DOMENICA I DI AVVENTO (2021)
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B.; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Stazione a S. Maria Maggiore.
Semid. Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.
A Natale Gesù nascerà nelle nostre anime, perché allora si celebrerà l’anniversario della sua nascita e alla domanda della Chiesa sua Sposa, alla quale non rifiuta nulla, accorderà alle nostre anime le stesse grazie che ai pastori e ai re magi. Cristo tornerà cosi alla fine del mondo per « condannare i colpevoli alle fiamme e per invitare con voce amica i buoni in cielo » (Inno Matt..). Tutta la Messa di questo giorno ci prepara a questo doppio Avvento (Adventus) di misericordia e di giustizia.
Alcune parti si riferiscono indifferentemente all’uno e all’altro (Intr. Oraz. Grad. All.), altre fanno allusione alla umile nascita del nostro Divin Redentore, (Comm. Postcomm.). Altre, infine, parlano della sua venuta come Re in tutto lo splendore della sua potenza e della sua maestà (Ep., Vang.). L’accoglienza che noi facciamo a Gesù quando viene a redimerci, sarà quella ch’Egli ci farà quando verrà a giudicarci. Prepariamoci dunque, con sante aspirazioni e col mutamento della nostra vita alle feste di Natale, per essere pronti all’ultimo tribunale, dal quale dipenderà la sorte della nostra anima per l’eternità. Abbiamo fiducia, perché « quelli che aspettano Gesù non saranno confusi » (Intr. Grad. Off.). – Nella basilica di S. Maria Maggiore tutto il popolo di Roma un tempo si intratteneva in questa 1a Domenica di Avvento, per assistere alla Messa solenne che celebrava il Papa, assistito dal suo clero. Si sceglieva questa chiesa, perché è Maria che ci ha dato Gesù e poiché in questa chiesa si conservano le Reliquie della mangiatoia nella quale la Madre benedetta adagiò il suo Figlio divino.
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps XXIV: 1-3.
Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.
[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]
Ps XXIV:4
Vias tuas, Dómine, demónstra mihi: et sémitas tuas édoce me.
[Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi sentieri.]
Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.
[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]
Oratio
Orémus.
Excita, quǽsumus, Dómine, poténtiam tuam, et veni: ut ab imminéntibus peccatórum nostrórum perículis, te mereámur protegénte éripi, te liberánte salvári:
[Súscita, o Signore, Te ne preghiamo, la tua potenza, e vieni: affinché dai pericoli che ci incombono per i nostri peccati, possiamo essere sottratti dalla tua protezione e salvati dalla tua mano liberatrice.]
Lectio
Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Romános Rom XIII: 11-14.
“Fratres: Scientes, quia hora est jam nos de somno súrgere. Nunc enim própior est nostra salus, quam cum credídimus. Nox præcéssit, dies autem appropinquávit. Abjiciámus ergo ópera tenebrárum, et induámur arma lucis. Sicut in die honéste ambulémus: non in comessatiónibus et ebrietátibus, non in cubílibus et impudicítiis, non in contentióne et æmulatióne: sed induímini Dóminum Jesum Christum” .
“È già ora che ci svegliamo dal sonno, perché al presente la salute è più vicina che quando credemmo. La notte è avanzata e il giorno è vicino: gettiam via le opere delle tenebre e vestiamo le armi della luce. Camminiamo con decoro, come chi cammina alla luce del giorno; non in crapule e in ubriachezze, non sotto coltri ed in lascivie, non nelle contese e nell’invidia; ma rivestite il Signore Gesù Cristo e non accarezzate la carne per concupiscenza „ (Ai Rom. XIII, 11-14).
S. Paolo, dopo avere spiegato in questa ammirabile lettera i principali doveri del Cristianesimo, eccita i Romani a praticar la virtù, rammentando loro la breve durata di una vita che tanti uomini passano in un triste assopimento. Gli esorta ad uscirne, perché il tempo stringe, ed il momento definitivo della nostra salute non è molto lontano. – Che cosa si intende qui per l’assopimento, per la notte ed il giorno, e per le opere delle tenebre? Per assopimento s’intende quella funesta tiepidezza che fa trascurare a tanti Cristiani ogni mezzo di salute. Ah! di quanti noi possiamo dire che la morte sarà il loro risvegliarsi! Per la notte s’intende il peccato, che immerge l’anima nelle tenebre allontanandole da Dio, che è il vero lume; per il giorno, s’intende la fede, la grazia, la riconciliazione con Dio, la scienza della salute. Le opere delle tenebre sono i peccati in generale, ed in particolare quelli che si commettono nell’oscurità della notte da chi l’aspetta per abbandonarsi al male. – Quali sono le armi della luce, delle quali dobbiamo rivestirci? Sono la fede, la speranza e la carità, e in generale tutte le buone opere. Noi combatteremo per esse il demonio, il mondo e la carne.
Che significa camminare nella decenza come durante il giorno?
Significa il non fare e non dire alla presenza di Dio. che vede e sente tutto, nulla di ciò che non si osa fare o dire in presenza delle persone che più si rispettano.
Che vuol dire rivestirsi di Gesù Cristo? Vuol dire pensare, parlare ed operare come Gesù Cristo.
(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P. e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).
Graduale
Ps XXIV: 3; 4
Univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur, Dómine.
[Tutti quelli che Ti aspettano, o Signore, non saranno confusi.]
V. Vias tuas, Dómine, notas fac mihi: et sémitas tuas édoce me.
[Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi sentieri.]
Alleluja
Allelúja, allelúja.
Ps LXXXIV: 8. V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam: et salutáre tuum da nobis. Allelúja. [Mostraci, o Signore, la tua misericordia: e dacci la tua salvezza. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum S. Lucam.
Luc XXI:25-33.
In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Erunt signa in sole et luna et stellis, et in terris pressúra géntium præ confusióne sónitus maris et flúctuum: arescéntibus homínibus præ timóre et exspectatióne, quæ supervénient univérso orbi: nam virtútes coelórum movebúntur. Et tunc vidébunt Fílium hóminis veniéntem in nube cum potestáte magna et majestáte. His autem fíeri incipiéntibus, respícite et leváte cápita vestra: quóniam appropínquat redémptio vestra. Et dixit illis similitúdinem: Vidéte ficúlneam et omnes árbores: cum prodúcunt jam ex se fructum, scitis, quóniam prope est æstas. Ita et vos, cum vidéritis hæc fíeri, scitóte, quóniam prope est regnum Dei. Amen, dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia fiant. Coelum et terra transíbunt: verba autem mea non transíbunt.
“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Vi saranno dei prodigi nel sole, nella luna e nelle stelle, e pel mondo le nazioni in costernazione per lo sbigottimento (causato) dal fiotto del mare e dell’onde: consumandosi gli uomini per la paura e per l’aspettazione di quanto sarà per accadere a tutto l’universo: imperocché le virtù de’ cieli saranno commosse. E allora vedranno il Figliuolo dell’uomo venire sopra una nuvola con potestà grande e maestà. Quando poi queste cose principieranno ad effettuarsi, mirate in su, e alzate le vostre teste; perché la redenzione vostra è vicina. E disse loro una similitudine: Osservate il fico e tutte le piante: quando queste hanno già buttato, sapete che l’estate è vicina. Così pure voi, quando vedrete queste cose succedere, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico, che non passerà questa generazione, fino a tanto che tutto si adempia. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (S. Luca, XXI, 25-33).
Omelia
(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)
IL GIUDIZIO UNIVERSALE
Al di là dei secoli, Dio pose un segno a cui tutti i nodi dovranno arrivare. Questo segno è la sua Croce che apparirà alla fine del mondo nel cielo vuoto, e sfolgorerà terribilmente sul capo di tutti gli uomini rassembrati d’ogni parte e prostesi sulla terra nuda. Sarà quello il giorno più tremendo, Dies iræ dies illa! – Il mattino del 14 Settembre del 258, nel campo Sextio, molle ancora di rugiada, veniva decapitato il Vescovo di Cartagine. I nemici di Cristo l’avevano preso e tradotto al tribunale del proconsole Galerio. – Galerio: « Sei tu Tascio Cipriano? ». Cipriano: «Son proprio io ». Galerio: « Che Tascio Cipriano sia giustiziato di spada ». Cipriano: « Deo gratias ».
Ma quando i soldati s’accinsero ad eseguir la sentenza, quando i fedeli stesero pannolini da torno a raccogliere il suo sangue che sarebbe sgorgato, il santo ebbe un tremito, e coprendosi con le mani gli occhi disse: « Væ mihi cum ad iudicium venero! » (guai a me che sto per andare in giudizio) Fu un istante: poi protese la testa. Se il pensiero del giudizio di Dio faceva tremare i martiri, che sarà di noi? Che faremo noi e che diremo davanti al Giudice divino? Pensiamo che quello sarà: giorno della grande manifestazione; giorno della grande accusa. 1. Manifestazione senza veli. Rappresentiamoci la nostra anima davanti a quel tribunale supremo, circondata dagli Angeli e dagli uomini: i giusti e i peccatori, i parenti e i conoscenti, i superiori e gli inferiori, gli amici e i nemici. Gli occhi di tutti son sopra di noi. Sono sopra di noi gli occhi di Dio. – Intanto si rifarà la storia della nostra vita, dai giorni lontani e dimenticati della fanciullezza sino a quello della nostra morte. Apparirà allora tutto il male che copertamente facemmo e tutto il bene che infingardamente non volemmo. Quaggiù abbiam creduto di ingannare gli occhi dello sposo, la vigilanza dei genitori, la buona fede forse di un prete a cui strappammo l’assoluzione. Fatica al vento: là tutti sapranno tutto. – Passavamo per amico fedele, sincero, generoso: invece vedranno che eravamo sleali, interessati, senza coscienza. Passavamo come una persona giusta che s’accontenta del suo: invece si conosceranno le frodi dei nostri commerci, e tutti potranno contare il danaro e la roba arraffata agli altri. Passavamo come un uomo integro ed onesto: invece appariranno le infamie commesse nell’ombra e nel segreto. E non solo il male che facemmo fuori di noi, ma anche il male che rimase dentro di noi, nell’occulto dell’anima, verrà manifestato. Tanti desideri vergognosi che abbiamo secondato con la mente nelle ore di ozio; tanti istinti di gelosia e di rancore che abbiamo dissimulato, ma che però erano il profondo motivo delle nostre maligne vendettuzze; tanti progetti di peccati che non facemmo solo perché ci mancò l’occasione: noi vedremo queste iniquità balzate dal nostro cuore, a nostra insaputa quasi come un’imboscata. Alla storia secreta del nostro cuore sentiremo ribrezzo di noi. All’esame del male che facemmo seguirà quello del bene che, potendo, non volemmo fare. – Quaggiù è facile nascondere dietro un comodo pretesto la nostra infingardaggine nel trascurare il bene e ci illudiamo di giustificarci dicendo: « Non tocca a me » oppure « Non ci riesco, non ho i mezzi ». Ma lassù ci verranno ricordate e rinfacciate tutte le colpevoli omissioni di cui è intessuta la nostra vita. Tutte le occasioni di dare una gloria a Dio che non demmo; tutte le anime che avremmo potuto salvare con la preghiera, con il consiglio, con l’elemosina e che non salvammo; tutte le Sante Comunioni, le Messe, le prediche che abbiam trascurato per pigrizia; tutti i giorni perduti, sacrificati ai pettegolezzi e ai piaceri del mondo senza un pensiero che li consacrasse a Dio e li rendesse buoni per l’eternità. Manifestazione totale, dunque: del male fatto fuori e dentro di noi e del bene non fatto. E sarà una manifestazione senza veli. Sulla terra, quando si è stati capaci di un delitto che ci ha precipitati nell’infamia e nel disprezzo, si fugge dal proprio paese, si abbandona la patria e si cerca un luogo, in America o in Africa, dove nessuno ci conosca, dove nessuno sappia né venga a sapere, dove ci è possibile ancora respirare e redimerci. Ma nel giorno del grande giudizio in quali ignote contrade potremo rifugiarci se tutte furono distrutte, in quali popoli stranieri se ogni uomo potrà leggerci sulla fronte la piaga e il destino? Sulla terra l’uomo disonorato può nascondersi, può intrufolarsi nella folla degli indifferenti, e sperare che col tempo si plachi il rumore delle sue scelleratezze. Ma non questo sarà possibile nell’ora dell’universale giudizio: non più confusione, ma separazione. Cristo dall’alto, come un gran pastore, separerà col suo vincastro ardente gli agnelli dai capri: i buoni dai cattivi. E sarà una separazione crudele: l’amico dall’amico, il fratello dal fratello, il padre dal figlio, l’uno assunto e l’altro abbandonato. E sarà una separazione ignominiosa, perché tutti ci vedranno e disprezzeranno. – 2. Giorno della grande accusa. a) L’accusa del demonio. S. Agostino ci assicura che il primo a levarsi contro noi sarà il demonio. Proprio lui! che ora con ogni lusinga ed inganno ci sospinge nel fango. Dirà: Durante la vita quest’anima ha osservato i comandamenti, Signore, non della tua ma della mia legge. Dammela dunque, che m’appartiene. Noi oseremo balbettare: « Signore, a seguire il demonio si faceva meno fatica; troppo dura è la tua legge ». « Non è vero, non è vero! — c’insulterà il demonio — Io ti facevo lavorare anche la Domenica, mentre la soave legge di Dio ti avrebbe concesso riposo. E tu lavoravi per me, senza lamentarti. Io ti facevo bere anche quando non avevi più sete: e tu per me bevevi ancora, fino a sentirti male, a imbestialirti nell’ubriachezza. Io ti comandavo di ballare: e tu, stanco di sei giorni di lavoro, ballavi alla domenica per farmi ridere. Io ti suggerivo un appuntamento equivoco: e tu, per ascoltarmi, lasciavi la tua famiglia, e magari faceva freddo, pioveva, e sostenesti d’attendere sotto l’acqua o la neve per ore e ore quella persona. Io ti imponevo di sprecare nei vizi il sudore della tua settimana: e tu, che avevi paura di donare un soldo in elemosina, consumavi nei ritrovi e nei piaceri il sostentamento della tua famiglia. Altro che leggero il mio giogo: ma tu l’hai preferito! b) L’accusa dell’Angelo. Poi sorgerà il nostro Angelo. Sì l’Angelo custode, a cui ci aveva affidati la Pietà superna, anch’esso diverrà accusatore. «Mio Signore, — dirà — il mio dovere d’illuminarlo, custodirlo, reggerlo, governarlo l’ho compiuto: ma invano. Invano, o Signore, ho illuminato la sua mente coi buoni pensieri, la sua anima con le buone parole di sacerdoti e di amici, la sua via col buon esempio di compagni. Invano lo custodivo, ché egli si recava di sua cocciuta volontà con le persone cattive e nei luoghi pericolosi. Alle tempeste di rimorsi che suscitavo nel suo cuore, non volle arrendersi ». – c) L’accusa degli uomini. Terminata l’accusa dell’angelo maligno e dell’Angelo buono, sorgeranno gli uomini ad accusarci. Sarà la voce degli innocenti scandalizzati dalle nostre parole, dal nostro esempio, dai nostri incitamenti: « Giustizia di Dio, — grideranno, — vendica le anime nostre ». Sarà la voce dei complici dei nostri peccati: « Giustizia di Dio, — grideranno, — con lui il male, con lui l’inferno ». – Sarà la voce, o genitori, dei vostri figlioli che non custodiste, che non educaste, che forse scandalizzaste. « Signore, diranno, ho imparato in casa a non pregare, a bestemmiare, ad offenderti! ». Sarà forse, o genitori, la voce fioca dei figli che non avete voluto, o che abbandonaste prima di nascere. « Signore, gemeranno: noi pure avevamo diritto alla vita, e non l’avemmo! ». d) Accusa senza scusa. Quale scusa troveremo da opporre a tanta accusa? Forse la nostra ignoranza? Colpa nostra se non ci siamo istruiti: ogni Domenica c’era predica e dottrina. Forse la nostra debolezza? Ma tutti i santi balzeranno a dire: « Anche noi eravamo di carne e sangue come voi, e ci salvammo ». Allora sorgerà il Giudice e giudicherà. – – «Osservate il fico, e, in genere, tutte le piante. Quando — diceva Gesù — la scorza si fa più tenera e umida, quando le gemme inturgidite lasciano trasparire in punta un occhio verde, voi dite che vien primavera. Ebbene, vi darò i segni per conoscere l’arrivo della mia giustizia. Segni in terra: scoppieranno guerre di popolo contro popolo, si svilupperanno malattie contagiose di città in città, e lunghi incendi arderanno su tutta la faccia del mondo. I viventi d’allora squallidi e muti si consumeranno per la paura e per l’aspettazione. – Segni in cielo: il sole si spegnerà ruggendo come un ferro rovente nell’acqua, la luna negherà i suoi raggi pallidi, le stelle come ubriache usciranno dal loro cammino e precipiteranno; ogni potenza dell’universo si muoverà. Allora su le nubi, con potestà e maestà, si vedrà venire il Figlio di Dio ». E svelerà. E parlerà. E condannerà. 1. E svelerà: Quando nel buio d’una stanza penetra un improvviso fascio di luce, in un colpo d’occhio tutto si vede quello che c’è nella stanza: si vede anche il granello di polvere sui mobili, e i corpuscoli che danzano nel vuoto. Così sarà nell’apparire del Figlio di Dio: tutta la nostra coscienza sarà invasa dalla sua luce sfolgorante. Non una piega rimarrà nell’ombra, non una pagina della nostra vita rimarrà oscura. Sarà quella l’ora della verità. Quelle frequenti visite, quelle passeggiate, quei ritrovi che sì è creduto di coprire col pretesto di un’amicizia innocente, di giusto sollievo, appariranno allora quali sono, motivi d’impura passione. Quella roba che si portava a casa col pretesto di ricompensarci dalla cattiva paga o di ciò che avevano tolto a noi, allora apparirà quale realmente è: un furto. È facile, quaggiù, perdere la Messa con la scusa che il tempo manca, trascurare la Dottrina cristiana col pretesto degli affari, omettere le preghiere della sera per la stanchezza; ma allora tutti sapranno che non si trovava tempo per i doveri religiosi, il tempo si trovava — e quanto! — per i divertimenti, per le chiacchiere, per il gioco, per i peccati. È facile quaggiù profanare, col lavoro, il giorno festivo e nascondere il proprio peccato con l’apparenza di una necessità o dell’urgenza; ma l’avarizia sordida che ci spinge a questo sacrilegio sarà svelata in quel giorno. Tutto sarà svelato: ma soprattutto i peccati tenuti nascosti anche nella Confessione, e trascinati dietro di giorno in giorno con una lunga catena di sacrilegi. Chi può immaginare la confusione del reprobo, scoperto agli occhi di tutti, agli occhi di Dio? –
– 2. E parlerà. Santa Caterina da Siena, una sera che pregava ginocchioni davanti al Crocifisso, vide una luce uscire dalle piaghe del Signore, e poi udì un gemito che la rimproverava perché in quel giorno era stata distratta nell’orazione. La santa cominciò a tremare dallo spavento, e un sudore gelido le rigò le membra, e giù dagli occhi caddero amarissime lacrime. « Ho provato un dolore — manifestò poi — che altrettale non proverò mai, nemmeno se mi svergognassero davanti ai re del mondo. Preferirei camminare per mesi e mesi su di una strada intessuta di spine, ma non riudire la trafittura di quel rimbrotto ». Eppure il suo era un piccolo difetto, e forse non del tutto volontario. Eppure Gesù le parlava per amore, volendola purificare da ogni debolezza e trasportarla verso un’altissima perfezione. Che stordimento indicibile dovrà dunque essere quello dei reprobi quando Cristo nel suo furore li rimprovererà dei loro enormi peccati? Loquetur ad eos in ira sua, et in furore suo conturbabit eos (Ps., XI, 5). « Rendimi conto, — ci dirà, — della vita che ti diedi. Dov’è il bene che hai fatto in trenta, quaranta, cinquant’anni? Quante sono le tue Comunioni, le mortificazioni, le elemosine, le opere buone? ». «Rendimi conto — ci dirà — delle mie buone ispirazioni. Che hai fatto di quei pensieri di bene che di giorno in giorno ti mandavo? Che hai fatto di quei rimorsi coi quali ti pungevo il cuore quando sentivi le prediche, quanto ti trovavi nella solitudine? Li cacciasti via come mosche, li soffocasti: ora me li pagherai ». «Rendimi conto — ci dirà — della tua famiglia. I tuoi genitori ti hanno educato bene, ti hanno insegnato a rispettare la mia legge e il mio Nome, ma tu perché hai dimenticato i loro insegnamenti? I tuoi figliuoli perché non sono cresciuti buoni? E come potevano crescere tali, se non ti curavi di loro, se non li castigavi quando fuggivano dalla chiesa, se li scandalizzavi con mali esempi? ». – « Rendimi conto — ci dirà — dei sacerdoti che ho messo vicino alla tua anima. Essi ti insegnavano, e tu non andavi a sentirli. Essi predicavano e tu chiudevi le orecchie. Essi ti rimproveravano a nome mio, e tu li hai odiati ». – «Rendimi conto — ci dirà — dei miei Sacramenti. Avevi nell’anima il demonio e non andavi a confessarti: hai disprezzato il sacramento del perdono, e adesso pretendi ch’Io ti perdoni? Oh quante volte ti ho aspettato nel silenzio del Tabernacolo, e non sei venuto. Ti ho aspettato a Pasqua, ti ho aspettato alle SS. Quaranta ore, ti ho aspettato il giorno del Perdono, ti ho aspettato il giorno dei Morti… E non sei venuto ». «Ah, rendimi conto del mio sangue. Il sangue che ho versato sotto gli ulivi, il sangue della flagellazione, il sangue della coronazione di spine, il sangue delle mie mani e de’ miei piedi, il sangue del mio cuore. Tutto il sangue fu inutile per te ». – Quid sum misertum dicturus? Miseri, confusi, nudi, sotto il pungente sguardo di tutti gli uomini, che sono che furono e che saranno, chi di noi oserà rispondere qualche cosa? 3. E condannerà. Prima dell’alba S. Agostino fu risvegliato da un gemere lungo e da un singhiozzare straziante che gli veniva su dalla strada. Due uomini seminudi, dalla barba e dalla capigliatura sporca e lunga, magri e affamati, tremavano convulsamente davanti alla porta del Vescovo. Intanto tutto il popolo d’Ippona era accorso a vederli. «Come vi chiamate? » domandò S. Agostino. « Paolo e Palladio » risposero, senza cessare di piangere e di tremare. « Quietatevi, noi vi soccorreremo ». – « È impossibile quietarci. Noi veniamo da Cesarea di Cappadocia, ove eravamo sette fratelli e tre sorelle. Abbiamo offeso nostra madre vedova, ed essa ci ha maledetti, e la sua maledizione è passata nella nostra pelle, nella nostra carne, nel nostro sangue, nelle ossa nostre. E ci fa tremare, così come vedi, notte e giorno senza requie mai… Liberaci, santo di Dio, dalla maledizione di nostra madre, oppure, se non puoi altro, facci almeno la grazia di morire ». S. Agostino pregò per loro, e Dio li liberò. Riflettete, Cristiani: se tanto ha potuto in quei figli la maledizione di una madre terrena, che cosa non produrrà in noi la terribile, irrevocabile, finale maledizione di Dio, Padre nostro, offeso dai nostri peccati? Ite, maledicti, in ignem æternum. Adesso non sappiamo comprendere che cosa importi la privazione di Dio; soltanto possiamo formarcene un’idea assai lontana e confusa. Immaginate se in questa chiesa mancasse l’aria: i nostri occhi si gonfierebbero, le gote diverrebbero livide, apriremmo la bocca delirando, soffocheremmo. Un tormento che a questo assomiglia, ma infinitamente più grande, proverà l’anima che, maledetta, si sente privare di Dio, che è il suo respiro. Aver sempre sete, senza bere mai; aver sempre fame senza mangiar mai; tremare dal freddo senza una fiamma, ardere dal fuoco senza un alito che ci rinfreschi: così l’anima senza Dio. – Terribili tormenti, ma questa grama ricompensa il peccatore se la invoca lui stesso peccando. E quando la mobilitazione generale delle coscienze sarà suonata, quando su tutta la terra rintronerà il grido tremendo: — levatevi, o morti! — allora Iddio non farà che sancire quello che ciascuno ha voluto per sé. «O Cristiano! col peccato hai degradato te stesso: sia fatta la tua volontà, per sempre. Fiat voluntas tua, in æternum. «O Cristiano! col tuo peccato dal tuo cuore mi hai scacciato. Io ratifico: per sempre In æternum. « E ormai vattene, che non ti conosco più: per sempre. In æternum ». – Un piccolo re aveva dichiarato guerra a un gran Re. Ma poi si pose a tavolino e cominciò a riflettere: « Come mai posso nutrire speranze di vincerla, se conto appena diecimila soldati, quando il mio avversario ne conduce più di venti milioni? ». E da saggio, intanto che le armate erano ancora lontane, mandò una legazione chiedendo umilmente la pace e i patti di sottomissione. Legationem mittens rogat ea quæ pacis sunt (Lc., XIV, 32).Ora, il Vangelo di questa prima domenica di Avvento ci assicura che Gesù Cristo, il gran Re sul cui fianco sta scritto il segno del potere infinito Rex regum et Domus dominantium (Apoc., XIX, 16), deve venire dal cielo a giudicare la terra. Che cosa siamo noi davanti a lui? Pretendiamo forse di resistergli? Facciamola da saggio come il piccolo re della parabola: intanto che è ancora lontano, intanto che siamo ancora in tempo, domandiamogli i patti di pace, e assoggettiamoci a tutti i suoi dolci comandamenti. – Se vivessimo i nostri giorni sotto la luce che viene da questo ultimo giorno, come volentieri porteremmo la nostra croce! I Santi queste cose le capivano molto bene. S. Pietro Martire, esorcista della Chiesa di Roma nei primi tempi del Cristianesimo, quando fu cacciato in prigione per la fede, disse al carceriere che egli era pronto a liberare nel Nome di Cristo la sua figliuola dal demonio da cui era invasata da parecchi anni. Il carceriere, sorpreso a tale proposta, gli chiese perché non si serviva della onnipotenza del Nome di Gesù per liberare se stesso dalla prigione. Ed egli: «Conosco troppo bene i vantaggi delle mie catene e per nessun motivo vorrei liberarmi ». Se possiamo recare un po’ di conforto ai nostri fratelli facciamolo sempre volentieri; le nostre croci invece apprezziamole come si meritano ed anzichè domandare al Signore che ce le tolga, preghiamolo che ci dia la forza di portarle, con rassegnazione ed amore. Tanto più godremo, quando più avremo faticato, sofferto, pianto per amor di Dio. – Austera è la verità del giudizio universale. Ancora al nostro orecchio risuonano le parole paurose che leggemmo, domenica scorsa, nel Vangelo; ancora nella nostra mente ripassano le fosche immagini di un mondo in fiamme e di un cielo sfasciato. Oggi, il Vangelo ritorna al medesimo argomento, ma non più per opprimerci di spavento, bensì per elevarci a grande speranza. Il sole, la luna, le stelle daranno tristi segnali e la costernazione passerà sui popoli; il mare mugghierà, e gli uomini morranno di paura nell’aspettazione di ciò che sarà. E sarà per venire, in potenza e in gloria, il Figlio dell’uomo a giudicare dalle nubi. Quando avverranno queste cose, voi — che siete buoni — levate la fronte, che la redenzione vostra è vicina. Levate capita vestra: quoniam appropinquat redemptio vestra. (Alzate il vostro capo perché la vostra redenzione si avvicina). Gesù ci rivolge queste buone parole, proprio nella I Domenica d’Avvento. Noi ci prepariamo al Santo Natale che è il ricordo della prima venuta di Gesù nel mondo; prepariamoci bene e ci troveremo contenti nella seconda venuta di Gesù nel mondo, al giudizio universale. – Il mondo si sfascerà in una fumosa rovina: ma noi non saremo del mondo e lo guarderemo scrosciare, sicuri, come se scrosciasse la casa di un altro, anzi come se scrosciasse la prigione dove abbiamo patito e lacrimato tanto. Alzeremo allora,con gioia, la nostra testa verso i cieli squarciati, attendendo la redenzione; Gesù verrà a portarcela. Il giudizio finale libera gli eletti dalle persecuzioni del mondo. Inoltre, in questa vita, i giusti sono condannati a vivere come gli iniqui, sono confusi con loro; sono chiamati ipocriti più di loro; sono perseguitati in mille modi. Nel giorno del giudizio i buoni saranno vendicati: ci sarà la separazione e si vedranno i raggiri e le ingiustizie dei cattivi. Quando Dio comandò a Giosuè di togliere di mezzo al popolo Acan, uomo scandaloso, e di farlo morire, disse: « Sorgi e santifica il popolo ». Surge et sanctifica populum (Ios., VII, 13). Quando Giuda uscì dal cenacolo, per eseguire il suo detestabile disegno, Gesù si sentì sollevato da un’ambascia mortale, ed esclamò: « Finalmente il Figliuol dell’uomo è glorificato ». Nunc clarificatus est Filius hominis (Giov., XIII, 31). Questa santificazione e questa glorificazione sarà data ai buoni nel giorno finale, quando gli Angeli separeranno i giusti dagli ingiusti. c) Il giudizio finale libera gli eletti dallo scherno del mondo. Infine, in questa vita le persone umili sono schernite; quelle che sopportano le offese sono dette vili; quelle che non si danno ai piaceri sono dette sciocche; quelle poi che si consacrano a Dio attraverso alla vita religiosa sono chiamate pazze. Ma sarà un momento di brusca meraviglia, quando i mondani vedranno queste persone in un trono di gloria. «Eccoli là — esclameranno con rabbia, — quelli che ritenemmo come il rifiuto del mondo, quelli che deridemmo; ora sono nella luce e nella gioia dei figli di Dio. Li abbiamo creduti stupidi, e gli stupidi eravamo noi ». Nos insensati! Vitam illorum aestimabamus insaniam (Sap., V., 4). Al giudizio finale saremo redenti dalla morte. Squilleranno le trombe a risurrezione, e dovunque il nostro corpo sarà o in terra o in mare o sparso nel vento come leggera polvere, risorgerà. Cristo, che è morto per vincere la morte, ci redimerà dalla morte, restituendo ai buoni la propria carne, rifatta luminosa, impassibile, bella per la gloria del Paradiso. – È giusto. Quel corpo che ha patito tanto per resistere al demonio, è giusto che sia premiato. Quegli occhi che si sono chiusi con violenza davanti alle vanità mondane, ai libri, a figure pericolose, è giusto che s’abbiano a riaprire a veder tutta la gloria di Dio. Quelle orecchie che sono diventate sorde a certe mormorazioni, a certe parole, empie contro la fede, o luride contro la virtù, è giusto che ascoltino l’armonia degli Angeli e i cori universali dei santi. Quella gola e quella lingua che si era proibito l’abuso nel cibo, nel bere, nel parlare, è giusto che intoni un cantico eterno e beatissimo. E quelle povere ginocchia che hanno saputo com’è duro il pavimento delle chiese, o il legno delle panche, o le mattonelle della propria stanza vicino al letto, perché non avranno la loro parte di gloria? Vedete allora come i buoni non devono temere il giorno del giudizio, ma aspettarlo come il contadino aspetta la primavera. E non è forse tutto primaverile il presagio datoci dal Signore per riconoscere il tempo del giudizio finale? «Guardate la pianta del fico, anzi tutte le piante: quando voi vedete le gemme umettarsi di gomma, inturgidirsi, rompere la buccia per mettere al sole un occhio di tenerissimo verde, voi dite: è vicina la primavera. Ebbene, quando cominceranno i segni nel sole e nelle stelle, rallegratevi! ché il regno di Dio è alle porte ». Come un albero che si risveglia dall’inverno, noi ci risveglieremo dalla morte. Con questi sentimenti moriva, arso vivo, il martire S. Pionio. Mentre le fiamme, crepitando sotto, ascendevano a lambirgli le membra contratte nello spasimo atroce, mentre il rogo l’avvolgeva in una bandiera tormentosa di fuoco, egli gridava: « Muoio volentieri così; perché tutto il Popolo sappia che dopo la morte c’è la resurrezione della carne ». Poi il fumo e il fuoco gli raggiunsero la bocca, e non parlò più. Avete, qualche volta, pensato bene al Paradiso? Immaginate quell’immensa regione d’ogni bellezza, i canti e le armonie, la luce, il sorriso, la gioia: e noi saremo là. Là, col nostro corpo, proprio noi e tutti ci vorranno bene; ma più di tutti è Dio che vorrà bene. «O Signore! com’è bello star qui…» (Mt., XVII, 4) gridava S. Pietro nel colmo della gioia; eppure non vedeva il Paradiso, sul Tabor non c’era che una smunta rivelazione della infinita bellezza del Signore. Chissà, allora, noi, in Paradiso, quando vedremo tutto il Signore, chissà che cosa diremo?… Non diremo nulla: ameremo. Il più è arrivarci. – Santa Caterina da Siena, ascoltando parlare del giudizio universale mentre tutti tremavano, sorrideva beata. « Perché? » le fu chiesto. « Perché penso che Colui che verrà a giudicarmi è quel Gesù che tanto amo, per cui ho sacrificato la mia giovinezza, e tutta la mia vita». Amiamo in questa vita Gesù Cristo, e il suo giudizio non ci farà spavento. E se in questa vita noi ci facessimo amici della Croce e del Crocifisso, non sarebbe un bell’accorgimento per sfuggire all’ira ventura, e trovare misericordia in quel momento supremo? Dunque facciamoci amici della Croce. Facciamoci amici del Crocifisso. – Amate la sua croce! e l’amerete quando con fede, con pazienza porterete le tribolazioni che ogni giorno della vita incontrerete. Considerate come Gesù Cristo, il Re divino, ha fatto e poi andategli dietro: factus obœdiens usque ad mortem, ad mortem autem crucis (Phil., II, 8). E perché ribellarci quando la Provvidenza di Dio con la sua spada ci percuote nella roba, nella famiglia, nella salute?Non sappiamo che se Dio ci tocca, è per farci cavalieri suoi nel Paradiso? e noi l’imprecheremo? Amate dunque la sua guerra! la quale è guerra contro le seduzioni del mondo. Sempre e da ogni parte noi siamo circondati da pericoli spirituali: il mondo è tutto una malignità. Amate la sua guerra! la quale è guerra contro noi stessi. Ci sono in noi due parti contrastanti: l’una parte è animale e terrestre, l’altra è spirituale e celeste; la prima ci solleva al bene, la seconda ci abbassa al male. È questa parte di noi che dobbiamo soffocare e rinnegare con le sue inclinazioni perverse, con i suoi affetti velenosi. Se avremo amato la croce e la guerra contro il mondo e contro noi stessi, non proveremo spavento all’apparire del Segno del Figliuol dell’uomo, nel dì del giudizio.« Ecco la croce! » grideranno gli Angeli: altri piangeranno, ma non noi, che in quel momento la saluteremo con le parole di S. Andrea Apostolo: « Salve, o croce, a lungo portata! Salve, o croce, con gioia aspettata! Accoglimi sotto l’ombra del tuo braccio destro, perché fui discepolo di Colui che appesero su te! ». – Per farci amici del Crocifisso non c’è via migliore che farci amici dei poveri, dei malati, di tutti coloro che soffrono, di tutti coloro che in qualsiasi modo sono crocifissi nell’anima o nel corpo. In Turingia non v’era dolore che S. Elisabetta non lenisse, non vi era bisogno che non soccorresse, non v’era sventura che ella ignorasse. Accorreva alle capanne degli ammalati, assisteva i moribondi, vestiva gli ignudi, raccoglieva ed istruiva gli orfani. Ai cancelli del suo palazzo, i poveri si affollavano ogni giorno, e nessuno partiva senza qualche consolazione. Una volta lasciò entrare nelle sue stanze un ammalato schifoso, anzi ella stessa con le sue mani fini e candide cominciò a curargli le piaghe, a lavarle, a baciarle… I servi inorriditi esclamarono: «Che fate! Che fate!… ». Ma Elisabetta tranquillissima rispose: « Bacio le piaghe del Signor mio Gesù Cristo: così non mi faranno più spavento nel giorno del giudizio. È a quel giorno che io penso, e ad esso, come posso, mi preparo ». – Era veramente una regina saggia, della saggezza del Vangelo. Il Vangelo infatti dice apertamente il valore e la stima che verrà data alle opere buone nel giudizio universale. Il gran Re dirà a coloro che saranno accolti alla sua destra: « Venite, o benedetti dal Padre mio, a prender possesso del regno che fin dal principio del mondo vi tenevo preparato. Voi mi trovaste affamato e mi sfamaste; mi vedeste ignudo e mi vestiste; mi incontraste pellegrino sulla strada e mi ricoveraste; mi sapeste prigioniero e mi visitaste; e se fui malato, mi assisteste ». Ed i giusti meravigliati gli domanderanno: « Forse ti sbagli, giacché noi non ti trovammo mai affamato né ti vedemmo mai ignudo, e neppure pellegrino sulla strada, e neppure prigioniero e neppure ammalato… ». « No, no! — riprenderà il Re — non mi sbaglio: tutto quello che avete fatto al più piccolo, al più dimenticato tra gli uomini, l’avete fatto proprio a me». – S. Giovanni Crisostomo ci ammonisce di non considerare il bene fatto come una perdita, ma come un guadagno, noi doniamo del pane, ed in cambio riceveremo il paradiso; noi doniamo un abito ed in cambio riceveremo la veste nuziale per entrare al banchetto dei cieli; noi concediamo ospizio sotto il nostro tetto e avremo tutta l’eternità; noi perdoniamo poco e saremo perdonati molto; noi asciughiamo le lagrime altrui e saremo rallegrati per sempre. Vi dico che neppure un bicchier d’acqua pura offerto per amor di Dio, andrà smarrito! Anzi vi dico che nel giorno del giudizio finale noi non possederemo se non quello che avremo donato. San Filippo Benizi, religioso dell’Ordine dei Servi di Maria Vergine, moriva. Oltre la malattia, oltre il dolore, da giorni lo tormentava una terribile visione. Già gli sembrava di trovarsi davanti al tribunale di Dio, e intorno a lui sorgevano i demoni a rimproverargli i peccati della vita passata, anche i più lontani, anche i più piccoli… L’agonizzante a quella vista, a quelle parole apriva gli occhi inorriditi, tremava, e più non aveva speranza. « Datemi il mio libro! Datemi il mio libro! » gridava con voce spaventata. Degli astanti alcuni corsero a prendere un libro, altri un altro libro: ma egli li rifiutava tutti senza trovare requie. Finalmente uno si accorse che gli occhi del morente s’erano fissati sopra un Crocefisso lì accanto; lo prese e glielo pose tra le mani gelide e sudate. – Appena l’ebbe, come un assetato, vi pose sopra la bocca a baciarlo bramosamente: baciò il legno della croce, baciò le piaghe di Colui che vi era appeso. 1 suoi occhi si illuminarono come al sorgere d’un alba interiore; la sua fronte si spianò in una dolce serenità; le sue labbra si atteggiarono a dolcissimo sorriso. E andò così incontro al giudizio di Dio. Aveva amato la croce, aveva amato il Crocifisso con tutte le sue forze. Di che cosa avrebbe dovuto temere? – Il padrone se n’è andato lontano. Qualche servo prudente e fedele cominciò subito ad eseguire gli ordini ricevuti, preparando senza sperpero e distribuendo con puntualità al momento opportuno il cibo ai familiari. Beato quel servo che il padrone al suo arrivo troverà a fare così! In verità vi dico lo metterà a capo di tutto quel che possiede. Invece qualche altro servo indolente e cattivo, passato qualche tempo, disse fra sè: «Il mio padrone tarda… chissà quando verrà… forse non verrà più ». Cominciò a trascurare il suo lavoro, a litigare e venire alle mani coi compagni di servizio, a mangiare e bere con gli ubriachi, Disgraziato quel servo che il padrone troverà a fare così! Il padrone sopravvenendo in un giorno che non sarà atteso, in un’ora che il servo non sa, lo farà uccidere, lo caccerà tra gli ipocriti maligni: là dove sarà pianto e stridor di denti (Mt., XXIV, 45-51). Dunque, Cristiani, tutta la nostra vita quaggiù è un’aspettativa, è un tempo d’avvento. Ma specialmente, deve essere una aspettativa fervorosa in questa parte dell’anno liturgico che si chiama proprio « Avvento ». Nessuno s’inganni, dicendo fra sé: «Il mio padrone tarda… chissà quando verrà… ho tempo ». Nessuno osi restare in peccato mortale: mettetevi tutti in grazia di Dio; vivete sempre in grazia di Dio. «I vostri fianchi siano cinti e le vostre lampade accese: siate simili a quelli che aspettano il loro padrone… » (Lc., XII, 35-36). – Un altro consiglio per prevenire in bene il nostro Giudice divino è quello di non giudicare mai il prossimo. « Non giudicate, e non sarete giudicati». Ecco alcuni motivi che ci persuaderanno meglio a praticarlo. a) Non dobbiamo giudicare perché nessuno ci ha costituiti nella carica di giudice verso il nostro prossimo. Tutti siamo sullo stesso piano, tutti fratelli; Uno solo sta sopra di noi, superiore e giudice di tutti: a suo tempo verrà. Intanto nessuno usurpi quell’ufficio che solo è suo. b) Non dobbiamo giudicare perché ogni nostro prossimo è suddito e servo di Dio. Che egli cada o stia in piedi, ciò riguarda il suo padrone e non noi. (Rom., XIV, 4-10). c) Non dobbiamo giudicare perché siamo incapaci d’essere imparziali: nell’occhio del prossimo ci dà fastidio perfin la pagliuzza, e nel nostro sopportiamo anche una trave. Già fin d’ora noi sappiamo esattamente come si svolgerà il giudizio e quali parole saranno pronunciate dal Giudice. Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi Angeli, allora siederà sul trono, e dirà a quelli che saranno alla sua destra: « Venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno, che v’è stato preparato dalla creazione del mondo. Perché io ebbi fame, e m’avete dato da mangiare; ebbi sete e m’avete dato da bere; fui straniero e m’avete accolto; nudo e m’avete vestito; malato e mi avete assistito: in prigione e siete venuti a trovarmi ». Per conchiudere, sentite come è saggio quest’altro consiglio che è nel Vangelo di S. Matteo: « Mentre sei ancora per strada, mettiti d’accordo col tuo avversario. Altrimenti all’istante in cui arrivi, ti consegna alle guardie e vieni gettato in carcere ». Mentre siamo ancora pellegrini in questo mondo, mettiamoci dunque in pace col Signore che abbiamo offeso. Non aspettiamo quando saremo arrivati alla morte. Corri tu prima a presentarti avanti a Lui col pentimento, con la confessione. Corri a presentarti a Lui, prima che Egli ti faccia comparire davanti a sé. Previeni, per non essere prevenuto.
Offertorium
Orémus
Ps XXIV: 1-3. Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.
[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]
Secreta
Hæc sacra nos, Dómine, poténti virtúte mundátos ad suum fáciant purióres veníre princípium.[Questi misteri, o Signore, purificandoci con la loro potente virtú, ci facciano pervenire piú mondi a Te che ne sei l’autore.]
Communio
Ps LXXXIV: 13.
Dóminus dabit benignitátem: et terra nostra dabit fructum suum. [Il Signore ci sarà benigno e la nostra terra darà il suo frutto.]
Postcommunio
Orémus.
Suscipiámus, Dómine, misericórdiam tuam in médio templi tui: ut reparatiónis nostræ ventúra sollémnia cóngruis honóribus præcedámus. [Fa, o Signore, che (per mezzo di questo divino mistero) in mezzo al tuo tempio sperimentiamo la tua misericordia, al fine di prepararci convenientemente alle prossime solennità della nostra redenzione.]
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)