Continua lo svolgersi maestoso e stupendo di questa prima Enciclica di Papa Pacelli in un serrare denso di contenuti e ricco di spunti per meditazioni spirituali. Tra gli altri ammonimenti ce n’è uno che risuona oggi di particolare importanza « … non meno dannoso al benessere delle nazioni e alla prosperità della grande società umana, che raccoglie e abbraccia entro i suoi confini tutte le genti, si dimostra l’errore contenuto in quelle concezioni, le quali non dubitano di sciogliere l’autorità civile da qualsiasi dipendenza dall’Ente supremo, causa prima e Signore assoluto sia dell’uomo che della società, e da ogni legame di legge trascendente, che da Dio deriva come da fonte primaria, e le concedono una facoltà illimitata di azione, abbandonata all’onda mutevole dell’arbitrio o ai soli dettami di esigenze storiche contingenti e di interessi relativi… » – Sciogliere l’autorità civile da qualsiasi dipendenza all’Ente supremo: ecco l’origine di ogni male sociale e politico così diffusi oggi nel mondo ateo e neopagano, truccato maldestramente da una maschera di falso Cristianesimo stantio ed ipocrita, intriso di massonismo liberista che incatena asservendoli ad un mondialismo luciferino, popoli e Nazioni incapaci per questo di uscire da una serie infinita di crisi insanabili, politiche, sociali, economiche, ambientali, filosofofico-ideologiche, ed ora pure sanitarie. Ma il Santo Padre, lungi dal perdere la fiducia cieca nell’azione salvifica divina, ci incoraggia con ardore … « … Chi vive dello spirito di Cristo non si lascia abbattere dalle difficoltà che si oppongono, anzi si sente spinto a lavorare con tutte le sue forze e con piena fiducia in Dio; non si sottrae alle strettezze e necessità dell’ora, ma ne affronta le durezze pronto al soccorso, con quell’amore che non rifugge dal sacrificio, è più forte della morte, e non si lascia spegnere dalle impetuose acque della tribolazione… » Parole che danno forza e coraggio soprattutto quando poi si accoppiano al ricorso alla preghiera ed ai mezzi della grazia … «All’ombra delle tue ali mi rifugio, finché passi la calamità» (Sal LVI, 2)… « Dio può tutto: al pari della felicità e delle sorti dei popoli, tiene nelle sue mani anche gli umani consigli e, in qualsiasi parte Egli voglia, dolcemente li inclina: anche gli ostacoli per la sua onnipotenza sono mezzi a plasmare le cose e gli eventi e a volgere le menti e i liberi voleri ai suoi altissimi fini. – Pregate, quindi, venerabili fratelli, pregate senza interruzione, pregate, soprattutto, quando offrite il divino Sacrificio d’amore …» Rifugiamoci dunque, pusillus grex, sotto le ali di Dio non come pulcini impauriti ma come aquilotti pronti ad affrontare ogni lotta che il maligno ci muove mediante le frecce che provengono da ogni lato, specie da dove meno le attenderemmo, cioè dalla falsa chiesa satanista vaticana, dai filantropi ed imbonitori delle logge e dei parlamenti, dagli ipocriti pseudocristiani che come “fuoco amico” ci colpiscono alle spalle.
PIO XII
LETTERA ENCICLICA
SUMMI PONTIFICATUS (2)
PROGRAMMA DEL PONTIFICATO
***
Venerabili fratelli, se la dimenticanza della legge di carità universale, che sola può consolidare la pace, spegnendo gli odi e attenuando i rancori e i contrasti, è fonte di gravissimi mali per la convivenza pacifica dei popoli, non meno dannoso al benessere delle nazioni e alla prosperità della grande società umana, che raccoglie e abbraccia entro i suoi confini tutte le genti, si dimostra l’errore contenuto in quelle concezioni, le quali non dubitano di sciogliere l’autorità civile da qualsiasi dipendenza dall’Ente supremo, causa prima e Signore assoluto sia dell’uomo che della società, e da ogni legame di legge trascendente, che da Dio deriva come da fonte primaria, e le concedono una facoltà illimitata di azione, abbandonata all’onda mutevole dell’arbitrio o ai soli dettami di esigenze storiche contingenti e di interessi relativi. – Rinnegata, in tal modo, l’autorità di Dio e l’impero della sua legge, il potere civile, per conseguenza ineluttabile, tende ad attribuirsi quell’assoluta autonomia, che solo compete al Supremo Fattore, e a sostituirsi all’Onnipotente, elevando lo stato o la collettività a fine ultimo della vita, a criterio sommo dell’ordine morale e giuridico, e interdicendo, perciò, ogni appello ai princìpi della ragione naturale e della coscienza cristiana. – Non disconosciamo, invero, che princìpi errati, fortunatamente, non sempre esercitano intero il loro influsso, principalmente quando le tradizioni cristiane, più volte secolari, di cui si sono nutriti i popoli, rimangono ancora profondamente, anche se inconsciamente, radicate nei cuori. Tuttavia, non bisogna dimenticare l’essenziale insufficienza e fragilità di ogni norma di vita sociale che riposi su un fondamento esclusivamente umano, s’ispiri a motivi esclusivamente terreni e riponga la sua forza nella sanzione di un’autorità semplicemente esterna. – Dove è negata la dipendenza del diritto umano dal diritto divino, dove non si fa appello che ad una malsicura idea di autorità meramente terrena e si rivendica un’autonomia fondata soltanto sopra una morale utilitaria, qui lo stesso diritto umano perde giustamente nelle sue applicazioni più gravose la forza morale, che è la condizione essenziale per essere riconosciuto e per esigere anche sacrifici. – È ben vero che il potere basato sopra fondamenti così deboli e vacillanti può raggiungere talvolta, per circostanze contingenti, successi materiali da destar meraviglia ad osservatori meno profondi; ma viene il momento, nel quale trionfa l’ineluttabile legge che colpisce tutto quanto è stato costruito sopra una latente o aperta sproporzione tra la grandezza del successo materiale ed esterno e la debolezza del valore interno e del suo fondamento morale. Sproporzione che sussiste sempre, quando la pubblica autorità misconosce o rinnega il dominio del sommo Legislatore, il quale se ha dato la potestà ai reggitori, ne ha per altro segnato e determinato i limiti. La sovranità civile è stata voluta dal Creatore, come sapientemente insegna il Nostro grande predecessore Leone XIII nell’enciclica Immortale Dei, affinché regolasse la vita sociale secondo le prescrizioni di un ordine immutabile nei suoi princìpi universali, rendesse più agevole alla persona umana, nell’ordine temporale, il conseguimento della perfezione fisica, intellettuale e morale e l’aiutasse a raggiungere il fine soprannaturale. È quindi nobile prerogativa e missione dello stato il controllare, aiutare e ordinare le attività private e individuali della vita nazionale, per farle convergere armonicamente al bene comune, il quale non può essere determinato da concezioni arbitrarie, né ricevere la sua norma primariamente dalla prosperità materiale della società, ma piuttosto dallo sviluppo armonico e dalla perfezione naturale dell’uomo al quale la società è destinata, quale mezzo, dal Creatore. – Considerare lo stato come fine, al quale ogni cosa dovrebbe essere subordinata e indirizzata, non potrebbe che nuocere alla vera e durevole prosperità delle nazioni. E ciò avviene, sia che tale dominio illimitato venga attribuito allo stato, quale mandatario della nazione, del popolo, o anche di una classe sociale, sia che venga preteso dallo stato, quale padrone assoluto, indipendente da qualsiasi mandato. Se lo Stato infatti a sé attribuisce e ordina le iniziative private, queste, governate come sono da delicate e complesse norme interne, che garantiscono e assicurano il conseguimento dello scopo ad esse proprio, possono essere danneggiate, con svantaggio del pubblico bene, venendo avulse dall’ambiente loro naturale, cioè dalla responsabile attività privata. – Anche la prima ed essenziale cellula della società, la famiglia, come il suo benessere e il suo accrescimento, correrebbe allora il pericolo di venir considerata esclusivamente sotto l’angolo della potenza nazionale e si dimenticherebbe che l’uomo e la famiglia sono per natura anteriori allo Stato, e che il Creatore diede ad entrambi forze e diritti e assegnò una missione, rispondente a indubbie esigenze naturali. – L’educazione delle nuove generazioni non mirerebbe a un equilibrato armonico sviluppo delle forze fisiche e di tutte le qualità intellettuali e morali, ma ad una unilaterale formazione di quelle virtù civiche, che si considerano necessarie al conseguimento di successi politici; quelle virtù invece, che dànno alla società un profumo di nobiltà, d’umanità e di rispetto, meno s’inculcherebbero, quasi deprimessero la fierezza del cittadino. Davanti al nostro sguardo si profilano con dolorosa chiarezza i pericoli che temiamo potranno derivare a questa generazione e alle future dal misconoscimento, dalla diminuzione e dalla progressiva abolizione dei diritti della famiglia. Perciò Ci eleviamo a fermi difensori di tali diritti in piena coscienza del dovere che Ci impone il Nostro apostolico ministero. Le angustie dei nostri tempi, sia esterne che interne, sia materiali che spirituali, i molteplici errori con le loro innumerevoli ripercussioni da nessuno vengono assaporati così amaramente come nella piccola nobile cellula familiare. Un vero coraggio e, nella sua semplicità, un eroismo degno di ammirato rispetto sono spesso necessari per sopportare le durezze della vita, il peso quotidiano delle miserie, le crescenti indigenze e le ristrettezze in una misura mai prima sperimentata, di cui spesso non si vede né la ragione né la reale necessità. Chi ha cura d’anime, chi può indagare nei cuori, conosce le nascoste lacrime delle madri, il rassegnato dolore di numerosi padri, le innumerevoli amarezze, delle quali nessuna statistica parla né può parlare; vede con sguardo preoccupato crescere sempre più il cumulo di queste sofferenze e sa che le potenze dello sconvolgimento e della distruzione stanno al varco, pronte a servirsene per i loro tenebrosi disegni. – Nessuno, che abbia buona volontà e occhi aperti, potrà rifiutare nelle condizioni straordinarie, in cui si trova il mondo, al potere dello Stato un corrispondente più ampio diritto eccezionale per sovvenire ai bisogni del popolo. Ma l’ordine morale, stabilito da Dio, esige, anche in tali contingenze, che s’indaghi tanto più seriamente e acutamente sulla liceità di tali provvedimenti e sulla loro reale necessità, secondo le norme del bene comune. – Ad ogni modo, quanto più gravosi sono i sacrifici materiali richiesti dallo stato agli individui e alle famiglie, tanto più sacri e inviolabili devono essergli i diritti delle coscienze. Può pretendere beni e sangue, ma non mai l’anima da Dio redenta. La missione assegnata da Dio ai genitori, di provvedere al bene materiale e spirituale della prole e di procurare ad essa una formazione armonica pervasa da vero spirito religioso, non può esser loro strappata senza grave lesione del diritto. Questa formazione deve certamente aver anche lo scopo di preparare la gioventù ad adempiere con intelligenza, coscienza e fierezza quei doveri di nobile patriottismo, che dà alla patria terrestre tutta la dovuta misura di amore, dedizione e collaborazione. Ma d’altra parte una formazione che dimentichi, o peggio, volutamente trascuri di dirigere gli occhi e il cuore della gioventù alla patria soprannaturale, sarebbe un’ingiustizia contro gli inalienabili doveri e diritti della famiglia cristiana, uno sconfinamento, a cui deve essere opposto un rimedio anche nell’interesse del bene del popolo e dello stato. Una simile educazione potrà forse sembrare a coloro, che ne portano la responsabilità, fonte di aumentata forza e vigoria; in realtà sarebbe il contrario, e le tristi conseguenze lo proverebbero. Il delitto di lesa maestà contro «il Re dei re e il Signore dei dominanti» (1 Tm VI, 15; Ap XIX,16), perpetrato da un’educazione indifferente o avversa allo spirito cristiano, il capovolgimento del «lasciate che i pargoli vengano a me» (Mc X, 14) porterebbero amarissimi frutti. Lo stato invece, che toglie ai sanguinanti e lacerati cuori dei padri e delle madri cristiane le loro preoccupazioni e ristabilisce i loro diritti, promuove la sua stessa pace interna e pone il fondamento per un più felice avvenire della patria. Le anime dei figli, donati da Dio ai genitori, consacrati nel battesimo con il sigillo regale di Cristo, sono un sacro deposito, su cui vigila l’amore geloso di Dio. Lo stesso Cristo, che ha pronunziato il «lasciate che i pargoli vengano a me», ha anche minacciato, nonostante la sua misericordia e bontà, terribili mali a coloro che dànno scandalo ai prediletti del suo cuore. E quale scandalo più dannoso alle generazioni e più duraturo di una formazione della gioventù mal diretta verso una méta, che allontana da Cristo, «via, verità e vita», e conduce ad un’apostasia manifesta o occulta da Cristo? Questo Cristo, da cui si vogliono alienare le giovani generazioni presenti e future, è quello stesso che dall’Eterno Padre ha ricevuto ogni potere in cielo e in terra. Egli tiene nella sua mano onnipotente il destino degli Stati, dei popoli e delle Nazioni. Appartiene a lui il diminuire o prolungare la vita, l’accrescimento, la prosperità e la grandezza. Di tutto ciò che è sulla terra, solo l’anima vive immortale. Un sistema di educazione che non rispettasse il recinto sacro della famiglia cristiana, protetto dalla santa legge di Dio, ne attaccasse le basi, chiudesse alla gioventù il cammino a Cristo, alle fonti di vita e di gioia del Salvatore (cf. Is XII, 3), considerasse l’apostasia da Cristo e dalla Chiesa come simbolo di fedeltà al popolo o a una determinata classe, pronuncerebbe contro se stesso la condanna e sperimenterebbe a suo tempo l’ineluttabile verità delle parole del profeta: «Coloro che si ritirano da te, saranno scritti in terra» (Ger XVII,13).
***
La concezione che assegna allo Stato un’autorità illimitata non è, venerabili fratelli, soltanto un errore pernicioso alla vita interna delle nazioni, alla loro prosperità e al maggiore e ordinato incremento del loro benessere, ma arreca altresì nocumento alle relazioni fra i popoli, perché rompe l’unità della società soprannazionale, toglie fondamento e valore al diritto delle genti, apre la via alla violazione dei diritti altrui e rende difficili l’intesa e la convivenza pacifiche. Infatti il genere umano, quantunque per disposizione dell’ordine naturale stabilito da Dio si divida in gruppi sociali, nazioni o Stati, indipendenti gli uni dagli altri, in quanto riguarda il modo di organizzare e di dirigere la loro vita interna, è tuttavia legato, da mutui vincoli morali e giuridici, in una grande comunità, ordinata al bene di tutte le genti e regolata da leggi speciali, che ne tutelano l’unità e ne promuovono la prosperità. – Ora non è chi non veda come l’affermata autonomia assoluta dello stato si ponga in aperto contrasto con questa legge immanente e naturale, la neghi anzi radicalmente, lasciando in balìa della volontà dei reggitori la stabilità delle relazioni internazionali, e togliendo la possibilità di una vera unione e di una collaborazione feconda in ordine all’interesse generale. Perché, venerabili fratelli, all’esistenza di contatti armonici e duraturi e di relazioni fruttuose è indispensabile che i popoli riconoscano e osservino quei princìpi di diritto naturale internazionale, che regolano il loro normale svolgimento e funzionamento. Tali princìpi esigono il rispetto dei relativi diritti all’indipendenza, alla vita e alla possibilità di uno svolgimento progressivo nelle vie della civiltà; esigono, inoltre, la fedeltà ai patti, stipulati e sanciti in conformità alle norme del diritto delle genti. – Il presupposto indispensabile di ogni pacifica convivenza tra le leggi e l’anima delle relazioni giuridiche, vigenti fra di esse, è senza dubbio la mutua fiducia, la previsione e persuasione della reciproca fedeltà alla parola data, la certezza che dall’una e dall’altra parte si è convinti che «meglio è la sapienza che le armi guerresche» (cf. Eccle IX, 18) e si è disposti a discutere e a non ricorrere alla forza o alla minaccia della forza nel caso in cui sorgessero ritardi, impedimenti, mutamenti e contestazioni: cose tutte che possono anche derivare non da cattiva volontà, ma da mutate circostanze e da reali interessi contrastanti. – Ma d’altra parte, staccare il diritto delle genti dall’àncora del diritto divino, per fondarlo sulla volontà autonoma degli stati, significa detronizzare quello stesso diritto e togliergli i titoli più nobili e più validi, abbandonandolo all’infausta dinamica dell’interesse privato e dell’egoismo collettivo tutto intento a far valere i propri diritti e a disconoscere quelli degli altri. È pur vero che, col volgere del tempo e il mutar sostanziale delle circostanze, non previste e forse neanche prevedibili all’atto della stipulazione, un trattato o alcune sue clausole possono divenire o apparire ingiusti o inattuabili o troppo gravosi per una delle parti, ed è chiaro che, quando ciò avvenisse, si dovrebbe tempestivamente procedere a una leale discussione per modificare o sostituire il patto. Ma il considerare i patti per principio come effimeri e l’attribuirsi tacitamente la facoltà di rescinderli unilateralmente, quando più non convenissero, toglierebbe ogni fiducia reciproca fra gli stati. E così rimarrebbe scardinato l’ordine naturale, e verrebbero scavate delle fosse incolmabili di separazione fra i vari popoli e Nazioni. – Oggi, venerabili fratelli, tutti osservano con spavento l’abisso a cui hanno portato gli errori da Noi caratterizzati e le loro pratiche conseguenze. Son cadute le orgogliose illusioni di un progresso indefinito; e chi ancora non fosse desto, il tragico presente lo scuoterebbe con le parole del profetar «Ascoltate, o sordi, e rimirate, o ciechi» (Is XLII, 18). Ciò che appariva esternamente ordine, non era se non invadente perturbamento: scompiglio nelle norme di vita morale, le quali si erano staccate dalla maestà della legge divina e avevano inquinato tutti i campi dell’umana attività. Ma lasciamo il passato e rivolgiamo gli occhi verso quell’avvenire che, secondo le promesse dei potenti di questo mondo, cessati i sanguinosi scontri odierni, consisterà in un nuovo ordinamento, fondato sulla giustizia e sulla prosperità. Sarà tale avvenire veramente diverso, sarà soprattutto migliore? I trattati di pace, il nuovo ordine internazionale alla fine di questa guerra saranno animati da giustizia e da equità verso tutti, da quello spirito, il quale libera e pacifica, o saranno una lamentevole ripetizione di antichi e recenti errori? Sperare un decisivo mutamento esclusivamente dallo scontro guerresco e dal suo sbocco finale è vano, e l’esperienza ce lo dimostra. L’ora della vittoria è un’ora dell’esterno trionfo per la parte che riesce a conseguirla; ma è in pari tempo l’ora della tentazione, in cui l’Angelo della giustizia lotta con il dèmone della violenza; il cuore del vincitore troppo facilmente s’indurisce; la moderazione e una lungimirante saggezza gli appaiono debolezza; il bollore delle passioni popolari, attizzato dai sacrifici e dalle sofferenze sopportate, vela spesso l’occhio anche ai responsabili e fa sì che non badino alla voce ammonitrice dell’umanità e dell’equità, sopraffatta o spenta dall’inumano «Guai ai vinti!». Le risoluzioni e le decisioni nate in tali condizioni rischierebbero di non essere che ingiustizia sotto il manto della giustizia. – No, venerabili fratelli, la salvezza non viene ai popoli dai mezzi esterni, dalla spada, che può imporre condizioni di pace, ma non crea la pace. Le energie, che devono rinnovare la faccia della terra, devono procedere dall’interno, dallo spirito. Il nuovo ordine del mondo, la vita nazionale e internazionale, una volta cessate le amarezze e le crudeli lotte presenti, non dovrà più riposare sulla infida sabbia di norme mutabili ed effimere, lasciate all’arbitrio dell’egoismo collettivo e individuale. Esse devono piuttosto appoggiarsi sull’inconcusso fondamento, sulla roccia incrollabile del diritto naturale e della divina rivelazione. Ivi il legislatore umano deve attingere quello spirito di equilibrio, quell’acuto senso di responsabilità morale, senza cui è facile misconoscere i limiti tra il legittimo uso e l’abuso del potere. Solamente così le sue decisioni avranno interna consistenza, nobile dignità e sanzione religiosa, e non saranno alla mercé dell’egoismo e della passione. Se è vero che i mali di cui soffre l’umanità odierna provengono in parte dallo squilibrio economico e dalla lotta degli interessi per una più equa distribuzione dei beni che Dio ha concessa all’uomo come mezzi per il suo sostentamento e il suo progresso, non è men vero che la loro radice è più profonda e interna, poiché tocca le credenze religiose e le convinzioni morali pervertitesi con il progressivo distaccarsi dei popoli dall’unità di dottrina e di fede, di costumi e di morale, una volta promossa dall’opera indefessa e benefica della chiesa. La rieducazione dell’umanità, se vuole sortire qualche effetto, deve essere soprattutto spirituale e religiosa: deve, quindi, muovere da Cristo come da suo fondamento indispensabile, essere attuata dalla giustizia e coronata dalla carità. – Compiere quest’opera di rigenerazione, adattando i suoi mezzi alle mutate condizioni dei tempi e ai nuovi bisogni del genere umano, è ufficio essenziale e materno della chiesa. La predicazione dell’evangelo, affidatale dal suo divino Fondatore, nella quale vengono inculcate agli uomini la verità, la giustizia e la carità, e lo sforzo di radicarne saldamente i precetti negli animi e nelle coscienze, sono il più nobile e più fruttuoso lavoro in favore della pace. Questa missione, nella sua grandiosità, sembrerebbe dover scoraggiare i cuori di coloro che formano la Chiesa militante. Ma l’adoprarsi alla diffusione del regno di Dio, che ogni secolo compì in vari modi, con diversi mezzi, con molteplici e dure lotte, è un comando a cui è obbligato chiunque sia stato strappato dalla grazia del Signore alla schiavitù di satana e chiamato nel Battesimo ad essere cittadino di quel regno. E se appartenere ad esso, vivere conforme al suo spirito, lavorare al suo incremento e rendere accessibili i suoi beni anche a quella parte dell’umanità che ancora non ne fa parte, ai giorni nostri equivale a dover affrontare impedimenti e opposizioni vaste, profonde e minuziosamente organizzate, come mai prima, ciò non dispensa dalla franca e coraggiosa professione di fede, ma incita piuttosto a tener fermo nella lotta, anche a prezzo dei massimi sacrifici. Chi vive dello spirito di Cristo non si lascia abbattere dalle difficoltà che si oppongono, anzi si sente spinto a lavorare con tutte le sue forze e con piena fiducia in Dio; non si sottrae alle strettezze e necessità dell’ora, ma ne affronta le durezze pronto al soccorso, con quell’amore che non rifugge dal sacrificio, è più forte della morte, e non si lascia spegnere dalle impetuose acque della tribolazione. – Un intimo conforto, una gioia celeste, per cui giornalmente rivolgiamo a Dio il Nostro ringraziamento umile e profondo, Ci dà, venerabili fratelli, l’osservare in tutte le regioni del mondo cattolico evidenti segni di uno spirito che coraggiosamente affronta i compiti giganteschi dell’epoca presente, che con generosità e decisione è teso a riunire in feconda armonia con il primo ed essenziale dovere della santificazione propria anche l’attività apostolica per l’accrescimento del regno di Dio. Dal movimento dei congressi eucaristici, promossi con amorosa cura dai Nostri predecessori, e dalla collaborazione dei laici, formati nell’Azione Cattolica alla profonda coscienza della loro nobile missione, promanano fonti di grazia e riserve di forze, che, nei tempi attuali, in cui aumentano le minacce, maggiori sono i bisogni e arde la lotta tra cristianesimo e anticristianesimo, difficilmente potrebbero essere adeguatamente stimate. – Quando si deve con tristezza osservare la sproporzione tra il numero e i compiti dei sacerdoti, quando vediamo verificarsi anche oggi la parola del Salvatore: «La messe è molta, gli operai sono pochi» (Mt IX, 37; Lc X, 2), la collaborazione dei laici all’apostolato gerarchico, numerosa, animata da ardente zelo e generosa dedizione, appare un prezioso ausilio all’opera dei sacerdoti e mostra possibilità di sviluppo che legittimano le più belle speranze. La preghiera della chiesa al Signore della messe, perché mandi operai nella sua vigna (cf. Mt IX, 38; Lc X, 2) è stata esaudita in maniera conforme alle necessità dell’ora presente, e felicemente supplisce e completa le energie, spesso impedite e insufficienti, dell’apostolato sacerdotale. Una fervida falange di uomini e di donne di giovani e di giovinette, ubbidendo alla voce del sommo pastore, alle direttive dei loro vescovi, si consacra con tutto l’ardore dell’anima alle opere dell’apostolato, per ricondurre a Cristo le masse di popolo che da lui s’erano distaccate. Ad essi vada in questo momento, così importante per la chiesa e l’umanità, il Nostro saluto paterno, il Nostro commosso ringraziamento, la Nostra fiduciosa speranza. Essi hanno veramente posto la loro vita e la loro opera sotto il vessillo di Cristo re, e possono ripetere con il Salmista: «Al re io espongo le opere mie» (Sal XLIV, 1). «Venga il tuo regno» è non solamente il voto ardente delle loro preghiere, ma anche la direttiva del loro operare. In tutte le classi, in tutte le categorie, in tutti i gruppi questa collaborazione del laicato con il sacerdozio rivela preziose energie, a cui è affidata una missione che cuori nobili e fedeli non potrebbero desiderare più alta e consolante. Questo lavoro apostolico, compiuto secondo lo spirito della chiesa, consacra il laico quasi a «ministro di Cristo» in quel senso che sant’Agostino così spiega: «O fratelli, quando udite il Signore che dice: “Dove sono io, ivi sarà pure il mio ministro”, non vogliate correre col pensiero soltanto ai buoni vescovi e ai buoni chierici. Anche voi, a modo vostro, dovete essere ministri di Cristo, vivendo bene, facendo elemosine, predicando il suo nome e la sua dottrina a chi potrete, di modo che ognuno, anche se padre di famiglia, riconosca di dovere, anche per tale titolo, alla sua famiglia un affetto paterno. Per Cristo e per la vita eterna ammonisca i suoi, li istruisca, li esorti, li rimproveri, loro dimostri benevolenza, li contenga nell’ordine; così egli eserciterà in casa sua l’ufficio di chierico e in certo qual modo di vescovo, servendo a Cristo, per essere con lui in eterno». – Nel promuovere questa collaborazione dei laici all’apostolato, così importante ai tempi nostri, spetta una speciale missione alla famiglia, perché lo spirito della famiglia influisce essenzialmente sullo spirito delle giovani generazioni. Fino a che nel focolare domestico splende la sacra fiamma della fede in Cristo e i genitori foggiano e plasmano la vita dei figli conforme a questa fede, la gioventù sarà sempre pronta a riconoscere nelle sue prerogative regali il Redentore, e ad opporsi a chi lo vuole bandire dalla società o ne vìola sacrilegamente i diritti. Quando le chiese vengono chiuse, quando si toglie dalle scuole l’immagine del Crocifisso, la famiglia resta il rifugio provvidenziale e, in un certo senso, inattaccabile della vita cristiana. E rendiamo infinite grazie a Dio nel vedere che innumerevoli famiglie compiono questa loro missione con una fedeltà, che non si lascia abbattere né da attacchi né da sacrifici. Una potente schiera di giovani e di giovinette, anche in quelle regioni dove la fede in Cristo significa sofferenza e persecuzione, restano fermi presso il trono del Redentore con quella tranquillità e sicura decisione, che Ci fa ricordare i tempi più gloriosi delle lotte della chiesa. Quali torrenti di beni si riverserebbero sul mondo, quanta luce, quanto ordine, quanta pacificazione verrebbero alla vita sociale, quante energie insostituibili e preziose potrebbero contribuire a promuovere il bene dell’umanità, se si concedesse ovunque alla chiesa, maestra di giustizia e di amore, quella possibilità di azione, alla quale ha un diritto sacro e incontrovertibile in forza del mandato divino! Quante sciagure potrebbero venir evitate, quanta felicità e tranquillità sarebbero create, se gli sforzi sociali e internazionali per stabilire la pace si lasciassero permeare dai profondi impulsi dell’evangelo dell’amore nella lotta contro l’egoismo individuale e collettivo! – Tra le leggi che regolano la vita dei fedeli Cristiani e i postulati di una genuina umanità non vi è contrasto, ma comunanza e mutuo appoggio. Nell’interesse dell’umanità sofferente e profondamente scossa materialmente e spiritualmente, Noi non abbiamo desiderio più ardente di questo: che le angustie presenti aprano gli occhi a molti, affinché considerino nella loro vera luce il Signore Gesù Cristo e la missione della sua chiesa su questa terra, e che tutti coloro i quali esercitano il potere si risolvano a lasciare alla chiesa libero il cammino per lavorare alla formazione delle generazioni, secondo i princìpi della giustizia e della pace. Questo lavoro pacificatore suppone che non si frappongano impedimenti all’esercizio della missione affidata da Dio alla sua chiesa, non si restringa il campo della sua attività e non si sottraggano le masse, e specialmente la gioventù, al suo benefico influsso. Perciò Noi, come rappresentanti sulla terra di colui, che fu detto dal profeta «Principe della pace» (Is IX, 6), facciamo appello ai reggitori dei popoli e a coloro che hanno in qualsiasi modo influenza nella cosa pubblica, affinché la chiesa goda sempre piena libertà di compiere la sua opera educatrice, annunziando alle menti la verità, inculcando la giustizia, e riscaldando i cuori con la divina carità di Cristo. – Se la Chiesa, da una parte, non può rinunziare all’esercizio di questa sua missione, che ha come fine ultimo di attuare quaggiù il disegno divino di «instaurare tutte le cose in Cristo, sia le celesti sia le terrestri» (Ef 1,10), dall’altra, oggi la sua opera si dimostra più che in ogni altro tempo necessaria, giacché una triste esperienza insegna che i soli mezzi esterni e i provvedimenti umani e gli espedienti politici non portano un efficace lenimento ai mali, dai quali l’umanità è travagliata. – Edotti appunto dal fallimento doloroso degli espedienti umani per allontanare le tempeste che minacciano di travolgere la civiltà nel loro turbine, molti rivolgono con rinnovata speranza lo sguardo alla chiesa, rocca di verità e di amore, a questa cattedra di Pietro, donde sentono che può essere ridonata al genere umano quell’unità di dottrina religiosa e di codice morale, che in altri tempi diede consistenza alle relazioni pacifiche tra i popoli. Unità, a cui guardano con occhio di nostalgico rimpianto tanti uomini responsabili delle sorti delle nazioni, i quali esperimentano giornalmente quanto siano vani i mezzi, nei quali un giorno avevano posto fiducia; unità, che è il desiderio delle schiere tanto numerose dei Nostri figli, i quali invocano quotidianamente «il Dio di pace e di amore» (cf. 2 Cor XIII, 11); unità, che è l’attesa di tanti nobili spiriti, da Noi lontani, i quali nella loro fame e sete di giustizia e di pace, volgono gli occhi alla sede di Pietro e ne aspettano guida e consiglio. – Essi riconoscono nella chiesa cattolica la bimillenaria saldezza delle norme di fede e di vita, l’incrollabile compattezza della gerarchia ecclesiastica, la quale, unita al successore di Pietro, si prodiga nell’illuminare le menti con la dottrina dell’evangelo, nel guidare e santificare gli uomini, ed è larga di materna condiscendenza verso tutti, ma ferma, quando, anche a prezzo di tormenti o di martirio, ha da pronunziare: «Non è lecito». – Eppure, venerabili fratelli, la dottrina di Cristo, che sola può fornire all’uomo fondamento di fede, tale da allargargli ampiamente la vista e dilatargli divinamente il cuore e dare un rimedio efficace alle odierne gravissime difficoltà, e l’operosità della chiesa per insegnare quella dottrina, diffonderla e modellare gli animi secondo i suoi precetti, sono fatte talvolta oggetto di sospetti, quasi che scuotessero i cardini della civile autorità e ne usurpassero i diritti. – Contro tali sospetti Noi con apostolica sincerità dichiariamo – fermo restando tutto ciò che il Nostro predecessore Pio XI di v. m. nella sua enciclica Quas primas dell’11 dicembre 1925 insegnò circa la potestà di Cristo re e della sua chiesa che simili scopi sono del tutto alieni dalla chiesa medesima, la quale allarga le sue braccia materne verso questo mondo, non per dominare, ma per servire. Essa non pretende di sostituirsi nel campo loro proprio alle altre autorità legittime, ma offre loro il suo aiuto, sull’esempio e nello spirito del suo divino Fondatore, il quale «passò beneficando» (At X, 38). La Chiesa predica e inculca obbedienza e rispetto all’autorità terrena, che trae da Dio la sua nobile origine, e si attiene all’insegnamento del divino Maestro, che disse: «Date a Cesare quel che appartiene a Cesare» (Mt XXII, 21); non ha mire usurpatrici e canta nella sua liturgia: «Non rapisce i regni terreni Colui che dà i regni celesti». Non deprime le energie umane, ma le eleva a tutto ciò che è magnanimo e generoso e forma caratteri, che non transigono con la coscienza. Né essa, che rese civili i popoli, ha mai ritardato il progresso dell’umanità, del quale anzi con materna fierezza si compiace e gode. Il fine della sua attività fu dichiarato mirabilmente dagli angeli sulla culla del Verbo incarnato, quando cantarono gloria a Dio e annunziarono pace agli uomini di buona volontà (cf. Lc II, 14). Questa pace, che il mondo non può dare, è stata lasciata come eredità ai suoi discepoli dallo stesso divino Redentore: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv XIV, 27); e così seguendo la sublime dottrina di Cristo, compendiata da lui medesimo nel duplice precetto dell’amore di Dio e del prossimo, milioni di anime l’hanno conseguita, la conseguono e la conseguiranno. La storia – chiamata sapientemente da un sommo oratore romano «maestra della vita» – da quasi duemila anni dimostra quanto sia vera la parola della Scrittura, che non avrà pace chi resiste a Dio (cf. Gb IX, 4). Poiché Cristo solo è la «pietra angolare» (cf. Ef II, 20), sulla quale l’uomo e la società possono trovare stabilità e salvezza. – Su questa pietra angolare è fondata la Chiesa, e perciò contro di essa le potenze avverse non potranno mai prevalere: «Le porte dell’inferno non prevarranno» (Mt XVI, 18), né potranno mai svigorirla, ché anzi le lotte interne ed esterne contribuiscono ad accrescerne la forza e ad aumentare le corone delle sue gloriose vittorie. Al contrario, ogni altro edificio che non si fondi saldamente sulla dottrina di Cristo, è appoggiato sulla sabbia mobile, e destinato a rovinare miseramente (cf. Mt VII, 26-27).
***
Venerabili fratelli, il momento in cui vi giunge questa Nostra prima enciclica è sotto più aspetti una vera ora delle tenebre (cf. Lc XXII, 53), in cui lo spirito della violenza e della discordia versa sull’umanità una sanguinosa coppa di dolori senza nome. È forse necessario assicurarvi che il Nostro cuore paterno è vicino in compassionevole amore a tutti i suoi figli, e in modo speciale ai tribolati, agli oppressi, ai perseguitati? I popoli, travolti nel tragico vortice della guerra, sono forse ancora soltanto agli «inizi dei dolori» (Mt 24,8), ma già in migliaia di famiglie regnano morte e desolazione, lamento e miseria. Il sangue di innumerevoli esseri umani, anche non combattenti, eleva uno straziante lamento specialmente sopra una diletta nazione, quale è la Polonia, che per la sua fedeltà verso la chiesa, per i suoi meriti nella difesa della civiltà cristiana, scritti a caratteri indelebili nei fasti della storia, ha diritto alla simpatia umana e fraterna del mondo, e attende, fiduciosa nella potente intercessione di Maria «Soccorso dei cristiani» l’ora di una risurrezione corrispondente ai princìpi della giustizia e della vera pace. Ciò che testé è accaduto e ancora accade appariva al Nostro sguardo come una visione, quando, non essendo ancora scomparsa ogni speranza, nulla lasciammo intentato, nella forma suggeritaci dal Nostro apostolico ministero e dai mezzi a Nostra disposizione, per impedire il ricorso alle armi e tener aperta la via ad una intesa, onorevole per ambedue le parti. Convinti che all’uso della forza da una parte avrebbe risposto il ricorso alle armi dall’altra, considerammo come dovere imprescindibile del Nostro apostolico ministero e dell’amore cristiano di metter tutto in opera, per risparmiare all’umanità intera e alla cristianità gli orrori di una conflagrazione mondiale, anche se vi era pericolo che le Nostre intenzioni e i Nostri scopi venissero fraintesi. I Nostri ammonimenti, se furono rispettosamente ascoltati, non vennero peraltro seguiti. E mentre il Nostro cuore di pastore osserva dolorante e preoccupato, si affaccia al Nostro sguardo l’immagine del buon pastore e Ci sembra di dover ripetere al mondo, in nome suo, il lamento: «Oh, se conoscessi … quello che giova alla tua pace! Ma ora questo è celato ai tuoi occhi!» (Lc XIX, 42). – In mezzo a questo mondo, che presenta oggi uno stridente contrasto alla pace di Cristo nel regno di Cristo, la chiesa e i suoi fedeli si trovano in tempi e anni di prove, quali raramente si conobbero nella sua storia di lotte e sofferenze. Ma proprio in simili tempi, chi rimane fermo nella fede e ha robusto il cuore, sa che Cristo re non è mai tanto vicino quanto nell’ora della prova, che è l’ora della fedeltà. Con cuore straziato per le sofferenze e i patimenti di tanti suoi figli, ma con il coraggio e la fermezza che provengono dalle promesse del Signore, la sposa di Cristo cammina verso le incombenti procelle. Ed essa sa: la verità, che essa annunzia, la carità, che insegna e mette in opera, saranno gli insostituibili consiglieri e cooperatori degli uomini di buona volontà nella ricostruzione di un nuovo mondo, secondo la giustizia e l’amore, dopo che l’umanità, stanca di correre per le vie dell’errore, avrà assaporato gli amari frutti dell’odio e della violenza. – Nel frattempo, però, venerabili fratelli, il mondo e tutti coloro che sono colpiti dalla calamità della guerra devono sapere che il dovere dell’amore cristiano, cardine fondamentale del regno di Cristo, non è una parola vuota, ma una viva realtà. Un vastissimo campo si apre alla carità cristiana in tutte le sue forme. Abbiamo piena fiducia che tutti i Nostri figli, specialmente coloro che non sono provati dal flagello della guerra, si ricordino, imitando il divino Samaritano, di tutti coloro che, essendo vittime della guerra, hanno diritto alla pietà e al soccorso. La Chiesa cattolica, città di Dio, «che ha per re la verità, per legge la carità, per misura l’eternità», annunziando senza errori né diminuzioni la verità di Cristo, lavorando secondo l’amore di Cristo con slancio materno, sta come una beata visione di pace sopra il vortice di errori e passioni e aspetta il momento in cui la mano onnipotente di Cristo re sederà la tempesta e bandirà gli spiriti della discordia che l’hanno provocata. Quanto sta in Nostro potere per accelerare il giorno in cui la colomba della pace su questa terra, sommersa dal diluvio della discordia, troverà dove posare il piede, Noi continueremo a farlo, fidando in quegli eminenti uomini di stato che prima dello scoppio della guerra si sono nobilmente adoperati per allontanare dai popoli un tanto flagello; fidando nei milioni di anime di tutti i paesi e di tutti i campi, che invocano non solo giustizia, bensì anche carità e misericordia; ma soprattutto fidando in Dio onnipotente, al quale giornalmente rivolgiamo la preghiera: «All’ombra delle tue ali mi rifugio, finché passi la calamità» (Sal LVI, 2). Dio può tutto: al pari della felicità e delle sorti dei popoli, tiene nelle sue mani anche gli umani consigli e, in qualsiasi parte Egli voglia, dolcemente li inclina: anche gli ostacoli per la sua onnipotenza sono mezzi a plasmare le cose e gli eventi e a volgere le menti e i liberi voleri ai suoi altissimi fini. – Pregate, quindi, venerabili fratelli, pregate senza interruzione, pregate, soprattutto, quando offrite il divino Sacrificio d’amore. Pregate voi, ai quali la professione coraggiosa della fede impone oggi duri, penosi e non di rado eroici sacrifici; pregate voi, membra sofferenti e doloranti della Chiesa, quando Gesù viene a consolare e lenire le vostre pene. – E non dimenticate di rendere, mediante un vero spirito di mortificazione e degne opere di penitenza, le vostre preghiere più accette agli occhi di Colui «che sostiene tutti coloro che cadono e rialza tutti gli abbattuti» (Sal CXLIV, 14), affinché egli nella sua misericordia abbrevi i giorni della prova e si avverino così le parole del Salmo: «Gridarono al Signore nella loro tribolazione, e dalle loro angustie li liberò» (Sal CVI, 13). – E voi, candide legioni di bimbi, che siete tanto amati e prediletti da Gesù, nel comunicarvi col Pane di vita innalzate le vostre ingenue e innocenti preghiere e unitele a quelle di tutta la chiesa. All’innocenza supplicante non resiste il cuore di Gesù che vi ama: pregate tutti, «pregate senza interruzione» (1Ts V, 17). – In tal modo metterete in pratica il sublime precetto del divino Maestro, il più sacro testamento del suo cuore, «che tutti siano una cosa sola» (Gv XVII, 21), che tutti vivano in quell’unità di fede e di amore, da cui riconosca il mondo la potenza e l’efficacia della missione di Cristo e dell’opera della sua Chiesa. La Chiesa primitiva comprese e attuò questo divino precetto e lo espresse in una magnifica preghiera; e voi unitevi con gli stessi sentimenti, che tanto bene rispondono alle necessità dell’ora presente: «Ricòrdati, o Signore, della tua Chiesa, per liberarla da ogni male e perfezionarla nella tua carità e, santificàtala, raccòglila da ogni parte del mondo nel regno tuo, che le hai preparato; poiché tua è la virtù e la gloria per tutti i secoli». Nella fiducia che Dio, autore e amante della pace, ascolti le suppliche della chiesa, vi impartiamo come pegno dell’abbondanza delle grazie divine, dalla pienezza del Nostro animo paterno, l’apostolica benedizione.
Castel Gandolfo, presso Roma, il 20 ottobre dell’anno 1939, I del Nostro pontificato.