli altri popoli per niente. Non è colpa nostra, se consideriamo soprattutto la Francia. Dio e il diavolo fanno tutto attraverso la Francia, e in Francia, ciò che è francese diventa universale; ciò che non è francese non si sviluppa in questa maniera e non raggiunge che delle località, a meno che la Francia non l’adotti. Questi sono fatti incontestabili, così come è certo che nel 1852, l’Europa, che era stata agitata per quattro anni, si è calmata e riposata dopo il colpo di stato, per l’infinita bontà di Dio. Il rimprovero che verrebbe fatto contro di noi potrebbe essere fatto contro l’Europa dagli asiatici, dagli africani e dagli americani; perché noi vediamo tutto in Europa. Si può dire in tutta verità che la Francia è per l’Europa ciò che l’Europa è per il mondo. Inoltre, per quanto riguarda le operazioni intellettuali, ci deve essere un luogo dove esse si depositano, germinano e nascono, per farsi strada nel mondo. La Francia ci sembra essere questo luogo sia per il bene che per il male, perché da sola fornisce più di tre quarti dei missionari. Coloro che disapprovano il nostro modo di vedere, indichino un altro luogo. Abbiamo preso tre anni e mezzo per significare tre anni e mezzo, e non 1278 anni e mezzo, come abbiamo fatto nel primo capitolo di questa seconda parte, perché la divisione dell’Apocalisse, come l’avevamo tracciata nella nostra Introduzione § 4, e la brevità del tempo rimanente, ci hanno obbligato ad agire così).

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Rivelazioni della Suora della Natività:

T. 4, p. 407. “La Chiesa avrà ancora molto da soffrire; il primo assalto che dovrà sostenere, dopo quello che soffre ed attualmente ha subito, verrà dallo spirito di satana che susciterà contro di essa delle leghe e delle assemblee (la rivoluzione del 1830 si è fatta con la lega di tre partiti rivoluzionari che hanno regnato ognuno a turno, e per mezzo delle assemblee, la Camera dei deputati ed i 224).

T. 2. p. 76, “Ecco ancora (la parola ancora indica l’inizio di una nuova rivoluzione) l’ora del potere delle tenebre si avvicina; il cielo lascerà ancora un grande potere finché i miei nemici non siano giunti al precipizio che stavano ciecamente scavando sotto i loro piedi. – Altre volte, Gesù Cristo mi ha parlato della persecuzione della sua Chiesa solo per deplorare la perdita di anime e l’offesa alla Divinità. Oggi, al contrario, non mi parla che dei trofei della sua passione, delle vittorie della sua Chiesa e del castigo dei suoi nemici, dai quali si prepara a trarre una vendetta eclatante. – I miei nemici si rallegrano e dicono tra di loro… La nostra vittoria sarà presto completa… Insensati! Essi corrono verso la loro perdita… Vedo il turbine dell’ira divina che li inghiottirà e li seppellirà proprio quando la loro empietà credeva di raggiungere il suo termine … I miei nemici si rallegrano… ma la loro gioia sarà seguita da molti dolori. Essi innalzano dei trofei contro di me, ma con i trofei delle loro vittorie Io stabilirò la loro rovina e la loro sconfitta. I malvagi fanno decreti contro la mia Chiesa, ma secondo i decreti della mia giustizia, essi periranno con i loro decreti e le loro leggi sacrileghe (La differenza nelle parole di N. S., durante la seconda rivoluzione e durante la prima, corrisponde bene alle ali di una grande aquila che la donna riceve durante la seconda rivoluzione. – Apoc. cap. XII, v. 14).

VII. In mezzo a tanti mali e tanta corruzione, un certo numero di Cattolici aveva preso coraggio e si era impegnato a combattere contro il terrore e l’inferno, cosa che non era stata fatta durante la prima rivoluzione. Non arrossirono di fronte al Crocifisso; difesero la Religione, se non con successo, almeno con grande ardore e zelo. I Vescovi appoggiarono questa santa crociata con tutto il loro potere; Roma applaudiva e si rallegrava, perché vedeva la vittoria dopo la lotta (Fu nel 1833 che questa crociata cominciò ad essere organizzata e ad agire in Francia. Uomini che erano devoti al Cattolicesimo a corte, che erano stati sedotti da M. F. de Lamennais e dai suoi errori, e che ruppero con lui senza abdicare a tutti i loro principii, che, per questo, erano rimasti politicamente nella Rivoluzione, e quindi avevano la franchezza della parola, stabilirono la Lega Cattolica di cui il conte de Montalembert fu uno dei capi più eminenti. Di là la creazione di un giornale quotidiano, l’Univers nel 1837. Coloro che dirigono questo giornale dopo più di dieci anni si sono dimostrati ancora più zelanti e devoti di M. de Montalembert; hanno difeso la Chiesa con più calore, anche con più talento. Istruiti dall’esperienza, hanno rifiutato il gallicanesimo e diversi principi rivoluzionari, in particolare il parlamentarismo e le libertà pubbliche. C’è solo una verità sociale che non riconoscono espressamente. Speriamo che un giorno la sosterranno; e pensiamo, nel frattempo, che se non lo fanno al momento, è perché vogliono preservare i mezzi per parlare liberamente per la Chiesa; perché ci sono momenti in cui non si può dire tutta la verità.). –  Questo nuovo elemento crebbe a poco a poco; radunò tutti i cuori giusti, tutte le menti giuste; fu in grado di combattere con qualche vantaggio contro i falsi principi e le cattive passioni, sostenuto com’era dalle ali di una grande aquila che questa volta la nostra santa madre Chiesa aveva ricevuto (Et datæ sunt mulieri alæ duæ aquilæ magnæ, ibid . v. 14). – Il cielo, che aveva avvertito l’umanità colpevole con l’apparizione della croce di Migné, ha riversato abbondanti grazie sulla terra per convertirla. Abbiamo visto i numerosi miracoli della Medaglia Miracolosa, l’istituzione dell’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria, la discesa misericordiosa della nostra buona Madre sulla montagna di La Salette, i prodigi abbaglianti delle immagini miracolose d’Italia, la propagazione e l’estensione della devozione al Sacratissimo Cuore di Gesù, l’erezione dell’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria, l’erezione dell’Opera stabilita nella diocesi di Langres come arciconfraternita per la riparazione dei giuramenti, delle bestemmie, delle violazioni dei giorni consacrati al Signore, tutte cose che presagivano a tempi migliori e che mostravano  la stella del mattino (stella matutina) ancora in lontananza, illuminando il mondo con la sua luce più brillante con la proclamazione della sua Immacolata Concezione (Possiamo fare qui un’osservazione che ci giustifica nel nostro desiderio di vedere tutto in Francia. Molti miracoli sono avvenuti in Italia e nel nostro paese. In Italia, i prodigi (tranne l’apparizione al signor Regensburg che era francese) avvenivano su immagini di Gesù e di Maria. In Francia Maria stessa è apparsa e ha parlato. Da questo si può dedurre che il ruolo principale appartiene alla Francia. Non è dunque lo spirito nazionale che ci fa parlare in questo modo; al contrario, tremiamo per la nostra Nazione se, ricevendo tante grazie e favori, non compie, come dovrebbe, tutti i disegni della Provvidenza e non compie tutta la sua missione.). – Così, durante la seconda rivoluzione appartenente alla quinta età, il germe della sesta età fu posto nelle menti, e rappresentato dalle ali di una grande aquila. Da allora cresce, si sviluppa e lotta contro le disposizioni prevalenti, per superarle con la forza divina e poi per farle scomparire completamente. – Nel 1852, il tumulto della strada cessò, i trasporti, le deportazioni, gli internamenti produssero una tranquillità più apparente che reale; gli spiriti superficiali, quelli che conoscevano poco del loro dovere o se ne preoccupavano poco, sentendosi troppo stanchi della lotta, sprofondarono in un indegno letargo; abdicarono in ogni azione, diedero un assegno in bianco a coloro ai quali il contraccolpo delle rivoluzioni aveva attribuito il potere, come se un potere qualunque non avesse bisogno, per combattere il male, dell’appoggio attivo e continuo della parte onesta del popolo; e chiedevano un solo permesso, quello di andare tranquillamente per i loro affari e le loro funzioni, mentre l’anticattolicesimo, che non era né morto né disarmato, lavorava nell’ombra, con il massimo ardore, e si preparava a sconvolgere nuovamente il mondo.

VIII. Il cielo malediceva questa azione oscura e criminale dei malvagi, ma è stato ben lungi dall’approvare la compiacenza e l’indifferenza di molti di coloro che erano chiamati i buoni. Così ha raddoppiato i suoi colpi in modo sorprendente. Era stata promessa la pace, e nello stesso momento sorgeva una guerra lontana e formidabile, quasi senza causa, che durò due anni, costò la vita di più di un milione di uomini in quel breve intervallo, e che fu il più grande salasso che sia stato fatto, in pari tempo, all’umanità da quando essa esiste. La carestia ha devastato la terra con la continuazione della malattia della patata, con la malattia generale dell’uva, la prima a verificarsi, che è iniziata nel 1850 e 1851, e che non ha fatto che aumentare, diffondersi, ed esiste ancora oggi; con la penuria di cereali che è durata fino all’anno 1857; con la straordinaria mortalità del bestiame; con le inondazioni (1856) più grandi di quelle che avevano già avuto luogo; da un costo così elevato delle cose più necessarie alla vita, che il popolo vive, da parecchi anni, solo di privazioni e di dolori, e che la mortalità, a causa della miseria e della fame, è salita, solo in Francia, secondo le statistiche riportate dai giornali, da 71.000 nel 1854, a 80.000 nel 1855, poiché le cifre del 1856 e 1857 non sono ancora state date; dalla peste (colera) che ha colpito tutta l’Europa per due anni consecutivi, nel 1854 e nel 1855; dai numerosi e terribili terremoti che, iniziati nel giugno 1854, si sono rinnovati, ora su un punto, ora su un altro, e hanno appena colpito in modo così crudele il regno di Napoli, dove più di trentamila dei suoi abitanti sono stati recentemente persi (A questi terremoti si può aggiungere quello che ha appena avuto luogo in Messico). Ah, se i flagelli del cielo indicano che Dio non è contento dei pensieri, dei sentimenti e delle azioni degli uomini, in nessun altro momento Egli è stato così arrabbiato, in nessun altro momento gli abitanti della terra sono stati così colpevoli; perché i colpi così forti, così frequenti e così raddoppiati che Egli sta mandando contro di noi negli ultimi cinque anni, superano di gran lunga tutti quelli con i quali Egli ha colpito nei secoli precedenti, anche nella prima metà del nostro. – A questo triste periodo dal 1827 al 1852, sembrano riferirsi 1° queste parole di Nostro Signore, in San Matteo, cap. XXIV, v. 7, 8: « Consurget enim gens in gentem, et regnum in regnum, et erunt pestilentiœ et fames et terræ motus per loca. Hæc autem omnia initia sunt dolorum » (Una nazione si solleverà contro una nazione e un regno contro un regno. Ci saranno piaghe, carestie e terremoti in vari luoghi. Tutte queste cose sono l’inizio dei dolori.), termini che sono l’esatta, succinta e completa storia di tutto ciò che abbiamo visto. 2° E questo passo di Isaia che annunciava, duemilaseicento anni prima, le disgrazie che avrebbero un giorno colpito la terra, e in particolare questa epidemia generale dei vigneti che fu predetta una seconda volta, ai nostri giorni, sul monte di La Salette (Et terra in fecta est ab habitatoribus suis, quia transgressi sunt leges, mutaverunt jus, dissipaverunt fædus sempiternum, cap. XXIV, v. 5. Propterea maledictio vorabit terram, et peccabunt habitatores ejus. Ideòque insanient cultores, et relinquentur homines pauci, v . 6. Luxit vindemia, infirmata est vitis, ingemuerunt omnes qui lætabantur corde, v. 7. Cessavit gaudium tympanorum, quievit sonitus lætantium, conticuit dulcedo cithara, v. 8. Cum cantico non bibent vinum, amara erit potio bibentibus illum, v. 9 Attrita est civitas vanitatis, clausa est omnis domus nullo introeunte, v. 10. Clamor erit super vino in plateis; deserta est omnis lætitia, translatum est gaudium terræ, v. 11. Relicta est in urbe solitudo, et calamitas opprimet portas – La terra è stata contaminata dai suoi abitanti, perché hanno trasgredito le leggi, cambiato la legge, dissipato il patto eterno. Per questo motivo, la maledizione divorerà la terra e i suoi abitanti peccheranno ancora di più. I contadini diventeranno insensati, e rimarranno pochi uomini; la vendemmia ha pianto, la vigna è malata. Tutti coloro il cui cuore si rallegrava gemono. La gioia degli strumenti musicali è cessata. Il brusio di coloro che gioivano non si fa più udire, né i dolci accordi dell’arpa; non berranno più il vino cantando, la bevanda sarà amara a coloro che la berranno. La città della vanità è colpita; le sue case sono chiuse, nessuno vi entra, la città è nella desolazione e la sventura è alle sue porte. – Noi abbiamo citato e citeremo ancora diversi passaggi di Isaia. Si potrà obiettare che noi facciamo false applicazioni, perché questo Profeta non ha visto fino alla fine del mondo. Noi risponderemo che è de fide, per un Cattolico sottomesso alla Chiesa, che Isaia abbia predetto fino agli ultimi giorni; testimone ne è questo saggio passaggio dell’Ecclesiaste, cap. XLVIII, 25, 27, 28: «Isaias, propheta magnus, et fidelis in conspectu Dei, – spiritus magnus vidit ultima usque in sempiternum. Ostendit futura et abscondita antequam evenirent »), v. 12. E la causa di tutte queste disgrazie è, come dice il Profeta, la trasgressione delle leggi, il cambiamento della legge, il rifiuto sprezzante dell’alleanza eterna. – Lungi dal battersi il petto e tornare al loro Dio, gli uomini diventano ogni giorno più malvagi e sprofondano nel crimine; qui la predicazione cattolica è ostacolata, là la Chiesa è contaminata, i suoi prelati sono imprigionati ed esiliati; altrove e in molti luoghi, si commettono orribili regicidi che trovano esecutori, attori, glorificatori e persino remuneratori. – Questa azione perseverante del male, sostenuta dall’ambizione, dall’apatia, dalla mancanza di intelligenza o dalla debosciatezza di coloro che dovrebbero combatterla, il disprezzo delle grazie del cielo e degli avvertimenti divini più numerosi di quelli dati in altre epoche; le preghiere dei fedeli, la necessità, come risultato dei decreti divini, di una conversione generale, che sarà portata o da una straordinaria effusione di grazia, se i buoni faranno sufficiente riparazione per i malvagi, o dalla forza del castigo, secondo le parole di Nostro Signore in San Luca, cap. XIV, 23: « Compelle intrare, ut impleatur domus mea – Costringeteli ad entrare finché la mia casa sia piena); la potente bontà di Maria, alla quale la terra ha finalmente riconosciuto il suo più glorioso privilegio, il principio della sua divina Maternità, porterà certamente prima o poi ad una lotta più forte di tutte le altre, ad una crisi decisiva dove il diavolo userà tutti i suoi mezzi, dove Dio dispiegherà la sua potenza. Il serpente, questa volta, getterà dalla sua bocca, dietro alla Donna (la Chiesa), un fiume per portarla via con il torrente delle acque. Ma la terra, per la prima volta dopo molto tempo, aiuterà la santa Sposa di Gesù Cristo; aprirà i suoi abissi e inghiottirà il fiume minaccioso; E il drago, furioso per la sua sconfitta sul campo di battaglia che aveva scelto, e dove sperava di piantare per sempre il suo vessillo, combatterà tutti gli altri popoli che obbediscono alla Chiesa, e non si fermerà fino al bordo del mare, alla fine di tutta la terra, e dopo essere stato sconfitto ovunque (Et misit serpens ex ore suo post mulierem aquam tanquàm flumen , ut cam faceret trahi à flumine, Apoc. cap. XII, v. 15. Et adjuvit terra mulierem, et aperuit terra os suum, et absorbuit flumen, quod misit draco de ore suo, v. 16. Et iratus est draco in mulierem, et abiit facere prælium cum reliquis de semine ejus, qui custodiunt mandata Dei, et habent testimonium Jesu Christ , v. 17. Et stetit supra arenam maris – E il serpente fece uscire dalla sua bocca dietro alla donna un’acqua grande come un fiume, per trascinarla via con la forza del torrente di acque. Ma la terra aiutò la donna, aprì le sue profondità e assorbì il fiume che il drago aveva vomitato dalla sua bocca, e il drago era ancora più arrabbiato con la donna, e se ne andò a combattere contro gli altri figli che osservano i comandamenti di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, e si fermò sulla sabbia del mare -, v. 18) – Holzhauser – vol. 2, p. 37, Wüilleret) vede in questo fiume le deplorevoli tragedie dei secoli 11°, 12° e 13° che agitarono la Chiesa latina, e che non erano molto forti.-). Non si dica che queste grandi acque, questo fiume, non rappresentino i popoli sollevati contro la Chiesa; perché San Giovanni afferma che è così, e ci dice, nel capitolo XVII, che le grandi acque su cui siede la prostituta (Quæ sedet super aquas multas, v. 1) sono i popoli, le nazioni e le lingue (Aquæ quas vidisti, ubi meretrix sedet, populi sunt, et gentes, et linguæ, v. 15). – Il capitolo IX dell’Apocalisse ci sembra descrivere ancora meglio questo triste periodo dal 1827 alla grande crisi che abbiamo appena menzionato. San Giovanni sembra collocarsi in un periodo di calma, che sembrano essere i quindici anni di quella che è stata chiamata la Restaurazione, durante i quali i venti rivoluzionari non hanno soffiato sulla terra in modo tale da sconvolgerla. Al suono della sesta tromba, una voce venne dall’altare e disse all’Angelo che suonava la tromba di sciogliere i quattro angeli che erano legati al grande fiume Eufrate, cioè i rivoluzionari e gli anticattolici che erano senza potere nella civile Europa; infatti, Eufrate significa una cosa ben ordinata (Et sextus Angelus tuba cecinit, et audivi vocem unam ex quatuor cornibus altaris aurei, quod est ante oculos Dei, v. 13. Dicentem sexto Angelo qui habebat tubum: Solve quatuor Angelos qui alligati sunt in flumine magno Euphrate – E il sesto angelo suonò la tromba, e sentii una voce dai quattro angoli dell’altare d’oro che è davanti agli occhi di Dio, che diceva al sesto angelo che aveva la tromba: Sciogliete i quattro angeli che sono legati sul grande fiume Eufrate. – Holzhauser dice che questo sesto angelo è Lutero, e altrove lo sterminatore – vol. 1, pp. 381-393, Wüilleret). Queste due cose cose si escludono a vicenda. – se l’Angelo che suona la sesta tromba slega gli angeli ribelli, è perché le trombe indicano il male e la condotta dei malvagi, come abbiamo detto), v. 14. – E allora furono sciolti quei quattro angeli malvagi (poiché solo gli angeli ribelli sono legati), che erano preparati per l’ora, il giorno, il mese e l’anno in cui dovevano uccidere la terza parte degli uomini, e che, per questo motivo, si alzarono improvvisamente senza alcun pensiero. La loro cavalleria (che indica la loro grande velocità) era così numerosa che il Profeta la stima in venti milioni di uomini; i cavalieri avevano corazze di fuoco, giacinto e zolfo; le teste dei cavalli sembravano teste di leoni, il che rappresenta la loro forza e malvagità, e dalle loro bocche uscivano fuoco, fumo e zolfo (Et soluti sunt quatuor Angeli, qui parati erant in horam, et dicm, et mensem , et annum, ut occiderent tertiam partem hominum, v. 15. Et numerus equestris exercitûs vicies millies dena millia; et audivi numerum corum , v. 16. Et ita vidi equos in visione, et qui sede bant super eos habebant loricas igneas , et hyacinthinas et sulphureas , et capita equorum erant tanquàm capita leonum, et de ore eorum procedit ignis, et fumus, et sulphur, v. 17). – Queste tre piaghe, fuoco, fumo e zolfo, che uscirono dalla bocca dei cavalli, perché c’era il loro potere, le loro bestemmie e le loro abominazioni, uccisero la terza parte degli uomini, perché la spaventosa trama degli empi porterà a grandi massacri (Et ab his tribus plagis occisa est tertia pars hominum , de igne , de fumo et sulphure qui procedebant de ore ipsorum, v. 18. Potestas enim equorum in ore eorum est, v. 19) . Questi cavalli avevano anche code che assomigliavano a serpenti che ingannano gli uomini e ingannano le persone. Hanno fatto a gara con i cavalieri per danneggiare l’umanità colpevole, e per questo ci sembra che rappresentino le dottrine societarie, o meglio, antisociali dei nostri giorni, che hanno spinto il principio anarchico e anticristiano alle sue ultime conseguenze, e hanno così fortemente deluso coloro che hanno poca educazione, moralità e fortuna (Nam caudæ eorum similes serpentibus, ha bentes capita, et his nocent (Perché le loro code sono come serpenti, hanno la testa, e fanno male con queste.), v. 19. – Tante piaghe, castighi e tormenti temporali accumulati dalla bontà divina per convertire gli uomini con il timore, che è l’inizio della sapienza, non producono l’effetto proposto, anche su molti di coloro che erano considerati buoni. Gli uomini ciechi non riconoscono la mano che li colpisce e che ha aspettato così a lungo per farlo. Non si pentono delle opere delle loro mani; sprofondano ancora di più nel male; continuano a correre dietro agli onori, ai piaceri, agli agi e alle comodità della vita, a seguire ancora più fortemente e in tutto, la natura viziata, per la quale Dio è un male, perché la legge comanda di combatterlo; ad adorare così i demoni, gli idoli d’oro e d’argento, di ottone, di pietra e di legno; non fanno penitenza per i loro omicidi, i loro avvelenamenti morali o fisici, le loro fornicazioni e furti, che hanno costituito la proprietà di molti di loro (Et cœteri homines qui non sunt occisi in his plagis, ncque pænitentiam egerunt de operibus manuum suarum, ut non adorarent dæmonia et simulacra aurea, et argentea, etærca, et lapidea, et lignea quæ neque videre possunt, neque audire, neque ambulare, v. 20 Et non egerunt pænitentiam ab homicidiis suis, neque à veneficiis suis, neque à fornicatione suâ, neque à furtis suis, v. 21).

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (8)

IL SEGNO DELLA CROCE (24)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (24)

Per Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA VENTESIMATERZA.

20 dicembre.

Ragioni del potere e dell’alta missione della croce. — Dogma fondamentale. — Quanto ha luogo nel mondo politico, è immagine di quell che avvade nel mondo morale. — La Riforma, prima figlia del risorgimento del paganesimo, abbatte tutte le croci. — La rivoluzione francese, seconda figlia del paganesimo, imita la sua sorella. — Secondo dovere: fare sovente il segno della croce. — Ragioni dedotte dallo stato attuale. — Terzo dovere: fare bene il segno della croce: condizioni. — Il segno della croce legno di eterna vittoria. — Costantino. — Lodi del segno della croce.

Tu non dimentichi, mio caro Federico, che di presente noi deduciamo le conseguenze pratiche, che emanano dal giudizio pronunziato fra noi ed i nostri avi. La prima è che noi dobbiamo fare risolutamente il segno della croce. Tuttavolta l’inappellabile sentenza del tribunale, fosse tale da essere norma di nostra condotta, pure, a mettere in rilievo tutta la dignità sua, ho voluto mostrarti, quanta vergogna, e quali pericoli e sventure ci verrebbero addosso da una teoretica e pratica rivolta contro di essa. I fatti t’hanno certiorato di tutto ciò. Tu hai visto il segno della bestia impresso su tutte le fronti, le labbra, i cuori e gli alimenti non santificati dal segno divino. D’onde trae ciò la origine sua? Ho promesso dirtelo, eccomi a compiere la mia promessa. – In nessun modo può mancare che il segno della bestia sia impresso in ogni uomo, ed in ogni cosa, che non trovasi dall’egida del segno liberatore dell’uomo e del mondo, difeso; avvegnaché non v’ha che un solo preservativo per l’uomo, contro satana, ed un solo parafulmine pel mondo: il segno della croce. Dove questo manca, satana agisce da padrone. Le quali cose, come ben altre volte abbiamo detto, dipendono e traggono tutta la loro evidenza dal dogma della umanità il più profondo, ed il più incontestabile, la servitù dell’uomo, e del mondo allo spirito del male, di poi l’originale peccato. Per mettere in piena evidenza quel che ho chiamato alta missione della croce, concedimi che io ti venga ricordando qualche tratto istorico, che è troppo poco considerato.  – Quello che si osserva nell’ordine della cosa pubblica è un riflesso di quanto ha luogo nel mondo morale. Ora quando una dinastia è assisa sul trono, dessa si studia d’innalzare il proprio stendardo, e scolpire il suo stemma da per tutto, poiché ciò è segno di sua dominazione. Come per opposto, se dal trono è rovesciata, primo atto del conquistatore è tor via gli emblemi della caduta dinastia per rimpiazzarli con i propri, cosi annunziandosi ai popoli l’inaugurazione dei nuovi regni. Da poi settanta anni in Francia ed altrove, quanti di questi mutamenti di colori e di stemmi non abbiamo veduto! Quindi il Verbo incarnato venendo sulla terra per Io possesso del suo regno trovò satana che con esso la faceva da re e da Dio, e le statue ed i trofei, gli stemmi di lui da per tutto erano innalzati; ma vintolo, i segni della sua dominazione disparvero, ed a loro vece brillò lo stemma del vincitore, la croce. Per la qual cosa, se un’anima od un paese, in pena delle sue colpe, è dannato di nuovo in servaggio di satana, il primo atto dell’infernale usurpatore è il far disparire la croce. Questa disparsa, comincia a far tirannico strazio del suo conquiso, non avendo più da temere il formidabile segno.  – Rileggi una pagina della storia della patria tua. Dal 1520 al 1530 quale miserevole spettacolo non ti presenta l’Allemagna? Dal Reno al Danubio, tutte le croci, che, dipoi la vittoria del Cristianesimo riportata sulla idolatria scendinava, sormontavano i monti e le colline, fiancheggiavano le vie, smaltavano le campagne, ornavano le case, coronavano le chiese, onoravano gli appartamenti e consolavano l’animo dolente dell’abitante del tugurio, furono abbattute, messe in pezzi, gettate al vento, ravvoltolate nel fango al grido di un popolo delirante. Qual cosa annunziava questo turbine distruttore? L’arrivo del vincitore, il ristabilimento del suo regno. Da quel momento lo spirito delle tenebre domina l’Allemagna, e vi regna, come nel vecchio mondo, con la voluttà e crudeltà d’ogni maniera, col brigantaggio, colla confusione del giusto e dell’ingiusto, coll’anarchia intellettuale d’ogni nome, e d’ogni forma. Né altro da questo è lo spettacolo che ti presenta la Prussia, la Svezia, la Norvegia, l’Inghilterra, la Svizzera, e tutte le contrade dove l’usurpatore ha preso il posto del legittimo re. Il che è tanto più significativo, chenon trovasi isolato nella storia, ma lo si vede riprodotto tutte le volte che satana prende nuovo possesso di un paese. Particolare, o generale che sta, lento o rapido, desso èil carattere della vittoria infernale, e ne misura l’esteriore. Nel 1830 noi numerammo a centinaia le croci abbattute: il 1830 fu un aborto del 93. In questa ultima epoca, epoca di trionfo completo pel paganesimo, fu ben altrimenti, poiché a migliaia le croci furono abbattute sul suolo francese, ed in tal tempo di lugubre memoria, ma istruttivo, vi fu un giorno più nefasto fra tutti. Sotto i colpi di orde fanatiche, il 1793 vide cadere nel sangue l’altare ed il trono. I massacri del convento del Carmine, e di S. Firmino, la proclamazione della repubblica, l’assassinio di Luigi XVI, le ecatombe del Terrore, le nefandezze del Direttorio, le apostasie, i sacrilegi, le dee della Ragione, furono le conseguenze di quel disgraziato giorno, che ricorderà eternamente l’ora precisa in cui satana entrò trionfalmente nel regno cristianissimo. Ora in quel momento, dice uno scrittore, un uragano straordinario scoppiò sopra Parigi. Un calore soffocante avea, lungo tutto il giorno, impedita la respirazione, e le nuvole addensate e di un sinistro colore aveano ricoperto e nascosto il sole come in un oceano sospeso nell’aria. Verso le dieci l’elettricità cominciò a sprigionarsi con spesso lampeggiare, simile a luminose palpitazioni del cielo. 1 venti squarciando le nubi, come onde di mare tempestoso, abbattevano le messi, spezzavano gli alberi, trasportavano altrove i tetti. In men che io il dica, le case fur chiuse e le strade deserte. Il fulmine per otto lunghe ore non cessò dal colpire uomini e femmine, che si conducevano a’ mercati di Parigi, e molte sentinelle furono ritrovate morte fra le ceneri delle loro garitte, e la forza del fulmine strappava da’ gangheri le inferriate balzandole a smisurata distanza. Le due alture che sormontano l’orizzonte di Parigi, Montmartre ed il monte Valeriane attrassero in gran parte l’elettrico delle nubi, che l’inviluppavano, ma scaricandosi questo su lutti i monumenti isolati surmontati da punte di ferro, abbattè tutte le croci, che trovavansi nelle campagne, sulle piazze, e lungo le strade, dal piano d’Issy per tutto il bosco di san Germano e di Versailles sino alla croce del ponte di Charenton. L’indomani, le braccia di queste coprivano da per tutto il suolo, come se un’armata invisibile avesse rovesciato nel suo passaggio tutti i segni del ripudiato culto cristiano. – Nell’ordine morale nulla avviene per azzardo, come nell’ordine naturale niente ha luogo per saldo; epperò i fatti che narro hanno un significato. Questo è rivelato dalle circostanze, che lo accompagnarono e seguirono, le quali mostrano evidentemente perché è la croce sia in un paese, e perché vi manchi: insegnano altresì alle nazioni, alle città, alle provincie, agli uomini d’ogni maniera, quanto debba esser loro a cuore il conservare il segno della croce, moltiplicarlo, ed onorare il segno protettore di tutta la creazione. – Fare il segno della croce soventemente è la seconda conseguenza pratica della emanata sentenza. E perché nol faremo noi? perché ciascuno a sua posta non tornerà ai pii usi dei padri nostri? Eglino non si reputavano sicuri un’istante, ed in tutte le azioni, tuttavolta queste facilissime si fossero, se non protetti dal segno salutare. Siam noi forse da più di loro nel coraggio? Le tentazioni nostre son forse minori nel numero e nella forza delle loro, i pericoli che ne circondano, meno gravi, e i doveri nostri, da meno dei loro? Tutte le volte che i padri nostri sortivano dalle abitazioni, s’incontravano con statue, pitture, oggetti osceni, erano nel mezzo di usi e di feste, in cui lo spirito del male si rivelava in ogni maniera? E quali sono i discorsi, le conversazioni, i canti che i casti orecchi è forza che sentano? Il  sensualismo ed il naturalismo delle idee e dei costumi pubblici e privati, con tutta l’apparenza delle belle forme, sono in continua cospirazione contro al soprannaturale della vita, contro lo spirito di mortificazione, di semplicità, della povertà e del distacco dalle cose periture e passeggere della terra. Eglino erano in continua tenzone per difendere la fede contro i sarcasmi, il disprezzo ed i sofismi della plebe, e della filosofia pagana; doveano rispondere ai giudici ne’ tribunali, e comprovare la loro credenza negli anfiteatri; ed in tutta questa pugna, il mezzo di che usavano a confortarsi, era il segno della croce, il solo segno della croce. E per noi Cattolici del secolo XIX, non è forse la condizione simile? Quanto ci circonda, non è forse, o cerca divenire pagano? Mi si mostri una parola di evangelo nella maggior parte degli uomini? Le città di Europa non sono di presente inondate di statue, di quadri, di fotografie esposte, forse a disegno, per accendere negli animi disonesti amori? Qual cosa mai manca per essere per filo ed a segno pagano la mensa, la mobiglia, gli abiti del mondo moderno? la schiavitù, e la ricchezza. Ma gli istinti sono gli stessi che aveano gli uomini del tempo dei Cesari! Simile spettacolo è continuata insidia! Guai a colui che di esso non si avvede, ma più ancora per chi non custodisce da esso notte e di i suoi sensi ed il suo cuore! Se torna difficile la difesa dei nostri costumi, quanto non è altresì malagevole sostenere le guerre per la difesa della fede! È un’epoca la nostra in cui le false idee, le menzogne, i sofismi circolano nella società come gli atomi nell’aria. Da per tutto è l’anfiteatro, in cui è da combattere per la Chiesa, per le nostre credenze, usi, tradizioni, pel soprannaturale cristiano: l’arena non è mai chiusa, e come un combattimento è per finire, tosto un altro ne comincia. I primi Cristiani posti in simili condizioni, un’arma sola conobbero vittoriosa, universale e famigliare, di che facevano continuo uso, il segno della croce. Potremmo noi trovarla migliore? E se fu tempo in che era necessario usare di questo segno per noi e le creature, l’è questo nostro; chi può però impedirci d’imitare i nostri avi? E che cosa può avere d’incompatibile il segno della croce eseguito sul cuore, o secondo l’antico uso, col pollice sulla bocca, con le nostre occupazioni?’ Se siamo vinti, chi n’è causa? Perditio tua ex te, Israel! – Far bene il segno della croce è la terza applicazione della sentenza pronunziata. La regolarità, il rispetto, l’attenzione, la confidenza, la devozione, devono accompagnare la nostra mano, quando essa forma l’adorabile segno.  La regolarità: questa vuole che il segno della croce nella sua forma perfetta, secondo la tradizionale usanza, sia fatto con la mano destra, e non con la sinistra, portandola lentamente dalla fronte al petto, da questo alla spalla sinistra, e quindi alla destra. In ciò nulla di arbitrario (Nominato Spiritu Sancto, dum ab uno ad alteram latus sit transversio. — Navarr. Comment, de oral. et oris canon c. XIX, n. 200); che se i primi Cristiani venissero fuori dalle loro tombe, non altrimenti eseguirebbero il segno della croce. Ascoltiamo un testimone oculare, «Noi facciamo il segno della croce su i catecumeni con la destra, comechè questa più nobile è reputata, tuttavolta non differisca dall’altra, che per sola postura e non per natura: parimente noi preghiamo rivolti all’oriente, essendo questa la parte più nobile della creazione. Le quali cose la Chiesa le ha apprese da coloro, che le insegnarono a pregare, gli Apostoli – S. Iustin. Q. XVIII). » – Sul conto della dignità della mano destra abbiamo un bel passo di santo Agostino. « Non rimproverate voi, dice egli, colui che vuol mangiare con la sinistra mano? Se voi stimate insulto fatto alla vostra mensa il mangiar dell’invitato con la mano sinistra, come non lo stimereste ingiurioso per la mensa divina far con la sinistra quello, che andrebbe fatto con la destra, e far con questa l’opera di quella (S. August, in psalm. 136). » E S. Gregorio aggiunge: « È questa una maniera di parlare degli uomini. Noi stimiamo più nobile ciò che trovasi a destra, di quello che trovasi a sinistra » (S. Gregor. Moral, lib. XX, c. 18). – Le parole che accompagnano il segno della mano, sono parimente di apostolica tradizione, poiché le si trovano descritte da tutta l’antichità. Santo Efrem scrive: « Su tutto che incontrate fate il segno delia croce nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo » (S. Ephrem De Panoplia). E santo Alessandro martire, condannato nel capo da Massimiano, sotto le cui bandiere militava, rivoltosi all’oriente, e segnatosi tre volte, disse: « Gloria ne venga a voi, o Dio dei padri nostri; Padre, Figlio e Spirito Santo » (Apud Surium, 13 Maii).   Questa maniera di segnarsi, che descriviamo, è più in uso fra i Cristiani de’ tempi nostri che presso gli antichi; poiché la forma di croce con che costumavano segnarsi , era quella del pollice sulla fronte : Frontem crudi signaculo terimus; comechè facile fosse ripeterla ed opporle ai nemico. Di presente un siffatto modo è in uso nella Spagna, ed in altri paesi ancora. Ma perché più tosto sulla fronte che non sul cuore? In questo, mio caro Federico, come in mille altre cose dell’antichità v’hanno dei misteri, ed io ne conto cinque: – Il primo, per onore del divino Crocifisso. Non senza ragione il Verbo incarnato ha voluto che il suo segno fosse impresso sulla fronte, dice santo Agostino; in essa ha sua sede il pudore, ed egli ha voluto che il Cristiano non abbia ad onta gli obbrobri del suo Maestro. Se voi lo eseguite, seguitandosi egli dice, alla presenza degli uomini, e se non la stimate vostra vergogna, mettete pure ogni vostra confidenza nella divina misericordia di lui » (S. August, in Psal. 30. Enar. IV, n. 8 ). Il secondo, è per onorare la nostra fronte. Il segno della croce è il segno della fronte, signaculum frontium (Tertull. contra Marcion., lib. V.). E santo Agostino: « Una fronte senza questo segno è come una testa senza capelli. Come il capo calvo è fatto segno alle burle, ed è cosa da averne rossore, così l’è parimente per una fronte senza questo segno; dessa è impudente. Non sapete voi che l’uomo per insultar l’altro uomo gli dice: Tu non hai fronte? Il che suona: Sei impudente: Dio mi preservi dall’avere la fronte nuda, il segno del mio Maestro la copra e la onori » (In psal. 131). – II terzo, è il miracolo della redenzione. Il segno della croce è un trofeo. Questo si eleva non fra le tenebre e negli infimi luoghi della città, ma lungo le pubbliche piazze, dove da tutti possa andar veduto, e con la sua presenza ricordare le gesta ed i trionfi del vincitore. « Ecco ragione, dice santo Agostino, da aver stabilito il Verbo divino, che la fronte dell’uomo, membro il più visibile ed il più nobile, venisse segnato dal trofeo della vittoria riportata sulle potenze infernali (In Joan. Trad. XXXVI.). » Passando la croce dal luogo del supplizio sulla fronte degl’imperatori, dovea proclamare eternamente il gran miracolo della conversione dell’universo. Il quarto, il diritto di Dio sopra dell’uomo. Il divino Crocifisso, preso possesso dell’uomo, lo ha segnato col suo stemma, come il proprietario contrassegna col suo tutto che gli appartiene. « Tosto che il Redentore ebbe reso libero l’uomo, scrive S. Cesario di Arles, impresse su di lui il proprio segno. Questo segno è la croce. Noi lo abbiamo sulla fronte impressovi dal vincitore per insegnare a tutti, che noi siamo sua possessione e suoi tempii viventi, e satana furioso, invidia a tanta nostra ventura, ed agogna ad involarci il segno del nostro riscatto, la carta di nostra libertà (Cæsar. Arelat. Humil. V, de Pascha.). » – II quinto è la dignità dell’uomo. La fronte e la parte più nobile dell’umano corpo, ed è come la sede dell’anima; però il demonio con ogni studio cerca di sformare la umana fronte più di ogni altro membro, perché chi è padrone del capo, l’è di tutto l’uomo. Il rendere deforme quest’organo con artificiali compressioni, è stato in voga in molti tempi, ed al presente esiste ancora in alcuni paesi. Sfigurare la divina immagine nell’uomo, indebolire le intellettuali facoltà, sviluppare gl’istinti i più volgari, furono i risultati di questo sformare del capo umanamente inesplicabile. Il perché, il riparatore di tutte le cose, Nostro Signore, ha voluto che il segno della croce fosse a preferenza marcato sulla fronte, per liberar l’uomo, o, rendendogli la libertà, elevarlo nella pienezza delle sue facoltà alla dignità del suo essere (Circa la disposizione delle dita nella formazione della croce, se ne citano tre. La prima con le dita tutte distese, come comunemente è in uso. La seconda distendendo solamente le prime tre, e chiudendo le altre, come costumasi dai Vescovi nel dare la pastorale benedizione, maniera usata nel tredicesimo secolo, e pare che di siffatto modo i sacerdoti facessero il segno della croce sulle oblate; poiché leggesi in Leone IV (de cura Pastorali): Calicem et oblatam recto cruce signate, idest, non in circulo et rotatione digitorum, ut plurimi faciunt; sed districtis duobus digitis et pollice intus recluso per quos Trinitas innuitur. Il terzo, avendo tutte le dita distese, usando solo del dito pollice per segnarsi. Questa maniera è in uso per amministrare alcuni sacramenti, ed i fedeli si segnano di siffatto modo alla lettura del Vangelo sulla fronte, sulle labbra e sul cuore, ad accennare gli affetti del Vangelo).- Il rispetto è un’altra condizione per ben fare il segno della croce: avvegnaché è un atto di religione degno di ogni venerazione. Questo dev’essere inspirato dalla sua origine, dalla sua antichità, dall’uso che ne ha fatto quanto il mondo ha visto di meglio, gli Apostoli, i martiri, i veri Cattolici della primitiva Chiesa e di tutti i secoli; per la gloria con che si presenterà l’ultimo giorno, quando, annunziato l’arrivo del supremo Giudice, dessa maestosa poserà dallato al tribunale supremo, per consolazione de’ giusti, ed eterna confusione de’ cattivi. – L’attenzione; senza di questa sarebbe un movimento da macchina, spesso inutile a noi, ed ingiurioso a Colui, di cui ricorda la maestà, l’amore ed i benefizi.  La fiducia; ma una fiducia da figlio, viva, forte, fondata sul testimone de’ secoli, la pratica della Chiesa, e su gli effetti meravigliosi prodotti da tal segno, liberatore dell’uomo e del mondo, che mette paura a satana.  – La devozione; che faccia corrispondere il cuore alle labbra. Eseguendo il segno della croce che fo io? Io mi proclamo il discepolo, il fratello, l’amico, il figlio di un Dio crocifisso; epperò sotto pena di mentire a Dio, io devo essere quello, che dico. Ascolta i nostri padri. « Quando tu ti segni, pensa a tutti i misteri raccolti nella croce. Non basta il farlo con le dita, è mestieri innanzi tutto farlo con la fede e buona volontà. Quando imprimi questo segno sul tuo petto, sopra i tuoi occhi, su tutte le tue membra, offriti a Dio come accettevole ostia. Segnandoti siffattamente, tu ti proclami soldato cristiano, ma se nelle stesso tempo, tu non pratichi, il più che da te si possa, la carità, la giustizia, la castità, questo segno non li varrà a nulla. »  « Nobilissima cosa è il segno della croce! Con esso sono da segnare i nobili e preziosi oggetti. Non sarebbe strano suggellare in oro la paglia ed il fango? Qual senso potrà avere questo segno sulle labbra e sulla fronte, se interiormente l’anima è immonda, ed in preda ai vizi (S.Ioan. Chrys. Homil. 51, in Matth.— S.Epfrem, Ds adorai, vivif. Cruc. D. A’. — S. Augustin. Serm. 215, de Temp. — Signum maximum atque sublime. Lactant. Divin. institut, lib. IV. c. 26)? »  – « Qual cosa mai, si dimanda santo Agostino, è il fure il segno della croce e peccare? E un porre il suggello della vita sulle labbra, e darsi un pugnale nel cuore da morirne (S. Cæsar. Serm. 278, inter Angustin). » Quindi il proverbio de’ primi Cristiani ripetutoci da Beda: «Fratelli, abbiate Gesù Cristo nel cuore, ed il suo segno sulla fronte. Habete Chrìstum in cordibus, et signum eius in frontibus » (Beda, tom. III, in collact. flor, et parab.).  Quindi santo Agostino aggiunge una bella parola: «Dio non vuole de’ pittori, ma degli operatori de’ suoi misteri. Se voi portate sulla fronte il segno della umiliazione di Gesù Cristo, portate altresì nel vostro cuore l’imitazione della umiltà di Lui » ( S. August. Serm 32). Ogni ragione ci assiste, ed è per siffatto nostro operare, né alcuno ardisca dire: il far bene o male il segno della croce, non è poi gran cosa. Altrimenti da ciò hanno pensato i secoli cristiani; altrimenti ha pensato la verità istessa. Ammettendo ancora che sia poca cosa un segno eli croce, il Verbo incarnato non ha forse detto: “Quello che è fedele nelle piccole cose, lo sarà altresì nelle grandi, e chi è infedele nelle piccole, l’è nelle grandi?” Non è forse questa fedeltà giornaliera e continua, che prepara, e forma la gloria eterna? Nel grande affare della propria salvezza, come negli altri è sempre vero che, ciò che basta non basta sempre; e che chi si contenta del solo necessario, lo farà difficilmente. – Fo io dieci volte al giorno il segno della croce? Se è ben fatto, dico dieci opere buone, dieci gradi di meriti e di felicità, dieci monete per pagare i miei debiti, e quelli de’ miei fratelli che sono sulla terra o nel purgatorio; dieci istanze per ottenere la conversione dei peccatori e la perseveranza finale, per allontanare dal mondo e dalle creature le infermità, i pericoli ed i mali di che sono afflitti. Misura i meriti raccolti a capo di una settimana, di un anno, di una vita di cinquanta anni. E potrà ciò stimarsi cosa da poco! – Tu conosci ora, mio caro Federico, il segno della croce, e come questo debbasi eseguire: lascia all’amor mio confidarti un pensiero solo, un pensiero, che accenna un po’ a santa ambizione. Suppongo che uno straniero arrivi a Parigi, e che dimandi chi sia il giovane che nella gran capitale esegua meglio il segno della croce: desidero che tu sii nominato. A questo prezzo io ti prometto una vita degna de’ nostri avi della primitiva Chiesa, ed una morte preziosa agli occhi di Dio, e forse ancora gli onori della canonizzazione: In hòc signo vinces, per questo segno vincerai! Questa parola divina sempre antica e sempre nuova, poiché è la formula di una legge, che il gran Costantino primamente meritò d’intendere, qual tipo dell’uomo, e della cristiana famiglia. L’immortale Imperatore procedeva a marce sforzate contro Massenzio, per battere in battaglia questo spaventoso tiranno fattosi padrone della capitale del mondo. Ad un tratto, nel mezzo di un cielo sereno, una croce luminosa tanto, da superare il chiarore del sole, si manifesta a tutta l’armata, che stupefatta legge intorno ad essa scritto: in hoc signo vinces: per questo segno avrai vittoria. La notte seguente il Figlio di Dio compare all’Imperatore con lo stesso segno in mano, e gli ordina farne un simile da usarne in battaglia, con promessa di sicura vittoria. Costantino ubbidisce. Il segno celeste risplendente di oro e di gemme brilla allo sguardo delle legioni e diviene il celebre Labarum. Ovunque siffatto segno apparisce, rincora lo stanco soldato, accende coraggio nel cuore delle legioni di Costantino, e spavento produce in quelle di Massenzio; le aquile romane fuggono al cospetto della croce; il paganesimo innanzi al Cristianesimo; satana, il vecchio tiranno del mondo innanzi Gesù Cristo, il Salvatore di Roma e del mondo. Così esser dovea!  Massenzio disfatto ed annegato, Costantino trionfatore entrò in Roma. Una statua lo rappresenta con in mano una croce, e la seguente iscrizione ricorda ai posteri la prodigiosa conquista.

È QIESTO IL SEGNO SALUTARE

VERO SIMBOLO DI FORZA

PER ESSO DAL GIOGO DELLA TIRANNIDE

HO LIBERATO LA CITTÀ VOSTRA

AL SENATO AL POPOLO ROMANO HO RESO LA LIBERTÀ

L’AVITO SPLENDORE E L’ANTICA MAESTÀ

AD ESSI HO RIDONATO

(Euseb. Vit. Costant. C. 33)

Costantino, sei tu, sono io, ed ogni anima battezzata, è il mondo cristiano. Gettati noi nel mezzo della grande arena della vita, noi alla testa dell’armata de’ nostri sensi e delle nostre facoltà, camminiamo all’incontro di un tiranno peggiore di Massenzio. La nostra Roma è il cielo; esso vuole sbarrarcene la via, e viene contro di noi capitanando intiere legioni infernali; la battaglia è inevitabile. Dio ha provveduto alla nostra vittoria come a quella di Costantino, ci ha fornito di mezzo per trionfare, il segno della croce: In hoc signo vinces. Al presente, come in altri tempi, questo segno mette spavento a satana, formido dæmonum. Facciamolo con fede, ed il cammino della eterna città ci sarà aperto! E noi vincitori, e vincitori per sempre, per dovere di gratitudine eleveremo al cospetto degli Angeli e degli eletti una statua che avrà la costantiniana iscrizione.

É QUESTO Il SEGNO SALUTARE

VERO SIMBOLO DI FORZA

PER ESSO HO VINTO sATANA

LIBERATA QUESTA ANIMA E QUESTO MIO CORPO

DALLA TIRANNIDE DI LUI

I MIEI SENSI LE MIE FACOLTÀ  TUTTO L’ESSERE MIO

PER ESSO ETERNALMENTE GIOISCONO

IN HOC VINCES!

Salve, dunque dirò con i padri e dottori dell’Oriente e dell’Occidente, salve, o segno della croce! Stendardo del gran Re, immortale trofeo del Signore, segno di vita e di salute, segno di benedizione, terrore di satana e delle sue legioni, baluardo inespugnabile ed arena invincibile, scudo impenetrabile, spada da re, onore della fronte, speranza de’ Cristiani, farmaco salutare, risurrezione dei morti, guida de’ ciechi, consolazione degli afflitti, gioia dei buoni e terrore dei cattivi, freno dei ricchi, umiliazione dei superbi, giudice degl’ingiusti, libertà degli schiavi, gloria dei martiri, purità dei vergini, virtù dei santi, fondamento della Chiesa, salve (Gretzer, lib. IV, e. 54).- E tu, mio caro Federico, tu hai ormai la mia risposta alle tue questioni. L’autorità di tutti i secoli le ha sciolte a tuo favore. Quest’apologia vittoriosa della tua nobile condotta, ti convincerà, io lo spero, contro le burle ed i sofismi. Da un canto, tu sai quanto sia importante e solidalmente fondata la pratica continua del segno della croce; dall’altro, tu sei in grado da apprezzare il giusto valore della intelligenza di coloro che non lo fanno, e di giudicare com’eglino meritano il carattere di chi arrossisce di farlo:

In hoc vinces.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. BENEDETTO XIV – “MAGNÆ NOBIS”

« … in tutti i casi nei quali si chiedono facoltà o dispense alla Sede Apostolica per matrimoni di un uomo cattolico, o donna cattolica, con una donna eretica, o uomo eretico: la stessa Sede Apostolica, come sopra dicemmo, sempre disapprovò e condannò questi matrimoni, come anche ora li disprezza e detesta, se non sono preceduti dall’abiura dell’eresia ». È questo un passaggio chiave della Enciclica del S. Padre Benedetto XIV scritta ai Vescovi di Polonia e riguardo dei matrimoni tra Cattolici con eretici e acattolici. La questione è affrontata con riferimenti canonici precisi, quali il Sommo Pontefice Lambertini ben conosceva per il suo immenso bagaglio culturale teologico-canonico. Queste sono disposizioni ancora oggi in voga perché insopprimibili nel Magistero Pontificio, irreformabile ed eterno. Pensiamo allora agli infiniti matrimoni oggi celebrati da soggetti eretici (ad esempio i modernisti del Vaticano II con acattolici atei, eretici settari di ogni risma, sedevacantisti e fallibilisti lefebvriani compresi) o da settari scomunicati comunisti o sessuo-liberisti o aderenti a conventicole massoniche … tutti matrimoni da Dio aborriti come obbrobrio e desolazione, matrimoni maledetti e generanti una prole lontana dalla grazia divina e dalla via di salvezza. Ovviamente il problema non si pone per chi non ha alcuna idea delle leggi e delle disposizioni della Chiesa Cattolica, o ancor peggio, le tiene in gran disprezzo, credendo che un buonismo “fai da te” e un sentimentalismo becero, possano salvarlo dal fuoco eterno. Senza fede, né dottrina, non c’è nemmeno carità verso Dio, e – come dicono i teologi, a cominciare da s. Paolo – senza carità nulla può salvarci. Attenti a non trasformare una festa, che dovrebbe costituire l’inizio di una famiglia cristiana, in un trampolino o in una piattaforma di lancio per lo stagno di fuoco eterno.

Benedetto XIV

Magnæ nobis

È stato causa di grande meraviglia e di non minore dolore il fatto che dalla relazione di uomini degni di fede e da sicura comunicazione di uomini seri abbiamo imparato che in codesto Regno di Polonia ha preso forza una certa falsa, diffusa opinione: cioè che da questa Sede Apostolica (che Noi dirigiamo per divina volontà, pur senza Nostro merito) furono concesse e spedite, e tuttora si concedono e si sogliono spedire, certe dispense matrimoniali in cui sono tolti gli impedimenti canonici che si oppongono a contrarre matrimonio validamente, anche se uno dei contraenti, o ambedue, professano apertamente una setta eretica. E poiché questo è stato pensato e diffuso per offesa e intollerabile calunnia, penseremmo di venire meno all’officio del Nostro ministero apostolico se a Voi, Venerabili Fratelli, e a tutti coloro cui giungerà questa Lettera, non rendessimo manifesto quale sia in questo genere di cose la costante regola di agire di questa Sede Apostolica e la costante consuetudine; se non ammonissimo con forza e nel nome della divina misericordia, Voi tutti, anche singolarmente, di codesto Regno di Polonia (sempre eminente per fede e religione) nonché i Presuli ordinari, a leggere con attenzione le lettere delle dispense matrimoniali che vengono spedite da questa Sede e da questa Curia per gli abitanti di codesto Regno, e ad invitarvi a che vi adoperiate affinché esse vengano considerate con la massima cura dai Vostri Vicari e dai vostri funzionari. Noi abbiamo la certezza, e questo lo chiariremo subito, che se su questo argomento si è sbagliato, non accadde per colpa della Sede Apostolica e dei suoi ufficiali, ma degli Ordinari locali e dei loro ministri, che non si curarono di leggere quelle lettere o di riflettere su di esse. – Né è necessario affrontare la questione quando si può abbondantemente dimostrare l’antichità di quella regola per cui la Sede Apostolica sempre disapprovò i matrimoni dei cattolici con gli eretici. Ma quanto a questo saranno sufficienti alcune considerazioni, con le quali possiamo dimostrare che la stessa disciplina e regola furono costantemente osservate fino ai nostri tempi, e vigoreggiano non meno integre presso di Noi e la Sede Apostolica, e sono religiosamente custodite. È quello che di se stesso e dei suoi tempi ha attestato il nostro Predecessore di felice memoria Urbano VIII nella sua Lettera apostolica del 30 dicembre 1624 che si legge presso il cardinale Albizio nel libro intitolato De inconstantia in Fide, c. 37, n. 127, dove così scrive: “Giustamente crediamo che i matrimoni di cattolici con eretici si debbano sempre evitare e, per quanto sta in Noi, intendiamo tenerli lontani dalla Chiesa Cattolica“. Né meno chiaramente espose il suo parere il Nostro Predecessore di pia memoria Papa Clemente XI nella Lettera scritta il 25 giugno 1706 e stampata nella Raccolta dei suoi Brevi e Lettere, divulgata a Roma nel 1724 dove, a p. 321, così si legge: “Stimiamo essere di somma importanza per la Chiesa di Dio, per la Sede Apostolica, per i Nostri Predecessori e per i Sacramenti che non si trasgrediscano le regole secondo le quali i cattolici devono evitare il matrimonio con gli eretici, a meno che non richieda questo il bene di tutta la Comunità Cristiana“. In altra Lettera del 23 luglio 1707, pubblicata nella stessa Raccolta a p. 391, scrive: “La Chiesa aborrisce da questi matrimoni che portano con sé molte imperfezioni e non poco di spirituale pericolo“. – Crediamo anche che sia abbastanza chiaro il Nostro giudizio su questo argomento nel rescritto decretale emesso per Nostra autorità il 4 novembre 1741 e stampato nel tomo I del Nostro Bollario (n. 34, par. 3), le cui parole sono le seguenti: “Sua Santità si addolora moltissimo che vi siano tra i cattolici coloro che impazziscono per un insano amore, non detestano questi riprovevoli matrimoni che Santa Madre Chiesa sempre condannò e proibì e non pensano di astenersi. Loda assai lo zelo di quei Vescovi che, proponendo più severe pene spirituali, cercano di costringere i cattolici a non congiungersi con gli eretici con questo sacrilego vincolo; esorta ed ammonisce seriamente tutti i Vescovi e i Vicari apostolici, i Parroci, i Missionari e tutti gli altri fedeli Ministri di Dio e della Chiesa che stanno in quelle parti, soprattutto dell’Olanda e del Belgio, affinché i cattolici di ambo i sessi, per quanto possono, si astengano da siffatte nozze che tornano a danno delle loro anime, e si diano da fare per mutare le nozze stesse nel migliore dei modi e impedirle efficacemente“. In subordine, qualora sia già stato contratto il matrimonio di un cattolico con un eretico, si stabilisce: “Ciò deve indurre nell’animo dello sposo cattolico, sia maschio sia femmina, di fare Penitenza per il gravissimo peccato che ha compiuto e chieda perdono a Dio e cerchi secondo le sue forze di trarre al grembo della Chiesa cattolica l’altro coniuge lontano dalla vera Fede e così guadagnare la sua anima; ciò sarebbe quanto mai opportuno per impetrare il perdono per il crimine commesso, sapendo del resto, come si è detto sopra, che si è legati in perpetuo dal vincolo di questo matrimonio“. – A queste regole per così dire fondamentali della Sede Apostolica, risponde prima di tutto la stessa norma di comportamento confermata dall’uso costante. Infatti, tutte le volte che capita di ricorrere ad essa, sia per ottenere la semplice facoltà di contrarre matrimonio tra persone, una delle quali professa l’eresia, sia inoltre per ottenere la dispensa di qualche grado o di altro impedimento canonico, esistente tra i contraenti, non si concede né licenza né dispensa se non con questa espressa legge e con questa condizione: cioè che prima sia stata abiurata l’eresia. Ché anzi il Nostro Predecessore di venerata memoria, Papa Innocenzo X, andando più avanti, comandò e mise in guardia di non concedere siffatte dispense se non fosse stato informato, con documenti autentici, che l’errore eretico era stato abiurato dal contraente eterodosso. Ciò lasciò testimoniato il lodato cardinale Albizio, allora assessore della Congregazione dell’Inquisizione Universale, nel succitato trattato De inconstantia in Fide (cap. 18, n. 44). Il citato Predecessore Clemente XI nella Congregazione del Sant’Officio da lui presenziata il 16 giugno 1710 comandò che fosse proibito per lettera all’Arcivescovo di Malines di concedere alcuna licenza o dispensa per i matrimoni tra un contraente cattolico e un altro eretico se non si fosse avuta in precedenza l’abiura dell’eresia; e decretò che fossero duramente ammoniti i teologi che avevano espresso opinioni contrarie a questa prassi, come tramandò Vincenzo, di buona memoria, Cardinale di Santa Romana Chiesa, soprannominato Pietra, nel suo commento alla Costituzione XII di Giovanni XXII (tomo 4, p. 76, n. 14). – Ché se si trovano alcuni esempi di Romani Pontefici che concessero licenze di contrarre matrimonio, o anche di dispensa da un impedimento, senza porre la condizione di abiurare prima l’eresia, diciamo che queste condizioni prima di tutto furono rarissime; e la maggior parte di esse furono fatte per matrimoni fra Augusti Principi e non senza un grave motivo che riguardava il pubblico bene. Inoltre, furono sempre adottate le opportune cautele in modo che il coniuge cattolico non potesse essere pervertito dall’eretico, anzi sapesse che egli era tenuto, secondo le sue forze, a recuperare costui dall’errore. Inoltre la prole di ambo i sessi che fosse nata dal matrimonio sarebbe stata educata nella santità della Religione Cattolica. Infine, è facile riconoscere che nel genere di queste concessioni non c’è alcuna possibilità di errore per coloro che le eseguono, a meno che essi vogliano mancare scientemente in qualcosa e manchino al loro dovere volontariamente. Da ultimo, da ciò che è stato detto risulta apertamente che in tutti i casi nei quali si chiedono facoltà o dispense alla Sede Apostolica per matrimoni di un uomo cattolico, o donna cattolica, con una donna eretica, o uomo eretico: la stessa Sede Apostolica, come sopra dicemmo, sempre disapprovò e condannò questi matrimoni, come anche ora li disprezza e detesta, se non sono preceduti dall’abiura dell’eresia. – Tutte le volte che per qualche probabile causa si chiedono dispense per matrimoni che sono da contrarre tra eretici, questo non viene mai detto espressamente nella richiesta. Non potendo i Ministri della Sede Apostolica e gli Ufficiali saperlo indovinando, a chiudere la bocca di chi parla a vanvera e di chi calunnia basterebbe dire questo: che non si concede alcuna dispensa che non sia diretta ad un esecutore determinato, al quale viene dato il mandato di conoscere la verità di tutto ciò che è esposto, e faccia sortire, come effetto, la dispensa, servatis servandis. Non essendo lecito a costui di ignorare che i matrimoni dei Cattolici con gli eretici sono disapprovati e condannati dalla Sede Apostolica, facilmente può conoscere quale dei due contraenti che ha il difetto dell’eresia (e di cui non si ha alcuna menzione nella lettera di dispensa) fu nascosto alla Sede Apostolica; appartiene al suo ufficio sospendere l’esecuzione di questa lettera, e notificare per lettera, con la dovuta deferenza, al Romano Pontefice o ai suoi ufficiali il motivo di questa sospensione, così come il Nostro Predecessore Papa Alessandro III prescrive una volta di fare all’Arcivescovo di Ravenna in una sua lettera che, a perenne effetto, fu riportata nel Codice delle Decretali, capitolo Si quando, de Rescriptis, dove si legge: “Considerando diligentemente la qualità dell’affare per il quale ti si scrive, o osservi attentamente il mandato nostro, o per iscritto esponi una causa ragionevole per cui non puoi obbedire: perché se tu non lo farai, sopporteremo con sofferenza ciò che Ci è stato riferito con malvagia insinuazione“. – Ma non si ferma qui l’attenzione della Sede Apostolica e dei suoi Ufficiali. Se si chiede la dispensa per rimuovere l’impedimento canonico di un matrimonio per una ragionevole causa, si faccia presente che si appartiene a quelle regioni nelle quali i Cattolici vivono frammisti agli eretici, e non si può constatare con certezza che ambedue i postulanti o uno di essi soltanto professano la Religione Cattolica; i suddetti ufficiali, interpretando onestamente il pensiero del Pontefice, presumono sempre che l’uno e l’altro postulante siano Cattolici, perché le loro domande presentate nella richiesta (la chiamano Supplica) da sottoporre alla firma del Pontefice, si esprimono con queste parole: “I predetti richiedenti, che sono fedeli praticanti della Fede Ortodossa, e vivono e intendono vivere e morire in obbedienza alla Santa Chiesa Romana, ecc.; con cui combaciano altre parole che si scrivono in parte al condizionale a maggiore cautela, e cioè: Finché i predetti richiedenti vivano fedeli praticanti della Fede Ortodossa, e intendano vivere e morire in obbedienza alla Santa Chiesa Romana“. – Premesso ciò, a buon diritto chiediamo: poiché le lettere di dispensa matrimoniale furono concepite con queste espressioni e furono spedite con questo senso, se poi venga in chiaro che i contraenti erano eretici, o uno Cattolico e l’altro eretico, e tuttavia la dispensa viene mandata ad esecuzione, di chi sarà la colpa e chi a buon diritto potrà essere accusato della dispensa accordata a chi era indegno? Forse colui che in buona fede e con le opportune cautele e con giuste condizioni la concesse, oppure colui che, non avendo tenuto in nessuna considerazione le condizioni o non avendo premesso nessun accertamento sui contraenti, permise che la dispensa, contro la volontà del concedente, ottenesse un ingiusto effetto? – Ma qualcuno dirà che non tutte le lettere di dispensa sono spedite munite di queste clausole dal momento che nello stesso Regno di Polonia, da alcuni anni in qua, qualche dispensa fu inviata da Roma senza alcuna condizione. L’aspetto di questi fatti che Noi abbiamo presenti nella mente, vogliamo qui chiarire. La dispensa era a favore dell’età di una ragazza cui mancavano sei mesi per raggiungere i dodici anni, che per le donne costituiscono l’età legittima per contrarre matrimonio. In quella concessione fu detto che “l’astuzia suppliva così l’età, che a buon diritto la ragazza poteva sposarsi“. Pertanto, più che una dispensa, questa era una lettera chiarificatrice, dal momento che la facoltà di sposarsi prima dell’età prescritta, ogni volta che l’astuzia supplisce l’età, deriva dalla stessa disposizione delle leggi e dei Canoni. Ché, anzi, i Vescovi e gli Ordinari con diritto personale possono pronunciarsi sulla questione, che è di fatto: se cioè la furberia, come si dice, supplisce l’età e di conseguenza si può concedere il permesso di contrarre matrimonio, non è necessario ricorrere alla Santa Sede se non per maggiori solennità dell’atto “e perché non succeda che per la minore età dei contraenti si discuta della validità del matrimonio“, come dice la formula che si suole usare nello scrivere le lettere declaratorie sulla minore età. Se infatti i Canonisti insegnano che è cumulativo il diritto tra la Sede Apostolica e i Giudici ordinari di conoscere e di pronunciarsi su questo argomento, cioè se l’astuzia supplisca l’età, è solo della Sede Apostolica il diritto di concedere la dispensa al matrimonio all’impubere che, a motivo dell’età, non è ancora maturo per la copula coniugale, ma tuttavia ha tale uso della ragione da capire l’importanza e la natura del matrimonio. Infatti, per la validità del matrimonio, come si richiede l’uso di ragione per diritto naturale e divino, così si richiede la potenza in atto all’atto coniugale dal diritto Canonico. Il Romano Pontefice è sopra il diritto Canonico: ma un Vescovo qualunque è inferiore al diritto e quindi non può derogare alle sue leggi. – Ma, tralasciata questa questione se la licenza di contrarre matrimonio prima dell’età legittima quando l’astuzia supplisca l’età, è da vedere se si tratta di una dispensa o piuttosto di una dichiarazione, e perciò se ci si debba accostare agli atti della grazia e della giustizia. Oltre a ciò, si deve vedere se nelle Lettere Apostoliche scritte su questo argomento (quantunque quelle parole e quelle condizioni che si è soliti apporre nelle altre dispense qui non si leggano) siano tuttavia presenti altre parole equipollenti. Secondo il valore di queste Lettere, l’Esecutore delegato (qualora un contraente o ambedue siano colpiti da eresia, e ciò non è espresso nella supplica al concedente, né per altra via si è potuto saperlo) è tenuto ad astenersi dal dare attuazione. Di questo non si può dubitare, se si sta attenti a ciò che in seguito è richiesto nelle Lettere all’Esecutore: “Di informarsi diligentemente dei permessi e di vedere se veramente e legittimamente consti che in questo impubere l’astuzia supplisca al difetto dell’età“. Allo stesso si comanda che permetta al richiedente, “purché non osti altro impedimento canonico, di contrarre matrimonio con un uomo non escluso per qualche norma oppure in forza di qualche dispensa apostolica, osservata la forma del Concilio di Trento“. Con queste parole s’impone all’Esecutore quella legge che poco consente all’impubere di godere l’effetto della dispensa o della declaratoria, se avrà indagato che lo stesso ha in animo di contrarre nozze vergognose con un eretico. – Il Nostro discorso si fa troppo lungo, più di quanto all’inizio di questa Lettera Ci eravamo proposti; ma non Ce ne pentiamo minimamente. Infatti, Ci sta molto a cuore, e interessa molto alla Religione Cattolica e alla Sede Apostolica, che non si ignori la realtà dei fatti e che le false dicerie diffuse contro la Sacra Cattedra di Pietro non siano credute; se si compiono cose contro i Sacri Canoni, non se ne attribuisca la responsabilità a chi non l’ha. – Perché la fine della Nostra Lettera torni là dove ebbe il principio, a Te, Venerabile Fratello e a tutti i Presuli Ordinari di codesto Regno, ancora raccomandiamo fortemente di disporre che dai vostri Ufficiali siano considerate attentamente le Lettere di dispensa che vi sono inviate per l’esecuzione, né vogliate ritenere superfluo – se in esse sembri esservi qualcosa di abnorme o di nuovo – dissertare sulla verità o falsità di esse. Infatti è molta la malizia dell’uomo sulla terra e a Noi non è dato sapere fin dove possa arrivare l’audacia dei falsari. Giunse inoltre al Nostro orecchio che vi fu un tale il quale, disattendendo l’impedimento di grado, unì in matrimonio un uomo eretico con una donna cattolica; ed avendo saputo che la sua azione era criticata, non si peritò di affermare che in tale occasione era dotato della Dispensa Apostolica che aveva ricevuta da Roma; ed essendo stato invitato a produrre la lettera di dispensa, non poté mai mostrarla perché non l’aveva mai ricevuta. Ma Noi, in verità, che abbiamo un giudizio più positivo dell’inclita Nazione Polacca (che abbracciamo con affetto di paterna carità) e dei Presuli consacrati di codesto Regno (che tutti e singolarmente teniamo in grande considerazione), non crediamo che un delitto così efferato sia mai stato tollerato. – A Te, Venerabile Fratello e al Gregge a Te affidato impartiamo con tutto il cuore la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 29 giugno 1748, anno ottavo del Nostro Pontificato.

CATENA D’ORO DEI SALMI – Elenco numerico

CATENA D’ORO DEI SALMI – elenco e links

La catena d’oro dei SALMI o I SALMI TRADOTTI, ANALIZZATI, INTERPRETATI E MEDITATI CON L’AIUTO DI SPIEGAZIONI E RELATIVE CONSIDERAZIONI, RICAVATE TESTUALMENTE DAI SANTI PADRI, DAGLI ORATORI E SCRITTORI CATTOLICI PIU’ RINOMATI.

Da M. l’Abbate J.-M. PÉRONNE,

CANONICO TITOLARE DELLA CHIESA “DE SOISSONS” Professore emerito di sacra Scrittura e di Eloquenza sacra.

ELENCO NUMERICO E LINKS

SALMI BIBLICI: “BEATUS VIR QUI NON…” (I)

SALMI BIBLICI: “QUARE FREMUERUNT GENTES …” (II)

SALMI BIBLICI: “QUID MULTIPLICATI SUNT…” (III)

SALMI BIBLICI: “CUM INVOCARENT” (IV)

SALMI BIBLICI: “VERBA MEA AURIBUS”(V)

SALMI BIBLICI: “DOMINE NE IN FURORE TUO” (VI)

SALMI BIBLICI: “DOMINE DEUS MEUS” (VII)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, DOMINUS NOSTER” (VIII)

SALMI BIBLICI “CONFITEBOR TIBI DOMINE” (IX)

SALMI BIBLICI: “IN DOMINO CONFIDO” (X)

SALMI BIBLICI: “SALVUM ME FAC, DOMINE” (XI)

SALMI BIBLICI: “USQUEQUO DOMINE” (XII)

SALMI BIBLICI: “DIXIT INSIPIENS IN CORDE SUO” (XIII)

SALMI BIBLICI: “DOMINE QUIS HABITAVIT” (XIV)

SALMI BIBLICI: “CONSERVA ME DOMINE” (XV)

SALMI BIBLICI “EXAUDI, DOMINE JUSTITIAM MEAM” (XVI)

SALMI BIBLICI “DILIGAM TE, DOMINE” (XVII)

SALMI BIBLICI: “CÆLI ENARRANT GLORIA DEI” (XVIII)

SALMI BIBLICI: “EXAUDIAT TE, DOMINUS, IN DIE TRIBULATIONIS” (XIX)

SALMI BIBLICI: “DOMINE IN VIRTUTE TUA LÆTABITUR REX” (XX)

SALMI BIBLICI: “DEUS DEUS MEUS, RESPICE IN ME” (XXI)

SALMI BIBLICI: “DOMINUS REGIT ME, ET NIHIL MIHI DEERIT” (XXII)

SALMI BIBLICI: “DOMINI EST TERRA, ET PLENITUDO EJUS” (XXIII)

SALMI BIBLICI: “AD TE, DOMINI, LEVAVI ANIMAM MEAM” (XXIV)

SALMI BIBLICI: “JUDICA ME, DOMINE, QUONIAM EGO” (XXV)

SALMI BIBLICI: “DOMINUS ILLUMINATIO MEA ET SALUS” (XXVI)

SALMI BIBLICI: “AD TE, DOMINE, CLAMABO; Deus meus…” (XXVII)

SALMI BIBLICI: “AFFERTE DOMINE, FILII DEI” (XXVIII)

SALMI BIBLICI: “EXALTABO TE, DOMINE, QUONIAM SUSCEPISTI ME” (XXIX)

SALMI BIBLICI: “IN TE DOMINE, SPERAVI… INCLINA” (XXX)

SALMI BIBLICI: “BEATI QUORUM REMISSÆ SUNT INIQUITATES”

(XXXI)

SALMI BIBLICI: “EXSULTATE, JUSTI, IN DOMINO” (XXXII)

SALMI BIBLICI: “BENEDICAM DOMINUM IN OMNI TEMPORA” (XXXIII)

SALMI BIBLICI: “JUDICA DOMINE, NOCENTES ME” (XXXIV)

SALMI BIBLICI: “DIXIT INIUSTUS UT DELINQUAT IN SEMETIPSO” (XXXV)

SALMI BIBLICI: “NOLI ÆMULARI IN MALIGNANTIBUS” (XXXVI)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, NE IN FURORE TUO ARGUAS ME” (XXXVII)

SALMI BIBLICI “DIXI CUSTODIAM VIAS MEAS” (XXXVIII)

SALMI BIBLICI: EXSPECTANS EXSPECTAVI DOMINUM” (XXXIX)

SALMI BIBLICI: “BEATUS QUI INTELLEGIT SUPER EGENUM” (XL)

SALMI BIBLICI: “QUEMADMODUM DESIDERAT CERVUS” (XLI)

SALMI BIBLICI: “JUDICA ME, DEUS, ET DISCERNE CAUSAM” (XLII)

SALMI BIBLICI: “DEUS, AURIBUS NOSTRIS AUDIVIMUS” (XLIII)

SALMI BIBLICI: “ERUCTAVIT COR MEUM VERBUM BONUM” (XLIV)

SALMI BIBLICI: “DEUS NOSTER REFUGIUM ET VIRTUS” (XLV)

SALMI BIBLICI: “OMNES GENTES, PLAUDITE MANIBUS” (XLVI)

SALMI BIBLICI: “MAGNUS DOMINUS, ET LAUDABILIS NIMIS” (XLVII)

SALMI BIBLICI. “AUDITE HÆC, OMNES GENTES” (XLVIII)

SALMI BIBLICI: “DEUS DEORUM, DOMINUS LOCUTUS EST” (XLIX)

SALMI BIBLICI: “MISERERE MEI, DEUS, SECUNDUM MAGNUM” (L)

SALMI BIBLICI: “QUID GLORIARIS IN MALITIA” (LI)

SALMI BIBLICI: “DIXIT INSIPIENS IN CORDE SUO, DEUS …” (LII)

SALMI BIBLICI: “DEUS, IN NOMINE TUO SALVUM ME FAC” (LIII)

SALMI BIBLICI: “EXAUDI, DEUS, ORATIONEM MEAM, ET NE DESPEXERIS” (LIV)

SALMI BIBLICI: “MISERERE MEI, DEUS, QUONIAM CONCULCAVIT” (LV)

SALMI BIBLICI: “MISERERE MEI, DEUS, MISERERE MEI (LVI)

SALMI BIBLICI: “SI VERE UTIQUE JUSTITIAM LOQUIMINI (LVII)

SALMI BIBLICI: “ERIPE ME DE INIMICIS MEI, DEUS MEUS” (LVIII)

SALMI BIBLICI: “DEUS REPULISTI NOS ET destruxisti nos” (LIX)

SALMI BIBLICI: “EXAUDI DEUS, DEPRECATIONEM MEAM” (LX)

SALMI BIBLICI: “NONNE MEA SUBIECTA ANIMA MEA (LXI)

SALMI BIBLICI: “DEUS, DEUS MEUS, AD TE LUCE VIGILO” (LXII)

SALMI BIBLICI: “EXAUDI, DEUS, ORATIONEM MEAM CUM DEPRECOR” (LXIII)

SALMI BIBLICI: “TE DECET, DEUS, HYMNUS IN SION” (LXIV)

SALMI BIBLICI: “JUBILATE DEO, OMNIS TERRA” (LXV)

SALMI BIBLICI: “DEUS, MISEREATUR NOSTRI, ET BENEDICAT NOS” (LXVI)

SALMI BIBLICI: “EXSURGAT DEUS, ET DISSIPENTUR INIMICI EJUS” (LXVII)

SALMI BIBLICI: “SALVUM ME FAC, DEUS, QUONIAM INTRAVERUNT” (LXVIII)

SALMI BIBLICI: “DEUS IN ADJUTORIUM MEUM INTENDE” (LXIX)

SALMI BIBLICI: “IN TE, DOMINE, SPERAVI … ET ERIPE ME” (LXX)

SALMI BIBLICI: “DEUS, JUDICIUM TUUM REGIS DA” (LXXI)

SALMI BIBLICI: “QUAM BONUS ISRAEL DEUS” (LXXII)

SALMI BIBLICI: “UT QUID, DEUS, REPULISTI IN FINEM” (LXXIII)

SALMI BIBLICI: “CONFITEBIMUR TIBI, DEUS” (LXXIV)

SALMI BIBLICI: ” NOTUS IN JUDEA, DEUS” (LXXV)

SALMI BIBLICI: “VOCE … Voce MEA AD DEUM, ET INTENDI” (LXXVI)

SALMI BIBLICI: “ATTENDITE, POPULE MEUS, LEGEM MEAM”(LXXVII)

SALMI BIBLICI: “DEUS, VENERUNT GENTES” (LXXVIII)

SALMI BIBLICI: “QUI REGIS ISRAEL, INTENDE” (LXXIX)

SALMI BIBLICI: “EXSULTATE DEO, ADJUTORI NOSTRO, JUBILATE DEO JACOB” (LXXX)

SALMI BIBLICI: DEUS STETIT IN SYNAGOGA DEORUM (LXXXI)

SALMI BIBLICI: “DEUS, QUIS SIMILIS ERIT TIBI?” (LXXXII)

SALMI BIBLICI: “QUAM DILECTA TABERNACULA TUA” (LXXXIII)

SALMI BIBLICI: “BENEDIXISTI, DOMINE, TERRAM TUAM” (LXXXIV)

SALMI BIBLICI: “INCLINA, DOMINE, AUREM TUAM” (LXXXV)

SALMI BIBLICI: “FUMDAMENTA EJUS IN MONTIBUS SANCTIS” (LXXXVI)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, DEUS SALUTIS MEÆ” (LXXXVII)

SALMI BIBLICI: “MISERICORDIAS DOMINI, IN ÆTERNUM CANTABO” (LXXXVIII)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, REFUGIUM FACTUS ES NOBIS” (LXXXIX)

SALMI BIBLICI: “QUI HABITAT IN ADJUTORIO ALTISSIMI” (XC)

SALMI BIBLICI: “BONUM EST CONFITERI DOMINO” (XCI)

SALMI BIBLICI: “DOMINUS REGNAVIT, DECOREM INDUTUS EST”(XCII)

SALMI BIBLICI: “DEUS ULTIONUM DOMINUS” (XCIII)

SALMI BIBLICI: “VENITE, EXSULTEMUS DOMINO” (XCIV)

SALMI BIBLICI: “CANTATE DOMINO CANTICUM NOVUM” (XCV)

SALMI BIBLICI: “DOMINUS REGNAVIT; EXSULTET TERRA” (XCVI)

SALMI BIBLICI: “CANTATE DOMINO, CANTICUM NOVUM, QUIA” (XCVII)

SALMI BIBLICI: “DOMINUS REGNAVIT: IRASCANTUR POPULI” (XCVIII)

SALMI BIBLICI: “JUBILATE DEO, OMNIS TERRA; SERVITE DOMINO”(XCIX)

SALMI BIBLICI: “MISERICORDIAM ET JUDICIUM CANTABO TIBI” – (C)

SALMI BIBLICI: “DOMINE EXAUDI ORATIONEM MEAM, ET CLAMOR MEUS” – (CI)

SALMI BIBLICI: ” BENEDIC, ANIMA MEA, DOMINO, … ET OMNIA” (CII)

SALMI BIBLICI: “BENEDIC, ANIMA MEA, DOMINO: DOMINE” (CIII)

SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI DOMINO, ET INVOCATE NOMEN EJUS” (CIV)

SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI, DOMINO … QUIS LOQUETUR” (CV)

SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI DOMINO, QUONIAM BONUS … DICANT QUI REDEMPTI” (CVI)

SALMI BIBLICI: “PARATUM COR MEUM, DEUS” (CVII)

SALMI BIBLICI: “DEUS, LAUDEM MEAM, NE TACUERIS” (CVIII)

SALMI BIBLICI: “DIXIT DOMINUS, DOMINO MEO” (CIX)

SALMI BIBLICI: “CONFITEBOR TIBI, DOMINE…IN CONSILIO” (CX)

SALMI BIBLICI: “BEATUS VIR QUI TIMET DOMINUM” (CXI)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE, PUERI, DOMINUM” (CXII)

SALMI BIBLICI: “IN EXITU ISRAEL DE ÆGYPTO” (CXIII)

SALMI BIBLICI: “DILEXI, QUONIAM EXAUDIET DOMINUS” (CXIV)

SALMI BIBLICI: “CREDIDI, PROPTER QUOD LOCUTUS SUM” (CXV)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE DOMINUM, OMNES GENTES” (CXVI)

SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI DOMINO … DICAT NUNC ISRAEL” (CXVII)

SALMI BIBLICI: “BEATI IMMACULATI IN VIA” (CXVIII – 1)

SALMI BIBLICI: “AD DOMINUM CUM TRIBULARER” (CXIX)

SALMI BIBLICI: “LEVAVI OCULOS MEOS IN MONTES” (CXX)

SALMI BIBLICI: “LÆTATUS SUM IN HIS QUÆ DICTA SUNT MIHI” (CXXI)

SALMI BIBLICI: “AD TE LEVAVI OCULOS MEOS” (CXXII)

SALMI BIBLICI: “NISI QUIA DOMINUS ERAT IN NOBIS” (CXXIII)

SALMI BIBLICI: “QUI CONFIDUNT IN DOMINO, SICUT MONS SION” (CXXIV)

SALMI BIBLICI: “IN CONVERTENDO DOMINUS CAPTIVITATEM SION” (CXXV)

SALMI BIBLICI: “NISI DOMINUS ÆDIFICAVERIT DOMUM” (CXXVI)

SALMI BIBLICI: “BEATI OMNES QUI TIMENT DOMINUM” (CXXVII)

SALMI BIBLICI: “SÆPE EXPUGNAVERUNT ME” (CXXVIII)

SALMI BIBLICI: “DE PROFUNDIS” (CXXIX)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, NON EST EXALTATUM COR MEUM” (CXXX)

SALMI BIBLICI: “MEMENTO, DOMINE, DAVID, et” (CXXXI)

SALMI BIBLICI: “ECCE QUAM BONUM ET QUAM JUCUNDUM” (CXXXII)

SALMI BIBLICI: “ECCE NUNC BENEDICITE DOMINUM” (CXXXIII)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE NOMEN DOMINI” (CXXXIV)

SALMI BIBLICI: ” CONFITEMINI, DOMINO … CONFITEMINI ” (CXXXV)

SALMI BIBLICI: “SUPER FLUMINA BABYLONIS” (CXXXVI)

SALMI BIBLICI: “CONFITEBOR TIBI, DOMINE, … QUONIAM AUDISTI (CXXXVII)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, PROBASTI ME ET COGNOVISTI ME” (CXXXVIII)

SALMI BIBLICI: “ERIPE ME, DOMINE, AB HOMINE MALO” (CXXXIX)

SALMI BIBLIBI: “DOMINE, CLAMAVI AD TE, EXAUDI ME” (CXL)

SALMI BIBLICI: “VOCE MEA, … VOCE MEA, AD DOMINUM” (CXLI)

SALMI BIBLICI. “DOMINE, EXAUDI ORATIONEM MEAM; AURIBUS” (CXLII)

SALMI BIBLICI: “BENEDICTUS DOMINUS, DEUS MEUS” (CXLIII)

SALMI BIBLICI: “EXALTABO TE, DEUS MEUS, REX” (CXLIV)

SALMI BIBLICI: “LAUDA, ANIMA MEA DOMINUM” (CXLV)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE DOMINUM, QUAM BONUS” (CXLVI)

SALMI BIBLICI: “LAUDA JERUSALEM, DOMINUM” (CXLVII)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE DOMINUM DE CÆLIS ” (CXLVIII)

SALMI BIBLICI: “CANTATE DOMINO, CANTICUM NOVUM; LAUS … ” (CXLIX)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE DOMINUM IN SANCTIS EJUS” (CL)

* * * *

TAVOLA ANALITICA DEI SALMI SECONDO IL LORO OGGETTO

1″ CLASSE. — Salmi profetici.

SALMI

II. Quare fremuerunt.…………………………………… Trionfo del Messia.

VIII. Domine Dominus noster. ……………………… Dignità di G.- C. riparatore dell’umanità.

XV. Conserva me ………………………… Resurrezione di Gesù-Cristo.

XXI . Deus, Deus meus ………………………. Passione di Gesù-Cristo.

XXXIX . Expectans expectavi…………………………….Passione di G.-C. considerata come sacrificio

XLIV. Eructavit…………………………… Unione di Gesù-Cristo con la sua Chiesa.

LXVIII. Salvum me fac ……………………… Passione di Gesù-Cristo.

LXXI. Deus judicium tuum …………………………… Regno del Messia.

LXXXVIII. Misericordias Domine ………. Promesse a Davide a riguardo del Messia

XCV Cantate Domino ………………… Regno del vero Dio su tutte le nazioni

XCVI Dominus regnavit ……………………… Trionfo e regno glorioso del Signore

XCVII Cantate Domino ………………… Avvento del Messia, vocazione dei Gentili

CVIII Deus laudem meam ………………… Punizione di Giuda e dei Giudei deicidi

CIX Dixit Dominus Domino meo …………… Generazione eterna, potenza del Verbo

CXVI Laudate Dominum omnes….………..………………….Vocazione dei Gentili

CXVII Confitemini Domino ……………… Unione dei Giudei e dei Gentili in G.-C.

CXXXI Mémento Domine ………………………Promesse del Messia fatte a David

2^ CLASSE. — Salmi di adorazione e di lode

XVIII. Cœli enarrant ……………..…Gloria di Dio attestata dai cieli e dalla legge

XXVIII. Afferte …………………Invito a rendere omaggio a Dio per la sua potenza

XXXII. Exultate justi……………….Invito a rendere grazie a Dio per la sua potenza e per la sua provvidenza

XXXIII. Benedicam Dominum ..….… Invito a rendere grazie a Dio per la sua ammirevole Provvidenza su coloro che Lo temono

XLI. Quemadmodum ……………………………… Desiderio del santo Tabernacolo

XLII. Judica me Deus …….……………………………………….. identico soggetto

XLVI. Omnes gentes …………….. Invito a rendere omaggio a Dio per la sua potenza

XLIX. Deus Deorum …………………………………… Il vero culto di Dio

LXII. Deus, Deus meus ……………… Amore di Dio in terra d’esilio

LXXX. Exultate justi ……… Esortazione motivata al culto di Dio

LXXXIII. Quam dilecta ……………… Amore dei santi Tabernacoli

XCII. Dominus regnavit …………….…. Grandezza e Potenza di Dio nelle sue opere

XCIV. Venite exul …………………..…… Inno di lode e di adorazione

XCVIII. Dominus regnavit…………………………………………. Invito al culto del Signore

XCIX. Jubilate Deo …………………………… Esortazione al culto del vero Dio

CIII. Benedicum Dominus ……………. Inno a Dio alla vista delle meraviglie della creazione

CXII. Laudate, pueri ……………… Invito a lodare Dio per la sua grandezza e per la sua bontà

CXXXIII. Ecce nunc ……………………………. Esortazione a benedire il Signore

CXXXIV. Laudate ………… Invito a benedire Dio per la sua bontà e la sua potenza

CXLIV. Exaltabo te …………… Encomio ai divini attributi di Dio

CXLVIII. Laudate Dominum ……….. Invito a tutti gli esseri a lodare il loro autore

CXLIX. Cantate Domino ……………..…… Invito analogo fatto al popolo di Dio

CL. Laudate Dominum in. ……………………….. Lode universale.

3^ CLASSE. – Salmi di azioni di grazia

IX. Confitebor Domini.…………………………………… Cantico di azioni di grazia

XVII. Diligam ……………………………………. Id. Id. Dopo una grande sventura

XX. Domine in virtute.………………. Azioni di grazia del popolo dopo la vittoria del re

XXII. Dominus régit me………….. Azioni di grazia per ringraziare Dio per la tenera affezione ai suoi

XXIX. Exaltabo te…..……… Azioni di grazia davanti ad una sciagura imminente

XLVII. Magnus Dominus …………….. Azioni di grazia a causa dei favori segnalati che Sion ha ricevuto dal Signore

LXV. Jubilate ……………….…………… Azioni di grazia per le meraviglie operate per la liberazione del popolo di Dio

LXXV. Notus in Judœa………… Azioni di grazia per la pace resa al popolo di Dio

XCI. Bonum est . ..…………. Azioni di grazia per la potenza e la provvidenza di Dio

CII. Benedicat anima ………………. Azioni di grazia per la tenerezza paterna di Dio per gli uomini

CVI. Confitemini …………… Azioni di grazia per l’ammirabile protezione di Dio su tutti quelli che Lo invocano

CVII. Paratum ……………………..… Slancio di riconoscenza per grandi vittorie

CX. Confitebor tibi …………………….Azioni di grazia per quanto Dio ha fatto per     il suo popolo

CXIV. Dilexi ……………………………… Azioni di grazia dopo grandi tribolazioni

CXV. Credidi ……………………………………………Id. Id.

CXXIII. Nisi quia Dominus….. Az. di grazia dei prigionieri dopo la loro liberazione

CXXV. In convertendo …………………………………Id. Id.

CXXVIII. Sæpe expugnaverunt. ………………………Id. Id.

CXXXVIII. Confitebor ………………..Id. per la gloria ed i benefici del Signore

CXLIII. Benedictus Dominus………………………..… Id. di un eroe pio

CXLVI. Laudate Dominum ……………Id. per i benefici della Provvidenza

CXLVII. Lauda Jérusalem ……………………………..Id. Id.

4^ CLASSE. — Salmi penitenziali

VI. Domine ne in ……………………………………..Dolore, speranza del peccatore

XXIV. Ad te Domine, levavi. …………………….Il peccatore si riconosce colpevole e chiede grazia

XXXI. Beati quorum …………….Tormenti di una coscienza colpevole;  felici effetti del ritorno a Dio.

XXXVII. Domine ne in furore…….. Il peccatore geme e si umilia sotto la mano di Dio

L. Miserere mei …………………… Motivi di pentimento e di perdono

CI. Domine exaudi ……….. Gemiti del peccatore prigioniero nell’attesa del liberatore

CXXIX. De profundis …………………….……….. Appello alla misericordia divina

CXLII. Domine exaudi…………Il peccatore implorante il soccorso di Dio contro le conseguenze del peccato

5^ CLASSE — Salmi supplicatori (o di impetrazione, compresa la fiducia in Dio.)

III. Domine quid multi………... Fiducia in Dio, richiesta di soccorso che si implora.

V. Verba mea …………………………………… Preghiera del giusto al suo risveglio

VII. Domine Deus meus ……………….. L’innocente si appella alla giustizia sovrana

X (ebr.) Ut quid Domine …………………………... Esposizione dei mali dai quali si chiede a Dio di essere liberato

XI. Salvum me fac ……………. Preghiera contro la perfidia degli uomini del secolo

XII. Usquequo Domine ……………… Id. Quando Dio sembra abbandonarci

XVI. Exaudi Domine just. ……… Id. nelle persecuzioni, contro dei nemici potenti

XIX** Exaudiat te Dominas ……………..……. Invocazioni del popolo per il suo re

*XXV. Judica me Domine …………………… Grido dell’innocente verso il Signore

*XXVI Dominus illuminatio …………….……. Pio desiderio di un’anima che mette tutta la sua fiducia in Dio

XXVII Ad te Domine clam………………………. Preghiera per non essere coinvolti nella punizione dei reprobi

XXX. In te Domine speravi ………………………………… Fiducia motivata in Dio

XXXIV. Judica Domine ….………… Preghiera del giusto contro la violenza e la perfidia.

XXXVIII. Dixi: custodiam …………………L’uomo afflitto dalle cose di questa vita domanda a Dio perdono per i suoi peccati

XLIII. Deus auribus ………………….Preghiera a Dio fondata sul ricordo delle sue antiche misericordie

LIII. Deus in nomine ……………….……. Preghiera nell’afflizione con la promessa di azioni di grazia

LIV. Exaudi Deus orat ……………Preghiera motivata da un pericolo incombente

LV. Miserere mei ………………………………. Id. Id.

LVI. Miserere… quotiam ………………………. Id. Id.

LVIII. Eripe me …………………………………. Id. Id.

LIX. Deus repulisti nos…………………………. Id. pieno di fiducia

LX. Exaudi Deus depr…….…………. Preghiera per domandare a Dio dei nuovi favori

LXIV. Te decet …….…… Preghiera a Dio di affrettare la liberazione del suo popolo

LXVI. Deus misereatur…………….. Preghiera a Dio di spandere la luce di salvezza

LXIX. Deus in audjutorium …………………………. Il giusto invoca Dio a suo aiuto

LXX. In te Domine, speravi ………………………….. Preghiera a Dio di non essere abbandonato in vecchiaia

LXXIII. Ut quid Deus ………………..…… Preghiera del popolo durante una grande persecuzione

LXXVIII. Deus venerunt ………………… Preghiera del popolo durante una grande persecuzione

LXXIX. Qui regis Israel ……………………. Canto nel pianto delle tribù in cattività

LXXXII. Deus quis similis………………………. Contro la lega dei nemici d’Israele

LXXXIV. Benedixisti, Domine ……………Per chiedere una liberazione completa e la venuta del Messia promesso

LXXXV. Inclina Domine ……………………….. Preghiera del debole   nell’afflizione

LXXXVII. Domine Deus salutis ……………….………. Preghiera e pianto toccante

CXIX. Ad Dominum ………………………………………..… Preghiera dell’esiliato

CXX. Levavi oculos …………………………………..…… Preghiera piena di fiducia

CXXI. Lætatus sum ………………… Invocazioni per la prosperità di Gerusalemme

CXXII. Ad te levavi …………………………………………….Momento di preghiera

CXXXVI. Super flumina ………………….Per chiedere a Dio la fine della cattività

CXXXIX. Eripe me, Domine ………………………... Preghiera del debole oppresso

CXL. Domine clamavi ………………….Per domandare a Dio il riserbo nelle parole

CXLI. Voce mea …………………………Preghiera del giusto solo e senza soccorso

6^ CLASSE — Salmi morali

I. Beatus vir ………………………………….. felicità dei giusti, infelicità dei malvagi

IV. Cum invocarem …………………………………… Esortazione al servizio di Dio

X. In Domino confido ………………………………….……….. Sicurezza del giusto

XIII. Dixit insipiens …………………………… Perversità degli empi, loro punizione

XIV. Domine quis ……………………………………….. Carattere degli eletti di Dio

XXIII. Domini est terra……………………………………………. Id. Id.

XXXV. Dixit intustus ……………………..……… Malizia e corruzione dei malvagi opposta alla bontà di Dio

XXXVI. Noli æmulari ……. Quanto poco la prosperità dei malvagi è degna d’invidia

XL. Beatus qui intelligit. ………………… Felicità di quelli che compatiscono i mali degli afflitti

XLV. Deus noster refugium. …………………… Sicurezza inalterabile inspirata alla protezione di Dio

XLVIII. Audite hæc ………………… Impotenza delle ricchezze nell’ora della morte

LII. Dixit insipiens ……………………………………… Stesso soggetto del sal. XIII

LVII. Si vere utique ……………………………………. Giustizia vendicativa di Dio

LXI. Nonne Deo ……….…………. Fiducia in Dio solo in tutti i pericoli, motivi….

LXIII. Exaudi Deus ……………….. Delitto e punizione della calunnia e dell’intrigo

LXXII. Quam bonus ……………………………Ragioni della prosperità dei  Malvagi e delle avversità dei giusti

LXXIV. Confitebimur …………………I malvagi minacciati dalla vendetta divina

LXXVI. Voce mea …………………………..Consolazioni ricevute al servizio di Dio

LXXXI. Deum stetit in …………………… Dovere dei grandi e dei giudici riguardo alla condizione dei poveri

LXXXIX. Domine refugium …………………………..Miseria e brevità della vita umana

XC. Qui habitat in …………………………………… Esortazione alla fiducia in Dio

XCIII. Deus ultionem ………………….…….Vendetta divina annonciata ai malvagi

C. Misericordiam …………………… Il giusto nella vita privata e nella vita pubblica

CXI. Beatus vir qui ……………………………………………….. Felicità del giusto

CXVIII. Beati immacolati …………………… Felici effetti dell’amore della legge di Dio

CXXIV. Qui confidunt …………… Protezione di Dio su quelli che confidano in Lui

CXXVI. Nisi Dominus ædificat ………... Necessità e felici effetti del soccorso dal  cielo

CXXVII. Beati omnes ……………………..….. Benedizioni legate al servizio di Dio

CXXX. Domine non est exal. ………………………………..Umiltà e fiducia in Dio

CXXXII. Ecce quam bonum …………………………Dolcezza dell’unione fraterna

CXXXVIII. Domine probasti me ………..….Scienza infusa da Dio. Effetti di questa sapienza in rapporto agli uomini

CXLV. Lauda anima mea ………………………….Fiducia in Dio e non nell’uomo

7^ CLASSE. — Salmi storici.

LXVII. Exurgat Deus ….……… Canto di trionfo in occasione del trasporto dell’Arca

LXXVII. Attendite ………………………….. Bontà e giustizia di Dio sul suo popolo

LXXXVI. Fundamenta …………………………………….. Elogio di Gerusalemme

CIV. Confitemini… etc……………………. Benefici di cui Dio ha ricolmato il suo popolo

CV. Confitemini.. quotiamo ……….…………………….Id. Id.

CXIII. In exîtu Israël ………………………………………………Uscita dall’Egitto

CXXXV. Confitemini.. quoniam …………… Condotta ammirabile della Provvidenza verso gli Israeliti.

DOMENICA III DI AVVENTO (2021)

III DOMENICA DI AVVENTO (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Pietro

Semid. Dom. privil. di II cl. – Paramenti rosacei o violacei.

Il Signore è già vicino, venite, adoriamolo (Invitatorio). 1° Avvento. È Maria che ci dà Gesù: « Tu sei felice, o Maria, perché tutto quello che è stato detto dal Signore, si compirà in te » (Ant. Magn.). « Da Bethlem verrà il Re dominatore, che porterà la pace a tutte le Nazioni » (2° resp.) « e che libererà il suo popolo dal dominio dei suoi nemici » (4° resp.). Le nostre anime parteciperanno in un modo speciale a questa liberazione nelle feste di Natale, che sono l’anniversario della venuta in questo mondo del vincitore di satana. « Fa, chiede la Chiesa, che la nascita secondo la carne del tuo unico Figlio ci liberi dall’antica schiavitù che ci tiene sotto il giogo del peccato ». (Messa del giorno, 25 dic.). S. Giovanni Battista prepara i Giudei alla venuta del Messia: egli ci prepara anche all’unione, ogni anno più intima, che Gesù contrae con le nostre anime a Natale. « Appianate la via del Signore » dice il Precursore. Appianiamo dunque le vie del nostro cuore, e Gesù Salvatore vi entrerà per darci le sue grazie liberatrici. – 2° Avvento. S. Gregorio fa allusione alla venuta di Gesù alla fine del mondo allorché, spiegando il Vangelo, dice: «Giovanni, il Precursore del Redentore, precede Gesù nello spirito e nella virtù d’Elia, che sarà il precursore del Giudice » (9a Lezione). Dell’avvento di Gesù come Giudice parlano l’Epistola e l’Introito. Se proviamo gran gioia nell’avvicinarsi alle feste del Natale, che ci ricordano la venuta dell’umile bambino della mangiatoia, quanto più il pensiero della sua venuta in tutto lo splendore della sua potenza e della sua maestà, non deve empirci di santa esultanza, perché  allora soltanto la nostra redenzione sarà compiuta. S. Paolo scrive ai Cristiani: « Godete, rallegratevi nel Signore, ve lo ripeto ancora, perché il Signore è vicino ». E come nella Domenica Lætare (Questa pia pratica in uso per la benedizione della rosa a Roma, nella Domenica Lætare, si è estesa a tutti i sacerdoti che ne hanno desiderio per la celebrazione della Messa ed è passata alla Domenica Gaudete, perché queste due domeniche cantano la nostra liberazione dalla schiavitù del peccato per opera di Cristo), i sacerdoti che lo desiderano celebrano oggi con paramenti rosa, colore che simboleggia la gioia della Gerusalemme celeste, dove Gesù ci introdurrà alla fine dei tempi. « Gerusalemme, sii piena di gioia, perché il tuo Salvatore sta per venire » (2a Ant. vesp.). Desideriamo dunque questo Avvento, che l’Apostolo dice vicino, e, invece di temerlo, auguriamoci con santa impazienza che si realizzi presto. « Muovi, o Signore, la tua potenza, e vieni a soccorrerci » – « Ecco — dice l’Apocalisse — il Signore apparirà e con Lui milioni di Santi e sulla sua veste porterà scritto: Re dei Re e Signore dei Signori » (1° resp.). « Il Signore degli eserciti verrà con grande potenza » (4° resp.). « Il Suo Regno sarà eterno e tutte le Nazioni Lo serviranno » (6° resp.). (All). « Vieni, o Signore, non tardare » (Ant. delle Lodi). « Per adventum tuum libera nos, Domine »].

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Phil IV:4-6
Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus enim prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne petitiónes vestræ innotéscant apud Deum.

[Godete sempre nel Signore: ve lo ripeto: godete. La vostra modestia sia manifesta a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi per alcuna cosa, ma in ogni circostanza fate conoscere a Dio i vostri bisogni]

Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.

[Hai benedetto, o Signore, la tua terra: hai liberato Giacobbe dalla schiavitù].

Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus enim prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne petitiónes vestræ innotéscant apud Deum.

[Godete sempre nel Signore: ve lo ripeto: godete. La vostra modestia sia manifesta a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi per alcuna cosa, ma in ogni circostanza fate conoscere a Dio i vostri bisogni.]

Oratio

Orémus.
Aurem tuam, quǽsumus, Dómine, précibus nostris accómmoda: et mentis nostræ ténebras, grátia tuæ visitatiónis illústra:

[O Signore, Te ne preghiamo, porgi benigno ascolto alle nostre preghiere e illumina le tenebre della nostra mente con la grazia della tua venuta.]

Lectio

Lectio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses

Philipp IV: 4-7
Fratres: Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne et obsecratióne, cum gratiárum actióne, petitiónes vestræ innotéscant apud Deum. Et pax Dei, quæ exsúperat omnem sensum, custódiat corda vestra et intellegéntias vestras, in Christo Jesu, Dómino nostro.
R. Deo gratias.

[“Rallegratevi sempre nel Signore: da capo ve lo dico, rallegratevi. La vostra benignità sia nota a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi di nulla: ma in ogni cosa le vostre domande siano manifestate a Dio nell’orazione, nella preghiera e nel rendimento di grazie. E la pace di Dio, che supera ogni mente, custodisca i vostri cuori e le vostre menti in Gesù Cristo „ (Ai Pilipp. IV, 4-7]

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Che significa rallegrarsi nel Signore?

Significa ringraziare Dio del benefizio che ci ha dato di una felice eternità, e della continua protezione che ci presta: e rallegrarsi dei mali e delle persecuzioni che si possono avere a sopportare per il Signore, come se ne rallegrarono gli Apostoli, e specialmente s. Paolo. – Docili all’esortazione di s. Paolo, la nostra vita sia esemplare, e mai la nostra sollecitudine per i beni temporali sia eccessiva; confidiamoci nella Provvidenza: gratissimi a Dio per i suoi benefizi esponiamo a Lui le nostre necessità. E può questo Dio di bontà, che ha cura dei più piccoli animali abbandonare i suoi figli, se ricorrono a Lui come al migliore dei padri?

SERVITE DOMINO IN LÆTITIA!

Ecco un testo latino, biblico, molto popolare, forse troppo, nel senso che forse c’è chi, malignamente o ingenuamente (non importa), lo fraintende. Però, a parte gli equivoci e i malintesi, il testo in sé è bello ed è di indubbia marca religiosa, giudeo-cristiana. Un’onda di letizia corre dal Vecchio al Nuovo Testamento, dalla Legge al Vangelo di Gesù Cristo. Nostro Signore non è il maestro arcigno e burbero, non è l’asceta truce o il filosofo altero. No. Di fronte ai discepoli del Battista, che digiunano troppo, i suoi discepoli digiunano meno, poco. Di fronte ai Farisei accigliati per ostentazione di virtù o per piccineria di spirito, il volto del Maestro, Gesù, e dei suoi discepoli è non solo sereno, addirittura ilare. E San Paolo riprende questa tradizione evangelica, come egli suole, quando grida nell’Epistola che oggi leggiamo, ai Filippesi: allegri, allegri in Dio. « Gaudete, iterum dico gaudete. » Il quale cristiano gaudio non è — sarebbe quasi superfluo il dirlo se io non volessi circoscrivere bene questa gioia cristiana di fronte ad altri stati spirituali affini ma non da confondersi con essa — l’incomposta rumorosa sfrenata ilarità del mondo: una ilarità fatta di incoscienza e di voluttà più o meno accentuata. La gioia cristiana sta molto più in qua, sta molto più in su della follia pagana. Quella è divina, questa è brutale. Quella si esprime nel sorriso, nel riso magari; questa nella sghignazzata. Paolo la descrive benissimo con due tratti contrastanti: la letizia nostra è: divina; in Domino e composta, « modestia vestra nota sit omnibus hominibus. » Ma come la gioia cristiana si oppone alle accigliatezze o tristezze farisaiche e alla gioia pagana, così non va confusa colla serenità pura e semplice, colla imperturbabilità — per usare la frase precisa — del filosofo stoico, greco. Non turbarsi mai. Nell’alto cielo non arrivano i turbamenti atmosferici della terra. Ma questa imperturbabilità oltreché tutta umana, oscilla, nello stoicismo, tra l’egoismo e l’orgoglio; egoista la imperturbabilità se nutrita dal desiderio di non soffrire; orgogliosa se ispirata da desiderio di parere; è qualcosa di negativo, di freddo; anche il marmo non si turba mai, nella sua glaciale, marmorea freddezza e durezza. Il Cristianesimo ha portato al mondo l’attività di fronte alla passività, la possibilità di fronte alla negabilità. Quello che è la carità attiva e calda del Cristianesimo di fronte alla inerte compassione buddistica, questo è la gioia cristiana di fronte alla stoica imperturbabilità. Il Cristianesimo ci vuole, sì, sereni, della serenità di un bel viso terso, ma ci vuole anche lieti, giocondi, allegri, positivamente contenti. Non gli basta che noi non si maledica; vuole che benediciamo, e molto, la vita. Non solo non dobbiamo essere corrucciati coi nostri fratelli, ma dobbiamo verso di loro nutrire la nostra benevolenza. Il nostro non deve essere un viso olimpico, serenamente olimpico per disprezzo di tutti e di tutto, disprezzo altezzoso e quasi corrucciato, o disprezzo umoristico, disprezzo sempre…: Noi non dobbiamo disprezzare nulla e nessuno. Dobbiamo amar tutti e tutto, meno il male. – Una luce divina deve nutrire questa nostra gioia: la luce della bontà di Dio. Il mondo, per noi che lo vediamo in quella luce divina del Dio Creatore, Creatore buono, il mondo è bello. – Per noi che vediamo la storia nella luce di Dio, il Dio Redentore, caritatevole, l’avvenire è santo. Non siamo dei fatui che non vedono le ombre nel quadro, nel mondo e nella vita: ma su quella ombra grandeggia la luce di Dio. La luce trionfa. Lietamente noi abbracciamo la vita — non dice l’accettiamo, che è di nuovo una espressione di passività: l’abbracciamo, che vuol dire attività — colle sue lotte e coi suoi sacrifici e dolori. Alla lotta andiamo giocondi, sicuri della vittoria; i sacrifici li accettiamo lieti, sicuri della ricompensa. « Servite Domino in Lætitia: » ripetiamolo pure il vecchio ritornello, con nuova e più lucida coscienza, e, soprattutto, applichiamolo.

(P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. – Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps LXXIX: 2; 3; 79:2

Qui sedes, Dómine, super Chérubim, éxcita poténtiam tuam, et veni.

[O Signore, Tu che hai per trono i Cherubini, súscita la tua potenza e vieni.]

Qui regis Israël, inténde: qui dedúcis, velut ovem, Joseph.

[Ascolta, Tu che reggi Israele: che guidi Giuseppe come un gregge. Allelúia, allelúia.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,

Excita, Dómine, potentiam tuam, et veni, ut salvos fácias nos. Allelúja.

[Suscita, o Signore, la tua potenza e vieni, affinché ci salvi. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem

Joann l: XIX-28

“In illo tempore: Misérunt Judæi ab Jerosólymis sacerdótes et levítas ad Joánnem, ut interrogárent eum: Tu quis es? Et conféssus est, et non negávit: et conféssus est: Quia non sum ego Christus. Et interrogavérunt eum: Quid ergo? Elías es tu? Et dixit: Non sum. Prophéta es tu? Et respondit: Non. Dixérunt ergo ei: Quis es, ut respónsum demus his, qui misérunt nos? Quid dicis de te ipso? Ait: Ego vox clamántis in desérto: Dirígite viam Dómini, sicut dixit Isaías Prophéta. Et qui missi fúerant, erant ex pharisæis. Et interrogavérunt eum, et dixérunt ei: Quid ergo baptízas, si tu non es Christus, neque Elías, neque Prophéta? Respóndit eis Joánnes, dicens: Ego baptízo in aqua: médius autem vestrum stetit, quem vos nescítis. Ipse est, qui post me ventúrus est, qui ante me factus est: cujus ego non sum dignus ut solvam ejus corrígiam calceaménti. Hæc in Bethánia facta sunt trans Jordánem, ubi erat Joánnes baptízans.”

“In quel tempo i Giudei mandarono da Gerusalemme a Giovanni i sacerdoti ed i leviti, per domandargli: Chi sei tu? Ed ei confessò, e non negò, e confessò: Non son io il Cristo. Ed essi gli domandarono: E che adunque? Se’ tu Elia. Ed ei rispose: Noi sono. Se’ tu il profeta? Ed ei rispose: No. Gli dissero pertanto: Chi se’ tu, affinché possiamo render risposta a chi ci ha mandato? Che dici di te stesso? Io sono, disse, la voce di colui che grida nel deserto: Raddrizzate la via del Signore, come ha detto il profeta Isaia. E questi messi erano della setta de’ Farisei. E lo interrogarono, dicendogli: Come adunque battezzi tu, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta? Giovanni rispose loro, e disse: Io battezzo nell’acqua; ma v’ha in mezzo a voi uno, che voi non conoscete: questi è quegli che verrà dopo di me, il quale è prima di me; a cui io non son degno di sciogliere i legaccioli delle scarpe. Queste cose successero a Betania di là dal Giordano, dove Giovanni stava battezzando”.

(Jo. I, 19-28).

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

UMILE CONOSCENZA DI NOI STESSI

S. Antonio fu un giorno rapito in estasi: quando ritornò in sé, i suoi buoni religiosi gli si fecero intorno per domandargli quello che aveva visto. « Figli miei! — rispose il santo, — io ho visto il mondo tutto avvolto in fili invisibili entro i quali i miseri uomini incespicavano precipitando in abissi spaventosi ». Allora, i religiosi dissero: « Ma se tutto il mondo è fasciato da queste misteriose reti, chi mai ne potrà scampare? ». Rispose il santo: « Coloro che sono umili, e nella luce dell’umiltà hanno conosciuto se stessi ». Or si capisce come S. Agostino levasse a Dio questa preghiera: « Signore, ch’io conosca me, ch’io conosca te! ». Si capisce anche come S. Bernardo potesse scrivere a Papa Eugenio parole come queste: « Non sarai sapiente, se non conoscerai te stesso. Perché tanta curiosità d’indagare il mondo esteriore e tanta trascuratezza di scrutare il nostro mondo interiore? Ritorna in te; considerati qual sei. Non essere come l’occhio che tutto vede e sé non vede. Ti dico che nessuna ignoranza è peggiore di quella d’ignorarsi. Se ignorerai la filosofia, la letteratura, la meccanica, le leggi, la medicina ti potrai ancora salvare: ma se ignori te stesso, non ti salverai ».. Sed si te ignoras, non salvaberis. Se uno vi fu al mondo che non ha meritato i rimproveri di S. Bernardo questi è S. Giovanni Battista. Mentre battezzava sulle sponde boscose del Giordano, gli arriva una delegazione di sacerdoti e leviti: « Noi veniamo a te da Gerusalemme — dissero — e siamo mandati dai capi della città e del popolo per chiederti se il Messia aspettato sei tu ». L’occasione era grande: bastava che egli accennasse col capo affermativamente, e tutti lo avrebbero proclamato. Ma il Battezzatore non ebbe un attimo d’incertezza: negò replicatamente di essere il Messia. « No! io non lo sono. No! ». «Almeno sarai Elia, quello che dovrà precederlo ». E Giovanni ancora: « No! ». « Allora sei un profeta ». E Giovanni sempre: «No ». « Che risposta dobbiam dare a chi ci ha mandato? ». « Dite — esclama Giovanni — che io sono la voce che nel deserto grida: Spianate la via al Signore » Poteva essere più umile e più sincero? che cosa è una voce se non un brivido che passa in un attimo e svanisce nell’aria? e che cosa è l’uomo davanti a Dio se non questo?… – Ma quando egli credette d’essersi abbassato sotto il livello d’ogni uomo, Gesù lo esaltò sopra tutto il mondo: « È più che un profeta! è un angelo! è il più grande dei nati da donna ». Che S. Giovanni ora ci aiuti a conoscere noi stessi, egli che così bene si era conosciuto. Dobbiamo scrutare chi siamo:

chi siamo per natura,

chi siamo per grazia.

1. CHI SIAMO PER NATURA

Per natura noi siamo un composto di anima e di corpo. Non dunque appena corpo, come molti dicono con la pratica della loro vita. Che cos’è il corpo. Il profeta Isaia udì una voce dirgli: « Grida! ». « Gridar che cosa? » rispose meravigliato. E quella voce insistè: « Grida che ogni corpo è come il fieno, che ogni carne è come fiore. Il fieno secca, il fiore cade, e che rimane? ». (Is., XL, 6-8). Entriamo, nel cimitero, avviciniamoci ai sepolcri e vedremo che cosa è il nostro corpo. Homo putrido et filius hominis vermis (Iob., XXV, 6). « Questo già lo sapevo » penseranno tra voi moltissimi. Ma se conoscete davvero che cos’è il vostro corpo, perché a lui sacrificate i diritti dell’anima? Perché lo circondate di mollezze e di vanità? Perché lo adornate, lo pitturate, lo vantate? Che cos’è l’anima. È una creatura nobile ed immortale, sorella degli Angeli, simile a Dio: è un gran tesoro che noi portiamo in vaso fragile. Oh se conoscessimo davvero l’eccellenza della nostra anima, come ce la sapremmo guardare da ogni minima sozzura!… – Dice la Storia Sacra che Nabucodonosor, da gran re che era, si trovò cambiato in bestia schifosa. Scacciato dalla sua reggia, andava carponi a cibarsi di erba come un bue: sul suo capo che aveva portato la corona imperiale i capelli divennero irsuti come penne d’aquila; sulle sue mani che tennero lo scettro, le unghie s’alzarono come gli artigli d’uccello rapace (Dan., IV). Questa pagina paurosa dei libri santi si avvera troppo spesso anche tra noi: molti non comprendono l’onore di un’anima bella e la costringono coi peccati a diventare bestia schifosa. Ci sono di quelli che si sono fatti simili ai cani per la loro incredulità: ad essi Gesù nega le sue cose sante. Nolite dare sanctum canibus (Mt., VII, 6). – Ci sono di quelli che si sono fatti simili ai porci per la loro disonestà: ad essi Gesù nega le sue gemme. Neque mittatis margaritas ante porcos. Povera gente, che inconscia della propria dignità, si è abbassata ai giumenti, fino ad assimilarsi a loro!

2. CHI SIAMO PER GRAZIA

a) Per grazia siamo diventati Cristiani.

Un giorno intorno a noi fu celebrata una misteriosa e sublime cerimonia. Contavamo pochi giorni di vita e i nostri pii genitori ci fecero portare alla Chiesa. « Rinunci a satana e a tutti i suoi piaceri? — ci domandò il Sacerdote rappresentante di Cristo Redentore. — Non si può servire a Dio e al demonio: scegli ». « Rinuncio al demonio e servirò Dio in tutti i giorni di mia vita » risposero per nostro bene i padrini. E noi l’abbiamo dimenticato e in molti giorni della nostra vita, forse anche oggi, siamo ritornati a servire al demonio e a chiedergli i suoi piaceri. Ci rivestì anche di veste bianchissima e bella dicendoci: « Prendi questa veste immacolata, ricordati che con questa un giorno dovrai comparire davanti al tribunale di Dio ». E noi l’abbiamo dimenticato. Dov’è ora la nostra innocenza? dov’è quella veste spirituale? oh quanti strappi, quante macchie, quante toppe! Come faremo in simile guisa a ricomparire un giorno davanti al Signore? Infine il Sacerdote offrendoci un lume ardente: « Portalo, — ci disse, — acceso sempre, che ti farà luce nell’ora oscura della morte». Quel lume era la fede: e noi l’abbiamo lasciato languire leggendo stampe che i Cristiani dovrebbero odiare, accettando discorsi che i Cristiani dovrebbero respingere, esponendoci ai venti delle passioni. Ora il nostro lume fumiga appena, e forse è spento; chi ci illuminerà nella estrema agonia? Quando uscimmo dal Battistero, una mirabile trasformazione era avvenuta in noi. Gli Angeli non ci riconoscevano più nel nuovo splendore per quelle miserabili creature di prima. L’ombra del Maligno era sparita dall’anima nostra ove, come in un tabernacolo di luce, era disceso ad abitare lo Spirito Santo. Da poveri figli dell’uomo che eravamo fummo elevati ad essere figli di Dio: Dio guardandoci riconosceva in noi un po’ della sua natura, trovava in noi una meravigliosa somiglianza col suo Unigenito Gesù Cristo. Ci dichiarava allora suoi veri figli, fratelli di Gesù Cristo stesso, col quale ci costituiva eredi de’ suoi possessi eterni.

b) O Cristiano, riconosci la grandezza di quello che sei!

I ricchi si vantano delle loro terre e dei castelli e delle grosse eredità che aspettano: ed il Cristiano possiede non terra ma cielo, non castelli diroccati ma la città divina costrutta di gemme, non eredità passeggere ma eterne. I sapienti insuperbiscono per la loro intelligenza, eppure non riescono a comprendere che poche cose create: il Cristiano ha un lume nel quale un giorno vedrà e comprenderà i misteri di Dio. I nobili decantano l’antichità e il pregio della loro stirpe; il Cristiano è della stirpe di Dio. Genus Dei sumus (Atti, XVII, 29). I principi si gloriano se qualche volta il Re passa la soglia della loro casa; ma lo Spirito Santo abita dentro l’anima del vero Cristiano, in dolcissima e stabile dimora… Dio è in noi!… O Cristiano, conosci te stesso! O Cristiano, non degradarti nel fango di quaggiù!… – Le antiche cronache francesi narrano che il conte Béranger, che fu poi suocero di Luigi IX, s’era impaniato in cattivi affari fino a ridursi nella miseria più nuda. Ed ecco presentarsi a lui un pellegrino ignoto; egli lo riceve in casa ed avendolo conosciuto per un esperto maggiordomo gli affida i suoi affari malandati e la sovraintendenza della sua casa. Sembrerebbe incredibile, eppure quel pellegrino seppe agire con tanta sagacia e avveduta destrezza che, in pochi anni, i debiti furono estinti, le rendite furono triplicate, le casse della contea di Provenza riempite d’oro e d’argento, le quattro figlie del conte sposate degnamente a quattro re. L’invidia allora mosse le male lingue e le calunnie maligne giunsero fino alle orecchie del conte, il quale parve dubitare dell’onestà del suo maggiordomo. Il buon pellegrino, impotente a difendersi dalle accuse, rassegnò il suo ufficio e i conti esatti nelle mani del conte Béranger, e prima che altri lo scacciassero, partì da quella casa che aveva salvato dalla miseria e dal disonore. Non fu una vergogna questa per il conte? Supponete ora che non solo l’abbia lasciato partire, ma che dopo qualche mese, sentendone bisogno, l’abbia richiamato, e che ancora dopo qualche tempo senza motivo l’abbia preso per le spalle e scacciato con queste parole: « Via di qua, ospite inutile e sgradito!», e che così abbia fatto per dieci o venti volte; che pensereste voi? Non direste forse che quel conte, crudele e stupido, meriterebbe una fine vergognosa?… Ecco quello che abbiamo fatto tante volte, non con un pellegrino ignoto, ma con lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo che è venuto dentro di noi per il Battesimo, che ci ha pagato i nostri debiti, che ci ha nobilitati, arricchiti, resi degni delle nozze eterne del Re dei re, che noi abbiamo scacciato ripetutamente con amare e blasfeme parole: « Via di qua, ospite inutile e sgradito, lascia il tuo posto a satana! ». Pensate che ingiuria! Pensate alle terribili conseguenze! O Cristiano, conosci te stesso. O Cristiano, non degradarti nel fango di quaggiù! – S. Agostino (Epist. XXII) dice che, dopo morte, l’anima nostra nuda e tremante batterà alla porta del Paradiso. « Chi sei? » rintronerà dal di dentro la voce di Cristo. « Fui un uomo » risponderà essa. E allora la medesima voce sussurrerà: « Come hai trattato il tuo corpo di fango? come hai trattato la tua anima immortale? ». Che risponderemo?… «Sono Cristiano » aggiungerà l’anima; e Cristo di rimando: « Fammi vedere le tue mani se sono piagate come le mie, fammi vedere la tua fronte se è coronata della mia corona. E la veste battesimale dov’è? E il lume acceso di fede dov’è? Mostrami la tua faccia affinché ti possa riconoscere per mio fratello.. per figlio di mio Padre… per tempio dello Spirito d’Amore… ». Che risponderemo allora? – Giovanni Battista era un uomo veramente straordinario, correvano di bocca in bocca il suo nome, le sue virtù, le sue gesta. Si parlava di lui «come d’un profeta, come del Messia. Ed il Sinedrio decise di inviare a lui un’ambasciata per chiedere spiegazione di quanto succedeva. «Tu chi sei, dunque? ». E Giovanni non tacque ma confessò chi era, poiché egli non era un illuso sul proprio conto, o un distratto dalla propria realtà. Quanto sarebbe opportuno che capitasse di frequente a molti Cristiani, a noi, ingolfati in cento preoccupazioni pur necessarie, ma sempre terrene e devianti, una bella terribile ambasciata che ci obblighi ad una visione o revisione profonda, reale del nostro « io » e delle nostre partite. Ma se ascoltiamo, è un complesso di voci che davvero premono attorno a noi, suscitate da Dio e nascoste nelle pieghe della nostra coscienza, ovvero nel rude richiamo di certi contrattempi o nelle voci di chi ci critica e ci assale, o nelle circostanze diverse della vita. Una vera ambasciata che interroga spesso, rompendo gl’incantesimi: «Chi sei tu? Perché fai questo? Ne sei degno? Sai quello che compi? ». Se fossimo noi stessi, poi, che ci rivolgiamo tali domande e sapessimo rispondere con sincera franchezza, quale profitto nella nostra vita morale! L’esame di coscienza è argomento tanto utile: vediamo la necessità e le diverse specie. – a) Per conoscersi. Colpisce il modo con cui Giovanni risponde ai suoi interlocutori. La sua coscienza è un libro aperto, ordinato, edificante. La sua risposta è sincera, chiara e di inconfondibile umiltà e verità. Non sono il Cristo; gli preparo, tuttavia, la strada. Battezzo, ma in acqua: è il preludio del grande Sacramento. Non sono né Elia, né un profeta, ma una voce soltanto. Vedete, piuttosto, il Messia che è già tra voi e nessuno s’accorge. Esame e risposta pronta. Un segno, invece, di grossa trascuratezza morale in molti Cristiani è la riottosità e talora la ripugnanza a mettersi di fronte al proprio « io ». Passare anche un solo minuto a faccia con se stessi par di morire. Ed è vero. Morirebbe quella personalità fittizia, bizzarra, insignificante che ci siamo fatta di giorno in giorno dall’uso di ragione in poi. – Son proprio gli antichi pagani che ce ne dànno la lezione. Essi ritenevano l’esame di coscienza un mezzo importantissimo per acquistar la sapienza. Chi non ricorda il loro motto « conosci te stesso »? Lo scolpivano anche sul tempio. Seneca scrive di sé: « Io mi sforzo di ripensare alla mia responsabilità quotidiana, ogni sera quando il lume è spento e i servi dormono. Misuro le mie parole e le mie opere; non mi dissimulo nulla e mi castigo dove ho mancato per non ricadervi ». Sapienza antica, ma vera e quanto perfezionata dal Cristianesimo! S. Paolo raccomandava ai Galati: « ciascuno esamini le proprie azioni ». S. Agostino, incamminandosi nella vita della luce ritrovata, mormorava in preghiera: « Noverim te Domine, noverim me! » Preghiera che dovremmo ripetere anche noi se aspiriamo ad un po’ di perfezione. – b) Per correggersi. – Non abbiam mai visto certe carte geografiche antiche, in certi punti segnate così: « Terra sconosciuta », «Zona ignorata »? Quanti di noi potrebbero dire così della loro coscienza! Quante pieghe del nostro cuore ancora inesplorate! Si arrischia davvero di morire senza esserci conosciuti almeno a sufficienza. Non sono pochi gli illusi che credono di essere galantuomini mentre hanno la coscienza letteralmente coperta di idee false e di pregiudizi sulla Religione, sul proprio carattere, sui doveri dello stato, della necessità delle opere buone, sull’obbligo dell’istruzione religiosa. E quando non si conosce una zona, come si può valorizzarla, bonificarla? Come ottenere rendimento? Se il medico non esamina bene l’ammalato, non gli sarà facile curarlo. È pretesa stolta di correggersi, di profittare nella virtù, se non ci si esamina. L’ottavo Sacramento (l’ignoranza) che spesso, si dice, salva molti Cristiani, è da vedere « se » e « quando » vale nel caso individuo, dopo tutti i richiami del Signore, che sono una vera ambascia che ci assedia. S. Ignazio di Lojola dice che la malattia, la quale ci dispensa dalla preghiera ordinaria, non ci esonera dall’esame di coscienza. S. Giovanni d’Avila, vero maestro di spirito, dichiarò apertamente: « Se voi fate con costanza l’esame di coscienza, i vostri difetti non possono durare a lungo ». Sicché potremmo affermare che più siamo consapevoli delle nostre condizioni di coscienza e più sarà elevata la nostra perfezione. DIVERSI ESAMI DI COSCIENZA. Solitamente se ne distinguono tre sorta: l’esame per la Confessione, l’esame quotidiano e quello particolare. – a) Non si pretenderà sempre dalla comune dei fedeli l’esame particolare. Ma non si dica che sia una piccineria da convento. È un breve piccolo esame che si compie ogni tanto  nella giornata su un fatto o su una virtù. Ad es. « la mattina appena lavato e fatto il segno della croce: a mezzo giorno, cambiando gli abiti dopo il lavoro: «quante volte sono scivolato nella critica? Mi guarderò meglio, riprendendo il lavoro ». Piccole cose ma non è di piccoli punti il prezioso ricamo? Non è a piccoli moti d’ala che l’uccello si eleva verso il cielo? Non è a piccole esplosioni che la motocicletta divora la via? – b) Se durante il giorno il lavoro ci assorbe, è pur bello e doveroso per un Cristiano piegare il ginocchio, a sera, e prendere in mano come un libro la propria coscienza e rileggere sia pure a volo d’uccello quanto si è compiuto. Fissati i punti neri, sulle prime si constata che le colpe difficilmente diminuiscono; ma a poco a poco la volontà reagirà con frutto. Bisogna rintracciare anche i punti d’oro (non solo evitare il male, ma è necessario far il bene) e chiedersi se non si è sciupato tempo prezioso. Meglio accorciare le preghiere se si è stanchi, ma non tralasciare l’esame di coscienza! Il vantaggio dell’esame quotidiano la sera renderà molto facile l’esame di confessione. – c) Almeno qui, fossimo premurosi e seri! Proprio quelli che non si esaminano mai, non riescono a trovar mai nulla di grave. I Santi, invece, abituati a gettar fasci di luce nella loro coscienza scoprivano sempre difetti e rendevano di conseguenza sempre più rifulgente il loro spirito. Ecco perché S. Carlo conduceva persino in visita pastorale il suo direttore spirituale: per non lasciarsi sfuggire nulla e risplendere sempre agli occhi del suo Dio. – La sincerità ci deve sempre guidare. Con Dio e con noi stessi. Non c’è che tender l’orecchio per sentirci richiamati dalla legge di Dio, dai nostri doveri, dai giudizi dei nostri amici e familiari. Quando è utile, sì, far tesoro anche di questi. Tu quis es? Come ci sentiremo impacciati a rispondere anche a loro. Ci parrà di rimpiccolire. Anche di fronte a una vostra virtù essi possono sempre aggiungere un « però » un « ma » che ci confonde. – Dunque la scena dell’ambasciata a S. Giovanni ci ricordi l’importante dovere dell’esame di coscienza. – Prepariamoci al S. Natale con umiltà. Quando sulle rive del Giordano venne San Giovanni a predicare e a battezzare, le speranze del Popolo si rivolsero segretamente a lui come all’atteso dei popoli. Ma di questo favore popolare ognora crescente si insospettì il sinedrio di Gerusalemme che gli mandò una delegazione di preti e di leviti. Gli chiesero: « Tu chi sei? ». Giovanni più che alla loro domanda espressa, rispose al loro segreto sospettoso decisamente, « No: io non sono il Messia ». I delegati, sicuri ormai sul punto capitale, proseguirono la loro inchiesta. « Non sei forse Elia? ». «No: io non sono Elia ». « No: io non sono il Profeta ». « Non sono che una voce che vien dal deserto a dire: fate la strada al Signore che viene ». Rimasero delusi. E qualcuno obbiettò: «Se non sei il Messia, non sei Elia, non sei il Profeta, perché battezzi? ». Allora disse chi era, un semplice precursore, e il battesimo una cerimonia di preparazione. Ma in mezzo a loro, benché ancora sconosciuto, già stava Uno a cui si sentiva indegno perfino di slegare le stringhe dei calzari. – Davanti alla rude umiltà di San Giovanni Battista viene spontanea questa osservazione, Il primo peccato nell’universo fu di superbia. A redimere il mondo rovinato dalla superbia ci volle l’umiltà di Colui che, essendo Dio per natura, s’abbassò fino alla nostra misera condizione di uomini. Volendo poi mandare avanti chi gli preparasse la strada, era conveniente che scegliesse un uomo come Giovanni, che sapeva stare al suo posto. Questi infatti non s’arrogò il posto di Dio: « No, io non sono il Cristo ». Questi infatti non s’arrogò il posto del prossimo: « No, io non sono Elia; no, io non sono il profeta ». Umiltà con Dio, umiltà col prossimo prepareranno nel nostro cuore la strada al Signore che viene nel santo Natale.

1. Umiltà con Dio.

Nella Storia Sacra si racconta che a Nabucodonosor venne in mente di farsi una statua d’oro e di innalzarla in mezzo a un vasto piano. Nel giorno dell’inaugurazione fece dare questo bando: « Magistrati e Popolo, siete avvisati: appena udrete la poderosa orchestra suonare con trombe, flauti, arpe, cetre, zampogne, sull’istante vi butterete per terra adorando la statua del Re. Se qualcuno non lo farà, una fornace di fuoco inestinguibile già arde per lui ». Evidentemente una folle superbia spingeva Nabucodonosor a credersi Dio, e a scimmiottare il castigo divino dell’inferno. Non passò molto tempo che la vendetta del Signore lo raggiunse. Fu preso da un male strano e bestiale per cui urlava e morsicava come una belva, mangiava fieno come un bue, e gli crescevano sulle dita le unghie come artigli. Chi volle farsi Dio, si trovava ad essere bestia. (Dan., III, 1-7; IV, 26-30). L’orgoglio è quella profonda depravazione che induce l’uomo a mettersi al posto di Dio. – a) Sono io il Messia! gridano tante anime, non a parole ma con la pratica della vita: a esempio, con lo spirito d’indipendenza dalle leggi di Dio. Perché il Signore deve proibirmi questo piacere? Che c’entra lui con l’uso che del matrimonio io credo di fare nel segreto della mia famiglia? Così della propria volontà si fanno una statua d’oro da adorare. –  b) Sono io il Messia! gridano tante anime con il loro spirito d’egoismo che le inclina ad operare per sé, come se fossero fine a se stesse. Perché devo perdere un guadagno se mi viene da un lavoro di festa? Che mi viene in tasca a frequentare la Chiesa, le prediche? Così, del proprio interesse si fanno una statua d’oro da adorare. – c) Sono io il Messia! gridano tante anime con il loro spirito di vana compiacenza che si diletta nelle proprie qualità come se Dio non ne fosse l’autore; che si vanta per qualche opera buona come se essa non fosse, prima di tutto, principalmente il risultato dell’azione divina in loro. Così della propria stima si fanno una statua d’oro da adorare. – E in conclusione, tante anime, arrogandosi il posto di Dio, misconoscendo la loro realtà di creature che devono ubbidire, servire, adorare il Signore, sono diventate più felici, più elevate? Né più felici, né più elevate. Dio le vede cadute nell’abbiezione di Nabucodonosor. Si sono preclusa la comprensione e la grazia dell’umile nascita di Gesù nella stalla di Betlemme.

2. Umiltà col prossimo.

San Giovanni Battista ricusò di innalzarsi nella stima dei suoi contemporanei, proclamandosi Elia o il Profeta. Quanti invece tenendosi per grandi uomini, disprezzano il prossimo col cuore, con la parola, con gli atti. – a) Col cuore perché hanno invidia dei buoni successi altrui; si rattristano come di un torto fatto a loro; e giungono perfino a desiderarne il male. Essi sono il grande Elia, il Profeta atteso, e guai a chi fa ombra su di loro. – b) Con la parola perché vedendo il prossimo sbagliare, lo diffamano ripetendo a tutti con maligna mormorazione quel che hanno veduto o saputo. E non vedono i loro sbagli e i loro peccati; si credono zelanti come Elia, santi come il Profeta. – c) Con gli atti perché non riconoscono nessuna superiorità più in su della loro, e vogliono a tutti soprastare. Se si ricordassero che coi loro peccati hanno meritato l’inferno, e dovrebbero stare sotto i piedi del demonio, con quanta più delicata carità tratterebbero il prossimo. Ma essi si credono come Elia destinati al Paradiso prima ancora di morire. – Il santo Natale s’avvicina. Moviamo incontro a Gesù Bambino col sentimento della nostra nullità e miseria. Egli è colui che redimendoci dalla maledizione e dalla schiavitù ci ha riaperto le porte del paradiso, di cui avevamo smarrito la chiave. A S. Gerardo Maiella, quand’era fanciullo, capitò un caso tanto bello che quasi non parrebbe vero, ma è degno di fede perché fu esaminato e riconosciuto dalla Chiesa quando si trattò la causa della sua beatificazione. Gerardo faceva da servitorello al Vescovo di Lacedonia. Un giorno fu visto con la faccia pallida e piena di spavento vicino al grande pozzo sulla piazza del mercato. Con negli occhi una muta angoscia guardava in quell’oscura profondità. Neppur lui sapeva dire come fu: ad un certo momento udì un tonfo, ed erano le chiavi di casa sgusciategli dalle dita. E adesso che fare? che cosa gli avrebbe detto il suo padrone, malaticcio e nervoso? Forse l’avrebbe messo alla porta. Dove sarebbe andato, solo, senza lavoro, senza tetto? Di colpo gli balenò un’idea. Attraversa correndo la piazza, entra nella cattedrale, e prende, dalla cuna in cui giaceva, la statuetta del Bambino Gesù. « Bambino Gesù — supplica Gerardo quasi stringesse non una figura di gesso, ma proprio Lui di carne, vivo e respirante. — Tu soltanto puoi aiutarmi. Tu e nessun altro: fammi dunque ripescare la chiave! ». Poi legò il Bambino Gesù alla corda del pozzo e lo fece calare dolcemente. Come lo sentì nell’acqua gli gridò dentro con tutta la forza della sua speranza: « Bambino Gesù! portami su la chiave ». E cominciò a ritirare la corda. – Un grido di gioia: già sull’orlo era apparso il Bambino Gesù e nella manina teneva la chiave. Gerardo la prese da lui, e poi sospinto come da un vento di allegrezza e di riconoscenza corse a riportarlo nella sua cuna. Cristiani, questo fatto è la conclusione più bella al Vangelo che abbiamo spiegato in questa terza settimana d’Avvento. – Gli uomini per la loro superbia avevano perduto la chiave della loro casa, cioè del Paradiso. Il demonio con l’astuzia e con la menzogna l’aveva fatta sgusciare dalle loro mani, e con riso beffardo l’aveva gettata in un abisso, donde era impossibile riprenderla. – Venne Gesù Bambino, ci ripescò la chiave, e ci riaprì il cielo: non da noi, ma solo da Lui venne la nostra salvezza. Umiliamoci! Il triste tempo della chiave perduta è finito: la chiave del Paradiso c’è per tutti che la vogliono. Rallegriamoci con riconoscenza amorosa! E se qualcuno sentisse di non potersi rallegrare perché nel suo cuore s’è spalancato ancora un pozzo di peccati e la chiave di nuovo gli è caduta dentro, con una umile, sincera confessione faccia calare Gesù Bambino in quel suo pozzo. Riavrà la chiave.

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXIV:2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Iacob: remisísti iniquitatem plebis tuæ.

[Hai benedetto, o Signore, la tua terra: liberasti Giacobbe dalla schiavitù: perdonasti l’iniquità del tuo popolo.]

Secreta

Devotiónis nostræ tibi, quǽsumus, Dómine, hóstia iúgiter immolétur: quæ et sacri péragat institúta mystérii, et salutáre tuum in nobis mirabíliter operétur.

[Ti sia sempre immolata, o Signore, quest’ostia offerta dalla nostra devozione, e serva sia al compimento del sacro mistero, sia ad operare in noi mirabilmente la tua salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Is XXXV: 4.
Dícite: pusillánimes, confortámini et nolíte timére: ecce, Deus noster véniet et salvábit nos.

[Dite: Pusillanimi, confortatevi e non temete: ecco che viene il nostro Dio e ci salverà.]

Postcommunio

Orémus.
Implorámus, Dómine, cleméntiam tuam: ut hæc divína subsídia, a vítiis expiátos, ad festa ventúra nos præparent.

[Imploriamo, o Signore, la tua clemenza, affinché questi divini soccorsi, liberandoci dai nostri vizii, ci preparino alla prossima festa.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (185)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXII)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO QUARTO

I SACRAMENTI

I. — I Sacramenti in generale.

D. Qual è l’ufficio dei sacramenti nella Chiesa?

R. I Sacramenti sono i mezzi di azione soprannaturale della Chiesa; perciò essi partecipano del suo doppio carattere, visibile e invisibile, individuale e sociale. Sono dei segni, dei simboli, dunque delle cose esterne, e hanno un effetto nascosto; la società religiosa v’interviene, ma non senza il concorso dell’adulto che li riceve.

D. Perché dici l’adulto?

R. Perché il bambino approfitta di un soccorso sociale al quale non può ancora rispondere; vi risponderà più tardi.

D. A che pro adoperare simboli e mezzi visibili, in materia di vita religiosa?

È la natura umana che lo vuole. Tutto ci viene per i sensi, comprese le idee e i sentimenti, qualsisiano i loro oggetti e la loro natura; i simboli e i gesti significativi hanno nella nostra vita una parte immensa, dei quali sono seriamente obbligati a tener conto coloro che si stupiscono dei riti religiosi. Anche la vita civile ha i suoi riti che non differiscono dai nostri se non per la loro sorgente e la loro efficacia.

D. Quando è Dio che opera, l’efficacia non dovrebbe dipendere da nulla di esterno, e meno ancora quando è l’anima che coopera.

R. La verità è semplicemente al contrario. Dio agisce riguardo all’uomo coi mezzi dell’uomo, perché, unendo la nostra vita alla sua, Egli intende di rispettare i caratteri di questa vita, sopraelevata e non distrutta. Lo spirituale affatto solo non è l’uomo. E poiché l’uomo è spirito senza dubbio, ma spirito incarnato — e ciò nell’unità di una sola sostanza — quello che è normale, in religione, è che l’anima umana sale verso Dio con la carne e servendosi della carne, e Dio discende pure verso l’uomo per la carne e valendosi della carne. La carne sarà così un passaggio naturale, per lo scambio religioso, tra Colui che, avendo fatto l’uomo, deve accostarlo come Egli lo ha fatto, e colui che, essendo fatto così, deve rispondere all’azione divina secondo la sua propria natura.

D. Ciò però urta molti.

R. Urta coloro che sono traviati da un falso razionalismo o da un orgoglio spirituale. Non c’è qualcosa di strano in ciò che Dio, per santificare l’uomo, umilmente si acconci a certi procedimenti dell’uomo, e sia l’uomo che non lo voglia?

D. Ne senti tu davvero utilità?

R. Certi sacramenti visibili ed esterni hanno un’utilità religiosa manifesta; essi eccitano e spiegano tutti i sentimenti primordiali della natura umana; rispondono a tutta la vita; la dose del divino e dell’umano è ivi stabilita in conformità con la nostra debolezza e con le nostre risorse; riguardo al soprannaturale, che, dal canto suo, non si vede, ci offrono delle garanzie che contribuiscono alla tranquillità della coscienza e alla pace del cuore. Socialmente essi esprimono e affermano i nostri vincoli, mettono in comune i nostri sentimenti di fede, di buona volontà e di speranza, e così assicurano la coesione del gruppo cristiano, affermandolo davanti a tutti,

D. I tuoi sacramenti non sono solamente segni e gesti; ma adoperano anche materie.

R. Quest’uso delle materie significative e attive ha la stessa importanza che il resto. Dio non usa forse la natura per crearci? Ebbene l’adopera per ricrearci secondo la grazia. E le due cose si spiegano, perché il mondo esterno non è così esterno come apparisce; la materia non è che l’uomo prolungata; il potere dell’anima la foggia, se l’unisce per una parte, non l’abbandona per la morte se non per riprenderla — come uno statuario che della medesima creta facesse degli abbozzi senza fine — e, col lavoro intelligente, se la sottomette in una certa misura. Ora, nello stesso modo che utilizziamo col lavoro le forze di Dio immanenti alla natura, così utilizziamo coi sacramenti la forza propria di Dio artefice di grazia. È dunque normale che nei due casi la materia intervenga come passaggio. Nel caso del lavoro è inevitabile; nel caso dei sacramenti, ciò conviene.

D. Tuttavia Dio è spirito.

R. Dio è spirito; ma noi siamo carne, e nello stesso modo che per passare dalla carne allo Spirito, dalla natura a Dio, Cristo ci offre nella sua Persona un pezzo di collegamento: così i sacramenti — che non fan altro che prolungare gli effetti dell’incarnazione — rilegano nel suo nome la carne allo spirito, a fine di compiere l’opera sua. Il principio è dovunque lo stesso, e l’omogeneità dei mezzi è perfetta.

D. Credi che i sacramenti abbiano un’azione effettiva, e non solamente morale?

R. I sacramenti hanno un’azione effettiva, vale a dire che il loro effetto non dipende unicamente da quello che vi apportiamo noi, ma da ciò che vi apporta Iddio. Però non tutti pensano che quest’azione sia di forma fisica, cioè si valga, per esercitarsi, degli elementi esteriori: materie, parole o gesti.

D. Quale opinione ha le tue preferenze?

R. Di gran lunga quella che crede a un’azione reale degli elementi; è quella di S. Tommaso d’Aquino e dei dottori più fedeli ai dati profondi del dogma.

D. Per quale ragione?

R. Perché questo quadra meglio con l’idea dell’incarnazione, fondamento di tutta la vita cristiana. L’incarnazione è il primo dei sacramenti, il solo, si potrebbe dire; perché tutto quello che noi chiamiamo così non è che un prolungamento della sua azione a un tempo simbolica e reale: simbolica, poiché l’incarnazione è Dio manifestato; reale, perché è Dio che si dà. Ora, siccome l’unione di Dio con l’umanità è reale, e non solamente morale, pare si debba trovare nel prolungamento lo stesso carattere che nel punto di partenza.

D. Allora come concepisci l’azione dei sacramenti?

R. L’influsso divino che ci santifica si vale, come passaggio, dell’umanità di Cristo strumento congiunto della Divinità per la salvezza degli uomini; si vale poi dell’intermedio del ministro e delle realtà sacramentali, strumento di Cristo, e fa capo all’anima del fedele per mezzo del suo corpo.

D. Quest’interpretazione ti pare più cristiana dell’altra?

E. Sono cristiane entrambe; ma questa si riallaccia meglio con quello che dicevamo sopra della giustizia originale, della caduta, dell’incarnazione e della redenzione, di cui i sacramenti sono l’organo. La ritroveremo a proposito dei novissimi.

D. Come puoi credere a questo approdo divino, e ciò attraverso a un Cristo scomparso, attraverso a un ministro distinto dal soggetto che subisce l’azione, attraverso a materie, a gesti e a parole?

R. Non si ha da approdare. Dio è in noi; Dio è presente in tutto, e i suoi strumenti per via di Lui sono presenti a tutto ciò che Egli mette in moto. L’apparenza di serietà che la difficoltà presenta dipende solo da un’immaginazione spaziale; Spinoza, fervente sostenitore dell’immanenza divina, non la comprenderebbe. Ora non la comprende meglio un filosofo cristiano; difatti anche noi, senza essere per nulla panteisti, crediamo all’immanenza di Dio. Immanenza e trascendenza non si oppongono affatto, ti dicevo; esse si completano. Dio è infinitamente lontano da noi per la sua natura; ci è infinitamente vicino, più vicino di noi stessi, per la sua intima azione. I sacramenti qualificano quest’azione in un modo particolare e in condizioni definite in cui Cristo, un ministro umano, materie, gesti espressivi hanno la loro parte, ma non ne cambiano in nulla il carattere. Dio dà a noi l’essere ad ogni istante, come il sole al raggio: non è forse possibile modificare a piacimento e secondo certe leggi questa luce dell’essere?

D. Non posso capire un effetto spirituale risultante da un atto fisico.

R. L’anima nostra è spirituale, e sboccia, nel corso della generazione, da un atto fisico. Un’idea è spirituale, e si desta, nella mente di un uditore, a proposito di un suono.

R. Ma il soprannaturale è qualcosa di più.

R. Te l’ho detto, il soprannaturale non è che un caso particolare dei piani, dei gradi che dalla materia pura a Dio contrassegnano l’esistenza; esso non può dunque recare nuova difficoltà, benché procuri un nuovo dono.

D. Io temo che questo dono, così concesso, riduca la faccenda della salute a un meccanismo comodo.

R. La comodità non è tanto grande; perché il lavoro del cielo si mette qui sotto la dipendenza di quello della terra; il contributo di Dio si misura da quello dell’uomo e non fa altro che

supplire a ciò che l’uomo non può fornire. Sforzo aiutato: tale sarebbe dunque la vera definizione dell’opera sacramentale, e il sacramento stesso è un contratto di scambio, non un beneficio gratuito.

D. Credi tu che Gesù abbia voluto i sacramenti?

R. Non si può mettere in dubbio che Egli abbia voluto e istituito il Battesimo e l’Eucaristia, i nostri due riti essenziali; questi devono a Lui assolutamente tutto, perfino la precisione delle formule. Gli altri, precisati dalla Chiesa nel suo Nome e non operanti che per la sua grazia, devono dunque Lui per lo meno l’autorità della loro istituzione e la loro efficacia, il che basta perché Egli si dica il loro autore.

D. Mi sembra evidente che i riti sacramentali siano tolti per la maggior parte dai riti del paganesimo, anzi dalle pratiche dei primitivi.

R. Queste non sono altro che apparenze superficiali. La Chiesa si è servita dei gesti e delle appellazioni come si prendono parole dal dizionario; ma il testo, soprattutto lo spirito del testo, è essenzialmente differente.

D. Dove sta la differenza?

R. Là si tratta di gesti cabalistici, qui di atti essenzialmente spirituali. Là si pretende di costringere un’oscura potenza; qui s’invoca Dio secondo le profferte paterne di Dio e in conformità di disposizioni con queste profferte. Là si prefiggono dei fini del tutto temporali, dei quali i cittadini sono il termine più elevato e spesso unico; qui si mettono in sintesi il divino e l’umano immortale, conforme a una dottrina sublime dei rapporti umano-divini. Da un lato, superstizione, o ad ogni modo religione nell’infanzia, anzi grossolanamente deviata; dall’altro, uso di simboli e di mezzi meravigliosamente appropriati all’espressione e al servizio delle più alte concezioni religiose, rispondenti a ciò che noi siamo davanti a Dio, gli uni verso gli altri, di fronte al fine soprannaturale e, sopra la terra, di fronte a un corpo sociale chiamato a un’alta vita e a incessanti progressi.

D. Certi storici però pretendono di trarre i tuoi sacramenti dai riti primitivi per via di evoluzione.

R. Qui c’è equivoco, oppure parzialità o ignoranza. L’equivoco può venire dal fatto che si confonde una evoluzione spontanea, automatica senza nuovo contributo, con ciò che Bergson potrebbe chiamare una evoluzione creatrice. Se l’uomo venisse dalla scimmia quanto al corpo, si potrebbe ben dirlo un prodotto dell’evoluzione di questo ramo zoologico; ma ciò non sarebbe se non quanto al suo corpo; tra le due ci sarebbe la creazione dell’anima, fatto nuovo, fatto propriamente umano, che rende l’umanità trascendente alle sue origini fisiche. Così i sacramenti, pur precedendo a se stessi nella loro materia, in queste o in quelle particolarità d’intenzione o di riti, sarebbero nondimeno tutt’altro che i loro pretesi antecessori. Un capolavoro e una grossolana cromolitografia possono aver dei tratti comuni; il primo può prendere dalla seconda; ma il genio forma la differenza, e sarebbe assurdo il dire che come opera d’arte il primo procede dalla seconda.

D. Ciononostante, come spieghi tu i rapporti evidenti fra tutti i riti?

R. I rapporti delle cose anche più differenti, si spiegano per la somiglianza relativa delle circostanze in cui son nate e dei fini a cui devono servire. Ho già osservato che la vera religione deve contenere una gran quantità di elementi delle false, perché queste ultime, nate dai bisogni umani nell’ordine religioso, li esprimono in una certa misura, e come il Cristianesimo, destinato a soddisfarli del tutto, non li esprimerebbe nella loro perfezione, adottando così l’espressione imperfetta? Tal è il caso dei sacramenti, dove una gran parte della religione si concentra.

D. Ciò si può prestare a confusione.

R. Per coloro che non riflettono punto o che non vogliono vedere, ma non per gli altri. Quello che mette i riti cattolici fuori di parità, per rapporto a ciò che descrivono certi etnografi compiacenti, è, ancora una volta, il senso del simbolo, la portata spirituale dei riti, l’esigenza di una collaborazione morale del soggetto, la grandezza degli antecedenti dogmatici, delle mire, dei sentimenti collettivi e individuali, e, più di tutto, l’unione intima e indissolubile di tutte queste cose.

D. Questi sacramenti che tu attribuisci a una causa sovrumana, non dovrebbero avere degli effetti folgoreggianti? Come mai non ne hanno neppure dei percettibili?

R. Quando guardi le stelle, hai forse la percezione dei loro prodigiosi movimenti? La nostra cecità le chiama fisse, e invece quante migliaia di chilometri al secondo non percorrono! Dopo una buona confessione, un’anima ha fatto un balzo di gran lunga più importante sopra le vie della vita eterna.

D. Dopo qualche istante, la rotazione del cielo si scorge.

R. Dopo qualche istante, in una vita, l’azione sacramentale si nota, supposto che rette disposizioni l’accompagnino. Dopo qualche istante, nella storia dei popoli, la loro fedeltà religiosa, funzione della vita sacramentale dei loro elementi, si scorge anche maggiormente.

D. Dici che i sacramenti rispondono, per la loro stessa concezione, a tutto l’insieme della nostra vita: come vi si applicano?

R. Vi sono sette sacramenti, ed è facile vedere che essi abbracciano la vita con un amplesso spirituale completo. La vita corporale nasce, cresce, si nutre, si difende dalle cause di corruzione e di morte, si propaga per generazione e si ordina socialmente in vista della prosperità e della pace. Nell’ordine spirituale, ci vuole altresì una nascita: il Battesimo la procura; una crescenza: ecco l’effetto della Confermazione; una nutrizione: l’Eucaristia vi provvede; uno sforzo di difesa e di eventuale guarigione: ecco lo scopo combinato della penitenza e dell’estrema unzione; una propagazione o nutrizione di specie conforme ai suoi fini religiosi: ecco il matrimonio; finalmente un governo e assetto regolare dei suoi organi: tal è l’oggetto del sacramento dell’ordine.

D. Questi vari riti sono di uguale importanza?

R. Ce ne sono due principali: il Battesimo che corrisponde all’ingresso nella vita, e l’Eucaristia che ne riproduce il fenomeno essenziale: la nutrizione.

D. E quale dei due ha il sopravvento?

R. È l’eucaristia, nello stesso modo che, in biologia, la nutrizione ha la precedenza sulla stessa nascita, visto che la nascita non è che una prima nutrizione. Nello spirituale, tutto viene in certo modo dall’Eucaristia, perché tutto viene da Cristo e dalla virtù di Cristo, immanenti all’Eucaristia. Onde sembra che Gesù abbia voluto riassumere tutte le condizioni della vita spirituale e della salute dicendo: Se voi non mangiate la carne del Figliuol dell’Uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi stessi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, ed Io lo risusciterò nell’ultimo giorno.

D. È dunque Cristo îl vero sacramento?

R. Egli è il vero sacramento. Ed anche gli altri sono veri, ma secondo che lo prolungano e operano mediante la sua Persona. Ogni anima si unisce a Dio, sua salute, a mezzo di contatti successivi che Cristo ha stabilito e di cui l’Eucaristia è il centro di convergenza, come il Battesimo ne è il punto di partenza.

IL SEGNO DELLA CROCE (23)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (23)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA VENTESIMASECONDA.

19 dicembre.

Sentenza del giudizio istituito fra noi ed i primi Cristiani, e doveri, che ne derivano. — Primo dovere: fare risolutamente il segno della croce, farlo soventemente, e bene. — Ragioni. — Vergogna e pericoli che seguono dal non farlo. — Sanità fisica e morale del mondo attuale. — Necessità in che è l’uomo di portare o il segno di Dio, o quello di satana. — Natura del segno di satana.

Caro Federico

Pronunziata l’inappellabile sentenza negli affari civili, a qual partito dovranno appigliarsi le parti? Null’altro è da fare, che eseguirla sotto pena di rivolta, e di tutte le tristizie, che questa mena seco. Simile cosa è per le quistioni dottrinali. Quando l’autorità infallibile ha deciso il punto in questione, resta solo prendere a norma di condotta il pronunziato del supremo tribunale, sotto pena di rivolta peggiore, e di tutti i tristi effetti, che potrebbero seguirla. Un giudizio era stato iniziato fra noi ed i primi Cristiani, che avea a scopo determinare, se la ragione fosse per essi, che facevano il segno della croce, e lo eseguivano soventemente e bene; o per i Cristiani moderni, che più non lo fanno, o raramente e male. La causa è stata con ogni studio esaminata, la discussione pubblica, i difensori sono stati intesi. Il fiore della umanità constituita in supremo tribunale, avendo ad assessori, la fede, la ragione, l’esperienza, il sentire dei popoli ancora pagani, ha pronunziato in favore dei Cristiani della Chiesa primitiva. Che fare adunque? È da rinnovare la gloriosa catena delle nostre antiche tradizioni, sì sventuratamente rotta, e fare il segno della croce, farlo sovente, e bene. Fare risolutamente e manifestamente il segno della croce. E perchè nol faremo noi? Perchè reputeremmo onta il farlo? Farlo, o non farlo non è mica indifferente, mio caro; farlo è onore, tralasciarlo disonore. Facendolo, noi saremo i successori, e ci troveremo nel mezzo di tutti i grandi uomini, e de’ grandi secoli dell’Oriente e dell’Occidente, con l’immortale nazione cattolica, col fiore dell’umana famiglia. Non facendolo, noi avremo per predecessori, compagni, e successori, tutti i meschini eretici, la nullità degl’increduli, i poveri ignoranti, le piccole e grandi bestie. Come facendo il segno della croce noi ci copriamo, unitamente alle creature che ci appartengono, di un’armatura invincibile: cosi tralasciandolo, ci disonoriamo, ed esponiamo noi stessi e quanto ci appartiene a gravissimi pericoli; vivendo l’uomo ed il mondo necessariamente sotto la influenza dello spirito del bene, o sotto quella dello spirito del male. Quest’ultimo tiranno dell’uomo e delle creature, fa loro sperimentare le sue maligne influenze, ed il corpo e l’anima, lo spirito e la materia sono da esso viziati. Fu questa sempre fondamentale credenza del genere umano. Il perchè, da poi diciotto secoli, i capi della spirituale battaglia ci dicono di coprir noi e le creature di questo segno, scudo impenetrabile alle ignee frecce dell’inimico: Scutum in quo ignitæ diaboli extinquuntur sagittæ. E noi, soldati infedeli alla consegna, noi getteremo volontariamente la nostra armatura? Noi con un petto scoperto resteremo da insensati, esposti ai colpi dell’armata nemica! E ciò, per non dispiacere ad alcuni, ed a chi? – Mi dicono: il mondo attuale non fa il segno della croce e non ne riporta nocumento alcuno. Una tal cosa può con certezza affermarsi? Qual è oggi la sanità pubblica dell’uomo, e della natura? Non intendi di continuo ripetere in Alemagna, ed in Francia come da per tutto: Non v’è più sanità! Questa parola divenuta popolare, è solo una parola? Ottimisti, come voi vi dite, credete dunque che le leggi divine fatte per l’uomo, spirito e materia, non abbiano in questa vita duplice sanzione, una morale e l’altra fisica? Voi credete che la profanazione del giorno consacrato al riposo dell’uomo e delle creature; che il disprezzo della legge del digiuno e dell’astinenza, non possano mettere in pericolo che la sola salute dell’anima? Voi credete che il movimento febbrile degli affari, le agitazioni politiche, la sete de’ piaceri, carattere distintivo di un mondo, che ha intrapreso la discesa del cielo sulla terra; che gli sregolati costumi, l’usanza di cangiare la notte in giorno, e questo in quella; che il soddisfare alla sensualità nella scelta de’ cibi, lo spaventevele consumo di spiriti, i cinque cento mila caffè, e bettole, sieno di nessuna cattiva influenza per la sanità pubblica? D’onde procede lo scemarsi delle forze nelle generazioni moderne? Sarebbe facile trovare di presente molti giovani capaci di maneggiare le armi de’ nostri avi del medio evo, o di portare la loro armatura? Le riforme si numerose, eseguite da’ consigli di revisione, per difetto di taglia e buona conformazione; l’impotenza di osservare i digiuni, ancorché sì addolciti, che sperimentano le stesse persone religiose, non ha alcun senso? Che cosa dice l’aumento considerabile e tuttodì crescente delle farmacie, e dei medici, e de medium medici, le cui anticamere saranno, fra breve, frequentate come le sale delle sommità medicali? – In fine, i casi continui e crescenti di suicidio e di pazzia, arrivati ad un numero incalcolabile sino al presente, sono de’ sintomi, che ci rassicurano sul conto del prosperare della sanità pubblica? Dando a tutti questi fatti, e ad altri ancora, il senso il più ristretto, non dimostrano essi, per lo meno, che la salute pubblica non è più quella di altri tempi? – E la vigoria della sanità della natura, su cui non è più eseguito il segno liberatore, è dessa in progresso? Qual cosa mai ci dicono la malattia delle patate, quella delle uve, degli alberi, de’ vegetali, delle piante, e delle erbe istesse, da negare il foraggio necessario? Tutti questi malati, in numero di cento, sorpresi simultaneamente da gravi ed ostinate, sconosciute malattie, attestano per la perfetta sanità delle creature? Questo fenomeno, altrettanto più sinistro che non v’ha uguale nell’istoria, sembra piuttosto presentare la natura come un grande ospedale, ove, come nella specie umana, tutto è malato, languido, ed alterato.

(*) Sottometto alla considerazione del lettore una serie di alberi, di arbusti, di piante e di vegetali di presente malati, con l’indicazione delle malattie da che sono distrutti.

T. indica la lebbra o macchie nere. — O. l’oidium [fungo]. — R. ruggine. — I. insetti; piccoli vermi che si trovano nell’epidermide delle foglie, o sulla superficie.

Alberi.

La quercia T. I.

Il faggio T. I.

L’olmo T. R. 1.

Il carpino T. I.

La betula T. R.

Il frassino T. I.

Il pioppo d’Italia T. S.

Il pioppo del Canada T. R.

Il castagno T.

L’acero T.

Il salice T. R.

L’ebano T. I.

II tiglio T.

Il platano T.

Il pomo T. I.

Il pero T. I.

Il rosaio T. R. 0 . I.

Le spine T. 0. I.

La glicina cinese T.

Il lampone T. R.

I rovi T. R. 0.

II pruno 0.

L’uva spina T. I.

Il ribes nero e rosso T.

Il berbero comune 0.

La collulea T.

Il ciliegio T.

Il susino T.

L’albicocco T. 0.

Lo gelso T. 0,

L’arancio T. 0.

La vite T. 0.

Arbusti.

Il gelsomino di Valenza T.

Il sambuco T.

La palla di neve T.

La omelia T.

La siringa comune T.

L’altea T. I.

L’avellana T. I.

Il melo ciliegio T.

Il vinco T. R.

Piante selvatiche diverse

Peonia di diverse specie T.

Il millefoglio T. 0.

Il danther T.

La campanula R.

L’ortica T. 0.

Il cardo benedetto R.

Peonia di diversespecie T. R. 0.

La camomilla T.

La viola T.

Il flox T.

L’erithrynum phristagalli T.

Le oculate 0.

Le margherite T.

La diclytera spectabilis T.

La regina dei prati T.

Il girasole T.

La primavera T.

Il macerone R.

Il gladiolus T. R.

La cicoria T. R. 0.

La scabiosa T.

L’aigmaine T.

Il lungo dragone R.

Vegetali.

Il frumento T. R.

La segala R.

L’avena T. R.

L’orzo R.

La patata T.

I faggiuoli T. R.

I selleri R.

L’acetosa R.

La scorzonera R.

I cavoli T. R.

La rapa R. I.

La bietola rossa R.

Le fave T. R.

II trifoglio T. 0.

Il giunco T. R.

La canna R.

Erbe dei prati di diversa specie R.

Erbe selvatiche di diversa specie T. R. 0.

[Siamo debitori di questa nomenclatura alla gentilezza di un dotto naturalista, il sig. F. Verecruysse di Courtrai. Egli stesso ba raccolto, in quest’anno 1868 delle foglie di tutti gli individui malati, dei quali gli è piaciuto mandarci dei saggi. Ci conceda egli dunque di offrirgli un pubblico attestato di tutta la nostra riconoscenza].

Non lo si può negare, il mondo attuale è malato più che in altri tempi, sia che lo consideri nell’uomo, come nelle creature a lui immediatamente sottoposte. Che cosa mai è la malattia e l’infermità, se non mancanza ed indebolimento di vita? Il Verbo creatore è la vita, è tutta la vita; epperò dilungarsi da Lui è un venir meno nella vita, uno scemarla, come appressarsi ad esso, è un’aurnentarla e rinvigorirla. Le creature materiali essendo incapaci di bene e di male, sono malate, solo perchè seguono la condizione dell’uomo. L’uomo essendo il centro ed il compendio della creazione, racchiude in sè stesso tutte le leggi che reggono le creature inferiori, se egli le viola, l’effetto della violazione si fa sentire in tutta la natura. N’è testimonio il peccato di Adamo. Alla stessa causa, riprodotta nel corso dei secoli è necessario attribuire le malattie delle creature, sempre in ragion diretta della intensità della causa, che le produce. Non sembra egli che Isaia avesse gli occhi fissi alla nostra epoca allorché disse: « La terra è stata infettata dai suoi abitanti. Di là hanno origine, le lagrime, l’afflizione, i languori della terra, la decadenza del pianeta; la malattia della vite, ed i gemiti dei coltivatori: » ? – Luxit et defluxit terra, et infirmata est defluxit orbis et terra infecta est ab habitatoribus suis, quia…. mutaverunt ius etc. XXIV, 4 e seg. Abacuc, Geremia e gli altri profeti parlano con gli stessi termini di quest’agonia della natura. – A giudizio della Chiesa, e di tutti i secoli cristiani, l’atto esteriore, il tratto di unione il più che altro universale e comune, che metta le creature a contatto con la vita, è il segno della croce. Ora, voi ve ne beffate, non lo eseguite, né volete usarne; per tutto che vi riguarda, voi lo rimpiazzate, come usate riguardo alla preghiera, ed ai pellegrinaggi di altri tempi, con i bagni di mare, con le acque tiepide, calde, fredde, sulfuree, ferruginose di Vichy, della Svizzera e de’ Pirenei. Per le creature, collo stabio artificiale, col muover guerra alla vita degl’insetti, col prosciugare i terreni, col solforare le piante. Benissimo: non sono queste da trasandare, ma è mestieri non omettere le altre: Hæc oportet facere et illa non omittere. Così il mondo moderno disprezzatore della divina ed umana saggezza, senza farsene coscienza alcuna, crede poter violare una legge religiosamente osservata da poi il principio del Cristianesimo, e rispettata dallo stesso paganesimo, che la formolava dicendo: È da pregare per avere sanità fisica e morale: Orandum est ut sit mens sana in corpore sano. Non v’ha dunque ragione da muovere lamenti; noi raccogliamo quello ch’è, e dev’essere. Che se la sanità fisica dell’uomo e della natura prosperasse, come si pretende, senza il segno della croce, resterebbe la morale, che avanza in importanza immensamente la prima. Qual è lo stato sanitario del mondo morale al presente? Se per minuto ed a segno, volessia tale dimanda rispondere, andrei troppo per le lunghe;però ti ricorderò solo, che l’uomo morale come il fisico,è nell’alternativa di vivere sotto l’influenza salutare dello spirito buono, e sotto quella malefica dello spirito cattivo; e che il segno redentore ci rende partecipi alla prima, e l’assenza di esso ci sommette, ed abbandona alla seconda. È questo l’insegnamento della Chiesa, confermato dalla pratica de’ secoli cristiani. Sperienza di simil fatta, per diciotto secoli doratura, è un nulla per noi? Voi non volete più il segno liberatore,nessuna fede avete in lui, più non lo si vede sulla vostra fronte, sulle labbra, sul cuore, sui vostri alimenti. E bene! satana v’imporrà il suo. Su tutte coteste fronti, su tutte le labbra di simil fatta, e nei cuori, si vedrà, e senza bisogno di microscopio, il segno della bestia. Questo segno si rivela sulla fronte per lo spirito di orgoglio e di rivolta, per la collera, il disprezzo, l’imprudenza, la vanità, l’alterazione de’ lineamenti; il non esser atto alle scienze spiritualiste, lo aver nessun gusto per le scienze morali; il pallore delle goti impressovi dalla impurità, o il rosso prodotto dall’intemperante uso de’ vini; un certo che di livido nella fisionomía, di basso, di scolorito e bestiale. In fine, quel cinismo negli occhi spiranti adulterio, ed un peccato che non tocca mai la fine, provocatore continuo delle anime incostanti (Animalia autem homo non percipit ea, quæ sunt spiritus Dei. – I. Corint. II, 14. — Oculos habentes plenos adulterii, et incessabilis delicti, pellicientes animas instabiles. – II. Petr.II, 14). Come sono contrassegnate da esso ? Le riconosci dall’esser sempre mosse ad un riso immoderato, od impudico, scioccamente empio, o crudelmente burliero, loquaci, senza alcuna regola, con discorso di nessuna importanza, sempre privo di scopo; parole invereconde, irreligiose, bestemmiatrici, piene di odio, di maldicenza e gelosia, spiranti concupiscenze,traspirano sepolcrali esalazioni, velenose più che tossico di vipera (Sepulcrum patens est guttur eorum. – Psal. V, 11. — Despumantes suas confusiones. – Judæ Ep. v. 13). Il cuore marcato da questo segno è ingombro di mali pensieri, di desideri, di fornicazioni e di tradimenti, di profondo egoismo, di ruberie, di avvelenamenti, di morti; sovra di esso hanno impero le cortigiane, e le femmine rifiuto della umanità (De corde enim exeunt cogitationes malæ, homicidia, adulteria, fornicationes, furta, falsa testimonia, blasphemiæ. Matt. XV, 19).  – Sugli alimenti lo riconoscerai alle loro pessime influenze. Non essendo stati questi liberati dal segno redentore, dessi servono da veicolo a satana per trasmettere tutte le sue tristi influenze, a giudizio de’ pagani stessi. Questi, messi per la nutrizione, a contatto con la inferior parte dello spirito, vi eccitano gli sregolati appetiti, solleticano gl’istinti, commuovono le passioni. Di che segue la ricerca di soddisfare alla sensualità nel vitto e nella bevanda, il dispotismo della carne, il disgusto del lavoro, la impotenza di resistere alle tentazioni, lo affievolirsi, e qualche volta ancora l’imbrutimento della ragione, la mollezza della vita, il sibarismo de’ costumi, l’adorazione del dio ventre, terminando col disprezzo di sè, col soffocare la coscienza ed il senso morale con l’infanticidio, e col suicidio (Inimicos crucis Christi, quorum finis interitus: quorum Deus venter est et gloria in confusione ipsorum. Philip. Ill, 18).Volgi intorno Io sguardo, mio caro amico, e cerca le fronti, le labbra, i cuori, le mense ove si conserva la santità, la dignità, la sobrietà umana e cristiana; il vivere mortificato e puro; i cuori forti contro le tentazioni; gli animi dedicati alla carità ed alla virtù; le forme di vivere, che possono senza rossore rivelarsi agli amici ed ai nemici: tu le troverai solo, dove la croce regna protettrice! – Quanto dico quest’oggi sia per te come un dato di esperienza, domani ti apporterò di esso le ragioni e le prove.

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (6)

LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (6)

Tratte dall’Apocalisse, dal Vangelo, dalle Epistole degli Apostoli, e dalle Profezie dell’Antico Testamento,

Messe in relazioni con le rivelazioni della Suora della Natività

di Amedeo NICOLAS

PARTE SECONDA.

CAPITOLO II.

LA QUINTA ETÀ DELLA CHIESA

Dopo le prime quattro età, in cui la virtù, la divinità, la saggezza e la potenza di Gesù Cristo e della sua Chiesa sono state rese manifeste, viene un’età che non è mai stata eguagliata, a causa del crollo, della defezione e dell’apostasia che ne sono i tratti caratteristici (Sic Holzhauser, vol. 1, p. 153, Wüilleret). Quest’epoca è rappresentata dalla quinta Chiesa, dal quinto sigillo, dalla quinta tromba e dalla quinta lode; comincia con Lutero e finisce nel nostro secolo (Holzhauser fa giungere quest’epoca fino alla nascita dell’Anticristo [nativitatem]. M. de Wüilleret traduce: nascita, natività, in luogo di apparizione. Questa traduzione ci sembra arbitraria – t. 1, p. 186. Wüilleret. – L’Anticristo può apparire e agire come tale solo molto tempo dopo la sua nascita).

ARTICOLO 1.

I. La quinta Chiesa è quella di Sardi. Questo nome indica cosa essa sia. Non ci sembra che significhi un principio di bellezza, come dice Holzhauser (vol. 1, p. 254, Wüilleret); crediamo invece che indichi qualcosa di cattivo, di amaro, poiché σαρδονιος γελως [=sardonios ghelos], riso sardonico, significa un riso forzato, simile a quello di persone che avevano mangiato un’erba che cresce sulle coste dell’isola di Sardegna, e che stringevano i denti in modo da sembrar ridere, mentre esalavano l’ultimo respiro.

II. Questa spiegazione del nome di Sardi è, inoltre, resa probabile e quasi certa da tutta la storia di questa Chiesa, come ce la offre San Giovanni nella sua Apocalisse, capitolo III, da 1 a 6, che Holzhauser sviluppa come noi. Il Figlio dell’Uomo, che ha i sette spiriti di Dio (i sette doni dello Spirito Santo) e che tiene in mano le sette stelle (le sette Chiese), si rivolge alla triste Chiesa di Sardi, ai suoi Pastori come al suo gregge, e specialmente ai primi (Hæc dicit qui habet septem spiritus Dei et septem stellas, Apoc. c. III, v. 1). Ed Egli dice loro: Io conosco le vostre opere (scio opera tua, v. 1), e non le trovo compiute davanti al mio Dio (Non enim invenio opera tua plena coram Deo meo, v. 2), perché le fate senza zelo, senza fervore, con negligenza, quasi meccanicamente e per abitudine. La vostra pietà si è raffreddata, il vostro coraggio è svanito; avete abbandonato la via dei miei consigli per seguire le idee umane, i calcoli umani; avendo come oggetto solo il vostro benessere, la vostra tranquillità, la vostra comodità, avete perso di vista il diritto che vi dominava e che genera necessariamente il dovere. Vi siete creati dei motivi malvagi che credete essere molto buoni, e così permettere al male e all’errore di sussistere, di vivere in pace con essi, quando avreste potuto e dovuto impedirli o preservare il popolo da essi. Siete arrivati al punto di fare un patto con loro, e di aderirvi con una pseudopolitica disastrosa che ha rotto tutti i legami sociali, e ha dato al popolo l’inganno e l’oblio di tutti i principi. Avendo una fede indebolita, avete avuto paura degli uomini nelle rivoluzioni che hanno scosso la terra; avete voluto mantenere la mia Religione sacrificando una parte della verità che avete insegnato, e siete stati così ciechi da credere che il crimine e l’errore trionfanti potessero mai piacermi e difendere e proteggere la mia legge. Così grande è il numero di coloro che mi hanno rinnegato, sono diventati apostati e sono morti; grande è il numero degli uomini che devono ancora morire alla verità, se voi non vi risvegliate e non li confermate (Esto vigilans, et confirma ma cætera quæ moritura erant, v. 2). Voi vi credete vivi, e così il mondo, perché i templi sono aperti e vi si esercita il culto; ma voi siete morti, perché lo zelo della mia casa e la gloria del mio Nome non vi animano più e non sono più i vostri conduttori (Nomen habes quod vivas, et mortuus es, v. 1). Richiamate dunque alla vostra memoria, che ricorda così bene le cose della terra e del tempo, ciò che avete ricevuto, gli insegnamenti che vi sono stati dati da questo mirabile Concilio di Trento (sic Holzhauser, t. 1, p. 174, 175, Wüilleret), e tutte le grazie che vi sono state date; non lasciate i precetti del diritto divino sepolti sotto le rovine (Lettera dell’Arcivescovo di Friburgo in Brisgovia – Universo, 22 aprile 1855); ma metteteli in pieno giorno, poneteli in pratica, fate penitenza per riconciliarvi con me (In mente ergo habe qualiter acceperis, et audieris, et serva, et pœnitentiam age, v . 3). – A causa di questa tiepidezza, questa defezione, questa indifferenza, che è penetrata nelle professioni più sante, che ha raggiunto i popoli e non ha lasciato loro altro che il nome di Cristiani, il numero dei miei fedeli che non hanno sporcato le loro vesti e non hanno piegato il ginocchio al moderno Baal, è diventato così piccolo che potrebbero facilmente essere contati e chiamati per nome (Sedes habes pauca nomina in Sardis, qui non inquinaverunt vestimenta sua, v. 4). Quanto a questi, li farò camminare con me in vesti bianche, perché sono degni (Et ambulabunt mecum in albis, quia digni sunt, v. 4). Io farò lo stesso con tutti coloro che hanno vinto sul loro esempio (Qui vicerit sic vestietur vestimentis albis, v. 5). Non cancellerò i loro nomi dal libro della vita (… et non delebo nomen ejus de libro vitæ, v. 5); e poiché non mi hanno rinnegato né apostatato, ma mi hanno servito fedelmente e mi hanno confessato pubblicamente e altamente davanti agli uomini, Io a mia volta riconoscerò e confesserò i loro nomi davanti al Padre mio e ai suoi Angeli (Et confitebor nomen ejus coràm Patre meo, et coram Angelis ejus, v. 5). – Tale è la chiesa di Sardi! Abbiamo forse sbagliato a chiamarla triste e miserabile? La storia moderna e attuale non conferma in tutto e per tutto la profezia di San Giovanni?

III. Il quinto sigillo dà alla quinta età lo stesso carattere della quinta Chiesa. Non appena si aprì, le anime dei martiri che si trovavano sotto l’altare, così come i fedeli che erano ancora vivi sulla terra, gridarono a Dio per lamentarsi e gli dissero: “Fino a quando, o Signore, che sei santo e vero, vuoi rimandare il giudizio di quegli uomini che si comportano secondo le loro proprie passioni, il proprio spirito, il proprio amore, la propria volontà, come se Tu non fossi il loro Maestro, il loro Padre, il loro Re, il loro Creatore, il loro Dio? Per quanto tempo lascerete i vostri fedeli nell’obbrobrio e nell’oppressione? Quando vendicherete il nostro sangue sugli abitanti della terra che lo hanno versato ingiustamente e crudelmente?” (Et cùm aperuisset sigillum quintum, vidi subtus altare animas interfectorum propter verbum Dei, et testimonium quod habebant, et clamabant voce magnâ dicentes: Usquequò, Domine (sanctus et verus), non judicas, et non vindicas sanguinem nostrum de üs qui habitant in terrâ – E quando ebbe aperto il quinto sigillo, vidi sull’altare le anime di coloro che erano stati uccisi a causa della parola di Dio e della testimonianza che egli gli aveva reso, ed essi gridavano con gran voce, dicendo: Fino a quando, o Signore, santo e verace, rinvierai il giudizio e vendicherai il nostro sangue su coloro che abitano sulla terra? – Apoc. cap. VI, v. 9, 10). – Sembrerebbe che a questo reclamo dei suoi amati, l’Onnipotente stia per rispondere lanciando le sue saette vendicative; ma non è così, Egli dà a coloro che hanno sofferto per Lui, e a coloro che ancora soffrono, vesti bianche per confermarli nel bene, proprio come promette alla quinta Chiesa (Et datæ sunt illis singulæ stolæ alba, ibid. cap. XI); raccomanda loro di rimanere ancora un po’, e di aspettare il numero di coloro che devono servire Dio come loro (Et dictum est illis ut requiescerent adhuc tempus modicum, donec compleantur conservi eorum, ibid. v. 11), e il numero dei loro fratelli che devono subire il martirio come loro (Et fratres eorum qui interficiendi sunt sicut et illi , ibid . v . 11). Così la quinta Chiesa e il quinto sigillo ci mostrano la divina Provvidenza che, per ragioni infinitamente sagge di cui non siamo giudici, e che dobbiamo adorare quando non possiamo capirle, lascia che il mondo vada come vuole, verso le sue idee puramente umane, le sue inclinazioni naturali, senza produrre nessuno di quei grandi colpi che svegliano gli uomini assopiti e li fanno uscire dal loro torpore e dalla loro indifferenza. I santi e i giusti alzano le loro voci e le loro lacrime al cielo; Dio non li ascolta ancora, anzi, li invita a pazientare per un po’; non sembra intervenire in nulla nelle cose della terra, né per giudicare, condannare e punire i malvagi che dominano e opprimono i giusti, né per trarre questi ultimi dalla sofferenza e dalla schiavitù.

IV. È a questa pietosa quinta età, che vede il regno dell’uomo viziato e l’oppressione del vero Cristiano che ha ogni sorta di difficoltà per praticare la sua religione, persino per vivere, che sembra riferirsi più particolarmente la parabola della zizzania e del buon grano, di cui si parla in San Matteo, cap. XIII, v. 24 a 30 (Holzhauzer – t. 1, p. 147, Wüilleret – applica questa parabola alla quarta età. Si applica, in generale, a tutte le età; ma ci sembra che sia molto più in armonia con la quinta età, e inoltre ritorna sulla nostra opinione nel volume 1, p. 178). Perché questo cattivo seme si è mescolato con il grano puro? Perché gli uomini, i contadini che dovevano sorvegliare il campo del padre di famiglia, di Dio, cioè molti pastori e sacerdoti, dormivano (Cùm autem dormirent homines, ibid. v. 25). Chi ha seminato questa pula? È stato il diavolo? Sì, è il diavolo, non immediatamente e da solo, poiché non è ancora stato scatenato per la seconda volta sulla terra, ma dall’uomo viziato, l’uomo carnale, che è il contrario dell’uomo spirituale e interiore, il nemico di Dio (Cum autem dormirent homines, venit inimicus ejus, et superseminavit zizania in medio tritici, ibid. v. 25, et ait illis: inimicus homo hoc fecit, v. 28). L’Onnipotente ordina di sradicarla immediatamente, come hanno proposto i suoi servi (Servi autem dixerunt ei: Vis, imus et colligimus ea? v. 28), come hanno chiesto i martiri e i giusti dopo l’apertura del quinto sigillo (Apoc. cap. VI, v. 9, 10)? No, Egli teme che sradicando la zizzania si sradichi contemporaneamente il buon grano, che mandando piaghe sulla terra per punire una quasi intera generazione di indifferenti e apostati, raggiunga contemporaneamente i veri fedeli (Non, ne fortè colligentes zizaniu, era dicetis simul cum eis et triticum , v. 29): per questo ordina ai suoi servi di lasciar crescere i due semi fino alla mietitura, che non è lontana, cioè di lasciar andare il mondo e i giusti, ciascuno secondo le proprie inclinazioni e idee, fino al tempo in cui mieterà la terra e azionerà il torchio della sua ira (Sinite utraque crescere usque ad messem, v. 30); perché allora comincerà col cogliere la zizzania, che sarà facilmente riconoscibile, per gettarla nel fuoco, e raccoglierà il grano nel suo granaio (Et in tempore messis dicam messoribus: Colligite primùm zizania, et alligate ea in fasciculos ad comburendum; triticum autem congregate in horreum meum, v. 30). – I servi del padre di famiglia non si accorsero subito della semina delle erbacce tra il grano; passò ancora del tempo; le erbacce dovevano crescere e farsi conoscere sviluppandosi. Fino ad allora c’era stata una tale somiglianza tra il bene e il male che si poteva a malapena distinguere, e ciò che era male era ritenuto buono; allo stesso modo i principi erronei che invasero il mondo nella quinta età sembravano venire dal cielo, mentre venivano dalla natura viziata e dall’inferno. Questa somiglianza ha ingannato e inganna ancora molti, anche i servi del padre di famiglia, il cui sonno letargico e colpevole ha permesso all’uomo nemico (inimicus homo) di diffondere questo seme detestabile.

(*)

La Sorella della Natività sostiene quanto abbiamo appena detto in vari passaggi delle sue rivelazioni:

T. 1, p. 291 « La filosofia moderna assumerà l’apparenza del rispetto per la religione; vorrà persino persuadere la gente che si tratta solo di proteggerla e di riportarla alla sua primitiva perfezione (È così vero che, dal 1789 in poi, come anche prima del 1830, si esaltano i buoni e poveri parroci di campagna, nello stesso tempo in cui si inveisce contro l’episcopato.). La devastazione di questa filosofia deve avere il suo tempo (cosicché il filosofismo non durerà fino alla fine), la Religione e la Chiesa sopravviveranno. Non tutto è senza speranza per lo stato religioso… Abbiamo, inoltre, la prima causa dell’umiliazione della Chiesa negli scandali e nella vita sregolata dei cattivi ecclesiastici. »

T. 2, p. 271: « I crimini di cui egli (J.-C.) sembrava più colpito … erano le infedeltà e le prevaricazioni dei cattivi sacerdoti … che profanano i Sacramenti, disonorano il suo sacerdozio, e fanno bestemmiare il suo santo Nome… Essi «hanno fatto furti dei beni della mia Chiesa… a spese dei poveri di cui hanno rubato la sussistenza, e hanno detto in cuor loro: Questi beni sono nostri senza alcuna colpa o usurpazione. »

T. 2, p. 77: « Vedo chiaramente nella Chiesa due partiti che stanno per desolare la Francia: l’uno è sotto il colpo della persecuzione, e l’altro sotto il colpo dell’anatema di Dio e della sua Chiesa. I due partiti si sono già collocati, uno a destra e l’altro a sinistra del loro giudice (Queste parole destra e sinistra sono abbastanza note e diffuse per sapere dove sono il bene e il male), e rappresentano sia il Paradiso che l’Inferno. Come sul Calvario, alcuni mi adorano – dice Gesù Cristo – altri mi insultano e mi crocifiggono; ma la mia passione trionferà sugli uni e farà trionfare gli altri. »

T. 4, p. 407. « Tutta la Chiesa è in azione per abbattere questo albero (l’albero della rivoluzione, di cui parleremo più avanti); vorrebbero sradicarlo, ma Io non lo voglio. I fedeli chiedono il mio aiuto con le loro preghiere e i loro gemiti accorati; le loro lacrime saranno ascoltate. Anticiperò il tempo di tagliare questo albero (Ciò concorda con le parole di Nostro Signore in San Matteo, capitolo XXIV, v. 22: Sed propter electos breviabuntur dies illi. ). » 

T. 2, p. 78 «Nel frattempo, lascio che la loro empia cabala renda alla loro odiosa memoria tutti gli onori dovuti al coraggio e alle belle azioni degli uomini virtuosi (Questo ci ricorda quell’ossario di canaglie e di empi moderni che si chiama Pantheon.); ma le cose cambieranno volto … la mia giustizia avrà il suo turno; essa trionferà su alcuni e farà trionfare altri (È la giustizia che probabilmente sarà esercitata, perché la misericordia e la grazia avranno resistito). Infine, la virtù oppressa deve apparire e prevalere; tutto deve tornare all’ordine.

T. 4, p. 400: « Dobbiamo essere pazienti per molto tempo; se il Signore tarda a venire in nostro soccorso, sottomettiamoci alla sua santa e adorabile volontà, e speriamo fermamente che prima o poi verrà. »

T. 4, p. 401: « Consoliamoci ancora una volta, quando l’ora del Signore sarà arrivata, siccome ha promesso che farà questo bel miracolo, tutto andrà bene (Il cambiamento in meglio sarà dunque un bel miracolo. Chi conosce lo stato attuale vedrà necessariamente un grande miracolo nel disegno generale della società). »

T. 1, p. 304: « La nuova costituzione apparirà a molti molto diversa da ciò che è; sarà benedetta come un dono del cielo, anche se è solo un dono dell’inferno che il cielo permette nella sua giusta collera; sarà solo dagli effetti che si sarà costretti a riconoscere questo dragone (si noti la conformità che ha la Suor della Natività con l’Apocalisse c. XII, v. 12, dove si parla del dragone che attacca la Chiesa.) che vuole distruggere e divorare tutto… La mia Chiesa che un giorno dovrà abbattere e distruggere il principio vizioso di questa costituzione ».

T. I ciechi si abbandonano ancora e si abbandoneranno già ad una gioia che sarà seguita da molte lacrime. « Essi benedicono una rivoluzione che è solo una punizione visibile. » Vantano la libertà quando toccano la schiavitù.  » *)

ARTICOLO III.

I. Abbiamo visto, nella quinta Chiesa, l’indebolimento e il crollo dello spirito cristiano nei Pastori e nei fedeli; nel quinto sigillo, il dominio dei malvagi e l’oppressione dei buoni, che è lo stato pubblico ed esterno del mondo; vedremo, nella quinta tromba, la condotta dei malvagi, che costituisce il primo male (V., Apoc. cap. VIII, v. 12; cap. IX, v. 12). Quando il quinto Angelo suona la tromba, una stella cade dal cielo sulla terra, e riceve la chiave del pozzo dell’abisso (Et quintus Angelus tuba cecinit, et vidi stellam de cælo cecidisse super terram, et data est ei clavis putei abyssi, Apoc. cap. IX, v. 1). Essa apre questo pozzo e fa uscire un fumo nero e denso come quello che sale da una grande fornace, e che oscura l’aria e il sole (Et aperuit puteum abyssi, et ascendit fumus putei sicut fumus fornacis magnæ; et obscurutus est sol et aer de fumo putei , ibid. v. 2). Da questo fumo le locuste escono e si spargono sulla terra, e ricevono un potere simile a quello dello scorpione (Et de fumo putei exierunt locustæ in terram, et data est illis potestas, sicut habent potestatem scorpiones terræ, ibid. v. 3). È loro proibito toccare il fieno della terra, qualsiasi cosa verde e gli alberi; ma hanno potere su coloro che non hanno il segno di Dio sulla fronte (Et præceptum est illis ne læderent fænum terræ, neque omne viride, neque omnem arborem, nisi tantùm homines qui non habent signum Dei in fronti bus suis, ibid. v. 4). Queste locuste però non hanno il potere di uccidere questi uomini, ma solo quello di tormentarli per cinque mesi; e i tormenti che fanno soffrire sono simili a quelli che si provano quando si viene punti da uno scorpione (Et datum est illis ne occiderent eos, sed ut cruciarent mensibus quinque, et cruciatus eorum ut cruciatus scorpionis, cùm percutit hominem, ibid. v. 5). – Questa stella che cade dal cielo è un prete, è Lutero. Era molto arrabbiato perché la Santa Sede non aveva incaricato l’ordine religioso di cui faceva parte di predicare le indulgenze in Germania, cosa che gli avrebbe permesso di farsi conoscere e di affermarsi, e insorse contro le indulgenze stesse. La logica, che è inflessibile quando i primi principi sono falsi, come quando sono veri, lo porta ad attaccare la soddisfazione, la penitenza, la contrizione ed il Sacramento istituito dal nostro divino Maestro per il perdono e la remissione dei peccati. Dopo questa negazione, non gli restava che, poiché ogni uomo pecca, anche il giusto, e poiché la santità e la giustizia di Dio sono infinite, negare a tutti la felicità eterna che è il fine della redenzione, e condannarli tutti alle fiamme eterne, rendendo vane le sofferenze e la soddisfazione del Salvatore; e, per evitare questa terribile conseguenza che nasce dalle premesse che ha posto, come dalla giustizia infinita di Dio, arriva a negare il peccato stesso; lo fa commettere dalla Divinità nell’uomo, in virtù del sistema irrazionale dell’indifferenza delle opere e della santificazione per la sola fede; e contraddicendosi poco dopo, riconoscendo l’esistenza del peccato, sostiene che Cristo lo ha cancellato per sempre con il suo sangue sulla croce, senza che l’uomo debba fare nulla per espiarlo. Rifiutando il purgatorio, egli basa la salvezza su una predestinazione gratuita, arbitraria, senza motivazioni, che non soffre alcun danno per i crimini che si commettono, e non può essere aiutata o procurata dalle buone opere che si fanno. Va anche oltre: Trova un bene nella perpetrazione del male, in quanto rende più efficace e abbondante la soddisfazione data da Gesù Cristo; addirittura spinge i suoi seguaci a peccare, a peccare fortemente, a peccare sempre, per rendere questa soddisfazione più eclatante; condanna la virtù, glorifica il vizio e, per dare lui stesso l’esempio, seduce una suora, la fa uscire dal suo convento e conclude la missione che il diavolo gli ha affidato, come finiscono le commedie, con un matrimonio che egli non contrae prima di divenire padre, assicurandosi che la sua femmina non sarà sterile. – Questo monaco focoso, bruciato dall’impurità, è citato davanti al tribunale di Roma; egli insorge contro di esso, ne nega il potere e si pone, egli che è il crimine e l’immondizia personificata, come superiore al Sovrano Pontefice, di cui nega la delega divina. Lo si cita davanti al tribunale del senso comune, del senso morale, e soprattutto davanti a quello della parola divina contenuta nelle Sacre Scritture; egli non comprende più questo senso comune, non sente più questo senso morale, sfigura il significato ovvio dei testi sacri, sopprime la maggior parte di quelli che lo confondono, e pone, come principio fondamentale ed essenziale della sua cosiddetta Riforma, che ogni individuo abbia il diritto, e persino il dovere di interpretare e spiegare i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento secondo il proprio capriccio, di farsi la propria religione, e così facendo distrugge l’unità di fede, morale e culto, cioè tutto ciò che costituisce la Religione. satana non era stato liberato sulla terra quando apparve quell’uomo vile e malvagio che divenne il suo strumento; egli era ancora nell’abisso che l’Angelo aveva chiuso su di lui (Apoc. XX:1, 2, 3); era dunque necessario che Lutero, per penetrare in esso e trarne fuori le mostruose dottrine, ricevesse la chiave dell’abisso e ne aprisse il pozzo. Lutero fece tutto questo; si spinse quasi fino al limite estremo del male; fece uscire da questo pozzo quegli errori, così numerosi e così terribili, che, come un fumo denso, si diffusero sull’Europa, oscurando il senso comune che è l’aria dell’uomo ragionevole, e la verità religiosa, che è il sole delle intelligenze. Era infine l’uomo nemico (inimicus homo) che supersemina la zizzania in mezzo al buon grano. Da questo oscuramento uscirono le locuste, che sono quei monaci, preti, pastori impudenti o avidi dei beni della terra, che, in così gran numero, seguirono la rivolta in Francia, Germania, Scandinavia, Inghilterra, Scozia, Danimarca, Svizzera; … questi governanti che volevano soddisfare tutte le loro passioni, liberarsi di tutti i vincoli, mettere le mani sui beni della Chiesa e aumentare il loro potere e la loro tirannia, diventando i capi e i padroni dei loro popoli nello spirituale come lo erano già nel temporale; e infine questo popolo che respirava solo dissolutezza e lussuria ed era impaziente di liberarsi da ogni legge, da ogni religione, da ogni dominio, da ogni pudore. Questi scagnozzi dell’inferno non potevano però distruggere la Chiesa di Gesù Cristo, perché non potevano toccare il fieno della terra che nutre le anime, tutto ciò che è verde perché ha la vita della grazia, e gli alberi che rappresentano la Gerarchia sacerdotale. Si limitavano a tormentare gli uomini, a pungerli, a farli soffrire. Per centocinquant’anni hanno afflitto l’Europa con le molte guerre che hanno istigato e che hanno condotto anche tra di loro. La desolazione era ovunque; cercavano la morte, la sospiravano per sfuggire a tanti mali, e la morte non veniva (Et in diebus illis quærent homines mortem, et non invenient eam, et desiderabunt mori, et fugiet mors ab eis, Apoc. cap. IX, v. 8). I riformati facevano tutte queste cose, perché erano bellicosi e guerrieri, sembravano cavalli preparati per la battaglia, sebbene fossero solo uomini; avevano addosso corazze di fuoco; il rumore delle loro ali era come quello di un gran numero di carri trainati da cavalli che corrono alla guerra; e portavano corone d’oro, che avevano preso dal bottino della terra, perché avevano il dominio su di essa e si erano fatti arbitri della verità e quindi loro stessi padroni (Et similitudines locustarum, similes equis paratis in prælium … et facies earum, tanquàm facies hominum, ibid, v. 7; et habebant loricas sicut loricas ferreas, et vox alarum earum sicut vox curruum equorum multorum currentium in bellum, ibid, v. 9; et super capita eorum coronæ similes auro, v. 7). Tuttavia, questi uomini che sembravano così induriti, e quindi così insensibili, si erano dati alla dissolutezza e a tutti i piaceri dei sensi; così che, pur avendo denti da leone, avevano i capelli delle donne (Et habebant capillos sicut capillos mulierum, et dentes earum sicut dentes leonum erant, v . 8 (Holzhauser – t . 1, p. 370, Wüilleret -, vede la forza in questi capelli di donna, perché sono lunghi. Questo non ci sembra ammissibile. La forza è rappresentata ben diversamente). Si potrebbe obiettare che se la stella che cade dal cielo fosse Lutero, il fondatore della Riforma, noi saremmo in contraddizione con noi stessi, perché, essendo egli un eretico, dovrebbe essere rappresentato dal cavallo nero del terzo sigillo; ma questa obiezione può essere respinta come insensata, se consideriamo il principio vitale e fondamentale del protestantesimo, che non è un’eresia propriamente detta, che non attacca questo o quel punto della Religione, lasciando intatti tutti gli altri, come hanno fatto tutti gli eresiarchi precedenti, ma è, al contrario, la protesta contro la verità, che permette la negazione di essa nella sua totalità, ponendo in luogo dell’autorità della Chiesa di Gesù Cristo, dell’utorità di Dio, quella della ragione individuale come arbitra e padrona del senso delle sacre Scritture, in modo tale che la Riforma è dunque esattamente rappresentata da questo fumo denso che sale dal pozzo dell’abisso e oscura l’aria e il sole, e, come conseguenza forzata, deve aver portato gli uomini al filosofismo, al razionalismo, cioè alla sovranità della ragione umana in tutto e ovunque, e al rovesciamento della sovranità di Dio.

II. Anche queste locuste, regnando per cinque mesi, forniscono circa centocinquanta giorni (o circa centocinquanta anni, prendendo un giorno per un anno come Ezechiele). E queste locuste, che regnarono per cinque mesi, che sono circa centocinquanta giorni (o circa centocinquanta anni, prendendo un giorno per un anno, come fa Ezechiele), avevano dietro di loro la coda dei filosofi e dei razionalisti simile alla coda di uno scorpione, che termina con un pungiglione. Queste code ricevettero il potere di nuocere agli uomini per altri cinque mesi, cioè altri centocinquanta anni (Et habebant caudas similes scorpionum, et aculei erant in caudis earum: et potestas earum nocere hominibus mensibus quinque, Apoc. cap. IX, v. 10). E infatti il filosofismo è iniziato sotto il regno di Luigi XIV, dopo la revoca dell’Editto di Nantes, e ha regnato incontrastato, senza una seria opposizione, fino al nostro secolo, il che non indica che sia finito negli ultimi venti o trenta anni; poiché, da un lato, le operazioni morali non si concludono in un giorno fisso; e dall’altro, vedremo presto che la contraddizione si è poi abbattuta su di essa, che gli oppositori le si sono coraggiosamente posti davanti, sono cresciuti e hanno posto il principio della sua sconfitta. La quinta tromba, quindi, concorda molto bene con la quinta Chiesa e il quinto sigillo nel caratterizzare questa pietosa quinta età e nel darle il tempo e la durata approssimativa che le assegniamo. Il venerabile Holzhauser, che condivide il nostro sentimento sulla quinta Chiesa, non fa lo stesso per quanto riguarda il quinto sigillo e la quinta tromba. Egli vede in questo sigillo (vol. 1, p. 281, ecc., Wüilleret) la continuazione delle persecuzioni romane da Traiano a Diocleziano. In questo, egli fa ingiustizia ai martiri di questo primo tempo, i quali, lungi dal lamentarsi della tribolazione che pesava su di essi, correvano con gioia alla morte, e avrebbero sacrificato per il Nome di Gesù Cristo mille vite, se le avessero avute; egli falsa la storia della Chiesa e gli annunci certi che essa possiede; Perché: 1° i tempi che devono fornire il complemento dei martiri sono quelli che saranno vicini alla fine del mondo, e non i due secoli che sono quasi nei primi giorni della Chiesa, e che non vedono nemmeno la fine delle persecuzioni romane, che ne formano, propriamente parlando, una sola, quella del Paganesimo. 2. D’altra parte, l’ultima persecuzione, che fu così forte e durò così a lungo da poter essere considerata come il complemento di quelle dei primi tempi, non si trova nelle supposizioni di Holzhauser. – Per quanto riguarda la quinta tromba, egli sostiene (vol. 1, p. 347, ecc., Wüilleret) che essa rappresenti l’arianesimo e i popoli barbari che, avendo adottato questa eresia, infestarono l’impero romano fino all’anno 527 della nostra era. In questo si contraddice, poiché aveva già visto Ario nella prima tromba; e pone un’impossibilità cronologica, poiché questa eresia, essendo nata nel quarto secolo, e dovendo, secondo lui, durare trecento anni (la somma dei centocinquanta anni delle locuste e dei centocinquanta anni delle loro code), avrebbe dovuto finire solo nel settimo secolo, e non nell’anno 527, che appartiene al sesto. Malgrado questa divergenza, Holzhauser (t. 1, p. 161, Wüilleret) paragona gli eretici della quinta età alle cavallette in cui vede più tardi l’imperatore Valente e gli ariani).

III. Dopo aver parlato delle locuste e del loro regno, delle loro code e del tempo del loro potere, San Giovanni aggiunge che esse avevano per re l’Angelo (l’Inviato) dell’abisso, chiamato in ebraico Abaddon, in greco Apollyon e in latino Exterminans, ossia lo Sterminatore (Et habebant super se regem Angelum abyssi, cui nomen hebraïce è Abaddon, græce autem Apollyon, latine habens nomen Exterminans, Apoc . cap. IX, v. 10, 11). Quando arriva da loro questo re? Il Profeta parla di lui solo quando ha fatto la storia delle locuste e delle loro code, il che autorizza a pensare che arrivi dopo le locuste e negli ultimi giorni del potere delle loro code. – Un re non è solo il capo e il conduttore del suo popolo; è anche il suo domatore, il correttore, il suo padrone; gli ordina di fare le cose che non farebbe da solo. Così questo re, che sarà l’angelo, l’Inviato dell’Abisso, addomesticherà e disciplinerà queste locuste e code indipendenti che non riconosceranno alcuna autorità, alcuna superiorità, e che, in aperta rivolta contro i poteri legittimi e regolari, si abbasseranno servilmente davanti ad un potere diverso, uscito da mezzo ad essi. Come si chiama questo re? Egli è chiamato lo Sterminatore, che è tradotto in ebraico come Abaddon, e in greco come Apollyon. In questo ritratto, in questa storia, non possiamo non riconoscere colui che, alla fine del secolo scorso e nei primi quindici anni del nostro (Napoleon – ndr.), trovando la rivoluzione e l’anarchia al potere, le ha domate, disciplinate, irreggimentate, ha dato loro una gerarchia, un’organizzazione, persino una nobiltà, e ha portato un certo ordine esterno da ciò che era in se stesso anche il disordine. Tutto il mondo lo ha conosciuto, perché nessun uomo è stato grande come lui. Il suo nome si è diffuso in tutto il mondo, dallo stretto di Behring alla Terra del Fuoco, dal Giappone fino al Messico. Egli fece la guerra, da solo o con i suoi luogotenenti, nelle quattro parti della terra. Alessandro, Annibale, Cesare, i più grandi capitani dell’antichità, Tamerlano, Maometto II, Solimano, Gengis-Kan hanno conquistato, come lui, molti paesi; ma nessuno di loro ha, in così poco tempo, combattuto così tante battaglie, ottenuto così tante vittorie e ucciso così tanti uomini. Salito dall’abisso, cioè dai ranghi dei filosofi e dei rivoluzionari, sarebbe forse arrivato allo scisma dichiarato dopo la prigionia del Santo Padre; ma egli aveva uno spirito di giustizia e un forte istinto d’autorità e d’ordine per giungere all’eresia. La lettera che precede il suo nome, lo inizia e lo completa, non crea un nuovo nome; indica soltanto che è lo sterminatore dei tempi moderni; poiché ce ne sono stati in diverse epoche della Chiesa, e la sua scomparsa dalla scena del mondo segna la fine del primo “guai” – Apoc. cap. IX, v. 12) (Væ unum abiit (Holzhauser – t. 1, p. 381 a 383 Wüilleret – vede in questo sterminatore Lutero, e vede Lutero di nuovo nel sesto Angelo che viene dopo nello stesso capitolo IX, v. 13, e che arriva solo quando il primo “guai” è passato, e lo sterminatore non c’è più. Tutto questo è contraddittorio. Una cosa esclude l’altra).

ARTICOLO IV.

La quinta lode, l’onore (honorem, cap. V, v. 12), è appropriata alla quinta età. Era giusto che il cielo e i fedeli della terra lo restituissero all’Agnello per compensarlo degli insulti, dei disprezzi e delle bestemmie che venivano vomitati contro di Lui da ogni parte.

ARTICOLO V.

Non è solo l’Apocalisse che caratterizza così deplorevolmente le ultime tre età della Chiesa, tranne la parte che costituisce la Chiesa di Filadelfia, e tra le altre la quinta età di cui ci siamo occupati in questo capitolo. Alcuni passi delle Lettere degli Apostoli fanno lo stesso, e corroborano la profezia di San Giovanni. – È certo che ci sia una correlazione necessaria tra il clero e il popolo. Se il primo è tiepido e pigro, il secondo lo sarà ancora di più e diventerà indifferente. Se i primi si comportano secondo le vedute umane, o come un buon padre di famiglia al quale, nell’interesse dei suoi figli, è permesso avere una certa ambizione, cercare i beni della terra, procurarsi l’agio, la comodità e qualche piacere, il popolo che lo imita, andrà più lontano di lui, perderà di vista i consigli e i precetti del Salvatore, e diventerà apostata. La quinta Chiesa ci rivela il raffreddamento e l’indebolimento del sacerdozio. Il quinto sigillo ci mostra il dominio del male e l’oppressione del bene, e la quinta tromba ci mostra il completo trionfo dell’apostasia e del razionalismo. San Paolo annunciò tutte queste cose, quando disse ai Tessalonicesi (II Ep ., cap. II, v. 3): « Non lasciatevi ingannare da nessuno, perché la seconda venuta del Figlio dell’uomo non arriverà finché non avrà luogo prima l’apostasia, e poi l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, sarà rivelato. (Ne quis vos seducat ullo modo, quoniam nisi venerit discessio primùm, et revelatus fuerit homo peccati, filius perditionis). – Nel primo capitolo della sua Epistola ai Romani, lo stesso Apostolo dipinge un quadro molto simile della nostra epoca e dei tempi che la seguiranno, quando dice: « Dio li ha abbandonati al loro senso reprobo, così che fanno ciò che non è giusto. Sono pieni di ogni sorta di iniquità, di malizia, di fornicazioni, di avidità, di malvagità, di invidia, di omicidi, di contesa, di frode, di malignità; sono mormoratori, detrattori, odiosi ed odiatori, ribaldi, orgogliosi, gonfi, inventori di cose malvagie, disobbedienti ai loro genitori; senza sapienza, senza ritegno, senza affetto, senza parola, senza misericordia » (Tradidit illos Deus in sensum reprobum , ut faciant eu quæ non conveniunt, v. 28; repleti omni iniquitate, malitia, fornicatione, avaritia, nequitia, plenos invidiaæ, homicidio, contentione, dolo, malignitate, susurrones, v. 29; detractores, odibiles, contumeliosos, superbos, elatos, inventores malorum, parenti bus non obedientes, v. 30; insipientes, incompositos, sine affectione, absque foedere, sine misericordia, v. 31).  – L’Apostolo non biasimava solo coloro che vivevano nei primi tempi della Chiesa, ma anche coloro che, avendo poi posseduto la verità, l’avrebbero apostatizzata nei secoli successivi (Qui enim justitiam Dei cognovissent, non intellexerunt quoniam qui talia agunt digni sunt morte – Coloro che, avendo conosciuto la giustizia di Dio, non compresero che coloro che fanno tali cose sono degni di morte); e includeva tra i colpevoli sia quelli che fanno il male, sia quelli che vi aderiscono direttamente o indirettamente con la loro negligenza e debolezza (Et non solùm qui ea faciunt, sed etiam qui consentiunt facientibus. v. 31). Se queste parole sono applicabili a tutte le epoche, ne è altrimenti con quelle che San Paolo rivolge ai Colossesi, cap. II, v. 8, dove parla di quella filosofia menzognera che ha regnato per più di un secolo, e di cui abbiamo ancora l’estremo della coda (Videte ne quis vos decipiat per philosophiam et inanem fallaciam secundum traditionem hominum, secundum elementa mundi, et non secundùm Christum – Badate che nessuno vi inganni con la filosofia e il vano inganno secondo le tradizioni degli uomini, con gli elementi del mondo, ma non secondo Cristo). Né si poptrà applicare ad alcuna epoca che precede la quinta l’avvertimento che San Paolo dà al suo discepolo Timoteo nella seconda epistola, cap. III, v. 1 a 6, nei seguenti termini, ripetizione delle parole che egli indirizzava ai Romani: « Hoc autem scito, quòd in novissimis diebus instabunt tempora periculosa: erunt homi nes seipsum amantes, cupidi, elati, superbi, blasphemi, parentibus non obedientes, ingrati, scelesti, sine affectione, sine pace, criminatores, incontinentes, immites, sine benignitate, proditores, protervi, tumidi, et volup tatum amatores magis quàm Dei; habentes speciem quidem pietatis, virtutem autem ejus abnegantes – Sappiate che negli ultimi giorni verranno tempi molto pericolosi. Gli uomini saranno amanti di se stessi, avari, orgogliosi, bestemmiatori, disobbedienti ai loro genitori, ingrati, senza affetto, senza fede, calunniatori, intemperanti, disumani, senza amore del bene, traditori, leggeri, pieni di orgoglio, amanti del piacere più di Dio, pii in apparenza, ma rifiutando la verità e la virtù.» – San Pietro parla allo stesso modo degli ultimi secoli del mondo, quando dice, nella sua 2a Epistola, cap. III, v. 3: « Hoc primùm scientes quòd venient in novissimis diebus in deceptione illusores, juxtà proprias concupiscentias ambulantes – Sappiate prima che verranno, negli ultimi giorni, uomini abili nell’inganno, secondo le proprie concupiscenze »; li aveva già così raffigurati nella stessa Epistola, cap. II, v. 10 – 22; e San Giuda rinnova questo annuncio nella sua Epistola cattolica, vv. 12-19. – Tali saranno gli ultimi tempi e la maggior parte degli spiriti, come dissero gli Apostoli divinamente ispirati più di milleottocento anni fa. Tali sono nella quinta età, secondo l’Apocalisse di San Giovanni; tali sono anche gli uomini in seguito allo stabilimento della Riforma fino ad oggi. L’empietà e la seduzione sono ovunque. I popoli smarriti hanno perso l’orientamento e non sanno cosa sono né dove vanno, in mezzo a questo diluvio di sofismi. Un gran numero di falsi profeti è sorto, professando dottrine in apparenza filantropiche, ma che sono molto perniciose (Et multi pseudoprophetæ surgent et seducent multos, Ev. Matth. XXIV, v. 11), e poiché l’iniquità abbondò, la carità di molti si raffreddò (Et quoniam abundavit iniquitas, refrigescet charitas multorum, ibid. 12). Ciò che distingue gli studiosi del nostro tempo non è il traviamento della mente, ma la perversione del cuore e la ribellione della volontà. La verità li illumina da tutte le parti e li abbaglia; ha dato loro le sue prove, la prima e più forte delle quali è la sua esistenza, da più di milleottocento anni, in mezzo ad un mondo che la respinge istintivamente, e che è costretto a subirla perché viene dal cielo; e questi sventurati si fanno volontariamente una verità fabbricata, che è una menzogna manifesta che essi giudicano in cuor loro essere tale, ma che sostengono per odio contro Dio ed il suo Cristo, finché il buon senso li costringe a ritirarla. Lungi dal tornare alla Chiesa quando si vedono così abbandonati, essi corrono dietro ad altri sistemi, altre dottrine, altre menzogne, ed è a loro che si possono applicare queste parole di San Paolo a Timoteo: «Semper discentes, et nunquàm ad scientiam veritatis pervenientes. Quemadmodùm autem Jannes et Mambres restiterunt Moysi, ità et hi resistunt veritati, homines corrupti mente, reprobi circà fidem – Gente sempre discente, e che non arriva mai alla verità. Come Jannės e Mambres hanno resistito a Moyes, così questi uomini resistono alla verità; sono corrotti nella mente e nel cuore, riprovati nella fede. », v. 7 e 8. (Holzhauser applica, come noi, agli uomini della quinta età le parole di San Giuda, Epit. cath. v. 12 a 19, che sono la ripetizione di quelle degli altri Apostoli – t. 1, p. 158, Wüilleret).

(*)

Nel volume 1, da p. 264 a 267, la Suora della Natività si esprime come segue:  « Abbatterò, dice Gesù Cristo, abbatterò questa superbia audace… Questa superbia, la più insopportabile ai miei occhi, non è di natura ordinaria, come quella di un uomo che si vanti dei suoi talenti o della sua ricchezza. Questa è solo una piccola gloria che non ha quasi nulla a che vedere con l’orgoglio che attacca Dio stesso per contestare i suoi diritti e rifiutargli obbedienza; infatti, questo tipo di orgoglio è della stessa natura di quello che in cielo sollevò Lucifero “contro l’Altissimo… e che deve caratterizzare la rivolta dell’anticristo, che già anima e ha sempre animato i suoi precursori. – Questa superbia è di natura tale da lusingare e corrompere i sensi, da incantare l’immaginazione, da abbagliare la ragione e l’intendimento … Sempre incline alla novità, e disposta all’errore, si fa … dei sistemi di libertinaggio e di empietà. L’evidenza può pure colpire i suoi occhi, la verità può tentare il suo cuore, ma essa non si convince … chiude gli occhi alla luce … e continua a combattere ostinatamente contro la verità come il più terribile insulto allo Spirito di Dio… Sì, questi mostri, credono di essere religiosi profanando i templi, e distruggendo la religione… Si glorieranno del nome di patrioti, rovesciando tutte le leggi civili che costituiscono la sicurezza della patria, tutti i principi del patriottismo e dell’umanità. Il massacro stesso dei cittadini e dei ministri della Religione sarà, per questi volontari ciechi, un atto religioso; e il rovesciamento di tutte le leggi il più sacro dei doveri. Questo è quanto risuona nelle parole seguite da tutti i partiti rivoluzionari (naturalmente, quando non dominano): « L’insurrezione è il più sacro dei doveri. » – La parola patriota non era ancora usata quando, diversi anni prima del 1789, la Suora dettò questo passaggio. » *)

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (7)