Lo scudo 181
A. D. SERTILLANGES, O. P.
CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XVIII)
[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]
LIBRO TERZO
LA CHIESA
II. — I caratteri divini della Chiesa.
d) La Cattolicità della Chiesa.
D. Che cosa intendi per cattolicità?
R. Questa nota appartiene alla Chiesa secondo che essa è universale, vale a dire adattata a tutti gli uomini, fatta per tutti gli uomini, e, per questo, sciolta da ciò che limita, particolareggia e restringe in un genere qualunque il territorio di azione.
D. Non parli dunque di una universalità di fatto?
R. No, se non in desiderio o in speranza. La Chiesa fu sempre cattolica e non è sempre stata diffusa da per tutto; è lontana, anche oggi, dal raccogliere tutti gli uomini. Ma è universale di diritto. I suoi quadri sono del tutto pronti per ricevere l’umanità intera, per avvolgere le manifestazioni totali della sua vita, La vocazione universale degli uomini è di entrarvi, in tal modo che se non vi entrano e ciò sia per colpa loro, essi sono colpevoli riguardo ad essa e quindi ne fanno parte in certo modo, come transfughi. E se non è affatto per colpa loro, ma a cagione delle circostanze esterne o interne che non escludono punto il buon volere, essi ne fanno parte, perché il loro cuore ne fa parte, avessero pure sulle labbra delle negazioni, avessero pure nella bocca delle bestemmie.
D. Le ragioni della cattolicità sono le medesime che quelle della santità e dell’unità?
R. Esattamente le medesime. La Chiesa, non essendo che l’umanità organizzata in Dio per mezzo di Cristo, si trova essere cattolica per definizione: cattolica in estensione, facendone parte tutte le stirpi a titolo di aderenti o di candidati: cattolica in durata, non avendo i tempi altra missione che di render religiosa tutta l’umanità; cattolica in profondità, perché se ne trovano eliminati gli elementi umani che suscitano i particolarismi, siano essi etnici, nazionali, sessuali, intellettuali, politici, economici o mondani, senza dimenticare il particolarismo dell’io, sorgente delle religioni individualiste. La religione allora si dà pensiero esclusivamente del suo oggetto, che è di rilegare a Dio, Padre di tutti, e a Cristo, Figliuolo dell’Uomo, l’umanità e tutti i suoi membri vagheggiati nella loro unità, vale a dire nel loro fondo, dove non si spiega né si giustifica alcuna tendenza particolarista.
D. Tu ritorni sempre all’idea del germe universale, e alle proprietà di questo germe.
R. È vero. La cattolicità della Chiesa è anzitutto una proprietà; essa qualifica un organismo religioso operante al modo di un fermento, di un germe, potere universale riguardo alla materia che gli è sottomessa. Uno spermatozoo organizza l’animale intero; un po’ di lievito basta a una grossa massa di pasta; con un chicco di frumento si può, col tempo, coprire di semenza il mondo.
D. Il Vangelo non dice qualche cosa di simile?
R. Non faccio altro che riferire i suoi paragoni: Il regno de’ cieli sopra la terra è simile al lievito, che una donna prende e rimescola in tre staia di farina, finché sia levata tutta la massa. – Il regno di Dio è simile a un granellino di senapa, il più piccolo di tutti ì semi, che diventa un albero universale.
D. Il fatto dunque è la prova della proprietà di cui si parla.
R. Esso ne è in realtà la testimonianza. Volendo sapere se un grano è buono, lo si getta nella terra per vedere se germoglierà; ma non è necessario aspettare un grand’albero, e chi fosse dotato di una scienza perfetta si potrebbe contentare dell’analisi intima del granello. Qui, come abbiamo veduto, i due procedimenti si corroborano e i risultati concordano. La Chiesa ha tutto quello che occorre per un’opera universale, ed essa lo fa vedere.
D. Come lo fa vedere?
R. Adattandosi indifferentemente, nel corso della storia, a tutte le razze, a tutte le nazionalità, a tutte le forme intellettuali, a tutte le organizzazioni pratiche, a tutti i governi politici e sociali, a tutti i caratteri individuali, a tutti gli ambienti e a tutti i gradi che essi formano, a tutti gli stati di vita, purché siano rispettati i fini che essa si propone e i metodi indispensabili che li procurano.
D. La tua Chiesa non è forse orientale per la sua origine, romana per la sua costituzione e la sua sede?
R. La Palestina le prestò la sua culla, ma non ve la rinchiuse; Pietro e Paolo la misero subito al largo. Roma la servì, e noi vedremo in qual senso si chiama romana; ma non è affatto in senso restrittivo. Da Roma, come centro, la Chiesa irradia da per tutto. Essa è così poco orientale, che s’incorpora senza difficoltà lo spirito americano; è così poco occidentale, che si adatta al Giappone e lo conquista.
D. Non è particolarista in filosofia, col suo tomismo?
R. La Chiesa preconizza il tomismo, perché secondo il suo giudizio questo sistema di idee fondamentali è più favorevole al bene intellettuale dei credenti e si combina meglio col suo dogma. È la sua filosofia propria, come il canto fermo è la sua musica propria; ma essa non ne fa un obbligo universale più che non imponga il canto fermo ai nostri artisti contemporanei. S. Agostino era platonico; Fénelon era cartesiano; Malebranche aveva una sua filosofia propria; tutti e tre e una pleiade di altri, aderenti a sistemi diversi, professano intellettualmente come praticamente lo stesso Cristianesimo.
D. In politica, la Chiesa non sta per la monarchia?
R. Essa stessa è una monarchia; ma se la intende facilmente con le repubbliche, purché non si chiami repubblica un governo deliberatamente anticristiano.
D. In economia sociale e nella vita quotidiana, essa pare infeudata ai gruppi possidenti, ai potenti, ai padroni.
R. Come sarebbe ciò, quando essa stessa nacque povera, praticò ne’ suoi fervidi inizi il più stretto comunismo, fece sempre onore ai poveri per la loro « eminente dignità » e considerò la ricchezza quasi come una sventura? Fu detto del Cristianesimo che era una religione di poveri, e fu detto che desinava al castello: le due cose sono vere, come dello stesso Salvatore: è vero che era l’amico dei pastori e figurava alle nozze di Cana. Ciò significa che la Chiesa è tutta a tutti, a fine di salvarli tutti.
D. I sistemi sociali che favoriscono i piccoli non le sono sospetti?
R. I sistemi sociali appariscono tanto migliori alla Chiesa quanto più sposano le sue preoccupazioni universali. Ma coloro che più si dànno pensiero dei piccoli, come il socialismo, non mancherebbero del suo favore, se, rinunziando predicare una falsa dottrina di vita, a costituire una ribellione contro i rapporti più naturali degli uomini, e per giunta ad erigersi contro Dio, diventando così delle religioni a rovescio, consentissero a rinchiudersi nel loro oggetto: l’economia sociale.
D. Il tuo sacerdozio esclusivamente mascolino segna un particolarismo dei sessi.
R. Non si tratta punto di particolarismo, ma di divisione dei compiti e di adattamento di ciascuno al compito per il quale è riconosciuto più atto. Fin dal principio fu detto: Non vi è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né donna né uomo; perché voi siete una sola cosa in Gesù Cristo (S. Paolo). La testimonianza mistica di questo sentimento è la Vergine madre. In quanto alle sue testimonianze storiche, esse sono ricordate a sazietà. Ognuno sa che, se la donna ha nelle società moderne una situazione affatto nuova, una personalità morale riconosciuta, punto di partenza della sua emancipazione sociale, essa lo deve alla Chiesa e allo spirito nuovo che recava il suo Vangelo.
D. Il Vangelo non è la Chiesa.
R. Ho già detto che questa distinzione è fittizia. Quello che il Vangelo ha fatto, è la Chiesa che lo ha fatto. Quello che la Chiesa non avesse fatto sarebbe stato nel Vangelo allo stato di lettera morta; nulla di effettivo ne sarebbe uscito.
D. Che cosa intendevi di dire, eliminando dalla Chiesa « un particolarismo dell’io, padre delle religioni individualiste »?
R. Pensavo al protestantesimo, e a ogni dottrina che pretenda di partire dall’io per stabilire un sistema religioso senza radici sociali.
D. La religione non si rivolge all’io?
R. Essa non può partire di lì appunto perché si rivolge all’io. Bisogna che essa prima esista, che sia una vita, alla quale una individualità sarà chiamata ad aggiungersi. La Chiesa deve precedere l’individuo, e non l’individuo la Chiesa.
D. I protestanti non si trovano nello stesso vostro caso? Non hanno chiese in seno alle quali essi nascono religiosamente, che li formano, e che, dopo ciò, la loro libera volontà consacra?
R. Così è veramente, perché non può essere altrimenti; ma ciò contradice la dottrina protestante, e per conseguenza la giudica. I protestanti hanno delle chiese; anzi ne hanno troppe; e tutte sono di troppo, poiché non ce ne vuole che una; ma, secondo la loro teologia, queste Chiese sono formate dopo, per una iniziativa puramente umana, poiché la religione individuale prima esiste sola; di modo che queste Chiese procedono in realtà da un istinto gregario, o da fatti politici, senza nessun rapporto essenziale con l’atto di fede. Non è la religione che qui abbia l’iniziativa della socializzazione: dunque questa religione non è una religione umana, poiché l’uomo è un essere essenzialmente sociale, e più che mai, come lo abbiamo dovuto riconoscere, nel campo religioso. Dunque, finalmente, questa religione non può essere divina; non può rispondere all’incarnazione; essa divide il « Corpo di Cristo » in tante frazioni quanti sono gli uomini, o per dir meglio non lo forma affatto, e quindi non è propriamente cristiana.
D. Tu sei severo!
R. Io espongo una dottrina, che conserva un pieno rispetto alle persone. Dottrinalmente, sono obbligato a dire con Augusto Comte: «I protestanti non sanno che cosa sia una religione »; essi non sono una religione, poiché ignorano la sociabilità propriamente religiosa, non fondandosi religiosamente su una base sociale. Con ciò, ed è quello che volevo dire, essi presentano l’estremo opposto della cattolicità, cioè un individualismo stretto, antropologicamente falso, divinamente offensivo, poiché esso ignora il fiume di vita emanato dalla croce, la grazia sociale da cui ogni vita religiosa individuale procede.
D. Io non sapevo che foste così lontani gli uni dagli altri.
R. Intendimi! Quelli che noi chiamiamo nostri fratelli separati sono vicini a noi in molte cose; per la carità sono vicinissimi al nostro cuore; ma è un fatto che il loro allontanamento è al massimo in ciò che riguarda il concetto della Chiesa. Essi fanno parte di ciò che Bossuet chiama la « moltitudine confusa », nella quale ciascuno prende in se solo il suo pensiero e la sua parola d’ordine, in vece della «moltitudine ordinata», che un pensiero e un impulso venuti da più alto unificano e adunano. Ciò del resto apparirà meglio parlando dell’apostolicità.
e) L’apostolicità della Chiesa.
D. Che cosa è dunque questa apostolicità?
R. È un carattere che si attribuisce alla Chiesa per indicare che essa si riallaccia a Cristo con un vincolo di continuità ininterrotto, un vincolo visibile nello stesso tempo che spirituale, un vincolo sociale. Da ciò si vede, ben manifestato, quello che distingue il cattolico dal protestante, che intende di allacciarsi «a Cristo » direttamente, senza società intermedia, senza continuità visibile, a guisa degli apostoli senza dubbio, ma non per mezzo di loro e dei loro successori.
D. Come sì stabilisce per te la continuità?
R. Il suo punto di partenza è nella scelta dei dodici Apostoli, nella loro investitura come rappresentanti di Gesù, nella loro missione solenne e nella stabilità regolare della loro successione in ciò che riguarda l’autorità, della loro tradizione in ciò che riguarda l’insieme del gruppo. Al principio gli Apostoli sono la Chiesa; noi non possiamo essere oggi la Chiesa, la Chiesa visibile e vera società, senza allacciarci visibilmente e socialmente agli Apostoli. Sono i Dodici che tra Cristo e noi stabiliscono il passaggio. Essi saldano la catena. Sono il primo anello interamente umano. Se vi fosse una rottura; se tutta la catena non dipendesse dal primo anello, non dipenderebbe dunque nemmeno dal pezzo principale semidivino, semiumano che è Cristo; non dipenderebbe dunque da Dio. Siccome essa pretende di dipenderne, non bisogna meravigliarsi di veder chiamare, presso di noi, l’autorità centrale la Sede apostolica, e tutta la Chiesa rivendicare una nota di apostolicità senza la quale essa non sarebbe, autenticamente, questa sintesi del divino e dell’umano inaugurata in Cristo per questa incarnazione permanente, sociale, chiamata la Chiesa.
D. Tu vuoi, insomma, che tutta la tua Chiesa secolare non costituisca che una sola vita?
R. Il tuo pensiero, che è di fatto il nostro, si trova mirabilmente espresso in questa celebre frase di Pascal: « L’umanità è come un uomo unico, che sussiste sempre e impara continuamente », Un vivente è una continuità per evoluzione; l’umanità è una continuità per eredità; la Chiesa è una continuità per comunicazione e per tradizione. E nello stesso modo che il vivente individuale non può essere una continuità senza riallacciarsi vitalmente alla sua culla; nello stesso modo che il genere umano non può essere una continuità senza dipendere ereditariamente dai primi uomini: così la Chiesa non può essere una vita, una unità del genere umano in Dio, per Cristo, se non a patto che essa dipenda da Cristo e da Dio per il tramite dei primi Cristiani, che sono gli Apostoli.
D. Non dici tu che la tua Chiesa è al di sopra del tempo?
R. Anche un uomo è al di sopra del tempo per l’anima sua; ma egli è nel tempo, e l’anima sua con lui, per il suo corpo. Così la Chiesa è al di sopra del tempo per il suo Dio; ma tocca il tempo per il suo Cristo, e prolunga il contatto a mezzo degli Apostoli, poi a mezzo della successione apostolica e della tradizione, per le quali essa si estende verso l’avvenire.
D. Allora l’apostolicità non è una unità nel tempo?
R. Hai detto molto bene, ed è per questo che noi abbiamo intraveduto questa nozione parlando dell’unità stessa.
D. Tuttavia i protestanti pretendono di esser loro quelli che hanno la vera tradizione degli Apostoli.
R. Essi ciò intendono della dottrina, e io ho detto quello che vale questa pretensione. Ma supponendo che i protestanti e non noi, fossero in possesso della dottrina degli Apostoli ciò proverrebbe senza dubbio che noi non siamo apostolici ma non potrebbe provare che lo siano essi. È questa una condizione necessaria, ma non sufficiente. Professare la dottrina di qualcuno, professarla per conto proprio, sotto la propria responsabilità esclusiva, ciò non significa essere in continuità sociale con lui. La vita sociale ha altre esigenze; è una vita collettiva una vita organizzata, che importa la comunanza dei beni, sotto un’autorità che rappresenta la finalità sociale e la serve. Ora, per il protestante, propriamente parlando, non vi è vita sociale cristiana; non autorità centrale; non sacerdozio propriamente detto; non funzione religiosa veramente collettiva; tutto questo non è che minimato, se pure non è eliminato. Allora come parlare di apostolicità nel senso profondo e pieno che importa la teologia cattolica?
D. Non basta forse a se stesso il Cristiano che apre l’anima sua al cielo?
R. Il protestante che apre l’anima sua Dio crede di bastare a se stesso, almeno con la sua Bibbia, e almeno teoricamente; perché di fatto, come abbiamo veduto, egli si affida ad un gruppo, e siccome questo gruppo è privo di attacchi autentici con l’origine della vita che esso crede di trasmettere, si affida al caso. Ma il Cattolico, alla sua volta, non si crede sotto il Cielo e in relazione autentica col cielo se non a patto di essere nel gruppo organizzato che Dio anima, che Dio ha stabilito appunto per questo, che è l’effetto della sua incarnazione temporale e la prolunga attraverso alle età. È possibile, accidentalmente, che uno si attacchi a Dio senza ricorrere alla Chiesa visibile, come diremo più tardi, e già abbiamo suggerito più volte; ma non si tratta qui dell’accidente; noi definiamo il piano, l’ordine normale delle cose, e io constato che nel protestantesimo quest’ordine è distrutto.
D. Gli rimangono Dio e Cristo.
R. Sì, ma contradetti in tutti i loro pensieri, in tutti i loro disegni. Il Dio dei protestanti è individualista; il loro Cristo è un personaggio lontano, al quale essi non sono rilegati se non per mezzo di un libro. E in queste condizioni, i loro apostoli per essi non sono altro che dei protestanti prima del protestantesimo, degli isolati gli uni per rapporto agli altri, degli isolati per rapporto a noi, che siamo altresì degli isolati. Ciò, invece della grande effusione di vita, invece della stretta comunità che, nel concetto cattolico, avvolge i tempi e i luoghi nel suo amplesso immenso.
D. « La persona eterna» di Pascal sembra di fatto un più grande pensiero.
R. Trasferito al soprannaturale, è il pensiero della Chiesa Apostolica.
f) La Chiesa Romana
D. Avevi annunziato degli schiarimenti relativamente alla Chiesa romana.
R. Lo schiarimento essenziale consiste nel dire questo: Chiesa romana e Chiesa apostolica sono tutt’uno.
D. Allora perché queste due parole?
R. L’espressione Chiesa romana vuole indicare che la Chiesa, che si connette agli Apostoli il capo dei quali era Pietro, Vescovo di Roma, ha dunque per capo, nel corso delle età, il successore di Pietro, Vescovo di Roma.
D. È una concentrazione dell’apostolicità?
R. Si tratta di fatto di richiamare l’apostolicità al suo centro. Per connettere la Chiesa attuale al gruppo primitivo che servì di embrione alla Chiesa, non bisogna forse connetterlo al centro dell’unità di questo gruppo rappresentato da Simon Pietro?
D. Simon Pietro non fu sempre Vescovo di Roma?
R. Egli fissò per sempre il centro spirituale del mondo appunto diventando Vescovo di Roma.
D. Il centro spirituale del mondo non è a Gerusalemme, là dove fu piantata la croce?
R. Gerusalemme, città d’Oriente, città del passato religioso degli uomini, fu il punto di partenza delle sacre iniziative; ma non ne è il centro. All’oriente il sole spunta; ma al mezzogiorno si affermano la perseveranza del giorno, la distribuzione regolare delle chiarezze, la potenza di avvolgimento luminoso e la regolazione della vita sopra la terra. Roma è il mezzogiorno del sole Cristiano.
D. Perché Roma?
R. Qui non possiamo far altro che seguire la Provvidenza; le nostre ragioni non pretendono di reggerla. Ma si può osservare che Roma, nel momento che nacque la Chiesa, era per il mondo quello che Pietro era per la Chiesa; Roma era un centro di vita; e come la Città per eccellenza, Urbs, irradiava da per tutto e lanciava le proclamazioni de’ suoi padroni Urbi et Orbi: così nello spirituale, il capo della Chiesa. Questo era antecedentemente figurato da quello e da quello doveva essere servito. La Chiesa, collocata nel cuore del mondo dove essa nasceva, per esercitare subito il suo compito universale, non avrebbe che da seguire le pulsazioni di questo cuore, lanciare come esso, per tutti canali geografici e amministrativi secolarmente preparati, il suo sangue e l’anima sua. È quello che Bossuet descrisse così magnificamente nel suo Discorso sulla Storia universale.
D. Bisogna confessare che è un bell’incontro; ma era necessario?
R. Non era affatto necessario; il cattolicismo avrebbe potuto stabilirsi altrimenti e altrove. Ma Dio si serve naturalmente degli strumenti preparati dalla sua Provvidenza. L’opera dell’incivilimento temporale e l’opera religiosa sono fatte per unirsi: Dio aiuta l’una con l’altra.
D. Roma aiutò la Chiesa; ma che cosa ha fatto la Chiesa per Roma?
R. Se Roma esercita ancora oggi quell’attrazione che fa di essa non la città italiana, ma una città mondiale, godendo della frequenza è dell’ammirazione di un plebiscito universale, e chi lo deve? Le grandi vinte della storia: Memfi, Tebe, Ninive, Babilonia, Atene stessa perirono o si atrofizzarono. In grazia della Rocca evangelica, Roma si sollevò più in alto; salì al mondo dello Spirito e vi rimane. Lo scettro della croce le sarà stato più profittevole che le aquile. Essa aveva conquistato con le armi le rive ammirabili e fertili, ma strette, dopo tutto, del Mediterraneo: per lo Spirito essa conquistò il mondo lontano; entrò in comunicazione coi mondi. E quello che essa aveva perduto alla prima coalizione dei popoli contro di sé, una volta trasferita nel soprannaturale da Cefa, le viene acquistato per sempre.
D. All’inizio, era ben marcato il legame tra il Vescovo di Roma e gli altri pastori di chiese?
R. Era molto debole, e ne dico la ragione generale: l’embrione non è l’uomo. Come ragione particolare, vi è questo che il governo apostolico dava a ciascuno di quelli che avevano goduto del contatto personale di Gesù, che avevano udito le sue parole, una specie di compito universale analogo a quello di Gesù stesso. Una Chiesa che aveva alla sua testa uno dei Dodici si sentiva al sicuro da ogni deviazione. Ora questo governo durò qualche tempo ancora, nei successori immediati che approfittavano ancora delle abitudini acquisite. Il ricorso a Roma, difficile in quel tempo, non sembrava indispensabile. Se ne trovano tuttavia numerose tracce; ma relativamente deboli, e bisognava aspettarselo.
D. Come si fa la transizione?
R. Il potere degli altri vescovi diventa più ristretto alle loro chiese, più locale; quello del vescovo di Roma si universalizza in proporzione, con l’intento di soddisfare i bisogni nuovi di una crescente unità e di una complicazione funzionale che richiede un concentramento più forte.
D. E quando si compie questo concentramento?
R. Nel Concilio Vaticano, con la proclamazione dell’infallibilità personale del Papa e della sua indipendenza dai concili.
D. Non è questo un eccesso?
R. È l’accettazione letterale del testo che ti ho già citato: Tu sei Pietro, e sopra questa pietra io edificherò la mia Chiesa.
D. Ma il dare a Roma un tale primato non era un italianizzare la Chiesa universale?
R. Era un universalizzarla maggiormente, riconducendo all’oceano, dove la barca di Pietro si avanza, i fiumi che si attardavano nelle pianure nazionali.
D. Sembra che vi fossero degli abusi.
E. Ve ne sono sempre; ma un’istituzione secolare non si giudica secondo la misura di minuscoli incidenti.
D. E come interpreti i recenti accomodamenti tra la Roma civile e la Roma apostolica?
E. Non vi fu maggiore avvenimento dopo Pipino il Breve e dopo Costantino. Il Cesare aveva dato alla Chiesa il suo statuto sociale. Il figlio di Carlo Martello, facendo il Papa sovrano, garantiva l’indipendenza dello spirituale in un mondo politico movimentato; ma, in cambio, aggravava il potere religioso delle cure temporali che non tornavano sempre a suo vantaggio. Per il recente accordo, il grave pondo è rigettato, e rimane la garanzia spirituale, fondata oramai sull’accettazione spirituale delle anime e dei popoli.