I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “Doveri dei genitori verso i figli”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS:

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Doveri dei genitori verso i figli.

Credidit ipse, et domus ejus tota.

(JOAN. IV, 53).

Possiamo noi trovare, Fratelli miei, un esempio più adatto per far intendere a tutti i capi di famiglia che essi non possono efficacemente lavorare alla loro salvezza se nel medesimo tempo non lavorano a quella dei loro figli? Invano i padri e le madri passerebbero la loro vita nel far penitenza, nel piangere i loro peccati, nel distribuire le ricchezze ai poveri; se essi hanno la disgrazia di trascurare la salute dei loro figli, tutto è perduto per essi. Ne dubitate, F. M.? Aprite le Scritture, e vi vedrete che se i genitori furono santi, lo furono del pari i loro figli, ed anche i dipendenti. Quando il Signore loda quei padri e quelle madri che si sono distinti per fede e pietà, non dimentica di dirci che i loro figli ed i loro servi hanno camminato sulle loro tracce. Lo Spirito Santo vuol farci l’elogio di Abramo e di Sara? Non tralascia nel medesimo tempo di ricordarci l’innocenza di Isacco e il fervoroso e fedele lor servo Eliezero (Gen XXIV). E se ci mette davanti le rare virtù della madre di Samuele, fa rilevare subito le belle qualità di questo degno figliuolo (I Reg. I e II). Se ci manifesta l’innocenza di Zaccaria e di Elisabetta ci parla subito di Giovanni Battista, il santo precursore del Salvatore (Luc. I). Quando il Signore vuol presentarci la madre dei Maccabei come una madre degna dei suoi figliuoli, ci mostra nel medesimo tempo il coraggio e la generosità di questi, che danno la vita con tanta gioia per il Signore (II Macc. VII). Se S. Pietro ci parla del centurione Cornelio come d’un modello di virtù, ci dice anche che tutta la sua famiglia serviva con lui il Signore (Act. X, 2). Se il Vangelo ci parla di quell’ufficiale che venne a domandare a Gesù la guarigione di suo figlio, ci dice che dopo averla ottenuta non si diede più pace finché tutta la famiglia non credette con lui nel Signore (Joan. IV, 58). Quali esempi per i padri e le madri! Dio mio! se i padri e le madri dei nostri giorni avessero la fortuna di esser santi, quanti figli di più pel cielo! quanti figli di meno per l’inferno! Ma, forse mi direte, che cosa dobbiamo fare per adempiere i nostri doveri, poiché sono sì grandi e sì terribili? — Ahimè! io non oso dirvelo, tanto sono gravi per un Cristiano che desidera adempirli come vuole il buon Dio. Ma giacché sono obbligato a mostrarveli, eccoli: istruire i vostri figli, cioè insegnar loro a conoscere il buon Dio ed i propri doveri; correggerli cristianamente, dar loro buon esempio, guidarli per la giusta via che conduce al cielo, camminandovi per primi voi stessi. Ahimè ! F. M., io temo che questa istruzione vi sia, come tante altre, nuovo argomento di condanna. Il voler mostrarvi la grandezza dei vostri doveri, è volere discendere in un abisso senza fondo, e volere spiegare una verità che l’uomo non può mettere i n tutta la sua luce. – Per questo, F. M. bisognerebbe potervi far comprendere ciò che valgono le anime dei vostri figli, quanto ha sofferto Gesù Cristo per ridonar loro il cielo, il conto spaventoso che un giorno dovrete renderne a Dio, la felicità che fate loro perdere per tutta l’eternità, i tormenti che preparate loro per l’altra vita; converrete con me, F. M., che nessun uomo è capace di tutto questo. Ah! disgraziati genitori, se li stimaste quanto li stima il demonio! Quando pure egli impiegasse tre mila anni per tentarli, se finalmente riuscisse ad averli, conterebbe per nulla tutte le sue fatiche. Piangiamo, F. M., la perdita di tante anime che i genitori stessi ogni giorno gettano nell’inferno. Diamo uno sguardo superficiale ai vostri doveri, e frattanto, se non avete perduta interamente la fede, vedrete che non avete fatto nulla di quanto il buon Dio vuol che facciate per i vostri figli, o piuttosto che avete fatto tutto quanto occorreva per perderli. Ah! quante persone maritate non andranno in cielo! — E perché? mi direte voi. — Ecco. Perché vi sono molti che entrano nello stato del matrimonio senza le necessarie disposizioni, e profanano così da principio questo sacramento. Sì, dove sono quelli che ricevono questo Sacramento con la dovuta preparazione? gli uni vi sono condotti dal pensiero di accontentare i loro impuri desiderii; gli altri sono attirati da viste d’interesse, o dalle seduzioni della beltà; ma quasi nessuno ha per oggetto Dio solo. Ahimè! quanti matrimoni profanati, e come sono poche le unioni dove regnano la pace e la virtù! Dio mio! Quante persone maritate si danneranno. Ma, no, F. M., non entriamo in questi particolari, vi ritorneremo un’altra volta; parliamo solo dei doveri dei genitori verso i figli; sono abbastanza estesi per servirci da soggetto di trattenimento. Per oggi, F . M., non dirò nulla di quei padri e di quelle madri, del cui delitto non potrei dipingere a colori abbastanza vivi e forti la enormità e l’orrore. Essi fissano, prima di Dio stesso, il numero dei loro figli, mettono dei limiti ai disegni della Provvidenza s’oppongono alle sue adorabili volontà. Copriamo, F. M., tutte queste turpitudini con un velo, che nel grande giorno delle vendette, Colui, che ha tutto visto, contato e. ponderato saprà strappare. I tuoi delitti, amico, sono ancora nascosti, ma fra qualche giorno  Dio saprà manifestarli davanti a tutto l’universo. Sì, F. M., nel giorno del giudizio vedremo tutti gli orrori commessi nel matrimonio e che avrebbero fatto fremere gli stessi pagani. Non dico neppur nulla di quelle madri delinquenti, che vedrebbero senza dolore, ahimè! forse anche con piacere, perire i loro poveri figli prima di averli dati alla luce, e di aver loro procurato la grazia del Battesimo; le une, per timore dei fastidi che proverebbero nell’allevarli; le altre per timore del disprezzo e del rifiuto che proverebbero da un marito brutale ed irragionevole; non dico, senza religione, perché i pagani non farebbero di più, Dio mio! e possono tali delitti trovarsi fra i Cristiani? Eppure. F. M., quanto ne è grande il numero! Ancora una volta, quante Persone maritate sono dannate! Ecchè, amico mio, il buon Dio vi ha forse dato cognizioni superiori alle bestie, solo perché poteste offenderlo meglio? Gli uccelletti e gli stessi animali più feroci dovranno servirvi d’esempio? Vedetele,  queste povere bestie, quanto si rallegrano al vedersi moltiplicare i loro nati: di giorno si affaticano a cercar loro il nutrimento, e di notte li coprono colle loro ali per difenderli dalle ingiurie del tempo. Se una mano rapace porta via loro i piccoli, le sentirete lamentarsi; sembra che esse non possano più abbandonare i loro nidi, sempre nella speranza di ritrovarli. Quale vergogna, non dico per i pagani, ma per i Cristiani, che gli animali siano più fedeli nell’adempimento dei disegni della Provvidenza, che non gli stessi figli di Dio; cioè i padri e le madri che Dio ha scelto solo per popolare il cielo! No, no, F. M., non continuiamo, abbandoniamo un argomento così ributtante; entriamo nei particolari che riguardano un maggior numero di persone. Io vi parlerò più semplicemente che mi sarà dato, affinché possiate ben comprendere i vostri doveri ed adempirli.

1° Dico anzitutto che quando una madre è incinta deve pregare o fare qualche elemosina; meglio ancora, se può, far celebrare una Messa, per domandare alla santa Vergine di riceverla sotto la sua protezione, affinché ottenga da Dio che il povero infante non muoia senza aver ricevuto il santo Battesimo. Se una madre avesse veramente il sentimento religioso, direbbe a se stessa: “Ah! se avessi la fortuna di veder questo bambino diventare un santo, e contemplarlo per tutta l’eternità al mio fianco, cantando le lodi del buon Dio, quale gioia per me!„ Ma no, no, F. M., non è questo il pensiero che occupa una madre incinta: essa proverà invece un affannoso dispiacere nel vedersi in questo stato, e forse penserà di distruggere il frutto del suo seno. Dio mio, il cuore di una madre cristiana, può concepire un tale delitto? Eppure, quante ne vedremo, in quel giorno, che avranno nutrito in sé tali pensieri d’omicidio!

2° Dico inoltre che una madre incinta che vuol conservare il figliuolo pel cielo, deve evitare due cose: il portare carichi troppo pesanti e l’alzare le braccia troppo con isforzo per prendere qualche cosa, il che potrebbe nuocere al povero figliuolo e farlo perire. La seconda cosa da evitare, è il prendere rimedi che possano far patire il figliuolo, o dare in iscatti di collera, ciò che potrebbe spesso soffocarlo. I mariti devono tollerare molte cose che in un altro tempo non tollererebbero; se non vogliono farlo per riguardo alla madre, lo facciano almeno per riguardo al bambino; poiché potrebbe perdere la grazia del santo Battesimo; il che sarebbe la più grande di tutte le disgrazie!

3° Quando una madre vede avvicinarsi il tempo del parto, deve andarsi a confessare, e per più ragioni. La prima, perché molte durante il parto muoiono e, se per isventura ella avesse la disgrazia d’essere in peccato, si dannerebbe. La seconda, perché essendo in istato di grazia, tutte le pene e dolori che soffrirà saranno ricompensati in cielo. La terza, perché il buon Dio non mancherà di accordarle tutte le grazie che essa augurerà al suo figliuolo. Una madre, durante il parto, deve conservare il pudore e la modestia, per quanto nel suo stato le sia possibile, e non mai dimenticarsi di essere alla presenza di Dio, ed in compagnia del suo buon angelo custode. Non deve mangiare mai di grasso nei giorni proibiti, senza permesso, perché attirerebbe la maledizione su di sé e sul figlio.

4° Non lasciate mai passare più di ventiquattro ore senza far battezzare i vostri figli; se non lo fate, vi rendete colpevoli, eccetto però che non abbiate serie ragioni. Per padrini e madrine scegliete persone buone per quanto lo potete; eccone la ragione: tutte le preghiere, le buone opere che faranno i padrini e le madrine, in virtù della parentela spirituale coi vostri figli otterranno a questi una quantità di grazie dal cielo. Sì, F. M., stiamo certi che nel giorno del giudizio vedremo molti figli riconoscersi debitori della loro salute alle preghiere, ai buoni consigli ed ai buoni esempi dei padrini e delle madrine. Un’altra ragione vi obbliga: se voi venite a mancare, essi dovranno tenere il vostro posto. Dunque, se aveste la disgrazia di scegliere padrini e madrine senza religione, questi non potrebbero che condurre i vostri figli all’inferno. Padri e madri, non dovete mai lasciar perdere il frutto del Battesimo ai vostri figli: come sareste ciechi e crudeli! La Chiesa vuol salvarli col santo Battesimo, e voi, per negligenza, li rimettete in potere del demonio! Poveri bambini; in quali mani avete la disgrazia di cadere! Ma quanto ai padrini ed alle madrine non bisogna dimenticare che per farsi mallevadori di un fanciullo è necessario essere sufficientemente istruiti, di poter istruire essi il fanciullo, se il padre e la madre avessero a mancargli. Inoltre bisogna che siano buoni Cristiani ed anche perfetti Cristiani; poiché devono servir d’esempio ai loro figli spirituali. Perciò una persona che non fa Pasqua non deve tener a battesimo un bambino, e neppure una persona che ha una cattiva abitudine e non vuole rinunciarvi, o che va ai balli, o che frequenta abitualmente le bettole; perché ad ogni interrogazione del sacerdote, fa un giuramento falso: cosa grave, come ben vedete, in presenza di Gesù Cristo stesso, e ai piedi del sacro fonte battesimale. Quando non avete le necessarie condizioni per essere padrini cristiani, dovete rifiutare; e, se tutto questo vi è già capitato, dovete confessarvene, e non cadere più in simile peccato.

5° Non dovete far dormire i vostri figli con voi prima dell’età di due anni; se lo fate, commettete peccato. La Chiesa ha fatto questa legge non senza ragione: voi siete obbligati ad osservarla. — Ma, mi direte, alle volte fa molto freddo, o si è molto stanchi. — Questo non è una ragione che possa scusarvi davanti a Dio. Del resto, quando vi siete maritati, sapevate che sareste stati obbligati a portare il peso e ad adempiere i doveri inerenti a questo stato. Vi sono anche, F. M., dei padri e delle madri così poco istruiti in materia di religione, o così noncuranti dei loro doveri, che fanno dormire con sé figliuoli dai quindici ai diciotto anni, e spesso anche fratelli e sorelle assieme. Dio mio in quale stato d’ignoranza sono questi padri e queste madri! — Ma, mi direte, non abbiamo letti. — Voi non avete letti: ma è meglio farli dormire su di una seggiola, o in casa del vostro vicino. Dio mio! quanti genitori e figli dannati! Ma ritorno ancora al mio punto, dicendo che tutte le volte che fate dormire con voi i figliuoli prima che abbiano due anni, offendete il buon Dio. Ahimè! quanti poveri bambini alla mattina sono trovati soffocati dalla madre, ed a quante madri, qui presenti, è toccata questa disgrazia! E quand’anche Iddio ve ne avesse preservate, non siete meno colpevoli che se lì aveste trovati soffocati ogniqualvolta hanno dormito con voi. Voi non volete convenirne, cioè non ve ne correggete: aspettiamo il giorno del giudizio, ed allora sarete obbligate di ammettere quanto ora non volete riconoscere. — Ma, mi direte, quando sono battezzati non vanno perduti, anzi vanno in cielo. — Senza dubbio, F. M., non andranno perduti, ma siete voi che vi perderete; del resto sapete voi a che cosa destinava Iddio quei figliuoli? Forse quel bambino sarebbe stato un buon sacerdote. Avrebbe condotto una quantità di anime a Dio; ogni giorno, celebrando la S. Messa, avrebbe reso più gloria a Dio che tutti gli angeli ed i santi riuniti insieme in cielo. Avrebbe tratto più anime dal purgatorio che non le lagrime e lo penitenze dei solitari offerte al trono di Dio. Comprendete ora, il male di lasciar morire un fanciullo, anche battezzato? Se la madre di S. Francesco Saverio, che fu un gran santo che ha convertito tanti idolatri, l’avesse lasciato perire; ahimè! quante anime nell’inferno, al giorno del giudizio, la rimprovererebbero di essere stata la causa della loro dannazione, perché quel fanciullo era mandato da Dio por convertirli! Voi lasciate perire quella bambina che forse si sarebbe data a Dio; colle sue preghiere e co’ suoi buoni esempi avrebbe condotto un gran numero di anime al cielo. Forse madre di famiglia, avrebbe ben allevato i suoi figli che, a loro volta, ne avrebbero allevati altri, e così la religione si sarebbe mantenuta e conservata per numerose generazioni. Voi contate poco, F. M., la perdita di un fanciullo, col pretesto che è battezzato; ma aspettate il giorno del giudizio, e vedrete e riconoscerete ciò che non comprenderete mai in questo mondo. Ahimè! se i padri e le madri facessero di tanto in tanto questa riflessione, quante anime di più vi sarebbero in cielo.

6° Io dico che i genitori sono colpevoli assai quando accarezzano i loro figli in un modo troppo sconveniente. — Ma, mi direte, non facciamo alcun male, è soltanto per carezzarli; — ed io invece vi dirò che offendete il buon Dio, e che attirate la maledizione su questi poveri bambini. Sapete che cosa ne avviene? Ecco: Vi sono dei fanciulli che hanno presa questa abitudine dai genitori, e l’hanno conservata fino alla loro prima comunione. Ma, mio Dio! si può credere che questo avvenga da parte di genitori Cristiani?

7° Vi sono delle madri, che hanno sì poca religione, o se volete, sono così ignoranti, che per mostrare alle vicine la robustezza dei loro figli li scoprono nudi; altre per lavarli, li lasciano per lungo tempo scoperti davanti a tutti. Ebbene non dovreste farlo, neppure se niuno vi fosse presente. Forse non dovete rispettare la presenza dei loro Angeli custodi? Lo stesso dicasi quando li allattate. Deve forse una madre cristiana lasciare il seno scoperto? e quantunque ben coperta, non deve forse voltarsi dove non vi sia alcuno? Altre, sotto pretesto che sono nutrici, non si coprono che per metà; quale abbominazione! Non c’è da far arrossire persino i pagani? Si è obbligati, per non esporsi a sguardi impuri, di fuggire la loro compagnia. Che orrore! — Ma, mi direte, quantunque vi sia presente alcuno, bisogna pur allattare i figli e fasciarli quando piangono. — Ed io vi dirò che quando piangono, dovete fare tutto il possibile per acquietarli; ma è meglio lasciarli piangere un poco che offendere Iddio. Ahimè! quante madri sono causa di sguardi impuri, di cattivi pensieri, di toccamenti disonesti! Ditemi, sono quelle le madri cristiane che dovrebbero essere così riservate? Dio mio! quale giudizio dovranno subire? Altre sono così maleducate che d’estate lasciano correre per tutta la mattina i loro figli mezzo nudi. Ditemi, o miserabili, non stareste forse meglio tra le bestie selvagge? Dove è la vostra religione e il pensiero dei vostri doveri? Ahimè! della religione non ne avete, e quanto ai vostri doveri, non li avete mai conosciuti. Voi stesse ne date la prova ogni giorno. Ah! poveri figli, quanto siete disgraziati d’aver tali genitori!

8° Dico, che dovete ancora sorvegliare i vostri figli quando li mandate nei campi; là, lontani da voi, si abbandonano a tutto ciò che il demonio ispira loro. Se l’osassi, vi direi che essi commettono ogni sorta di disonestà; che passano delle mezze giornate nel far cose abbominevoli. So che la maggior parte non conoscono il male che fanno; ma aspettate quando ne avranno la conoscenza. Il demonio non mancherà di ricordar loro quello che han fatto in questi momenti, per farli peccare. Sapete, F. M., ciò che produce la vostra negligenza o la vostra ignoranza? Eccolo: ricordatevelo bene. Una buona parte dei figliuoli che mandate nei campi, alla loro prima comunione commettono dei sacrilegi; essi hanno contratto delle abitudini vergognose: e non osano manifestarle, ovvero non se ne sono corretti. In seguito, se un sacerdote che non vuol dannarli, non li ammette, lo si rimprovererà, dicendo: Fa così perché è il mio … “Via, miserabili, vegliate un po’ meglio sui vostri figli, e saranno ammessi. Sì, dirò che la maggior parte dei vostri figli hanno cominciato la lor riprovazione da quando cominciarono ad andare nei campi. — Ma, mi direte, noi non possiamo seguirli sempre, avremmo ben da fare. — Per questo, F. M., non vi dico nulla; ma tutto quello che so è che voi risponderete delle anime loro come della vostra. — Ma noi facciamo quello che possiamo. — Io non so se voi fate quello che potete; ma quello che so è questo, che se i vostri figli presso di voi si dannano, vi dannerete voi pure; ecco quello che so, e niente altro. Avrete un bel dir di no, che io vado troppo avanti; se non avete del tutto perduta la fede, ne converrete; ciò solo basterebbe a gettarvi in una disperazione dalla quale non potreste più uscirne. Ma io so che voi non farete un passo di più per meglio osservare i vostri figli; voi non vi inquietate di questo; ed avete quasi ragione, perché avrete il tempo di tormentarvi durante tutta l’eternità. Andiamo avanti.

9. Non dovete far dormire le vostre domestiche o le vostre figlie, in appartamenti, dove alla mattina vanno i servi a cercare le rape o le patate. Bisogna dirlo, a confusione dei padri e delle madri, dei padroni e delle padrone; povere fanciulle e povere domestiche, avranno la confusione di alzarsi, di vestirsi davanti a gente che ha tanta religione quanta ne avrebbe se non avesse mai sentito parlare del vero Dio. Spesso poi i letti di queste povere fanciulle non avranno cortine. — Ma, mi direte, se bisognasse fare tutto ciò che voi dite, quanto lavoro ci sarebbe. — Amico mio, è questo appunto ciò che dovete fare, e se non lo fate ne sarete giudicati e puniti: certamente. Voi non dovete far dormire i vostri figli che hanno già sette od otto anni, nella vostra stessa camera. Ricordatevi, F. M., non conoscerete il male che fate se non al giudizio di Dio. So bene che non farete nulla o quasi nulla di ciò che vi insegno; non importa; io vi dirò sempre tutto ciò che vi devo dire; dopo, tutto il male sarà vostro e non mio, perché vi faccio conoscere ciò che dovete fare per adempire i vostri doveri verso i figli. Quando il buon Dio vi giudicherà, non potrete dire che non sapevate ciò che bisognava fare; io allora vi ricorderò ciò che oggi vi ho detto. – Avete adunque visto, F. M., che i vostri figli, benché piccoli, vi fanno commettere molte mancanze; ora vedrete che quando saranno alti ve ne faranno commettere di più grandi e di più funeste per voi e per essi. Converrete tutti con me, F. M., che più i vostri figli avanzano in età più dovete raddoppiare le preghiere e le cure, perché i pericoli sono maggiori, e le tentazioni più frequenti. Ditemi ora, fate voi tutto questo? No, senza dubbio; quando i vostri figli erano piccoli voi avevate la cura di parlar loro del buon Dio, di far loro recitare le preghiere; vegliavate un po’ sulla loro condotta, domandavate loro se si erano confessati, se avevano assistito alla santa Messa; avevate la precauzione di ricordar loro d’andare alla dottrina. Ma da quando hanno raggiunto i diciotto o i venti anni, non ispirate più loro in cuore l’amore ed il timor di Dio, non ricordate loro la felicità di chi lo serve in questa vita, il rimorso che si ha morendo, di andare perduti: ahimè! quei poveri figli sono pieni di vizi; ed hanno già mille volte trasgredito, senza conoscerli, i comandamenti della legge di Dio: il loro spirito è ripieno delle cose terrene, e vuoto di quelle di Dio. Voi parlate loro del mondo. Una madre comincerà a dire alla figliuola che la tale si è unita col tale, e che è stato un buon partito; bisognerebbe che anch’essa trovasse simile fortuna. Questa madre non avrà in mente che la figlia, cioè, farà tutto ciò che potrà per farla comparire agli occhi del mondo. Essa la coprirà di vanità, fors’anche a costo di far dei debiti; le insegnerà a camminare diritta, dicendole che cammina tutta curva, o non si sa che a cosa somigli. Certo vi stupisce che vi siano madri così cieche. Ahimè! come è grande il numero di queste povere cieche che cercano la perdita delle loro figlie! Altra volta, vedendole uscire la mattina, si daranno maggior premura di guardare so hanno la cuffia ben accomodata, il viso e le mani ben pulite, che di chiedere se hanno offerto il loro cuore a Dio, se hanno fatto le loro preghiere e offerta a Dio la loro giornata; di questo non parlano mai. Altre volte diranno alle figliuole che non bisogna essere troppo rustiche, che bisogna far buon viso a tutti; che bisogna farsi delle conoscenze per potersi collocare. Quante madri o poveri padri accecati dicono al figlio: Se ti porterai gentilmente o se farai bene quella cosa, ti lascerò andare alla fiera di Montmerle o alla sagra; cioè, se farai sempre quello che io vorrò, ti trascinerò nell’inferno! Dio mio, è questo il linguaggio di genitori cristiani che dovrebbero pregare giorno e notte per i loro propri figli, affinché il buon Dio ispiri loro un grande orrore per i piaceri, un grande amore per Lui e per la salute della loro anima? Quello che addolora ancor di più, è vedere che vi sono figliuole le quali non sono affatto portate ad uscir di casa; ed i genitori le pregano, le sollecitano dicendo loro: Se stai sempre in casa non troverai da collocarti, fuori non sarai conosciuta. Volete voi, madre mia, che la vostra figlia faccia delle conoscenze? Non inquietatevi troppo, ne farà senza che voi abbiate a tormentarvi tanto; aspettate ancora un po’ e, vedrete, se le avrà fatte. La figlia, che non avrà forse il cuore guasto come quello della madre, soggiungerà: Farei volentieri come voi volete; ma il signor Parroco non vuole; ci dice che tutto ciò non fa che attirare la maledizione del buon Dio nei matrimoni. Io non mi sento voglia di andar a ballare, che ve ne pare, mamma? — Eh! Buon Dio, quanto sei ingenua, figlia mia, ad ascoltare il signor Parroco; bisogna bene che egli dica qualche cosa; è il suo mestiere; noi si prende quello che si vuole e si lascia il resto agli altri. — Ma, allora, non faremo Pasqua? — Ah! povera bambina; se lui non ci assolverà, andremo da un altro; ciò che rifiuta l’uno, un altro l’accetta sempre. Figlia mia, sii prudente, ritorna presto, ma va pure; quando non sarai più giovane avrai finito di divertirti. „ Un’altra volta sarà una vicina che le dirà: “Voi lasciate troppo libera vostra figlia, essa finirà col darvi dei dispiaceri. — Mia figlia! le risponderà; non temo proprio di nulla. E poi le ho raccomandato di essere prudente ed essa me l’ha promesso; sono sicura che frequenta solo persone dabbene.„ — Madre mia, aspettate ancora un po’ e vedrete il frutto della sua assennatezza. Quando la colpa sarà palese, vostra figlia diventerà argomento di scandalo per tutta la parrocchia, coprirà di obbrobrio e di disonore la famiglia; e se nulla se ne scorgerà, cioè se nessuno lo saprà, tuttavia essa porterà sotto il velo del sacramento del matrimonio un cuore ed un’anima guasti da impurità, alle quali s’era data prima del matrimonio, fonte di maledizioni per tutta la sua vita. — Ma, dirà una madre, quando vedrò mia figlia andar troppo oltre, allora saprò ben io fermarla; non la lascerò più uscire, oppure adoprerò il bastone. — Voi, o madre, non le darete più il permesso; non inquietatevi, essa saprà prenderselo senza che voi vi affatichiate a darglielo, e se mostrerete anche solo di volerglielo rifiutare, ella saprà ben minacciarvi, burlarsi di voi, e partire. Siete stata voi ad eccitarla la prima volta, ed ora non potrete più trattenerla. Forse piangerete, ma a che serviranno le vostre lagrime? a nulla, se non a farvi ricordare che vi siete ingannata, che dovevate essere più prudente e guidar meglio i vostri figli. Se ne dubitate, ascoltatemi un momento e, malgrado la durezza del vostro cuore, per l’anima dei vostri poveri figli, vedrete che è solo il primo passo quello che costa; una volta che li avete lasciati uscir di strada non ne siete più padrone, e spesso fanno una fine miserabile. – Si racconta nella storia, che un padre aveva un figlio il quale gli dava ogni sorta di consolazioni; era buono, obbediente, riservato nelle sue parole, ed era nel medesimo tempo l’edificazione di tutta la parrocchia. Un giorno che vi fu un divertimento nel vicinato, il padre gli disse: “Figlio mio, tu non esci mai; va a divertirti un po’ coi tuoi amici, sono giovani dabbene, e non sarai in cattiva compagnia.„ Il figlio gli rispose: “Padre, per me non v’ha piacere più grande, e miglior divertimento che il restare in vostra compagnia.„ Ecco una bella risposta da parte di un figlio, che preferisce la compagnia di suo padre a tutti gli altri piaceri ed a tutte le altre compagnie. “Ah! figlio mio, gli rispose il povero padre accecato, verrò anch’io con te.„ Il padre parte col figlio. La seconda volta, il giovane non ha più bisogno di farsi tanto pregare; la terza va da solo, non ha bisogno di suo padre; al contrario, il padre comincia a dargli fastidio; egli conosce già molto bene la strada. Il suo spirito non è più preoccupato che dal suono degli strumenti che ha sentito, delle persone che ha viste. E finisce coll’abbandonare quelle piccole pratiche di pietà che si era prescritte quand’era tutto di Dio; finalmente si lega con una giovane ben più cattiva di lui. I vicini cominciano già a parlare di lui, come di un nuovo libertino. Quando il padre se n’accorge, vuol opporsi, gli proibisce di andare in qualsiasi luogo senza il suo permesso; ma non trova più nel figlio l’antica sottomissione. Nulla può più fermarlo; si burla del padre, dicendogli che, non potendo ora divertirsi lui, vuol impedirlo anche agli altri. Il padre disperato, non vede più rimedio, si strappa i capelli, vuol castigarlo. La madre che capiva meglio del marito i pericoli di quelle compagnie, gli aveva spesso ripetuto che faceva molto male, che avrebbe avuto dei dispiaceri; ma era troppo tardi. Un giorno il padre, vistolo tornare da quei divertimenti, lo castigò. Il figlio, vedendosi contrariato dai genitori, si arruolò soldato; e qualche tempo dopo il padre ricevette una lettera che gli annunciava che il figliuol suo era rimasto schiacciato sotto i piedi dei cavalli. Ahimè! dove andò questo povero figlio? Dio non voglia che sia andato all’inferno. Intanto se egli si è dannato, come tutto fa credere, il padre fu la vera causa della sua perdizione. Quand’anche il padre facesse penitenza, la sua penitenza e le sue lagrime non riusciranno mai a strappare quel povero figlio dall’inferno. Ah! disgraziati genitori che gettate i vostri figli nelle fiamme eterne! Voi trovate questo alquanto esagerato; ma se esaminiamo davvicino la condotta dei genitori, vediamo che questo è quello appunto che essi fanno tutti i giorni. Se ne dubitate solo un po’ tocchiamo più da vicino questo punto. Non è vero che vi lamentate ogni giorno dei vostri figli? che non potete più comandar loro? purtroppo è vero. Voi forse avete dimenticato quel giorno in cui avete detto a vostro figlio o a vostra figlia: Se vuoi andare alla fiera di Montmerle, o alla Sagra, va pure, non ritornare però troppo tardi. Vostra figlia vi ha risposto che avrebbe fatto ciò che volevate. — Va pure, non esci mai, bisogna che ti pigli un momento di svago. — Non potete dir di no. Ma dopo qualche tempo, non avrete più bisogno di sollecitarla, né di darle il permesso. Allora, vi affliggerete, perché esce di casa senza dirvelo. Guardatevi indietro, o madre, e vi ricorderete che le avete dato il permesso una volta per tutte. Di più: vedete che cosa accadrà quando le avrete permesso di andare ovunque la conduca la sua testa senza cervello. Voi volete ch’essa faccia delle conoscenze per potersi collocare. State certa, che continuando a correre per le strade, ne farà tante, e moltiplicherà le sue colpe. Sarà questo cumulo di peccati che impedirà alla benedizione di Dio di spandersi su questi poveri figli al momento del loro matrimonio. Ahimè! questi poveretti sono già maledetti da Dio! Mentre il sacerdote alza la mano per benedirli, Dio dall’alto de’ cieli lancia le sue maledizioni. E di qui comincerà una spaventosa sorgente di disgrazie per essi. Questo nuovo sacrilegio, aggiunto a tanti altri, fa perder loro la fede per sempre. Allora, nel matrimonio, dove si crede tutto permesso, la vita non è più che un abisso di corruzione che farebbe fremere l’inferno stesso se ne fosse testimonio. Ma tutto questo dura poco. Ben presto cominceranno a non essere rari i dispiaceri, gli odi, gli alterchi ed i cattivi trattamenti dall’una e dall’altra parte. — Dopo cinque o sei mesi di matrimonio il padre vedrà suo figlio infuriato e quasi disperato, maledire i genitori, la moglie e fors’anche quelli che hanno combinato il matrimonio. Suo padre, stupito, gli domanderà che cosa è successo: “Ah! quanto sono disgraziato; ah! se quando son nato mi aveste ucciso, o se prima del mio matrimonio qualcheduno m’avesse avvelenato! — Ma, figlio mio, gli dirà il padre tutto affannato, bisogna aver pazienza. Che cosa vuoi! forse non sarà sempre così. — Non mi dite nulla, se mi sentissi il coraggio, mi tirerei una fucilata, o mi getterei nel fiume: con costei bisogna ad ogni momento altercare e battersi.„ — Non è questo, o buon padre, il frutto di quelle parole: Lasciamo che il Parroco dica, bisogna far delle conoscenze, altrimenti non si troverà da collocarsi. Va pure, figlio mio, sii prudente, torna di buon’ora e sta tranquillo? Sì, senza dubbio, amico mio, se foste stato assennato ed aveste consultato Iddio, non vi sareste collocato come avete fatto; Dio non l’avrebbe permesso; ma avrebbe fatto con voi come col giovane Tobia; vi avrebbe scelto Lui stesso una sposa che, venendo in casa, vi avrebbe apportato la pace, la virtù, ogni sorta di benedizioni. Ecco, amico mio, ciò che avete perduto non volendo ascoltare il vostro pastore ed avendo seguito il consiglio dei vostri ciechi genitori. – Un’altra volta sarà una povera figliuola che verrà, forse tutta ammaccata di battiture, a deporre nel seno della madre le sue lagrime ed i suoi dispiaceri. Esse mescoleranno assieme le loro lagrime: “Ah! madre mia, quanto sono stata disgraziata d’aver preso un marito come quello! così malvagio e brutale! Io credo che un giorno si dirà ch’egli mi ha uccisa.„ — “Ma, le dirà la madre: devi fare tutto ciò che ti comanda.„ — “Io lo faccio sempre; ma nulla lo accontenta, è sempre in collera.„ — “Povera figliuola, le dirà la madre, se avesti sposato un tale che t’ha domandata, saresti stata ben più felice… „ Voi v’ingannate, madre, non è questo che dovete dirle. “Ah! povera figlia, se t’avessi insegnato il timore e l’amor di Dio, non t’avrei mai lasciata correre ai divertimenti: Dio non avrebbe permesso che tu fossi così disgraziata…„ Non ricordate, buona madre, quelle vostre parole: lascia dire il signor Parroco, va pure; sii prudente, ritorna di buon’ora e sta tranquilla. Va benissimo, madre mia, ma ascoltate. Un giorno, passai vicino ad un gran fuoco; presi una manata di paglia e ve la gettai dentro, dicendole di non bruciare. Quelli che furono testimoni del mio atto, mi dissero, burlandosi di me: “Avete un bel dirle di non bruciare; non l’impedirete certo. — E come, risposi, se io le dico di non bruciare?„ Che no pensate, madre mia? vi riconoscete? Non è questa la vostra condotta, o quella della vostra vicina? Non è vero che avete detto a vostra figlia prima di concederle che partisse, di essere assennata? — Sì, senza dubbio… — Andate, buona madre, voi foste cieca, voi siete stata il carnefice dei vostri figli. Se essi sono disgraziati nel loro matrimonio, voi sola ne siete la causa. Ditemi, buona madre, se aveste avuto un po’ di religione e di amore per i vostri figli, non dovevate fare tutto il possibile per evitar loro il male che avete commesso voi, quando eravate nella medesima condizione? Parlerò più chiaro. Non siete abbastanza contenta di esser disgraziata voi; volete che lo siano anche i vostri figli. E voi, figlia mia, siete sfortunata nella vostra famiglia? Me ne dispiace assai; ma ne sono meno stupito che se mi diceste che siete felice, dopo le disposizioni che avete portato al vostro matrimonio. – Sì, F. M., la corruzione oggi è salita tant’alto tra i giovani, che sarebbe quasi impossibile trovare chi riceva santamente questo Sacramento, come è impossibile vedere un dannato salire al cielo. — Ma, mi direte, ve ne sono ancora alcuni. — Ahimè! amico mio, dove sono?… Ah! sì, un padre od una madre non mettono alcuna difficoltà di lasciare per tre o quattro ore, alla sera od anche durante i vespri, la loro figlia con un giovane. — Ma, mi direte, sono buoni. — Sì, senza dubbio, sono buoni; la carità deve farcelo credere. Ma ditemi, madre mia, eravate voi buona quando eravate nel medesimo caso di vostra figlia? – Finisco, F. M., dicendo che se i figli sono disgraziati in questo mondo e nell’altro, è colpa dei genitori che non hanno usato tutti i mezzi possibili per condurli santamente per la via della salute, dove il buon Dio li avrebbe certo benedetti. Ahimè! al giorno d’oggi, quando un giovane od una giovane vogliono collocarsi, bisogna assolutamente che abbandonino il buon Dio No, non entriamo in questi particolari; vi tornerò su un’altra volta. Poveri padri e povere madri, quanti tormenti vi aspettano nell’altra vita! Fin che la vostra discendenza durerà, voi parteciperete a tutti i suoi peccati, sarete puniti come se li aveste commessi voi, e per di più renderete conto di tutte le anime della vostra discendenza che si danneranno. Tutte queste povere anime vi accuseranno di averle fatte perdere. Questo è facilissimo da comprendersi. Se aveste ben allevato i vostri figli, essi avrebbero allevato bene i loro: si sarebbero salvati gli uni e gli altri. Ciò non basta ancora; voi sarete responsabili davanti a Dio di tutte le buone opere che la vostra discendenza avrebbe fatte sino alla fine del mondo, e che non avrà fatto per causa vostra. Che ne pensate, padri e madri? Se non avete ancor perduta la fede, non avete motivo di piangere sul male che avete fatto, e sull’impossibilità di rimediarvi? Non avevo io ragione di dirvi, in principio, che è quasi impossibile mostrarvi in tutta la sua luce la grandezza dei vostri doveri? Eppure quello che vi ho detto oggi non è che un piccolo sguardo Ritornate domenica, padri e madri, lasciate la casa in custodia ai vostri figli, ed io continuerò, senza però potervi far comprenderò tutto. Ahimè! quanti genitori trascinano i loro poveri figli nell’inferno, e insieme vi cadono essi stessi. Dio mio! si può pensare a tanta sciagura senza fremere? Felici quelli che il buon Dio non chiama al matrimonio! Quale conto di meno avranno da rendere! — Ma, mi direte: “Noi facciamo quello che possiamo.„ Voi fate ciò che potete, sì, senza dubbio; ma per perderli, non per salvarli. Finendo vi voglio mostrare che non fate quello che potete. Dove sono le lagrime versate, le penitenze e le elemosine fatte per domandare a Dio la loro conversione? Poveri figli, quanto siete disgraziati d’appartenere a genitori, i quali non lavorano che a rendervi infelici in questo mondo, ed ancor più nell’altro! Come vostro padre spirituale, ecco il consiglio che vi do: Quando vedete i vostri genitori che mancano alle funzioni, lavorano alla domenica, mangiano di grasso nei giorni proibiti, non frequentano più i Sacramenti, non s’istruiscono, fate tutto il contrario; affinché i vostri buoni esempi li salvino, e se otterrete questa felicità, avrete tutto guadagnato. E ciò che vi auguro.

LO SCUDO DELLA FEDE (176)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XII)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO SECONDO

I MISTERI

VI. — Il mistero della Redenzione.

D. Tu dici che l’incarnazione ha per ragione di essere la redenzione:  è dunque perché vi è un vincolo di necessità tra l’una e l’altra?

R. Non c’è nessun vincolo di necessità. Dio è libero dei suoi benefizi, e l’incarnazione, al pari di ogni altra soluzione, non s’impone alla sua provvidenza. Una sola cosa è certa, ed è che, dopo la caduta, l’iniziativa della riparazione non poteva venire da noi; ci voleva un intervento del cielo. Come si sarebbe prodotto questo intervento: per mezzo di un’offerta accettata senz’altra condizione che il pentimento, o per la grande avventura redentrice? ecco le due soluzioni estreme; ma ce n’era un’infinità d’altre.

D. Perché dunque questa?

E. Perché Dio fece tutto da Dio. Non abbiamo forse detto che la sua religione porta tutto agli estremi, a fine di conciliare tutto? Si trattava qui di conciliare l’estrema giustizia con l’estrema misericordia, con l’estrema sapienza, con l’estrema potenza, con l’estremo amore, affinché tutti gli attributi divini fossero all’opera, e fossero in gioco tutti i valori umani.

D. Come ciò si effettua?

R. La disgrazia del mondo dipendeva dalla rottura del vincolo tra l’anima e Dio, e, per conseguenza, tra l’anima e l’anima, tra l’anima e il corpo, tra la persona e la cosa, tra lo spirito e l’universo: il rimedio era di ristabilire questo vincolo e di riparare la rottura. Essendo il vincolo rotto anzitutto un vincolo morale, bisognava che il riscatto fosse un atto morale, che fosse un merito, un merito riparatore. Questo merito, normalmente. doveva essere un merito umano, perché donde è venuta la colpa deve venire la riparazione, e ancora doveva essere un merito divino, affinché ogni giustizia fosse soddisfatta fino alla sovrabbondanza, come richiediamo; infatti, non occorre forse che la riparazione salga al livello dell’offesa, e per conseguenza dell’offeso, dal quale l’offesa si misura? La riparazione per mezzo dell’Uomo Dio risponde a questa necessità di magnificenza, se così posso dire, ed ecco quello che provoca nei nostri grandi uomini delle estasi di ammirazione. Dall’intimo stesso della massa del peccato Dio fa germogliare la salute introducendovi il lievito che è il suo Verbo. Il Pensiero creatore riprende l’uomo in sottopera, l’incorpora, per il fatto che Egli l’assume, all’idea della sua prima costituzione, e così la salva, perché l’idea della prima costituzione implica il destino primitivo» Prendendo la forma della nostra miseria, Egli la rialza. Lui, infinito, viene a prenderci in quella lontananza infinita in cui siamo, la lontananza del peccato e, se posso dire così, del soprannaturale peccato. – La conversazione iniziale si riprende per il fatto che il Padre parla col Figliuolo divenuto uno di noi, per il fatto che egli riceve da questo Uguale umano una piena soddisfazione, e si celebra sulla croce il rito del pentimento, dell’adorazione filiale e dell’amore. La scrittura della croce è una cambiale su Dio, un testamento; noi siamo degli aventi diritto e Cristo prende il nostro posto, quello che permette a Bossuet di chiamarlo con un po’ di audacia: « il nostro santo, il nostro caritatevole, il nostro misericordioso colpevole ».

D. Se una riparazione «magnifica» era intraveduta, che cosa significa il simbolo dell’Angelo dalla spada fiammeggiante che proibiva l’ingresso del paradiso terrestre?

R. L’angelo era là meno per difendere l’antica porta che per spingere gli sbanditi verso la nuova. D’ora innanzi è Gesù la « Porta », e il paradiso perduto è ritrovato.

D. In che modo Gesù è la porta?

E. A titolo di Mediatore. Egli stabilisce un passaggio; riallaccia e intercede per la sola sua esistenza, a fortiori per la divina accettazione. È chiaro! Dio non può mancar di risparmiare e di considerare sua una stirpe alla quale appartiene, nel tempo, il Suo Figliuolo eterno, e per la quale questo FIgliuolo perora come per se stesso. Ma ciò prende un carattere effettivo per la comunicazione che ci fa il Figliuolo della vita soprannaturale che Egli possiede e che noi abbiamo perduto per la colpa. Con ciò Egli è il nostro Salvatore e ci rialza dalla caduta collettiva come da tutti i suoi effetti individuali. Con ciò è il nostro padre soprannaturale come Adamo il nostro padre secondo la natura. Con ciò è sacerdote, cioè donatore delle cose sante, ed è anche il solo sacerdote, in ciò che gli altri sacerdoti non sono i suoi successori, ma i suoi rappresentanti e i canali delle sue grazie. Per giunta, questo sacerdote è anche vittima, perché appunto per la sua propria immolazione volle egli compiere la mediazione efficace e salutare di cui parlo. Tal è la Redenzione. Essa ha naturalmente una portata infinita, vale per tutti gli uomini, per tutte le colpe che essa ripara dopo o prima, purché ciascuno ripari per suo conto nella misura delle sue forze. Vale altresì per tutte le ascensioni, compresa la vita eterna, della quale Gesù paga il prezzo.

D. Un prezzo pagato per un vantaggio non giustifica l’idea di redenzione.

R. Vi è redenzione o riscatto perché vi è cessazione di uno stato di servitù o sborso di un prezzo questo effetto.

D. Di quale servitù parli tu?

R. Della servitù del male, e specialmente del peccato; perché « chi commette il peccato è schiavo del peccato », dice S. Pietro, servitù che ne trascina un’altra riguardo a quell’agente invisibile del male, di quel fautore del peccato che si chiama satana.

D. Bisognerà dunque pagare satana?

R. No, come non si paga al lupo la pecora che gli viene strappata; si paga un proprietario. Qui si paga Dio.

D. Quest’apparenza di commercio non ti urta?

R. Non si tratta punto di commercio, ma di giustizia e di soddisfazione.

D. Un umile pentimento non è una sufficiente soddisfazione?

R. Il pentimento è certamente la cosa essenziale; ma non è affatto una soddisfazione. Un suddito che ha insultato il suo sovrano forseché soddisfa rendendogli semplicemente omaggio? L’ordine pubblico si può contentare di questa resipiscenza?

D. Qui non c’è ordine pubblico.

R. C’è l’ordine pubblico degli esseri, l’ordine universale, che è un ordine morale. Quest’ordine è offeso dal peccatore, e l’offesa grave ha un carattere in certo modo infinito, secondo che quest’ordine contiene Dio.

D. Tuttavia Iddio non può rimettere, come capo dell’ordine universale?

R. Dio può tutto, e se Egli facesse ciò che dici, noi loderemmo la sua misericordia; ma la stretta giustizia non sarebbe punto soddisfatta, né certamente la divina paternità, perché non sarà forse l’eterno onore dei figli di Dio l’avere, in grazia del loro Cristo e della loro propria cooperazione, soddisfatto tutti i loro debiti morali, riparato ampiamente tutto il male, glorificato tutto il bene, e l’essere così, spiritualmente come in tutti i modi, i figli delle loro opere? Del resto, quanti benefizi speciali ci sono procurati dalla soluzione ammessa! Li abbiamo intraveduti trattando dell’Incarnazione.

D. Tuttavia, in questa ipotesi, Iddio non fa la figura di gran signore toccato sul vivo?

R. Egli fa figura di Essere universale, sollecito a un tempo di tutti gli attributi del suo regno, di tutti quelli della sua paternità e dei molteplici bisogni delle sue creature. La Redenzione è un’opera d’armonia in cui la giustizia, la misericordia e la sapienza si abbracciano, come l’Incarnazione è un’opera d’armonia in cui il divino e il creato uniscono tutte le loro frontiere. – Gesù Cristo fa da parte sua ciò che non possiamo fare noi, e ci porta a ciò che noi possiamo fare, aiutandoci per giunta a compirlo. Ci fornisce l’insegnamento e l’esempio. L’egoismo orgoglioso e gaudente erano la sorgente di ogni male: Egli non solo li denunzia, ma ancora reagisce sposando i loro contrari. «Egli bevette la medicina amara che l’uomo non poteva bere, dice S. Caterina da Siena, come la madre che allatta prende un rimedio con l’intenzione che faccia bene al bambino ». Noi rigettiamo tutto sopra gli altri: Egli prende tutto sopra di sé. Noi non amiamo che noi stessi contro tutti gli altri: Egli non amerà che gli altri contro di sé. Noi odiamo i patimenti e gli abbassamenti più necessari: Egli vi ci incoraggia con l’amore umiliato e dolorante. La morte ci fa orrore, fosse pure giusta e buona, e indispensabile: Egli la chiama suo calice, che ha fretta di bere, perché Egli venne per quest’ora.

D. Perché questo dramma, quando dici che il minimo atto di Cristo, d’un valore infinito, poteva bastare a ogni cosa?

R. Dio non crede bene di salvarci con un colpo di bacchetta. Dio fa tutto all’eccesso, ancora una volta: eccesso di giustizia, eccesso di misericordia, eccesso di mistero, eccesso di chiarezza, eccesso di abbassamento, eccesso di grandezza, eccesso di tenerezza, eccesso di dolore e di gloria. Organizzata diversamente, l’opera non sarebbe sufficientemente divina; gli attributi sovrani non sarebbero abbastanza manifestati; la lezione sarebbe debole; l’avvenire morale non avrebbe sufficienti garanzie; il bene e il male non avrebbero mostrato tutto il loro peso, e l’amore, principalmente, non avrebbe sufficienti testimonianze.

D. Tu perori per l’amore e per la morte?

R. Vi è certamente un vincolo misterioso e intimo, tra l’amore, il patire e la morte. Dio vuole sottomettersi a questa legge della testimonianza irrecusabile, e consente che vi siano sottomessi con Lui tutti quelli che l’amore travaglia. La salute collettiva per mezzo del sacrifizio non è forse la più grande bellezza della storia? Ricorda Leonida, Regolo, il cavaliere d’Assas, Giovanna d’Arco. Il mistero della Redenzione ricollega la salute della collettività umana a un sacrifizio supremo che ne suscita una infinità d’altri, e ogni cuore generoso lo comprende.

D. Intanto parli della « follia » della croce.

R. Ma aggiungendo: « Quello che sarebbe follia di Dio è più sapiente della sapienza degli uomini » (Epistola I ai Corinzi, I, 25). Questo caso di un Dio che per amore si mette nelle mani della sua creatura per morire è l’originalità più profonda del Cristianesimo, quella che adatta questa religione all’anima umana in ciò che essa ha di più intimo e di più forte. Lì sta il segreto della sua impresa, e, di gran lunga, la sua più potente leva.

D. Avevi detto sopra che l’universo fisico aveva partecipato alla caduta, ebbene partecipa anche alla redenzione?

R. Sì; perché Cristo, rinforzando il vincolo che lega l’anima a Dio, rafforzò nello stesso tempo il vincolo che lega il corpo all’anima e l’ambiente naturale al corpo. L’anarchia esteriore del mondo è vinta di diritto, come l’anarchia interiore del nostro essere, come l’anarchia iniziale del peccato, e lo spirito riprende, ufficialmente, il governo delle cose.

D. Non sì capisce bene come dopo tali fatti, la situazione sia così poco cambiata. Se Cristo ha riparato tutto, come mai le conseguenze del peccato originale non sono abolite?

R. Esse sono abolite di diritto; noi non vi siamo più soggetti come a una legge opprimente, ma legati oramai come a mezzi. In quanto ad eliminarle tutt’a un tratto, come lo immagina una corta sapienza, è ciò che non sarebbe stato degno di Dio. L’azione di Dio è armonia e ignora le catastrofi. Dio è abbastanza potente da trarre partito da una situazione senza sconvolgerla e trarre anche da una rovina una fabbrica migliore. Il nostro mondo è quello che è: Dio lo conserva; dobbiamo dire: tutte le sue apparenze restano; ma il segno de’ suoi valori è cambiato. Moralmente questo mondo è tutt’altro: ieri una specie d’inferno, oggi, per chi consente a ben vivere, il vestibolo del cielo, o per dir meglio un cielo.

D. Tu vuoi che sì faccia di necessità virtù.

E. Sì, nel gran senso del termine, e di una fatalità un caso di libertà, di una condanna una scelta, d’un costringimento un amore. È un bel rovesciamento, e si compiangerebbe colui che volesse dare la preferenza a un volgare colpo di spugna. Dio ha dei gesti più alti e che ci onorano meglio. Relativamente al piano nuovo, improntato della croce, il piano originale non era che un piano volgare, come di fronte a Socrate con la coppa di cicuta in mano, un qualsiasi bevitore.

D. Ti congratuleresti del peccato originale?

E. Sarei con la liturgia, che dice: « Felice colpa! ». Non ci si rallegra del male, ma della sua riparazione gloriosa e del fatto che «là dove era abbondato il peccato sovrabbondi la grazia », come dice S. Paolo. Ma per noi e per altri, come per Cristo nella sua propria condizione temporale, i più alti valori sono legati al sacrifizio volontario, e per conseguenza a uno stato di prova, di dolore e di morte temperato da qualche gioia, anzi, meglio da un’intima pace.

D. Insomma, dolore dopo dolore.

R. Noi avevamo il dolore peccaminoso o il dolore gratuito; ora è il dolore generoso e il dolore che paga.

D. È questa la porta verso la quale ci spingeva l’Angelo?

R. Lo stato di peccatore trova la sua porta di uscita dal lato della sofferenza, perché la trova dal lato del sacrifizio volontario. Gesù ci mostrò questa porta passando Egli per primo.

D. Il passarvi era cosa grande; ma ciò avrebbe dovuto bastare.

R. Non si vede un capo lottare da solo; spesso anzi egli non si espone; egli assume le parti principali; ma lascia posto alle imprese gloriose della sua milizia.

D. Potendo tutto, si sarebbe dovuto riserbare tutto.

R. Anche l’onore delle grandi cose? Riconquistare un mondo e ristabilirlo nella gloria di Dio, è forse un’opera da serbare per sé?

D. L’opera è penosa e piena di rischi.

R. Ma è anche gloriosa. Patetica al più alto segno, l’avventura è al più alto segno desiderabile all’eroe, e l’eroe l’affronta.

D. Non tutto il mondo è un eroe.

R. Tutti possono essere degli eroi nel grado che bisogna, muniti dei soccorsi che sovrabbondano. « L’eroismo è il vero senso della vita » (WILLIAM JAMES): Cristo vi ci invita. Che riduzione di benefizio sarebbe stata da parte di Cristo la sua volontà di soffrire da solo, di nascondere nelle sue sole piaghe i gioielli del dolore redentore! La croce è un dono regale. Essere ammessi a partecipare con Cristo, a rassomigliargli in tutto, gioia e pene, a non salire le cime che Egli ha conquistato se non coi passi ne’ suoi passi e carichi dello stesso peso: che felice sorte, per chi sa comprendere! L’anima cristiana non desidera altro; interiormente libera, essa si attacca al sublime Amico mediante una squisita e utile servitù « come uno schiavo affrancato che segue per amore il suo padrone » (LACORDAIRE).

D. È quest’amore che poc’anzi chiamavi un cielo?

R. È quest’amore unito alla speranza d’un amore più sviluppato, più ricco di effetti, sciolto da timori e da rimpianti, ebbro di gioie senza fine a prezzo di rapide sofferenze. Il cielo si apre all’anima nostra prima che la terra si apra alla nostra spoglia, e questo stesso seppellimento della nostra spoglia non è per sempre.

D. È una bozza; ma, secondo te, molti uomini sfuggono a quest’azione redentrice, di modo che il primitivo stato dell’uomo non è interamente restaurato; vi è della perdita.

R. Noi crediamo che vi è del guadagno; perché per Cristo l’uomo è sollevato più in alto, se vuole, partendo da più basso. E nulla assicura che nel primitivo stato non ci sarebbe parimenti stata della perdita. La giustizia originale non era inammissibile; si era tenuti servirsene; si poteva sempre perdere. Certo solamente il primo uomo poteva privarne la stirpe; ma ciascuno de’ suoi discendenti poteva personalmente decaderne, e noi non sappiamo se Egli avesse potuto ricuperarla così sovente e così facilmente come noi stessi.

D. Noi non possiamo ricuperarla se non a condizione di riconoscere Cristo: che cosa diventano allora quei che non lo conoscono, o ancora, non colpevolmente, lo disconoscono?

R. Non tutti i rapporti con Cristo sono visibili; neppure sono coscienti. Gesù ha dei discepoli segreti, dei discepoli che si ignorano o anche si credono suoi avversari.

D. Che cosa è che caratterizza questi discepoli segreti?

R. Gesù disse: « Mio discepolo è colui che fa la volontà di mio Padre ». Colui che aderisce alla volontà del Padre, vale a dire a tutto il vero, a tutto il bene tal quale apparisce alla sua coscienza vigilante, senza che egli vi opponga alcun ostacolo essenziale, costui è con Cristo, e Cristo lo salva.

D. Bisogna ancora che Cristo sia venuto, e quanti uomini prima di Cristo!

R. «Cristo viene sempre » (THOMASSIN). « Cristo è sempre stato presso quelli che ebbero un cuore e che, verso l’origine o la fine del mondo, si sono sottomessi alla giustizia che viene da lui » (Idem). S. Paolo non dice forse lo stesso: « Cristo è ieri, oggi e in tutti i secoli »? Noi abbiamo già veduta questa dottrina del Cristo centro dei tempi e raggiante sopra tutti i loro spazi. La «linea d’universo » che lo congiunge a ciascun’anima può sempre essere tracciata e aprire una via di scambi.

D. La Redenzione è dunque cominciata prima della nascita di Cristo?

R. Cominciò da Adamo, e si può dire prima della colpa stessa. Il Creatore non pensava forse al suo Figliuolo, modellando la forma adamitica e soffiando in lui la vita?

D. È bello; ma

R. È pura teologia cattolica, e ne hai il simbolo in ciò che noi chiamiamo la Discesa di Gesù Cristo all’inferno, cioè l’apparizione, la manifestazione di Cristo alle anime de’ suoi figli del passato, de’ suoi riscattati per anticipazione, de’ suoi prossimi fratelli di gloria. Abbiamo qui veramente una consacrazione dogmatica di quest’affermazione che Cristo è di tutti i tempi e che il punto della storia in cui Egli apparisce irradia sopra tutte le età.

D. Ora comprendo perché tu chiami la Redenzione un mistero.

R. Noi chiamiamo la Redenzione un mistero, non solo perché  essa suppone l’Incarnazione e la Trinità; ma anche perché  contiene il segreto della volontà divina riflettente la salute degli uomini, riflettente la giustizia, la misericordia e la loro conciliazione; perché essa ci presenta un Dio sofferente, un Dio di sangue e di lacrime, un Dio che, non avendo fatta la morte, volle soffrirla per liberarne quelli che l’avevano fatta; perché il prezzo di questa Redenzione rischiara di una tragica luce il mistero del male, e, correlativamente, innalza il bene, potenza a cui si accorda il trionfo. Ma il mistero proposto è qui soprattutto l’abisso dell’amore divino. La croce che congiunge il cielo alla terra e tende le sue braccia verso tutti gli spazi, è il simbolo misterioso dell’unità universale, che, per una sofferenza infinitamente generosa e una stretta giustizia, stabilisce l’amor divino.

LO SCUDO DELLA FEDE (177)

IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE: LIBRO NONO

LIBRO NONO


SUI CAPITOLI XXI E XXII

La nuova terra ed il cielo nuovo, la Gerusalemme celeste, e il fiume d’acqua viva, etc.
SEZIONE I.

§


Del cielo nuovo e della terra nuova.


CAPITOLO XXI. VERSETTI 1-8.

Et vidi cœlum novum et terram novam. Primum enim cœlum, et prima terra abiit, et mare jam non est. Et ego Joannes vidi sanctam civitatem Jerusalem novam descendentem de cœlo a Deo, paratam sicut sponsam ornatam viro suo. Et audivi vocem magnam de throno dicentem: Ecce u Dei cum hominibus, et habitabit cum eis. Et ipsi populus ejus erunt, et ipse Deus cum eis erit eorum Deus: et absterget Deus omnem lacrimam ab oculis eorum: et mors ultra non erit, neque luctus, neque clamor, neque dolor erit ultra, quia prima abierunt. Et dixit qui sedebat in throno: Ecce nova facio omnia. Et dixit mihi: Scribe, quia haec verba fidelissima sunt, et vera. Et dixit mihi: Factum est: ego sum alpha et omega, initium et finis. Ego sitienti dabo de fonte aquae vitæ, gratis. Qui vicerit, possidebit hæc: et ero illi Deus, et ille erit mihi filius. Timidis autem, et incredulis, et execratis, et homicidis, et fornicatoribus, et veneficis, et idolatris, et omnibus mendacibus, pars illorum erit in stagno ardenti igne et sulphure: quod est mors secunda.

[E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. Poiché il primo cielo e la prima terra passarono, e il mare non è più. Ed io Giovanni vidi la città santa, la nuova Gerusalemme che scendeva dal cielo d’appresso Dio, messa in ordine, come una sposa abbigliata per il suo sposo.E udii una gran voce dal trono che diceva: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini, e abiterà con loro. Ed essi saranno suo popolo, e lo stesso Dio sarà con essi Dio loro :e Dio asciugherà dagli occhi loro ogni lagrima: e non vi sarà più morte, né lutto, né strida, né vi sarà più dolore, per- ché le prime cose sono passata. E colui che sedeva sul trono disse: Ecco che io rinnovello tutte le cose. E disse a me: Scrivi, poiché queste parole sono degnissime di fede e veraci. E disse a me: fatto. Io sono l’alfa e l’omega: il principio e il fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fontana dell’acqua della vita. Chi sarà vincitore, sarà padrone di queste cose, e io gli sarò Dio, ed egli mi sarà figliuolo. Pei paurosi poi, e per gl’increduli, e gli esecrandi; e gli omicidi, e i fornicatori, e i venefici, e gli idolatri, e per tutti i mentitori, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e dì zolfo: che è la seconda morte.]

I. Vers. 1.E vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi e il mare non c’era più. In questo capitolo e nel prossimo, che sono gli ultimi due dell’Apocalisse, San Giovanni descrive la Chiesa Trionfante, cioè lo stato dei beati nella prossima vita. Infatti, come osserva Sant’Agostino (Civ., XXII, 27), sarebbe troppo stravagante intendere le cose che sono dette qui come dette del tempo presente; poiché le parole del verso di questo capitolo: “Dio asciugherà tutte le lacrime, ecc.“, sono così chiaramente adatte alla vita futura, all’immortalità e all’eternità dei Santi, che non saremmo in grado di trovare nulla di più ovvio nelle Scritture divine se dovessimo considerare questo passaggio come oscuro. Così, dopo la descrizione della caduta dell’anticristo e lo sterminio di tutti i nemici della Chiesa, e dopo aver parlato della risurrezione generale e del Giudizio universale, San Giovanni passa alla descrizione della gloria dei beati e del loro trionfo eterno. E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. Questo nuovo cielo e questa nuova terra di cui parla San Giovanni saranno dunque la dimora dei beati nella gloria eterna di Dio; perché il primo cielo e la prima terra, che ora abitiamo, erano passati e il mare non c’era più. Questo cielo e questa terra rappresentano i beni del mondo, e il mare rappresenta i suoi mali; ora questi beni e mali terreni, che saranno stati il fuoco con cui Dio prova l’oro, spariranno per sempre e saranno consumati a loro volta dal fuoco del cielo, secondo (II. Pietro, III, 12): « La violenza del fuoco dissolverà i cieli e fonderà tutti gli elementi. » Non dobbiamo omettere qui questo passo di Isaia, LXV, 14: « I miei servi si rallegreranno, e voi (peccatori) sarete coperti di confusione; i miei servi esploderanno con canti di lode nell’estasi dei loro cuori, e voi scoppierete con grandi grida nell’amarezza delle vostre anime, e con tristi ululati nello strazio dei vostri spiriti; e voi renderete il vostro nome ai miei eletti come un nome di imprecazione: Il Signore Dio vi distruggerà e darà ai suoi servi un altro nome. Chi è benedetto in questo nome sulla terra sarà benedetto dal Dio della verità; e chi giura sulla terra giurerà nel Nome del Dio della verità, perché le precedenti tribolazioni saranno dimenticate e scompariranno da davanti ai miei occhi. Perché Io creerò nuovi cieli e una nuova terra, e il passato non sarà ricordato né risorgerà nel mio cuore. Ma voi vi rallegrerete e sarete pieni di gioia per sempre nelle cose che Io creerò, perché farò di Gerusalemme una città di gioia e del suo popolo un popolo di gioia. Mi rallegrerò di Gerusalemme, mi rallegrerò del mio popolo, e non ci sarà più né lutto né pianto. Non si vedrà un bambino che non viva che pochi giorni, né un vecchio che non completi i giorni della sua vita, etc. ».

II. Vers. 2Ed io, Giovanni, vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, che scendeva da Dio dal cielo, adorna come una sposa per il suo sposo. San Giovanni si riferisce a se stesso come testimone di ciò che accadrà, volendo dare più forza alle sue parole e renderci più attenti ad esse. E io, Giovanni, vidi la città santa che scendeva dal cielo. Questa città santa è la Chiesa trionfante, o l’assemblea dei beati che regneranno con Dio. Questa Chiesa è la nuova Gerusalemme che è venuta da Dio, e di cui la Gerusalemme terrena era la figura. Perché, come è stato detto, i Profeti usano spesso la stessa figura per significare diverse cose; e così la Gerusalemme terrena, che rappresenta come città e in senso materiale, la grande Babilonia, rappresenta anche in senso mistico la Gerusalemme celeste. San Giovanni la vide scendere dal cielo e dice che veniva da Dio, perché, secondo Sant’Agostino, (Civit. XX, 17), la grazia con cui Dio l’ha formata è celeste, e che, in principio, essa è scesa dal cielo, da dove fu mandato lo Spirito Santo. Essa veniva da Dio, adornata come una sposa per il suo sposo. Cioè, splendente di gloria e di bellezza, con la gloria dei suoi trionfi e la bellezza delle sue virtù e dei suoi meriti. Infatti, la sposa, per essere gradita al suo sposo, deve essere come Lui, poiché devono essere una sola carne. (Gen. II, 23). Adamo, che è tipo dello sposo Gesù Cristo, dice, parlando di Eva, il tipo pure della Chiesa: « Ecco, costei è ora osso delle mie ossa e carne della mia carne. »   Poi la Genesi continua: « Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie (come Gesù Cristo lasciò suo Padre e la sua gloria celeste, per rivestirsi della nostra umanità e unirsi alla nostra carne); e saranno due in una sola carne. » Ora, i Santi, nutrendosi della carne di Gesù Cristo nella santissima Eucaristia, e Gesù Cristo, rivestendosi della nostra carne, sono uniti nella stessa carne; e così lo Sposo celeste e la sua Sposa sono due in una sola carne. E quanto bella, quanto pura, quanto santa e quanto gloriosa deve essere la Chiesa per potersi unire allo Sposo divino? Ecco perché San Giovanni ci dice che la Chiesa sarà adornata come una sposa per il suo sposo.

III. Vers. 3. E udii una grande voce dal trono, che diceva: Questo è il tabernacolo di Dio con gli uomini, ed Egli abiterà con loro. Ed essi saranno il suo popolo, e Dio sarà il loro Dio in mezzo a loro. San Giovanni ha sentito nella sua immaginazione una grande voce dal trono; questa voce sarà quella di Dio Padre, che dirà, annunciando Gesù Cristo alla sua amata sposa: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini, cioè, ecco Gesù Cristo mio Figlio, che è il tabernacolo, o alleanza della Divinità con gli uomini. Abbiamo visto come spesso San Giovanni si riferisca all’antico tabernacolo e al tempio. Attraverso questo tabernacolo e questo tempio, Dio aveva dato dei segni dell’alleanza che voleva fare con il popolo giudaico. Ma i Giudei furono infedeli, e le nazioni della terra che divennero cristiane ebbero il grande privilegio di vedere la promessa fatta ai Giudei, compiuta in loro, sotto la figura del tabernacolo e del tempio. Questa promessa si compì nella santissima Eucaristia, dove noi possediamo realmente Gesù Cristo sotto le specie del pane e del vino, in attesa di possederlo in cielo, dove diventerà il vero oggetto della nostra beatitudine, come ora è il vero oggetto della nostra fede. E abiterà con loro, con i suoi eletti, per tutta l’eternità, perché Egli è il sacerdote eterno, secondo l’ordine di Melchisedec; ed essi saranno il suo popolo, e Dio in mezzo a loro sarà il loro Dio. Cioè, gli eletti saranno il popolo di Dio, ed Egli sarà loro Dio, il loro Padre, il loro Re, il loro Sposo; li riempirà di ogni bene; i loro desideri eterni saranno sempre soddisfatti e la loro sete sarà sempre placata. Il loro amore salirà eternamente come una fiamma ardente verso l’oggetto immutabile del loro amore, e questo fuoco non sarà mai consumato. I giusti saranno sempre soddisfatti, secondo tutte le capacità delle loro anime, come vasi di diverse dimensioni che potrebbero sempre essere riempiti con le acque dell’Oceano, e infinitamente ancor più. Più godono, più vorranno godere, e non proveranno mai disgusto, perché ogni dolore cesserà. Questo è ciò che ci assicura San Giovanni nelle seguenti parole:

Vers. 4E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi; e non ci sarà più la morte, né il lutto, né il pianto, né il dolore, perché il primo stato è finito. Così dunque, il ricordo dei mali passati, il ricordo dei dolori, delle afflizioni, dei dispiaceri, delle disgrazie, delle malattie, dei disgusti, degli affanni, dei dolori, delle perdite, delle privazioni, della sete, della fame, dei rigori invernali, dei calori dell’estate, il ricordo delle tribolazioni, delle tentazioni, dei sacrifici più costosi alla natura; il ricordo delle ingiustizie, delle persecuzioni, degli insulti, del disprezzo, dell’abbandono, dell’isolamento; il ricordo dei travagli, della fatica, delle lotte, delle veglie, dei digiuni, delle mortificazioni; il ricordo delle umiliazioni, della perdita dei beni, della privazione dei piaceri; il ricordo stesso del peccato non affliggerà più i giusti, perché Dio asciugherà tutte le lacrime dai loro occhi. Tutti i mali della vita saranno cambiati per essi in beni immensi nella loro estensione ed eterni nella loro durata; perché non ci sarà più la morte, né il lutto, né il pianto, né il dolore, perché il primo stato è finito.

IV. Vers. 5: Allora colui che sedeva sul trono disse: Ecco, che Io faccio nuove tutte le cose”. Ed egli mi disse: “Scrivi, perché queste parole sono certissime e veraci. Ricordiamo che è Gesù Cristo stesso l’Autore di questa rivelazione, secondo queste parole del capitolo I, 1: La rivelazione di Gesù Cristo, etc. Non c’è quindi alcun dubbio che sia Gesù Cristo che San Giovanni ci rappresenta seduto sul trono; perché gli dice: scrivi, etc. Così, dopo aver regnato per il tempo, questo Sposo celeste continuerà a regnare per l’eternità. Egli regna già sulla terra con la sua legge e la sua dottrina; ma San Giovanni ci rappresenta il suo regno nel momento in cui farà nuove tutte le cose. Allora colui che sedeva sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose. Ed Egli mi disse: Scrivi, perché queste parole sono degnissime di fede e veraci. Questo è un modo per attirare la nostra attenzione su ciò che ci verrà rivelato e per garantirci la certezza di esso.

V. Vers. 6Ed ancora mi dice: Tutto è compiuto. Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. Darò da bere gratuitamente dalla fonte di acqua viva a chi ha sete. Gesù Cristo disse a San Giovanni: Tutto si è compiuto, il tempo della profezia è passato e l’eternità è iniziata. Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. Queste parole sono notevolissime, se si ricorda che nel capitolo I, 8, Gesù Cristo ha usato le stesse parole prima di annunciare tutto ciò che sarebbe accaduto nel corso delle epoche della Chiesa. E siccome tutto si sarà adempiuto come aveva predetto, ora ci avverte che tutto è compiuto. Io darò gratuitamente della fonte di acqua viva a colui che ha sete. Queste parole ci ricordano la giustizia di cui si parla nelle otto beatitudini, e di cui i Santi saranno stati assetati; e la giustizia dei Santi sarà la veste nuziale che li renderà degni di partecipare alla cena delle nozze dello Sposo. (Apoc. XIX, 8): E gli diede del puro lino bianco da indossare, e questo lino è la giustizia dei santi. Dobbiamo desiderare questa giustizia per ottenerla, e se la desideriamo veramente e sinceramente, saremo tra coloro di cui sta scritto, (Matth. V, 6): « Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. » In effetti (Romani VIII, 27): « Chi scruta il cuore sa quali sono i desideri dello spirito, perché cerca per i Santi ciò che è secondo Dio. Ora sappiamo che tutto contribuisce al bene di coloro che amano Dio, di coloro che Egli ha chiamato, secondo il suo decreto, ad essere santi. Perché coloro che ha conosciuto nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del suo Figlio, affinché Egli stesso sia primogenito tra molti fratelli. E quelli che ha predestinato li ha chiamati, e quelli che ha chiamato li ha giustificati e quelli che ha giustificato li ha glorificati. » Ora, questa glorificazione sarà la fonte di acqua viva di cui parla il nostro testo: Darò da bere gratuitamente dalla fonte di acqua viva a colui che ha sete.  E si dice: Io darò gratuitamente, perché la giustizia che dovrebbe renderci eredi del regno eterno ci è concessa gratuitamente per la misericordia di Dio, secondo San Paolo, (Tito III, 5): « Ci ha salvati non per le opere di giustizia che abbiamo fatto, ma per la sua misericordia, in quanto ci ha fatto rinascere per mezzo del Battesimo e ci ha rinnovati per mezzo dello Spirito Santo, che ha riversato abbondantemente su Gesù Cristo nostro Salvatore, affinché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo eredi della vita eterna, secondo la speranza. »

VI. Vers. 7. Colui che vincerà, possederà queste cose, e Io sarò il suo Dio, ed egli sarà mio figlio.

Vers. 8Ma i timidi, gli increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli avvelenatori, gli idolatri e tutti i bugiardi avranno la loro parte nel lago ardente di fuoco e di zolfo, che è la seconda morte. Questi due versetti possono ancora essere messi in relazione, per il significato che contengono, con la continuazione del passo di San Paolo che abbiamo appena citato, in cui l’Apostolo ci fa intravedere come avvenga la giustificazione degli eletti che hanno fame e sete di giustizia. E questi due passi di San Paolo e dell’Apocalisse coincidono mirabilmente insieme e si spiegano a vicenda. Infatti Gesù Cristo nella sua Rivelazione ci dice: Chi vincerà avrà queste cose, e Io sarò il suo Dio, ed egli sarà mio figlio. Ma i timidi, gli increduli, ecc. avranno la loro parte nel lago ardente di fuoco e zolfo, che è la seconda morte. Ora, San Paolo ci spiega come gli eletti e i predestinati potranno vincere, e  continua la sua spiegazione del mistero della giustificazione degli uomini mostrandoci come il Cristiano, attraverso il desiderio di giustizia, arrivi al possesso dell’ottava beatitudine, che è come la perfezione e il complemento delle altre, e ci garantisce il possesso del regno eterno, secondo San Matteo (V, 10): « Beati coloro che soffrono persecuzioni a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. » Ora, soffrire la persecuzione per amore della giustizia è vincere, e chi vincerà possiederà queste cose. San Paolo, volendo farci capire come chi ha fame e sete di giustizia possa e debba vincere, aggiunge nella sua epistola ai Romani, (VIII, 31): « Dopo questo, cosa diremo? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Se non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato alla morte per tutti noi, cosa non ci darà, dopo averlo dato a noi? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio stesso li giustifica. Chi li condannerà, quando Gesù Cristo non solo è morto, ma è risorto ed è alla destra di Dio, intercedendo per noi? Chi, dunque, ci separerà dall’amore di Gesù Cristo? Sarà l’afflizione, l’angoscia, la fame, la nudità, il pericolo, la persecuzione o la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo quotidianamente consegnati alla morte, o Signore, e siamo considerati come pecore da macellare; ma in mezzo a tutti questi guai noi vinciamo per la virtù di Colui che ci ha amati. Perché io sono sicuro che né la morte, né la vita, né gli Angeli, né i Principati, né le Potenze, né le cose presenti, né le cose future, né la violenza, né alcunché di superiore o inferiore, né alcuna altra creatura, potranno mai separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù nostro Signore. » È dunque con l’aiuto di Dio e con i meriti e l’amore di Gesù Cristo che possiamo vincere l’amore dei piaceri e la paura dei mali di cui ci parla San Paolo. Ma i timidi, i codardi e i pusillanimi, gli increduli, che non hanno la fede di Gesù Cristo, senza la quale è impossibile piacere a Dio, gli abominevoli, che non mettono la loro speranza in Dio, gli omicidi, che non hanno carità, i fornicatori, che si crogiolano nei piaceri della carne, i venefici, che cercano i beni altrui ingiustamente, gli idolatri, che si prostituiscono bruciando incenso alle creature e cercando il fumo degli onori, e tutti i bugiardi, che sono figli del diavolo, avranno la loro parte nel lago ardente con fuoco e zolfo, che è la seconda morte, la morte eterna. – Dopo aver annunciato un nuovo cielo e una nuova terra, San Giovanni ce ne dà una descrizione sotto la figura della Gerusalemme celeste.

§ II.

Della Gerusalemme celeste.

CAPITOLO XXI. – VERSETTI 9-27.

Et venit unus de septem angelis habentibus phialas plenas septem plagis novissimis, et locutus est mecum, dicens: Veni, et ostendam tibi sponsam, uxorem Agni. Et sustulit me in spiritu in montem magnum et altum, et ostendit mihi civitatem sanctam Jerusalem descendentem de cœlo a Deo, habentem claritatem Dei: et lumen ejus simile lapidi pretioso tamquam lapidi jaspidis, sicut crystallum. Et habebat murum magnum, et altum, habentem portas duodecim: et in portis angelos duodecim, et nomina inscripta, quæ sunt nomina duodecim tribuum filiorum Israel: ab oriente portæ tres, et ab aquilone portae tres, et ab austro portae tres, et ab occasu portae tres. Et murus civitatis habens fundamenta duodecim, et in ipsis duodecim nomina duodecim apostolorum Agni. Et qui loquebatur mecum, habebat mensuram arundineam auream, ut metiretur civitatem, et portas ejus, et murum. Et civitas in quadro posita est, et longitudo ejus tanta est quanta et latitudo: et mensus est civitatem de arundine aurea per stadia duodecim millia: et longitudo, et altitudo, et latitudo ejus æqualia sunt. Et mensus est murum ejus centem quadraginta quatuor cubitorum, mensura hominis, quæ est angeli. Et erat structura muri ejus ex lapide jaspide: ipsa vero civitas aurum mundum simile vitro mundo. Et fundamenta muri civitatis omni lapide pretioso ornata. Fundamentum primum, jaspis: secundum, sapphirus: tertium, calcedonius: quartum, smaragdus: quintum, sardonyx : sextum, sardius: septimum, chrysolithus: octavum, beryllus: nonum, topazius: decimum, chrysoprasus: undecimum, hyacinthus: duodecimum, amethystus. Et duodecim portæ, duodecim margaritæ sunt, per singulas: et singulae portœ erant ex singulis margaritis: et platea civitatis aurum mundum, tamquam vitrum perlucidum. Et templum non vidi in ea: Dominus enim Deus omnipotens templum illius est, et Agnus. Et civitas non eget sole neque luna ut luceant in ea, nam claritas Dei illuminavit eam, et lucerna ejus est Agnus. Et ambulabunt gentes in lumine ejus: et reges terrae afferent gloriam suam et honorem in illam. Et portæ ejus non claudentur per diem: nox enim non erit illic.  Et afferent gloriam et honorem gentium in illam. Non intrabit in eam aliquod coinquinatum, aut abominationem faciens et mendacium, nisi qui scripti sunt in libro vitæ Agni.

[E venne uno dei sette Angeli che avevano sette coppe piene delle sette ultime piaghe, e parlò con me, e mi disse: Vieni, e ti farò vedere la sposa, consorte dell’Agnello. E mi portò in ispirito sopra un monte grande e sublime, e mi fece vedere la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo dappresso Dio, la quale aveva la chiarezza di Dìo : e la luce di lei era simile a una pietra preziosa, come a una pietra di diaspro, come il cristallo.  Ed aveva un muro grande ed alto che aveva dodici porte: e alle porte dodici An- geli, e scritti sopra i nomi, che sono i nomi delle dodici tribù di Israele. A oriente tre porte : a settentrione tre porte : a mezzogiorno tre porte: e a occidente tre porte. “E il muro della città aveva dodici fondamenti, ed in essi i dodici nomi dei dodici Apostoli dell’Agnello. E colui che parlava con me aveva una canna d’oro da misurare, per prendere le misure della città e delle porte e del muro. E la città è quadrangolare, e la sua lunghezza è uguale alla larghezza: e misurò la città colla canna d’oro in dodici mila stadi : e la lunghezza e l’altezza e la larghezza di essa sono uguali. E misurò il muro di essa in cento quarantaquattro cubiti, a misura d’uomo, qual è quella dell’Angelo. E il suo muro era costrutto di pietra di diaspro: la città stessa poi (era) oro puro simile a vetro puro. E i fondamenti delle mura della città (erano) ornati di ogni sorta di pietre preziose. Il primo fondamento, il diaspro: il secondo, lo zaffiro: il terzo, il calcedonio: il quarto, lo smeraldo: il quinto, il sardonico: il sesto, il sardio: il settimo, il crisolito: l’ottavo, il berillo: il nono, il topazio: il decimo, il crisopraso: l’undecimo, il giacinto: il duodecimo, l’ametisto. E le dodici porte erano dodici perle: e ciascuna porta era d’una perla: e la piazza della città oro puro, come vetro trasparente. E non vidi in essa alcun tempio. Poiché il Signore Dio onnipotente e l’Agnello è il suo tempio. E la città non ha bisogno di sole, né dì luna che risplendano in essa: poiché lo splendore di Dio la illumina, e sua lampada è l’Agnello. E le genti cammineranno alla luce di essa: e i re della terra porteranno a lei la loro gloria e l’onore. E le sue porte non si chiuderanno di giorno: perché ivi non sarà notte. E a lei sarà portata la gloria e l’onore delle genti. Non entrerà in essa nulla d’immondo, o chi commette abbominazione o menzogna, ma bensì coloro che sono descritti nel libro della vita dell’Agnello.]

I. Vers. 9. – E uno dei sette Angeli che avevano le sette coppe piene delle ultime piaghe venne e mi parlò, dicendo: Vieni, e io ti mostrerò quella che è la sposa dell’Agnello. Questo Angelo rappresenta tutti gli altri Angeli che tenevano le sette coppe piene delle ultime piaghe. Come è consolante questo Angelo, che prima era così terribile! O Dio onnipotente, quanto siete severo nei vostri giudizi, ma quanto siete magnifico nelle vostre ricompense! Questo Angelo è il vostro braccio destro che colpisce i peccatori e premia i giusti. Per quanto la vostra voce fosse tuonante prima, tanto il vostro linguaggio è dolce e consolante ora che gli ultimi peccatori sono stati convertiti, e tutti i giusti, da Abele all’ultimo dei Martiri, sono riuniti per ricevere le carezze dello Sposo. Quest’Angelo venne dunque da San Giovanni e, dopo aver deposto il calice del vino dell’ira di Dio, gli parlò e gli disse: Vieni e ti mostrerò colei che è la sposa dell’Agnello.

II. Vers. 10E mi trasportò in spirito su un monte grande e alto, e mi mostrò Gerusalemme, la città santa, che scendeva dal cielo da Dio. – Questa montagna è una figura della grandezza e dell’elevazione di un’anima, alla quale Dio comunica le sue grazie per elevarla nelle regioni celesti. Questa montagna è sola, perché è solo la potenza di Dio che è capace di innalzarci così in alto. E San Giovanni ci dice espressamente che fu portato lassù in spirito, per farci capire che è con lo spirito, e non con la carne, che possiamo ascendere fino al cielo. Anche il nostro corpo è destinato a salire un giorno in queste alte regioni; ma sarà solo dopo che ci saremo spiritualizzati, per così dire, tagliando con la scure della mortificazione tutti i rami e le radici che ci tengono quaggiù e ci legano alla terra. Dopo essere arrivati in spirito su una grande e alta montagna, sulla montagna o sulla potenza di Gesù Cristo e della sua Chiesa, e dopo essere saliti per virtù di Dio al di sopra di tutte le altre montagne, al di sopra delle potenze terrene che erano appena scomparse nelle ultime piaghe, San Giovanni vide non più Gerusalemme, la grande Babilonia, ma la Gerusalemme celeste, la città santa, che scese da Dio dal cielo. Proprio come la grande Babilonia era sorta dalla terra, così la Gerusalemme celeste veniva da Dio. Lucifero era il re di quella, ed è Gesù Cristo, il Re dei re, che regna in questa. Se la potenza di Babilonia proveniva dall’inferno, la bellezza, la grandezza e la magnificenza della Gerusalemme celeste venivano dal cielo.

III. Vers. 11. – Questa città santa era illuminata dallo splendore di Dio, e la sua luce era come una pietra preziosa, come una pietra di diaspro trasparente come un cristallo. O ineffabile luce di Dio, dolce come la sua grazia, pura come la sua santità e giustizia, brillante come la sua gloria, e benefica come la sua misericordia e bontà! E la sua luce era come una pietra preziosa, come una pietra di diaspro, trasparente come il cristallo. Il diaspro è una pietra preziosa molto dura, il cui colore verdastro varia estremamente. Ora, questa solidità del diaspro rappresenta l’eternità della luce divina, e questa estrema varietà di colori rappresenta gli infiniti attributi di Dio. Inoltre, questa pietra era trasparente come il cristallo, per rappresentare la purezza di quella luce eterna in cui i Santi potranno vedere Dio come è. Essi ne godranno secondo l’ampiezza delle facoltà di cui ognuno di loro è dotato. E questa luce brillerà eternamente nei loro occhi, che non si stancheranno mai di contemplarla. Più la vedranno, più vorranno goderne; e tutti i loro desideri saranno soddisfatti in essa, perché la luce eterna li illuminerà e li aiuterà a contemplare le bellezze della luce eterna. Saranno come assorbiti per sempre nelle profondità infinite della felicità e della gloria di Dio stesso.

Vers. 12. – Questa città santa aveva una muraglia di grande altezza, dodici porte, dodici Angeli alle porte e nomi scritti, che erano i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. Questa muraglia della città santa è la fede di Gesù Cristo, le cui fondamenta sono i dodici Apostoli, secondo lo stesso testo (vers. 14): « Il muro della città aveva dodici fondamenta, e su di esse i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. » E come la fede di Gesù Cristo, unita alla pratica delle buone opere, fa salire gli eletti al cielo, poiché secondo San Paolo, è la fede che ci giustifica, (Rom . V, 1): « Giustificati dunque per fede, etc. », San Giovanni ha ragione nel dirci che questa muraglia fosse di grande altezza. Questa muraglia deve essere costruita con pietre preziose, poiché esse rappresentano la fede, che produce le buone opere e le virtù dei Santi; e queste virtù e buone opere, così poco conosciute nel mondo attuale e nascoste nelle profondità della terra e nel seno delle montagne, che sono le potenze del mondo, devono essere scoperte e scelte all’aperto, ciascuna secondo le sue qualità ed il suo valore intrinseco, per servire nella costruzione di questa muraglia. Perché se la fede produce buone opere, le buone opere mantengono ed elevano la fede. Questa muraglia sarà innalzata ad una grande altezza e formerà il recinto della città celeste. Il cemento di questo muro sarà solido e durevole quanto la ragione che lega la fede alle buone opere e le buone opere alla fede. Infatti, come abbiamo appena detto, è la fede che produce e vivifica le buone opere, e sono le buone opere che mantengono e rafforzano la fede, secondo le parole dell’Apostolo: « Il giusto vive per la fede. » Le dodici porte attraverso le quali si può entrare in questa città rappresentano i dodici Apostoli secondo San Girolamo e Sant’Agostino. Perché gli Apostoli, nel diffondere la fede di Gesù Cristo sulla terra, furono veramente le porte attraverso le quali le dodici tribù dei figli d’Israele entrarono nella città santa. E queste dodici tribù i cui nomi sono scritti su queste porte, rappresentano tutti gli eletti. E dodici Angeli alle porte. Questi Angeli sono i dodici capi delle tribù d’Israele.

IV. Vers. 13. – E questa città aveva tre porte ad Oriente, tre a Settentrione, tre a Mezzogiorno, e tre ad Occidente. 1º Queste porte distribuite così verso le quattro parti principali del mondo sono una figura sensibile dell’estensione del regno di Gesù Cristo su tutta la faccia della terra e della facilità con cui Egli offre a tutti gli uomini di entrare nel suo regno. 2° Si allude qui alla disposizione delle dimore delle dodici tribù di cui si è parlato nel libro dei Numeri, II. Vedere anche Ezechiele, XLVIII. Bisogna notare l’ordine in cui sono indicate queste parti del mondo; perché questo ordine sembra coincidere con la diffusione della fede e la conversione delle nazioni nelle varie epoche della Chiesa. Queste porte, divise in quattro categorie, alludono di nuovo al Vangelo di San Matteo XX, in cui il giorno di dodici ore è anche diviso in quattro parti di tre ore ciascuna, come anche la città è divisa in quattro parti, ciascuna delle quali ha tre porte; e tutte queste parole sono figure relative al tempo e all’eternità. Vediamo in questo Vangelo di San Matteo che i primi chiamati saranno gli ultimi, saranno i meno rappresentati nel regno di Dio; perché ci sono molti chiamati e pochi eletti tra coloro che dovevano entrare attraverso le prime tre porte in Oriente. Infatti, i Giudei sono stati i primi ad essere chiamati ad entrare nella Chiesa di Gesù Cristo, ma saranno gli ultimi a farlo; e siccome durante tutto il corso delle età della Chiesa, i Giudei saranno stati dispersi in tutte le regioni del mondo, potendo sempre entrare nella città santa attraverso tutte le porte, e poiché tuttavia non vi saranno entrati fino alla fine dei secoli, Gesù Cristo ha ragione di dirci che i primi saranno gli ultimi, e che questi ultimi saranno numericamente pochi rispetto alla massa di coloro che saranno periti nel corso delle epoche. «Perché molti sono chiamati, ma pochi sono gli eletti ».

V. Vers. 14. – Il muro della città aveva dodici fondamenta, e su di esse i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. Infatti, sono stati gli Apostoli a porre le fondamenta della Chiesa in modo così solido che essa esisterà per tutta l’eternità. E poiché la pietra principale, la pietra d’angolo di questo edificio era l’Agnello sacrificato per i peccati del mondo, San Giovanni ha ragione di aggiungere: E su di esse sono i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. Bisogna notare che San Giovanni parla espressamente dei nomi degli Apostoli, per farci capire meglio che si tratta dei dodici Apostoli dell’Agnello che hanno stabilito e propagato la fede di Gesù Cristo.

VI. Vers. 15. – E colui che mi parlava aveva una verga d’oro per misurare la città, le porte e le mura.

Vers. 16. E la città fu costruita in forma di quadrato, tanto lunga quanto larga. E misurò la città con la sua verga d’oro fino a dodicimila stadi, e la sua lunghezza e altezza erano uguali. L’Angelo delle piaghe che parlava a San Giovanni aveva in mano una canna, cioè una misura d’oro, per misurare la città, le porte e le mura. Si dice che questa misura fosse d’oro; e sappiamo che l’oro rappresenta la carità, che significa, in questa circostanza, l’amore e la misericordia di Dio nella distribuzione delle sue ricchezze eterne. Ora, come Dio è rigoroso nella sua giustizia e severo nei suoi giudizi, così magnifico e generoso è nel suo amore e nelle sue ricompense. Ecco perché la città santa che Egli destina ai suoi eletti sarà di estensione prodigiosa, e poiché questa città sarà la dimora della gloria e della felicità eterna, si deve supporre che la sua popolazione sarà proporzionata ed anche maggiore di quella della città più fiorente. Da questo possiamo concludere che il numero dei beati in cielo sarà molto grande. Infatti, Dio disse ad Abramo, il padre degli eletti, Gen. XXII, 17: « Io ti benedirò e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia sulla riva del mare; la tua discendenza possederà le porte dei loro nemici e tutte le nazioni della terra saranno benedette in Colui che uscirà da te (in Gesù Cristo), perché tu hai obbedito alla mia parola. (Ibidem, XVII, 6): « Ti farò crescere con molta abbondanza e ti renderò il capo delle nazioni; e da te usciranno dei re. E stabilirò la mia alleanza con te e, dopo di te, con la tua progenie per tutte le loro generazioni, con un’alleanza eterna; affinché Io sia il tuo Dio e il Dio della tua progenie dopo di te. »  Faremmo un’ingiustizia al Dio di ogni bontà se credessimo che la sua misericordia cedesse alla sua giustizia; e poiché la misericordia è un attributo di Dio, che lo porta a perdonare all’infinito, dobbiamo sperare, se facciamo penitenza, e se combattiamo legittimamente le battaglie del Signore, dobbiamo sperare, diciamo, per l’infinita misericordia di Dio e per la fede e i meriti di Gesù Cristo, di essere ammessi un giorno nella città celeste, che sarà di estensione prodigiosa. Perché quando Gesù Cristo, nella sua rivelazione, ci dà la misura di esso, vediamo che avrà 160.000 leghe quadrate, e che la sua altezza sarà uguale ai lati. Ora è ripugnante supporre che una città così grande non sarà popolata in proporzione alla sua estensione. Tuttavia, poiché non sappiamo se siamo degni di amore o di odio, secondo l’Ecclesiaste, (IX), e che tutte le cose sono incerte e saranno conservate per il futuro, continuiamo a servire il Signore con timore e tremore, sperando nella sua infinita misericordia. Seguiamo l’esempio e l’ammonizione di San Paolo: perché questo Apostolo sapeva bene cosa debba costare il regno di Dio nelle pene, lui che fu assunto in spirito al terzo cielo. Ecco perché « egli sacrificò tutto, finanche la sua vita per ottenere questo regno. » – « Io faccio tutte queste cose per amore del Vangelo, per averne parte », ci dice nella sua lettera ai Corinzi, (I Cor. IX, 24); e poi aggiunge: « Non sapete che quando uno corre nella corsa, tutti corrono, ma solo uno vince il premio? Corri, dunque, affinché tu possa vincere. Ora tutti gli atleti vivono nell’esatta temperanza, eppure è solo per vincere una corona corruttibile, invece di quella incorruttibile che noi aspettiamo. Ma io corro, e non corro a caso; combatto, non come se colpissi l’aria, ma castigo severamente il mio corpo e lo porto in schiavitù, per evitare che, avendo predicato ad altri, io stesso sia riprovato. Per questo io non voglio che ignoriate, fratelli miei, che i nostri padri erano tutti sotto la nube, che mangiavano tutti la stessa carne misteriosa, e tuttavia, c’erano pochi tra un gran numero che erano graditi a Dio, ed infatti, perirono nel deserto. Ora tutte queste cose (dette ai Giudei) erano figure di ciò che ci riguarda, affinché non ci abbandoniamo a desideri malvagi, come si abbandonarono loro. Non diventate idolatri come alcuni di loro, dei quali sta scritto: Il popolo si sedette per mangiare e bere e si alzò per divertirsi. Non commettiamo la fornicazione, come fecero alcuni di loro, cosicché ne morirono ventitremila in un giorno. Non tentiamo Gesù Cristo, come lo tentarono alcuni di loro, che furono uccisi dai serpenti. Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, che furono colpiti dall’Angelo distruttore. Ora tutte queste cose che accaddero loro erano figure, e furono scritte per istruire noi che siamo alla fine dei tempi. Chi pensa di essere saldo, faccia attenzione a non cadere. » Questi sono i preziosi avvertimenti che San Paolo ci dà, avvertimenti che sono del massimo interesse per il nostro futuro nell’eternità. E come sarà questa eternità per noi? Saremo portati, come Lazzaro, nel seno di Abramo dalle mani degli Angeli per entrare a far parte delle dodici tribù dei figli d’Israele, o saremo precipitati, come il ricco cattivo, nell’abisso dell’inferno? Nessuno di noi può saperlo. Degni di odio o di amore; vittime forzate che il Signore rifiuta, o figli amati che chiama a sé; vasi di ignominia e di ira, o vasi di onore e di misericordia? Portiamo, come Uria, le nostre lettere sigillate; nessuno di noi può rispondere della sua sorte. Ma confortiamoci nel fatto che se siamo stati servi vigili e fedeli durante la nostra vita, Gesù Cristo ci assicura il suo regno alla nostra morte; e se, come le vergini sagge, teniamo le nostre lampade accese all’arrivo dello sposo, la sala delle nozze ci sarà aperta. Ascoltiamo San Paolo, che ci promette che se combattiamo con coraggio, ci sarà data una corona di giustizia dal più giusto dei giudici. Ascoltiamo anche San Giovanni, che ci dice che lo spirito di Dio testimonierà al nostro, che siamo figli del Signore, e che, anche se siamo incerti sulla nostra sorte, Egli ci concederà tutto ciò che gli chiederemo secondo la sua volontà, poiché già noi siamo stati esauditi in tanti casi.

VII. E misurò la città con la sua verga d’oro fino a dodicimila stadi, e la sua lunghezza e larghezza ed altezza sono uguali. Come è stato detto, questi dodicimila stadi corrispondono alle dodici tribù d’Israele, che rappresentano la massa degli eletti, così che ogni tribù occuperà mille stadi in lunghezza, in larghezza e altezza. Ci vogliono dieci stadi per fare un miglio romano, secondo il calcolo di Lucio Florus. (Vedi Martini, Nuovo Testamento, pagina 836) e sappiamo che tre miglia romane sono circa una lega di Francia. Da ciò possiamo concludere che questa città misurerà 160.000 leghe quadrate. Ma non dobbiamo dimenticare che Dio, volendo dare agli uomini un’idea delle cose celesti, fa uso di comparazioni tratte dal linguaggio degli uomini e delle cose terrene, così che questa figura della città celeste deve essere ammessa solo come figura, o per la sua forma, o per la sua estensione, o per i materiali di cui è costruita, o, infine, per coloro che dovrebbero essere i suoi abitanti, etc.

VIII. Vers. 17. – E misurò il muro, che era di centoquarantaquattro cubiti, la misura di un uomo, che era quella dell’Angelo. Questi centoquarantaquattro cubiti di misura dell’uomo corrispondono di nuovo alle dodici tribù d’Israele che rappresentano tutti gli eletti, perché 12 x 12 = 144. E siccome questa misura è una misura d’uomo, e siccome la misura del muro non è indicata in modo tale da poterla misurare, poiché l’Apostolo non dice se deve essere misurata in altezza, o in lunghezza, o in larghezza, si deve concludere che questa misura è indicata solo per misurare i posti che gli eletti occuperanno nel recinto delle muraglie della città. Abbiamo visto, inoltre, che questa muraglia rappresenta la fede; ora, gli effetti della fede sono incommensurabili e persino infiniti. Così questa misura dell’uomo, il cui numero corrisponde così esattamente al numero delle dodici tribù d’Israele, non è indicata se non per mostrarci che tutti i posti in paradiso sono contati, misurati e conosciuti dall’eterna prescienza di Dio, che nessuno di questi posti rimarrà vuoto, e che ognuno degli eletti occuperà il suo, secondo la misura determinata di santità e di giustizia che avrà acquisito. Infine, questa misura indica un quadrato perfetto, come simbolo di perfezione.

Vers . 18. – Il muro era costruito in pietra di diaspro, ma la città era d’oro finissimo, come vetro di grande purezza. Il paragone contenuto in questo versetto è veramente ammirevole; perché, come abbiamo visto, questa muraglia della città santa rappresenta la fede. Ora, come una muraglia difende l’ingresso di una città e protegge i suoi abitanti, così la fede serve da bastione per la Chiesa e protegge i fedeli. E chi entrasse nella Chiesa altrimenti che attraverso le sue dodici porte, che sono gli Apostoli e la loro dottrina, troverebbe un muro di altezza infinita come la fede, e solido come il diaspro, che è una pietra molto dura e che rappresenta l’eternità. Abbiamo detto che questa muraglia protegge i fedeli; da qui queste parole di San Paolo (Rom. VIII, 31): « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » Perché Dio è per noi se abbiamo fede, secondo la promessa fatta ad Abramo, il padre dei credenti (Gen. XVII, 7): « Io stabilirò la mia alleanza con te e, dopo di te, con i tuoi discendenti, per tutte la loro generazioni, con un’alleanza eterna; affinché Io sia il tuo Dio e il Dio dei tuoi discendenti dopo di te. » Allora la fede ci dà la speranza di cose celesti e infinite. Ecco perché si dice che questo muro è fatto di diaspro, che è una pietra preziosa, di un colore verdastro, le cui sfumature variano estremamente, perché il verde è il colore della speranza, e questo colore verdastro del diaspro, che varia estremamente, è di nuovo una figura di speranza di cose celesti ed infinite. Ma non è tutto: la fede ci conduce all’amore di Gesù Cristo, ed è in questo che diventa una muraglia impenetrabile per i nemici ed infinitamente potente per proteggere i fedeli, secondo San Paolo (Rom. VIII, 35): « Chi dunque ci separerà dall’amore di Gesù Cristo? L’afflizione, l’angoscia, la fame, la nudità, il pericolo, la persecuzione o la spada. Come sta scritto: siamo ogni giorno consegnati alla morte per causa tua; siamo considerati come pecore da macello. Ma in mezzo a tutti questi mali noi vinciamo per la virtù di colui che ci ha amato. Perché io sono sicuro che né la morte né la vita, né gli angeli, né i principati, né le potenze, né le cose presenti né quelle future, né la violenza, né tutto ciò che è di più alto o di più profondo, né qualsiasi altra creatura, potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore. » Così la fede, che ci dà speranza e ci conduce all’amore di Gesù Cristo, diventa uno scudo e persino una muraglia impenetrabile ai nemici, e infinitamente potente per proteggere i fedeli. E il muro fu costruito di diaspro, cioè di una sola pietra, per rappresentare l’unità della fede. Di diaspro, cioè di pietra molto dura, per rappresentare la fermezza, l’invariabilità, la solidità e la perpetuità della fede. E la fede cristiana è paragonata ad una muraglia, perché, come il muro di una città ne forma il recinto, così la fede in Gesù Cristo è come il recinto che racchiude l’amore di Dio e del prossimo. Poi, come la carità è una virtù più grande della fede e della speranza, rappresentata dal diaspro, secondo San Paolo, (I. Cor. XIII, 13): « Fede, speranza e carità ora rimangono; esse sono tre; ma la più grande delle tre è la carità. » Così San Giovanni, dopo aver paragonato la fede e la speranza al muro di diaspro che circonda la città, rappresenta la carità con la città stessa, volendo farci intendere la superiorità di questa virtù sulle altre due; e aggiunge: Ma la città era d’oro finissimo, come vetro di grande purezza. Così la fede e la speranza sono inferiori alla carità, come il muro di una città è inferiore alla città stessa. Dobbiamo fare attenzione a non applicare questa osservazione agli Apostoli, che hanno fondato il muro ma non sono il muro stesso. La fede e la speranza sono inferiori alla carità, soprattutto in quanto le prime due scompariranno, mentre la seconda rimarrà in eterno. E anche se la fede e la speranza devono scomparire, San Giovanni ha fatto bene a lasciare in piedi il muro che le rappresenta, perché questo muro separerà i buoni dai cattivi per tutta l’eternità, proprio come li ha separati nel tempo. Poiché è scritto: « E le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa ». Inoltre, le pietre di questo muro sono le buone opere, e queste buone opere sono una sola pietra, perché le buone opere ne sono una sola nella fede di Gesù Cristo, e questa pietra resterà in piedi per sempre, perché è scritto, Apoc. XIV, 13: « Beati coloro che muoiono nel Signore. D’ora in poi, dice lo Spirito, si riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono. » Infine, il muro di una città può essere visto da lontano, soprattutto se è grande; per questo la Chiesa è paragonata a una città. Infatti la Chiesa è visibile a tutti attraverso i quattro segni che la distinguono. 1° Poiché la Chiesa è una, cattolica, apostolica e santa, come la città di cui si tratta. Infatti, questa città celeste sarà una sola, poiché tutti i beati vi saranno riuniti in Dio. 2° Essa sarà cattolica, perché tutti, nel corso delle età, vi avranno avuto accesso. 3°. Sarà apostolica, perché è detto: Il muro della città aveva dodici fondamenta e su di esse i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. 4. Infine, sarà santa, perché è detto: E io, Giovanni, vidi la città santa scendere dal cielo. Ma la città era d’oro finissimo, come vetro di grande purezza.  Si sa che l’oro rappresenta la carità, e questa carità dei beati sarà come l’oro più fine e più puro, poiché è detto al versetto 27 dello stesso capitolo, parlando di questa città: Niente di impuro entrerà in essa. – La città era simile a del vetro di grande purezza. Abbiamo visto, nel corso di quest’opera, che il Battesimo è paragonato ad un mare di vetro; così questo passaggio è una conferma di ciò che Gesù Cristo ci dice nel Vangelo sulla necessità assoluta del battesimo per purificarci (Jo. III, 5): « In verità, in verità vi dico che se uno non nasce da acqua e da Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio. »

IX. Vers. 19. – E le fondamenta della muraglia della città erano ornate con ogni sorta di pietre preziose. La prima fondazione era di diaspro, la seconda di zaffiro, il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo.

Vers. 20. – E il quinto di sardonico, il sesto di sardio, il settimo di crisolito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisoprasio, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. Queste dodici fondamenta della muraglia, che rappresenta la fede, sono gli Apostoli. E queste fondamenta, che San Giovanni descrive, erano adornate con ogni sorta di pietre preziose, che rappresentano tutti i doni dello Spirito Santo con i quali gli Apostoli erano particolarmente arricchiti e provveduti con più abbondanza. Questi doni sono paragonati a tutti i tipi di pietre preziose secondo le qualità particolari di ciascuna di queste pietre. E come tutti gli Apostoli si distinguono tra di loro per delle qualità più o meno speciali, San Giovanni designa queste qualità di ciascuno degli Apostoli con le pietre preziose che le rappresentano. Ecco perché queste pietre sono indicate nello stesso ordine degli Apostoli stessi. Così San Pietro, che è il primo di tutti, è paragonato al diaspro, cioè alla stessa pietra di cui è costruita la muraglia della città, che è la fede.  Da qui le parole che Gesù Cristo gli rivolse quando fondò la sua Chiesa, (Matth. XVI, 18): « Io ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. » La seconda pietra di colore blu [zaffiro] rappresenta San Paolo che è salito al terzo cielo, ecc. Queste dodici pietre preziose erano rappresentate nell’Antico Testamento dalle dodici pietre del Razionale. Un interprete parlando di queste pietre preziose dice elegantemente: La pietra preziosa è un simbolo affascinante. Le pietre di questa natura sono più durevoli del sasso e dei metalli. sfidano il tempo, sovrano distruttore di tutto ciò che è deperibile; occupano poco posto nello spazio. Esse si abbeverano della più sottile di tutte le cose inanimate, la luce, e poi la irradiano in torrenti di colori brillanti. Questa è l’immagine delle anime perfette che si abbeverano alla luce della verità eterna e che sono infiammate dal fuoco dell’amore divino.

X. Vers. 21.E le dodici porte erano dodici perle; e ogni porta era fatta di ogni perla, e il luogo della città era d’oro puro come vetro trasparente. O grandezza e potenza di Dio, quale linguaggio potrebbe mai esprimere la magnificenza e lo splendore delle vostre opere! O bellezza ineffabile della città santa, di quell’immensa Gerusalemme celeste, le cui porte saranno fatte di una sola perla, e il luogo sarà d’oro puro come vetro trasparente! Le parole di questo versetto sono particolarmente notevoli in quanto ci fanno capire che la città di cui si parla in questo capitolo è solo una figura, per cui Dio si serve di cose visibili e materiali, per darci un’idea di come sarà il paradiso, la cui gloria e felicità non saremo in grado di comprendere finché rimarremo sulla terra, poiché sta scritto (I. Cor., II, 9): « Occhio non ha visto, né orecchio ha udito, né il cuore dell’uomo ha compreso ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano.» Diciamo quindi che queste parole ci fanno capire che qui si tratta solo di una figura. Infatti, queste dodici perle rappresentano i dodici Apostoli che sono le porte della città e le fondamenta del muro, come è detto altrove. E le dodici porte erano dodici perle, cioè i dodici Apostoli secondo San Girolamo e Sant’Agostino. E il luogo della città era d’oro puro come il vetro trasparente. Come possiamo vedere, San Giovanni applica alla città le qualità che sono proprie del popolo che la comporrà, dal che dobbiamo concludere che tutte queste bellezze e questa magnificenza che egli attribuisce alla città devono essere intese in senso mistico. Le parole che seguono rendono la nostra idea ancora più sensibile, poiché San Giovanni aggiunge:

XI. Vers. 22. E non vidi alcun tempio nella città, perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio, come gli Apostoli e tutti i Santi ne sono la città. San Giovanni ci lascia intravedere cosa queste parole sottendano. E non vidi una città, ma l’aspetto di una città, perché gli eletti sono la città stessa. San Giovanni non ha visto un tempio nella città, e perché? Perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio. Ora, poiché Dio è immenso ed è il tempio di questa città, ne segue che questa città è in Dio come Dio è nella città, ed è così che i beati vedranno Dio così com’è. Da qui le parole di San Paolo, (1 Corinzi XIII, 12): « Noi vediamo Dio ora solo come in uno specchio e sotto immagini oscure, ma allora lo vedremo faccia a faccia. Ora lo conosco solo imperfettamente, ma allora lo conoscerò come sono conosciuto da Lui. » Ora, conoscere Dio, secondo il linguaggio della Scrittura, è godere di Lui; e godere di Dio è godere di una felicità immensa nelle sue perfezioni ed eterna nella sua durata. Questo è ciò che vediamo in queste parole: Perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio. – Perché San Giovanni parla ora dell’Agnello, e perché dice che è anche il tempio? Ne troviamo la ragione nell’Umanità di Gesù Cristo che è l’Agnello immolato per i peccati del mondo e per la salvezza dei suoi. Ora, l’unione dell’Umanità di Gesù Cristo con i corpi dei fedeli sarà simile all’unione che esisterà tra il Signore Dio Onnipotente e le anime dei beati. E come questa unione di spiriti inizia quaggiù con la fede, è rafforzata dalla speranza e si perfeziona con la carità; così l’unione dei corpi è realmente stabilita quaggiù sotto le specie eucaristiche, e continuerà ad esistere in cielo, senza il velo della fede, e nella pienezza della felicità. E così l’Agnello sarà il tempio, secondo le parole dell’Apostolo, (II Cor. VI, 16): « Voi siete il tempio del Dio vivente, secondo quanto dice Dio stesso: Io abiterò in loro e camminerò in mezzo a loro; Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. »

XII. Vers. 23. – E la città non ha bisogno del sole o della luna per dare luce, perché la gloria di Dio la illumina e l’Agnello è la sua torcia. Questo verso è una continuazione della stessa idea, e vediamo che tutto ciò che ci ricorda gli oggetti materiali e corruttibili scompare nel contesto, per essere sostituito dall’Essere infinito stesso, che prenderà il posto di tutto, e sarà l’unico oggetto della gloria e della felicità eterna dei beati. Ed è così che la città non ha bisogno del sole o della luna per essere illuminata, perché la gloria di Dio la illumina, e l’Agnello è la sua torcia. Queste parole sono al presente, perché i Santi della Chiesa trionfante stanno già godendo di questa luce eterna. Gli stessi eletti saranno così cambiati e trasformati che i loro corpi diventeranno corpi spirituali; poiché la carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio, e la corruzione non possiederà questa eredità incorruttibile. Potresti pensare, caro lettore, che stiamo esagerando, ma ascolta le parole dell’Apostolo che è stato elevato al terzo cielo, e capirai ancora meglio la felicità che ti aspetta se sei fedele al Signore (I. Cor. XV, 35): « Ma come risorgeranno i morti e con quale corpo ritorneranno? Insensati che siete, ciò che seminate non prende vita se non muore prima. E ciò che si semina non è il corpo stesso come deve essere un giorno, ma solo il grano, ad esempio di frumento o di qualsiasi altro seme. E Dio dà a questo grano un corpo come gli piace, e dà ad ogni seme il corpo che gli è proprio. Tutta la carne non è la stessa carne; ma altra è la carne degli uomini, altra è la carne delle bestie, altra è la carne degli uccelli, altra è la carne dei pesci. »  L’Apostolo vuole farci capire che Dio nella sua onnipotenza può anche cambiare il nostro corpo terreno in uno celeste; ecco perché continua in questi termini: « Perché ci sono anche corpi celesti e corpi terreni, ma i corpi celesti hanno una lucentezza diversa da quelli terreni. Il sole ha la sua luminosità, la luna ha la sua luminosità, e le stelle hanno la loro luminosità; e tra le stelle, una è più luminosa dell’altra. Sarà lo stesso nella resurrezione dei morti. Il corpo è ora seminato nella corruzione, ma risorgerà incorruttibile. È seminato nella vergogna e risorgerà nella gloria. È seminato nell’infermità e risorgerà nella forza. Egli è seminato nel corpo animale e risorgerà nel corpo spirituale. Come c’è un corpo animale, così c’è un corpo spirituale, come è scritto: « Adamo, il primo uomo fu creato con un’anima vivente, e il secondo Adamo fu riempito di uno spirito vivificante. » Quindi vediamo che lo stato della natura di Adamo era ben diverso da quello della nostra natura e della sua dopo il peccato; perciò l’Apostolo aggiunge: « E il secondo fu riempito di uno spirito vivente », (essendo stato rigenerato nel battesimo.) « Ma non è il corpo spirituale che è stato formato per prima; ma il corpo animale, ed in seguito quello spirituale » Così da queste ultime parole dobbiamo concludere che questo corpo animale di Adamo, sebbene dotato di un’anima vivente prima del suo peccato, non era però in uno stato così perfetto come sarà in seguito alla sua rigenerazione. Infatti l’Apostolo aggiunge: « Il primo uomo (cioè Adamo, prima del suo peccato) è quello terreno, formato dalla terra; il secondo (cioè l’uomo rigenerato) è quello celeste, che è del cielo. Ecco perché la Chiesa canta del peccato di Adamo: « 0 felix culpa quæ tantum meruit habere Redemptorem! 0 felice colpa che ci ha dato un così grande Redentore! ». Perché Dio, che sa trarre il bene dal male, vendicò l’uomo della gelosia del serpente distruggendo la sua creatura caduta e portandola in uno stato ancora più perfetto di come l’aveva creata. Poi l’Apostolo continua: « Come il primo uomo (Adamo) era terreno, così i suoi figli sono pure terreni; e come il secondo (Gesù Cristo) è celeste, così i suoi figli sono pure celesti. Come abbiamo portato l’immagine dell’uomo terreno, così portiamo l’immagine dell’uomo celeste. Ora quello che voglio dire, fratelli miei, è che la carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio, e che la corruzione non possederà l’eredità incorruttibile. Ecco un mistero che vi insegnerò: tutti risorgeremo, ma non tutti saremo cambiati (nell’immagine di Gesù Cristo). In un momento, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba; poiché la tromba suonerà, e i morti risorgeranno incorruttibili d’ora in poi, e noi saremo cambiati (cioè, i buoni saranno cambiati nell’immagine dell’uomo celeste, che è Gesù Cristo). Perché questo corpo corruttibile deve essere rivestito di incorruttibilità, e questo corpo mortale di immortalità. E quando questo corpo mortale sarà rivestito di immortalità, allora si compirà questa parola della Scrittura: la morte è stata assorbita dalla vittoria. O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo pungiglione? Ora, il pungiglione della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge (la legge di Dio violata). Ma grazie siano rese a Dio, che ci ha dato la vittoria per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Perciò, miei amati fratelli, rimanete fermi e incrollabili, lavorando sempre più per l’opera del Signore, sapendo che il vostro lavoro non sarà più inutile davanti al Signore. » Riprendiamo ora il nostro testo:

XIII. Vers. 24. Le nazioni cammineranno nella sua luce, e i re della terra vi porteranno la loro gloria e il loro onore.

Vers. 25. – E le sue porte non saranno chiuse di giorno, perché non ci sarà notte in quel luogo. Oltre al fatto che questo passo segue la descrizione della Gerusalemme celeste, dove saranno rappresentate tutte le nazioni della terra, e cammineranno nella luce eterna di Dio e dell’Agnello, alla quale i re della terra porteranno la loro gloria e il loro onore; queste  parole si riferiscono al primo passo del Vangelo secondo San Giovanni, dove si parla della luce che Gesù Cristo è venuto a diffondere tra gli uomini sulla terra, per dar loro il diritto di divenire figli di Dio a tutti coloro che avrebbero ricevuto questa luce e creduto in Gesù Cristo. Ora, questa luce divina, che è venuta nel mondo, condurrà coloro che la ricevono alla Gerusalemme celeste, le cui porte non saranno chiuse di giorno, perché non ci sarà notte in quel luogo. Infatti, questa luce è eterna, e l’oscurità della notte degli errori e dei vizi non la farà mai sparire. Il resto della notte sarà inutile, perché non ci sarà nessun lavoro, nessun dolore, nessuna fatica durante il giorno dell’eternità.

XIV. Vers. 26. E la gloria e l’onore delle nazioni saranno portati ad essa, perché tutte le nazioni avranno ricevuto quella luce, la luce vera che, secondo San Giovanni, (I, 9): « Illumina ogni uomo che viene in questo mondo. » E l’onore e la gloria delle nazioni saranno coloro che, avendo ricevuto questa luce, si sono distinti dagli empi per la pratica delle virtù cristiane, e coloro che, essendo stati illuminati da questa luce, si sono allontanati dalle tenebre che non l’hanno compresa. Perché i malvagi sono la vergogna delle nazioni, come i buoni ne sono la gloria e l’onore. Così la gloria e l’onore delle nazioni saranno coloro che, secondo San Giovanni, non sono nati dal sangue, né dalla volontà della carne, né dalla volontà dell’uomo, ma da Dio stesso.  In una parola, la gloria e l’onore delle nazioni saranno le pecore che hanno seguito il buon pastore nell’ovile della Chiesa, seguendo la sua luce, ascoltando la sua voce e vivendo della sua vita, secondo le parole di Gesù, (Jo, XIV. 6). « Io sono la via, la verità e la vita: nessuno viene al Padre se non per mezzo di me ». Così tutti coloro che non hanno conosciuto e praticato la dottrina di Gesù Cristo sulla terra non saranno ammessi nella città celeste. Poiché:

XV. Vers. 27.Non vi entrerà nulla di impuro, né alcuno di coloro che commettono abominazioni e falsità, ma solo coloro che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello. – Perciò non ci sarà notte in quel luogo, né la notte del vizio, né la notte dell’errore, perché nulla di impuro vi entrerà, né alcuno di coloro che commettono abominio e falsità. Ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello, cioè quelli che hanno vissuto della sua vita; « perché in lui era la vita », dice San Giovanni, (I, 4): « E la vita era la luce degli uomini. » E tutti coloro che hanno conosciuto questa luce dell’Agnello e hanno vissuto della sua vita nel tempo, godranno della sua luce e vivranno della sua vita nell’eternità. E allora i loro stessi corpi saranno cambiati in corpi spirituali, secondo San Paolo, e questi corpi avranno impassibilità, la chiarezza, l’agilità e la sottigliezza. 1º Questi corpi saranno impassibili, perché non saranno mai più soggetti ad alcuna sofferenza; perché « Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né lutto, né pianto, né dolore, perché il primo stato è finito. » 2º Questi corpi possiederanno la chiarezza, poiché saranno la città che Dio abiterà, e Dio sarà il tempio e il sole di questa città. (Apoc. XXI, 22): « E non vidi alcun tempio nella città, perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio. E la città non ha bisogno del sole, né della luna che le dia luce, perché la gloria di Dio risplende su di essa, e l’Agnello è la sua torcia. E le sue porte non saranno chiuse di giorno, perché non ci sarà notte in quel luogo. » – 3º Questi corpi avranno l’agilità; perché la loro vita sarà secondo la luce che li illuminerà; e poiché questa luce è immensa, la loro vita sarà nell’immensità di questa luce. E questa luce li condurrà e li illuminerà nell’immensità della vita di Dio, che potranno vedere e contemplare faccia a faccia, senza alcun ostacolo. Da qui queste parole: « Le nazioni cammineranno nella sua luce ». Così gli spazi non li fermeranno, dato che non ci saranno più limiti, e il tempo non li riterrà, perché non ci sarà più il tempo. 4 ° Perciò possederanno la sottigliezza, poiché non sperimenteranno più gli ostacoli che possono impedire loro di godere della gloria e della felicità infinita della luce eterna. – Da quanto abbiamo appena visto nel corso di questo capitolo, l’uomo può dare libero sfogo alla sua immaginazione finché gli piace, ma non riuscirà mai, finché è sulla terra, a immaginare la realtà della felicità che gli è riservata se ama Dio suo Creatore, perché è scritto, (I Corinzi II, 9): « Occhio non ha visto, né orecchio ha mai udito, né il cuore dell’uomo ha mai compreso ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano. ». Possiamo trovare paragoni più toccanti e magnifici di quelli usati da San Giovanni per descrivere le delizie della gloria eterna? Certamente no. Se l’Apostolo ha fatto ricorso a immagini sensibili per istruirci, è perché ha dovuto parlare l’unico linguaggio possibile per essere compreso dagli uomini. E quando la felicità e la gloria del paradiso non consistono che nel possesso di ciò che le nostre facoltà intellettuali ci permettono di concepire più perfettamente della realizzazione di questa figura, quale uomo, comprendendo bene i suoi interessi più cari, non sacrificherebbe tutti i beni del mondo e sopporterebbe tutti i tormenti del tempo, per essere ammesso un giorno nel numero dei cittadini di questa Gerusalemme celeste? Cosa sono le ricchezze, gli onori e i piaceri della terra in confronto alle delizie di questa città? Eppure, per quanto la magnificenza e lo splendore di questa città possano apparire ai nostri occhi mortali, dopo tutto è solo un’immagine. Ora, se c’è già una differenza estrema tra un uomo e il suo ritratto, tra una luce e l’ombra che ne deriva, tra il giorno e la notte, che differenza ci sarà tra i beni del cielo e quelli della terra, tra la realtà di questi beni e la loro figura, tra la verità e l’espressione, tra il tempo e l’eternità? Questa differenza è espressa in una sola parola; ma né i secoli né gli spazi possono contenere la sua realtà. perché questa realtà è l’infinito.

§ III.
Il fiume d’acqua viva.


CAPITOLO XXII

Et ostendit mihi fluvium aquæ vitæ, splendidum tamquam crystallum, procedentem de sede Dei et Agni. In medio plateæ ejus, et ex utraque parte fluminis, lignum vitæ, afferens fructus duodecim per menses singulos, reddens fructum suum et folia ligni ad sanitatem gentium. Et omne maledictum non erit amplius: sed sedes Dei et Agni in illa erunt, et servi ejus servient illi. Et videbunt faciem ejus: et nomen ejus in frontibus eorum. Et nox ultra non erit: et non egebunt lumine lucernæ, neque lumine solis, quoniam Dominus Deus illuminabit illos, et regnabunt in sæcula sæculorum. Et dixit mihi: Hæc verba fidelissima sunt, et vera. Et Dominus Deus spirituum prophetarum misit angelum suum ostendere servis suis quæ oportet fieri cito. Et ecce venio velociter. Beatus, qui custodit verba prophetiæ libri hujus. Et ego Joannes, qui audivi, et vidi hæc. Et postquam audissem, et vidissem, cecidi ut adorarem ante pedes angeli, qui mihi hæc ostendebat: et dixit mihi: Vide ne feceris: conservus enim tuus sum, et fratrum tuorum prophetarum, et eorum qui servant verba prophetiæ libri hujus: Deum adora. Et dicit mihi: Ne signaveris verba prophetiae libri hujus: tempus enim prope est. Qui nocet, noceat adhuc: et qui in sordibus est, sordescat adhuc: et qui justus est, justificetur adhuc: et sanctus, sanctificetur adhuc. Ecce venio cito, et merces mea mecum est, reddere unicuique secundum opera sua. Ego sum alpha et omega, primus et novissimus, principium et finis. Beati, qui lavant stolas suas in sanguine Agni: ut sit potestas eorum in ligno vitae, et per portas intrent in civitatem. Foris canes, et venefici, et impudici, et homicidae, et idolis servientes, et omnis qui amat et facit mendacium. Ego Jesus misi angelum meum testificari vobis haec in ecclesiis. Ego sum radix, et genus David, stella splendida et matutina. Et spiritus, et sponsa dicunt: Veni. Et qui audit, dicat: Veni. Et qui sitit, veniat: et qui vult, accipiat aquam vitæ, gratis. Contestor enim omni audienti verba prophetiæ libri hujus: si quis apposuerit ad hæc, apponet Deus super illum plagas scriptas in libro isto. Et si quis diminuerit de verbis libri prophetiae hujus, auferet Deus partem ejus de libro vitæ, et de civitate sancta, et de his quae scripta sunt in libro isto: dicit qui testimonium perhibet istorum. Etiam venio cito: amen. Veni, Domine Jesu. Gratia Domini nostri Jesu Christi cum omnibus vobis. Amen.

[E mi mostrò un fiume di acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. Nel mezzo della sua piazza, e da ambe le parti del fiume l’albero della vita che porta dodici frutti, dando mese per mese il suo frutto, e le foglie dell’albero (sono) per medicina delle nazioni. Né vi sarà più maledizione: ma la sede di Dio e dell’Agnello sarà in essa, e i suoi servi lo serviranno. E vedranno la sua faccia: e il suo nome sulle loro fronti. Non vi sarà più notte: né avranno più bisogno di lume di lucerna, né di lume di sole, perché il Signore Dio li illuminerà, e regneranno pei secoli dei secoli. E mi disse: Queste parole sono fedelissime e vere. E il Signore Dio degli spiriti dei profeti ha spedito il suo Angelo a mostrare ai suoi servi le cose che devono tosto seguire. Ed ecco io vengo presto. Beato chi osserva le parole della profezia di questo libro. Ed io Giovanni (sono) quegli che udii e vidi queste cose. È quando ebbi visto e udito, mi prostrai ai piedi dell’Angelo, che mi mostrava tali cose, per adorarlo: E mi disse: Guardati di far ciò: perocché sono servo come te, e come i tuoi fratelli i profeti, e quelli che osservano le parole della profezia di questo libro: adora Dio. E mi disse: Non sigillare le parole della profezia di questo libro: poiché il tempo è vicino. Chi altrui nuoce, noccia tuttora: e chi è nella sozzura, diventi tuttavia più sozzo: e chi è giusto, sì faccia tuttora più giusto: e chi è santo, tuttora si santifichi. Ecco io vengo tosto, e porto con me, onde dar la mercede e rendere a ciascuno secondo il suo operare. Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine. Beati coloro che lavano le loro stole nel sangue dell’Agnello: affine d’aver diritto all’albero della vita e entrar per le porte nella città. Fuori ì cani, e i venefici, e gli impudichi, e gli omicidi, e gl’idolatri, e chiunque ama e pratica la menzogna. Io Gesù ho spedito il mio Angelo a testificarvi queste cose nelle Chiese. Io sono la radice e la progenie di David, la stella splendente del mattino. E lo Spirito e la sposa dicono: Vieni. E chi ascolta, dica: Vieni. E chi ha sete, venga: e chi vuole, prenda dell’acqua della vita gratuitamente. Poiché protesto a chiunque ascolta le parole della profezia di questo libro, che se alcuno vi aggiungerà (qualche cosa), Dio porrà sopra di lui le piaghe scritte in questo libro. E se alcuno torrà qualche cosa delle parole della profezia di questo libro, Dio gli torrà la sua parte dal libro della vita, e dalla città santa, e dalle cose che sono scritte in questo libro. Dice colui che attesta tali cose: Certamente io vengo ben presto: così sia. Vieni, Signore Gesù. La grazia del Signor nostro Gesù Cristo con tutti voi. Così sia.]

I. Vers. 1. – E mi mostrò un fiume d’acqua viva, limpida come il cristallo, che usciva dal trono di Dio e dell’Agnello. L’Angelo delle piaghe che ha mostrato a San Giovanni la Gerusalemme celeste, ora gli mostra un fiume di acqua viva. Questo fiume, secondo Sant’Ambrogio (Lib. III, De Spiritu Sancto, cap. XXI), significa lo Spirito Santo, fonte di ogni grazia, di ogni gloria e di ogni felicità. Secondo altri interpreti, questo fiume rappresenta l’abbondanza di doni e di consolazioni celesti di cui i Santi saranno inondati. Queste interpretazioni sono uguali nella sostanza, anche se sembrano differire nella forma. Infatti, nel mistero della Santissima Trinità, il Padre è la volontà e l’Onnipotenza, il Figlio è il Verbo, espressione della volontà e mano destra dell’onnipotenza del Padre, Onnipotente Egli stesso, e lo Spirito Santo è l’amore in unione con il Padre e il Figlio. Queste tre Persone, che non devono essere confuse l’una con l’altra, sono ugualmente perfette, perché hanno la stessa sostanza e sono un solo ed unico Dio, così che ciascuna delle tre Persone divine possiede in sé tutte le perfezioni delle altre. Ma noi sappiamo, e il nostro testo ce lo dice, sappiamo, diciamo, che è per mezzo dello Spirito Santo che la gloria e la felicità eterna sono comunicate ai Santi in cielo, così come è lo Spirito Santo che ci rende partecipi dei doni di Dio sulla terra. Perciò gli eletti, che sono stati chiamati dal Padre, giustificati dal Figlio e rigenerati dallo Spirito Santo nelle acque del Battesimo, saranno inondati dal fiume di acqua viva che procede dal trono di Dio Padre Onnipotente e dell’Agnello Gesù Cristo, generato dal Padre e seduto alla sua destra. Così questo passo dell’Apocalisse è un’ammirevole conferma del dogma della Chiesa Cattolica, e allo stesso tempo una condanna dell’errore della Chiesa greca, riguardante la processione dello Spirito Santo. Perché è espressamente detto che questo fiume d’acqua viva, figura dello Spirito Santo, è uscito non solo dal trono di Dio Padre, ma anche dall’Agnello Gesù Cristo sacrificato per i peccati del mondo. –  ….. E mi mostrò un fiume di acqua viva, limpido come il cristallo. Quando San Giovanni parla dei fedeli, (capitolo IV, 6), li paragona ad un mare trasparente come il vetro e simile al cristallo; e quando parla del fiume di acqua viva che alimenterà questo mare, non solo paragona questo fiume al vetro, ma dice anche che quest’acqua viva del fiume è essa stessa chiara come il cristallo. Perché questa differenza? È per farci capire che quest’acqua viene o procede dalla sua fonte divina, pura come il cristallo, per alimentare questo mare degli eletti, cioè la nostra umanità, che diventa trasparente come il vetro dalle acque del Battesimo, e sarà come il cristallo, cioè simile alla divinità, con le acque di gloria e felicità del fiume d’acqua viva che procede eternamente dal trono di Dio Padre e dell’Agnello Gesù Cristo per abbeverare gli eletti nel tempo e nell’eternità. Questo fiume di acqua viva renderà dunque gli eletti puri come il cristallo, cioè come Dio, come sta scritto (I. Jo., III, 2): « Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si manifesterà, noi saremo come Lui, perché lo vediamo come è. E chi ha questa speranza in Lui, diventa santo, come santo è Dio stesso. » – Come possiamo vedere, la purezza di Dio è paragonata a quella del cristallo, e la purezza dei Santi è pure paragonata a quella di un vetro trasparente. Ora questo vetro sarà puro e trasparente, perché gli eletti saranno senza macchia; e questo vetro sarà di una purezza simile a quella del cristallo, perché la purezza dei Santi sarà simile a quella di Dio stesso. Pertanto, i Santi che hanno imitato Gesù Cristo sulla terra diventeranno come Dio stesso attraverso la gloria e la felicità di cui saranno inondati in cielo, dal fiume di acqua viva che viene dal trono di Dio e dell’Agnello, cioè, come abbiamo detto sopra, dallo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio. Così, Dio userà il fiume di acqua viva per colmare i Santi della sua gloria e felicità, così come usa le acque del Battesimo per rigenerarli con lo Spirito Santo. E siccome tutti questi doni di grazia, di gloria e di felicità celeste ci vengono comunicati dallo Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio, comprendiamo perché Gesù Cristo, istituendo il Sacramento della rigenerazione, disse ai suoi Apostoli (Matth. XXVIII, 18): « Mi è stata data ogni autorità in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. »

II. Questo fiume d’acqua viva rappresenta anche la visione beatifica, secondo queste parole del salmista, Ps. XLV, 4: « Un fiume con il suo corso impetuoso inonda la città di Dio con gioia. L’Altissimo ha santificato il suo tabernacolo: Dio è in mezzo alla città santa. » E altrove: Sal. XXXV, 8: « Signore, i figli degli uomini saranno pieni di speranza sotto l’ombra delle tue ali. Si inebrieranno dell’abbondanza della tua casa, li nutrirai con il flusso delle tue delizie; perché in te è la fonte della vita, e nella tua luce vedremo la luce. »Sal. XXXVI: « Guardatevi dall’imitare i malvagi, e non invidiate quelli che commettono iniquità, perché appassiranno rapidamente come il fieno, e seccheranno rapidamente come le erbe dei prati. Riponi la tua speranza nel Signore e fai il bene, e allora dimorerai sulla terra e sarai nutrito con le sue ricchezze. Deliziatevi nel Signore, ed Egli realizzerà i desideri del vostro cuore. Scopri le tue vie al Signore, spera in Lui ed Egli agirà. Egli farà risplendere la vostra giustizia come luce, e farà risplendere la vostra innocenza come il mezzogiorno. » Ascoltiamo Isaia, LXVI, 12: « Questo è ciò che dice il Signore. Farò scorrere su Gerusalemme un fiume di pace; riverserò su di essa la gloria delle nazioni come un torrente straripante. Gerusalemme vi nutrirà con il suo latte, vi stringerà al suo seno e vi accarezzerà sulle sue ginocchia. Come una madre consola il suo bambino, così io vi consolerò e sarete consolati a Gerusalemme. Vedrete queste cose, e il vostro cuore si rallegrerà; le vostre stesse ossa ricresceranno forti come l’erba. ». Termineremo la spiegazione di questo passaggio con le ben rimarchevoli parole che troviamo nel Vangelo della Samaritana. Queste parole alludono anche al fiume di acqua viva, e di conseguenza contengono un’ulteriore conferma della processione dello Spirito Santo secondo il dogma cattolico, e un ulteriore chiarimento della questione che stiamo trattando. Ecco questo Vangelo (Jo. IV, 7): « Allora venne una donna di Samaria ad attingere acqua. Gesù le disse: Dammi da bere. Infatti, i suoi discepoli erano andati in città per comprare del cibo. La donna gli disse: Come puoi tu, giudeo, chiedere da bere a me, donna samaritana? Perché i Giudei non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le rispose: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice: Dammi da bere, avresti potuto chiedergli la stessa cosa ed Egli ti avrebbe dato acqua viva. La donna gli disse: Signore, voi non avete un recipiente da cui attingere e il pozzo è profondo; da dove prendereste quest’acqua viva? Siete forse più grande di Giacobbe nostro padre, che ci ha dato questo pozzo e ne ha bevuto lui stesso, così come i suoi figli e le sue greggi? Gesù le disse: Chiunque beve quest’acqua avrà ancora sete, ma chi beve l’acqua che io gli darò non avrà mai più sete. Ma l’acqua che Io gli darò diventerà in lui una fonte d’acqua che zampillerà per la vita eterna. » Chi non riconosce in queste ultime parole il fiume d’acqua viva di cui parliamo; e qual è la fonte da cui l’acqua può sgorgare alla vita eterna, se non lo Spirito Santo, che è Dio, infinitamente perfetto, e che procede dal Padre e dal Figlio?

III. Vers. 2. – In mezzo alla piazza della città, ai due lati del fiume, c’era l’albero della vita, che porta dodici frutti e dà i suoi frutti ogni mese, e le foglie dell’albero guariranno le nazioni. Queste parole hanno un significato difficile, diremmo addirittura impenetrabile, poiché contengono i grandi misteri della Santa Trinità, dell’Incarnazione e della Redenzione. Senza voler dunque cercare inutilmente di scrutare verità così profonde che nessun mortale può comprendere, ci limiteremo a dimostrare come questo enigma contenga in sé verità così grandi:  Al centro della piazza della città, su entrambi i lati del fiume, c’era l’albero della vita. Come il fiume di acqua viva menzionato nel versetto precedente allude al fiume del paradiso terrestre menzionato nella Genesi, così l’albero della vita menzionato qui ricorda anche l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male. E aggiungeremo anche che tutto il passo che citeremo da questo primo libro della Scrittura, è un tipo e una figura sensibile della città santa che abbiamo appena descritto. È riportato in Genesi, (II, 7): « Così il Signore formò l’uomo dall’argilla della terra ed effuse sul suo volto il soffio della vita, e l’uomo divenne vivo e vitale. Ora il Signore Dio aveva piantato fin dal principio un delizioso giardino, nel quale mise l’uomo che aveva creato. Il Signore aveva anche prodotto dalla terra ogni sorta di alberi, belli alla vista e il cui frutto era piacevole al gusto; e pose l’albero della vita in mezzo al paradiso, con l’albero della conoscenza del bene e del male. In questo luogo di delizie, uscì un fiume per irrigare il paradiso, etc. » Come possiamo vedere, questo delizioso giardino ci offre più o meno le stesse circostanze che troviamo nella Gerusalemme celeste. La prima è per il corpo animale ciò che la città santa è per il corpo spirituale di cui parla San Paolo. Questo giardino era un luogo di delizie per il corpo animale, e la Gerusalemme celeste sarà una dimora di felicità e gloria per il corpo spirituale. L’uomo è stato creato nel paradiso terrestre con un’anima viva; in cielo sarà riempito di uno spirito vivificante. Il primo uomo è quello terreno, formato dalla terra, dice San Paolo; il secondo è quello celeste, che viene dal cielo. Nel paradiso terrestre, c’era l’albero della vita, che doveva rendere incorruttibile il corpo corruttibile del primo uomo; ma c’era anche l’albero della conoscenza del bene e del male, che diede la morte all’anima e poi al corpo dei nostri primi genitori, quando disubbidirono a Dio, mangiando il frutto proibito. In cielo, ci sarà anche un albero della vita, ma quanto diverso da quello del giardino dell’Eden! Questo era materiale e terreno, questo è spirituale e divino. L’uno era destinato a preservare la vita del corpo, l’altro preserverà la vita del corpo e dell’anima. Il terrestre, tuttavia, non ha impedito al corpo umano di perire, il celeste distruggerà il male alla sua fonte e lo renderà impossibile; perché come il primo poteva conservare solo il corpo, il secondo conserverà l’anima, e le ridarà la vita nel tempo, in modo da rendere immortali nell’eternità sia il corpo che l’anima. Così la virtù di questo albero divino è infinitamente superiore a quella dell’albero terrestre, poiché non solo conserva i corpi viventi, ma salverà anche ciò che era perito, restituirà la vita ai corpi e li renderà incorruttibili, restituirà la grazia alle anime e le renderà impeccabili. Perché, secondo San Paolo, « questo corpo corruttibile deve essere rivestito di incorruttibilità, e questo corpo mortale di immortalità. E dopo che questo corpo di morte sarà stato rivestito di immortalità, questa parola della Scrittura si compirà: «la morte è stata assorbita nella vittoria: » la vittoria dell’anima sul corpo, la vittoria della vita sulla morte, la vittoria dell’albero della vita sull’albero della morte; e allora questo albero della morte, l’albero della conoscenza del bene e del male, non esisterà più in cielo, dove i Santi godranno di tutti beni, senza paura o possibilità o mescolanza di alcun male. Da qui le parole di San Paolo, (1 Cor. XV, 55), che alludono all’albero della vita, l’albero della vita eterna, e anche all’albero della morte, l’albero della conoscenza del bene e del male: « O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo pungiglione? Ora il pungiglione della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge. » La legge di Dio violata, la legge che proibiva all’uomo di mangiare il frutto proibito. Poi San Paolo aggiunge subito queste parole rimarchevoli, in quanto coincidono perfettamente con il nostro testo: « Ma grazie a Dio, che ci ha dato la vittoria per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. » Così è dunque Gesù Cristo questo albero della vita, l’albero della vita eterna, di cui il primo, quello del paradiso terrestre era il tipo. E questo albero è anche la vite di cui si parla in San Giovanni XV: « Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo.  Egli taglierà tutti i rami che non portano frutto in me, e emenderà con la mortificazione cristiana tutti quelli che portano frutto, affinché portino ancor più frutto. Voi già siete puri a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e Io in voi. Come il tralcio della vite non può portare frutto da solo, se non rimane unito alla vite, così è per voi se non rimanete in me. Io sono la vite e voi i tralci. Chi rimane in me, e Io in lui, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla. Se qualcuno non rimane in me, sarà gettato via come un tralcio e appassirà, sarà raccolto e lo si getterà nel fuoco e ivi sarà bruciato. » – Come possiamo vedere, Gesù Cristo si paragona a una vite, e tutti i fedeli, dice, sono i tralci di questa vite senza i quali non possono fare nulla. I rami che rimangono attaccati alla vite portano molto frutto. Vedremo presto quali saranno questi frutti.

IV. In mezzo alla piazza della città, su entrambi i lati del fiume, c’era l’albero della vita, che porta dodici frutti e dà i suoi frutti ogni mese, e le foglie dell’albero guariranno le nazioni. Abbiamo visto nel capitolo precedente, che i fedeli credenti formeranno la piazza della città santa, e che questa piazza della città sarà d’oro puro come vetro trasparente. Ora, è al centro della piazza, cioè al centro dei fedeli, che sarà l’albero della vita di cui ci parla San Giovanni. E questo albero era su entrambi i lati del fiume. Come può essere che solo un albero sia posto su ciascuna delle due parti di un fiume? Questo può essere spiegato da ciò che sappiamo della processione dello Spirito Santo nel mistero della Santa Trinità, e soprattutto dalle parole del versetto precedente, in cui vediamo che questo fiume è uscito dal trono di Dio, e anche dall’Agnello, cioè dall’albero stesso di Gesù Cristo, che è la sua fonte. Inoltre, questo passaggio si spiega con il mistero dell’Incarnazione, che ci insegna che il Figlio di Dio si è rivestito della nostra umanità, in modo da essere Dio e uomo allo stesso tempo. Ora, come questo fiume di acqua viva sgorga dalla divinità del Padre e del Figlio, per fecondare l’umanità che Gesù Cristo rappresenta, essendo diventato Egli stesso uomo; ne consegue che questo fiume scorre tra due rive, alle estremità di ciascuna delle quali è posto l’albero della vita, Gesù Cristo, poiché Egli appartiene a queste due parti principali del fiume, la fonte e la foce, essendo Dio e uomo insieme. Come Dio, è la sorgente stessa del fiume, e come uomo e capo della Chiesa, ne è la foce. Possiamo trovare un paragone più ammirevole per rappresentarci, in due parole, l’unione delle tre Persone della Santa Trinità, e allo stesso tempo l’unione della Divinità con l’umanità? È nello stesso senso che la Chiesa termina le sue orazioni; poiché si rivolge a Dio Padre Onnipotente, per ottenere tutti i beni attraverso Nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna con il Padre in unione con lo Spirito Santo. Tanto per i misteri della Santa Trinità, dell’Incarnazione e anche della Redenzione. Ma quest’ultimo mistero è espresso ancora più chiaramente dalle parole che seguono:

V. In mezzo alla piazza… c’era l’albero della vita, che porta dodici frutti e dà i suoi frutti ogni mese, e le foglie dell’albero guariranno le nazioni. Chi non riconoscerà in queste ultime parole la santissima Eucaristia, che riassume tutto il piano della Redenzione divina e ci offre un quadro completo di tutta la storia dell’umanità, dall’uomo caduto nel paradiso terrestre all’uomo rigenerato nella Gerusalemme celeste. Infatti, abbiamo visto che Gesù Cristo si paragona a una vite di cui i fedeli sono i tralci, e che questi tralci, per portare molto frutto, devono rimanere attaccati alla vite. « Io sono la vite e voi siete i tralci. Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla. » Come fa ora Gesù Cristo a rimanere in noi e noi in Lui? Questo è ciò che ci spiega nel Vangelo, quando ci dice (Jo. VI, 51): « Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che Io darò per la vita del mondo è la mia carne. I Giudei, dunque, disputavano tra di loro, dicendo: Come può quest’uomo darci la sua carne da mangiare? E Gesù disse loro: In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è davvero carne e il mio sangue è davvero bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e Io in lui. Come vive il Padre mio che mi ha mandato, e Io vivo a causa del Padre mio, così chi mangia me vivrà a causa mia. Questo è il pane che è sceso dal cielo. Non è come la manna che mangiarono i vostri padri e che non impedì loro di morire. Chi mangia questo pane vivrà eternamente. » Ora confrontiamo queste ultime parole del Vangelo che abbiamo appena citato con quelle del nostro testo, e vedremo se questo pane di vita non è lo stesso delle foglie dell’albero che devono guarire le nazioni.

VI. In mezzo alla piazza della città … c’era l’albero della vita…; e le foglie dell’albero sono per guarire le nazioni. Questo paragone delle foglie è mirabilmente scelto per rappresentare la santissima Eucaristia, che è il pane di vita sceso dal cielo per dare la vita eterna agli eletti. Infatti: 1° La foglia di un albero si forma dalla sua sostanza. 2° L’albero che produce la foglia è vivo, ed è la linfa dell’albero che dà vita alla foglia. 3° La foglia di un albero è composta da due sostanze principali che sono le membrane e la linfa. 4° La foglia si stacca dall’albero. 5° Serve da ombra per riparare l’uomo. 6° Il vento la porta via e si sparge sul terreno. 7° Nel rigore dell’inverno l’albero non produce più foglie. 8° Le foglie di certi alberi sono eccellenti rimedi in medicina. 9° Le foglie sono sollevate dall’albero e scendono sulla terra. 10° Se il ramo è secco, non produce più foglie. 11° La foglia che cade ai piedi dell’albero serve, secondo le leggi della natura, a nutrirlo. Ora, queste sono precisamente le caratteristiche della Santissima Eucaristia. Ed infatti: 1°. La santissima Eucaristia è composta dalla sostanza stessa dell’albero della vita che è Gesù Cristo. 2°. Gesù-Cristo è vivente; quando Egli istituì la santa Eucarestia e quando pronunziò quelle parole per sempre memorabili: « Questo è il mio corpo, etc. », il pane che viene distribuito ai fedeli sotto forma di ostie, simile nella forma alle foglie di un albero, questo pane, diciamo, è stato cambiato in Gesù Cristo stesso e vivificato dalla linfa del suo prezioso sangue, un mistero adorabile che viene riprodotto ogni giorno sui nostri altari per la virtù della stessa parola di Dio « Fate questo in memoria di me » e anche perché Egli è il sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedec. 3° Questo pane contiene due sostanze che sono la Divinità e l’Umanità, e contiene anche, sotto quest’ultimo aspetto, due sostanze essenziali che sono l’anima e il corpo; infine, sotto la sostanza del corpo ci sono due sostanze distinte, che sono il corpo e il sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. 4° La Chiesa dà a questo pane una forma più o meno simile a quella di una foglia d’albero perché possa essere più opportunamente distribuito ai fedeli. 5°. Gesù Cristo ci fa come ombra nella santissima Eucaristia, e ci protegge dal fuoco delle passioni. 6° È soprattutto con il vento delle persecuzioni che le foglie di questo albero si diffondono sulla terra, come ci mostra la storia della Chiesa. 7°. Nei rigori dell’inverno, cioè nelle regioni fredde che l’assenza del sole della fede rende aride, e anche nei periodi di grande siccità, questo albero produce poco o nulla in foglie. 8°. La santissima Eucaristia è il rimedio per eccellenza, perché guarisce e conserva il corpo e l’anima per l’eternità. 9°. Queste foglie cadono sulla terra da una grande altezza, perché sono il pane della vita che è sceso dal cielo. 10° I rami che sono stati separati dall’albero a causa delle eresie sono secchi e non producono più foglie. 11°. Infine, la foglia che cade ai piedi dell’albero per essere messa in bocca ai fedeli diventa feconda, perché i fedeli che si nutrono della santissima Eucaristia a loro volta nutrono l’albero della vita con la carità, che è il sacrificio di se stessi per la gloria di Gesù Cristo e la salvezza del prossimo, secondo il significato di questa parola: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, etc. » Infine, se il fedele muore con questa foglia divina, sarà unito all’albero, che è Gesù Cristo, per l’eternità, secondo quest’altro detto: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e Io in lui. »

VII. Nel mezzo della piazza della città … era l’albero della vita che porta dodici frutti e dà i suoi frutti ogni mese; e le foglie dell’albero guariranno le nazioni.  1 ° Va notato che queste parole sono messe al presente, perché si applicano al tempo presente e anche all’eternità. E le foglie dell’albero della vita guariranno le nazioni. Questo passaggio significa che queste foglie, dopo aver guarito le nazioni nel tempo, daranno loro la vita per il tempo e per l’eternità. 2° L’albero della vita che porta dodici frutti e dà i suoi frutti ogni mese. Questi dodici frutti ci mostrano le qualità infinitamente preziose di questo albero della vita, la cui virtù celeste e divina guarirà tutti i fedeli credenti attraverso le epoche della Chiesa per il tempo e l’eternità. Infatti, questi dodici frutti corrispondono per il numero alle dodici tribù d’Israele che rappresentano l’universalità dei fedeli; poi questi dodici frutti si riferiscono anche ai dodici mesi dell’anno, e ancora alle dodici ore del giorno dell’esistenza del mondo. Così che troviamo in questa mirabile figura due pensieri infinitamente profondi, che sono l’immensità e l’eternità di Dio. Diciamo l’immensità, poiché un solo frutto di questo albero può guarire e nutrire tutti i credenti sia per il tempo che per l’eternità. Vediamo anche in esso l’eternità di Dio, poiché è espressamente detto che questo albero della vita dà i suoi frutti ogni mese, anche per il tempo e per l’eternità. 3º Alla lettera, questi dodici frutti sono i dodici Apostoli, e i dodici mesi corrispondono alle dodici tribù d’Israele che rappresentano l’universalità degli eletti nelle varie età della Chiesa; e siccome la fede predicata dai dodici Apostoli era radicata nell’albero della vita che è Gesù Cristo, per essere predicata e produrre i suoi frutti durante i dodici mesi che rappresentano tutte le età della Chiesa, San Giovanni aveva ragione di dire che questo albero dà i suoi frutti ogni mese; perché alla fine di questi dodici mesi, che rappresentano il tempo dell’esistenza della Chiesa, questi dodici frutti avranno prodotto i centoquarantaquattromila fedeli delle dodici tribù d’Israele che formeranno l’assemblea degli eletti nella Gerusalemme celeste. 4° Quest’albero, che fruttifica ogni mese, ce ne mostra la grande fertilità; poiché, come abbiamo visto nel capitolo della Gerusalemme celeste, il numero degli eletti, che Dio solo conosce e che è rappresentato, secondo l’uso dei profeti, dal numero determinato di centoquarantaquattromila fedeli, supererà di gran lunga questo numero; e il numero degli eletti di tutti i tempi e di tutte le nazioni che avranno mangiato le foglie dell’albero della vita sulla terra sarà molto grande. Mangiamo dunque le foglie di quest’albero nel tempo, se vogliamo godere della gloria e della felicità dei suoi frutti nell’eternità. È Gesù Cristo stesso, l’autore della vita, che ci invita a farlo; ascoltiamo dunque la voce di questo Padre buono, che ci chiama a sé e ci dice: « Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò riposo… Io sono il pane vivo disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo, ecc. ecc. » Ma non dimentichiamo le parole dell’apostolo San Paolo, I. Cor. XI, 27: « Chiunque mangia questo pane o beve il calice del Signore indegnamente, sarà colpevole del crimine contro il corpo e il sangue del Signore. Si metta dunque l’uomo alla prova, e dopo mangi di quel pane e beva da questo calice. Perché chi mangia e beve di esso indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non facendo il discernimento del corpo del Signore. Per questo ci sono molti tra voi che sono malati e languenti, e molti sono morti. Che se noi ci giudicassimo da noi stessi, non saremmo giudicati da Dio, etc. ».

VIII. Vers. 3. – Non ci sarà là più alcuna maledizione, ma lì vi sarà il trono di Dio e dell’Agnello, e i suoi servi lo serviranno. Questo versetto contiene anche la differenza tra il paradiso terrestre e quello celeste. Nel paradiso terrestre c’era, accanto all’albero della vita, l’albero della conoscenza del bene e del male, che portò all’umanità una così grande maledizione. Ma in cielo, non ci sarà più nessuna maledizione possibile, perché l’albero della scienza del bene e del male sarà sostituito dall’albero della vita. Il libero arbitrio, che è stato così fatale all’uomo, non esisterà più per perderlo, ma per goderne di tutta la gloria e la felicità fino alla fine dei tempi, cioè per quanto l’uomo vuole e può godere della luce eterna con l’aiuto della luce eterna. Lì non ci sarà più maledizione, perché non ci sarà più alcun male possibile, ma ci sarà il trono di Dio e dell’Agnello, fonte di ogni bene e di ogni gloria, senza alcuna mescolanza di bene e di male. E i suoi servi lo serviranno con gloria e felicità.

IX . Vers. 4 – Vedranno il suo volto e avranno il suo nome scritto sulla fronte. O Dio, qual gloria e felicità avete riservato a coloro che vi amano, perché potranno contemplarvi faccia a faccia, così da diventare simili a Voi, ed avranno il vostro stesso Nome scritto sulla fronte, perché saranno vostri figli ed eredi della vostra gloria, e porteranno il vostro Nome, come un figlio porta il nome del padre suo! Il loro nome sarà illustrato con la gloria di Dio stesso, e la loro eredità sarà immensa ed eterna come Dio. Questo è confermato dalle seguenti parole, che si spiegano da sole:

Vers. 5E non ci sarà più notte, non avranno bisogno di lampade, né della luce del sole, perché il Signore Dio darà loro la luce, ed essi regneranno nei secoli dei secoli.

X. Le parole che seguono sono una ricapitolazione degli avvertimenti generali che il Signore indirizza alla Sua Chiesa su questa rivelazione. E siccome questi passaggi sono già stati interpretati, ci limiteremo a citarli, lasciando al lettore il compito di farne il proprio confronto e l’applicazione per il proprio uso e per il beneficio che trarrà dalla ricezione di questo libro.

Vers. 6. Ed egli mi disse: Queste parole sono certissime e veraci: il Signore, il Dio degli spiriti dei profeti, ha mandato un Angelo per rivelare ai suoi servi ciò che deve avvenire presto.

Vers. 7. Io vengo presto: beato chi osserva le parole della profezia di questo libro.

Vers. 8  Io, Giovanni, ho udito e visto queste cose. E quando le ho sentite e viste, sono caduto in adorazione ai piedi dell’Angelo che me le ha mostrate.

Vers. 9: Ma egli mi disse: Guardati dal fare così, perché io sono un servo come te e come i tuoi fratelli profeti, e come coloro che osservano le parole di questo libro, adorate Dio.

XI. Vers 10. Ed egli mi disse: Non sigillare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino. Nel linguaggio dei Profeti, sigillare una profezia non significa che il suo significato debba essere impenetrabile alle menti degli uomini, come lo fu l’Apocalisse per molti secoli; ma sigillare una profezia significa che il suo adempimento non inizierà che molto tempo dopo la sua pubblicazione. Ma questo non fu il caso di questa rivelazione a San Giovanni. Poiché la sua Apocalisse contiene la storia di tutta la Chiesa dalla sua origine fino alla consumazione dei secoli; questa profezia cominciava già a realizzarsi al tempo di San Giovanni; e anche essa nascondeva sotto i suoi enigmi eventi che erano già passati quando questa rivelazione gli fu fatta. Ma non poté essere compresa per molto tempo, perché gli eventi che annunciava non si erano sufficientemente sviluppati per coglierne il significato e la sequenza. Comprendiamo, quindi, da quanto appena detto, che sebbene questa profezia non sia stata sempre compresa, non è stata, tuttavia, sigillata, poiché ha cominciato ad essere adempiuta dal momento della sua rivelazione ed anche prima; ma Dio ne nascose la comprensione agli uomini per molti secoli, sotto i suoi difficili e numerosi enigmi, perché lo scopo evidente di questa profezia era di colpire gli uomini come una nuova luce, specialmente verso la fine dei tempi, quando la fede comincerà a perdersi a poco a poco, mostrando, come all’improvviso, per rafforzare i suoi eletti, la verità di questa profezia, già verificata nei tempi passati, e come garanzia della certezza degli eventi futuri. Da qui questo passaggio del testo: Non sigillate le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino.

XII. Vers. 11. – Colui che commette l’iniquità la commetta ancora; colui che è contaminato sia contaminato ancora; colui che è giusto diventi più giusto ancora; colui che è santo sia santificato ancora. Queste parole sono terribili e consolanti allo stesso tempo. Perché contengono maledizioni eterne per i peccatori e benedizioni infinite per i giusti. Infatti, secondo il Salmista, Ps. XLI, 8: « Un abisso chiama un abisso. » Un abisso di ingiustizia richiede un abisso di ingiustizia e punizione; perciò il Salmista aggiunge: « Al fragore delle tue cascate; tempeste e delle acque che tu mandi, o mio Dio, tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati. » Al contrario, un abisso di giustizia richiede un abisso di misericordia. Infatti, il salmista continua: « Di giorno il Signore mi dona la sua misericordia, di notte per lui innalzo il mio canto: la mia preghiera al Dio vivente. Dirò a Dio, Voi siete mia difesa: perché mi avete dimenticato? Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico? Per l’insulto dei miei avversari sono infrante le mie ossa; essi dicono a me tutto il giorno: Dov’è il tuo Dio?. Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio. Giudicatemi, o Dio, e distinguete la mia causa da quella di una nazione non santa. Toglietemi dalle mani dell’uomo malvagio e ingannatore.Poiché tu sei la mia forza, o Dio! Perché mi hai respinto? Perché mi vedo ridotto a camminare nella tristezza, afflitto dal nemico? Mandate la vostra luce e la vostra verità, ed esse mi condurranno al vostro santo monte e ai vostri tabernacoli. Ed entrerò fino all’altare di Dio, fino a Dio stesso, che riempie di gioia la mia gioventù. Canterò le tue lodi sull’arpa, o Dio, o mio Dio. Perché sei triste, anima mia, e perché mi conturbi? Spera in Dio, perché devo ancora lodarlo; Egli è la salvezza del mio volto ed è il mio Dio. » È soprattutto attraverso la preghiera che il giusto deve diventare ancora più giusto, e colui che è santo può diventare ancora più santo, perché la salvezza viene da Dio. Più ci si avvicina a Lui, più si desidera andare da Lui; e più ci si allontana da Dio, più si desidera allontanarsi da Lui. Il malvagio è come un albero che cade dalla parte in cui pende, e più l’albero tende ad inclinarsi per la forza di attrazione, finché alla fine cade da sé o per l’ascia del giardiniere. Il giusto, invece, si eleva in proporzione alla sua giustizia. Perché più l’albero è ritto, più di eleva. E la sua pianta, ora alta e bella, viene utilizzata per la costruzione di edifici e di mobilia, mentre il legno contorto e piegato, è destinato ad essere gettato nel fuoco.

XIII. Vers. 12Ecco, io vengo presto e avrò con me la mia ricompensa, per rendere ad ogni uomo secondo le sue opere. Perché secondo San Matteo, (III, 10): « Già la scure è posta alla radice dell’albero (dal germe di morte che portiamo in noi), e ogni albero che non porta buoni frutti sarà tagliato e gettato nel fuoco. »

Vers. 13. – Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine. Perché la verità è eterna, e la giustizia è eterna, e il passato e il futuro appartengono solo a Dio, che renderà a ciascuno secondo le sue opere. Io sono il principio e la fine; cioè, vi ho detto la mia parola all’inizio e vedrete il suo compimento alla fine.

Vers. 14. – Beati coloro che lavano le loro vesti nel sangue dell’Agnello, per avere diritto all’albero della vita e per entrare nella città dalle porte. Facciamo dunque degni frutti di penitenza e sottomettiamoci alla Chiesa, affinché possiamo un giorno entrare per questa porta nella vita eterna.

Vers. 15. – Lungi da qui i cani, gli avvelenatori, gli impudichi, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ami e proferisca menzogna. Lungi da qui i persecutori della Chiesa, che sono come cani rabbiosi, gli avvelenatori, gli eresiarchi, gli impudichi, chi indulge alle voluttà, gli omicidi, che trascurano le vie della giustizia e della carità, gli idolatri, che dimenticano Dio per prostituirsi alla creatura, e chiunque ami e preferisca la menzogna, perché il diavolo è loro padre.

XIV. Vers. 16. – Io, Gesù, ho mandato il mio Angelo a testimoniarvi queste cose nelle Chiese. Io sono la progenie e il figlio di Davide, la stella che brilla al mattino. Qui Gesù cita se stesso come testimone delle verità contenute in questo libro dell’Apocalisse, dicendoci che Egli è la progenie e il figlio di Davide, cioè, Gesù Cristo di Nazareth crocifisso, la stella che brilla al mattino dall’inizio della Chiesa, e la cui luce non sarà mai più eclissata, che ha mandato il suo Angelo a rendere testimonianza delle cose contenute nell’Apocalisse, e a pubblicarle nelle sette Chiese d’Asia, rappresentanti l’universalità e la perpetuità della Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana.

XV. Vers. 17. – Lo Spirito Santo e la sposa dicono: Venite. Colui che ascolta dica: “Venite”. Chi ha sete, venga; e chi lo desidera, riceva gratuitamente l’acqua della vita. Quante consolazioni sono contenute in questo versetto! Lo Spirito Santo e la sposa, che è la Chiesa, dicono: Vieni. Così non è solo la voce dei predicatori che ci invita; non sono solo i marchi visibili della Chiesa che attirano gli sguardi degli occhi di tutti gli uomini: dei buoni che ascoltano e seguono la sposa, e dei malvagi che la perseguitano; perché se questi potenti mezzi sembrano tuttavia troppo deboli per convincere gli uomini della verità eterna; se anche dei Cattolici non possono comprendere i giudizi segreti di Dio, chi rigetterà un gran numero di uomini nelle fosse dell’inferno, perché non sono appartenuti alla Chiesa Cattolica; e se questi giudizi sembrano loro troppo severi perché credono che i segni della vera Chiesa non siano sufficientemente visibili e sensibili per convincerci; questi Cattolici sappiano e imparino dalla bocca di Gesù Cristo stesso, che scruta i cuori e le menti, che non solo la Chiesa ma anche lo Spirito Santo dice a tutti nel segreto delle loro coscienze: Venite! E se tutti non sono venuti, a chi va data la colpa? Chi ascolta dica: “Venite“. Cioè, colui che vuole ascoltare questa voce interiore ed esteriore dica: Venite! Questo gli è sufficiente. Egli ha acconsentito ad accettare liberamente l’acqua della vita che è sempre offerta a tutti, sia per voce della Chiesa che per voce dello Spirito Santo. Questo gli è sufficiente, diciamo, poiché possiede con ciò una delle otto beatitudini che gli promette l’acqua della fonte eterna e il frutto dell’albero della vita; poiché è scritto, (Matteo V, 6): « Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. » Ho già visto sulle vostre labbra un sorriso di pietà, e lo spirito di incredulità vi suggerisce questo pensiero: come possono gli individui ritirati nel centro di nazioni barbare, tra le quali la luce della fede non è mai penetrata, avere anche solo l’idea dell’esistenza della Chiesa Cattolica? Gesù Cristo stesso vi risponde, che lo Spirito Santo dice loro nel segreto delle loro coscienze: Venite; la Chiesa ci dice che il battesimo di desiderio può bastare al bisogno, e il Vangelo aggiunge un mezzo che è possibile e anche facile per tutti gli uomini; un mezzo che chiuderà la bocca di tutti gli empi, che non avranno voluto ascoltare lo Spirito Santo; perché questo mezzo infallibile è a disposizione di tutti. Questo mezzo è tanto sicuro e facile quanto è vero il Vangelo, poiché è scritto: « Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. » E chi è l’uomo che, nonostante la sua ignoranza dei misteri della fede di Gesù Cristo, chi è l’uomo, diciamo, per il quale questa ignoranza sarà stata invincibile, che non abbia tuttavia sentito nel suo cuore come due voci opposte, una delle quali lo spingeva al bene e l’altra, diciamo, lo portava al male? Ebbene, questa prima voce era quella dello Spirito Santo, che continuava a dirgli: Venite; in altre parole, questa voce gli stava dicendo: Fa’ il bene ed evita il male, sii giusto e caritatevole verso i tuoi fratelli, resisti al torrente impetuoso delle tue passioni che la concupiscenza ha acceso nella tua anima, etc., etc. Ora, questi non sono forse sentimenti che ogni uomo ragionevole, per quanto ignorante delle verità della fede lo si possa supporre, … non sono sentimenti che la legge naturale, incisa nei nostri cuori, ci ispira costantemente, e che il soffio dello Spirito Santo cerca di far fruttare, secondo queste parole: Lo Spirito Santo e la sposa dicono: Venite? Se poi tutti gli uomini ragionevoli ascolteranno questa voce, Dio non li punirà per la loro invincibile ignoranza, ma li ricompenserà eternamente per i loro sforzi e la loro buona volontà, secondo le parole: « Pace agli uomini di buona volontà. » Perciò l’Apostolo aggiunge: Chi ascolta dica: Venite. Chi ha volontà, venga, e chi lo desidera, riceva liberamente, per la misericordia di Dio, l’acqua della vita, della vita eterna. Poiché sta scritto, (Matth. V, 6): « Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. » Aggiungeremo che non è così difficile come si immagina, per le nazioni barbare, desiderare l’acqua della vita. Per convincersene, basta leggere gli annali della propagazione della fede, e si vedranno le frequenti richieste fatte da questi popoli per ottenere dei missionari. Felici queste nazioni, se sfuggono ai lupi che si presentano loro in veste di pecore, che in realtà non sono altro che lupi famelici che escludono le anime dal vero ovile! Perché allora non rimangono altre risorse per queste nazioni sedotte che quelle che abbiamo appena indicato, per assicurare la loro salvezza. Speriamo che Dio tenga conto delle difficoltà in cui il nemico li avrà gettati a loro insaputa e contrariamente ai loro pii e salutari desideri.Ma voi direte ancora: Queste nazioni barbare non hanno mai conosciuto Gesù Cristo, quindi come possono essere appartenuti allo spirito della sua Chiesa? Senza nascondervi la difficoltà dell’obiezione, vi risponderemo che essa non è insolubile nello Spirito Santo; secondo le parole di San Giovanni, III, 8: « Lo Spirito soffia dove vuole, e voi sentite la sua voce, ma non sapete da dove viene, né dove va; così è di ogni uomo che è nato dallo Spirito.  Cioè, ogni uomo che è nato dallo Spirito e non dalla carne, e ogni uomo buono che ha fame e sete di giustizia, sente la voce dello Spirito che gli dice: Venite. E l’uomo risponde: Venite. Perché lo Spirito soffia dove vuole. Allora vi diremo che la conoscenza della venuta passata o futura di un Redentore, non è così limitata come immaginate. Poiché Dio ha permesso nella sua bontà paterna e secondo il piano dei suoi segreti disegni, che le numerose e variate favole, che sono una corruzione della storia del giardino dell’Eden, fossero conservate e diffuse tra queste nazioni, come un mezzo segreto di cui Dio si è servito per dare loro l’idea di un Redentore. Quanto alle difficoltà che potrebbero essere sollevate circa l’assoluta necessità del Battesimo, attingendo alle parole di San Giovanni, (III, 5): « In verità, in verità vi dico: se uno non nasce di nuovo dall’acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio », ci basta far notare che non ci si salva solo col Battesimo d’acqua, ma anche col battesimo di desiderio e col battesimo di sangue, e che di conseguenza un numero molto grande di anime che non avrebbero potuto ricevere il Battesimo dell’acqua, saranno non di meno salvate dal Battesimo di desiderio o dal Battesimo di sangue. Quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa non ha mai fissato il loro destino, e sappiamo che non sarà quello dei dannati. Come possiamo vedere, coloro che non rispondono a questa chiamata della Chiesa e dello Spirito Santo non avranno scuse davanti al tribunale di Dio Onnipotente. Essi non avranno nemmeno saputo dell’esistenza della Chiesa, direte voi; e Dio vi risponderà: È vero, ma avevano la legge naturale, che Io avevo inciso nei loro cuori; il mio Spirito Santo ha ispirato loro un desiderio di giustizia e il mio Vangelo ha promesso di soddisfarli. Venite, dunque, o voi tutti che non avete potuto entrare nel corpo della mia Chiesa, ma che vi siete appartenuti in spirito attraverso i vostri santi desideri; venite, perché mio Figlio vi ha riscattato dalla schiavitù del peccato; il Verbo si è fatto carne per salvare la carne e lo spirito. Venite, dunque, o voi tutti che avete risposto alla chiamata dello Spirito Santo e della Chiesa che vi ha detto sulla terra: Venite. Perché Voi li avete ascoltati ed avete detto loro a vostra volta: Venite. Voi avete fatto conoscere loro la vostra sete ascoltandoli e rispondendo loro con i vostri santi desideri: Venite. Ecco perché Io vi darò gratuitamente e di buon grado e misericordia l’acqua della vita, e sarete saziati per sempre, come sta scritto nella mia Apocalisse: lo Spirito Santo e la sposa dicono: Venite. Colui che ascolta dica: “Venite“. Chi ha sete, venga; e chi lo desidera, riceva gratuitamente l’acqua della vita. Lungi da qui i cani, i persecutori della Chiesa, gli avvelenatori, i predicatori del vizio e dell’errore, i falsi apostoli e gli scandalosi, gli impuri che seguono la legge della carne e rifiutano quella di Dio, gli omicidi, i tiranni, coloro che commettono ingiustizie, gli oppressori dei deboli, della vedova e dell’orfano, gli sprezzatori dei poveri, gli idolatri che si prostituiscono alla creatura, e tutti coloro che amano e preferiscono la falsità, perché sono figli del demonio.

XVI. Con ciò vediamo quanti Cristiani ci saranno ai quali si possono applicare quelle parole del Vangelo dette al popolo giudaico che sono la figura della Chiesa: « I primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi ». Quanti Cristiani, infatti, saranno stati i primi a conoscere la legge di Gesù Cristo, e tuttavia avranno vissuto solo secondo la carne? Quanti sono stati chiamati dalla voce dello Spirito Santo e dalla voce della Chiesa, eppure non hanno risposto a quella chiamata? E poiché molti cattivi Cristiani saranno morti nei loro peccati, e pochi di loro avranno risposto a questa chiamata facendo penitenza, non è giusto applicare loro queste parole rivolte al popolo giudaico, al quale possono essere paragonati per il crimine della morte di Gesù Cristo, che essi crocifiggono con i loro vizi. « Ci saranno molti chiamati e pochi eletti! » Ma poiché il numero dei veri Cristiani sarà stato molto grande, e poiché questo numero sarà immensamente accresciuto da coloro che hanno appartenuto in spirito alla Chiesa di Gesù Cristo tra le nazioni che non hanno potuto far parte del corpo dei fedeli, e poiché il numero di questi ultimi supererà forse di gran lunga il numero di coloro che hanno disertato, il risultato sarà una scena di inaspettata vergogna e confusione per i malvagi, ed una brillante manifestazione di gloria e consolazione, attesa per i giusti. Perché Dio non permetterà che si dica per tutta l’eternità che il sangue del suo Figlio è stato inutile. Quanto più, dunque, Gesù Cristo avrà manifestato la sua potenza, la potenza del Cristianesimo sulla terra, tanto più trionferà in cielo. Perché se, nonostante la sua grande superiorità sulle nazioni barbare, il Cristianesimo ci offre tuttavia sulla terra un’immagine continua delle umiliazioni del suo Autore, per servirci da esempio, come sarà nell’altra vita, quando vedremo l’inizio del vero regno dell’Agnello, e il Padre Onnipotente incoronerà lo Sposo e la sua Sposa per tutta l’eternità? Perché (Ps. CIX): « Il Signore dice al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché non avrò fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi. Il Signore farà uscire da Sion lo scettro della tua potenza; tu stabilirai il tuo impero in mezzo ai tuoi nemici. La regalità è con te nel giorno della tua forza, in mezzo allo splendore dei tuoi santi. Ti ho generato dal mio seno prima dell’aurora. Il Signore ha giurato e non si pentirà: tu sei il sacerdote eterno, secondo l’ordine di Melchisedec. Il Signore è alla tua destra; Egli ha frantumato i re nel giorno della sua ira. Egli eserciterà il giudizio in mezzo alle nazioni; riempirà tutto di rovine; schiaccerà le teste di un gran numero. Egli berrà l’acqua del torrente nella via, “per mezzo del martirio”. » Tale sarà allora il regno di Gesù Cristo sulla terra. Ora ecco la sua gloria in cielo.  Infatti il Salmista aggiunge: « Ecco perché alzerà il capo ». Sarà innalzato sulla croce, e trionferà sulla croce. E quale sarà questo trionfo? Sarà solo il trionfo di una gloria eterna e di un onore infinito per pochi eletti? No, perché altrimenti la gloria del Figlio dell’uomo non sarebbe completa, poiché il Signore ha detto (Mt. XXVI, 28): « Perché questo è il mio sangue, il sangue della nuova alleanza, che sarà versato per molti per la remissione dei peccati. » Vediamo ora se questo sangue sarà stato sterile, e se non sarà stato veramente versato per molti. Ascoltiamo il Profeta che annuncia alla Sposa, sotto la figura di Gerusalemme, ciò che sarà soprattutto nel giorno dell’eternità: Isaia, LX: « Alzati, Gerusalemme, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore si è levata su di te. Poiché, ecco, le tenebre ricopriranno la terra, nebbia fitta avvolgerà le nazioni; ma su di te si leverà il Signore, la sua gloria si vedrà risplendere su di te. Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli verranno da lontano, le tue figlie verranno da ogni parte. A quella vista sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché le ricchezze del mare si riverseranno su di te. Sarete sommersi da una schiera di cammelli, dai dromedari di Madian e di Efa. Tutti loro verranno da Saba per portarti oro e incenso e per proclamare le lodi del Signore. Tutti i greggi del Cedar saranno riuniti a te; i montoni di Nabajoth saranno usati per il tuo servizio; saranno offerti al mio altare come ostie gradite, e io riempirò di gloria la casa della mia maestà. Chi sono coloro che si lasciano trasportare come nuvole nell’aria e volano come colombe quando ritornano alle loro colombaie? Perché le isole mi aspettano, e le navi sono pronte sul mare già da molto tempo, per far venire i tuoi figli da lontano, per portare con loro il loro argento e il loro oro, e per consacrarlo nel nome del Signore tuo Dio e del Santo d’Israele che ti ha glorificato. I figli degli stranieri costruiranno le tue mura e i loro re ti serviranno, perché ti ho colpito nella mia indignazione e ti ho mostrato misericordia riconciliandomi con te. Le tue porte saranno sempre aperte, non saranno chiuse né di giorno né di notte affinché le ricchezze delle nazioni siano portate a te e i loro re condotti a te. Perché il popolo e il regno che non si sottomette a te perirà, e io farò di quelle nazioni un terribile deserto. La gloria del Libano verrà in te; l’abete, il bosso e il pino serviranno insieme come ornamento del mio santuario, e glorificherò il luogo dove hanno riposato i miei piedi. I figli di coloro che ti hanno umiliato verranno a prostrarsi davanti a te e tutti quelli che ti hanno disprezzato adoreranno le orme dei tuoi piedi e ti chiameranno la città del Signore, la Sion del Santo d’Israele.  Perché siete stati abbandonati ed esposti all’odio, e non c’era nessuno che ti passasse accanto, io ti stabilirò in una gloria che non finirà mai, e in una gioia che durerà per tutti i secoli. Succhierete il latte delle nazioni, sarete nutriti dalla mammella dei re, e saprai che Io sono il Signore che ti salva e il forte di Giacobbe che ti riscatta. » Prestiamo ora attenzione alle parole che seguono, e che si applicano specialmente alla Gerusalemme celeste; perché il Profeta,  dopo aver annunciato la prosperità della fede sotto la figura di Gerusalemme, alla quale i popoli e le nazioni si sottometteranno, ci mostrerà ora la felicità e la gloria che risulteranno nell’eternità, per un immenso numero di uomini destinati a popolare la più grande e fiorente città che sia mai esistita, la città celeste. Il Profeta aggiunge: « Vi darò oro invece di ottone e argento invece di ferro; ottone invece di legno e ferro invece di pietre. Farò in modo che la pace regni su di voi e che la giustizia regni su di voi. La violenza non sarà più udita nel vostro territorio, né di distruzione e di oppressione in tutte le vostre terre. La salvezza circonderà le tue mura e le lodi si faranno sentire alle tue porte. Non avrai più il sole per illuminarvi durante il giorno, ed il chiarore della luna non brillerà su di voi; ma il Signore stesso sarà la vostra luce eterna, e il vostro Dio sarà la vostra gloria. Il vostro sole non tramonterà più e la vostra luna non diminuirà, perché il Signore sarà la vostra luce eterna e i giorni delle tue lacrime saranno finiti. Tutto il tuo popolo sarà un popolo di giusti; possiederà la terra per sempre, perché saranno i germogli che io ho piantato, le opere che la mia mano ha fatto per la gloria. Mille usciranno dal minimo di loro, e dal più piccolo un grande popolo. Io sono il Signore e farò improvvisamente queste meraviglie quando sarà giunto il tempo. »  – Chi oserà dire che questa profezia non si applichi molto di più alla Gerusalemme celeste che a quella terrena? E chi oserà dire, senza essere temerario, che il numero degli eletti sarà piccolo, dopo queste ultime parole che abbiamo citato in corsivo, affinché il lettore possa fissare la sua attenzione su di esse?

Vers. 18. Ma io dichiaro a tutti coloro che ascoltano le parole della profezia di questo libro, che se qualcuno vi aggiungerà qualcosa, Dio lo colpirà con le piaghe descritte in questo libro.

Vers. 19. – E se qualcuno toglierà una sola parola dal libro di questa profezia, Dio lo cancellerà dal libro della vita e lo escluderà dalla città santa, e gli toglierà la parte delle promesse descritte in questo libro. – Queste parole sono rivolte a tutti coloro che cercheranno di corrompere il significato o il testo dell’Apocalisse, come gli eretici non arrossiscono di fare. Tra quelli dei primi secoli si distingue soprattutto Marcione, poi Lutero e i suoi seguaci fecero lo stesso in molti passi della Scrittura.

Vers. 20: Colui che testimonia queste cose dice: “Sì, verrò presto”. Amen. Vieni, Signore Gesù. Gesù Cristo, l’autore di questa profezia, dando se stesso come testimone della sua veridicità, dice alla Chiesa che verrà presto; perché il tempo non è che un punto in relazione all’eternità. E i fedeli che hanno il vero Spirito di Gesù Cristo devono rispondere nel loro cuore: Vieni, Signore Gesù, secondo il significato di quelle parole che recitiamo ogni giorno nel Padre nostro. « Venga il tuo regno, sia fatta la tua santa volontà come in cielo così in terra ».

Vers. 21. Che la grazia del Signore Gesù Cristo sia con tutti voi. Questo libro inizia e finisce come una lettera alle sette Chiese d’Asia e a tutte le altre del mondo cristiano. Amen.

FINE DEL LIBRO NONO

7 OTTOBRE: MADONNA DEL S. ROSARIO DELLA B. V. MARIA (2021)

Madonna del S Rosario della B. V. M.

Doppio di 2° classe – Paramenti bianchi

La festa odierna fu istituita da S. Pio V per ricordare la strepitosa vittoria riportata dai Cristiani sui musulmani a Lepanto il 7 ottobre del 1571, giorno in cui le numerose e diffuse confraternite del Rosario onoravano in modo particolare Maria SS. Sotto l’invocazione di Madonna del Rosario. Forma popolare di devozione e risultato d’una lunga evoluzione attraverso gli ultimi secoli del basso Medio evo, il Rosario – ad imitazione dei 150 Salmi del Salterio – consta di 150 Ave Maria, ogni decina delle quali è intercalata con un Pater e accompagnata dalla meditazione di uno dei principali episodi della vita di Gesù e di Maria. Questa forma altrettanto semplice che facile di preghiera, adatta anche ai meno colti, è divenuta una delle più care alla pietà privata, favorita ed arricchita da indulgenze da parte dei Papi. La festa odierna, celebrando una grande vittoria, celebra pure l’umile ma potente arma cui è dovuta: la preghiera e particolarmente quella del Rosario.

Introitus

Gaudeámus omnes in Dómino, diem festum celebrántes sub honóre beátæ Maríæ Vírginis: de cujus sollemnitáte gaudent Angeli et colláudant Fílium Dei.

[Rallegriamoci tutti nel Signore celebrando questo giorno di festa in onore della beata Vergine Maria! Della sua festa gioiscono gli angeli, e insieme lodano il Figlio di Dio]

Oratio

Orémus.

Deus, cujus Unigénitus per vitam, mortem et resurrectiónem suam nobis salútis ætérnæ præmia comparávit: concéde, quǽsumus; ut, hæc mystéria sacratíssimo beátæ Maríæ Vírginis Rosário recoléntes, et imitémur, quod cóntinent, et quod promíttunt, assequámur.

[O Dio, il tuo Unico Figlio ci ha acquistato con la sua vita, morte e risurrezione i beni della salvezza eterna: concedi a noi che, venerando questi misteri nel santo Rosario della Vergine Maria, imitiamo ciò che contengono e otteniamo ciò che promettono.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Prov VIII:22-24; VIII:32-35


Dóminus possédit me in inítio viárum suárum, ántequam quidquam fáceret a princípio. Ab ætérno ordináta sum et ex antíquis, ántequam terra fíeret. Nondum erant abýssi, et ego jam concépta eram. Nunc ergo, fílii, audíte me: Beáti, qui custódiunt vias meas. Audíte disciplínam, et estóte sapiéntes, et nolíte abjícere eam. Beátus homo, qui audit me et qui vígilat ad fores meas quotídie. et obsérvat ad postes óstii mei. Qui me invénerit, invéniet vitam et háuriet salútem a Dómino.
[Dall’inizio delle sue vie Iddio mi ha posseduta, dal principio dei tempi, prima di ogni opera sua. Fin dall’eternità io sono stata formata; dai tempi remoti, prima che la terra fosse. Ancora non c’era l’abisso, ma io ero già stata concepita. Or dunque, figlioli, ascoltatemi: beati coloro che custodiscono le mie vie. Ascoltate l’ammonizione e diventate saggi, e non vogliate disprezzarla. Beato l’uomo che mi ascolta, che veglia ogni giorno alle mie porte e custodisce la soglia della mia casa. Chi trova me, trova la vita: e dal Signore attingerà la salvezza.]

Graduale

Ps XLIV: 5; 11; 12
Propter veritátem et mansuetúdinem et justítiam, et dedúcet te mirabíliter déxtera tua.
V. Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam: quia concupívit Rex spéciem tuam. Allelúja, allelúja.
V. Sollémnitas gloriósæ Vírginis Maríæ ex sémine Abrahæ, ortæ de tribu Juda, clara ex stirpe David. Allelúja.

[Per la tua fedeltà e mitezza e giustizia la tua destra compirà prodigi.
V. Ascolta e guarda, tendi l’orecchio, o figlia: il Re si è invaghito della tua bellezza.
Alleluia, alleluia.
V. Celebriamo la gloriosa vergine Maria, della discendenza di Abramo, nata dalla tribù di Giuda, nella nobile famiglia di Davide.
Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 1:26-38

In illo témpore: Missus est Angelus Gábriel a Deo in civitátem Galilææ, cui nomen Názareth, ad Vírginem desponsátam viro, cui nomen erat Joseph, de domo David, et nomen Vírginis María. Et ingréssus Angelus ad eam, dixit: Ave, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus. Quæ cum audísset, turbáta est in sermóne ejus: et cogitábat, qualis esset ista salutátio. Et ait Angelus ei: Ne tímeas, María, invenísti enim grátiam apud Deum: ecce, concípies in útero et páries fílium, et vocábis nomen ejus Jesum. Hic erit magnus, et Fílius Altíssimi vocábitur, et dabit illi Dóminus Deus sedem David, patris ejus: et regnábit in domo Jacob in ætérnum, et regni ejus non erit finis. Dixit autem María ad Angelum: Quómodo fiet istud, quóniam virum non cognósco? Et respóndens Angelus, dixit ei: Spíritus Sanctus supervéniet in te, et virtus Altíssimi obumbrábit tibi. Ideóque et quod nascétur ex te Sanctum, vocábitur Fílius Dei. Et ecce, Elisabeth, cognáta tua, et ipsa concépit fílium in senectúte sua: et hic mensis sextus est illi, quæ vocátur stérilis: quia non erit impossíbile apud Deum omne verbum. Dixit autem María: Ecce ancílla Dómini, fiat mihi secúndum verbum tuum.

[In quel tempo, l’angelo Gabriele fu inviato da Dio in una città della Galilea, di nome Nazareth, ad una vergine sposa di un uomo di nome Giuseppe, della stirpe di Davide; e il nome della vergine era Maria. L’angelo, entrando da lei, disse: «Ave, piena di grazia; il Signore è con te; tu sei benedetta fra le donne». Mentre l’udiva, fu turbata alle sue parole, e si domandava cosa significasse quel saluto. E l’angelo le disse: «Non temere, Maria, poiché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai nel tuo seno e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide, suo padre: e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». L’angelo le rispose, dicendo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’ Altissimo ti coprirà della sua ombra. Per questo il Santo, che nascerà da te, sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anch’essa un figlio nella sua vecchiaia ed è già al sesto mese, lei che era detta sterile: poiché niente è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: sia fatto a me secondo la tua parola».]

OMELIA

[J. B. BOSSUET: LA MADONNA NELLE SUE FESTEVittorio Gatti ed. Brescia, 1934]

FESTA DEL ROSARIO

Jesus… deinde dicit discipulo: ecce mater tua.

Luciano, nei suoi dialoghi, narra di un certo filosofo, Eudomide di Corinto, che, Vicino a morire nella più squallida miseria, lasciò in eredità al suo più intimo amico, sua moglie ed i suoi figlioli; persuaso che meglio non poteva dar prova della sua stima per l’amico, che con questo gesto di piena fiducia. Certo, fratelli miei, in quest’atto avremmo qualche cosa di veramente bello se fosse stata compiuto con buona fede e davvero vi fosse stato mutuo amore d’amicizia: ma Purtroppo noi sappiamo che i saggi del mondo ci tengono di più ad apparire che ad essere: e nei loro gesti c’è tutto lo sforzo per ostentare la virtù: e le loro sentenze non sono l’espressione della convinzione e della vita pratica, ma vesti di parata, mostre di una saggezza che non esiste. Lasciamo dunque ai profani le storie profane: abbiamo le Sacre Scritture noi, ricorriamo alle divine pagine del Vangelo di Gesù. – Mi Permetterete, signori, di dirvi che quello che la necessità fece compiere al filosofo di Corinto, l’amore e solo l’amore lo fece fare, ed in un modo tutto divino, al Salvatore nostro Cristo Gesù. – Dall’alto della croce, Egli vede Maria sua Madre ed il discepolo prediletto: gli oggetti più cari del suo amore! Morente vuol loro dare un pegno della sua tenerezza: e dona a sua Madre Giovanni, e al discepolo prediletto sua Madre… con questo gesto, o signori, con questo testamento Gesù tracciava le linee della vera devozione alla Vergine Santa. – Per questo, la Chiesa ci fa leggere nella solennità del Rosario questo brano di Vangelo! Ed io per edificare, accrescere la vostra pietà, spero mostrarvi oggi che con queste parole Maria divenne la Madre di tutti i fedeli: ma prima voglio ripeterle il saluto con cui l’Angelo le annunciava la maternità del Cristo. Ave Maria. Per un tratto d’infinita bontà del Signore, noi troviamo pronunciata nello stesso luogo una sentenza di morte per noi, nella persona dei nostri progenitori caduti; ed una promessa di redenzione e salute che doveva essere base alla nostra speranza, proprio in quel giorno ch’era stato testimonio della ribellione umana. – Il Genesi ci narra che Dio condannando l’uomo alla schiavitù, gli promette insieme un liberatore: e mentre pronuncia la condanna contro di lui, grida minaccioso al serpente che l’aveva sedotto, che avrà schiacciata la testa: cioè il suo dominio sarà spezzato, ed un giorno i vinti saranno strappati alla sua tirannia. Minaccia e promessa si toccano: nello stesso fuoco della collera brilla la luce di un faro di salvezza. Vuole, il Signore, che intendiamo che s’Egli si adira contro di noi, lo fa come un padre buono che sotto l’impeto del più giusto sdegno, non sa dimenticare d’esser padre né contenere gli effetti della sua tenerezza. – Quando considero questo fatto, quello che mi msi presenta più strabiliante in questo operare della divina Provvidenza si è che Adamo stesso che ci precipita nella rovina ed Eva causa della nostra sciagura, dagli Scrittori Sacri ci vengono rappresentati come immagini viventi incarnanti il mistero della nostra santificazione. Gesù non rifiuta d’esser detto: il nuovo Adamo! Maria, la sua Vergine Madre, è detta — la novella Eva — cosicché la nostra redenzione ci è rappresentata dagli autori stessi della nostra rovina. Certamente S. Epifanio considerava sotto questo aspetto la parola Scritturale del Genesi, in cui Eva è detta — Madre dei viventi —. Egli nota, molto profondamente, che venne così chiamata dopo che già aveva compiuta la nostra rovina ed era stata condannata al terribile: morte morieris… ed al: in dolore parieris! e meraviglia il santo dottore, nel vedere che questo nome non le era stato dato nei giorni d’innocenza del paradiso terrestre! E veramente è giusta la sua meraviglia: quando consideriamo che Eva non viene chiamata — Madre dei viventi — che quando era stata condannata a non generare che dei cadaveri. Certamente voi comprendete che in questa contraddizione si nasconde un mistero: mistero che fa dire al Santo Vescovo, che Eva fu così chiamata in enigma, cioè in quanto era figura della Vergine Maria che, associata al Cristo nella casta generazione della nuova economia di grazia, sarebbe diventata, in questa unione col Salvatore, la vera Madre di tutti i viventi, cioè di tutti i fedeli. Ecco una bella figura della indescrivibile maternità di Maria: maternità della quale vi voglio parlar oggi, e che trova il suo coronamento in questa pagina di Vangelo scritta ai piedi della croce del nostro Salvatore. – Cosa vediamo, infatti, sul Calvario: cosa vi ci presenta l’Evangelo? Gesù morente, la Vergine impietrita dal dolore, il discepolo prediletto dal Salvatore delle anime, Giovanni, che, rimessosi dal primo spavento che lo aveva fatto fuggire, ritorna sui suoi passi, segue Gesù e viene al Calvario per raccogliervi l’estremo sospiro del Maestro che vi muore per amore degli uomini! Oh divina e stupenda scena!… ma non è su di essa, che oggi voglio fermare il vostro pensiero. Voglio che consideriate che è proprio in questa sua agonia che Gesù genera il popolo nuovo: miriamo e meravigliamo che proprio nello spasimo di questa generazione, proprio quando noi nasciamo dalle sue piaghe, e nella sua morte troviamo la vita, Egli ha voluto a compagna la sua Madre: anch’Ella generò nello spasimo un figlio: glielo diede il suo Gesù, Giovanni il discepolo che Gesù amava: « Donna ecco tuo figlio ». Ma guardando al discepolo, Gesù non vede solo lui: è vero gli altri sono fuggiti l’hanno abbandonato: ma il Padre guida ai piedi della croce il prediletto del Maestro! Questo povero avanzo della sua Chiesa quasi dispersa, Giovanni, che solo gli resta, gli rappresenta tutti i fedeli, la grande famiglia dei figli di Dio. È tutto un popolo nuovo: popolo di conquista, è tutta la Chiesa che Gesù consegna quale figlio, alla Vergine nella persona dell’amato discepolo! Ed Ella, alla parola del suo Gesù morente diventa non solo la madre di Giovanni, ma la Madre di tutti i credenti in Lui. Ecco che ritorna il pensiero di S. Epifanio: Maria è l’Eva della nuova alleanza, è la vera Madre dei viventi: intimamente unita al Nuovo Adamo diventa la Madre di tutti gli eletti. È questa dottrina cavata dal Vangelo, ch’io oggi porrò come base perché sia vera la devozione alla Vergine, per onorare la quale noi ci siamo qui riuniti. –  Per procedere però con metodo ed ordine e spiegare chiaramente questa verità, tanto importante, vorrei fissaste bene nella vostra mente i due punti in cui riassumo e svolgo tutto il mio dire. Due cose e grandi erano necessarie per dar vita ad un popolo nuovo e render noi figli di Dio per mezzo della grazia. Occorreva l’atto di adozione, ed insieme che noi fossimo riscattati! – Stranieri, anzi nemici di Dio, come saremmo diventati suoi figli se la sua infinita bontà non ci avesse adottati? se il delitto del primo uomo, ci aveva venduti a satana, come avremmo potuto esser restituiti al vero nostro Padre se il Sangue del suo Figliolo prima non ci riscattava dal tiranno? A farci figlioli di Dio era dunque necessaria e l’adozione d’un Dio, e il riscatto nostro operato da Lui stesso. Come saremo adottati? Ecco, la nostra adozione la compie l’amore del Padre celeste. Il riscatto la passione e la morte del Figlio del Padre. Che l’amore di Dio Padre sia il principio della nostra adozione è molto evidente: la natura nostra non può dare figli a Dio, ed allora glieli procurerà il suo stesso amore che ci viene a cercare. Bisognosi dell’amore del Padre per essere adottati, non avevamo meno bisogno della passione e morte del Figlio per essere riscattati, diventando i figli della redenzione: quindi noi nasciamo insieme e dall’amore dell’uno e dalla passione dell’altro. – Adesso domanderò a Voi, o Vergine, a voi Eva della nuova alleanza: Quale parte aveste in questa grand’opera: come partecipaste alla casta generazione dei figli di Dio? Ecco il grande mistero, o Cristiani, e perché l’intendiate bisogna che io vi provi colla Scrittura alla mano che Dio Padre e Dio Figlio associarono la Vergine, il Padre alla fecondità del suo amore, il Figlio alla fecondità della sofferenza: cosicché Maria è nostra Madre prima per l’amor materno, poi per le pene crudeli che le lacerarono l’anima là sul Calvario. È la divisione del mio discorso: ed io senza lasciar l’Evangelo spero mostrarvi che queste due grandi verità ebbero il loro compimento ai piedi della croce: basando su questo fondamento la devozione alla Vergine santa, perché sia vera e feconda.

I° punto.

Nessun desiderio assillava di più il cuore del Verbo, che la brama pietosa di unirsi alla nostra misera natura, e far alleanza con noi: e nacque da stirpe umana perché noi potessimo diventare di stirpe spirituale e divina per opera della grazia. Noi per l’opera sua veniamo congiunti a Lui da un duplice nodo: facendosi Egli figlio di Adamo rende nello stesso tempo noi figli di Dio, ed in questa alleanza vuole che il suo Padre divino diventi anche nostro mentre fa che il nostro diventi suo: allontanandosi, infatti dai suoi Apostoli nell’Ascensione diceva loro: « Ascendo ad Patrem meum et Patrem vestrum » per dirci che voleva che noi con Lui avessimo tutto in comune… e non si rammarica affatto che noi diventiamo figli di Dio. Questa sua identica liberalità, o signori, che fa che ci dia per Padre il suo Padre fa che ci doni insieme per madre la sua stessa Madre: imponendo a Lei che ci generi nello spirito come Lui ci aveva generato secondo la carne. Maria diventa quindi sua e nostra Madre insieme, mentr’Egli diventa sotto ogni aspetto nostro fratello. È questa pia convinzione che oggi ci fa ricorrere alla protezione ed all’aiuto della Vergine: figli di Dio noi sentiamo di essere insieme figli di Maria: è mio dovere, fratelli, per eccitare sempre più i vostri cuori alla devozione della Vergine, cercare nelle Sacre Scritture come Ella sia stata unita a Dio per esser la Madre di tutti i fedeli. Da solo però non mi sento di affrontare la dimostrazione, c’è però S. Agostino il quale viene in mio aiuto mettendoci su di una via luminosa per comprendere questa verità. Sentite cosa scrive questo grande Vescovo nel suo libro sulla Verginità (capo VI). Parlando della Vergine Maria in un modo ammirabile dice che Ella, secondo la carne, Madre del Cristo, e secondo lo spirito, Madre di tutte le membra del suo Corpo: Carne Mater Capitis nostri, spiritu Mater membrorum eius: perché: cooperata est charitate ut filiù Dei nascerentur in Ecclesia — cooperò col suo amore perché alla Chiesa nascessero figli di Dio. — Non è già risolta la questione? non ci dice chiaramente Agostino che la maternità di Maria per tutti i fedeli viene dalla sua carità? Alla luce della parola di questo grande Dottore, leggiamo ora le pagine della Scrittura per vedervi quella beata fecondità per la quale nascemmo dalla carità di Maria. Ricordiamo che v’è una duplice fecondità: l’una viene dalla natura, l’altra dall’amore. Non vi spiego la fecondità naturale, poiché l’abbiamo ogni giorno sotto gli occhi in quella eterna moltiplicazione che perpetua tutte le specie sotto l’azione della benedizione di Dio Creatore. Vediamo invece l’altra fecondità, vediamola nelle sacre carte questa fecondità che nasce dalla carità. – Leggete la lettera di S. Paolo ai Galati e poi dite se non è eloquentemente provata la fecondità della carità: « Figlioli miei, egli scrive, che nuovamente genero, per i quali risento i dolori del parto, fino a che sia in voi Gesù Cristo — Filioli mei quos iterum parturio donec formetur Christus in vobis ». Non brilla qui la fecondità prodigiosa dell’amore di Paolo per i credenti? chi sono mai questi figlioletti che l’Apostolo dice suoi, se non quelli datigli dal suo amore? Quali sono questi dolori di partoriente di cui parla l’Apostolo se non le spinte del suo amore, l’inquietudine che non gli dava mai tregua nel suo lavoro per generare anime a Gesù? Allora (vi pare?) la carità è veramente feconda! È la Sacra Scrittura stessa che ci dice che la carità ha figliuoli, e le attribuisce tutte le caratteristiche di una madre (De catechiz. Rudibus, Cap. XV). – Oh, l’amore materno in un impeto di tenerezza si procura figlioli, ha viscere in cui li porta, un seno che loro offre, un latte che a loro dà!… S. Agostino dice che la carità è madre e nutrice. « Charitas mater, charitas nutrix est ». La carità è una madre che porta nel suo cuore tutti i suoi figlioli, che ha per essi viscere di tenerezza, viscere di compassione quali noi troviamo tanto spesso descritte nelle Sante Scritture. « Charitas mater est ». Ma la stessa carità, o fratelli, è nutrice e loro presenta il casto seno da cui stilla senza inganno il latte della santa mansuetudine e della sincerità cristiana: Sine dolo lac — dice l’Apostolo S. Pietro. Vedete come davvero si ha una duplice fecondità: l’una di natura l’altra della carità. Supposta questa evidente verità, mi sarà facilissimo provarvi come Maria fu unita al Divin Padre nella casta generazione dei figli della nuova alleanza. – Osservate prima di tutto: le due fecondità che nelle creature noi vediamo distinte, in Dio le troviamo come in unica sorgente. Dio fecondo per natura lo è altrettanto per amore. La natura di Dio è feconda: essa gli dà un Figlio come Lui eterno, immenso, perfettissimo, Dio come Lui. Ma se la fecondità di natura gli diede un unico Figlio in seno alla eternità «ab aeterno » il suo amore gliene fa cercare altri ch’Egli fa suoi adottandoli ogni giorno attraverso i tempi. Noi nascemmo da questo ed è questo amore, che ci fa chiamar Dio: Padre nostro. Ecco dunque il divin Padre doppiamente fecondo: per natura genera il suo Verbo; per amore genera figlioli d’adozione. Ma queste fecondità che in Lui sono come in un’unica sorgente, Dio le comunicò alla Vergine: ne volete la prova? Favorite raccogliere ancora di più la vostra attenzione. Ci appare subito ch’ella partecipa alla fecondità naturale per cui Dio genera a sé un Figlio: difatti perché la chiamiamo, ed è verità di fede, Madre di Dio? Madre cioè dello stesso figlio di Dio? Certamente non fu la fecondità che poteva, come donna, aver comune con tutte le altre donne: la sua natura non poteva farla madre che di un uomo. Ma è un Dio che colla sua potenza la fa madre: — fecit mihi magna qui potens est — Ella canta! Dal canto suo, lo leggiamo nel Vangelo, si condannava alla sterilità, avendo promesso di custodire la sua verginità: Quomodo fiet istud… virum non cognosco — dice all’Angelo, confessando la sua incapacità voluta a diventar madre. Come poteva diventare, con tale volontà, madre, non del Figlio di Dio, ma anche solo d’un figlio d’uomo? L’Angelo spiega il mistero: Lo Spirito Santo ti circonderà, sarà la virtù dell’Altissimo che opererà in te. Penetriamo bene il significato di queste parole: esse dicono chiaramente che la fecondità dell’Altissimo è comunicata a Maria… ed è la sua virtù— virtus altissimi — che la fa feconda, per essa diventerà Madre del Figlio dell’Altissimo…: — quod nascetur ex te vocabitur Filius Dei! — Quasi volesse dirle, l’Angelo: Divina Maria, non sarà la fecondità del vostro seno che vi farà Madre, ma la potenza di Dio Padre che vi comunica la sua fecondità — virtus altissimi obumbrabit —. Non vi par di sognare, o fratelli, davanti alla dignità di Maria?… Ma andiamo avanti c’è ancor di più! Associata al Padre nella generazione del suo Figlio unigenito, credete voi che la vorrà lasciar da parte quando genera figlioli, non per natura, ma nell’infinita sua carità, adottandoli? Della sua fecondità naturale la fece partecipe perché fosse Madre di Gesù Cristo: non lascerà certo incompleta la sua opera… le comunicherà anche la fecondità del suo amore, facendola Madre delle membra di questo Corpo mistico di cui Cristo è capo. Andiamo, il Vangelo d’oggi ci chiama al Calvario: là vedremo Maria unirsi sull’esempio del Figlio all’amore fecondo del Padre. Oh, chi non si commuove a questa scena dolcissima d’amore! È vero: noi non potremo mai abbastanza ammirare questa immensa carità per cui Dio ci sceglie a figlioli; perché, osserva S. Agostino, tra gli uomini l’adozione avviene quando sono cessate o si stimano cessate, le speranze di aver veri figlioli. Quando non possono aver figlioli dalla natura, gli uomini ne cercano al loro amore: amore che viene a riparare le deficienze della natura. Ma ciò non avviene in Dio: dall’eternità generò un Figlio uguale a sé, e che forma la delizia del suo cuore, sazie le brame del suo amore, completamente, come completamente esaurisce la sua fecondità! Ma allora avendo un Figliolo così perfetto perché se ne vuol cercar altri coll’adozione? Oh non è certo il bisogno che lo costringe, ma l’infinita ricchezza della sua carità! la fecondità immensa di un amore sovrabbondante inesauribile che lo induce a dar fratelli al suo Primogenito ed Unigenito: dei coeredi a questo Diletto del suo cuore. Amore, misericordia senza confini!… Ma badate Cristiani… si va ancora più avanti, più lontano più in alto, excelsior… più su! Non solo unisce al suo Unigenito fratelli adottati in un gesto di infinita misericordia… ma perché questi figli dell’adozione possano nascere, condanna a morte il suo Figliolo Diletto: è così che il suo amore diventa fecondo: è una forma nuova di fecondità. Per produrre deve distruggere: per generare figli adottivi bisogna che condanni e sacrifichi il suo vero Figlio. Badate che la frase, per quanto sembri un paradosso, è verissima e non è mia: è parola dello stesso Gesù, e ce la riporta il suo discepolo prediletto (III, 16): « Dio amò tanto il mondo che diede per lui il suo Unigenito, perché non avessero ad andar perduti quelli che credono, ma avessero la vita eterna ». Non è evidente. o fratelli, che nell’infinito suo amore Dio Padre condanna a morte il Figlio suo perché abbiano la vita i figli d’adozione? Quali parole potrebbero dimostrare con più chiarezza, che il sacrificio del Figlio è sorgente della nostra generazione e della nostra vita? – Dal cuore di Dio portiamo il nostro sguardo sulla Vergine Maria: vediamo come s’unisca all’amore fecondo del Divin Padre. Perché Gesù, suo figlio, la volle spettatrice della scena inumana della sua crocifissione e morte? Perché volle le fosse spaccato il cuore… contorte dallo spasimo le viscere? Era proprio necessario che i suoi occhi materni fossero straziati da questo orrendo spettacolo: vedessero colare il sangue dal corpo del Figlio fatto tutto una piaga? Oh non è crudeltà il non voler risparmiare tanto strazio ad un cuore di madre? Crudeltà no, fratelli, siamo davanti al mistero! Dovendo unirsi al Padre celeste nell’amore…: per salvare i peccatori e Lui e Lei dovevano in unico atto d’amore condannare al patibolo Gesù Figlio di Dio Padre e di Maria Vergine! Mi par sentire la Vergine parlare così al Divin Padre, con un cuore stretto dal dolore ed insieme generosamente dilatato dall’amore pietoso che le fa cercare la salute degli uomini: « Come volete Voi, o Dio, si faccia: acconsento anch’Io all’ignominiosa morte a cui condannaste il nostro Gesù! Voi sentenziate la sua morte io sottoscrivo la condanna! Volete che dalla morte del nostro innocentissimo Figlio nascan a vita i peccatori?… muoia, lo grido anch’io, muoia: Gesù e vivan gli uomini nella sua morte! – Vedete come amando Dio Padre se ne fa propria la volontà, unendosi al suo amore fecondo: ma ammiriamo insieme come venga fatta partecipe di questa fecondità. È Gesù Dio-Uomo che parla morente dalla croce: « Donna ecco tuo figlio ». L’amore le strappa il Figlio amato, l’amore gliene dà un altro: nella persona di questo solo discepolo, Maria diventa l’Eva della nuova economia: la Madre feconda dei veri viventi: i vivi della grazia. Scusate non è amore materno questo? Sacrificherebbe il suo Figliolo per noi se non ci amasse come figlioli suoi? Ed allora che ci resta a fare, Cristiani miei? Amore domanda amore: ognuno di noi faccia che Maria trovi un figlio che la compensi del Figlio perduto. Mi pare sorridiate mestamente, ma qual cosa ci consigliate? qual cambio… ma cosa daremo noi alla Vergine? Uomini condannati a morte al posto di un Dio che non muore: uomini colpevoli al posto d’un Agnello senza macchia! Scusate, credete proprio che un tal dono possa compensare la perdita? – No, signori, voi non avete capito il mio pensiero. È Maria che dà a noi un Gesù, diamole anche noi un Gesù! un Gesù in noi stessi, facendo rivivere nelle nostre anime questo Figliuolo che Ella perde per nostro amore. È vero Iddio glielo restituì risuscitato, glorioso, impassibile, immortale: il suo Gesù: ma la Vergine pur avendo il suo Gesù nello splendore della gloria, non cessa di ricercarlo nei fedeli. Siamo dunque casti e puri: Maria riconoscerà in noi Gesù! Sia tenero il nostro cuore… e la nostra mano segua gli impulsi del cuore allargandosi nel soccorso degli infelici, dei poveri: sussurri il nostro labbro, le grandi parole del conforto cristiano ai cuori esasperati e stanchi. – Gesù dimenticò tanto le ingiurie fino a lavarle col suo sangue: perfino le ingiurie dei suoi crocifissori, anche noi se siamo stati offesi, dimentichiamo… lavi il perdono nostro la colpa di chi ci offese. Oh qual gioia inonderà il cuore di Maria, nostra Madre quando vedrà riprodursi nella nostra vita quotidiana il suo Gesù: nell’anima nostra per l’esercizio della carità: nei nostri corpi per la pratica della castità: quando vedrà scintillare la sua immagine nei nostri occhi, sul nostro viso nella riservatezza, nella modestia nella semplicità dell’anima cristiana! Riconoscendo in noi Gesù, nella traduzione pratica e quotidiana del suo Vangelo nella nostra giornata, le sue viscere si rinnoveranno ed una tenerezza materna davanti all’immagine vivente del suo Diletto! ed il cuor suo, tocco da tanta somiglianza, crederà amar Gesù in noi, ed il suo amore le farà spargere su di noi tutte le tenerezze di cui solo è capace un cuore di madre. – Vi pare che abbia detto abbastanza per convincervi che Maria ci ama da mamma e noi le dobbiamo un amore di teneri figlioli! Se ancor non siamo persuasi, se il cuore ancor non si intenerisce al pensiero d’una Madre che ci ama dal cielo, e le tenerezze del suo cuore non giungono a commuovere il nostro cuore troppo duro, se proprio occorre la visione truce dello strazio d’un’anima, del sangue d’una vittima… su seguitemi in questa seconda parte del mio dire ed io vi ripeterò la scena dello strazio e del pianto in cui Maria generò noi alla vita.

II° punto.

Nella Apocalisse, S. Giovanni, al capo XII, descrive una magnifica figura: « Apparve un grande segno nel cielo: una donna vestita di sole aveva la luna sotto i piedi e la testa circondata da stelle e stava per dare alla luce un figlio ». S. Agostino, nel suo Simbolo per i Catecumeni, ci garantisce che questa donna dell’Apocalisse è la Vergine, e non sarebbe difficile provarlo. Pare però, che una parola della stessa Scrittura s’opponga a questa interpretazione. Come mai questa donna circondata da tanto splendore e gloria ci è rappresentata qui nel momento triste dei dolori del parto? S. Giovanni stesso ce lo dice: « Clamabat parturiens et cruciabatur ut pareret ». Che rispondiamo? può esser la Vergine questa donna dolorante tanto da farla gridare? Dovremmo allora concedere agli eretici, che Maria fu, come ogni altra madre, sottoposta alla condanna: in dolore parieris — partorirai nel pianto, mentre noi sappiamo che come senz’ombra di corruzione concepì, senz’ombra di dolore partoriva il suo Unigenito? Cosa intende allora S. Giovanni per questo parto doloroso attribuito alla Vergine: come rispondiamo, come sciogliamo la difficoltà? Non è che una contraddizione apparente: io sto predicandovi un mistero, ma insieme vi annunzio una verità. Fratelli. Maria due volte divenne madre: una volta diede alla luce Gesù, pell’altra tutti i fedeli: nell’una l’innocente, nell’altra i peccatori! Ma come senza dolore dava alla luce l’innocente, doveva nel pianto generare i peccatori! Ecco perché la vediamo nel Vangelo d’oggi ai piedi della croce: è là ch’ella genera gli uomini in un mare di dolori e di strazi col viso inondato di lacrime! Ecco spiegato il mistero: Ma io vi pregherei di cercar di penetrarlo molto profondamente: quanto bene ne ritrarranno le vostre anime! – Come abbiamo detto, i fedeli dovevano nascere dall’amore del Padre e dalla passione e morte del Figlio: ma perché Maria diventasse la madre di questo popolo nuovo, non solo doveva essere unita all’amore fecondo con cui il divin Padre ci adottava: ma anche alla passione del Figlio che ci rigenerava alla vita coi suoi strazi e colla sua morte. E non doveva l’Eva della nuova alleanza essere unita all’Adamo del nuovo patto? È proprio per questo che noi la vediamo guidata dalla mano di Dio ai piedi della croce, dove la contempliamo coll’anima passata dalla spada dello spasimo. Ai piedi d’un albero, la prima Eva ed il primo Adamo disobbedienti avevan mangiato il frutto vietato: l’Eva del Vangelo s’avvicinava quindi alla croce di Gesù per gustarvi con Lui tutta la amara amarezza di quest’albero misterioso. – Il ragionamento è forse un po’ serrato: mettiamolo in maggior luce, mettendo per principio base che era volontà del Salvatore delle anime, che la sua fecondità fosse frutto delle sue pene. Nel Vangelo Egli ci dà una meravigliosa immagine di sé paragonandosi al chicco di frumento del quale dice che il moltiplicarsi è legato alla sua sepoltura nel terreno dove marcisce e muore: « Nisi granum frumenti cadens in terram mortuum fuerit, ipsum solum manet; si autem mortuum fuerit, multum fructum affert ». Osservate: i misteri del Cristo li potremmo dire altrettante cadute. Dal cielo cade sulla terra: dal trono della gloria in una mangiatoia! Già umiliato nella carne di schiavo nella sua nascita continua a scendere giù giù per tutti i gradini della debolezza e della miseria della natura umana: e da questa scende ancora più basso nella morte sua legata all’ignominia d’un patibolo infamante… dalla croce nella tomba… una tomba datagli per compassione! è l’ultima tappa, più giù non poteva andare. Giunto però a questo completo annientamento, ecco che gli ritorna la forza: il germe d’immortalità, che la miseria della natura umana non aveva potuto distruggere, comincia il suo lavoro proprio là nella tomba dove pareva morto: questo grano di frumento si moltiplica: la sua morte genera figli senza numero a Dio! Proprio da questo fatto io traggo come conseguenza infallibile che la fecondità della generazione dei figlioli di Dio operata dal Cristo è frutto della sua passione e morte. Ed ora è la vostra volta, o Maria: venite, venite Madre del Condannato, venite ai piedi della croce del vostro Figlio, perché l’amor vostro materno vi unisca alle sue pene feconde di rigenerazione per noi. Chi potrebbe descrivere la cruda ripercussione che tutti gli strazi della passione e morte di Gesù, morte di croce del suo Gesù, che proprio allora le comunica la fecondità delle sue pene. « Donna ecco tuo figlio ». Donna, che con me e come me soffri, sii, come lo sono io, feconda: sii tu la Madre di coloro che Io genero nel sangue che cola dalle mie ferite! – Vi sentite, fratelli, di descrivere l’effetto di queste parole? – Gemeva ai piedi della croce la Vergine: la violenza del dolore l’aveva impietrita pareva insensibile. Ma quando al suo orecchio risuona la voce dell’adorato morente… il suo ultimo addio… le ferite del cuore si riaprono più crude: quella voce scava più profonda una ferita nuova… non v’è più una goccia di sangue nel suo cuore che non sia sconvolta dallo strazio nuovo… le sue viscere materne sono terribilmente contorte. « Ecce filius tuus ». Che? un altro al tuo posto, o Gesù mio Figlio e mio Dio? un altro per te!! Quale straziante addio supremo è il tuo, o Figlio! Così dunque conforti la Madre tua straziata dalla tua agonia, inconsolabile della tua perdita?… Cristiani, la parola dell’estremo addio l’ammazza quasi la Vergine, ma insieme la rende feconda… il mistero è compiuto. Mi passa alla mente, Cristiani, la pena di quelle madri a cui si squarcia il seno per strappar loro le creature… e che muoiono nel dar alla luce i loro figlioli. È proprio in questo modo, o fratelli, che la Vergine genera alla vita i credenti. – Col cuore, o Maria, voi li concepiste in un impeto di ardente amore: la parola di Gesù, penetrando fino in fondo alla vostra anima come una lama tagliente, potremmo dire che vi squarciò il seno per trarne noi peccatori… Ah, voi ci deste alla luce in uno strazio violento che non ha misura! Quando suona al vostro orecchio la voce nostra che vi dice — Madre — certo; sentite ancora ripetersi la voce del morente Gesù che vi comandava: «Donna ecco tuo figlio » — quella voce commuove le vostre viscere, il vostro cuore si riempie di tenerezza per noi, figli del vostro spasimo! Ma ricordiamolo anche noi, o fratelli, che siamo figli di Maria e che lo divenimmo al piedi della croce: « Gemitus matris tuæ ne obliviscaris » ci avvisa l’Ecclesiaste! Quando il mondo folleggia e ci invita coi suoi piaceri e l’occhio nostro è attratto dall’incantevole miraggio e non ci basta la forza per distoglierlo dalle visioni seducenti, ricordiamo il pianto di Maria, la nostra Madre pietosa. Quando sotto l’infuriar della tentazione ci parrà che le forze vengan meno e ci sentiremo vicini alla sconfitta, ed i piedi scivoleranno sulla via diritta, per la violenza di una tentazione o d’una occasione o per gli esempi cattivi che da ogni parte attaccano la gioventù… non dimentichiamo: tua Madre piange! — ricordiamo le sue lacrime ed i suoi dolori, gli strazi che al Calvario le lacerarono l’anima! Vorresti… oh miserabile… vorresti rizzar una nuova croce per inchiodarvi ancora una volta Gesù Cristo? Vuoi dunque che Maria riveda la scena terribile del Calvario? il suo Gesù di nuovo crocifisso?… sotto gli occhi della Vergine vorresti calpestare il sangue del nuovo Testamento riaprendo la terribile ferita della spada acuta che le trapassava l’anima? – Oh no, no fratelli, non sia mai! ci risuonino nell’anima i gemiti della Vergine che ci generava… non rinnoviamole dolori, basta quanto già soffrì! ripariamo, espiamo le nostre colpe nella penitenza! Ricordiamolo sempre: noi siamo: i nati dal dolore il piacere non dovrebbe esistere per noi, che Gesù generò morendo e la Vergine nei suoi dolori. consacrandoci al dovere della penitenza! – Chi ama la penitenza è vero figlio di Maria! difatti dove ci trovò figlioli suoi? forse nell’allegria, nel piacere, in mezzo al mondo folleggiante dietro agli onori e la gloria?… Oh no, no, ella ci incontrò, ci ebbe là vicino al suo Gesù che moriva: là ai piedi della croce, dove crocifiggeva se stessa bevendo la pena da quelle piaghe sanguinanti che facevan cadere su di Lei il sangue del Cristo. Là Maria divenne Madre degli uomini… là gli uomini furono dati figlioli alla Vergine! – Siamo noi, fratelli cari, lo siamo tutti di questo numero fortunato? Oh purtroppo noi non respiriamo che l’aria del mondo: l’amor suo, la sua libertà, lo splendore delle sue grandezze ci attraggono!… le sue gioie? Gioie, grandezza, libertà false… gioia grandezza, libertà sognate che ci avviano alla condanna eterna! Ah quale sventura la nostra! Ma Vergine cara, Madre nostra Maria, la nostra speranza è in Voi!… Voi pregate per noi! per la preghiera vostra soltanto noi speriamo essere liberati dai mali che minacciano la nostra impenitenza! otteneteci Voi, costringeteci Voi, insegnandocelo, all’amore del Padre celeste che in un eccesso d’amore ci adotta figlioli; del Redentore suo Unigenito e vostro Figlio che ci dà la vita colla sua passione. Fateci amare la croce di Gesù Cristo perché possiate Voi riconoscerci come vostri figlioli, ed un giorno nel cielo possiate mostrarci il frutto benedetto del vostro seno, Gesù, perché con Lui possiamo godere della gloria ch’Egli ci preparò nella sua bontà senza confini. Amen.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Eccli XXIV:25; Eccli XXXIX:17
In me grátia omnis viæ et veritátis, in me omnis spes vitæ et virtútis: ego quasi rosa plantáta super rivos aquárum fructificávi

[In me ogni grazia di verità e dottrina in me ogni speranza di vita e di forza. Sono fiorita come una rosa, piantata lungo i corsi delle acque]

Secreta

Fac nos, quǽsumus, Dómine, his munéribus offeréndis conveniénter aptári: et per sacratíssimi Rosárii mystéria sic vitam, passiónem et glóriam Unigéniti tui recólere; ut ejus digni promissiónibus efficiámur:

[Rendici degni, Signore, di offrirti questo sacrificio: e concedi che, venerando nel santo rosario i misteri della vita, passione e gloria del tuo unico Figlio, diventiamo partecipi dei beni da lui promessi]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Eccli XXXIX:19
Floréte, flores, quasi lílium, et date odórem, et frondéte in grátiam, collaudáte cánticum, et benedícite Dóminum in opéribus suis.

[Fiorite, come gigli, o fiori, date profumo, spandetevi in bellezza: cantate in coro la lode divina e benedite Dio nelle sue opere.]

Postcommunio


Sacratíssimæ Genetrícis tuæ, cujus Rosárium celebrámus, quǽsumus, Dómine, précibus adjuvémur: ut et mysteriórum, quæ cólimus, virtus percipiátur; et sacramentórum, quæ súmpsimus, obtineátur efféctus:

[Ci aiutino, Signore, le preghiere della tua santissima Madre, nella festa del suo rosario: concedi a noi di sentire l’efficacia dei misteri che veneriamo, e di ottenere il frutto dei sacramenti che abbiamo ricevuto:]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE: LIBRO OTTAVO

LIBRO OTTAVO


SUI CAPITOLI XVIII, XIX E XX.


Il trionfo solenne ed assoluto della Chiesa Cattolica sul mondo; l’avvento di Gesù Cristo, e la grande cena di Dio.


SEZIONE I
SUI CAPITOLI XVIII ET XIX.


DEL TRIONFO SOLENNE E ASSOLUTO DELLA CHIESA DI GESÙ-CRISTO SUL MONDO.


§ 1

La rovina della grande Babilonia.


CAPITOLO XVIII. – VERSETTI 1-4.

Et post hæc vidi alium angelum descendentem de cœlo, habentem potestatem magnam: et terra illuminata est a gloria ejus. Et exclamavit in fortitudine, dicens: Cecidit, cecidit Babylon magna: et facta est habitatio dæmoniorum, et custodia omnis spiritus immundi, et custodia omnis volucris immundæ, et odibilis: quia de vino iræ fornicationis ejus biberunt omnes gentes: et reges terræ cum illa fornicati sunt : et mercatores terræ de virtute deliciarum ejus divites facti sunt. Et audivi aliam vocem de cælo, dicentem: Exite de illa populus meus: ut ne participes sitis delictorum ejus, et de plagis ejus non accipiatis.

[E dopo di ciò vidi un altro Angelo, che scendeva dal cielo, e aveva grande potestà: e la terra fu illuminata dal suo splendore. E gridò forte, dicendo: È caduta, è caduta Babilonia la grande: ed è diventata abitazione di demoni, e carcere di ogni spirito immondo, e carcere di ogni uccello immondo e odioso: Perché tutte le genti bevettero del vino dell’ira della sua fornicazione: e i re della terra fornicarono con essa: e i mercanti della terra si sono arricchiti dell’abbondanza delle sue delizie. E udii un’altra voce dal cielo, che diceva: Uscite da essa, popolo mio, per non essere partecipi dei suoi peccati, né percossi dalle sue piaghe.]

I. Vers. 1. – E dopo queste cose vidi un altro Angelo che scendeva dal cielo, con grande potenza; e la terra fu illuminata dalla sua gloria. Con queste parole, “E dopo queste cose vidi un altro Angelo”, San Giovanni ci avverte che sta passando ad un’altra visione rispetto a quella che l’Angelo precedente gli ha appena mostrato sotto forma di donna o prostituta seduta nel deserto. L’Apostolo ci dice quindi che non è più lo stesso Angelo, ma un altro che è sceso dal cielo; cioè un vero Angelo, appartenente a una delle categorie di spiriti celesti più elevate in potenza e dignità. Questo è indicato dalle parole: Avente un grande potere; e la terra fu illuminata dalla sua gloria. Anche questo passaggio deve essere preso in senso figurato; perché vediamo dal contesto che questo Angelo è uno degli Spiriti celesti incaricati di comunicare le profezie. Quindi capiamo già in che senso è detto: E la terra fu illuminata dalla sua gloria. Questo Angelo rappresenta dunque tutti i Profeti e soprattutto quelli che hanno predetto la fine del mondo. San Giovanni non ci dice chi sia questo Angelo, perché non lo sapeva egli stesso, almeno non per dircelo. Questo può essere visto da questo versetto (Apoc. XIX, 10): « E caddi ai suoi piedi per adorarlo; ma egli mi disse: guardati dal farlo: io sono un servo come te e come i tuoi fratelli che hanno testimoniato di Gesù. Adorate Dio, perché lo spirito di profezia è la testimonianza di Gesù. » Così questo Angelo, che San Giovanni voleva adorare per lo splendore della gloria e della potenza che vedeva brillare in lui, dice di sé che è solo un servo di Dio come San Giovanni e come i suoi fratelli che hanno testimoniato di Gesù. Ed affinché si capisca che non ha dato questa testimonianza con il martirio, poiché è uno spirito, questo Angelo aggiunge: Adorate Dio, perché lo spirito di profezia è la testimonianza di Gesù. Questo Angelo rappresenta dunque nella sua persona l’universalità dei Profeti, che sono tutti uno, perché la verità che annunciano in forme diverse e in tempi diversi è una sola. Questa verità annunciata dai Profeti ha un grande potere, perché rischiara e illumina tutta la terra. Inoltre, questa verità scende dal cielo, e fa la gloria dei Profeti sulla terra. Da qui queste parole del testo: E dopo questo vidi un altro Angelo che scendeva dal cielo con grande potenza; e la terra fu illuminata dalla sua gloria; San Giovanni, nel dirci che si prostrò ai piedi di questo Angelo per adorarlo, aggiunge che la sua potenza era così grande e la sua gloria così luminosa che tutta la terra ne fu illuminata; questo per insegnarci quanto bella e potente sia la verità, poiché l’Angelo che rappresentava questa verità era così raggiante di gloria che San Giovanni lo prese per la verità stessa che è Dio, e volle adorarlo. Ma l’Angelo gli disse: Stai attento a non farlo; io sono un servo di Dio come te, e come i tuoi fratelli che hanno dato testimonianza di Gesù. Adorate Dio, perché lo spirito di profezia è la testimonianza di Gesù. È come se questo Angelo gli avesse detto: Io non sono la Verità stessa che è Dio, ma sono un servo di Dio nel rendere testimonianza alla Verità; cioè, io non sono che uno dei rappresentanti della Verità, come te, che sei un Profeta, e come tutti i tuoi fratelli che hanno testimoniato la Verità con la loro parola o con il loro martirio. Ora, se uno dei rappresentanti di questa Verità eterna, che è Dio, è già così radioso e splendente di gloria che tutta la terra è come illuminata, e San Giovanni stesso, testimone della verità, stava per adorarlo, cosa sarà quando gli uomini vedranno Gesù Cristo, la Verità stessa, venire sulle nuvole in tutto lo splendore della sua gloria e maestà per giudicare i vivi e i morti?

II. Qual è la missione di questo Profeta ora? È quella di annunciare la rovina della grande Babilonia, come vedremo in questo capitolo. Ma prima di entrare nel merito, dobbiamo far osservare al lettore il modo in cui San Giovanni ricevette questa rivelazione; perché sembra che l’ordine della narrazione sia invertito. Infatti, egli comincia descrivendo la grande catastrofe di questo evento; poi ci legge la sentenza pronunciata contro questa prostituta che egli raffigura nelle considerazioni; e solo nell’ultimo luogo profetizza questo evento. Non è questo un modo ingegnoso e ammirevole di far meglio emergerne la verità e la certezza? E questo capovolgimento non mostra forse la bontà di Gesù Cristo, Autore di questa rivelazione, di annunciare con entusiasmo alla sua Chiesa e ai suoi amici un fatto della massima importanza e che deve interessarli e consolarli al più alto grado? Noi evocheremo qui la testimonianza di tutti gli uomini; non c’è nessuno che non ammetta che quando un messaggero porta ai suoi amici la felice notizia di una grande vittoria ottenuta su un nemico formidabile, il suo primo grido di gioia è: Vittoria, vittoria, il nemico è sconfitto! È solo dopo aver dato origine a questo primo impulso della natura, e dopo aver soddisfatto la prima e più ardente curiosità di chi lo ascolta con interesse, che il messaggero dà di seguito i dettagli più importanti e termina la sua narrazione con le circostanze le più remote. Ora, questo è precisamente il modo in cui il Profeta racconta alla Chiesa militante la felice notizia della sconfitta dei suoi nemici. È così che Dio, volendo parlare agli uomini, si conforma al loro linguaggio.

III. Vers. 2. – E gridò con forza, dicendo: “La grande Babilonia è caduta, è caduta, ed è ora dimora di demoni, e rifugio d’ogni spirito immondo, e d’ogni uccello immondo e sinistro. Come abbiamo appena detto, anche questo Angelo o messaggero del cielo inizia la sua narrazione gridando con forza, cioè facendosi sentire da tutta la terra con la voce della sua profezia. È caduta, è caduta, la grande Babilonia!  Lo ripete due volte per meglio farsi intendere, e per esprimere con più forza la felice notizia della rovina della capitale del regno dell’anticristo, e quella della rovina dei malvagi di tutta la terra. È da notare che San Giovanni usa, per descrivere questa rovina universale, più o meno le stesse espressioni che Isaia usò per descrivere lo sterminio della Babilonia caldea; (Isa. XIII, 19): « Babilonia, perla dei regni, splendore orgoglioso dei Caldei, sarà come Sodoma e Gomorra sconvolte da Dio. Non sarà abitata mai più né popolata fino alla fine dei secoli; l’Arabo non vi pianterà la sua tenda né i pastori vi faranno sostare i greggi. Ma vi si stabiliranno gli animali del deserto, i suoi palazzi saranno riempiti da serpenti, i gufi riempiranno le loro case, vi faranno dimora gli struzzi, vi danzeranno i satiri. Ululeranno le iene nei loro palazzi, gli sciacalli nei loro edifici adibiti alla voluttà, etc. ». Si veda l’adempimento letterale di questa profezia nella Storia antica di Rollin, volume I. E gridò ad alta voce, dicendo: E la grande Babilonia è caduta, è caduta, ed è diventata dimora dei demoni, e il rifugio di ogni spirito impuro e di ogni uccello impuro e sinistro. – Cioè, i luoghi e i paesi dove hanno regnato le potenze della prostituta saranno ridotti in un tale stato di abbandono che diventeranno desolati e saranno immersi nelle tenebre della notte eterna, secondo San Matteo (VIII, 12): « I figli del regno saranno gettati nelle tenebre esterne; e là ci sarà pianto e stridore di denti. » Questi luoghi diventeranno la dimora dei demoni e il rifugio di ogni spirito immondo e sinistro. Questi uccelli impuri e sinistri sono una figura di cui si serve il Profeta per descrivere meglio l’orrore di queste tenebre e di questi demoni. Perché gli uccelli impuri sono i gufi, che fuggono dalla luce, e sono anche gli uccelli sinistri e minacciosi di cui parla Isaia. Questi uccelli sono una vera figura dei demoni, come lo erano anche le capre selvatiche, i satiri e i rettili che occupavano la Babilonia caldea dopo la sua rovina e il suo sterminio. Inoltre, i luoghi deserti sono comunemente considerati come il rifugio e la tana degli spiriti maligni e degli spettri. Vedere Areta. E Dio si serve di nuovo di un linguaggio appropriato alle concezioni umane. Come si ripete spesso nella Scrittura che Dio e il suo Spirito dimorano nei corpi e nelle dimore dei Santi, così si dice qui per contrasto che i demoni e gli spiriti immondi hanno il loro rifugio nei corpi dei reprobi, nel loro regno, nelle loro città e nei loro edifici dedicati alle voluttà. Tale sarà lo stato di nudità e l’orribile punto di degradazione a cui sarà condannata la prostituta, essa che ora è così imponente per la sua grandezza, il suo potere, le sue ricchezze, il suo lusso, il suo fasto, la sua ostentazione e per la sua gloria mondana!

IV. Vers. 3. – Perché tutte le nazioni hanno bevuto il vino dell’ira della sua prostituzione; i re della terra si sono corrotti con lei, e i mercanti della terra si sono arricchiti con l’eccesso del suo lusso. San Giovanni ci dà in questo testo la ragione di questa condanna, e ci dice che questa città sarà così ridotta, perché tutte le nazioni hanno bevuto il vino dell’ira della sua prostituzione; e perché i re della terra si sono corrotti con essa, etc. Abbiamo già visto sopra cos’è questo vino dell’ira della prostituzione, e cosa sono questi re della terra che si sono corrotti con la prostituta. Il Profeta, avendo voluto raffigurare il regno universale dell’iniquità sotto la figura di una donna e di una città, persiste nel suo paragone, e ci rappresenta i disordini di cui questa donna e questa città saranno state la causa tra gli uomini, dicendo che hanno sedotto re e popoli. Infatti, come il lusso sfrenato e la mollezza sono allo stesso tempo l’effetto e la causa della corruzione del mondo, così questa donna e questa città, con lo scintillio delle loro ricchezze, l’attrazione dei loro piaceri e il fasto del loro orgoglio, avranno arricchito i mercanti che venivano da tutte le parti della terra, per portare loro beni onde soddisfare tutte le passioni degli uomini, come vedremo più avanti. Lo vediamo anche da queste parole: è perché tutte le nazioni della terra hanno bevuto il vino dell’ira della sua prostituzione, che tutta la terra sarà ridotta in questo stato terribile, poiché tornerà ad essere un caos come lo era prima della creazione e molto peggio, poiché diventerà la dimora dei demoni, cioè un vero inferno. Perché la figura di questo mondo scomparirà e non se ne troverà più nemmeno il posto. (Apoc. XVIII, 21 e XX, 11).

§ II.

Avviso di un Angelo alla Chiesa militante.

CAPITOLO XVIII. – VERSETTI 4-8.

Et audivi aliam vocem de cælo, dicentem: Exite de illa populus meus: ut ne participes sitis delictorum ejus, et de plagis ejus non accipiatis. Quoniam pervenerunt peccata ejus usque ad caelum, et recordatus est Dominus iniquitatum ejus. Reddite illi sicut et ipsa reddidit vobis: et duplicate duplicia secundum opera ejus: in poculo, quo miscuit, miscete illi duplum. Quantum glorificavit se, et in deliciis fuit, tantum date illi tormentum et luctum: quia in corde suo dicit: Sedeo regina: et vidua non sum, et luctum non videbo. Ideo in una die venient plagae ejus, mors, et luctus, et fames, et igne comburetur: quia fortis est Deus, qui judicabit illam.

[E udii un’altra voce dal cielo, che diceva: Uscite da essa, popolo mio, per non essere partecipi dei suoi peccati, né percossi dalle sue piaghe. Poiché i suoi peccati sono arrivati sino al cielo, e il Signore si è ricordato delle sue iniquità. Rendete a lei secondo quello che essa ha reso a voi: e datele il doppio secondo le opere sue: mescetele il doppio nel bicchiere, in cui ha dato da bere. Quanto si glorificò e visse nelle delizie, altrettanto datele di tormento e di lutto, perché dice in cuor suo: Siedo regina, e non sono vedova: e non vedrò lutto. Per questo in uno stesso giorno verranno le sue piaghe, la morte, e il lutto, e la fame: e sarà arsa col fuoco: perché forte è Dio, che la giudicherà.]

I. Vers. 4. – E udii un’altra voce dal cielo, che diceva: Uscite da Babilonia, popolo mio, affinché non siate partecipi dei suoi peccati e non siate coperti dalle sue piaghe. Quest’altra voce è quella di un Angelo; ciò è indicato dalle parole: Ho sentito un’altra voce dal cielo. Questo Angelo rappresenta 1° la persona dell’Angelo che annuncia il futuro a San Giovanni. 2° Rappresenta anche l’Angelo che effettivamente annuncerà ai fedeli degli ultimi tempi, di uscire da Babilonia, come abbiamo visto nel capitolo delle piaghe; e questo Angelo potrebbe essere un uomo; perché sappiamo che la parola Angelo significa generalmente messaggero, inviato di Dio. 3° Questo Angelo rappresenta anche la persona morale della Chiesa in generale, e dell’ultimo Papa in particolare, negli avvertimenti che daranno ai fedeli degli ultimi tempi, di uscire da Babilonia, cioè di non prendere parte alla sua prostituzione, e di non adorare la bestia, per non essere avvolti dalle sue piaghe, ed avere parte nei terribili castighi di cui si parla nel capitolo XIV, verss. 9 e seguenti. Uscite da Babilonia, popolo mio, etc. – Queste parole hanno diversi significati, secondo l’uso dei profeti, che spesso annunciano più cose contemporaneamente sotto una sola figura, perché la verità eterna è infinita, ed è allo stesso tempo una ed indivisibile. 1° Questo avvertimento sarà dato da un Angelo ai Cristiani che vivranno nel tempo della persecuzione dell’anticristo; ed egli dirà loro di uscire da Gerusalemme e dalla Giudea, affinché non partecipino ai peccati dell’abominio della desolazione, adorando la bestia, e non siano avvolti dalle terribili piaghe che affliggeranno il suo regno. (Matth. XXIV, 16): « Allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, etc. » – 2° Questo avvertimento è rivolto dalla Scrittura ai Cristiani di ogni luogo e di ogni tempo, affinché non bevano il vino dell’ira della prostituzione, e partecipino ai castighi e alle piaghe che ne sono le conseguenze: queste piaghe sono in particolare quelle della fine dei tempi, ed in generale i castighi fisici e morali con cui Dio è solito castigare gli empi già in questo mondo, secondo quel proverbio così noto e così vero: Si viene puniti per dove si è peccato. Queste piaghe rappresentano anche i mali dell’inferno. Tutto questo è così vero che ne troviamo la ragione nel versetto seguente:

Vers. 5: Perché i suoi peccati salirono al cielo e Dio si ricordò delle sue iniquità. Così la causa delle sue piaghe temporali ed eterne, sono e saranno i peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi e luoghi; perché se si trattasse qui solo dei mali particolari della fine dei tempi, il Profeta non farebbe menzione del ricordo eterno di Dio: E Dio si ricordò delle sue iniquità.

Vers. 6. Trattala come lei ti ha trattato, e ripagala due volte per tutte le sue opere; falle bere due volte dallo stesso calice in cui ti ha dato da bere. Questo Angelo si rivolge ora non ai fedeli credenti della Chiesa militante sulla terra, ma ai Santi che saranno in cielo dopo la rovina della grande Babilonia; e dice loro: Trattatela come lei ha trattato voi, perché il tempo del perdono dei torti è passato, ed è venuto il tempo delle vendette eterne. Sulla terra, i giusti devono obbedire a Gesù Cristo, seguire il suo esempio e non restituire male per male, ma bene per male, devono perdonare i loro nemici, fare loro del bene quando possono, e pregare per i loro persecutori; ma dopo la rovina della grande Babilonia, non ci sarà più perdono da dare o da chiedere, perché non ci sarà più perdono da sperare. Perché allora le profezie si realizzeranno, e la legge del perdono dei torti non sarà più applicabile ai reprobi, e il Dio onnipotente che tiene in mano le vendette eterne, inviterà i suoi santi amici, per voce di questo Angelo, a unirsi a lui nel far cadere sui malvagi e sugli empi tutto il peso della sua ira per i secoli dei secoli. Allora questi giusti saranno animati e come inebriati, a loro volta, dall’ira del giusto Giudice, secondo le parole del santo re Davide, Ps. LVII, 4: « I peccatori si sono allontanati dalla giustizia fin da quando sono nati; si sono smarriti fin dal grembo della madre loro; hanno detto falsità. Il loro furore è come quello del serpente; è come quello dell’aspide, che si rende sordo turandosi le orecchie. ….. Dio spezzerà i loro denti nella bocca; il Signore ridurrà in polvere le mascelle dei leoni. Saranno ridotti a niente, come un’acqua che passa; Egli ha teso il suo arco perché cadano nell’ultima debolezza. Saranno distrutti come cera che il calore fa colare; il fuoco è caduto su di loro dall’alto e non hanno più visto il sole. Prima che essi abbiano visto le loro spine giunte fino alla forza di un arboscello, Egli li inghiottirà come ogni vivente nella sua ira. Il giusto si rallegrerà quando vedrà la vendetta, e si laverà le mani nel sangue del peccatore. E gli uomini diranno: Poiché l’uomo giusto raccoglie il frutto della sua giustizia, c’è sicuramente un Dio che giudica gli uomini sulla terra. » Così questo Angelo, che allora parlerà nel Nome di Dio Onnipotente, dirà ai Santi che possono e devono rallegrarsi, con una festa solenne, sulla rovina della grande Babilonia; ed Egli dirà loro: ridatele raddoppiate le sue opere, perché hanno oltraggiato Dio come voi e più di voi. Il loro crimine è il crimine di lesa maestà; il loro reato è salito fino al cielo del Signore; ed è dal cielo del Signore che il castigo deve scendere nei secoli dei secoli. Sulla terra non hanno ricevuto che l’equivalente delle loro opere, nell’eternità, devono ricevere il doppio. Fateli bere due volte dallo stesso calice in cui vi ha dato da bere. Perché sulla terra non hanno potuto farvi bere che il vino dell’amarezza del corpo, nel calice della passione di Gesù Cristo; ma nell’eternità li farete bere dal calice dell’amarezza del corpo e dell’anima. Essi vi hanno vinto nel tempo, voi li avete vinti nell’eternità. Abbeverateli dunque in questo stesso calice in proporzione ai loro crimini nei secoli dei secoli.

Vers. 7. – Quanto si glorificò e visse nelle delizie, altrettanto datele di tormento e di lutto, perché dice in cuor suo: Siedo regina, e non sono vedova: e non vedrò lutto; cioè, moltiplicate i tormenti e i dolori eterni degli empi in proporzione alle delizie e ai godimenti temporali e terreni di cui si sono inorgogliti. E come i vostri digiuni, le mortificazioni, le preghiere e le pratiche di pietà furono derisi da quegli empi che si vantavano di sfidare la legge di Dio abbandonandosi alle delizie della terra, e che consideravano la Croce come una stoltezza; così dovete ora confonderli, mostrando loro che la legge di Dio non si viola impunemente, e che la sua parola è eterna. Poiché ella dice in cuor suo: Io sono una regina e non sono vedova, e non sono in lutto. 1° Queste parole si applicano agli empi di tutti i tempi e luoghi, che agiscono sempre come se il loro regno fosse eterno e come se non dovessero mai morire. 2° Queste parole si riferiscono anche e principalmente al tempo dell’anticristo, quando gli uomini crederanno che egli è il Messia promesso e il Re dei Giudei; e che il suo regno non avrà fine; e questo regno sarà considerato come il paradiso in cui i malvagi potranno indulgere impunemente in tutti i vizi e le voluttà. Allora soprattutto quando Dio avrà cessato di manifestare la sua presenza per un momento, con le piaghe con cui affliggerà la terra e il regno della bestia; quando i due profeti Enoch ed Elia saranno sconfitti ed uccisi, ed il gregge di Gesù Cristo sarà disperso, e la Chiesa sarà distrutta, allora la prostituta dirà in cuor suo: Sono una regina e non sono una vedova, né sono in lutto.

Vers. 8Perciò in un giorno solo verranno le sue piaghe, la morte, il lutto e la carestia, ed essa sarà bruciata col fuoco, perché il Dio che la giudicherà è il Dio forte. Queste parole si riferiscono a diverse circostanze: alle piaghe degli ultimi tempi e ai tormenti dell’eternità; poi queste parole annunciano la punizione degli empi in ogni tempo e di ogni luogo. Perché ognuna delle sue piaghe trova la sua applicazione in ognuna di queste circostanze del tempo e dell’eternità.

§ III.

Lamentazioni sulla rovina della Grande Babilonia, e la conversione delle nazioni e dei Giudei.

CAPITOLO XVIII. VERSETTI 9-24.

Et flebunt, et plangent se super illam reges terræ, qui cum illa fornicati sunt, et in deliciis vixerunt, cum viderint fumum incendii ejus: longe stantes propter timorem tormentorum ejus, dicentes: Væ, væ civitas illa magna Babylon, civitas illa fortis: quoniam una hora venit judicium tuum. Et negotiatores terræ flebunt, et lugebunt super illam: quoniam merces eorum nemo emet amplius: merces auri, et argenti, et lapidis pretiosi, et margaritæ, et byssi, et purpurae, et serici, et cocci (et omne lignum thyinum, et omnia vasa eboris, et omnia vasa de lapide pretioso, et aeramento, et ferro, et marmore, et cinnamomum) et odoramentorum, et unguenti, et thuris, et vini, et olei, et similæ, et tritici, et jumentorum, et ovium, et equorum, et rhedarum, et mancipiorum, et animarum hominum. Et poma desiderii animæ tuæ discesserunt a te, et omnia pinguia et præclara perierunt a te, et amplius illa jam non invenient. Mercatores horum, qui divites facti sunt, ab ea longe stabunt propter timorem tormentorum ejus, flentes, ac lugentes, et dicentes: Væ, væ civitas illa magna, quæ amicta erat bysso, et purpura, et cocco, et deaurata erat auro, et lapide pretioso, et margaritis: quoniam una hora destitutæ sunt tantæ divitiæ, et omnis gubernator, et omnis qui in lacum navigat, et nautae, et qui in mari operantur, longe steterunt, et clamaverunt videntes locum incendii ejus, dicentes: Quæ similis civitati huic magnæ? et miserunt pulverem super capita sua, et clamaverunt flentes, et lugentes, dicentes: Væ, væ civitas illa magna, in qua divites facti sunt omnes, qui habebant naves in mari de pretiis ejus: quoniam una hora desolata est. Exsulta super eam cælum, et sancti apostoli, et prophetæ: quoniam judicavit Deus judicium vestrum de illa. Et sustulit unus angelus fortis lapidem quasi molarem magnum, et misit in mare, dicens: Hoc impetu mittetur Babylon civitas illa magna, et ultra jam non invenietur. Et vox citharœdorum, et musicorum, et tibia canentium, et tuba non audietur in te amplius: et omnis artifex omnis artis non invenietur in te amplius: et vox molæ non audietur in te amplius: et lux lucernæ non lucebit in te amplius: et vox sponsi et sponsæ non audietur adhuc in te: quia mercatores tui erant principes terræ, quia in veneficiis tuis erraverunt omnes gentes. Et in ea sanguis prophetarum et sanctorum inventus est: et omnium qui interfecti sunt in terra.

[E piangeranno e meneranno duolo pei lei i re della terra, i quali fornicarono con essa e vissero nelle delizie, allorché vedranno il fumo del suo incendio: Stando da lungi per tema dei suoi tormenti, dicendo: Ahi, ahi, Babilonia, la città grande, la città forte: in un attimo é venuto il tuo giudizio. E i mercanti della terra piangeranno e gemeranno sopra di lei: perché nessuno comprerà più le loro merci: le merci d’oro, e di argento, e le pietre preziose, e le perle, e il bisso, e la porpora, e la seta, e il cocco, e tutti i legni di tino, e tutti i vasi d’avorio, e tutti i vasi di pietra preziosa, e di bronzo, e di ferro, e dì marmo, e il cinnamomo, e gli odori, e l’unguento, e l’incenso, e il vino, e l’olio, e il fior dì farina, e il grano, e ì giumenti, e le pecore, e i cavalli, e i cocchi, e gli schiavi, e le anime degli uomini. E i frutti desiderati dalla tua anima se ne sono partiti da te, e tutte le cose grasse e splendide sano perite per te, e non si troveranno mai più. I mercanti di tali cose che da essa sono stati arricchiti, se ne staranno alla lontana per tema dei suoi tormenti, piangendo, e gemendo, e diranno: Ahi, ahi, la città grande, che era vestita di bisso, e di porpora, e di cocco, ed era coperta d’oro, e di pietre preziose, e di perle: Come in un attimo sono state ridotte al nulla tante ricchezze. E tutti i piloti, e tutti quei che navigano pel lago, e i nocchieri, e quanti trafficano sul mare, se ne stettero alla lontana, e gridarono guardando il luogo del suo incendio, dicendo: Qual città vi fu mai simile a questa grande città? E si gettarono polvere sul capo, e gridarono piangendo e gemendo: Ahi, ahi la città grande, delle cui ricchezze si fecero ricchi quanti ave- vano navi sul mare, in un attimo è stata ridotta al nulla. Esulta sopra di essa, o cielo, e voi, santi Apostoli e profeti: perché Dio ha pronunziato sentenza per voi contro di essa. Allora un Angelo potente alzò una pietra come una grossa macina, e la scagliò nel mare, dicendo: Con quest’impeto sarà scagliata Babilonia, la gran città, e non sarà più ritrovata, e non si udirà più in te la voce dei suonatori dì cetra, e dei musici, e dei suonatori di flauto e di tromba: e non si troverà più in te alcun artefice dì qualunque arte: e non sì udirà più in te rumore di macina: e non rilucerà più in te lume di lucerna: e non sì udirà più in te voce di sposo e di sposa: perché i tuoi mercanti erano i principi della terra, perché a causa dei tuoi venefici furono sedotte tutte le nazioni. E in essa si è trovato il sangue dei profeti, e dei santi, e di tutti quelli che sono stati uccisi sulla terra.]

I. Vers. 9. E i re della terra, che si sono corrotti con lei e che hanno vissuto nelle delizie, piangeranno su di lei e si batteranno il petto quando vedranno il fumo del suo incendio. Abbiamo visto in precedenza che dopo la rovina di Gerusalemme e lo sterminio degli empi, il resto sarà preso dal timore e darà gloria a Dio. Ora, tra questi resti ci saranno anche i re della terra, cioè i re infedeli. Questi re rappresentano le nazioni che non appartengono alla Chiesa, o che l’hanno abbandonata. Perché Dio, nella sua infinita bontà, non vuole che il peccatore muoia, ma che si converta e viva. (Ezek. XXXIII, 11 e seguenti). Questo è ciò che la Scrittura ci insegna e ciò che l’esperienza quotidiana ci conferma. Ma se Dio è infinitamente misericordioso, è anche infinitamente giusto e vero nelle sue parole. Ed è per manifestare meglio la sua giustizia e la sua bontà agli uomini che Egli colpisce alcuni e risparmia altri, affinché gli uomini imparino a temerlo e a servirlo, sperando in Lui. Ora, è soprattutto alla fine dei tempi che Dio manifesterà questi due grandi attributi, la sua giustizia e la sua bontà. Guai dunque ai peccatori ostinati che cadranno sotto i suoi colpi; ma beati coloro che partecipano alla misericordia di Dio, che moltiplica i suoi eletti tanto quanto lo permette la sua giustizia. Ecco perché, un gran numero di questi re della terra, che rappresentano i principi e le nazioni infedeli, e anche i resti dei Giudei, come vedremo più avanti, saranno risparmiati in questo terribile disastro. Sopravviveranno a questa grande catastrofe della rovina di Gerusalemme e delle città delle nazioni che il fuoco del cielo e i terremoti distruggeranno. E i re della terra, che sono stati corrotti e hanno vissuto con essa nelle delizie, piangeranno su di lei e si batteranno il petto quando vedranno il fumo del suo incendio. Avranno paura e si convertiranno. Queste lamentazioni si applicano a Gerusalemme considerata come Babilonia, cioè la grande città figura della prostituta; ed è in questo senso che queste parole e quelle che seguono devono essere intese come espressione sia della desolazione dei reprobi, sia dell’amaro rimpianto che gli ultimi convertiti proveranno per i loro peccati ed i loro abomini, quando vedranno le conseguenze delle loro opere e l’immenso pericolo che avranno corso. Nella sua rivelazione, Gesù Cristo usa questi stessi re che saranno stati corrotti con la prostituta, e che si convertiranno alla fine dei tempi, per dare più forza alla sua parola facendo lor confessare con la loro stessa bocca i mezzi che questa donna avrà usato per attirarli nella sua prostituzione, e anche per fare esprimere da loro stessi le orribili conseguenze temporali ed eterne del peccato. Perché queste parole indicano anche i mali e gli amari rimpianti che gli empi proveranno nell’inferno per la perdita dei loro beni e dei loro piaceri sensuali. Ascoltiamo dunque questi re e questi Giudei nei loro gemiti e lamenti sulla rovina temporale ed eterna della grande Babilonia.

II. Vers. 10E stando in piedi lontano da essa nel timore dei suoi tormenti, diranno: “Guai, guai! Babilonia, grande città, potente città, è giunta la tua condanna in un’ora….. E stando in piedi, cioè sopravvivendo a questa distruzione generale degli empi, lontano da essa, risparmiati da questa orribile catastrofe, e separandosi dai malvagi con la penitenza. Essi diranno: nel timore dei suoi tormenti, cioè nel timore del Signore che è l’inizio della sapienza, (Ps. CX , 10). Guai, guai! Babilonia, grande città, potente città, la tua condanna è giunta in un’ora. Così parleranno questi re convertiti. È da notare che essi dicono due volte Guai, guai, e due volte, grande città, città potente, per esprimere i due guai temporali ed eterni di questa grande città che è Gerusalemme, capitale del regno dell’anticristo, e Gerusalemme considerata come la grande Babilonia, o la grande prostituta che rappresenta i malvagi di tutti i tempi e luoghi. La tua condanna è arrivata in un’ora, cioè all’improvviso e inaspettatamente, secondo le parole di Gesù Cristo: « Verrò come un ladro ».

Vers. 11. – E i mercanti della terra piangeranno e gemeranno per essa, perché nessuno comprerà più le loro mercanzie. 1 ° Questi mercanti della terra rappresentano la classe comune del popolo, e il Profeta sceglie i mercanti tra questa classe, per far loro svolgere questo doppio ruolo di rappresentanti del popolo e di rappresentanti di tutti coloro che hanno preso parte alla prostituzione, come i mercanti che hanno profittato del lusso sfrenato della prostituta per arricchirsi a sue spese.  Questi mercanti saranno dunque tutti gli uomini che, come i re di cui sopra, si convertiranno dopo essere stati presi dalla paura. Poteva il Profeta scegliere meglio di questi re e mercanti per rappresentare tutte le classi della società? 2º Questi mercanti rappresentano letteralmente i Giudei che si convertiranno anch’essi e diranno: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Si dice più avanti che questi mercanti erano i principi della terra, cioè che essi avranno regnato sulla terra con il loro denaro e con il loro commercio, e che avranno dominato gli uomini con la loro opulenza, con le loro ricchezze e con la loro influenza, etc. Per questo si dice abusivamente, ma con una certa verità, “Il denaro governa il mondo“. Infine, questi mercanti saranno quelli che hanno fornito tutti gli oggetti di lusso menzionati nei versetti seguenti; perché sono soprattutto i Giudei che commerciano in questi oggetti, e che procurano di che soddisfare le passioni e il gusto depravato della prostituta. È soprattutto ai Giudei che questa donna chiede incessantemente nei suoi desideri sfrenati e insaziabili e nel suo orgoglio infernale.

Vers. 12. – Queste mercanzie d’oro e d’argento, di gioielli, di perle, di lino fino, di porpora, di seta, di scarlatto, tutti i loro legni profumati, e tutti i loro mobili d’avorio, di pietre preziose, di bronzo, di ferro e di marmo.

Vers. 13. – Di cannella, di spezie, gli odori, incenso, vino, olio, fiore di farina di grano, di bestie da soma, pecore, cavalli, carri, schiavi e uomini liberi. Tutti questi beni e cibi menzionati nel testo sono mirabilmente ben scelti per rappresentare gli articoli di commercio dei Giudei, e anche gli oggetti degli idoli della grande prostituta. Vi si trova infatti tutto ciò che è necessario per soddisfare le tre grandi concupiscenze di cui parla San Giovanni, l’orgoglio, i piaceri e le ricchezze. Inoltre, la scelta di queste mercanzie ed alimenti di lusso è ammirevole in quanto possono convenire ed applicarsi a tutti i tempi del mondo e che non ce n’è alcuno che non sia conosciuto in tutti i tempi e luoghi, dalle pecore di Caino, alle perle preziose che il demone Moasim farà conoscere all’Anticristo.

III. Perché nessuno comprerà più la loro merce. Infatti:

Vers. 14. I frutti che erano le tue delizie non sono più; ogni delicatezza e ogni magnificenza è perduta per te, e non si troverà mai più, non solo a Gerusalemme, ma anche nel mondo intero. Non si troveranno mai più, perché il secolo sarà consumato.

Vers. 15. – Quelli che si sono arricchiti con la vendita delle sue mercanzie staranno in piedi lontano nel timore dei suoi tormenti; essi piangeranno e gemeranno, cioè  i commercianti, gli operai, i commessi, gli uomini d’affari, i banchieri, ecc. ecc. quelli dei Giudei che saranno stati risparmiati dalla bontà di Dio nella catastrofe dell’ultima piaga, saranno in piedi: essi sopravviveranno e saranno nel numero di coloro di cui parla Daniele, XII, 12: « Beato chi aspetta e arriva a milletrecento trentacinque giorni ». Perché il regno dell’anticristo durerà solo milleduecentosettantasette giorni e mezzo, compresa l’abbreviazione predetta in San Matteo, XXIV, 22: « E se quei giorni non fossero stati abbreviati, ogni carne sarebbe stata distrutta; ma saranno abbreviati per amore degli eletti ». La meravigliosa bontà di Dio che sa sempre trarre il bene dal male e dirigere le disgrazie che gli uomini si sono procurati con i loro peccati, affinché servano come mezzo per moltiplicare il maggior numero possibile di eletti! E questi mercanti staranno in piedi lontani, cioè separati dalle vittime del peccato, dopo la rovina di Babilonia, nel timore dei suoi tormenti, essi saranno dal numero di coloro di cui è detto in Apoc. XI, 13: Il resto fu colto da timore e rese gloria a Dio. Il resto degli uomini, dunque, sarà testimone di questa terribile sciagura, e ne concepirà un grande timore, e sarà allora l’inizio della loro conversione, secondo quel detto dell’Ecclesiastico, (I, 16): « L’inizio della saggezza è il timore del Signore ».

Vers. 16.Piangeranno e si lamenteranno, dicendo:

Vers. 17. – Guai, guai, questa grande città, vestita di lino fine, porpora e scarlatto, ornata d’oro, di gioielli e di perle, ha perso in un momento queste grandi ricchezze. Tutte queste parole continuano a riferirsi a Gerusalemme, la grande città, e alla grande città che rappresenta la gloria, le ricchezze e gli onori del mondo con l’universalità degli empi di tutti i tempi e luoghi, come è indicato ancora queste parole ripetute due volte: Guai, guai! Questa grande città, vestita di lino fine, porpora e scarlatto, ornata d’oro, di gioielli e di perle, ha perso in un attimo queste immense ricchezze. Questo abito pomposo e ricco aggiunge la brillantezza della verità, e queste parole ha perso in un momento, indicano chiaramente la grande catastrofe della consumazione del secolo, e mostrano che si parla qui della rovina di Gerusalemme e delle città dei Gentili, rovesciate dal grande terremoto di cui abbiamo parlato. E tutti questi mali saranno l’inizio dei mali dell’eternità, secondo le parole citate sopra: Tutta la delicatezza e la magnificenza sono perdute per te, e non saranno mai più ritrovate.

IV. Vers. 18. E tutti i piloti, coloro che navigano i mari, i nocchieri, e tutti quelli che sono impiegati sui vascelli, si tenevano lontani, e gridavano vedendo il luogo dell’incendio e dicevano: quale città è simile a questa grande città? Questi piloti, questi marinai, coloro che navigano e sono impiegati sulle navi, sono i pochi Cristiani e direttori di anime che saranno sopravvissuti alla persecuzione dell’anticristo; perché avranno navigato a lungo sul mare tempestoso della persecuzione, e si saranno tenuti in disparte e nascosti, secondo le parole di Gesù Cristo stesso, Matteo, XXIV, 16: « Allora quelli che sono in Giudea fuggono sui monti, etc. » È anche a questo passaggio che dobbiamo mettere in relazione queste parole del testo, Apoc. XIV, 20: « E tutte le isole fuggirono »; così come quelli del cap. XVIII, 4: « Uscite da Babilonia, popolo mio, per non essere coinvolti dalle sue piaghe. »  Tutti i piloti, coloro che navigano sul mare, i marinai e tutti coloro che sono impiegati sulle navi, sulla nave della Chiesa o sulla barca di San Pietro, o nell’arca di Noè, sono rimasti lontani. Queste parole si applicano anche ai buoni di tutti i tempi e luoghi, che si sono tenuti lontani dal mondo, dimorando nel vascello della Chiesa. Inoltre, queste parole si applicano letteralmente ai Giudei e ai ricchi mercanti, etc.

V. Ora ecco la prova evidente che questi re, mercanti e marinai, che rappresentano i resti degli uomini che sono sopravvissuti a questa catastrofe e a queste disgrazie, faranno penitenza:

Vers. 19E si coprirono il capo di polvere e gridarono, piangendo, gemendo e dicendo: Guai, guai, questa grande città, che ha arricchito della sua opulenza tutti coloro che avevano vascelli in mare, è stata desolata in un momento.

Vers. 20. – Cielo, rallegratevi su di essa, e voi, santi apostoli e profeti, perché Dio vi ha vendicato di essa. Notiamo bene queste parole: E si coprirono il capo di polvere … cioè essi hanno fatto penitenza, perché nella Scrittura il segno della penitenza è coprirsi il capo con cenere e polvere. Così, dunque, essi hanno iniziato ad essere rappresentati in piedi, cioè, come se fossero sopravvissuti a queste disgrazie, grazie alla bontà di Dio. Poi rimasero lontani, soggetti ai tormenti di quella grande città. Dopo di che rifletterono e considerarono il luogo di questo grande incendio e gridarono: Quale città era come quella grande città? Infine, nei sentimenti di penitenza, gridarono, piangendo, lamentandosi e dicendo: Guai, guai! Questa grande città, che ha arricchito con la sua opulenza tutti coloro che avevano vascelli in mare, fu desolata in un momento. Queste ultime parole, oltre ad essere prese alla lettera quando sono applicate ai Giudei ed ai grandi del mondo, hanno un significato figurato. Perché, nell’opulenza, si è potenti, e nel potere, gli uomini abusano della loro forza e diventano persecutori; è così che percuotendo i buoni che avevano il loro rifugio nell’arca di Noè, figura della nave della Chiesa costantemente battuta dalla tempesta, e nella barca di San Pietro, simbolo della fede della Chiesa, questi ricchi e potenti persecutori arricchirono i giusti con i beni spirituali della carità e della pazienza. Questa grande città fu desolata in un attimo. Cioè, questa Gerusalemme, o grande Babilonia, cadrà e sarà rovinata in un momento, come il mondo di cui è la figura. Tra un momento, cioè tra qualche giorno, come si vede dai milletrecentotrentacinque giorni di Daniele, che devono essere presi qui come naturali; perché sarebbe assurdo supporre un incendio così lungo di una città. Abbiamo visto, inoltre, nell’opera del venerabile Holzhauser, la spiegazione di questo passaggio e sappiamo che il regno dell’anticristo sarà breve e persino abbreviato. La sua rovina non inizierà che negli ultimi giorni, e continuerà fino alla consumazione dei secoli, secondo San Matteo e San Marco, che dicono: « Questo sarà l’inizio dei dolori. » Infine, questi re, mercanti e marinai, ecc., avendo fatto penitenza, parteciperanno alla gioia dei buoni e dei santi, e diranno: Cielo, rallegratevi di essa, e voi, santi apostoli e profeti, perché Dio vi ha vendicato di essa… Che mirabile descrizione di tutti i movimenti di un cuore penitente, che comincia con l’essere preso dalla paura, poi si separa dai giorni malvagi, deplora le proprie  disgrazie, si copre di cenere e di polvere in segno di contrizione, piange e geme; poi entra nel tempio del Signore, la cui maestà e potenza non può dapprima comprendere a causa del fumo delle sue piaghe, e infine riconosce la sua bontà verso i santi, e la giustizia delle sue vendette sui malvagi, unendosi ai sentimenti comuni degli apostoli, dei profeti e di tutta la Chiesa, e gridando a gran voce: Cielo, rallegratevi di essa, e voi, santi apostoli e profeti, che avete sofferto tanto con tutti i giusti della Chiesa, gioite, perché Dio vi ha vendicato su di essa. Va notato che questi sono i re che rappresentano i grandi e le nazioni infedeli, e poi i resti dei cattivi Cristiani che avranno prevaricato adorando la bestia, e anche i mercanti, cioè i Giudei, che diranno: Perché Dio vi ha vendicato di essa. Non dicono noi, ma voi, poiché i Gentili e i Giudei non saranno appartenuti alla Chiesa di Gesù Cristo, e di conseguenza, non saranno stati oggetto, non più dei cattivi Cristiani, degli insulti e delle persecuzioni con cui i malvagi avranno afflitto la Chiesa, rappresentata dai santi Apostoli e dai Profeti.

VI. Vers. 21. – E un Angelo forte sollevò una pietra come una grande macina e la gettò nel mare, dicendo: “Così sarà gettata giù la grande città Babilonia e d’ora in poi non sarà più trovata”. E San Giovanni vide nella sua immaginazione un Angelo forte, rappresentante della potenza di Dio, che gettava in mare una pietra come una grande macina. E l’Angelo gli disse: “Babilonia, quella grande città, sarà precipitata così, con la stessa forza e fragore di una grande macina da mulino, la cui caduta un braccio forte rende ancora più celere. E quella grande città scomparirà nelle profondità dell’inferno, come una grande macina scompare nelle profondità del mare. E non si troverà più, mai più e infinitamente meno di quanto una pietra possa essere trovata nelle profondità dell’oceano.

VII. Vers. 22. – E la voce degli arpisti e dei musicisti, il flauto dei cantori e le trombe non suoneranno più in te; nessun artigiano si troverà più nella tua cinta, né si intenderà più il rumore della macina.

Vers. 23. – E la luce delle lampade non risplenderà in te per sempre, né vi si udrà più la voce dello sposo e della sposa. Tutte queste parole seguono questo patetico e toccante lamento sul triste stato di questa grande Babilonia, che rappresenta il mondo intero. Che lutto e miseria, che tristezza mortale ispirano queste parole! Il Profeta ci dà poi la ragione e il motivo di questa terribile condanna di Gerusalemme, e dice: Perché i tuoi uomini malvagi erano principi della terra, e tutte le nazioni sono state traviate dai tuoi incantesimi. Vediamo in questo le cause principali dei giudizi di Dio su Gerusalemme e sulla nazione giudaica. 1º Questi mercanti, cioè i Giudei, erano i dominatori della terra. Ora, come abbiamo detto sopra, i Giudei sono il popolo che più ha contribuito alla perversione del mondo e alla prostituzione degli uomini, essendo i principi della terra con il loro oro, il loro commercio e l’influenza che hanno acquisito per le loro ricchezze.  2° Tutte le nazioni sono state sviate dai tuoi incantesimi, cioè dal lusso e dalle merci che i tuoi mercanti hanno fornito alle passioni degli uomini, e anche dalla tua doppiezza, dalle tue frodi, dalle tue menzogne, ecc. e, infine, dai prodigi e dagli incantesimi dell’anticristo e dei suoi falsi profeti. Poi San Giovanni termina questo capitolo con il rimprovero del più grande crimine che egli rivolge a questa città, colpevole della morte del Dio di ogni bontà, Nostro Signore Gesù Cristo di Nazareth crocifisso.

Vers. 24. – E in questa città fu trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti quelli che erano sulla terra. Cioè il sangue di Gesù Cristo, che rappresenta tutti i Martiri, i Profeti e i Santi. Perché i Giudei, uccidendo Gesù Cristo, parteciparono ai crimini di tutti i persecutori della Chiesa e di tutti gli empi del mondo, come tutti gli empi del mondo avranno partecipato al più grande dei crimini, il crimine della morte di Gesù Cristo, uccidendo i Martiri e i Profeti e perseguitando i Santi.

VIII. Noteremo, concludendo questo capitolo, che San Giovanni parla in tre passaggi diversi dei “guai” che rovineranno Gerusalemme alla fine dei tempi. Infatti dice nel capitolo XI, 13: « E in quella stessa ora ci fu un grande terremoto, e la decima parte della città cadde, e settemila uomini morirono nel terremoto; e gli altri furono presi da spavento e diedero gloria a Dio. » Poi dice nel capitolo XVI, 18: « E ci furono lampi e tuoni e un grande terremoto, così grande che nessun uomo ne ha sentito uno simile da quando sono sulla terra. E la grande città fu divisa in tre parti, e le città delle nazioni caddero; e Dio si ricordò della grande Babilonia per darle da bere il vino dello sdegno della sua ira. E tutte le isole fuggirono, e le montagne scomparvero. » Infine il Profeta, senza aver annunciato nessun altro terremoto oltre a quello che abbiamo descritto nel capitolo delle piaghe della consumazione, dice improvvisamente, (capitolo XVIII, 18): « Ed essi gridarono, vedendo il luogo del suo incendio, e dissero: Quale città fu come questa grande città? » Bisogna concludere da tutto questo, che Dio, nella sua infinita bontà, colpirà questa città di Gerusalemme e tutte le città delle nazioni, in modo da spaventare i più ostinati tra gli uomini e dare loro il tempo di convertirsi. Ma gli empi ostinati periranno con le città delle nazioni, perché i terremoti ed il fuoco continueranno a rovinare queste città fino alla consumazione dei tempi. Questo è confermato dagli evangelisti, (Matteo, XXIV, 7): « Nazione si leverà contro nazione, regno contro regno, pestilenze, carestie e terremoti saranno in diversi luoghi. Ora tutte queste cose sono l’inizio dei dolori. » E San Marco, (XIII, 8): « Perché i popoli si solleveranno contro i popoli e i regni contro i regni; e ci saranno terremoti in diversi luoghi e carestie; questo sarà il principio dei dolori ». Infine, (San Luca, XXI, 11): « E ci saranno grandi terremoti, pestilenze e carestie in diversi luoghi; e ci saranno cose spaventose e grandi segni nel cielo.  Ma prima vi prenderanno e vi perseguiteranno, etc. » Possiamo vedere che i quattro Evangelisti sono d’accordo, i tre precedenti nel loro Vangelo, e San Giovanni nella sua Apocalisse, nell’annunciare terribili terremoti che precederanno la fine. – La precipitazione con cui San Giovanni passa, nella sua Apocalisse, dalla descrizione di questo grande terremoto, di cui gli uomini non hanno mai avvertito uno simile, sentito l’effetto, a queste espressioni: e grideranno, vedranno il luogo del suo incendio, ed essi diranno: qual città è stata pari a questa grande città? Questa precipitazione, diciamo, è un modo ammirevole ed energico di mostrarci il pronto adempimento di quelle profezie di San Marco e San Matteo, che ci dicono che tutte queste cose saranno l’inizio dei dolori; cioè della fine dei malvagi sulla terra e dell’apertura dei supplizi dell’eternità. Infatti, vediamo da tutto il contesto che i terremoti che colpiranno Gerusalemme e le città delle nazioni, continueranno a devastarle fino alla loro totale rovina, poiché, secondo San Marco e San Matteo, queste disgrazie devono essere l’inizio dei dolori. Ciò è dimostrato anche dalle parole del testo: E gridarono quando videro il luogo del suo incendio, e dissero: quale città è simile a questa grande città? Così, dunque, il fuoco sarà mescolato ai terremoti, e non si vedrà più il luogo dell’incendio di questa città, rappresentante di tutte le altre città delle nazioni. E allora i piloti e i marinai potranno dire con verità: quale città era simile a questa grande città? Cioè a Gerusalemme, la capitale del regno dell’anticristo, e a Gerusalemme considerata come la grande Babilonia che rappresenta i malvagi di tutti i luoghi e di tutti i tempi.

§ IV.

Applausi, acclamazioni e rallegramenti della Chiesa militante e della Chiesa trionfante, sulla rovina della grande Babilonia, e l’avvicinarsi delle nozze dell’Agnello.

CAPITOLO XIX. VERSETTI 1-10.

Post hæc audivi quasi vocem turbarum multarum in caelo dicentium: Alleluja: salus, et gloria, et virtus Deo nostro est: quia vera et justa judicia sunt ejus, qui judicavit de meretrice magna, quæ corrupit terram in prostitutione sua, et vindicavit sanguinem servorum suorum de manibus ejus. Et iterum dixerunt: Alleluja. Et fumus ejus ascendit in saecula sæculorum. Et ceciderunt seniores viginti quatuor, et quatuor animalia, et adoraverunt Deum sedentem super thronum, dicentes: Amen: alleluja. Ex vox de throno exivit, dicens: Laudem dicite Deo nostro omnes servi ejus: et qui timetis eum pusilli et magni. Et audivi quasi vocem turbæ magnæ, et sicut vocem aquarum multarum, et sicut vocem tonitruorum magnorum, dicentium: Alleluja: quoniam regnavit Dominus Deus noster omnipotens. Gaudeamus, et exsultemus: et demus gloriam ei: quia venerunt nuptiæ Agni, et uxor ejus præparavit se. Et datum est illi ut cooperiat se byssino splendenti et candido. Byssinum enim justificationes sunt sanctorum. Et dixit mihi: Scribe: Beati qui ad cœnam nuptiarum Agni vocati sunt; et dixit mihi: Hœc verba Dei vera sunt. Et cecidi ante pedes ejus, ut adorarem eum. Et dicit mihi: Vide ne feceris: conservus tuus sum, et fratrum tuorum habentium testimonium Jesu. Deum adora. Testimonium enim Jesu est spiritus prophetiœ.

[Dopo di ciò udii come una voce di molte turbe in cielo, che dicevano: Alleluja: salute, e gloria, e virtù al nostro Dìo: perché veri e giusti sono i suoi giudizi, ed ha giudicato la gran meretrice, che ha corrotto la terra colla sua prostituzione, ed ha fatto vendetta del sangue dei suoi servi (sparso) dalle mani di lei. E dissero per la seconda volta: Alleluia. E il fumo di essa sale pei secoli dei secoli. E i ventiquattro seniori e i quattro animali si prostrarono, e adorarono Dio sedente sul trono, dicendo: Amen: alleluja. E uscì dal trono una voce, che diceva: Date lode al nostro Dio voi tutti suoi servi: e voi, che lo temete, piccoli e grandi. E udii come la voce di gran moltitudine, e come la voce di molte acque, e come la voce di grandi tuoni, che dicevano: Alleluia: poiché il Signore nostro Dio onnipotente è entrato nel regno. Rallegriamoci, ed esultiamo, e diamo a lui gloria: perché sono venute le nozze dell’Agnello, e la sua consorte sì è messa all’ordine. E le è stato dato di vestirsi di bisso candido e lucente. Perocché il bisso sono le giustificazioni dei Santi. Sono stati chiamati alla cena delle nozze dell’Agnello: e mi disse: Queste parole di Dio sono vere. E mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo. Ma egli mi disse: Guardati dal farlo: io sono servo come te e come i tuoi fratelli, i quali hanno testimonianza di Gesù. Adora Dio. Poiché la testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia.]

I. Vers. 1. Dopo questo, io intesi nel cielo come la voce di una grande moltitudine che diceva: Alleluja, salvezza, gloria e potenza al nostro Dio …

Dopo questo …, vale a dire, dopo la rovina della grande Babilonia, San Giovanni intese per immaginazione, nel cielo, nella Chiesa trionfante e nella Chiesa militante, come la voce di una grande moltitudine. Questa grande moltitudine è la riunione di tutti i Santi che faranno parte della Chiesa militante, dopo la conversione del resto degli uomini, così come la riunione di tutti i Santi della Chiesa trionfante. Questa grande moltitudine farà sentire come una sola voce per mostrarci l’accordo, l’insieme, l’unità delle vedute e dei sentimenti che uniranno strettamente tutti i re, i mercanti, i piloti, i marinai, di cui si è parlato nel capitolo precedente, in tal modo che essi non formeranno, per così dire, che una sola persona con la Chiesa trionfante. E tutti questi Santi diranno: Alleluja. Questa parola è un grido di gioia che significa: lodate il Signore. Ed essi aggiungeranno: Salvezza, gloria e potenza al nostro Dio. Tutte queste parole esprimono la gioia, le lodi e la riconoscenza che questi Santi della Chiesa militante e della Chiesa trionfante manifesteranno altamente e solennemente, in occasione della vittoria finale e del trionfo assoluto che la Chiesa militante avrà ottenuto sul mondo con la caduta della grande Babilonia. Vediamo nel versetto seguente le ragioni di questa gioia e di questa lode; e queste ragioni sono espresse così chiaramente che non hanno bisogno di alcun commento.

Vers. 2. Perché i suoi giudizi sono veri e giusti, ha condannato la grande prostituta che ha corrotto la terra con la sua prostituzione, ed ha vendicato il sangue dei suoi servi, sparso dalle mani di lei. Così, dunque, questi motivi di gioia e di lode sono tratti dai giudizi di Dio, fondati sulla sua verità e la sua giustizia, che questi nuovi convertiti riconosceranno e confesseranno allora altamente, dicendo che Dio ha condannato veracemente e giustamente la grande prostituta, perché essa ha corrotto la terra con la sua prostituzione agli idoli, che sono sue creature; in più, essi diranno che Egli ha vendicato il sangue dei suoi servi, cioè il sangue di Gesù-Cristo, che come uomo è anche un servo di Dio; ed il sangue dei suoi Profeti, dei suoi Apostoli, di tutti i Martiri della Chiesa, da Abele fino all’ultimo martire che morrà nella persecuzione dell’anticristo. E questo sangue sarà sparso dalla mano dei malvagi di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

II. Vers. 3. Ed essi dissero una seconda volta: Alleluja, ed il fumo del suo incendio si eleva nei secoli dei secoli. Si devono osservare queste parole con attenzione. San Giovanni, dopo aver descritto la gioia della Chiesa militante, passa tutto ad un tratto alla Chiesa trionfante designata nel primo versetto e che aveva accomunato alla Chiesa militante con queste parole, in cielo, parole che si applicano ugualmente ad entrambe queste due Chiese. Perché ora ci dice: E dissero una seconda volta: Alleluia? È per meglio farci capire la stretta unione di queste due Chiese, che sono una nello spirito di fede, speranza e carità, e che si uniranno anche nel corpo, dopo la caduta della grande Babilonia. E hanno detto una seconda volta: Alleluia. Queste parole implicano che i Santi della Chiesa militante e della Chiesa trionfante diranno Alleluia due volte. La prima volta sarà quando la grande Babilonia sarà caduta e prima dell’ultimo giudizio. La seconda volta sarà quando queste due Chiese saranno così strettamente unite che formeranno una sola Chiesa trionfante nei secoli dei secoli. Questo è chiaramente indicato dalle seguenti parole: ed il fumo della sua combustione si alza nei secoli dei secoli. – San Giovanni dice al presente: il fumo della loro combustione si alza, per farci intendere che questo secondo grido, Alleluia, è il grido di gioia che sarà manifestato dalle due Chiese al momento della loro riunione. Perché appena avranno detto una seconda volta Alleluia, l’Apostolo aggiunge immediatamente: E il fumo della sua combustione si alza nei secoli dei secoli. San Giovanni vuole quindi farci capire con questo che a questo secondo grido Alleluia, inizia la beata eternità per i Santi di queste due Chiese, così come un’eternità di dannazione per i figli della prostituta e per tutti gli abitanti della grande Babilonia. Avrebbe potuto l’Apostolo esprimere con più forza e verità l’eternità ed il rigore dei tormenti a cui saranno condannati gli abitanti di questa grande città, che dicendo: E il fumo del suo incendio si eleva per i secoli dei secoli?

 III. Vers. 4. E i ventiquattro vegliardi ed i quattro animali si prostrarono ed adorarono Dio, che era assiso sul trono, dicendo: Amen, Alleluja. Questi ventiquattro vegliardi sono i dodici Patriarchi dell’Antico Testamento ed i dodici Apostoli del Nuovo. C’è così, l’universalità dei Pontefici e dei Dottori della Chiesa, etc. I quattro animali sono gli Evangelisti. Ora tutti questi Santi uniranno le loro voci a quella di tutta la Chiesa, si prostreranno ed adoreranno Dio, che è seduto sul trono della sua gloria nel cielo. E con questo atto unanime di adorazione, essi manifesteranno i loro sentimenti di gioia, di amore, di riconoscenza sì solennemente… ed essi diranno: Amen, così sia; cioè che si faccia la giustizia di Dio, e così si compia la sua parola, ed aggiungeranno questa parola, Alleluja; Dio sia lodato per tutte le sue opere.

IV. Vers. 5. E dal trono uscì una voce dicendo: Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi che lo temete, grandi e piccoli. Questa voce è quella dell’Agnello, Gesù-Cristo, considerato come uomo e come capo di tutta la Chiesa; infatti, questa voce esce dal trono stesso. Ora, non c’è che Gesù-Cristo che sieda sul trono alla destra del Padre, secondo questa parola del Salmista, Ps. CIX: « Il Signore ha detto al mio Signore: siedi alla mia destra, finché non ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi ». Così l’umanità di Gesù Cristo vincerà i suoi nemici e regnerà sul mondo fino alla consumazione dei secoli; ed Egli regna e regnerà anche per tutta l’eternità. Ora, questi nemici della sua umanità gli saranno serviti per essere sgabello per arrivare a questo Regno di gloria; e così l’Uomo-Dio continuerà ad essere il Sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedech. Perciò Gesù Cristo, considerato come uomo e come Capo di tutta la Chiesa, dirà: Lodate il nostro Dio. Gesù Cristo come uomo, anche se Dio stesso, può dire, come rappresentante della nostra umanità: Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi, che lo temete, grandi e piccoli. Perché è qui che vediamo chiaramente l’ufficio di “mediatore” che Gesù Cristo esercita tra Dio e gli uomini. Troviamo nella Scrittura un esempio di questo modo di parlare di Gesù Cristo, quando al momento della sua morte chiamò Dio suo Padre: Mio Dio! Marco, XV, 34: « All’ora nona Gesù gridò a gran voce, dicendo: Eloi, Eloi, lama sabacthani, cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? » Queste parole devono essere attentamente esaminate: tutti voi che lo temete; cioè tutti voi che il timore del Signore ha contenuto nella bontà di Dio e che siete stati abbandonati alla penitenza. Cosa di più vero, pertanto, che Gesù Cristo, come Capo della Chiesa, invita in questo momento solenne, tutti i suoi che saranno stati i servi di Dio e che l’avranno temuto durante la vita del mondo, inviti a lodare Dio nella sua gloria, nella sua potenza, nella sua giustizia e nella sua santità!

V. Vers. 6. Ed io intesi come la voce di una grande moltitudine, come il fragore di grandi acque e come la voce dei tuoni, che dicevano: Alleluia, perché il Signore nostro Dio, l’Onnipotente, regna. Su questo invito che Gesù-Cristo indirizza alla sua Chiesa, San Giovanni sentì come una voce, cioè come una sola voce, che rappresentava l’unione e l’accordo di tutti gli Angeli ed i Santi della corte celeste, indicata dalle parole: di una grande moltitudine… L’ho sentita come la voce di grandi acque, cioè la voce di tutti i Santi della Chiesa militante, che hanno sofferto nelle acque delle tribolazioni, e come la voce dei tuoni; i Dottori ed i predicatori, che tutti insieme si faranno sentire come una sola voce, dicendo: Alleluia, lodiamo il Signore, perché il Signore nostro Dio, l’Onnipotente, regna.

Vers. 7. Rallegriamoci, stiamo nella gioia e rendiamogli gloria, perché è giunto il momento delle nozze dell’Agnello, e la sua sposa vi si è preparata. Tutti questi Santi, dunque, diranno: rallegriamoci. Gioiamo e rendiamo gloria a Dio Padre, perché è giunto il momento delle nozze dell’Agnello Gesù-Cristo; cioè è giunto il momento in cui lo sposo Gesù-Cristo debba essere glorificato ed unirsi alla sua Sposa che è la Chiesa, nei secoli dei secoli. Questa Sposa gioirà delle presenza dello Sposo, non con la fede e la speranza, ma essa lo vedrà così com’è, ed il suo amore non avrà più limiti e non sarà più velato. E la sua Sposa vi si è preparata; in effetti i Santi della Chiesa militante si sono preparati a queste nozze; infatti, le virtù ed i meriti dei Santi sono i loro abiti, e la loro veste nuziale. È ciò che San Giovanni spiega con le seguenti parole.

VI. Vers. 8. E le è stato dato di vestirsi di lino bianco e puro; e questo lino è la giustizia dei Santi … – E le è stato dato … cioè è Dio Padre che ha dato ai Santi della Chiesa, Sposa di Gesù Cristo, di rivestirsi di giustizia, secondo San Giacomo, (I, 17): « Ogni grazia buona e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre dei lumi, nel quale non c’è cambiamento, né ombra, né mutamento di stato. ». È Dio Padre che ha dato alla Chiesa il dono di essere vestita di puro lino bianco per le nozze dell’Agnello. E le ha fatto questo dono per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo, senza la fede nel Quale è impossibile piacere a Dio, secondo San Paolo, (Rom. V): « Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, il quale mediante la fede ci ha dato accesso a quella grazia nella quale stiamo e ci gloriamo nella speranza della gloria dei figli di Dio, etc. » E questo lino è la giustizia dei Santi, di cui saranno rivestiti dalla grazia di Dio Padre, nella fede di Gesù Cristo suo Figlio, per apparire ed essere ammessi alla cena delle nozze dell’Agnello. –

VII. vers. 9. L’Angelo allora mi disse: scrivi: beati coloro che sono stati chiamati alla cena delle nozze dell’Agnello; e aggiunse: queste parole di Dio sono veraci. L’Angelo raccomanda specialmente a San Giovanni di scrivere queste parole di incoraggiamento per tutta la Chiesa militante, e ci esorta con ciò a rivestirci di giustizia, mediante le buone opere fatte nella fede di Gesù-Cristo; infatti, è questo il vestito di lino puro e bianco, che deve essere la nostra veste nuziale, senza la quale non saremo trovati degni di essere nel numero di coloro di cui qui è detto: beati quelli che sono stati chiamati alla cena della nozze dell’Agnello. – La cena è il pasto alla fine del giorno; e questa cena delle nozze dell’Agnello sarà alla fine del giorno della vita di questo mondo; e solo coloro che hanno lavorato nella vigna del Signore, almeno all’undicesima ora, potranno partecipare alla cena di queste nozze. Gli altri che sono stati chiamati e non hanno risposto alla chiamata saranno gettati, mani e piedi, nelle tenebre esterne; … e là ci sarà pianto e stridore di denti. Vedi San Matteo, XXII, 2, ecc. E l’Angelo aggiunse: Queste parole di Dio sono veraci; cioè, queste parole sono una promessa solenne, fondata sulla verità eterna di Dio, a favore di coloro che, essendo stati invitati alla cena delle nozze dell’Agnello, vi compariranno vestiti con l’abito di nozze; e l’Angelo aggiunge queste parole per la consolazione e l’incoraggiamento dei buoni.

Vers. 10 – E mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo. Ma egli mi disse: Guardati dal farlo: io sono servo come te e come i tuoi fratelli, i quali hanno testimonianza di Gesù. Adora Dio. Poiché la testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia. Questo versetto è stato già spiegato.

SEZIONE II.

SUI CAPITOLI XIX E XX

Del secondo Avvento di Gesù Cristo e della grande cena di Dio.

OSSERVAZIONI PRELIMINARI.

I. Per ben comprendere il seguito di questo capitolo XIX ed il capitolo seguente, è importante notare che San Giovanni ha racchiuso e confuso, in un certo senso, le due apparizioni di Gesù Cristo sulla terra, cioè la sua prima venuta, quando ha stabilito il suo regno spirituale che è la Chiesa, e la sua seconda venuta, quando scenderà dal cielo per giudicare tutti gli uomini. La ragione di questo modo di raccontare di San Giovanni è ammirevole, in quanto egli ci mostra a colpo d’occhio l’intero piano della sapienza eterna nella grande opera della nostra redenzione. Sappiamo dalla teologia che l’ultimo giudizio avrà luogo per tre motivi principali: 1° per glorificare Gesù Cristo; 2° per la consolazione dei buoni; 3° per la confusione dei malvagi. Ora, cosa potrebbe essere più naturale, più vero e anche più ammirevole che rappresentare le due venute di Gesù Cristo, e in generale la sua presenza sulla terra, sempre nella stessa forma e con gli stessi caratteri? Perché come potrebbe Dio Padre glorificare meglio il suo unico Figlio fatto uomo, confortare i buoni e confondere i malvagi, che farlo nelle stesse circostanze e nelle stesse forme in cui Gesù Cristo e i suoi Santi hanno sofferto e i malvagi hanno peccato? Troviamo, inoltre, nella Scrittura, esempi sensibili di questo modo di descrivere gli eventi così simili tra loro, tanto da poter essere considerati come un’unica cosa, da poter essere rappresentati sotto le stesse figure; tra questi esempi, citeremo solo quello in cui il profeta Isaia predice, sotto la figura della Gerusalemme terrena, la gloria e la prosperità promessa alla Gerusalemme celeste. (Vedere Isaia, LX). Le seguenti parole si applicano ugualmente alle due venute di Gesù Cristo sulla terra.

§ 1.

Sulla seconda venuta di Gesù Cristo.

CAPITOLO XIX. – VERSETTI 11-16.

Et vidi cœlum apertum, et ecce equus albus, et qui sedebat super eum, vocabatur Fidelis, et Verax, et cum justitia judicat et pugnat. Oculi autem ejus sicut flamma ignis, et in capite ejus diademata multa, habens nomen scriptum, quod nemo novit nisi ipse. Et vestitus erat veste aspersa sanguine: et vocatur nomen ejus: Verbum Dei. Et exercitus qui sunt in cœlo, sequebantur eum in equis albis, vestiti byssino albo et mundo. Et de ore ejus procedit gladius ex utraque parte acutus, ut in ipso percutiat gentes. Et ipse reget eas in virga ferrea: et ipse calcat torcular vini furoris iræ Dei omnipotentis. Et habet in vestimento et in femore suo scriptum: Rex regum et Dominus dominantium.

[E vidi il cielo aperto, ed ecco un cavai bianco, e colui che vi stava sopra si chiamava il Fedele e il Verace, e giudica con giustizia, e combatte. I suoi occhi erano come fiamma di fuoco, e aveva sulla testa molti diademi, e portava scritto un nome, che nessuno conosce se non egli. Ed era vestito d’una veste tinta di sangue: e il suo nome si chiama Verbo di Dio. E gli eserciti, che sono nel cielo, lo seguivano sopra cavalli bianchi, essendo vestiti di bisso bianco e puro. E dalla bocca di lui usciva una spada a due tagli, colla quale egli percuota le genti. Ed egli le governerà con verga di ferro: ed egli pigia lo strettoio del vino del furore dell’ira di Dio onnipotente. Ed ha scritto sulla sua veste e sopra il suo fianco : Re dei re e Signore dei dominanti.]

.I. Vers. 11. – E vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; e Colui che lo cavalcava si chiamava il Fedele e il Verace, che giudica e combatte con giustizia.

Queste prime parole, E vidi il cielo aperto… , si riferiscono alle due venute di Gesù Cristo sulla terra, con la differenza che nella prima, il cielo fu aperto invisibilmente agli uomini, mentre nella seconda, tutti gli uomini vedranno Gesù Cristo apparire nelle nuvole, scendere dal cielo, per giudicare i vivi e i morti. La prima volta la sua venuta fu manifestata da una stella, che era il tipo della luce, della verità e della giustizia eterna che annunciava, in Gesù Cristo, il Sole di Giustizia, apparso realmente nella forma della nostra carne, in uno stato di povertà, umiltà e sofferenza. (Matth. II, 7ss). La seconda volta, apparirà pure realmente, ma in un modo molto diverso. Perché allora non sarà più preceduto da una stella, ma dalla sua Croce; e così lo strumento della sua umiliazione, povertà e sofferenza precederà Gesù Cristo in segno di trionfo, quando verrà nello splendore della sua gloria, maestà e potenza, come la stella che ne era il tipo, precedette Lui e la sua croce quando venne la prima volta, per rigenerare e illuminare il mondo con le sue virtù ed i suoi esempi. Nella sua seconda apparizione, non si mostrerà più sotto forma di un povero bambino neonato, ma scenderà dal cielo, splendente di gloria come Dio e come uomo. (Matth. XXIV, 30): « Allora il segno del Figlio dell’uomo apparirà nel cielo,  e tutte le tribù della terra gemeranno, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con grande potenza e grande maestà. » – Ed ecco un cavallo bianco. Queste parole sono una figura simile a quell’altro passo dell’Apocalisse, dove si dice: “E uscì un altro cavallo rosso, etc. ... La differenza nel significato di questi cavalli si spiega con il loro colore. Così, il cavallo bianco in questione rappresenta qui la giustizia, la santità e la verità di Gesù Cristo e la Sua dottrina, mentre gli altri cavalli, rosso, nero, pallido, etc. rappresentavano con i loro colori le false dottrine delle eresie. Questo cavallo bianco rappresenta dunque la dottrina di Gesù Cristo, nella sua prima venuta; ed anche la giustizia, la santità e la verità, che risplenderanno in Lui con tutto il loro splendore nel suo secondo avvento. Colui che era in alto si chiamava il Fedele e il Verace. Ora, questi due attributi insieme non possono convenire che a Dio solo, secondo San Paolo, (Rom. III, 4): « Dio è verace e ogni uomo è mendace, come sta scritto: Voi siete riconosciuto fedele nelle vostre parole, e vittorioso quando giudicate. » La parola verace di Dio è il Verbo, cioè Gesù Cristo, che si è fatto carne, secondo San Giovanni, (I, 14): « E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi vedemmo la sua gloria, come quella dell’unigenito Figlio del Padre, pieno di grazia e di verità. » – Che giudica e combatte con giustizia. Queste parole, che giudica e combatte, messe insieme, mostrano che Gesù Cristo è qui rappresentato nelle sue due apparizioni: 1° come Colui che combatte i malvagi sulla terra; e 2° come Colui che deve giudicare i vivi ed i morti.  Che giudica e combatte con giustizia, perché è il Fedele ed il Verace, cioè vero e fedele in tutte le sue promesse. Si può caratterizzare l’Uomo-Dio in una maniera più ammirabile di come lo fa San Giovanni in due parole che racchiudono tutta la storia dei tempi e dell’eternità?

II. Vers. 12I suoi occhi erano come una fiamma di fuoco, e aveva molti diademi sulla testa, e un nome scritto che nessuno conosce. Questi occhi di Gesù Cristo, come una fiamma di fuoco, rappresentano la giustizia, la verità, la penetrazione, la santità, la carità, la forza, il calore, etc; attributi infiniti di Dio con i quali, secondo l’Apocalisse stessa, (II, 23), Gesù Cristo è venuto e verrà di nuovo sulla terra. « Tutte le chiese sapranno che Io sono colui che scruta i reni ed i cuori ». Sarebbe troppo lungo citare i molti passi della Scrittura in cui si parla di questi occhi di Dio, quindi ci limiteremo ad uno il cui significato si applica al nostro testo. Prov. XVI, 1: « Spetta all’uomo preparare la sua anima e al Signore governare la lingua. Tutte le vie dell’uomo sono davanti ai suoi occhi, ma il Signore pesa gli spiriti. Esponete le vostre opere al Signore, ed Egli farà prosperare i vostri pensieri. » Questi occhi di Gesù Cristo brilleranno soprattutto come una fiamma d’amore per i buoni e d’ira per i malvagi, quando verrà nell’ultimo giorno a giudicare tutti gli uomini. Vedi Salmo VII, 8. Aveva molte corone sul capo, perché Gesù Cristo è Re dei re, Signore dei signori, Creatore del cielo e della terra; perché è Dio e uomo insieme; e infine perché regna su tutte le Virtù, i Principati, le Potenze, i Troni, le Dominazioni, gli Angeli, gli Arcangeli, i Cherubini, i Serafini; sugli Apostoli, i Profeti, i Martiri, i Confessori, i vergini; sui Pontefici, i Prelati, i Dottori, etc. E un nome scritto che nessuno conosce tranne Lui. Abbiamo già visto nel corso di quest’opera che i Santi stessi godranno in cielo di una gloria speciale che nessuna creatura conoscerà, cioè non possiederà, tranne essi, ed è nello stesso senso, e con infinitamente più ragione, che è detto qui di Gesù Cristo, che Egli ha un Nome scritto che nessuno conosce tranne Lui; perché questo nome di Gesù Cristo contiene tutti i suoi attributi divini e i meriti infiniti che nessuna creatura potrebbe possedere, e dei quali nessuna creatura potrebbe conoscere la profondità e l’immensità. Questo Nome di Gesù Cristo, che è menzionato qui, ha soprattutto a che fare con i grandi misteri della Santissima Trinità, l’Incarnazione e la Redenzione, secondo San Paolo, (Filipp., II, 6): « Gesù Cristo, che avendo la forma e la natura di Dio, non ritenne un’usurpazione l’essere uguale a Dio, tuttavia annientò se stesso, prendendo la forma e la natura di servo, rendendosi simile agli uomini, e facendosi riconoscere come uomo da tutto ciò che appariva di Lui fuori. Si è umiliato, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha esaltato e gli ha dato un Nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e negli inferi, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio suo Padre. »  Da questo si vede che San Paolo confonde in qualche modo il santo Nome di Gesù con la sua gloria, che è anche la gloria di suo Padre. Oh sì, pieghiamo il ginocchio al santo Nome di Gesù sulla terra, aspettando la felicità di piegarlo quando verrà in tutto lo splendore della sua gloria, per invitarci a partecipare alle nozze dell’Agnello!

III. Vers. 13. – Ed era vestito con una veste intinta nel sangue, e il suo nome è il Verbo  di Dio. 1° Chi non riconosce in questa veste macchiata di sangue, la veste di cui fu rivestito Gesù Cristo nella sua benedetta Passione. O adorabile veste che fu tinta del suo prezioso sangue! Aggrappiamoci ad essa come un bambino si aggrappa alla veste di sua madre. Cosa abbiamo da temere sotto una tale protezione? – 2° Queste parole e le seguenti alludono al passaggio di Isaia che citeremo per far ammirare al lettore la somiglianza delle espressioni di questi due Profeti, che apparvero, tuttavia, in epoche così distanti tra di loro? (Isaia, LXIII): « Chi è colui che viene da Edom e Bosra in vesti rosse? Com’è bello nel suo abito, come con quale forza e maestà cammina! Io che parlo con giustizia, sono grande nel soccorrere. Perché dunque la vostra veste è rossa e perché i vostri abiti sono come quelli di coloro che calpestano il vino nel torchio? Sono stato solo a calpestare il vino e nessun uomo del popolo era con me. Li ho calpestati nel mio furore, li ho calpestati nella mia ira, il loro sangue si è versato sulla mia veste e tutte le mie vesti ne sono macchiate. »  – 3º Questa veste rossa rappresenta anche i Martiri; perché il sangue dei Martiri è versato sulla veste di Gesù Cristo, come la veste di cui si copre la povertà di Gesù Cristo stesso, secondo questo detto in  Matth. (XXV, 36): « Ero nudo e mi avete rivestito ». E il suo Nome è il Verbo di Dio. Così questo Nome che nessuno conosce se non Gesù Cristo, questo Nome adorabile è il Verbo di Dio. Potremmo a malapena balbettare se volessimo scandagliare i misteri impenetrabili che sono nascosti sotto questo Nome benedetto. Ci basti adorarLo con timore, umiltà, obbedienza e amore.

IV. Vers. 14. – E gli eserciti che sono nei cieli lo seguivano su cavalli bianchi, vestiti di puro lino bianco.  Questo passaggio si applica anche alle due venute di Gesù Cristo; e il cielo qui significa la Chiesa militante e la Chiesa trionfante. Infatti, Gesù Cristo, nella sua prima apparizione sulla terra, è stato seguito da eserciti di Angeli custodi che combattono per la sua Chiesa, e da armate di Apostoli, Pontefici, Sacerdoti, Dottori, predicatori, vergini, ecc. E tutti questi eserciti lo seguivano su cavalli bianchi di giustizia, verità e santità, vestiti di puro lino bianco, dell’alba sacerdotale, di semplicità, carità, modestia, purezza, rettitudine e castità. 2° Questo passaggio si applica anche alla seconda venuta di Gesù Cristo, perché allora tutti i Santi della Chiesa trionfante e della Chiesa militante verranno con Gesù Cristo per giudicare i vivi e i morti, secondo le parole di Daniele, (VII, 21): « Guardai, ed ecco, questo corno (l’anticristo) faceva guerra ai santi e aveva la meglio  su di loro, finché finché non fosse venuto l’Antico di Giorni (Gesù Cristo). Poi ai santi dell’Altissimo diede il potere di giudicare; e quando il tempo fu compiuto, i Santi entrarono in possesso del regno. » Vediamo questa stessa verità espressa con altre parole nella stessa Apocalisse, (cap. XX , 4): « Vidi anche dei troni e coloro che vi sedevano sopra, e fu dato loro il potere di giudicare. » Ora, chi sono coloro che si siederanno su questi troni, è ciò che San Giovanni spiega nelle parole che seguono nello stesso capitolo: « E le anime di coloro che sono morti per aver reso testimonianza a Gesù, la parola di Dio, e che non hanno adorato la bestia, né la sua immagine, né hanno ricevuto il suo carattere sulla fronte o sulle mani, etc. » Così allora tutti i Santi sono paragonati per numero agli eserciti, così come i figli di Abramo secondo la fede saranno numerosi come le stelle del cielo e la sabbia dei mari; tutti i santi, diciamo, seguiranno il Verbo di Dio su dei cavalli bianchi e saranno vestiti di puro lino bianco per giudicare i vivi e i morti. Tutte queste parole ci danno un’idea della gloria e dell’imponente maestà con cui Gesù Cristo apparirà nelle nuvole per il giudizio universale.

V. Vers. 15. – E dalla sua bocca uscì una spada a doppio taglio per colpire le nazioni; poiché Egli le governerà con uno scettro di ferro; ed Egli stesso calcherà il torchio del vino del furore e dell’ira di Dio Onnipotente. Queste parole si applicano anche alle due venute di Gesù Cristo: E dalla sua bocca uscì una spada a doppio taglio. 1° Questa spada è la parola di Dio, secondo San Paolo; per questo si dice che è uscita dalla sua bocca. (Ef. VI, 17): « Prendete l’elmo della salvezza e la spada spirituale, che è la parola di Dio. » 2 ° Questa spada rappresenta anche la giustizia, la potenza e l’impero di Gesù Cristo sulla terra, Isaia, XI, 4: « Egli renderà giustizia ai poveri e si dichiarerà giusto vendicatore degli umili sulla terra. Egli colpirà la terra con la verga della sua bocca e ucciderà gli empi con il soffio delle sue labbra. » La spada è la figura del potere, della forza e della giustizia dei re; e Gesù Cristo, venendo sulla terra, era e sarà rivestito delle stesse prerogative di un re, secondo queste parole del Salmista (Ps. CIX): « Il Signore disse al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché non avrò reso i tuoi nemici uno sgabello per i tuoi piedi. Il Signore farà uscire da Sion lo scettro della tua autorità; tu stabilirai il tuo impero in mezzo ai tuoi nemici. Il principato è con te nel giorno della tua forza, in mezzo allo splendore dei tuoi santi: ti ho generato dal mio seno prima dell’aurora. L’Eterno ha giurato, non si pentirà: tu sei Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec. Il Signore è alla tua destra, annienterà i re nel giorno della sua ira. Giudicherà i popoli: riempirà tutto di rovine, stritolerà la testa di un gran numero. Egli berrà sulla via dell’acqua del torrente (cioè le acque delle tribolazione), perciò alzerà il capo. » Sarà esaltato sulla croce, e trionferà eternamente attraverso la croce e con la croce. Tutto ciò che è stato appena detto e citato da Daniele e dal Salmista, spiega chiaramente le parole del testo: E dalla sua bocca uscì una spada a doppio taglio, per colpire le nazioni con la sua parola, con la sua giustizia e con la sua potenza; poiché egli le governerà con uno scettro di ferro. Questo scettro di ferro è la sua spada a due tagli; (Matth. X, 34): « Non sono venuto a portare la pace, ma una spada. » È anche lo scettro che il Signore farà uscire da Sion di cui abbiamo appena parlato. Perché egli governerà le nazioni con uno scettro di ferro. Chi non riconosce in queste parole il Dio degli eserciti, che comanda le potenze del mondo e le fa combattere tra loro secondo i disegni imperscrutabili della sua eterna saggezza, per la sua maggior gloria e per la salvezza dei suoi? E così Egli stesso calpesta il torchio del furore e dell’ira di Dio Onnipotente, per punire i malvagi e salvare i giusti. Poiché tutta la carne ha corrotto le sue vie, il divino Redentore è venuto nel mondo e apparirà di nuovo nell’ultimo giorno, armato della sua spada a due tagli e dello scettro della sua autorità, per governare su tutta la carne … per mezzo di piaghe: guerra, malattia, combattimento spirituale, afflizioni, persecuzioni, la tirannia dei malvagi; è, in una parola, con tutti i mali terreni, che il Signore seduto alla destra del Signore, calca il torchio del furore e dell’ira di Dio Onnipotente. E il risultato è il vino della sua vigna, attraverso la giustificazione dei buoni; e la feccia che resterà nel torchio sarà calpestata e gettata come inutile nel fuoco dell’inferno. Si ricorderà che nel passo di Isaia citato sopra, viene chiesto a Gesù Cristo: « Perché dunque è rossa la tua veste e rossa la tua carne? Perché dunque la tua veste è rossa e perché i tuoi abiti sono come la veste di coloro che calpestano il vino nel torchio? » A questa domanda, GesùCristo risponde: « Io solo ho calpestato il vino e nessun uomo del popolo era con me. » Ed è per questo che aggiunge: « Li ho calpestati nella mia ira, li ho calpestati nella mia collera, il loro sangue è schizzato sulla mia tunica e le mie vesti ne sono macchiate. » Perché quando Gesù Cristo venne a redimerci, Egli era solo a calpestare il vino spirituale della giustificazione degli uomini; perché i Giudei e persino i dottori della legge erano affondati nelle tenebre dell’errore e nel fango delle passioni, e i Gentili non conoscevano il vero Dio; e così Gesù Cristo era solo a calpestare il vino, e … qual vino? Il vino del furore e dell’ira di Dio Onnipotente. Perché Dio, vedendosi abbandonato da tutti gli uomini e persino dal popolo giudaico, che era il suo popolo eletto per osservare la sua legge, dovette entrare in furore contro il genere umano, come ne abbiamo un esempio al tempo di Noè, che fu un tipo di Gesù Cristo, come la sua arca era un tipo della Chiesa. E come allora Dio si pentì di aver creato il mondo, perché tutta la carne aveva corrotto le sue vie, e distrusse tutti gli uomini nelle acque del diluvio, così Dio si pentì di aver creato il mondo, tranne Noè e la sua famiglia, che erano gli unici giusti a rappresentare Gesù Cristo e la sua Chiesa; così alla venuta di Gesù Cristo, tutti gli uomini avevano corrotto le loro vie, e questo adorabile Redentore era il solo a calpestare il vino spirituale della giustificazione degli uomini. Non c’era da meravigliarsi, quindi, che le sue vesti fossero cosparse di sangue, poiché Egli era l’unico uomo giusto il cui sangue poteva essere trovato degno di soddisfare alla giustizia del Dio offeso. La differenza tra la prima ira che Dio fece scoppiare al tempo del diluvio, e la seconda al tempo di Gesù Cristo, è che al diluvio Dio ha sacrificato tutti gli uomini tranne una famiglia, mentre al tempo di Gesù Cristo ne ha sacrificato solo uno per tutti, tanto grande è la potenza, la giustizia e la bontà di Dio!

VI. Vers. 16. – Ed egli porta scritto sulla sua veste e sulla sua coscia: Re dei re e Signore dei signori. 1° La veste di Gesù Cristo è dunque la giustizia, la santità e la verità. 2°. È anche la veste della sua Passione; e poiché con la sua gloriosa Passione ha vinto il mondo e tutte le potenze della terra, sulle quali ha il dominio per la sua eterna giustizia, santità e verità, è con infinita ragione che si dice che egli porta scritto Re dei re e Signore dei signori. 3° San Gregorio, (Hom. XV, in Ezechiele), ci dice anche che per coscia, o per fianco, si intende l’incarnazione di Gesù Cristo: ne consegue, quindi, nella stessa idea, che con la sua incarnazione Gesù Cristo iniziò il regno della sua umanità; perciò, è detto ancora: Egli porta scritto sulla sua coscia: Re dei re e Signore dei signori.

§ II.

Della grande cena di Dio.

CAPITOLO XIX. – VERSETTO 17-21.

Et vidi unum angelum stantem in sole, et clamavit voce magna, dicens omnibus avibus, quæ volabant per medium cœli: Venite, et congregamini ad coenam magnam Dei: ut manducetis carnes regum, et carnes tribunorum, et carnes fortium, et carnes equorum, et sedentium in ipsis, et carnes omnium liberorum, et servorum, et pusillorum et magnorum. Et vidi bestiam, et reges terrae, et exercitus eorum congregatos ad faciendum prælium cum illo, qui sedebat in equo, et cum exercitu ejus. Et apprehensa est bestia, et cum ea pseudopropheta: qui fecit signa coram ipso, quibus seduxit eos, qui acceperunt caracterem bestiæ, et qui adoraverunt imaginem ejus. Vivi missi sunt hi duo in stagnum ignis ardentis sulphure: et ceteri occisi sunt in gladio sedentis super equum, qui procedit de ore ipsius: et omnes aves saturatæ sunt carnibus eorum.

[E vidi un Angelo che stava nel sole, e gridò ad alta voce, dicendo a tutti gli uccelli che volavano per mezzo il cielo: Venite, e radunatevi per la gran cena di Dio: per mangiare le carni dei re, e le carni dei tribuni, e le carni dei potenti, e le carni dei cavalli e dei cavalieri, e le carni di tutti, liberi e servi, e piccoli e grandi. E vidi la bestia, e i re della terra, e i loro eserciti radunati per far battaglia con colui che stava sul cavallo, e col suo esercito. E la bestia fu presa, e con essa il falso profeta, che fece davanti ad essa, prodigi coi quali sedusse coloro che ricevettero il carattere della bestia e adorarono la sua immagine. Tutti e due furono gettati vivi nello stagno di fuoco ardente per lo zolfo: e il restante furono uccisi dalla spada di colui che stava sul cavallo, la quale esce dalla sua bocca: e tutti gli uccelli si sfamarono delle loro carni.]

I. Vers. 17. – E vidi un Angelo che stava in piedi nel sole, e gridò a gran voce, dicendo a tutti gli uccelli che volavano in mezzo all’aria: Venite e radunatevi alla grande cena di Dio. Queste parole sono una figura di ciò che accadrà alla fine del mondo, al tempo della rovina universale. Questo Angelo in piedi nel sole rappresenta il Re del cielo e della terra e di tutto ciò che esiste. Perché verso la fine dei tempi, Dio manifesterà la sua potenza nel sole, con i prodigi che il suo Angelo vi opererà. Con questo segno nel sole, tutti gli uccelli che volano in mezzo all’aria, cioè i giusti e i Santi, saranno convocati e riuniti per la grande cena di Dio e per il trionfo dello spirito sulla carne. Si dice che Egli gridò a gran voce, perché il suo segno nel sole produrrà un tale effetto che tutto l’universo ne sarà scosso. Questo Angelo sarà come quello di cui si è parlato altrove, che riunirà tutti gli uomini al suono della tromba. Infatti, Dio, parlando agli uomini, ha dovuto servirsi di queste immagini sensibili per rappresentare la realtà di questa scena, la più imponente che sia mai avvenuta e che l’uomo non poteva immaginare. La migliore spiegazione di questo passaggio del nostro testo si trova in San Luca, dove vediamo che subito dopo la persecuzione dell’anticristo, e quando il tempo dei Gentili che calpesteranno Gerusalemme sarà compiuto, cioè, quando la grande catastrofe della caduta di Babilonia, menzionata sopra, avrà avuto luogo, gli uccelli che volano nell’aria saranno convocati e riuniti per la grande cena di Dio. Ascoltiamo allora San Luca, (XXI, 25): « (I giusti) cadranno a fil di spada e saranno portati in cattività in tutte le nazioni; e Gerusalemme sarà calpestata dai Gentili, finché sia compiuto il tempo dei Gentili. E ci saranno prodigi nel sole, nella luna e nelle stelle; e le nazioni saranno nella costernazione, a causa del rumore del mare e dei flutti. E gli uomini avvizziranno per la paura, aspettando quello che deve arrivare su tutto il mondo, perché le potenze celesti saranno scosse. Allora vedranno il Figlio dell’Uomo venire in una nuvola con grande potenza e maestà. Ora, quando queste cose cominceranno ad accadere, alzate il capo e guardate in alto, perché la vostra redenzione è vicina. » Queste ultime parole, perché la vostra redenzione è vicina, si spiegano con il passo del nostro testo, dove si dice che tutti gli uomini che sopravvivranno alla caduta di Gerusalemme e alla rovina delle città delle nazioni saranno presi dal timore e daranno gloria a Dio. Così Gesù Cristo, nella sua misericordia, vuole rassicurare, con la sua predizione, tutti gli uomini che moriranno di paura, o saranno distrutti in questa rovina generale della natura, promettendo ad essi la loro redenzione spirituale, secondo San Paolo, Ebr. IX, 27: « Come è stabilito che gli uomini muoiano una volta, e che poi siano giudicati; così Gesù Cristo è stato offerto una volta per cancellare i peccati di molti; e la seconda volta apparirà, non più come caricato dei nostri peccati, ma per la salvezza di coloro che lo aspettano. » Bisogna notare che San Giovanni parla solo del segno nel sole, e questo laconismo è ammirevole, se si considera che essendo il sole l’astro più splendido del cielo, bastava che San Giovanni indicasse un cambiamento in questo solo punto per annunciare lo sconvolgimento generale di tutta la natura, come vediamo, infatti, dal passo di San Luca che abbiamo appena citato. Venite e unitevi alla grande cena di Dio, dirà quest’Angelo.

Vers. 18. – Per mangiare la carne dei re, la carne dei tribuni, la carne dei forti, la carne dei cavalli e dei cavalieri, la carne di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi. 1° Vediamo, dal contesto, che la grande cena di Dio inizierà alla caduta della grande Babilonia e durerà finché si alzerà il fumo del suo incendio, cioè nei secoli dei secoli. (Vedi Apoc., XIX, 3). Infatti, da allora tutta la carne corruttibile e corrotta sarà distrutta per risorgere dopo, con questa differenza che i buoni risorgeranno con tutte le qualità dei corpi gloriosi, mentre i malvagi avranno corpi terribili e spaventosi. Questa distruzione universale di tutti gli uomini è espressa in queste parole: La carne di tutti gli uomini, liberi e schiavi, buoni e cattivi, piccoli e grandi, senza distinzione di persone; perché il peccato originale è comune a tutti noi. Solo la Beata Vergine Maria, Regina del Cielo e Madre degli uomini, ne è esente. È in questa grande cena, in questa eterna cena di Dio, che le anime dei giusti e di tutti i Santi saranno convocate. Sono rappresentati figurativamente come uccelli che volano nell’aria, perché si sono elevati dalla terra e sono stati comprati di tra gli uomini, come primizie consacrate a Dio e all’Agnello. (Vedi cap. XIV, 4.). È a questa grande cena, diciamo, che le anime dei giusti saranno invitate e riunite per mangiare la carne dei re, la carne dei tribuni, la carne dei forti, la carne dei cavalli e dei cavalieri, la carne di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi. Queste parole sono una figura che significa che lo spirito regnerà su tutta la carne e su tutto il potere terreno; come tutta la carne regnava sullo spirito nel mondo corrotto, o nella grande Babilonia e nella grande prostituta. 2º Si sa che i Profeti rappresentano spesso, sotto un’unica figura, persone o cose diverse e anche opposte, purché abbiano qualche somiglianza tra loro; ora è così, diciamo, che San Giovanni rappresenta anche i demoni e le dieci corna della bestia o i re del regno dell’anticristo che odieranno la prostituta, la ridurranno all’ultima desolazione, la spoglieranno, divoreranno la sua carne e la bruceranno tra le fiamme. (Vedi cap. XVII, 16.). Questi demoni e queste dieci corna della bestia saranno usati come strumenti per punire i malvagi, rappresentati dalla carne, e per vendicare i buoni, rappresentati anche dagli uccelli che volano nell’aria. Poiché Dio ha messo nei loro cuori di fare ciò che gli piace. (Apoc. XVII, 17). 3º Questi uccelli di cui si è parlato, rappresentano anche, alla lettera, gli uccelli rapaci che si abbatteranno sui cadaveri degli empi per divorarli, dopo l’orribile carneficina della fine dei tempi. Così leggiamo nel primo libro dei Re, (capitolo XVII, 46), che Davide, andando a combattere contro Golia, gli disse: « Il Signore ti consegnerà nelle mie mani; io ti ucciderò e ti taglierò la testa, e darò oggi i corpi morti dei Filistei agli uccelli del cielo e alle bestie della terra, perché tutta la terra sappia che c’è un Dio in Israele. » 4° Questa grande cena di Dio allude, per contrasto, alla santa Cena in cui Gesù Cristo istituì la santissima Eucaristia, poiché vi scopriamo circostanze perfettamente simili. Infatti: 1° mangiando la carne e bevendo il sangue adorabile di Gesù Cristo, i giusti hanno cominciato a vivere spiritualmente e a diventare quegli uccelli che volano nell’aria, cioè nella sfera della grazia, della fede e della giustizia. (Jo., VI, 47): « In verità vi dico che chi crede in me ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti. Questo è il pane disceso dal cielo, perché chiunque ne mangi non muoia. Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che Io darò per la vita del mondo è la mia carne. » Ora, per questa vita eterna che i giusti acquistano mangiando la carne di Gesù Cristo, essi acquistano anche l’incomparabile diritto e la prerogativa di dominare su tutta la carne corruttibile e corrotta, e di mangiare o immolare, nell’eterna cena di Dio, la carne dei re e la carne dei tribuni, etc. – 2°. La cena di Gesù Cristo ebbe luogo alla vigilia della sua morte, e attraverso la sua morte i Cristiani entrarono nella vita. E così, al contrario, la caduta della grande Babilonia, che sarà l’inizio della grande cena di Dio, avverrà alla vigilia della nuova vita, la vita eterna dei Santi, e anche alla vigilia della morte del mondo, che cesserà di esistere per sempre. – 3° Pochi giorni dopo l’ultima cena, Gesù Cristo è risorto dai morti. Allo stesso modo, pochi giorni dopo la caduta della grande Babilonia, gli uomini risorgeranno per l’eternità. – 4° Il pane della Cena del Signore doveva dare la vita ai buoni e la morte ai malvagi; e così nella grande Cena di Dio i buoni avranno la vita e i malvagi la morte eterna. – 5°. Il pane della Cena del Signore dà vita all’anima per il tempo, al corpo e all’anima dei buoni per l’eternità. Anche così, per contrasto, alla grande cena di Dio, alla caduta della grande Babilonia, la carne dei re, la carne dei tribuni, la carne dei forti, etc. sarà distrutta per il tempo, e l’anima e il corpo dei malvagi soffriranno per l’eternità. 5° Questa grande cena è letteralmente quell’immensa e terribile carneficina che avrà luogo sulle montagne della Giudea, quando tutti i popoli della terra vi accorreranno in massa, e gli stessi Giudei saranno tornati da terre straniere. La descrizione di questo orribile dramma si trova nella profezia di Ezechiele, XXXVIII, che contiene in altri termini quello che ci ha dato il venerabile Holzhauser. 6° Infine, queste parole sono una figura del giudizio universale.

II. Vers. 19. E vidi la bestia e i re della terra e i loro eserciti riuniti per far guerra a colui che sedeva sul cavallo e al suo esercito. San Giovanni ritorna di nuovo su questa grande catastrofe della caduta di Babilonia per presentarcela in tutti i suoi aspetti. La prima volta lo ha fatto in occasione della morte di Enoch ed Elia, e del trionfo dei Santi sui malvagi; ora vi ritorna in occasione del trionfo di Gesù Cristo e della grande cena di Dio. Questo è ciò che vediamo in questo passaggio: E vidi la bestia, l’anticristo, e i re della terra e i loro eserciti riuniti, cioè vidi i malvagi, che l’anticristo riunirà sotto i suoi vessilli, per fare guerra contro Colui che montava sul cavallo ed il suo esercito: Gesù Cristo e i suoi Santi. E quale sarà il risultato di questa guerra? Questo è ciò che ci dice Gesù Cristo nelle seguenti parole, parole di incoraggiamento e di consolazione per la Sua Chiesa.

Vers. 20. Ma la bestia fu presa, e con essa il falso profeta che aveva fatto prodigi in sua presenza, prodigi con i quali aveva sedotto coloro che avevano ricevuto il carattere della bestia, e che avevano adorato la sua immagine; ed entrambi furono gettati vivi nello stagno pieno di fuoco e di zolfo.

Vers. 21. – E gli altri furono uccisi con la spada che usciva dalla bocca di Colui che sedeva sul cavallo, cioè con la potenza e il soffio di Gesù Cristo; e tutti gli uccelli si saziarono della loro carne. Queste parole significano che tutti i Santi saranno presenti al grande trionfo di cui si parla, e che avranno il potere di giudicare e condannare i malvagi. Queste parole sono anche una conferma di ciò che è stato detto, che la caduta di Gerusalemme e delle città delle nazioni sarà il preludio immediato alla fine del mondo, l’ultimo giudizio ed il trionfo eterno di Gesù Cristo con i suoi Santi.

III.

Ricapitolazione.

OSSERVAZIONE PRELIMINARE.

I. Prima di passare al capitolo XX dell’Apocalisse, è bene ricordare al lettore che questo capitolo contiene un riassunto di tutto il regno di Gesù Cristo sulla terra. Questo capitolo è diviso in tre parti che sono: – 1. Il primo Avvento di Gesù Cristo e il suo regno spirituale dalla Chiesa fino all’anticristo. Questo regno è rappresentato da un periodo di mille anni, durante il quale l’antico serpente che è il diavolo e satana sarà stato legato. – 2° Questo capitolo descrive poi il regno dell’anticristo, quando satana sarà nuovamente liberato. – 3° Infine, l’ultima parte contiene la seconda venuta di Gesù Cristo o l’ultimo giudizio.  – Inoltre, questo stesso capitolo presenta un’altra divisione in due punti principali, che sono: la prima e la seconda risurrezione. Si noterà che San Giovanni ritorna di nuovo sulle stesse cose, ed è, come abbiamo detto, per presentare questi eventi, così importanti e così interessanti per la Chiesa, sotto tutti i loro aspetti. Questo capitolo può quindi essere considerato come una ricapitolazione o una perorazione di queste rivelazioni di Gesù Cristo. Questo capitolo è di grande utilità per dare più forza e vigore a tutto ciò che San Giovanni ha predetto. Esso serve anche come una preziosa conferma ed una chiarificazione per la comprensione e lo sviluppo di tutto ciò che precede.

§ IV.

Sul Primo Avvento di Gesù Cristo e il suo regno di mille anni.

CAPITOLO XX. VERSETTI 1-3.

Et vidi angelum descendentem de cælo, habentem clavem abyssi, et catenam magnam in manu sua. Et apprehendit draconem, serpentem antiquum, qui est diabolus, et Satanas, et ligavit eum per annos mille: et misit eum in abyssum, et clausit, et signavit super illum ut non seducat amplius gentes, donec consummentur mille anni: et post hæc oportet illum solvi modico tempore.

[E vidi un Angelo che scendeva dal cielo, e aveva la chiave dell’abisso, e una grande catena in mano. Ed egli afferrò il dragone, il serpente antico, che è il diavolo e satana, e lo legò per mille anni, e lo cacciò nell’abisso, e lo chiuse e sigillò sopra di lui, perché non seduca più le nazioni, fino a tanto che siano compiti i mille anni: dopo i quali deve essere sciolto per poco tempo.]

I. E vidi un Angelo che scendeva dal cielo, avendo la chiave del pozzo senza fondo e una grande catena in mano. Questo Angelo che scende dal cielo è Gesù Cristo, quando si è fatto carne. Scese dal cielo, essendo uno spirito puro come gli Angeli, ma infinitamente perfetto come Dio; ed essendosi fatto carne è apparso sulla terra come Dio e come Uomo in qualità di Angelo, cioè come uno inviato da Dio suo Padre per compiere la grande opera della nostra redenzione. Avendo in mano la chiave dell’abisso. Questa chiave rappresenta il potere che possedeva come Dio e che usava come Dio e uomo insieme, per la salvezza del mondo. Questa chiave è dunque la figura di tutti i poteri di cui il nostro divino Redentore abbia fatto uso contro il nemico della razza umana, il vecchio serpente, a cui ha dovuto schiacciare la testa. Questo potere è anche quello che ha conferito alla sua Chiesa, ed in generale a tutto il suo esercito in cielo e in terra. Potere di legare e sciogliere, di scacciare i demoni, di fare miracoli, etc. etc., insomma, questa chiave era la chiave dell’abisso, cioè la chiave dell’inferno; ed Egli teneva questa chiave in mano come la chiave della Chiesa, contro la quale le porte dell’inferno non prevarranno mai. Teneva anche in mano una grande catena, la catena dei Papi che sono i suoi anelli, il primo anello dei quali fu San Pietro, che ricevette il suo potere dalla mano di Gesù stesso, un potere che deve continuare ad estendersi fino all’ultimo Papa, che si chiamerà anch’esso Pietro, e che l’anticristo farà uccidere; ed è allora che il diavolo sarà nuovamente slegato per un po’. Questa chiave e questa grande catena sono dunque anche l’autorità della Chiesa e dei Papi.

Vers. 2. E prese il drago, il vecchio serpente, che è il diavolo e satana, e lo legò per mille anni. Si sa dalla storia che con la diffusione del Cristianesimo, gli idoli e il potere del diavolo scomparvero. E così Gesù Cristo legò satana per mille anni. San Giovanni cita di nuovo un numero certo per un numero indeterminato. Questi mille anni rappresentano l’intera durata della Chiesa, da Gesù Cristo fino all’avvento dell’anticristo. E prese il drago … che è il diavolo e satana, cioè il principe dei demoni e il tentatore della razza umana.

Vers. 3. E lo gettò nel pozzo senza fondo, e lo rinchiuse lì, e lo sigillò, affinché non seducesse più le nazioni, finché non fossero compiuti i mille anni, dopo i quali doveva essere sciolto per un po’ di tempo.  Con il suo primo avvento e l’istituzione della sua Chiesa, Gesù Cristo ha gettato satana nell’abisso, cioè ha relegato il suo potere all’inferno e vi ha posto un sigillo, il sigillo della sua parola, della sua volontà e della sua  promessa: (Matth. XVI, 18): « E io ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. » E vi pose un sigillo, affinché non ingannasse più le nazioni, come ai tempi dei pagani, degli idoli e degli indovini, etc.; finché i mille anni, cioè gli anni della durata della Chiesa e del Sacrificio perpetuo, siano compiuti, dopo di che, perché si adempiano le profezie, deve essere sciolto per un po’ di tempo; per la durata cioè, del regno dell’anticristo, che sarà breve, poiché quando entrerà nella pienezza del suo regno, vivrà solo quarantadue mesi naturali. Ed è durante questo intervallo che satana sarà sciolto per sedurre le nazioni, con i suoi prodigi, con le sue imposture e con le sue persecuzioni.

§ V.

Della prima risurrezione.

CAPITOLO XX . VERSETTI 4-6.

Et vidi sedes, et sederunt super eas, et judicium datum est illis: et animas decollatorum propter testimonium Jesu, et propter verbum Dei, et qui non adoraverunt bestiam, neque imaginem ejus, nec acceperunt caracterem ejus in frontibus, aut in manibus suis, et vixerunt, et regnaverunt cum Christo mille annis. Ceteri mortuorum non vixerunt, donec consummentur mille anni. Hæc est resurrectio prima. Beatus, et sanctus, qui habet partem in resurrectione prima: in his secunda mors non habet potestatem: sed erunt sacerdotes Dei et Christi, et regnabunt cum illo mille annis.

[E vidi dei troni e sederono su questi, e fu dato ad essi di giudicare: e le anime di quelli che furono decollati a causa della testimonianza di Gesù, e a causa della parola di Dio, e quelli i quali non adorarono la bestia, né la sua immagine, né ricevettero il suo carattere sulla fronte o sulle loro mani, e vissero e regnarono con Cristo per mille anni. Gli altri morti poi non vissero, fintantoché siano compiti i mille anni. Questa è la prima risurrezione. Beato e santo chi ha parte nella prima risurrezione: sopra di questi non ha potere la seconda morte: ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo, e regneranno con lui per mille anni.]

I. Vers. 4. – E vidi dei troni e coloro che vi sedevano, e fu dato loro il potere di giudicare; e le anime di coloro che morirono per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, e che non adorarono la bestia, né la sua immagine, né ricevettero il suo carattere sulla loro fronte o nelle loro mani; e vissero e regnarono mille anni con Gesù Cristo. Questo passaggio offre, a prima vista, una difficoltà molto grande, a causa del tipo di confusione che San Giovanni sembra fare dei Martiri del tempo dell’anticristo, con gli altri che regneranno durante i mille anni del regno di Gesù Cristo e della Chiesa; e anche a causa dei due tipi di morte di cui parla in questo versetto e in quello seguente, il cui significato è difficile da afferrare a prima vista. Ma questa apparente confusione contiene una figura ammirevole, con la quale San Giovanni ci rappresenta l’unità e la stretta unione che esiste nel destino dei Santi e dei giusti in tutte le epoche della Chiesa; basta scomporre il suo quadro per cogliere il significato di ciascuna delle figure che contiene. E vidi anche dei troni, cioè San Giovanni vide i dodici troni di cui si parla in San Matteo, (XIX, 27): « Pietro disse (a Gesù): Ora che abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che ne sarà di noi? E Gesù disse loro: In verità vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo si siederà sul trono della sua gloria nel tempo della rigenerazione, anche voi siederete su dodici troni e giudicherete le dodici tribù d’Israele. » – E vidi anche coloro che sedevano su di essi, cioè i dodici Apostoli e anche tutti i Santi; perché questi dodici troni rappresentano l’universalità dei troni dei Santi che avranno seguito Gesù Cristo come gli Apostoli, e che avranno una parte, di conseguenza, in questa ricompensa nell’essere seduti su troni, per giudicare i vivi e i morti. San Girolamo, nella sua omelia su questo passo del Vangelo, dice anche: Lib. III, in Matth. XIX che: seguire Gesù Cristo è proprio dei credenti. – E fu dato loro il potere di giudicare; abbiamo appena visto che gli Apostoli e i Santi che hanno seguito Gesù Cristo saranno seduti sui troni all’ultimo giudizio, per giudicare, con Gesù Cristo, i vivi e i morti. E le anime di coloro che sono morti per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, vale a dire cioè, che ho visto anche le anime di tutti i martiri della Chiesa in generale, e quelle degli Apostoli, dei missionari, dei Dottori, dei predicatori, ecc. che sono morti dando testimonianza di Gesù e della parola di Dio. E vidi anche nella stessa visione coloro che moriranno come martiri dopo i mille anni, al tempo dell’anticristo. Perché aggiunge: E le anime di coloro che non hanno adorato la bestia, né la sua immagine, né hanno ricevuto il suo carattere sulla loro fronte o nelle loro mani. San Giovanni vide dunque le anime di tutti i Martiri della Chiesa in generale, e anche quelle della fine dei tempi. Bisogna notare che non menziona i corpi, ma solo le anime di questi Santi, e questo per mostrarci che queste anime godranno della gloria eterna prima della risurrezione universale dei corpi. E vissero e regnarono mille anni con Gesù Cristo. È come se dicesse: i primi Martiri vissero e regnarono mille anni con Gesù Cristo. Ma San Giovanni sembra aver omesso questa distinzione dei primi e degli ultimi Martiri della Chiesa, per farci capire che i Martiri del tempo dell’anticristo vivranno la stessa vita degli altri, cioè la vita di Gesù Cristo. Ora, vivere con Gesù Cristo è regnare, e in questo senso, i Santi appartengono tutti indistintamente al regno di Gesù Cristo e della sua Chiesa; e tutti saranno seduti su troni per giudicare i vivi e i morti. Queste parole: che non hanno adorato la bestia, né la sua immagine, etc., si intendono anche per i primi Martiri della Chiesa, che non si sono prostituiti agli idoli del mondo. Per quanto riguarda la vera e unica distinzione che esiste tra questi Martiri, intendiamo la distinzione del tempo in cui furono messi a morte, San Giovanni la esprime chiaramente con le seguenti parole:

II. Vers. 5 Gli altri morti non entrarono nella vita se non dopo il compimento dei mille anni. Questa è la prima resurrezione. Gli altri morti, i Nartiri del tempo dell’anticristo, entrarono nella vita eterna attraverso il martirio solo dopo che i mille anni furono compiuti, cioè, sono solo quelli che subiranno il martirio dopo i mille anni del regno di Gesù Cristo, quando il diavolo sarà di nuovo slegato al tempo dell’anticristo. Questa è la prima resurrezione, la resurrezione particolare di ciascuno, la resurrezione spirituale che precede la resurrezione universale dei corpi; per questo si chiama la prima resurrezione. Questo passaggio si applica anche ai Giudei e ai Gentili che si convertiranno alla fine del mondo; perché sappiamo che i Profeti designano varie cose nella stessa figura. Gli altri morti non entrarono nella vita se non dopo che i mille anni erano passati. Anche qui il Profeta cita un numero definito per un numero indefinito. Troviamo la spiegazione di questi mille anni del regno di Gesù Cristo nella seconda epistola di San Pietro, (III, 8): « Ma una cosa non dovete ignorare, miei cari, è che agli occhi del Signore, un giorno è come mille anni, e mille anni come un giorno. Quindi il Signore non ha ritardato il compimento della sua promessa, come alcuni immaginano (anche se non è venuto dopo mille anni), ma Egli vi aspetta con santa pazienza, per gli appelli di Pietro, volendo che nessuno perisca, ma che tutti ritornino alla penitenza. » Così, le parole di San Pietro, spiegate nella parentesi che aggiungiamo, per sottolinearne meglio il senso di queste parole – noi diciamo – sono una profezia che preveniva già alla Chiesa primitiva, almeno indirettamente, che il secondo avvento di Gesù-Cristo potrebbe non avere luogo immediatamente dopo che i mille anni del suo regno che si sarebbero adempiuti alla lettera. Perché tutto il contesto mostra che San Pietro ha voluto dare una spiegazione di ciò che si debba intendere moralmente per i mille anni di cui si questiona qui.

III. Vers. 6Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione; la seconda morte non avrà dominio su di loro, ma essi saranno sacerdoti di Dio e di Gesù Cristo e regneranno con lui per mille anni. Queste parole e quelle sopra sono un continuo incoraggiamento ai Cristiani, che sono costantemente esposti alla persecuzione da parte dei malvagi. Beato e santo è colui che ha una parte nella resurrezione di cui abbiamo appena parlato. Perché la seconda morte, la morte eterna, che segue la morte temporale, non avrà alcun potere su di loro; ma saranno sacerdoti di Dio e di Gesù Cristo, cioè saranno sacrificatori della propria vita per Dio e per Gesù-Cristo; ed essi offriranno a Dio un continuo sacrificio di lode e di ringraziamento, ed intercederanno presso Dio per i fedeli della Chiesa, e le loro preghiere saranno potenti e facilmente esaudite in virtù dei loro meriti. E regneranno con lui per mille anni, come è stato spiegato sopra.

§ VI.

Del regno dell’anticristo, quando satana sarà nuovamente sciolto.

CAPITOLO XX. VERSETTI 7-10.

Et cum consummati fuerint mille anni, solvetur Satanas de carcere suo, et exibit, et seducet gentes, quæ sunt super quatuor angulos terrae, Gog, et Magog, et congregabit eos in prælium, quorum numerus est sicut arena maris. Et ascenderunt super latitudinem terræ, et circuierunt castra sanctorum, et civitatem dilectam. Et descendit ignis a Deo de cælo, et devoravit eos: et diabolus, qui seducebat eos, missus est in stagnum ignis, et sulphuris, ubi et bestia et pseudopropheta cruciabuntur die ac nocte in sæcula sæculorum.

[E compiti i mille anni, satana sarà sciolto dalla sua prigione, e uscirà, e sedurrà le nazioni che sono nei quattro angoli della terra, Gog e Magog, e le radunerà a battaglia, il numero delle quali è come la rena del mare. E si stesero per l’ampiezza della terra, e circondarono gli accampamenti dei santi e la città diletta. E dal cielo cadde un fuoco (spedito) da Dio, il quale le divorò: e il diavolo, che le seduceva, fu gettato in uno stagno di fuoco e di zolfo, dove anche la bestia, e il falso profeta saranno tormentati dì e notte pei secoli dei secoli.]

I. Vers. 7E dopo che i mille anni saranno compiuti, Satana sarà sciolto, uscirà dalla sua prigione e radunerà le nazioni che sono ai quattro angoli del mondo, Gog e Magog, e le riunirà per la battaglia, e il loro numero sarà come la sabbia del mare. – E dopo che mille anni saranno compiuti, cioè dopo il regno di Gesù Cristo e della Sua Chiesa sulla terra, durante le prime sei età, satana sarà slegato e lasciato libero di regnare di nuovo come ai tempi del paganesimo e peggio. Uscirà dalla sua prigione, dall’inferno, dove il suo potere era stato relegato, e sedurrà le nazioni che sono ai quattro angoli del mondo, cioè le nazioni della terra. Sedurrà anche Gog che, secondo Sant’Agostino, sarà l’anticristo; e secondo San Girolamo, il rappresentante di tutti gli eresiarchi. E Magog che, secondo lo stesso San Girolamo, rappresenta tutti i settari della dottrina dell’anticristo. Ora, questi settari saranno numerosi, poiché l’anticristo estenderà il suo potere su tutte le nazioni della terra. Ed egli li radunerà per la battaglia di cui si è parlato, per fare guerra a Dio stesso nel giorno della grande battaglia di Dio Onnipotente. E il loro numero sarà come la sabbia del mare, cioè un gran numero di tutti i popoli della Libia, dell’Etiopia, della Persia, dei popoli del Nord, di Gomer e di tutti i suoi battaglioni, della casa di Thogorma, vicina al Nord, con tutta la sua forza e la moltitudine dei suoi popoli, ecc. ecc. (Vedere Ezechiele, XXXVIII).

II. Vers. 8 . E salirono sulla faccia della terra e circondarono l’accampamento dei santi e la città amata, vale a dire che questi grandi eserciti si accamperanno sui monti della Giudea e circonderanno l’accampamento dei Santi e la città amata, che è Gerusalemme, figura della Chiesa, dove è stato trovato il sangue dei Profeti e dei Santi e di tutti coloro che sono stati sulla terra. (Vedi cap. XVII, 24). Ricordiamo che Gerusalemme, presa letteralmente, rappresenta la grande Babilonia e, in senso mistico, è una figura della Chiesa di Gesù Cristo.

Vers. 9. – Ma il fuoco di Dio scese dal cielo e li divorò, e il diavolo che li aveva ingannati fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo, dove la bestia

Vers. 10. – … E i falsi profeti saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli. Questo passaggio è già stato citato e spiegato, in occasione della caduta di Babilonia. Si ripete qui, come abbiamo detto, in forma di perorazione, come tutto il capitolo.

§ VII.

Sulla seconda risurrezione e l’ultimo giudizio.

CAPITOLO XX. VERSETTI 11-15.

Et vidi thronum magnum candidum, et sedentem super eum, a cujus conspectu fugit terra, et caelum, et locus non est inventus eis. Et vidi mortuos, magnos et pusillos, stantes in conspectu throni, et libri aperti sunt: et alius liber apertus est, qui est vitae: et judicati sunt mortui ex his, quae scripta erant in libris, secundum opera ipsorum: et dedit mare mortuos, qui in eo erant: et mors et infernus dederunt mortuos suos, qui in ipsis erant: et judicatum est de singulis secundum opera ipsorum. Et infernus et mors missi sunt in stagnum ignis. Hæc est mors secunda. Et qui non inventus est in libro vitæ scriptus, missus est in stagnum ignis.

[E vidi un gran trono candido, e uno che sopra di esso sedeva, dalla vista del quale fuggirono la terra e il cielo e non fu più trovato luogo per loro. E vidi i morti grandi e piccali stare davanti al trono; e si aprirono i libri: e fu aperto un altro libro che è quello della vita: e i morti furono giudicati sopra quello che era scritto nei libri secondo le opere loro. E il mare rendette i morti che riteneva dentro di sé: e la morte e l’inferno rendettero i morti che avevano: e si fece giudizio di ciascuno secondo quello che avevano operato. E l’inferno e la morte furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte. E chi non si trovò scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco.]

I. Vers. 11. – E vidi un grande trono bianco, e uno seduto davanti alla cui faccia la terra e il cielo fuggirono e il loro posto non fu più. San Giovanni passa ora al giudizio universale, e ci dice: Ho visto nella mia immaginazione un grande trono bianco. Questo trono sono le nuvole sulle quali apparirà il Figlio dell’Uomo. … e uno solo seduto, cioè Nostro Signore Gesù Cristo stesso. (Matth. XXIV, 30): « E allora apparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo (il segno della Croce) e tutte le tribù della terra gemeranno, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con grande potenza e maestà. » – Davanti al cui volto la terra e il cielo fuggiranno… Ah! allora il cielo e la terra saranno bruciati con il fuoco e poi saranno rinnovati. (II, Pietr., III, 7): « I cieli e la terra che ora esistono sono conservati dalla parola di Dio, e sono riservati per essere bruciati con il fuoco nel giorno del giudizio e della rovina degli empi. Ora come il ladro viene di notte così il giorno del Signore verrà all’improvviso; e allora con il rumore di una tempesta spaventosa i cieli passeranno, e gli elementi saranno dissolti, e la terra con tutto quello che c’è sarà bruciata con il fuoco. Poiché dunque tutte queste cose devono perire, come dovreste essere nelle vostre opere di pioetà e nel vostro comportamento, aspettando e desiderando la venuta del giorno del Signore, quando la violenza del fuoco dissolverà i cieli e fonderà tutti gli elementi! Perché noi attendiamo, secondo la sua promessa, nuovi cieli e una nuova terra, in cui dimorerà la giustizia. Perciò, miei cari, in questa attesa, che il Signore vi trovi puri, irreprensibili e in pace; e credete che la longa pazienza del nostro Signore è la vostra salvezza. » – Noi crediamo con Sant’Agostino, (De Civ. 20, XIV), che questo cambiamento della terra e dei cieli avrà luogo dopo il giudizio e non prima. E il loro stesso posto non si troverà più, cioè essi spariranno completamente nello spazio, e saranno annientati per sempre.

II. Vers. 12.E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono; i libri furono aperti, e un altro libro, il libro della vita, fu aperto di nuovo, e i morti furono giudicati secondo quanto era scritto in quei libri, secondo le loro opere. – E vidi i morti, cioè tutti gli uomini che sono vissuti sulla terra e che tutti, grandi e piccoli, senza distinzione di persone, hanno subito la pena del peccato originale, di cui tutti sono macchiati, tranne la Donna benedetta fra tutte le donne, la Regina del cielo e nostra Madre, la beata Vergine Maria. Ho visto tutti questi morti in piedi davanti al trono per essere giudicati. Il profeta Daniele ci parla anche di questo trono davanti al quale i morti, grandi e piccoli, appariranno per essere giudicati, e ci dice, (cap. VII, 9): « Io ero attento a ciò che vedevo, finché furono posti dei troni e l’Antico dei Giorni (Gesù Cristo) si sedette; la sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano come la lana più bianca e più pura. Il suo trono era delle fiamme ardenti e le ruote di questo trono un fuoco ardente. Un fiume di fuoco uscì rapidamente dalla sua faccia, mille migliaia di Angeli lo servivano e centinaia di migliaia di uomini stavano davanti a Lui. Il giudizio iniziò e i libri furono aperti. » Questi libri sono i libri sacri e anche i libri in cui sono registrate le opere degli uomini; perché Dio le ricorderà tutte nei minimi dettagli e le confronterà con la sua Legge, e la sua Legge con le nostre opere.  Sant’Agostino ci dice che per l’onnipotenza di Dio, queste opere saranno viste e conosciute da tutti gli uomini con una celerità meravigliosa. I libri furono aperti e un altro libro, il libro della vita, fu aperto ancora; questo libro della vita è il libro in cui sono scritti i nomi degli eletti. E i morti furono giudicati da ciò che era scritto in quei libri, cioè sulle loro opere, e dalla legge di Dio applicata alle azioni degli uomini, … e sulle loro opere, cioè secondo il numero e il merito delle loro opere e sulla Legge di Dio applicata alle azioni degli uomini. E i morti furono giudicati da ciò che era scritto in questi libri. Come abbiamo detto, questi morti sono tutti i morti, grandi e piccoli, che stavano davanti al trono, cioè tutti gli uomini; perché secondo San Paolo, (Eb. IX, 27): « È decretato che gli uomini muoiano una volta sola. » Nessuna eccezione è fatta per coloro che hanno partecipato al peccato originale, quindi, queste parole devono essere intese in modo assoluto: E i morti furono giudicati. Inoltre, vediamo dalle differenze nei giudizi indicati nelle parole seguenti che si tratta qui di tutti i morti, i buoni e i cattivi, che saranno tutti giudicati, ed è solo dopo questo giudizio che seguiranno le diverse sentenze, secondo le due categorie a cui tutti gli uomini apparterranno per l’eternità. Queste due categorie sono indicate nel versetto seguente: quella dei buoni con i morti nel mare, e quella dei malvagi con la morte e l’inferno.

III. Vers. 13. – Il mare restituì quelli che erano morti nelle sue acque; anche la morte e l’inferno restituirono i loro morti, e ogni uomo fu giudicato secondo le sue opere. San Giovanni distingue qui due tipi di morti: quelli che sono morti nel mare, e quelli che sono morti nella morte e nell’inferno: anche la morte e l’inferno hanno consegnato i loro morti. Cioè, tutti gli uomini risorgeranno nell’ultimo giorno, i buoni e i cattivi. La resurrezione dei buoni è espressa in queste parole: Il mare ha restituito coloro che sono morti nelle sue acque, nelle acque del Battesimo e nelle acque della penitenza e della tribolazione, secondo le parole dell’Apocalisse, (XXII, 14): « Beati coloro che lavano le loro vesti nel sangue dell’Agnello, perché abbiano diritto all’albero di vita, etc. » La resurrezione dei malvagi, invece, è espressa con queste altre parole: Anche la morte e l’inferno hanno consegnato i loro morti, e ciascuno fu giudicato secondo le sue opere. Ora vediamo chiaramente dalle parole del testo seguente che quelli della morte e dell’inferno sono un tutt’uno, e che saranno tutti condannati al fuoco dell’inferno. La parola morte qui, significa la morte temporale, ed è congiunta alla parola inferno, per significare la morte dell’anima o la morte eterna. E ognuno fu giudicato secondo le sue opere; cioè, i buoni giudicheranno e condanneranno i malvagi; poiché il giudizio di ciascuno sarà ratificato davanti al cielo e alla terra, davanti a tutti i Santi della corte celeste e davanti a tutti gli uomini, per glorificare Dio, per onorare i giusti e per confondere i malvagi. La sentenza di questo giudizio sarà pronunciata dal Giudice sovrano Gesù Cristo, quando dirà ai suoi eletti: Venite, benedetti del Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi, etc.;partite da me, maledetti, nel fuoco dell’inferno, etc. Allora i buoni uniranno la loro voce a quella di Gesù Cristo, dicendo, (Apoc. XIX): « Alleluia, salvezza, gloria e potenza al nostro Dio, perché i suoi giudizi sono veri e giusti, perché ha condannato la grande meretrice che ha corrotto la terra con la sua prostituzione, e ha vendicato il sangue dei suoi servi che le sue mani hanno versato. E diranno una seconda volta (dopo che la sentenza di Gesù Cristo sarà stata pronunciata), Alleluia. E allora il fumo dell’incendio di Babilonia si alzerà nei secoli dei secoli. » Troviamo conferma di questa interpretazione nel libro della Sapienza, V: « Allora i giusti si solleveranno con grande potenza contro coloro che li hanno afflitti e hanno portato via il frutto delle loro fatiche. I malvagi, alla vista di questo, saranno colti da confusione e da un orribile timore, saranno stupiti quando vedranno improvvisamente i giusti salvati contro le loro aspettative. Diranno a se stessi, con rammarico e sospiro nei loro cuori: Questi sono quelli che erano oggetti dei nostri disprezzi e ne facevamo un esempio di persone degne di ogni tipo di rimprovero. Eravamo degli sciocchi, e la loro vita ci sembrava una follia, e la loro morte una vergogna. Eppure qui sono elevati al rango di figli di Dio, e la loro porzione è con i santi. Ci siamo dunque, smarriti dalla via della verità, e la luce della giustizia non ha brillato su di noi, né è sorto su di noi il sole della intelligenza. Ci siamo abbandonati nella via dell’iniquità e della perdizione; abbiamo camminato per vie difficili e abbiamo ignorato la via del Signore. Che cosa ha fatto per noi il nostro orgoglio? Cosa abbiamo guadagnato con la vana ostentazione delle nostre ricchezze? Tutte queste cose sono passate come un’ombra e come un corriere che corre; o come una nave che fende le onde turbolente, di cui non si trova traccia dopo che è passata, o come un uccello che vola nell’aria, senza che si noti dove è passato; si sente solo il rumore delle sue ali che battono l’aria, e la dividono con sforzo. E dopo che abbia completato il suo volo, non si trova più alcuna traccia del suo passaggio; o come una freccia che viene lanciata verso la sua meta; l’aria che divide si ricongiunge immediatamente, senza che nessuno riconosca da dove sia passata. Così non siamo nati che per cessare di essere. Non abbiamo avuto il coraggio di mostrare alcuna traccia di virtù in noi, e siamo stati consumati dalla nostra malizia. Questo è ciò che i peccatori diranno nell’inferno. »

IV. Vers. 14L’inferno e la morte furono gettati nello stagno di fuoco: questa è la seconda morte. 1° Risulta quindi da queste parole che i morti che moriranno nelle acque del mare, saranno salvati; e Sant’Agostino dice che questi morti del mare saranno gli uomini degli ultimi giorni del mondo; ora tutti questi saranno salvati; perché saranno tra coloro che temeranno e daranno gloria a Dio, secondo il nostro testo. 2° Il mare rappresenta anche le tribolazioni e le persecuzioni; perciò questi morti del mare saranno salvati, perché avranno fatto penitenza o avranno subito persecuzioni per aver vissuto piamente nel Signore, secondo San Paolo, (II Tim. III, 12): « Tutti coloro che vogliono vivere in modo pio in Cristo Gesù saranno perseguitati. » 3º Questi morti del mare sono anche i Giudei che saranno stati convertiti, e questi Giudei rappresentano la Chiesa di Gesù Cristo, cioè tutti i veri Cristiani, e specialmente quelli della fine del mondo, di cui si parla nell’Apocalisse, (capitolo XVIII, 17), come dovessero essere convertiti prima dell’ultimo giudizio. – 4 ° Il mare rappresenta il Battesimo e la fede, sia per le tribolazioni, sia per la barca di San Pietro. Per questo si fa riferimento qui alla seconda lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, in cui vediamo che questo autore sacro concorda con il nostro testo sulla sorte riservata a coloro che avranno vissuto nella fede e nelle tribolazioni. Infatti  San Paolo ci dice, (II Tessal. II, 12): « Dobbiamo, fratelli miei, rendere continuamente grazie a Dio per voi, come è giusto e opportuno, poiché la vostra fede aumenta di giorno in giorno e l’amore che avete per Dio cresce giorno dopo giorno, e l’amore che avete gli uni per gli altri diventa più abbondante. In modo che noi stessi ci gloriamo di voi nelle chiese di Dio a causa della vostra pazienza e fede in mezzo a tutte le persecuzioni e tribolazioni che dovete sopportare, e che sono segni del giusto giudizio di Dio. Così vi rendete degni del suo regno, per il quale anche voi soffrite. Perché è giusto agli occhi di Dio che Egli dia afflizioni a coloro che vi affliggono, e che voi che siete nella tribolazione, godiate del riposo con noi quando il Signore Gesù scenderà dal cielo e apparirà con gli Angeli che sono i ministri del suo potere, in mezzo alle fiamme, per vendicarsi di coloro che non conoscono Dio e di coloro che non obbediscono al Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo, e che soffriranno la pena della dannazione eterna alla presenza del Signore e davanti allo splendore della sua potenza, quando verrà per essere glorificato nei suoi Santi e per essere ammirato in tutti coloro che avranno creduto in Lui, poiché la testimonianza che abbiamo reso alla sua parola è stata accolta da voi in attesa di quel giorno. »

V. Vers. 15. – E chiunque non fu trovato scritto nel libro della vita fu gettato nel lago di fuoco. Come è stato detto, questo libro della vita è il libro in cui sono scritti i nomi degli eletti, cioè di tutti i giusti che sono esistiti sulla terra e che Dio, nella sua infinita prescienza, ha conosciuto da tutta l’eternità, per essere salvati dalla misericordia di Dio e dalla loro fede e dalle buone opere unite ai meriti del divino Redentore. – Come possiamo vedere, questo capitolo dell’ultimo Giudizio stesso è una ricapitolazione e un riassunto di tutto ciò che precede, proprio come l’ultimo Giudizio, sarà un’analisi di tutto il bene e di tutto il male che gli uomini hanno fatto nel mondo presente.

FINE DEL LIBRO OTTAVO

IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE: LIBRO NONO

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULL’INVIDIA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Marietti editore, 1933)                                

Sull’invidia.

Ut quid cogitatis mala in cordibus vestris?

(MATTH. IX, 4).

No, Fratelli miei, non v’ha nulla di santo e di perfetto che non sia biasimato e condannato dai malvagi; essi corrompono, colla malignità della laro invidia, le più belle virtù degli uomini, e spandono il veleno delle loro maldicenze e dei loro giudizi temerari sulle migliori azioni del prossimo. Sono simili ai serpenti i quali si nutrono dei fiori solo per farne materia del loro veleno. Sono le più belle qualità che essi odiano nei loro fratelli, ci dice S. Gregorio Magno; e con questo sembrano rimproverare a Dio il bene che ha fatto ad essi. Perché i Giudei hanno gridato così forte contro Gesù Cristo, il dolce ed amabile Salvatore, che non era venuto in mezzo ad essi se non per salvarli? Perché così spesso si sono uniti, ora per precipitarlo dall’alto della montagna, ora per lapidarlo, e altre volte per farlo morire? [Luc. iv, 29. 8 Ibid. vii, 1; xi, 53 – Joan. VIII, 59; x, 31]. Non fu perché la sua vita santa ed esemplare condannava la loro vita orgogliosa e peccaminosa, ed era per essi una specie di carnefice segreto che li torturava? Non fu altresì perché i suoi miracoli attiravano al suo seguito il popolo, il quale pareva lasciasse da parte quegli empi? Divorati da una rabbia interna non sapevano più trattenersi: Che dobbiamo fare, esclamavano essi, che cosa aspettiamo? Bisogna, a qualunque costo disfarcene. Non vedete che Egli stupisce il mondo colla grandezza dei suoi prodigi? Non vedete che tutti corrono dietro a Lui e ci abbandonano? Facciamolo morire: v’è altro mezzo per liberarcene [Giov. XI, 47, 48]. Ahimè F. M., quale passione si può paragonare all’invidia? Tatto le belle doti ed i magnifici tratti di bontà che i Giudei vedevano brillare nella condotta di Gesù Cristo avrebbero dovuto rallegrarli e consolarli; ma no, l’invidia che li divora è causa della loro afflizione: ciò che dovrebbe convertirli diventa materia della loro invidia e della loro gelosia. Si presenta a Gesù Cristo un paralitico steso sul suo letto [Matth. IX, 2,]. Il Salvatore compassionevole lo guarda e lo guarisce, dicendogli con bontà: – Figlio mio, confida, ti son rimessi i peccati. Orsù, prendi il tuo letto e cammina. „ Chiunque si sarebbe sentito commuovere di riconoscenza, e sarebbesi affrettato a pubblicare dappertutto la grandezza di questo miracolo; ma i farisei no: erano così induriti che ne presero occasione per screditarlo, per trattarlo da bestemmiatore. E così, F. M., che l’invidia avvelena le migliori azioni. Ah! se almeno questo maledetto peccato fosse morto coi farisei ma, invece, ha messo radici così profonde che lo si trova in tutti gli stati, ed in tutte le età. Per darvi un’idea della viltà di chi si abbandona a questo peccato, v i mostrerò: 1° che nulla è più odioso, eppure niente è più comune di questo peccato; 2° che non vi è nulla di più pericoloso per la salute eterna quanto l’invidia, e che tuttavia è il peccato di cui ogni Cristiano meno si corregge.

I. — Prima di mostrarvi, F. M., quanto Questo peccato avvilisca e degradi chi lo commette, e quanto Iddio l’abbia in orrore, voglio farvi comprendere, per quanto posso, cos’è il peccato dell’invidia. S. Tommaso chiama questo maledetto peccato un’angoscia ed una tristezza mortale, che sentiamo nel nostro cuore, davanti ai favori che Dio si degna di spandere sul nostro prossimo. E altresì, egli ci dice, un maligno piacere che proviamo quando il nostro prossimo subisce qualche perdita o qualche disgrazia. [2-2, qu. xxxvi, art. 1]. Io sono sicuro, F. M., che questa semplice esposizione comincia già a farvi sentire quanto questo peccato sia odioso, non solo a Dio, ma anche ad ogni persona che non ne è divorata. Si può trovare una passione più cieca di quella che consiste nell’affliggersi della fortuna dei propri fratelli, e nel rallegrarsi delle loro disgrazie? Ecco precisamente ciò che si chiama peccato d’invidia: peccato così odioso che racchiude in sé nel medesimo tempo una debolezza, una crudeltà ed una segreta perfidia. Potrete voi. F. M., formarvene un’idea? rappresentarvelo com’è? No, voi non lo potrete mai. Ed è poi soprattutto impossibile a quelli che lo commettono, tanto li acceca. Ditemi, perché siete voi dolente se il vostro vicino riescestaglio di voi nei suoi affari? Egli non v’impedisce di fare ciò che potete per riuscire al pari ed anche meglio di lui. Voi vi affliggete perché egli ha più ingegno e più spirito di voi, ma ciò non vi toglie quello che voi avete. Voi vedete che egli aumenta le sue sostanze; ma questo aumento non diminuisce le vostre. Voi vi addolorate perché egli è amato e stimato; ma egli non vi toglie l’amore e la stima che si ha per voi… Voi siete tormentato nel vedere che una persona è assai buona; e chi vi impedisce, se lo volete, di essere voi più buono di lei? Il buon Dio non vi darà la sua grazia quanto vi è necessaria? D’altra parte invece, vi rallegrate quando il prossimo perde qualche cosa delle sue ricchezze, o lo si tocca un po’ nell’onore; ma le sue disgrazie e le sue miserie non vi apportano nulla. Vedete, F. M., come questa passione acceca chi vi si abbandona. – In questo peccato non è come negli altri: un ladro, per esempio, rubando, prova un certo piacere nel possedere ciò che ha rubato: un impudico che si abbandona alle sue turpitudini gusta una gioia momentanea, quantunque seguano ben presto i rimorsi; un ubbriacone prova viva soddisfazione, quando il vino passa dal bicchiere nel suo stomaco; un vendicativo crede provare una certa gioia nel momento della vendetta; ma un invidioso, od un geloso non ha nulla che lo ricompensi. Il suo peccato è simile ad una vipera che genera nel suo seno i piccoli, che la faranno morire. Ah! maledetto peccato, quale guerra crudele ed intestina muovi a chi ha la disgrazia di averti generato! Ma, mi direte forse, dove questo peccato fu commesso la prima volta? — Ahimè! Ha cominciato nel cielo. Gli Angeli, che erano le più belle creature di Dio, divennero gelosi ed invidiosi della gloria del loro Creatore, e vollero attribuirsi ciò che era dovuto a Dio solo; e questo peccato d’invidia fu la causa per cui il Signore creò l’inferno, per precipitarvi quella moltitudine infinita di angeli che ora sono i demoni. Di là il peccato d’invidia discese sulla terra, ed andò a germogliare nel paradiso terrestre; è proprio dunque per l’invidia che il peccato è entrato nei mondo. Il demonio, che per la sua invidia aveva già perduto il cielo, non potendo soffrire che l’uomo, a lui molto inferiore per natura, fosse così felice nel paradiso terrestre, volle tentare di trascinarlo nella sua disgrazia. Ahimè! riuscì troppo bene. Indirizzandosi alla donna come alla più debole, fece brillare ai suoi occhi le grandi cose che ella avrebbe conosciuto, se mangiava il frutto che il Signore le aveva proibito di mangiare (Gen. III, 5). Ella si lasciò tentare ed ingannare, ed indusse il marito a fare altrettanto. Questo fallo costò loro molto caro; da quel momento furono condannati alla morte: la punizione più umiliante, giacché l’uomo è stato creato per non mai morire. Da allora questo peccato recò nel mondo i danni più spaventosi. Il primo assassinio commesso fu causato dall’invidia. Perché, ci dice S. Giovanni, Caino uccise il fratello Abele? (Gen. III, 5. ; I Joan. III, 12). Perché le azioni di Caino erano cattive, ed attiravano su di lui l’odio di Dio e degli uomini; mentre il fratello, essendo buono, era amato da Dio e dagli uomini, e le sue buone azioni erano un rimprovero continuo per Caino. Ma l’invidia che lo divorava non restò chiusa solo nel cuore; essa si manifestò sul suo viso per la grande tristezza che vi appariva: “Perciò il Signore – dice la sacra Scrittura – non si curava né di Caino né della sua offerta (-  Ibid. XXVII, 41). Allora Caino disse tra sé: Mio fratello è amato da tutti: per lui io sono disprezzato. Bisogna che mi vendichi di questo disprezzo, bisogna che l’uccida colle mie proprie mani; e mi tolga davanti un oggetto che mi è insopportabile. “Andiamo, fratello – gli dice lo sciagurato invidioso – andiamo a fare una passeggiata nei campi. „ Il povero innocente lo segue, senza sapere ch’egli sarà il suo carnefice. Giunti nei campi, Caino lo assale, lo ferisce, lo uccide. Abele cade ai suoi piedi immerso nel proprio sangue. Lungi dall’essere assalito da orrore per un tal delitto, Caino invece se ne rallegra, almeno pel momento; poiché il suo peccato non tarderà a diventare il suo carnefice. Vedete altresì Esaù, tormentato dall’invidia. Come Caino, egli vuole uccidere il fratello Giacobbe, per la benedizione che questi ha ricevuto dal padre. Dice tra sé: al tempo della morte di mio padre verrà; allora mi vendicherò, l’ucciderò (Ibid. XXVII, 41) . „ Il povero Giacobbe è obbligato, per fuggire la morte, di andare presso lo zio Labano, dove restò molto tempo senza ritornare, nel timore di essere ancora esposto all’invidia del fratello. E fu di nuovo l’invidia che animò i fratelli di Giuseppe contro di lui, fino a volergli togliere la vita (Gen. XXXVII, 8). Dio mio quanto è cieca questa passione! Giuseppe aveva raccontato ai fratelli ingenuamente un sogno avuto, e che sembrava elevarlo al di sopra di loro. Da allora essi presero la risoluzione di ucciderlo, poiché la sua vita innocente e cara a Dio condannava la loro vita peccaminosa. –  Così pure Saul divorato dall’invidia contro Davide, che era elogiato più di lui, gli tese ogni sorta d’insidie per farlo perire e non ebbe pace fino alla morte (1 Reg. XVIII, 8). Ah! F. M. quanto dobbiamo guardarci dal non lasciar nascere questa passione nei nostri cuori, poiché quando vi hapreso radice, difficilmente si può strappare! Eccone un esempio evidente, raccontato nella vita dell’abate Pafnuzio. (Vita dei Padri del deserto. Pafnuzio “soprannominato Bubalo o Bufalo, per il grande amore che egli aveva alla solitudine, poiché l’animale che porta questo nome dimora ordinariamente nei luoghi deserti.) „ Le sue virtù erano così splendide, che egli era oggetto di ammirazione per quanti avevano la fortuna di conoscerlo. Nello stesso monastero viveva un altro cenobita, talmente geloso di questa riputazione, diventata così grande, che decise di fare ogni possibile per diffamarlo. Una domenica questo invidioso entrò segretamente nella cella di S. Pafnuzio, che in quel momento assisteva devotamente alla S. Messa, e nascosto un suo libro sotto un piccolo mucchio di legna, se n’andò cogli altri in chiesa. Corse poi a lamentarsi presso il superiore, affermando davanti a tutti, che gli era stato rubato un libro. Il superiore comandò che nessuno dei religiosi uscisse di chiesa; poi mandò tre anziani, i quali visitarono tutte le celle, e trovarono il libro in quella di S. Pafnuzio. Al ritorno lo mostrarono a tutti, dicendo che l’avevano trovato nella cella di Pafnuzio. Questi, quantunque la sua coscienza fosse quieta, non cercò affatto di giustificarsi temendo che, se avesse negato, lo si sarebbe creduto bugiardo. Nessuno infatti poteva credere altrimenti, poiché aveva visto coi propri occhi. Il povero monaco si accontentò di offrire le sue lagrime a Dio, e s’umiliò profondamente davanti a tutti, come se fosse stato davvero colpevole. E passò quasi due settimane in digiuni, per domandare a Dio la grazia di sopportare questa prova per suo amore. Testimonio della pace del suo servo, Dio non tardò a far conoscere la verità. Per svelare l’innocenza del suo servo fedele, che con tanta calma sopportava la nera calunnia, che l’invidia gli aveva attirato sul capo, permise, con terribile sentenza, che l’autore d’un sì grande delitto fosse invaso dal demonio, ed obbligato a confessare quel peccato d’invidia davanti a tutti i religiosi. Lo spirito immondo lo assalì così violentemente, e lo tormentò con tanta ostinazione, che nessun santo del deserto fu capace di scacciarlo. Il disgraziato invidioso fu infine costretto a confessare la sua impostura, e a proclamare che Pafnuzio era un santo, e che egli solo poteva liberarlo; aggiunse poi che il demonio l’aveva invaso solo in castigo di aver voluto far passare il santo per ipocrita. E  gli domandò perdono, scongiurandolo di aver pietà di lui. Pafnuzio il quale, come tutti i santi, era senza fiele e senza risentimento, s’avvicinò al colpevole, ed ordinò al demonio di lasciarlo; ciò che questi fece sull’istante. – Ahimè! dice S. Ambrogio, quanto sono frequenti nel mondo gli invidiosi che si affliggono perché Dio benedice i loro fratelli! Secondo il santo Giobbe, la collera fa morire l’insensato, e l’invidia fa morire gli spiriti piccini. (Vere stultum interficìt iracundia, et parvulum occidit invidia. Job v, 2). Infatti, F. M., non è avere un animo ben piccolo, l’addolorarsi perché un vicino, o forse anche un fratello o una sorella sono fortunati, fanno bene i loro interessi, sono amati e benedetti da Dio? Sì, figli miei, ci dice san Gregorio Magno, bisogna avere uno spirito ben debole per lasciarsi tiranneggiare da una passione così disonorante, e così lontana dalla carità. Un Cristiano non deve rallegrarsi nel vedere il suo prossimo felice? Ditemi, F. M., si può concepire una cosa più odiosa del rattristarsi della felicità del vicino, e rallegrarsi delle sue pene? E poi non vediamo noi che chi è preso da una passione così bassa, ed indegna d’una creatura ragionevole, cerca con ogni cura di nasconderla quanto può? Cerca di avvilupparla con mille pretesti, per far credere che egli non agisce che per il bene? Quale peccaminosa viltà! Angustiarsi perché Dio ricolma di beni quelli che lo meritano più di noi! L’invidioso non ha un sol momento di riposo. Su chi spande l’invidioso la sua bava velenosa? O sul nemico o sull’amico, ovvero su di una persona che gli è indifferente. 1° Se sul nemico, l’invidioso non solo sa che non deve augurargli male, ma che Gesù Cristo gli comanda di amarlo come se stesso, di fargli del bene, e di pregare per lui; (Matth, V, 44)  affinché Dio lo benedica nei suoi beni spirituali e temporali. Ma, direte, egli mi ha fatto del male; ha detto contro di me cose che assai mi spiacquero. Sia pure, ma appunto per questo mostrate un’indegna viltà; voi non avete il coraggio di fare quanto con la grazia divina hanno fatto molti santi. 2° Se si tratta d’un amico, gli fate buon viso quando lo vedete, gli parlate come se gli auguraste ogni sorta di beni, e nel vostro cuore lo vorreste disgraziato, vorreste che Dio l’abbandonasse, lo riducesse in miseria, ovvero che fosse oggetto di disprezzo agli occhi di tutti: quale perfidia, quale crudeltà! Egli vi apre il suo cuore, mentre voi vomitate su di lui il veleno della vostra invidia. Che direste di una persona che si comportasse in tal modo con voi? Se vedeste il fondo del suo cuore, ne sareste indignato, e direste tra voi: ecco un vile, un perfido, un malvagio che, in faccia, mi fa buona accoglienza e sembra augurarmi ogni sorta di felicità; mentre, in cuor suo, vorrebbe vedermi il più disgraziato degli uomini. Può darsi una passione più malvagia? – 3° Se si tratta di una persona indifferente; ebbene, che cosa vi ha fatto per attirare su di sé  il veleno del vostro odio? Perché vi affliggete della sua felicità, oppure vi rallegrate se le tocca qualche disgrazia? Quanto è crudele, F. M., quanto è cieca questa passione dell’invidia! Come uomini, lo sapete, F. M., dobbiamo avere benevolenza l’un per l’altro; ma un invidioso invece vorrebbe, potendolo, distruggere quanto di bene vede nel prossimo. Come Cristiani poi, e questo pure lo sapete, dobbiamo avere pei nostri fratelli una carità senza limiti. Abbiamo visto dei Santi che, non contenti di aver dato tutto ciò che possedevano per riscattare i loro fratelli, hanno dato anche se stessi. Mosè acconsentiva di lasciarsi cancellare dal libro della vita per salvare il suo popolo, cioè per ottenerne il perdono dal Signore (Exod. xxxn, 31, 32). S. Paolo ci dice che avrebbe dato mille volte la vita per salvare l’anima dei suoi fratelli 2 . (Rom. IX, 13). Ma un invidioso è ben lontano da tutte queste virtù che formano il più bell’ornamento di un Cristiano. Egli vorrebbe vedere il fratello in rovina. Ogni tratto della bontà di Dio verso il suo prossimo è un colpo di lancia che gli ferisce il cuore e lo fa morire segretamente. Poiché “noi siamo tutti un medesimo corpo„ di cui Gesù Cristo è il capo  (Ibid. XII, 5), noi dobbiamo far apparire in tutto l’unione, la carità, l’amore e lo zelo. Per renderci felici gli uni gli altri, dobbiamo rallegrarci, come dice S. Paolo, della felicità dei nostri fratelli, ed affliggerci con essi quando hanno qualche dolore (Ibid. 15). Lungi dall’aver questi sentimenti, l’invidioso non cessa dal lanciare mormorazioni e calunnie contro il vicino. Sembra che con ciò provi sollievo e mitighi un po’ le sue pene. – Ahimè! F. M. e pensare che di questo vizio non ho detto ancor tutto! Questo vizio funesto sbalza dal trono i re e gli imperatori. Perché, F. M., fra questi re, questi imperatori, questi uomini che occupano i primi posti alcuni sono cacciati, altri avvelenati, altri pugnalati? Solo perché altri vogliono regnare in vece loro. Non è pane, non è il vino, non è l’alloggio che manca agli autori di questi delitti. No, senza dubbio; ma è l’invidia che li divora. Dall’altra parte, vedete un mercante; vorrebbe per sé clienti, e che gli altri non ne avessero nessuno. Se alcuno lo abbandona per andare altrove, cercherà di dire tutto il male che potrà e del mercante e della merce che egli vende. Tenterà tutti i mezzi possibili per fargli perdere la reputazione, dicendo che quella merce non è buona come la sua, o che il mercante pesa scarso. Vedete ancora la malizia diabolica di questo invidioso: non bisogna dirlo a nessuno, aggiunge, per non recargli danno; ne sarei ben addolorato: e lo dico solo perché non vi lasciate ingannare. – Vedete un operaio, se un altro va a lavorare nella casa dove egli è solito andare, subito si turba: e farà ogni possibile per diffamare costui affinché non venga più accettato. Vedete un padre di famiglia, come è indispettito se il vicino fa i suoi affari meglio di lui, se le terre gli producono più delle sue. Vedete una madre: vorrebbe che non si parlasse che dei suoi figli; e se si lodano davanti a lei gli altri e non i suoi, risponderà: essi non sono perfetti; e diventa triste. Quanto siete trista, povera madre! le lodi che si danno agli altri non tolgono nulla ai vostri. Vedete la gelosia d’un marito per sua moglie, e di una moglie per suo marito; vedete come si esaminano in tutto ciò che fanno, in tutto ciò che dicono; come osservano tutte le persone con cui parlano, e tutte le case in cui vanno. Se uno vede che l’altro parla con alcuno, benché spesso innocente, lo caricherà di ogni sorta d’ingiurie, Non è questo maledetto peccato che divide fratelli e sorelle? Il padre o la madre danno ad uno qualche cosa di più che agli altri, e vedete subito nascere quest’odio geloso contro il favorito o la favorita; odio che dura per anni interi e qualche volta per tutta la vita. Questi figli non sono sempre là a sorvegliare il padre o la madre, per vedere se danno qualche cosa, se fanno qualche favore all’uno o all’altro? Ed allora, non v’ha sorta di male che non dicano. – Vediamo anche che questo peccato, sembra nascere coi bambini. Vedete infatti tra di loro quella piccola gelosia che concepiscono gli uni contro gli altri, se vedono qualche preferenza da parte dei genitori. Vedete un giovane; egli solo vorrebbe avere spirito, talento, buona condotta; e si addolora se gli altri fanno meglio, o sono più stimati di lui. Vedete una giovane; vorrebbe essere la sola amata, la sola ben vestita, la sola ricercata. Se altre le sono preferite, la vedete affliggersi, tormentarsi, forse anche piangere, invece di ringraziare il buon Dio di essere disprezzata dalle creature per non piacere che a Lui solo. Quale cieca passione, F. M.! chi potrebbe ben comprenderla? Ahimè! F. M., questo vizio si trova anche in coloro, presso dei quali non lo si dovrebbe punto vedere; voglio dire fra le persone che fanno professione di essere religiose. Esse guarderanno quanto tempo una impiega per confessarsi, il modo con cui prega il buon Dio; ne parlano e la biasimano. Esse pensano che tutte quelle preghiere, quelle buone opere non sono fatte che per farsi vedere, oppure che sono smorfie, e null’altro. Si ha un bel dire loro che ciascuno deve render conto delle proprie azioni; esse si irritano e si adombrano perché quelle fanno meglio di loro. Vedete anche tra i poveri; se si benefica più uno che non l’altro parlano subito male di lui al benefattore, per distornarlo dal far ciò un’altra voIta. Dio mio! che passione detestevole è mai questa! Essa si attacca a tutto, così ai beni spirituali come ai beni temporali. – Ho detto che questa passione mostra uno spirito piccino. Ciò è tanto vero che nessuno crede d’averla, almeno non vuol credere d’esserne preso. Si cercherà di coprirla con mille pretesti per nasconderla agli altri. Se, davanti a noi, si dice bene del prossimo, noi tacciamo, ne siamo afflitti. Obbligati a parlare, lo facciamo in modo freddo. No, F. M., non v’è carità in un invidioso. S. Paolo ci dice, che dobbiamo rallegrarci del bene toccato al nostro prossimo (Rom. II. 15). E ciò che la carità cristiana, F. M., deve ispirarci l’un l’altro. Ma i sentimenti di un invidioso sono ben differenti. No, io non credo che vi sia peccato peggiore, e più da temersi di quello dell’invidia, perché è un peccato nascosto e spesso coperto da una bella veste di virtù o di amicizia. Dirò meglio: è un leone che si finge di legare, o un serpente coperto d’una manata di foglie che vi morderà senza che voi ve ne accorgiate; è una pubblica peste che non risparmia nessuno… Ordinariamente è questo peccato che solo getta le divisioni e le discordie nelle famiglie. Dico, F . M., che questo peccato è un peccato di malizia: ecco un esempio che lo proverà chiaramente. S. Vincenzo Ferreri racconta che un principe avendo sentito che vi erano nella capitale del suo regno due uomini, l’uno avarissimo, l’altro invidiosissimo, li fece venire a sé. Egli promise che avrebbe dato loro tutto ciò che domanderebbero, ma a questa condizione, che chi domanderebbe per primo, ricoverebbe la metà meno del suo compagno. Questa condizione li turbò molto. L’avaro ardeva dal desiderio di avere del danaro, ma diceva tra sé: Se domando per primo non avrò che la metà di quello che avrà l’altro. L’invidioso sentivasi sollecitato a domandare, ma era geloso che l’altro ricevesse il doppio di lui. Il tempo passava così in dispute, senza che l’uno o l’altro volesse domandare per primo: l’uno era ritenuto dall’avarizia e, l’altro, dall’invidia. Per terminare finalmente questa contesa, il principe comandò che l’invidioso domandasse per primo. Ridotto agli estremi, vedete che cosa fece costui Assalito da un accesso di indefinibile passione, esclamò: “Poiché ci avete promesso d’accordarci tutto quanto domanderemo, voglio che mi si strappi un occhio. „ Sapete. F. M., perché fece questa domanda? Perché, se vi ricordate, il principe aveva promesso il doppio a chi domandasse per ultimo. E l’invidioso diceva tra sé: Io avrò ancora un occhio per rallegrarmi nel vederli strappare tutti e due al mio compagno, e lui non avrà nulla più di me. Io non credo, ci dice S. Vincenzo Ferreri, deplorando la disgrazia di coloro che sono presi da questo vizio, io non credo che mai altra passione abbia portato un uomo ad una tale malvagità. – E non fu ancora l’invidia che fece gettare Daniele nella fossa dei leoni? (Dan. VI, 4). Quanto è dunque comune questo peccato! S’estende dappertutto, a tutte le condizioni, a tutte le età. Quanto è detestabile! Ma la cosa più deplorevole, F. M., è che questo peccato è poco conosciuto; pochi vogliono credersene colpevoli, e meno ancora lavorano per correggersene.

II. — Per accusarsi di un peccato, umiliarsene, e non più commetterlo, bisogna necessariamente conoscerlo. Ma un invidioso, un geloso è così cieco che non riconosce la sua passione. E un ostinato che non vuole né abbandonarla né accusarsene. Da questo, ne concludo che è rarissimo che un invidioso si converta. Voi mi direte, forse, che ogni peccato acceca chi lo commette. E vero; ma non ve n’è alcuno che vi avviluppi l’anima di nubi così dense quanto il peccato dell’invidia, e che v’impedisca di più la conoscenza di voi stesso. E per questo che lo Spirito Santo ci dice, per bocca del Savio, di non frequentare gli invidiosi, poiché essi non hanno senno 2 (Prov. XXIII, 6). Un povero invidioso si persuade che il suo peccato non è nulla, o almeno ben poca cosa, perché questo peccato non lo disonora agli occhi del mondo, come il furto, la bestemmia, l’adulterio. Egli considera la passione che lo inaridisce come una cosa perdonabile; non pensa che è il veleno di Caino di cui diviene l’imitatore. Questo miserabile, ci dice la S. Scrittura, non poté tollerare che Dio preferisse alla sua l’offerta del fratello Abele (Gen. IV,5)La passione l’accecò a tal punto che non ebbe pace finché non gli tolse la vita. Il Signore dal cielo gli fece sentire la sua voce: “Caino, Caino, che hai fatto? dove è tuo fratello ? il suo sangue grida vendetta. „ Caino tremò e rabbrividì tutto. Egli stesso diventò il proprio carnefice, e portò con sé dappertutto il suo castigo. Ma, ci dice S. Basilio, si ravvide? si convertì? No, F. M., no, l’invidia l’accecò a segno che morì miseramente nel suo peccato. Vedete ancora i farisei. L’invidia fa loro domandare ad alte voci la morte di Gesù Cristo, che sotto i loro occhi aveva operato tanti miracoli. Si sono convertiti? No, F. M., essi sono morti nel loro peccato. – Io dico ancora di più: questo peccato non solo acceca, ma indurisce. S. Basilio aggiunge che un invidioso non è altro che un mostro di… che rende male per bene; il suo peccato lo trascina in una serie di altri peccati che sempre più l’allontanano da Dio, e sempre più lo rendono ostinato. La sua conversione diventa ogni giorno più difficile. Vedete ciò che accadde alla sorella di Mosè. Essa non poteva sopportare l’onore che il Signore faceva a suo fratello/Perché il Signore non ha parlato che a Mosè? diceva. Non ha egli parlato a noi del pari che a lui? Ma il Signore la rimproverò perché osava invidiare il fratello, e le disse: Ben presto avrai il castigo che merita il tuo peccato di gelosia; e la colpì con una lebbra che le coprì tutto il corpo (Num. XII); Perché il Signore le mandò questa malattia piuttosto che un’altra? E perché questa malattia mostra la natura del suo peccato: come la lebbra invade tutte le parti del corpo, così l’invidia corrompe tutte le potenze dell’anima. La lebbra è una corruzione del sangue ed un segno di morte; così l’invidia è una corruzione spirituale che s’insinua sino al midollo delle ossa. Questo ci mostra, F. M., quanto sia difficile guarire una persona che è presa dal peccato dell’invidia. Vedete altresì ciò che toccò a Core, Dathan e Abiron. Gelosi degli onori che si rendevano a Mosè, questi miserabili gli dissero: “Porse non siamo uguali a te? Porse non possiamo offrire l’incenso al Signore al pari di te? „ Si ebbe un bel dir loro che con questo irritavano il Signore, che li avrebbe puniti. Nulla poté fermarli. Essi vollero offrire l’incenso. Ma Dio disse a Mosè e ad Aronne: “Separateli con tutto ciò che loro appartiene. Io li punirò rigorosamente.„ Infatti, nel momento in cui credevano di accontentare la loro invidia, la terra s’aprì sotto i loro piedi, e li inghiotti vivi nell’inferno (Num. XVI) Ah! F. M., quanto è difficile abbandonarequesto peccato, quando ne siamo presi. Quantepersone hanno concepito odio contro alcunoe non possono più liberarsene; lo conservanoper mesi, per anni interi e spesso per tuttala loro vita. Esse non lo fanno conoscere;faranno ugualmente favori a quelli che nesono l’oggetto: ma preferirebbero però nonvederli. Fuggono, tagliano corto, se possono,la conversazione: preferiscono sentirne dirmale piuttosto che bene; cercano mille pretestiper evitare di aver a che fare con loro.Se provano qualche disgusto, pensano chequeste persone ne sono la causa, e dicono:vorrei non vederle, perché mi dan fastidio, iloro modi mi dispiacciono. V’ingannate, amicomio, è la vostra invidia che vi rode e vi consuma;togliete questo peccato dal cuore, e leamerete come tutte le altre.Volete, F. M., un esempio che vi farà comprenderequanto questo peccato accechi l’uomo?Vedete Faraone. Geloso delle benedizioni che il Signore spandeva sul popolo giudeo, lo sovraccaricò di lavori (Exod. I). Il Signore, per mezzo di Mosè e di Aronne, fece miracoli straordinari per obbligarlo a lasciar partire il suo popolo. Ma i miracoli che avrebbero dovuto convertire questo principe, non servirono che a vieppiù indurirlo. Frattanto un ultimo castigo toccò il suo cuore. Dio fece morire tutti i primogeniti degli Egiziani. Allora il re acconsentì a lasciar partire gli Israeliti. Appena furono partiti, se ne pentì, e li inseguì con tutto il suo esercito. Ma il Signore proteggeva sempre il suo popolo… Mosè vedendosi chiuso tra il mare e l’esercito di Faraone, percosse il mare. Il mare gli aprì un passaggio, e, quando gli Israeliti furono passati, ritornò nel suo letto ordinario, inghiottì Faraone e tutto il suo esercito, senza che uno solo ne restasse salvo. E fu altresì l’invidia, che eccitò Saul contro Davide, fino a cercare ogni mezzo per togliergli la vita. E sapete perché? Davide aveva ucciso diecimila nemici. Al ritorno dalla guerra il popolo cantò: “Saul ne ha ucciso mille e Davide diecimila. „ La sacra Scrittura ci dice che ciò irritò talmente Saul, che da quel giorno non ebbe più quiete (I Reg. XVIII, 7, 8). Ma il buon Dio per far comprendere quanto questo peccato gli sia odioso, permise al demonio di entrare nel corpo di Saul. Il suo orgoglio generò l’invidia, perché queste due passioni non vanno disgiunte l’una dall’altra. Possiamo dire che un orgoglioso è invidioso, e che un invidioso è orgoglioso. Noi vediamo che quasi tutti quelli che sono presi da questo vizio perdono anche la vita per opera di questo carnefice. Saul non potendo più resistere si uccise da sé. Vedete dunque, F. M., dopo questi esempi, quanto sia da temere questo peccato, poiché quasi mai un invidioso sì convertì. Il buon Dio non colpisce sempre gli invidiosi con questi spaventevoli castighi, è vero; ma essi non sono meno disgraziati, e non lasciano di dannarsi. Noi andiamo per tal via all’inferno senza accorgercene. – Ma come, F. M., possiamo correggerci da questo vizio, se non ce ne crediamo colpevoli? Io sono sicuro che tra mille invidiosi, esaminandoli bene, non ve n’avrà uno che creda di essere di questo numero. Non v’è peccato che si conosca meno di questo. Negli uni l’ignoranza è così grande, che non conoscono nemmeno la quarta parte dei loro peccati ordinari; e siccome il peccato dell’invidia è molto più difficile da conoscersi, non è da stupirsi se ben pochi se ne confessano e se ne correggono. Perché non fanno quei grossi peccati che commette la gente rozza ed abbrutita, credono che i peccati d’invidia siano soltanto piccole mancanze di carità, mentre per la maggior parte, sono gravissimi peccati mortali, che essi custodiscono e nutrono nel loro cuore, spesso senza conoscerli. — Ma, pensate tra voi, se li conoscessi, cercherei di correggermene. — Per conoscerli, F. M., bisogna domandare i lumi dello Spirito Santo. Egli solo vi farà questa grazia. Si avrebbe un bel farvelo toccar con mano, voi non vorreste persuadetene, trovereste sempre qualche cosa che vi farà credere che non avete torto di pensare e di agire come agite. Sapete ancora ciò che potrà contribuire a farvi conoscere lo stato della vostra anima, ed a scoprire questo maledetto peccato nascosto tra le pieghe segrete del vostro cuore? È l’umiltà: come l’orgoglio ve lo nasconde, l’umiltà ve lo scoprirà. – S. Agostino temeva tanto codesto peccato d’ignoranza, che sposso ripoteva questa preghiera: “Signore, Dio mio, fatemi conoscere che cosa sono. „ Ahimè ! F. M., quante persone che fanno anche professione di pietà, ne sono prese e non lo credono. Se ora domandassi ad un fanciullo qual è la virtù opposta all’invidia, mi risponderebbe: E l’amor del prossimo e la liberalità verso i poveri. Quanto sarebbe luogo felice il mondo, F. M., se avessimo l’uno per l’altro questo amore che la religione ci comanda; se sapessimo rallegrarci con quelli che sono nella pace e nella gioia, e rattristarci con quelli che sono nei dolori e negli affanni; ringraziare Dio della prosperità che accorda ai nostri vicini, come vorremmo facessero essi per noi! È questo, F. M., ciò che hanno fatto tutti i santi. Vedete Gesù Cristo stesso, quanto era commosso per le nostre miserie, e quanto desiderava di renderci felici! Lasciò il Padre per apportarci la felicità. Sacrificò non solo il suo onore, ma la stessa vita, morendo come un malfattore sulla croce. Vedete com’era mosso a compassione per gli ammalati, per i deboli; vedete con quale sollecitudine andava Egli stesso a guarirli e a consolarli. Vedete come le sue viscere erano commosse dalla medesima compassione per quella folla che lo seguiva nel deserto; ed operò un miracolo per dar loro da mangiare. “Io temo, diceva ai suoi Apostoli, che questa povera gente non venga meno di debolezza per via „ [Matth. XV, 32]. Vedete come gli Apostoli tutti hanno sacrificata la loro vita per render felici i fratelli! Vedete quanto i primi cristiani erano caritatevoli gli uni cogli altri, e quanto l’invidia era lontana da essi ! Lo Spirito Santo ci dice “ch’essi non avevano che un cuore ed un’anima sola „ [Act. IV, 32],  e ci mostra anche che vedevano con piacere il bene che Dio faceva ai loro fratelli, come se l’avesse fatto a loro stessi. Vedete tutti i santi: gli uni hanno dato la vita per salvare quella dei loro fratelli; gli altri si sono spogliati, non solo delle loro ricchezze per i poveri o per i sofferenti; ma dopo aver dato quanto potevano dare, diedero anche se stessi! E si sono venduti per riscattare gli schiavi! Quanto saremmo felici, F. M., se vedessimo tra noi questa carità, questo amore vicendevole, questo piacere e questa gioia quando il nostro vicino è felice, è stimato dagli uomini; la stessa compassione, la stessa angustia, e lo stesso affanno vedendolo afflitto e miserabile! La terra non sarebbe allora il cominciamento del cielo? Finisco, F . M., dicendo che dobbiamo soprattutto temere che questo maledetto peccato dell’invidia prenda radice nel nostro cuore, poiché rende le persone così infelici. Se il demonio ci tenta con pensieri d’invidia contro il prossimo, invece di fargliela conoscere con un fare indifferente, bisogna mostrargli la nostra amicizia e rendergli favori, più che possiamo. Quanto alle sue azioni, se esse ci sembrano cattive, pensiamo subito che possiamo ingannarci per la nostra cecità; e che, del reato, non saremo giudicati di quanto fanno gli altri, ma solo del bene e del male che avremo fatto nella nostra vita. Se abbiamo pensieri d’invidia perché gli altri riescono meglio di noi nei loro affari temporali, pensiamo subito che un buon Cristiano deve ringraziare Dio del bene concesso al fratello. Riguardo al bene spirituale, pensiamo quanto dobbiamo reputarci felici sapendo che Dio ha persone che lo ricompensano delle ingiurie che noi gli facciamo. – Concludo, F. M., dicendovi che se vogliamo sperare di andare in cielo, dobbiamo assolutamente esser contenti del bene che Dio fa al nostro prossimo, e rattristarci del male che gli tocca, poiché S. Giovanni ci dice:  ‘‘Come volete far credere che amate Dio, che non vedete; mentre non amate il vostro fratello, che sempre vedete? „ [I Joann. IV, 20].  Gettiamo gli occhi sul nostro grande modello, il quale per guarirci da questo maledetto peccato dell’invidia e della gelosia, è morto per i suoi nemici e per renderci felici. E questa felicità appunto io vi auguro…

IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE: LIBRO SETTIMO

IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE:

LIBRO SETTIMO

SUI CAPITOLI XV E XVI.

Continuazione delle rivelazioni speciali e particolari fatte a San Giovanni sui regni di Maometto e dell’anticristo; e anche sulle ultime piaghe e l’ultimo trionfo della Chiesa, così come su altre particolarità che la riguardano.

§ I.

Rassomiglianza e rapporti di date e di caratteri trovati tra Maometto e l’anticristo, cioè tra il fondatore dell’impero turco e il suo consumatore.

Prima di continuare con questa interpretazione dell’Apocalisse, è opportuno dare qui le somiglianze e le sorprendenti relazioni di date e di caratteri che si trovano tra Maometto, fondatore dell’impero turco, e l’anticristo, che doveva essere il suo consumatore ed ultimo sovrano. Vedendo queste ammirevoli connessioni e somiglianze, si avrebbe ragione di credere che Dio, nei decreti della sua infinita saggezza, abbia voluto avvertire la sua Chiesa con dei segni caratteristici con i quali potesse riconoscere e scoprire in anticipo il suo più grande nemico, in modo da poter stare in guardia e prepararsi alla terribile lotta della fine dei tempi. È per stabilire meglio questo parallelo che è importante dare, all’inizio, un riassunto storico e biografico della vita di Maometto; allo stesso tempo, citeremo alcune delle grandi caratteristiche che i Profeti hanno predetto sull’anticristo, per confrontare questi due tiranni tra loro. Diciamo dapprima una parola sui due predecessori di Maometto, Chosroe e suo figlio Siroes, che gli prepararono la strada per raggiungere un così alto grado di potere. Si sa da quanto sopra che l’Impero Ottomano sia il nemico giurato del Cristianesimo e dell’Impero Romano. Ora, La guerra di Cosroe II contro l’Impero Romano fu intrapresa per vendicare la morte di Maurizio, il benefattore di questo principe. Questa guerra divenne un’immensa devastazione per il Cristianesimo. Nel 615, Shaharbarz, genero del monarca persiano, marciò alla testa di un considerevole esercito, prese Gerusalemme, mise a morte migliaia di monaci, vergini e sacerdoti, bruciò le chiese e persino la basilica eretta da Costantino, e portò via i vasi sacri e gli ornamenti, molti dei quali erano appartenuti al tempio di Salomone e che Belisario, vittorioso in Africa, aveva riportato nella città santa. Egli mise in prigione i solitari. – I Giudei della Palestina furono abbastanza ricchi da comprare 90.000 prigionieri Cristiani destinati alla morte. Zaccaria, patriarca di Gerusalemme, condivise l’esilio del suo gregge. Il legno della vera Croce faceva parte del bottino di Schaharbarz e fu depositato nella città di Kandsac o Tauritz. I proscritti di Gerusalemme rimasero tredici anni in potere dei Persiani. Durante questo periodo, Modesto governò la Chiesa in assenza di Zaccaria, e le pie liberalità di San Giovanni Elemosiniere, Patriarca di Alessandria, aiutarono a riparare i mali che la guerra aveva provocato. L’imperatore Eraclio, dopo diversi anni di combattimenti vittoriosi, concluse una pace gloriosa con Siroe, figlio e successore di Cosroe. Il popolo prigioniero, il Patriarca e il legno sacro della redenzione furono restituiti. Nel 629, Eraclio completò le celebrazioni del suo trionfo con una cerimonia religiosa a Gerusalemme. In mezzo alla moltitudine accorsa per la solennità, l’imperatore si caricò la croce sulle spalle e la portò al Calvario. L’Esaltazione della Croce, il 14 settembre, è un ricordo di questo grande giorno. Gli autori antichi ci dicono che il legno sacro rimase nella sua cassa con i sigilli intatti. I Persiani non l’avevano toccato. Il Patriarca Zaccaria aprì la cassa con la sua chiave per la cerimonia. Eraclio cacciò i Giudei da Gerusalemme e consegnò ai Cattolici il santuario che i Persiani avevano dato ai nestoriani. Modesto aveva innalzato la basilica del Santo Sepolcro, grazie all’aiuto di Eraclio. Fermiamoci qui un momento. Non vediamo, in questi bei trionfi che la Chiesa ottenne sui nestoriani sostenuti dagli empi principi che li stabilirono a Gerusalemme, un tipo di sesta età della Chiesa, l’età della consolazione che deve precedere l’arrivo dell’Anticristo? Infatti il trionfo che la Chiesa otterrà nella sesta età sui turchi e gli eretici, precederà il regno dell’Anticristo, proprio come il trionfo di Eraclio sui nestoriani precedette l’instaurazione del Maomettanesimo. E questo imperatore Eraclio, per mezzo del quale furono ottenute tutte queste vittorie, non è anche un tipo del grande imperatore che deve liberare la Chiesa dal giogo degli eretici e delle nazioni dell’Impero d’Oriente? Ma continuiamo la nostra storia. Si avvicina il tempo in cui la Gerusalemme cristiana incontrerà i suoi nemici più formidabili e costanti. Colpendo Gerusalemme, alta immagine della fede di Gesù, l’islamismo ha attaccato il suo fondatore e rovinerà, col suo consumatore, le idee più belle, le più salutari e le più feconde che Dio ha messo nel cuore dell’uomo. Nel 609, un uomo della Mecca, un mercante di cammelli, Muhammad, figlio di Abdullah e Amina, della nobile tribù dei Koreischiti, di quarant’anni, annunzia ai suoi parenti e amici che l’Angelo Gabriele, visitandolo in un’apparizione notturna, lo avrebbe salutato con il nome di apostolo di Dio. Tali erano le “modeste” pretese del fondatore dell’islamismo; ecco ora quelli del suo consumatore;ì: è San Paolo che parla, II Tess. II, 1: « Vi preghiamo, fratelli miei, per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e per la nostra riunione con lui, di non essere così facilmente scossi nei vostri sentimenti, e di non allarmarvi per rivelazioni, o discorsi, o lettere, che si suppone vengano da lettere che si presume vengano da noi, come se il giorno del Signore stesse per arrivare. Che nessuno vi inganni in alcun modo, perché quel giorno non verrà finché non sia venuta l’apostasia e non si sia visto l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, che si innalzerà contro Dio al di sopra di tutto ciò che è chiamato Dio o che è adorato, fino a porre il suo trono nel tempio di Dio, mostrandosi come Dio. » Era stata a lungo l’abitudine di Maometto di meditare e pregare in una grotta sul monte Hara vicino alla Mecca durante il mese di Ramadan ogni anno. Sognava la speranza di fondare una nazionalità in mezzo alle tribù d’Arabia, separate l’una dall’altra da odi profondi, e di riportare all’unità religiosa quelle tribù divise tra le dottrine di Zoroastro e quelle del sabeismo, suddivise in numerose sette. Quando Maometto si presentò come profeta, non fu creduto; gli furono chiesti miracoli come li avevano fatti Mosè e Gesù Cristo; i suoi compatrioti erano pronti a proclamare la sua missione soprannaturale, se, alla sua parola, le sabbie del deserto fossero cambiate in giardini fioriti, se il suo potere trasportasse loro e le loro mercanzie in un batter d’occhio nelle fiere della Siria. L’impostore disdegnava i miracoli come mezzi troppo inefficaci per sostenere l’autorità di un messaggero di Dio; si limitò a trarre dalla sua immaginazione un racconto meraviglioso: il suo rapido viaggio notturno dalla Mecca a Gerusalemme, in groppa ad una bestia bianca, più piccola di un mulo, più grande di un asino, e la sua ascesa al settimo cielo. Passando per le alte dimore, salutò i patriarchi, i profeti e gli Angeli; e da lì agli ultimi limiti, avendo Dio toccato la sua spalla, un brivido freddo gli entrò nel cuore. Poi tornò a Gerusalemme sul suo cavallo bianco per ripartire per la Mecca. In meno di un’ora, il profeta aveva attraversato tutti questi spazi infiniti. Cacciato dalla Mecca dalla sua stessa tribù (622), fece un’entrata trionfale a Medina, seduto su un cammello con una specie di parasole di palma spiegato a guisa di tabernacolo, e un turbante spiegazzato che sventolava come una bandiera (Oh, quanto è burlesca e rozza questa imitazione dell’entrata trionfale di Gesù Cristo a Gerusalemme!). Nonostante ciò, l’energia ed il fascino delle sue parole, i prodigi che raccontava in nome del cielo, i quadri della sua immaginazione, le ricchezze che prometteva in questo mondo e il paradiso voluttuoso che annunciava nell’altro, moltiplicarono il numero dei suoi discepoli in pochi anni. Salito al potere, Maometto mantenne la semplicità del mercante di cammelli. Padrone dell’Hedjad, dello Hiemen e di tutta la penisola araba, è stato visto rammendare la sua scarpa, il suo mantello di lana, mungere le sue pecore e accendere il suo fuoco. Burlesco imitatore di Gesù Cristo e dei suoi profeti, faceva dei datteri e dell’acqua pura il suo cibo quotidiano. Il lusso dei suoi pasti non andava oltre il latte e il miele; ma confessava che gli piacevano molto le donne ed i profumi. In questo era un vero tipo dell’anticristo di cui Daniele dice, XI, 37: « Egli si darà alla concupiscenza delle donne. » Abbiamo visto che l’anticristo pretenderà di essere adorato come Dio. Vediamo cosa pensava Mohammed di se stesso: « Dio ha creato tutti gli uomini e ha fatto di me il migliore degli uomini; ha diviso gli uomini in nazioni e mi ha messo nella migliore delle nazioni; ha diviso ogni nazione in tribù e mi ha messo nella migliore delle tribù; ha diviso le tribù in famiglie e mi ha fatto nascere nella migliore delle famiglie. Sì, la mia famiglia è migliore delle vostre, e i miei antenati sono migliori dei tuoi. Io sono il capo ed il modello degli uomini, e non me ne vanto. Sono il più eloquente degli arabi, e sarò io il primo a bussare alla porta del Paradiso, perché sono il primo la cui tomba sarà aperta nel grande giorno. Abramo mi ha chiesto a Dio, Gesù mi ha annunciato al mondo e mia madre, quando mi ha dato alla luce, ha visto una grande luce dall’Oriente all’Occidente. » – Tale è l’uomo che con il suo entusiasmo fanatico si propose di cambiare l’universo. Eccitando tutti i sentimenti violenti, mise fuoco alle passioni per realizzare i suoi vasti disegni. La guerra tra le tribù d’Arabia, un gioco, un istinto, un bisogno ardente. Le brillanti energie del deserto avevano bisogno di lottare: Maometto diede loro il mondo da conquistare. Non sarebbe stato compreso se avesse parlato di carità e misericordia; il segno della sua dottrina era la spada, che chiamava la chiave del cielo e dell’inferno. Missionario barbaro, così come feroce sarà il suo ultimo successore, non si impadroniva di anime, ma di corpi. Carnefice delle coscienze, ci si doveva inchinare alle sue favolose rivelazioni così come ci si dovrà inchinare davanti all’immagine del suo successore per adorarlo, o scegliere tra la morte e la servitù. I suoi discepoli non hanno mai pensato al pericolo; aveva detto loro che una goccia di sangue per la sua causa, che lui chiamava quella di Dio, una notte trascorsa sotto le armi, era meglio di due mesi di digiuno e di preghiera. – Aveva detto loro che nel giorno del giudizio, le ferite che avevano ricevuto avrebbero brillato di uno splendore celeste, esalando profumi, e che le ali degli angeli avrebbero sostituito le membra perse in battaglia. Nonostante tutto questo prestigio di gloria e questa presunta elevazione di Maometto al settimo cielo, la sua morte non fu più felice di quanto lo sarà quella del suo ultimo successore, il quale, dopo aver voluto salire in cielo come Enoch ed Elia, sarà precipitato nell’abisso. Sappiamo infatti che Maometto fu avvelenato a Medina nel 632, dopo aver fatto un pellegrinaggio alla Mecca alla testa di centoquattordicimila proseliti. Abbiamo appena visto alcune delle relazioni morali e caratteristiche che si possono stabilire tra i due uomini che il demonio ha scelto per perdere il genere umano dando luogo alle sciocche pretese del suo orgoglio, che è più antico del mondo, e imitando Dio nell’opera divina di redenzione. L’antico serpente ispirò così Maometto a spacciarsi per un profeta, promettendo di condurre gli uomini alle porte del paradiso: una grossolana impostura con la quale cercò di imitare Gesù Cristo negli atti della sua vita pubblica, ed è questa infernale opera che l’anticristo continuerà e svilupperà in modo prodigioso, fino al punto di sedurre gli stessi eletti, se fosse possibile. Perché questi non si accontenterà del titolo di profeta, ma pretenderà addirittura di essere adorato e riconosciuto come Dio. Ci resta ora da stabilire le relazioni di date che uniscono questi due tiranni, e che Dio, sovrano Creatore e organizzatore di tutte le cose, sembra non aver stabilito invano nei suoi eterni decreti. Le conseguenze che si possono trarre moralmente da queste relazioni sono un prezioso avvertimento per la Chiesa; perché i fedeli, avvertiti in anticipo, non devono scandalizzarsi dei terribili eventi che il Signore si compiacerà di permettere per la maggior gloria del suo Nome e per la prova dei suoi eletti. 1° Prendendo come base per questi calcoli l’anno della nascita dell’Anticristo (1855 1/2) indicato dal venerabile Holzhauser, e basandosi solidamente sui quarantadue mesi, cioè sui milleduecentosettantasette giorni e mezzo (Alcuni interpreti contano milleduecentosessanta giorni in quarantadue mesi, moltiplicando il mese per trenta giorni; quanto a noi, abbiamo fatto di questi quarantadue mesi, tre anni e mezzo, che corrispondono a milleduecentosettantasette giorni e mezzo, poiché un anno ne conta trecentosessantacinque), di tutta la durata del regno dei musulmani in Palestina; Apoc, XI, 2, e basato sul numero della bestia 666. Apoc. XIII, 18, che rappresenta un numero di mesi che formano cinquantacinque anni e mezzo; all’anno di nascita dell’Anticristo (1855 1/2) va aggiunta la durata della sua vita (cinquantacinque anni e mezzo) e otteniamo la data della sua morte nell’anno 1911.

2 ° Da questa data 1911, bisogna sottrarre i milleduecentosettantasette anni e mezzo della durata dell’Impero Ottomano, e si ottiene l’anno 633 1/2, che può, storicamente parlando, essere considerato come l’inizio di questo potere, anche se Maometto morì nel 632. Allora, poiché i giorni dell’Anticristo saranno abbreviati di dodici giorni e mezzo, assumendo la stessa abbreviazione nella vita di Maometto, e facendo questa ulteriore sottrazione si arriva al tempo dell’Egira che fu l’inizio del maomettanesimo propriamente detto; così otteniamo il 621 e il l’Egira ebbe luogo nel 622. 3º Prendendo l’anno della vittoria dei Cristiani sui turchi da parte di Eraclio, 629 1/2, si aggiungono i milleduecentosettanta anni e mezzo del regno ottomano, e si ottiene, per contrasto, il tempo della sconfitta dei Cristiani da parte dell’anticristo, sei mesi prima che egli entri nella pienezza del suo regno. Infatti, 1277 e 1/2 aggiunto a 629 e 1/2 è 1907.. Per capire queste relazioni di date, non dobbiamo dimenticare che il regno dell’Anticristo durerà tanti giorni quanti anni durò l’impero ottomano.

4. Sommando la differenza tra il giorno della nascita di Maometto, il 10 aprile, e il giorno della sua morte, il 17 giugno, otteniamo sessantotto giorni, ai quali dobbiamo sottrarre i dodici giorni e mezzo dell’abbreviazione. E contando questi giorni come anni, otteniamo che Maometto avrebbe vissuto lo stesso numero di anni dell’anticristo, se anche i giorni di Maometto fossero stati accorciati di tanti anni quanti saranno i giorni del regno dell’anticristo, e cioè otteniamo cinquantacinque anni e mezzo. Ora, se fosse possibile trarre una conclusione da tutte le connessioni di date trovate nelle vite di questi due tiranni, la più ragionevole e utile, secondo noi, sarebbe la seguente: Poiché Maometto ha iniziato la sua vita pubblica all’età di quarant’anni, saremmo giustificati nel credere che l’anticristo comincerà a far sentire la sua presenza alla stessa età, cioè verso l’anno 1896.

(Ricordiamo le tre profezie sopra citate – v. libro sesto -, in cui Dio prolunga di un altro secolo il tempo assegnato al demonio per combattere la Chiesa ed il Cristianesimo – ndr. -).

§ II.

Dell’apertura del tempio, del tabernacolo, della testimonianza prima dell’ultima desolazione.

CAPITOLO XV- VERSETTO 5-8.

Et post hæc vidi: et ecce apertum est templum tabernaculi testimonii in cælo, et exierunt septem angeli habentes septem plagas de templo, vestiti lino mundo et candido, et præcincti circa pectora zonis aureis. Et unum de quatuor animalibus dedit septem angelis septem phialas aureas, plenas iracundiæ Dei viventis in sæcula saeculorum. Et impletum est templum fumo a majestate Dei, et de virtute ejus: et nemo poterat introire in templum, donec consummarentur septem plagæ septem angelorum.

[Dopo di ciò mirai, ed ecco si aprì il tempio del tabernacolo del testimonio nel cielo: e i sette Angeli che portavano le sette piaghe, uscirono dal tempio, vestiti di lino puro e candido, e cinti intorno al petto con fasce d’oro. E uno dei quattro animali diede ai sette Angeli sette coppe d’oro, piene del l’ira di Dio vivente nei secoli dei secoli. E il tempio si empì di fumo per la maestà di Dio e per la sua virtù: e nessuno poteva entrare nel tempio, finché non fossero compiute le sette piaghe dei sette Angeli].

I. Vers. 5. – E dopo questo vidi, ed ecco, il tempio del tabernacolo della testimonianza era aperto nel cielo. Qui inizia la testimonianza sigillata con il sangue dei martiri della fine dei tempi. Questi martiri predicheranno su tutta la terra la fede in Gesù di Nazareth crocifisso, contrariamente alla falsa dottrina che apparirà in quel tempo, e il cui scopo sarà quello di far credere al mondo che Cristo non è Gesù di Nazareth crocifisso, venuto sulla terra molti secoli prima; ma che il Cristo sia apparso di recente, e che è nel deserto, cioè in Giudea. Perché la Giudea è la corte fuori dal tempio; è un deserto che le acque salvifiche del Battesimo e il sole vivificante della fede hanno lasciato sterile; è anche il luogo più appartato della casa, cioè Gerusalemme, che era, e sarà soprattutto allora, il luogo più appartato della casa d’Israele. (Matth., XXIV, 23): « Allora se qualcuno vi dice: ‘Ecco, il Cristo è qui o là, non credeteci. Perché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti, e mostreranno grandi segni e prodigi, in modo da ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti. Lo prevedo in anticipo. Se dunque vi dicono: Ecco, è nel deserto, non uscite. Ecco, è nella parte più remota della casa; non crederci. ». – E dopo questo ho visto. Qui San Giovanni annuncia una visione, diversa da quella descritta nel penultimo capitolo. Ed ecco, il tempio del tabernacolo della testimonianza era aperto nel cielo. Questo tempio rappresenta: 1° Le verità della fede preziosamente conservate nella Chiesa di Gesù Cristo designata dal cielo. Ora il tempio del tabernacolo che contiene queste verità sarà aperto: a) in cielo, mediante i doni di Dio e l’invio dei sette Angeli; specialmente Enoch ed Elia; b) e sulla terra, cioè nella Chiesa militante rappresentata anche dal cielo. Queste verità di fede saranno allora pubblicate in tutto l’universo, e coloro che le predicheranno ne daranno testimonianza con il martirio e i miracoli. 2° Questo tempio del tabernacolo della testimonianza rappresenta anche il cuore e la mente della Chiesa, e il sacerdozio, specialmente i predicatori e i dottori. E questo tempio sarà aperto nel cielo propriamente detto, attraverso la comunicazione delle grazie e dei doni che lo Spirito Santo fornirà alla Chiesa militante per la grande opera di quest’ultima testimonianza. – 3º Questo tempio ricorda il tabernacolo della testimonianza in cui erano conservate la legge e le tavole della Legge. Questo tempio, e specialmente il suo santuario, nel quale erano conservate le tavole della Legge, è una perfetta rappresentazione del luogo sacro abitato dai Santi, e dal quale i sette Angeli verranno a vendicare la legge del Signore, ingiustamente violata dagli uomini.

II. Vers. 6. – E i sette Angeli uscirono dal tempio, portando sette piaghe; erano vestiti di puro lino bianco e si cingevano il petto con cinture d’oro. 1º Questi sette Angeli che portavano le piaghe sono tra gli spiriti che, come abbiamo visto nel capitolo I, 4, stanno in piedi davanti al trono di Dio. Essi usciranno dal tempio, cioè dal santuario celeste, e porteranno le sette piaghe di cui si parla in seguito, e presiederanno all’apostolato della fine dei tempi. 2° Questi sette Angeli rappresentano l’universalità dei predicatori e dei dottori che percorreranno la terra verso la fine dei secoli, con Enoch ed Elia alla loro testa, per rafforzare gli uomini nella fede in Gesù crocifisso, per testimoniare la verità del Cristianesimo, per mettere in guardia i fedeli contro l’ultima e più abominevole delle eresie, e infine per castigare il mondo incredulo, o per incutere timore dei giudizi di Dio con le piaghe che sarà dato loro di diffondere sulla terra. Erano vestiti di puro lino bianco. Queste parole si riferiscono chiaramente al sacerdozio il cui abito principale è l’alba. Si dice che questa veste sia fatta di puro lino bianco, a causa della purezza e della semplicità che deve sempre essere l’ornamento principale del sacerdote. Questa alba è chiamata abito, perché veste effettivamente il sacerdote nelle sue funzioni sacre, e copre il suo corpo dalla testa ai piedi. E cinti il petto con cinture d’oro. Queste cinture d’oro designano anche, e in modo ancora più speciale, il sacerdozio, e specialmente gli ultimi apostoli della fede, che saranno rivestiti della giustizia, della forza e della carità di Dio per dare più efficacia alla loro parola sacra. 1° Gli ultimi apostoli saranno effettivamente rivestiti di giustizia, perché saranno santi e praticheranno e predicheranno la giustizia e la verità; e la giustizia è rappresentata nella Scrittura da una cintura. Isaia XI: « La rettitudine sarà la cintura dei suoi lombi ». 2 ° Forza, la cintura di cui questi Santi saranno rivestiti per esercitare la potenza di Dio sulla terra, e per riportare gli uomini alla verità, o per mantenerveli. (Isaia, XXII, 21): « Lo rivestirò con la tua veste, lo onorerò con la tua cintura, il tuo potere passerà nelle sue mani. « 3°  La carità, designata dalle parole, cintura d’oro; perché l’oro figura la carità provata, ed anche la purezza di cui questi santi saranno  adornati. « 4° La cintura rappresenta nella Scrittura la castità sacerdotale di cui saranno rivestiti questi apostoli destinati al martirio, Apoc. XIV, 4: « Questi non si sono contaminati con donne, perché sono vergini. » 5° Infine, la cintura rappresenta la penitenza che questi santi praticheranno e predicheranno. Questa cintura è anche chiamata cilicio. Questi santi porteranno i loro cinti d’oro sul petto, perché testimonieranno la verità, la giustizia e la santità di Dio sulla faccia della terra, e perché le virtù cristiane di cui saranno i difensori serviranno loro come armatura. Si sa in effetti che le antiche corazze erano un tempo formate da fasce o cinture di cuoio forte e flessibile allo stesso tempo.

III. Vers. 7. – E uno dei quattro animali diede ai sette angeli sette coppe d’oro piene dell’ira di Dio che vive nei secoli dei secoliUno dei quattro animali, cioè uno dei quattro Evangelisti a nome di tutti, diede ai sette Angeli sette coppe d’oro piene dell’ira di Dio. Con queste parole, San Giovanni indica il motivo e l’occasione per cui i sette Angeli che rappresentano il sacerdozio e l’apostolato riceveranno delle coppe d’oro piene dell’ira di Dio. Questo motivo e questa occasione sono le verità di fede contenute nel Vangelo, che la nuova eresia attaccherà e che questi apostoli dovranno difendere. San Giovanni cita solo uno dei quattro Evangelisti che distribuiscono queste sette coppe dell’ira di Dio; è per rappresentare meglio l’unità e la perpetuità della fede che questi ultimi predicatori predicheranno. Infatti, essi attingeranno la loro dottrina dalla stessa fonte dei primi Apostoli, cioè da Gesù Cristo; ed è da questa unica fonte che essi otterranno anche i mezzi per accreditare e corroborare la loro parola divina. Questi mezzi saranno le piaghe miracolose che sarà dato loro di riversare sugli uomini per mantenerli, con il timore dei castighi, sulla via della verità che era loro nota, come i primi Apostoli vi attiravano coloro che non la conoscevano con miracoli d’amore e con la speranza delle ricompense. E uno dei quattro animali diede ai sette angeli sette coppe d’oro piene dell’ira di Dio. Con queste coppe d’oro, San Giovanni designa il contenitore per il contenuto, cioè le piaghe in questione in questo capitolo. Queste coppe d’oro indicano la causa dell’ira di Dio e questa causa sarà l’orribile eresia di questo tempo, chiamata l’abominio della desolazione. Poiché la coppa d’oro rappresenta la Passione di Gesù Cristo ed il Santo Sacrificio della Messa, la cui memoria l’Anticristo cercherà di cancellare, anzi la cancellerà del tutto secondo Daniele, XII, 11: « Dal momento in cui il sacrificio perpetuo sarà abolito e l’abominio sarà messo nella desolazione, ecc. » – Queste coppe d’oro richiamano anche l’idea della carità, perché è a scopo di carità e per preservare le anime dalla morte eterna che gli ultimi apostoli affliggeranno gli uomini nelle cose transitorie e periture di questo mondo. Questo, almeno, è il pensiero che emerge dalle ultime parole del testo: Che vive nei secoli dei secoli. Questo passaggio indica l’eternità di Dio e le punizioni eterne di coloro che rifiutano di sottomettersi alla penitenza temporale predicata o inflitta loro nelle ultime piaghe. Infine, queste coppe d’oro alludono alla coppa che veniva usata nei tempi antichi nelle grandi feste, e dalla quale dovevano bere tutti coloro ai quali veniva presentata; e la Scrittura usa spesso questa coppa per rappresentare l’ira e la vendetta divina. Vedi Isaia, II, 17 , 22 e Geremia, XXV, 15 , ecc.

IV. Vers. 8E il tempio si riempì di fumo, a causa della maestà e della potenza di Dio; e nessuno poteva entrare nel tempio fino a quando le sette piaghe dei sette Angeli fossero consumate. Il tempio qui rappresenta la Chiesa militante, e questo tempio sarà riempito di fumo, a causa della maestà e della potenza che Dio manifesterà con le piaghe di cui parla. Queste piaghe saliranno come un grande fumo dal grande fuoco della carità di questi apostoli animati e illuminati dallo Spirito Santo. Queste piaghe sorgeranno anche dal grande fuoco dell’ira di Dio per purificare i buoni e per castigare i malvagi nel tempo e nell’eternità. Questo confronto del fumo è davvero ammirevole! 1° Il fumo che esce dal fuoco si diffonde e si espande nell’aria. 2°. È visibile e tocca i sensi; attira l’attenzione degli uomini, soprattutto se è grande, oscura e acceca coloro che ne sono avviluppati. 3°. Mette a disagio gli uomini e può anche farli morire asfissiandoli. 4. È passeggero e si dissipa con il tempo, specialmente se si alza un forte vento. 5°. Eccita le lacrime. 6° Infine preserva le carni dalla corruzione. Ora, tali saranno perfettamente gli effetti di queste ultime piaghe, che saranno come un grande fumo che il grande vento della tribolazione dell’anticristo spargerà sulla terra per permesso di Dio. È sufficiente considerare ogni punto in particolare per convincersi dell’esattezza di questo confronto. Questo fumo si diffonderà ed espanderà in modo tale che uscirà anche dall’immenso tempio della cristianità e raggiungerà il cortile del tempio, cioè il regno stesso dell’anticristo: Apoc. XVI, 10: « E il quinto angelo versò la sua coppa sul trono della bestia, etc. » 2° Esso sarà visibile e disturberà talmente gli uomini su tutta la terra al punto da farne morire in gran numero. Apoc. XI, 10: « Questi due profeti tormenteranno coloro che abitano la terra, etc. » 3º Queste piaghe, in quanto sono temporali, saranno passeggere, e dureranno solo fino alla fine del regno dell’anticristo, la cui rovina sarà consumata dall’ultima di queste piaghe. 4° Esse strapperanno lacrime di dolore o di rabbia ai malvagi e lacrime di penitenza ai buoni. 5° Preserveranno molti dalla corruzione; perché attireranno l’attenzione dei buoni, che ne comprenderanno e sapranno apprezzarne la causa, e oscureranno la comprensione dei malvagi, che non capiranno i disegni di Dio infinitamente giusto e misericordioso, Dan. XII, 10: « Molti saranno eletti e purificati, e provati come dal fuoco; e gli empi agiranno con empietà, e tutti gli empi non capiranno; ma i saggi intenderanno. » – E il tempio si riempì di fumo, a causa della maestà e della potenza di Dio; cioè, quelle piaghe con cui Dio manifesterà la sua potenza e maestà si estenderanno a tutta la cristianità rappresentata dal tempio. Troviamo una figura di questo fumo nella Scrittura, III. Reg. VIII, 10: « E quando i sacerdoti uscirono dal santuario, una nuvola riempì la casa del Signore. ». – E nessuno poteva entrare nel tempio finché le sette piaghe dei sette angeli non fossero consumate. San Giovanni vuole insegnarci con queste parole che i seguaci della bestia non potranno entrare nel tempio della fede cristiana per vedere i giudizi segreti di Dio, la cui maestà e potenza sarà manifestata ai buoni con queste sette piaghe, che quando queste piaghe saranno cessate e sarà giunto il momento in cui le nazioni si convertiranno e i Giudei diranno: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Perché allora tutti gli uomini si convertiranno. Apoc. XVI, 11: « Hanno bestemmiato il Dio del cielo a causa del loro dolore e delle loro piaghe, e non fecero penitenza per le loro opere. » E cap. XI, 13: « Il resto fu preso da timore e rese gloria a Dio. »

§ III.

Le sette ultime piaghe.

CAPITOLO XVI. – VERSETTI 1-21

Et audivi vocem magnam de templo, dicentem septem angelis: Ite, et effundite septem phialas iræ Dei in terram. Et abiit primus, et effudit phialam suam in terram, et factum est vulnus sævum et pessimum in homines, qui habebant caracterem bestiae, et in eos qui adoraverunt imaginem ejus. Et secundus angelus effudit phialam suam in mare, et factus est sanguis tamquam mortui: et omnis anima vivens mortua est in mari. Et tertius effudit phialam suam super flumina, et super fontes aquarum, et factus est sanguis. Et audivi angelum aquarum dicentem: Justus es, Domine, qui es, et qui eras sanctus, qui haec judicasti: quia sanguinem sanctorum et prophetarum effuderunt, et sanguinem eis dedisti bibere: digni enim sunt. Et audivi alterum ab altari dicentem: Etiam Domine Deus omnipotens, vera et justa judicia tua. Et quartus angelus effudit phialam suam in solem, et datum est illi aestu affligere homines, et igni: et æstuaverunt homines æstu magno, et blasphemaverunt nomen Dei habentis potestatem super has plagas, neque egerunt pœnitentiam ut darent illi gloriam. Et quintus angelus effudit phialam suam super sedem bestiæ: et factum est regnum ejus tenebrosum, et commanducaverunt linguas suas præ dolore: et blasphemaverunt Deum cæli præ doloribus, et vulneribus suis, et non egerunt poenitentiam ex operibus suis. Et sextus angelus effudit phialam suam in flumen illud magnum Euphraten: et siccavit aquam ejus, ut præpararetur via regibus ab ortu solis. Et vidi de ore draconis, et de ore bestiæ, et de ore pseudoprophetœ spiritus tres immundos in modum ranarum. Sunt enim spiritus dœmoniorum facientes signa, et procedunt ad reges totius terrae congregare illos in prælium ad diem magnum omnipotentis Dei. Ecce venio sicut fur. Beatus qui vigilat, et custodit vestimenta sua, ne nudus ambulet, et videant turpitudinem ejus. Et congregabit illos in locum qui vocatur hebraice Armagedon. Et septimus angelus effudit phialam suam in aerem, et exivit vox magna de templo a throno, dicens: Factum est. Et facta sunt fulgura, et voces, et tonitrua, et terræmotus factus est magnus, qualis numquam fuit ex quo homines fuerunt super terram: talis terraemotus, sic magnus. Et facta est civitas magna in tres partes: et civitates gentium ceciderunt. Et Babylon magna venit in memoriam ante Deum, dare illi calicem vini indignationis irae ejus. Et omnis insula fugit, et montes non sunt inventi. Et grando magna sicut talentum descendit de cælo in homines: et blasphemaverunt Deum homines propter plagam grandinis: quoniam magna facta est vehementer.

[E udii una gran voce dai tempio, che diceva ai sette Angeli: Andate, e versate le sette coppe dell’ira di Dio sulla terra. E andò il primo, e versò la sua coppa sulla terra, e ne venne un’ulcera maligna e pessima agli uomini che avevano il carattere della bestia, e a quelli che adorarono la sua immagine. E il secondo Angelo versò la sua coppa nel mare, e divenne come sangue di cadavere: e tutti gli animali viventi nel mare perirono. E il terzo Angelo versò la sua coppa nei fiumi e nelle fontane d’acque, e diventarono sangue. E udii l’Angelo delle acque che diceva: Sei giusto, Signore, che sei e che eri, (che sei) santo, tu che hai giudicato così: perché hanno sparso il sangue dei santi e dei profeti, e hai dato loro a bere sangue: perocché ne sono degni. E ne udii un altro dall’altare che diceva: Sì certo, Signore Dio onnipotente, i tuoi giudizi (sono) giusti e veri. E il quarto Angelo versò la sua coppa nel sole, e gli fu dato di affliggere gli uo- mini col calore e col fuoco: e gli uomini bruciarono pel gran calore, e bestemmiarono il nome di Dio, che ha potestà sopra di queste piaghe, e non fecero penitenza per dare gloria a lui. E il quinto Angelo versò la sua coppa sul trono della bestia: e il suo regno di- ventò tenebroso, e pel dolore si mordeva o le loro proprie lingue: E bestemmiarono il Dio del cielo a motivo dei dolori e delle loro ulceri, e non si convertirono dalle loro opere. E il sesto Angelo versò la sua coppa nel gran fiume Eufrate, e si asciugarono le sue acque, affinché si preparasse la strada ai re d’Oriente. E vidi (uscire) dalla bocca del dragone e dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta tre spiriti immondi simili alle rane. Poiché sono spiriti di demoni, che fanno prodigi, e se ne vanno ai re di tutta la terra per congregarli a battaglia nel gran giorno di Dio onnipotente. Ecco che io vengo come un ladro. Beato chi veglia e tiene cura delle sue vesti, per non andare ignudo, onde vedano la sua bruttezza. E lì radunerà nel luogo chiamato in ebraico Armagedon. E il settimo Angelo versò la sua coppa nell’aria, e dal tempio uscì una gran voce dal trono, che diceva: È fatto. E ne seguirono folgori, e voci, e tuoni, e successe un gran terremoto, quale, dacché uomini furono sulla terra, non fu mai terremoto così grande. E la grande città sì squarciò in tre parti: e le città delle genti caddero a terra: e venne in memoria dinanzi a Dio la grande Babilonia, per darle il calice del vino dell’indignazione della sua ira. E tutte le isole fuggirono, e sparirono i monti. E cadde dal cielo sugli uomini una grandine grossa come un talento: e gli uomini bestemmiarono Dio per la piaga della grandine: poiché fu sommamente grande.]

I. Stiamo per assistere alle scene più terribili che il mondo abbia mai visto. Questo capitolo contiene la descrizione delle sette piaghe della fine dei tempi, e soprattutto la rovina dei malvagi. Ma dobbiamo avvertire il lettore che questa descrizione delle sette piaghe è talvolta interrotta da citazioni ed applicazioni che il testo stesso richiede.

Vers. 1. – E udii una voce forte dal tempio, che diceva ai sette Angeli: Andate e versate sulla terra le sette coppe dell’ira di Dio.

I° Questa voce è quella di Dio stesso, che comanderà agli Angeli che sono intorno al suo trono, sempre pronti a compiere la sua volontà, a presiedere all’apostolato di cui abbiamo parlato. Egli designerà sette di loro che dovranno portare sulla terra le sette piaghe della sua ira, sia comunicando la sua potenza agli ultimi apostoli della Chiesa militante, sia liberando lucifero e permettendogli di infierire. Queste piaghe sono rappresentate nell’Antico Testamento dalle piaghe d’Egitto. Exod., VII, etc. 2° Questa voce rappresenta anche la voce che il Sommo Pontefice farà sentire con forza in quel tempo, con le sentenze di anatema che pronuncerà contro l’ultima eresia, Apoc. XIV, 9: « Chi adora la bestia, ecc. berrà il vino dell’ira di Dio, etc. … ». 3º Questa voce forte è quella della Chiesa, rappresentata dal tempio; poiché la Chiesa manderà i suoi missionari e i suoi predicatori, etc. per tutta la cristianità, per predicare contro questa eresia. E dirà loro: Andate e versate sulla terra le sette coppe dell’ira di Dio. Queste parole sono una figura degli effetti miracolosi che seguiranno le fulminee sentenze di scomunica che la Chiesa pronuncerà contro i malvagi. Essi esprimono anche il potere che gli ultimi apostoli eserciteranno sugli uomini. Infatti, Enoch ed Elia, che verranno verso la fine dei tempi, presiederanno a questo apostolato, ed è detto di loro, (Apoc. XI, 6): « Essi hanno il potere di chiudere il cielo, di impedire che la pioggia cada mentre profetizzano; e hanno il potere di trasformare l’acqua in sangue e di colpire la terra con ogni sorta di piaghe, tutte le volte che vogliono. » Ora segue la prima piaga.

II. Vers. 2. E il primo uscì e versò la sua coppa sulla terra; e gli uomini che avevano il carattere della bestia e quelli che adoravano la sua immagine furono colpiti da una piaga crudele e terribile. 1° Con questi numeri, il primo, il secondo, ecc., San Giovanni designa in generale tutte le piaghe che affliggeranno gli uomini in quel tempo, e queste piaghe saranno numerose e diverse, come si può vedere da queste parole: « Hanno il potere ….. di colpire la terra con ogni sorta di piaghe, tutte le volte che vorranno. » 2° San Giovanni designa sette piaghe che caratterizza più specificamente. Ma questo numero sette rappresenta comunque tutti i tipi possibili di piaghe possibili che questi apostoli infliggeranno tutte le volte che vorranno, così come i sette Angeli rappresentano anche tutti gli apostoli della fine dei tempi, che saranno certamente numerosi. 3º Questo numero sette si applica piuttosto alle sette piaghe principali che San Giovanni caratterizza, come agli Angeli che le diffonderanno. 4° Con questi Angeli, San Giovanni ci rappresenta gli Angeli buoni e anche quelli cattivi; è così che lucifero è uno di quegli angeli che Dio manda o permette, secondo i suoi disegni segreti. 5° Questo numero sette non è tanto ordinale quanto cardinale; cioè, San Giovanni ha voluto piuttosto designare in sette specie l’ordine principale in cui queste coppe saranno versate. Infatti, queste piaghe verranno anche tutte insieme (Apoc. XVIII, 8).  « Ecco perché in un solo giorno arriveranno queste piaghe, la morte, il duolo, e la carestia, ed essa (Babilonia) sarà bruciata dal fuoco. » E gli uomini che avevano il carattere della bestia e quelli che adoravano la sua immagine, erano colpiti da una piaga crudele e terribile. Noi crediamo che questa piaga consisterà in una crudele malattia dell’intestino. Troviamo, inoltre, nelle piaghe inflitte da Mosè e Aronne una figura di ciò che può essere quello di cui si tratta qui, e di cui San Giovanni non indica il carattere. Esodo, IX, 10: « Presero delle ceneri e si misero davanti al faraone, e Mosè le gettò verso il cielo, e allora si formarono ulcere e gonfiori ardenti su uomini e bestie. » Vedi anche 1 Reg V, 6, 9. Poi viene la seconda piaga.

III. Vers. 3; … e tutto ciò che aveva vita nel mare morì. Questa seconda piaga sarà dunque la corruzione dell’acqua del mare, che diventerà come il sangue di un morto; e il sangue di un morto, non avendo più la sua circolazione e diventando più denso e più nero, non tarda a corrompersi e a divenire infetto. Il fetore e l’infezione che risulteranno da una tale piaga possono essere giudicati da questo: quando tutta l’acqua dei mari sarà diventata come il sangue di un morto. E tutto ciò che aveva vita nel mare morirà, cioè tutti i pesci e i cetacei periranno, e il fetore dei loro corpi morti si aggiungerà alle esalazioni putride dell’acqua del mare, che è diventata come il sangue di un morto. Noi stessi fummo testimoni di una simile piaga al tempo del colera che afflisse così crudelmente l’Europa nell’anno 1854; e vedemmo le acque del golfo di Napoli simili all’olio e luminose come il fosforo, a perdita d’occhio. I pesci perirono in grande quantità e il popolo si astenne dal mangiarli per tutta la durata dell’epidemia. Questo fenomeno, che a volte si vede nei grandi calori, si manifestò in un grado senza pari; e gli studiosi cercavano di spiegarlo con la presenza di microrganismi.

IV. Vers. 4. – E il terzo Angelo versò la sua coppa sui fiumi e sulle fontane, e ci fu sangue ovunque. Tutte queste parole e le precedenti devono essere prese alla lettera. Così, in quel tempo, non ci sarà quasi più acqua da bere, perché non solo l’acqua salata ma anche l’acqua dolce sarà trasformata in sangue, come il testo esprime con queste parole: Sui fiumi e sulle fontane, e c’era sangue ovunque. Questa mancanza d’acqua avverrà nello stesso momento in cui gli uomini saranno bruciati da un calore divorante; perché in un solo giorno verranno le sue piaghe, la morte, il lutto e la carestia, e Babilonia, cioè le nazioni della terra che hanno adorato la bestia e hanno portato il carattere del suo nome, sarà bruciata col fuoco, perché il Dio che la giudicherà è il Dio forte. Dopo questa terza piaga, San Giovanni interrompe il corso della sua descrizione con le seguenti osservazioni:

V. Vers. 5. – E udii l’Angelo delle acque dire: Voi siete giusto, o Signore, che siete e che siete stato; Voi siete santo, quando giudicate così. 1° Sant’Agostino, (Lib . 83, 9, 79), e prima di lui Origene, (Hom. 14, in Num.) insegnano che ogni cosa visibile in questo mondo è governata da un Angelo, ed è per questo che si è parlato dell’Angelo delle acque nel nostro testo. 2°. È stato detto più di una volta che le acque nella Scrittura spesso significano le tribolazioni. Con questo Angelo delle acque, San Giovanni rappresenta allegoricamente il sentimento unanime dei fedeli della Chiesa, che accetteranno con rassegnazione queste grandi tribolazioni alle quali prenderanno parte anche essi. Infatti, i giusti, secondo l’esperienza di tutti i secoli, patiscono insieme ai colpevoli. L’unica differenza è che i santi comprendono la giustizia e la santità di Dio in mezzo alle loro prove, mentre gli empi non lo comprendono; e questo è ciò che si vedrà specialmente alla fine dei tempi, secondo Daniele, XII, 10: « Molti saranno scelti e purificati, e provati come dal fuoco; e quelli che sono empi agiranno empiamente, e tutti gli empi non capiranno; ma i saggi comprenderanno. » Così, gli ultimi eletti capiranno la santità e la giustizia di Dio nei suoi terribili giudizi: la santità in quanto vedranno che Dio non permetterà queste piaghe temporali se non per purificarli e renderli degni della felicità eterna. Riconosceranno anche la sua giustizia, come vediamo dal versetto seguente:

Vers. 6: Poiché hanno versato il sangue dei santi e dei profeti, Voi avete dato anche a loro da bere del sangue, e questo è ciò che meritano. Con queste parole San Giovanni indica il motivo per cui questa piaga di sangue sarà inviata: Perché hanno versato il sangue dei santi e dei profeti. – 1° Questo passaggio si applica ai Santi e ai Profeti della Chiesa universale di tutti i tempi in generale; e si applica in particolare ai santi e ai profeti che saranno martirizzati nell’ultima persecuzione. – 2°. Bisogna osservare qui che le sette piaghe fisiche di cui si parla in questo capitolo corrispondono alle sette principali piaghe morali che avranno afflitto la Chiesa nel corso della sua esistenza. E questo è così visibile, che queste sette piaghe generali degli ultimi tempi sono annunciate nello stesso ordine e con gli stessi caratteri delle principali eresie della Chiesa. Così il primo nemico del Cristianesimo fu la sinagoga, e la prima eresia venne dai Giudei, che sostenevano che la circoncisione era necessaria per la salvezza. Da qui la prima piaga fisica degli ultimi tempi, che sarà crudele e terribile, e farà soffrire orribilmente gli uomini che adoreranno la bestia. Benché San Giovanni non precisi il tipo di questa malattia, si può credere, come abbiamo già detto, che questa piaga sarà simile a quella dell’Egitto, che consisteva in ulcere e gonfiori brucianti. Ora, questa piaga del primo Angelo causerà pene crudeli e terribili agli uomini, per punire i loro crimini, e anche per punire la prima eresia di cui abbiamo appena parlato. Perché non dobbiamo dimenticare che, verso la fine dei tempi, vedremo una ricapitolazione e il colmo di tutti i crimini degli uomini dall’origine del mondo. Da qui anche la ricapitolazione e il colmo di tutti i mali fisici, come punizione per questi crimini, in generale e in particolare. Il secondo nemico della Chiesa fu il paganesimo, che, durante lo spazio di trecento anni, causò lo spargimento di un mare di sangue. Da qui la seconda piaga del sangue sul mare: e divenne come il sangue di un morto. Poi apparvero gli eretici, alcuni dei quali, come Ario e Macedonio, attaccarono le fonti della grazia, negando la divinità del Figlio e dello Spirito Santo, che ne sono il principio, come Pelagio ne rigettò la necessità. Da qui anche la terza piaga sui fiumi e sulle fontane, e si ebbe sangue ovunque. Gli altri, come Nestorio, Eutiche, etc. con le loro false dottrine in merito alla Persona e alla natura di Gesù Cristo, oscurarono questo sole di giustizia, e quindi anche la quarta piaga di cui si parla più in basso, dove vediamo che il quarto Angelo versò la sua coppa sul sole. E gli uomini furono bruciati con un calore divorante. – Dopo tutte queste eresie seguirono gli effetti dell’errore di Ario, di cui San Giovanni indica la punizione con la quinta piaga, come aveva indicato questa eresia, nel capitolo IX, 1, sotto l’enigma del quinto Angelo che suona la tromba. Infatti, fu attraverso l’imperatore Valente che l’eresia di Ario, paragonata al fumo del pozzo delle profondità, si diffuse in tutto il mondo al tempo dei Goti e dei Vandali, a tal punto che il mondo si stupì di vedersi ariano; infatti, sotto l’imperatore Zenone non si annoverava tra i Cattolici neppure il più piccolo dei monarchi. Perciò anche il quinto Angelo (che) versò la sua coppa sul trono della bestia; e il suo regno si oscurò, e gli uomini si divorarono la lingua nell’eccesso del loro dolore. E bestemmiavano il Dio del cielo a causa dei loro dolori e delle loro piaghe, e non fecero penitenza delle loro opere. Infatti, gli ariani, negando la divinità del Figlio e dello Spirito Santo, bestemmiavano il Dio del cielo; e non fecero penitenza per le loro opere, meritando di divorarsi la lingua nell’eccesso del loro dolore, poiché Valente ed i suoi simili, dopo aver coperto i regni della terra con le tenebre, e fatto strappare la lingua a diversi Vescovi d’Africa, morirono ariani. – La sesta piaga morale venne dai protestanti, che infettarono l’Europa soprattutto con i loro errori. Ora, come abbiamo visto, l’Europa è rappresentata dall’Eufrate. L’eresia di Lutero ha una grande analogia con quella dell’anticristo, in quanto entrambi avranno riassunto tutti gli errori che li hanno preceduti, avranno abolito il Sacrificio perpetuo e il celibato; e così, allora l’eresia di Lutero avrà immediatamente preceduto quella dell’anticristo e prosciugato le acque del grande fiume della grazia in Europa; l’Apostolo ha ragione quando dice che il sesto angelo verserà la sua coppa sul grande fiume Eufrate, che è l’Europa, e che le sue acque saranno prosciugate per preparare la strada ai re d’Oriente, cioè all’anticristo e ai suoi sostenitori. Ordunque, come abbiamo detto in una nota a questo lavoro, anche se tutti gli errori devono scomparire nella sesta epoca, le conseguenze del protestantesimo saranno ancora abbastanza potenti per preparare la strada all’anticristo in Europa.  Infine, il settimo e più grande male morale di tutti sarà la negazione di Dio, senza il quale l’uomo non può esistere più, e infinitamente meno, di quanto possa vivere senza aria. Questo crimine sarà quello della consumazione, altrimenti chiamato l’abominio della desolazione; e da qui anche il settimo Angelo che verserà la sua coppa nell’aria. E poi verrà la grande tempesta che precede la consumazione dei tempi.

VI. Poiché hanno versato il sangue dei santi, avete dato loro anche il sangue da bere. Con queste parole, san Giovanni indica la causa di questa piaga del sangue, perché essi hanno sparso il sangue dei Santi, cioè di tutti i martiri, da Abele fino all’ultimo, ed in particolare dei predicatori che predicheranno prima dell’ultima tribolazione. E questo è quello che meritano. È un’acclamazione alla giustizia di Dio, che punisce i peccatori anche in questo mondo, in modo simile e proporzionato ai loro crimini. Come questa causa di sangue, San Giovanni indica implicitamente tutte quelle che abbiamo appena menzionato, ed è per questo che ce le fa rimarcare.

Vers. 7. E dall’altare ne ho sentito un altro dire: Sì, Signore Dio onnipotente, i tuoi giudizi sono giusti e veritieri. Questo Angelo dell’altare è il sommo Sacerdote e il Sacerdozio in generale, che riconoscerà e manifesterà pubblicamente agli uomini la causa di queste ferite, dichiarandole giuste e meritate. Questo Angelo rappresenta anche la Chiesa trionfante, che unirà la sua acclamazione a quella della Chiesa militante. Dopo queste acclamazioni e applausi, con cui San Giovanni ha appena fatto l’applicazione generale di queste piaghe, segue la continuazione della loro descrizione.

VII. Vers. 8. – Il quarto Angelo versò la sua fiala sul sole; e gli fu dato di tormentare gli uomini con la ferocia del fuoco.

Vers. 9E gli uomini furono bruciati da un calore divorante e bestemmiarono il nome di Dio, che ha in suo potere queste piaghe, e non fecero penitenza per dargli gloria. Questi due versetti annunciano una piaga tanto più terribile perché arriverà nello stesso momento in cui mancherà l’acqua per porvi rimedio. Questa piaga sarà una grande siccità e un caldo orribile, che divorerà gli uomini e seccherà le piante, così che un gran numero degli uni e delle altre periranno. Ma nonostante questo, i malvagi saranno così induriti e accecati che non ne riconosceranno la causa o la giustizia, come vediamo da queste parole: E non faranno penitenza per dare gloria a Dio. Inoltre, bestemmieranno contro Dio Onnipotente, invece di cercare di placare la sua ira, e disarmare il suo braccio vendicatore. E bestemmiarono il Nome di Dio, che aveva queste ferite in suo potere …. Il Nome di Dio ….. specialmente quello di Nostro Signore Gesù Cristo. Quinta piaga:

VIII. Vers. 10. – E il quinto angelo versò la sua fiala sul trono della bestia; e il suo regno si oscurò, e gli uomini si divorarono la lingua nel loro dolore. Questo trono della bestia deve essere inteso in particolare come la città di Gerusalemme dove sarà stabilita la sede dell’anticristo; e questo quinto angelo, che è designato qui letteralmente, sarà lucifero. Perché, come è stato detto più di una volta, la stessa figura può significare varie cose, anche opposte tra loro. Questo angelo verserà la sua piaga sul trono della bestia, cioè sull’anticristo stesso e sui suoi ministri, alcuni dei quali saranno re. Egli accecherà le loro menti e indurirà i loro cuori, così che ne risulterà una grande confusione in tutti i regni sotto il loro potere, perché saranno tutti immersi nelle più profonde tenebre dell’incredulità e dell’errore: la luce della verità non risplenderà su di loro, perché l’anticristo, il loro capo, sarà posseduto dal potere delle tenebre, che è lucifero. E come l’ordine morale presiede all’ordine fisico, il turbamento degli spiriti produrrà anche un turbamento nei cuori e nelle azioni degli uomini. È quindi comprensibile da questo le ingiustizie, le persecuzioni, la forza bruta e tutti gli abomini che saranno commessi in questo regno infernale. E gli uomini si divoreranno la loro lingua nell’eccesso del loro dolore. Queste parole mostrano l’orrore dei mali che affliggeranno questo regno dell’anticristo, poiché gli uomini divoreranno la loro lingua nell’eccesso del loro dolore. È un’iperbole che esprime gli effetti delle terribili piaghe con cui Dio punirà i malvagi che adoreranno la bestia e che bestemmieranno contro di Lui e i suoi Santi. Questo è ciò che San Giovanni ci spiega nel versetto seguente:

Vers. 11. – E bestemmiarono il Dio del cielo a causa dei loro dolori e delle loro piaghe, e non si pentirono delle loro azioni. Sesta piaga.

IX . Vers. 12. – E il sesto Angelo versò la sua coppa sul grande fiume Eufrate, e le sue acque furono prosciugate per preparare una via ai re d’Oriente. L’Eufrate è uno dei fiumi più importanti del mondo, che nasce nelle montagne della grande Armenia, si congiunge al Tigri e poi costituisce quel paese che si chiama Mesopotamia, e da lì scorre nel Mar Persico. Ora questo fiume sarà prosciugato miracolosamente dal sesto Angelo inviato da Dio per versare la sesta coppa della sua ira; ed è attraverso questo che sarà aperto un passaggio ai re d’Oriente che andranno ad unirsi all’anticristo con i loro eserciti. Perché Dio li riunirà più tardi nel luogo chiamato in ebraico Armaggedon per colpirli tutti in una volta e consumare la loro rovina. Abbiamo un esempio del prosciugamento dell’Eufrate da parte di Ciro, re di Persia, che deviò le acque di quel fiume per potersi impadronire di Babilonia. (Vedi Daniele, X e XI, in Martini). Con questo fiume Eufrate si intende anche l’Europa; perché, come abbiamo visto in questo lavoro, l’Eufrate era il più grande dei quattro fiumi che scorrevano nel paradiso terrestre, e questi quattro fiumi rappresentano in figura le quattro parti del mondo. Ora, questo prosciugamento delle acque dell’Eufrate è inteso anche in senso figurato per l’Europa, che è la regione più bella e più popolosa della Chiesa; poiché verso la fine dei tempi, la fede scomparirà gradualmente in tutto il mondo, ed è come una punizione per l’apostasia generale e l’ingratitudine di cui l’Europa, abbondantemente e per tanto tempo cosparsa delle acque salvifiche della fede, sarà colpevole, per cui Dio manderà il suo Angelo a prosciugare le sorgenti della sua grazia in quella terra indegna. Da allora in poi, le sue forze morali e fisiche saranno così indebolite che i re d’Oriente, cioè l’anticristo e i suoi alleati, troveranno una via facile per penetrarvi, per sottometterla al loro dominio e per diffondervi i loro errori. Questo si vede più chiaramente dalle seguenti parole:

X. Vers. 13. E vidi tre spiriti immondi uscire dalla bocca del dragone, dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta, come delle rane.

Vers. 14. – Questi sono gli spiriti dei demoni che fanno prodigi e vanno presso i re di tutta la terra per chiamarli a combattere nel grande giorno di Dio Onnipotente. Questi tre spiriti immondi, simili a rane, che San Giovanni vide uscire dalla bocca del drago, dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta, saranno dunque gli spiriti dei demoni che faranno dei prodigi. Qui vediamo la preparazione della grande battaglia che sarà combattuta nel grande giorno di Dio Onnipotente, tra le potenze del cielo con la Chiesa militante sulla terra da una parte, e le potenze infernali in lega con il mondo dall’altro. Non appena sarà stata spianata la strada ai re d’Oriente, cioè al dragone che è lucifero, il capo delle potenze infernali, alla bestia che sarà l’anticristo e il dominatore del mondo, e al suo falso profeta che sarà l’antipapa, usciranno dalla loro bocca tre spiriti immondi, cioè demoni che faranno prodigi. Questi tre spiriti immondi, che saranno veri demoni, sono anche le tre concupiscenze di cui parla San Giovanni, (I. Epistola, II, 16): « Perché tutto ciò che è nel mondo è o concupiscenza della carne o concupiscenza degli occhi, o orgoglio  della vita, e tutte queste cose non sono del Padre, ma del mondo. » In questo piano d’attacco ordito da lucifero, possiamo ancora vedere il suo antico orgoglio di voler eguagliare Dio imitando le tre Persone della Santa Trinità; poiché il dragone qui scimmiotta Dio Padre, la bestia vuole rappresentare Dio Figlio, e il falso profeta è una rozza e abominevole rappresentazione di Dio Spirito Santo. Questi tre mostri, il dragone, la bestia e il falso profeta, non sono che un unico essere morale rappresentato da tre persone distinte, ognuna delle quali dovrà recitare la sua parte e prendere parte attiva nel grande combattimento di Dio onnipotente. Le loro armi saranno tutti i vizi rappresentati dai tre spiriti impuri, o dalle tre concupiscenze che riassumono in loro tutto ciò che può lusingare le passioni degli uomini. Con questo mezzo, questi demoni riuniranno i malvagi e ne formeranno un esercito numeroso, che inciteranno alla rivolta contro Dio, per far condividere ad essi la loro sorte e gettarli nell’abisso. Le loro armi, così formidabili per gli uomini, saranno il richiamo dei piaceri, la sete delle ricchezze e la gloria degli onori. E queste tre concupiscenze, o questi tre spiriti impuri, sono veramente rappresentati dalle rane. Perché: 1° La rana è un animale disgustoso che si compiace solo nel fango delle acque corrotte. 2° Gracchia e si sente soprattutto nel buio della notte. 3° Le rane si riuniscono in gran numero in un luogo. 4° La luce le abbaglia, ed è per mezzo di torce che gli uomini le prendono per mangiarle. 5° Sono anfibi e strisciano nella polvere o guazzano nell’acqua torbida. 6° Si moltiplicano in modo sorprendente; una sola è sufficiente per produrne un numero incalcolabile. – 7°. Esse sono prive di forza e diventano così il rifiuto degli animali che le calpestano. 8°. Sono il pasto dei serpenti 9°. Quando vogliono alzarsi, ricadono nella polvere o nel fango, etc. Ora questi saranno i caratteri di quegli spiriti immondi che usciranno dalla bocca del dragone, dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta, per chiamare i re di tutta la terra a combattere nel grande giorno di Dio Onnipotente. – 1°. Questi spiriti, chiamati impuri dallo stesso San Giovanni, saranno disgustosi come la rana, perché non trarranno che piacere dalla melma e dal fango dei vizi. Infatti, è in questa melma o acqua fangosa che deporranno le loro uova e si moltiplicheranno come la sabbia del mare. La loro prole popolerà tutta la terra, che sarà come infettata da questi spiriti immondi. 2º Questi empi si faranno sentire solo nelle tenebre della notte degli errori, e si manifesteranno solo nelle tenebre, perché è la natura degli empi il fuggire la luce e cercare le tenebre per perpetrare i loro crimini. 3°. Quando la vera luce risplenderà agli occhi degli adoratori della bestia, essi si ritireranno nelle tenebre per non vederla; ma non appena i ministri dell’anticristo faranno brillare la fioca luce dei loro falsi prodigi, appariranno in massa come rane quando vengono pescate con una torcia fatta di bitume e di zolfo; e si lasceranno prendere per diventare cibo di demoni. 4° Essi si riuniranno per seguire la falsa luce dell’anticristo quando brillerà nei loro occhi. 5°. Saranno disposti a vivere come la rana, a volte nella polvere dei beni terreni e avvolte nel fango dei vizi. 6°. Essi si moltiplicheranno come le rane e aumenteranno all’infinito i loro crimini e le loro vittime con il loro gracchiare e il loro gridare, dicendo: Chi è come la bestia, cioè l’anticristo, il loro messia, e chi potrà resistergli? Saranno impotenti a resistere alla bestia, e si lasceranno calpestare e divorare dai suoi agenti. 7°. Diventeranno il cibo dei rettili infernali. 8°. Quando vorranno sollevarsi contro il cielo, o cercheranno di sfuggire al loro stato degradato aspirando ad una falsa gloria, ricadranno nella polvere o nel fango del peccato, in attesa di essere divorati dai demoni. Ma malgrado le loro grida ed il loro numero, non potranno nuocere né a Dio né ai suoi eletti, perché questi saranno molto più in alto di quanto l’aquila sia sopra la rana quando plana nell’aria. E vidi uscire dalla bocca del dragone, dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta, tre spiriti immondi come rane. Vale a dire che questi vizi, errori e abomini rappresentati dalle rane uscirono dalla bocca di questi tre mostri, lucifero, l’anticristo e il suo falso profeta l’antipapa, che si accorderanno tra loro e pubblicheranno con gli editti dell’anticristo e con la predicazione del falso profeta, ciò che lucifero, che è il dragone, avrà loro ispirato ed ordinato di predicare ed eseguire. Ed è anche in questo modo che lucifero cercherà di imitare Dio, facendo ciò che Dio fa per il bene; ed è a questo scopo perverso che questi tre mostri sosterranno la loro missione con falsi prodigi. Questi sono gli spiriti dei demoni che compiono prodigi. Questi tre mostri, lucifero, l’anticristo e il suo falso profeta rivolgeranno ai re di tutta la terra, cioè a tutti i popoli del mondo il male che questi re rappresentano, e con l’appetito dei vizi, la perfidia della loro dottrina e soprattutto la brillantezza dei loro prodigi, cercheranno di attirare tutti gli uomini dietro di loro, per riunirli e formare un esercito numeroso che faranno combattere contro Dio Onnipotente. Ma i loro sforzi saranno vani, perché la forza di questo esercito sarà come quella di un immenso numero di rane, che possono solo gracchiare e agitarsi invano.

XI. È per metterci in guardia contro questi spiriti immondi che Gesù Cristo ci rivolge le seguenti parole:

Vers. 15. – Ecco, io vengo come un ladro. Beato colui che veglia e custodisce le sue vesti, per non andare nudo e scoprire la sua vergogna. Queste parole contengono un avvertimento salutare ed efficace per i fedeli. Ecco, io vengo come un ladro. È Gesù Cristo stesso che parla qui nello stesso senso del capitolo III, 3: « Perché se non vegliate, verrò a voi come un ladro e non saprete in quale ora verrò. » È di questo arrivo improvviso e imprevisto per i malvagi immersi nella notte delle tenebre e privati delle loro vesti, che sono le virtù cristiane, che parla San Paolo, I. Tess., IV , 15: « Appena sarà dato il segnale dalla voce dell’Arcangelo e dalla tromba di Dio, il Signore stesso scenderà dal cielo; e quelli che sono morti in Cristo Gesù risorgeranno per primi. Allora noi che siamo vivi e siamo rimasti saremo presi insieme a loro nelle nuvole nell’aria per incontrare Gesù Cristo, e così saremo con il Signore per sempre. Perciò confortatevi a vicenda con queste parole. Quanto al tempo e al momento, non avete bisogno, fratelli miei, che vi scriviamo su questo, perché voi stessi sapete che il giorno del Signore verrà come un ladro nella notte. Perché quando diranno: “Pace e sicurezza”, allora un’improvvisa rovina li colpirà, come una donna è sorpresa dai dolori del parto e non potranno sfuggirvi. » – Ecco, io vengo come un ladro! Queste parole contengono anche una consolazione per i giusti e i santi che si troveranno in grande isolamento al tempo dell’anticristo, e vedranno la massa dei peccatori agitarsi, gridando: Chi è come la bestia, e chi potrà resistergli? Questi empi diranno anche in mezzo al loro fango e nella piena sazietà dei loro desideri carnali: “Pace e sicurezza“. E quella empia Babilonia dirà: (Apoc. XVIII, 7): « Io siedo come regina e non sono vedova, e non sono in lutto. » – Beato colui che vigila e custodisce le sue vesti, per non camminare nudo e scoprire la sua vergogna. Gesù Cristo raccomanda qui ai fedeli che vivranno in quel tempo di vegliare su se stessi, perché se i Cristiani devono essere vigili in ogni momento, la vigilanza sarà particolarmente necessaria quando il diavolo sarà scatenato e nella pienezza del suo potere. Queste vesti sono le virtù cristiane, specialmente la mortificazione, la carità, la purezza e la semplicità di cuore. Questa veste è anche la grazia santificante di cui è rivestita l’anima degli eletti. Che non cammini nudo e scopra la sua vergogna. Questa nudità rappresenta l’assenza di virtù, e questa vergogna significa lo stato del peccatore immerso nell’orrore del vizio. E quando Dio verrà in mezzo alle tenebre degli empi, la loro nudità e vergogna sarà portata alla luce al sole della giustizia e della verità. Beato colui che veglia e conserva i suoi vestiti. Questo passaggio si riferisce ai ladri che andavano in giro nei bagni pubblici per rubare i vestiti dei bagnanti. Ancora queste parole alludono al Vangelo di San Matteo, (XXIV, 18): « Chi è nel campo non torni a prendere la sua veste….. Prega, dunque, che il tuo volo non sia in inverno, né in giorno di sabato. » Cioè, non aspettiamo l’ultimo giorno per convertirci; perché il Signore verrà come un ladro e prenderà le vesti che non abbiamo voluto indossare. Matth. XXIV, 27: « Perché come il fulmine dall’oriente all’occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo …. E alla venuta del Figlio dell’Uomo sarà come ai tempi di Noè. Perché come nei giorni prima del diluvio gli uomini mangiavano e bevevano, si sposavano e avevano figli, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non pensarono al diluvio finché esso non venne e li portò via tutti; così sarà alla venuta del Figlio dell’Uomo……. Vegliate dunque, perché non sapete in quale ora il Signore verrà. »

XII. Vers. 16. – E li radunò nel luogo che in ebraico si chiama Armageddon. Armageddon è un luogo in Palestina, famoso per le sconfitte di diversi principi, (Jud,. IV, 7, 16; V, 19; IV Reg. IX, 27; XXIII, 29). Questo luogo serve dunque come figura e rappresenta la riunione di tutti gli empi che accorreranno a Gerusalemme al tempo dell’anticristo, come abbiamo visto nel corso di questa opera. Dio permetterà questo raduno di re, popoli e nazioni, con le loro armate, verso il centro della potenza infernale, che sarà Gerusalemme, per colpirli tutti insieme nel grande giorno di Dio Onnipotente. È a questo passo che si riferiscono queste altre parole dell’Apocalisse, XX , 7: « Dopo il compimento dei mille anni, satana sarà sciolto e sedurrà le nazioni che sono ai quattro angoli della terra, Gog e Magog, e le radunerà per la battaglia, e il loro numero sarà come la sabbia del mare. E salirono sulla faccia della terra e circondarono l’accampamento dei santi e la diletta città (Gerusalemme). Ma il fuoco di Dio scese dal cielo e li divorò; e il diavolo che li aveva sedotti fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo, dove la bestia e il falso profeta saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli. » È a questo stesso passaggio che si riferisce anche ciò che è stato detto sulla morte dell’anticristo nel capitolo della resurrezione di Enoch ed Elia, (Apoc. XI, 13).Dopo questa descrizione delle prime piaghe, e in particolare della sesta, in cui abbiamo appena visto la preparazione del grande giorno di Dio Onnipotente con la corruzione generale del mondo, e con il raduno universale dei malvagi verso Gerusalemme, San Giovanni procede poi alla descrizione dell’ultima delle sette piaghe.

XIII. Vers. 17. – E il settimo Angelo versò la sua coppa nell’aria, e una voce forte venne dal tempio e dal trono, dicendo: È fatto. Quest’ultima piaga è, come abbiamo detto, la piaga della consumazione, come indicano chiaramente queste parole: È fatto, cioè tutto è consumato; i malvagi hanno raggiunto il culmine delle loro abominazioni, dopo essersi contaminati con tutti i modi possibili e dopo aver osato negare l’esistenza di Dio loro Creatore per adorare i demoni. Dio sta per colpire l’aria che comunica agli uomini la vita e la luce del corpo, siccome essi hanno osato cercare di colpire Dio che è la vita e la luce dell’anima, e senza il quale nulla può esistere. E il settimo Angelo versò la sua coppa nell’aria, e una voce forte uscì dal tempio e dal trono, dicendo: è fatto! – 1° Questa voce forte è quella di Gesù Cristo stesso, poiché Egli è il tempio del Dio vivente e siede alla destra di Dio Padre nello splendore della sua gloria. Ecco perché si dice che la sua voce sia uscita dal tempio e dal trono, e che questa voce è forte, perché in effetti è arrivato il momento in cui Gesù Cristo stesso vendicherà esteriormente la gloria di Dio, così indegnamente oltraggiata sulla terra. È fatto, cioè tutto si è consumato, le profezie si sono compiute e stanno per compiersi ancora. I peccatori hanno raggiunto l’apice dei loro crimini, io raggiungerò l’apice della mia giustizia; i loro crimini sono consumati, sta per esserlo anche la mia vendetta.

Vers. 18. – E ci furono lampi e tuoni, e un grande terremoto, e così grande fu questo terremoto, che mai prima d’ora gli uomini ne hanno avvertito uno simile da quando sono sulla terra.

Vers. 19. – E la grande città fu divisa in tre parti, e le città delle nazioni caddero; e Dio si ricordò della grande Babilonia, per darle da bere il vino dello sdegno della sua ira.

Vers. 20.- E tutte le isole fuggirono e le montagne scomparvero.

Vers. 21. – E una grande grandine, del peso di un talento, scese dal cielo sugli uomini; e gli uomini bestemmiarono Dio a causa della piaga della grandine, perché la piaga era molto grande. Tutte queste parole annunciano la più grande, la più terribile e la più tremenda catastrofe che il mondo abbia mai visto. Si è mostrato nel corso di questo libro come gli empi si riuniranno gradualmente, sia moralmente che fisicamente, e finiranno per riunirsi in numero immenso come la sabbia dei mari, secondo le parole dell’Apocalisse stessa, (XX, 7): « Dopo che i mille anni saranno compiuti, satana sarà sciolto e uscirà dalla sua prigione e sedurrà le nazioni che sono ai quattro angoli della terra, Gog e Mogog, e le radunerà per la battaglia, e il loro numero sarà come la sabbia del mare ». Allora tutti i re della terra avranno seguito la voce dell’anticristo e dei suoi falsi profeti, e saranno venuti in massa a Gerusalemme con tutti i loro eserciti e tutto l’apparato della loro potenza. (Apoc. XVI, 12): « Le acque del grande fiume Eufrate furono prosciugate per preparare una via ai re dell’Oriente. E vidi tre spiriti immondi uscire dalla bocca del dragone, dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta, come delle rane. Questi sono gli spiriti dei demoni che fanno e vanno dai re di tutta la terra per chiamarli a combattere nel grande giorno di Dio Onnipotente. » Vediamo in seguito tutti questi formidabili eserciti riuniti in un solo luogo, con il permesso dell’Onnipotente. (Apoc. XVI, 16): « E li radunerà nel luogo che in ebraico si chiama Armageddon », famoso per tante sconfitte. Lucifero, l’anticristo, e il suo falso profeta l’antipapa, comandano essi stessi tutti questi eserciti in persona, e li fanno accampare nel luogo nei dintorni di Gerusalemme. (Apocalisse XX, 8): « Ed essi salirono sulla faccia della terra e circondarono l’accampamento dei santi e la città diletta. » Nel mentre che lucifero e l’anticristo si fanno adorare come Dio, tutta questa marea di persone si sottomettono al loro potere, considerando l’anticristo come il messia, e la terra come cambiata in un paradiso di delizie nel quale possono abbandonarsi a tutti gli orrori della voluttà, fanno risuonare le pianure e le colline che occupano delle loro orribili bestemmie. La gioia di questa Babilonia è al suo culmine, ed essa si rallegra (Apoc. XVIII, 7): « Sono seduta regina, non sono vedova e non sarò nel duolo; » e altrove, (lbidem, XIII, 4): « Chi è come la bestia e chi può combattere contro di essa? » In effetti, l’anticristo sembra aver ottenuto un pieno trionfo; perché ha sconfitto gli unici due nemici che potevano ancora competere con lui per la vittoria. Enoch ed Elia, quei due profeti che erano potenti in azioni e parole, sono caduti; i loro corpi sono esposti agli insulti e alle derisioni del mondo intero, che celebra la loro sconfitta con festeggiamenti tanto pomposi quanto sacrileghi, giungendo a mandarsi regali l’un l’altro. (Apoc. XI, 7): « E quando avranno finito la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso farà guerra a loro, li vincerà e li ucciderà. E i loro corpi saranno deposti nelle piazze della grande città, spiritualmente chiamata Sodoma ed Egitto, dove anche il loro Signore fu crocifisso. E le tribù e i popoli e le lingue e le nazioni vedranno i loro corpi distesi per tre giorni e mezzo, e non permetteranno che siano messi nel sepolcro. E gli abitanti della terra si rallegreranno della loro morte, la festeggeranno e manderanno doni gli uni agli altri, perché questi due profeti tormentavano coloro che abitano sulla terra. ». – Infine, i pochi eletti e fedeli che sono rimasti fedeli alla Chiesa di Gesù di Nazareth, dopo la più disastrosa delle persecuzioni, sono stati umiliati, dispersi e come annientati; essi si tengono nascosti nelle grotte buie e nei recessi delle rocce… Ma la scena cambia improvvisamente e Dio non è più sordo alla voce e ai gemiti dei suoi santi. Perché proprio in questo momento, in quest’ora solenne, i due Profeti si alzano e stanno davanti al mondo riunito, Apoc. XI, 11: « Ma dopo tre giorni e mezzo, lo spirito di vita entrò in loro da Dio. Ed essi si alzarono in piedi; e grande paura venne su coloro che li videro. E udirono una voce forte che diceva loro dal cielo: “Venite qui”. E salirono al cielo sotto gli occhi dei loro nemici. A questa vista tutti i re, i popoli e le nazioni della terra sono presi da grande paura e sono come sconvolti dallo stupore e dalla costernazione. L’anticristo, vedendosi confuso e mancante, con un ultimo sforzo e con il suo ultimo prodigio, per rafforzare i suoi adoratori nel loro dubbio ed esitazione, si solleva in aria con l’aiuto del potere infernale. Ma, o stupefacente meraviglia, è qui che il Dio forte sferra il suo grande colpo! L’Anticristo stesso cade e viene gettato nell’abisso. » (Apoc. XX, 9): « Ma il fuoco scese dal cielo e li divorò, e il diavolo che li seduceva fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo dove la bastia e i falso profeti  saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli. E ci furono lampi e tuoni e un grande terremoto, così grande che nessun uomo ha mai provato da quando è stato sulla terra. » – E la grande città fu divisa in tre parti, e le città delle nazioni caddero. Questo terremoto sarà sentito in tutto l’universo, e le città delle nazioni subiranno la stessa sorte di Gerusalemme e anche peggio, poiché il testo dice: E le città delle nazioni caddero. Queste città saranno dunque completamente distrutte, perché San Giovanni non dice di loro, come aveva detto di Gerusalemme, … la decima parte della città è caduta, ma dice senza distinzione e in modo assoluto: E le città delle nazioni sono cadute. La ragione di questa differenza è che Gerusalemme, presa in senso mistico, rappresenta la Chiesa che non sarà mai completamente distrutta. E Dio si ricordò della grande Babilonia, cioè di tutti gli empi dall’inizio del mondo, per darle da bere il vino dell’indignazione della sua rabbia… – E una grande grandine, pesante come un talento discese dal cielo sugli uomini, e gli uomini bestemmiavano Dio a causa della piaga della grandine, perché la grandine era molto grande. I malvagi in gran numero sono uccisi dalla grandine, o divorati dal fuoco, o schiacciati e inghiottiti dal terremoto. E gli altri ebbero paura e diedero gloria a Dio. (Apoc, XI). E tutte le isole fuggirono, e le montagne sparirono. Queste isole che sono fuggite, sono quei fedeli che Dio ha voluto risparmiare in questo terribile disastro. Questi sono paragonati alle isole dei mari, perché come le isole sono costantemente battute dalle tempeste e divorate dalle acque, così i buoni, che sono isolati e in piccolo numero, sono anche costantemente battuti dalle tempeste della persecuzione e come divorati dalle acque della tribolazione. E queste isole, cioè gli unici uomini che non hanno preso parte agli abomini di Babilonia, sapendo dalle profezie ciò che deve accadere, se ne andranno da questo luogo di disastro. È di loro che si parla in San Matteo, (XXIV, 15): « Quando dunque vedrete nel luogo santo l’abominio della desolazione predetto dal profeta Daniele, chi legge ascolti: Quelli che sono in Giudea fuggano sui monti; chi sarà sul tetto non scenda a prendere qualcosa dalla sua casa; chi sarà nei campi non torni a prendere la sua veste. » Oltre a queste profezie, coloro che Dio vuole risparmiare saranno avvertiti da una voce dal cielo, dicendo: Uscite da Babilonia, popolo mio, per non essere partecipi dei suoi peccati e coperti dalle sue piaghe. (Apoc. XVIII, 4). Questo passaggio deve essere inteso in senso morale e letterale allo stesso tempo. C’è un esempio di un avvertimento simile dato prima della rovina di Gerusalemme; infatti, Giuseppe (De bello jud, lib. 7. cap. XII), riferisce che una voce uscì dal tempio dicendo: « Andiamo via da qui… ». E le montagne sono scomparse. Queste montagne sono la figura delle potenze del secolo, e tutto il contesto conferma la verità di questa interpretazione. Questo sarà spiegato più chiaramente nel prossimo capitolo. Così le nazioni saranno annientate in questo terribile dramma, e il loro potere sarà frantumato; perché scompariranno per sempre, per effetto di questo orribile terremoto. Plinio (lib. 2, cap. 4, XXXIII), riferisce l’effetto di un terremoto simile. I tre Evangelisti che citiamo qui parlano tutti di terremoti che avverranno verso la fine dei tempi. (Vedi Matteo, XXI, 7; Marco, XIII, 8, e Luca, XXI, 11): E una grande grandine del peso di un talento scese dal cielo sugli uomini. Filostorgio, (lib. II, cap . VII), racconta che nell’anno 404, cadde a Costantinopoli una grandine che pesava fino a otto libbre. Concludendo questo capitolo, è bene dire perché San Giovanni riferisce questa grande catastrofe della rovina di Gerusalemme in due capitoli diversi: cap. XI, 13, e cap . XVI, 18, 19. La ragione è che come uno storico racconta lo stesso fatto più di una volta per presentarlo sotto le sue varie facce e le sue diverse relazioni e circostanze, come per esempio la Passione di Gesù Cristo che è raccontata da tre Evangelisti in modo vario quanto alla forma e ai dettagli, ma perfettamente conforme quanto alla sostanza; così San Giovanni, nel suo capitolo XI, ci rappresenta la caduta di Gerusalemme e quella dell’anticristo in opposizione alla morte dei due profeti Enoch ed Elia; mentre nel capitolo XVI, la ripete per farla contrastare con il trionfo di Babilonia, o del mondo riunito per la grande battaglia, nel grande giorno di Dio Onnipotente. Infine, troviamo un’altra ragione per cui San Giovanni ripete questa importante descrizione della fine dei tempi; e questa ragione era di rappresentare questa catastrofe, la più grande che sia mai avvenuta, come l’ultima delle piaghe della fine del mondo; cioè, come la piaga della consumazione. Ed è solo dopo quest’ultima piaga che i resti degli uomini potranno entrare nel tempio del Signore, cioè la Chiesa, secondo queste parole: … E nessuno poteva entrare nel tempio finché le piaghe dei sette Angeli non fossero consumate.  Inoltre, la prova che questi due passi si riferiscono alla stessa catastrofe si trova facilmente nelle parole stesse del testo: perché nel primo passo è detto che il resto fu preso dal timore e diede gloria a Dio; e nel secondo è detto: “Le montagne spariranno“, cioè, che la grande prostituta che siede su sette montagne sarà distrutta come potenza insieme a tutti i malvagi;  e il resto farà penitenza, come vedremo più avanti. È chiaramente annunciato, inoltre, che il resto degli uomini darà gloria a Dio solo dopo la consumazione delle sette piaghe, cioè quando il dragone sarà stato sprofondato con l’anticristo e i falsi profeti, secondo il significato di queste parole citate sopra, (Apoc. XV, 8): « E il tempio si riempì di fumo a causa della maestà e della potenza di Dio, e nessuno poteva entrare nel tempio fino a che le sette piaghe dei sette Angeli furono consumate. »

§ IV.

Condanna della grande prostituta che siede sulle grandi acque.

CAPITOLO XVII. – VERSETTI 1-12.

Et venit unus de septem angelis, qui habebant septem phialas, et locutus est mecum, dicens: Veni, ostendam tibi damnationem meretricis magnæ, quæ sedet super aquas multas, cum qua fornicati sunt reges terræ, et inebriati sunt qui inhabitant terram de vino prostitutionis ejus. Et abstulit me in spiritu in desertum. Et vidi mulierem sedentem super bestiam coccineam, plenam nominibus blasphemiæ, habentem capita septem, et cornua decem. Et mulier erat circumdata purpura, et coccino, et inaurata auro, et lapide pretioso, et margaritis, habens poculum aureum in manu sua, plenum abominatione, et immunditia fornicationis ejus. Et in fronte ejus nomen scriptum: Mysterium: Babylon magna, mater fornicationum, et abominationum terræ. Et vidi mulierem ebriam de sanguine sanctorum, et de sanguine martyrum Jesu. Et miratus sum cum vidissem illam admiratione magna. Et dixit mihi angelus: Quare miraris? ego dicam tibi sacramentum mulieris, et bestiæ, quæ portat eam, quae habet capita septem, et cornua decem. Bestia, quam vidisti, fuit, et non est, et ascensura est de abysso, et in interitum ibit: et mirabuntur inhabitantes terram (quorum non sunt scripta nomina in libro vitae a constitutione mundi) videntes bestiam, quæ erat, et non est. Et hic est sensus, qui habet sapientiam. Septem capita, septem montes sunt, super quos mulier sedet, et reges septem sunt. Quinque ceciderunt, unus est, et alius nondum venit: et cum venerit, oportet illum breve tempus manere. Et bestia, quæ erat, et non est: et ipsa octava est: et de septem est, et in interitum vadit. Et decem cornua, quæ vidisti, decem reges sunt: qui regnum nondum acceperunt, sed potestatem tamquam reges una hora accipient post bestiam.

[E venne uno dei sette Angeli, che avevano le sette ampolle, e parlò con me, dicendo: Vieni, ti farò vedere la condannazione della gran meretrice che siede sopra molte acque, colla quale hanno fornicato i re della terra, e col vino della cui fornicazione si sono ubbriacati gli abitatori della terra. E mi condusse in ispirito nel deserto. E vidi una donna seduta sopra una bestia di colore del cocco, piena di nomi di bestemmia, che aveva sette teste e dieci corna. E la donna era vestita di porpora e di cocco, e sfoggiante d’oro e dì pietre preziose e di perle, e aveva in mano un bicchiere d’oro pieno di abbominazione e dell’immondezza della sua fornicazione: e sulla sua fronte era scritto il nome: Mistero: Babilonia la grande, la madre delle fornicazioni e delle abbominazioni della terra. E vidi questa donna ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. E fui sorpreso da grande meraviglia al vederla. E l’Angelo mi disse: Perché ti meravigli? Io ti dirò il mistero della donna e della bestia che la porta, la quale ha sette teste e dieci corna. La bestia, che hai veduto, fu, e non è, e salirà dall’abisso, e andrà in perdizione: e gli abitatori della terra (ì nomi dei quali non sono scritti nel libro della vita fin dalla fondazione del mondo) resteranno ammirati vedendo la bestia che era e non è. Qui sta la mente che ha saggezza. Le sette teste sono sette monti, sopra dei quali siede la donna, e sono sette re. Cinque sonò caduti, l’uno è, e l’altro non è ancora venuto: e venuto che sia, deve durar poco tempo. E la bestia, che era e non è, essa ancora è l’ottavo: ed è di quei sette, e va in perdizione. E le dieci corna, che hai veduto, sono dieci re: i quali non hanno per anco ricevuto il regno, ma riceveranno la potestà come re per un’ora dopo la bestia.]

I. Vers. 1. – E venne uno dei sette angeli che portavano le sette coppe, e mi parlò, dicendo: Vieni, ti mostrerò la condanna della grande prostituta che siede su molte acque. Questo Angelo che annuncia a San Giovanni la condanna della grande meretrice è, come è detto nel testo stesso, uno dei sette Angeli che portavano le sette coppe dell’ira di Dio. Questo Angelo è solo, e parla a nome di tutti: è sempre per farci vedere l’unità di azione, di principio e di dottrina che unisce tutte le potenze del cielo e la Chiesa trionfante; così come San Giovanni che, rappresentante unico della Chiesa militante, rappresenta anche la stessa unità in questa Chiesa. E questi due ambasciatori che conferiscono insieme, sulla caduta del nemico, con le loro rispettive potenze, è ancora un’altra figura che mostra la stretta unione che esiste tra i Santi del cielo e quelli della terra. Vieni, ti mostrerò la condanna della grande prostituta. Vieni, cioè, risvegliate la vostra attenzione, e distogliete i vostri occhi dalle cose terrene, e badate solo a ciò che vi mostrerò in spirito ed immaginazione; poiché, ecco, questa è la condanna della grande prostituta. Nel capitolo precedente abbiamo visto in primo luogo l’esecuzione di questa sentenza, una sentenza che si rivela a San Giovanni solo in un secondo momento, in questo capitolo. La ragione di questa inversione era quella di non turbare l’ordine della narrazione delle sette piaghe. Vediamo in questo anche una figura di ciò che accadrà effettivamente nella consumazione di queste piaghe, cioè che la maggior parte degli uomini degli ultimi tempi non conoscerà i motivi di questa sentenza fino a dopo la sua esecuzione, perché allora non sarà possibile conoscerne le ragioni.; infatti i resti degli uomini che sono sopravvissuti a questo disastro … saranno presi da terrore e daranno gloria a Dio, e i Giudei diranno: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. – Vieni, ti mostrerò la condanna della grande prostituta. Ti mostrerò i decreti di Dio, che finalmente porterà una giusta e terribile vendetta sui malvagi. Perché questa grande prostituta è Babilonia, che rappresenta figurativamente la massa universale degli empi di tutti i luoghi e di tutti i tempi. (Vedi Sant’Agostino, Enarrat. secunda in Psal. XXVI, e San Prospero, In dim. temp.). Colei che siede sulle grandi acque, cioè sui popoli, le nazioni e le lingue, secondo l’Apocalisse stessa, (XVII, 15): « Le acque che avete visto, dove siede la meretrice, sono i popoli, le nazioni e le lingue ».

Vers. 2 – … con la quale i re della terra sono stati corrotti e gli abitanti della terra sono stati ubriacati con il vino della sua prostituzione. Come è stato detto, San Giovanni paragona la massa universale degli empi ad una prostituta, così come paragona, per contrasto, la Chiesa di Gesù Cristo ad una donna. Vedremo di seguito che cosa sia questa prostituta con la quale si sono corrotti i re della terra. L’Apostolo chiama questi re i “re della terra”, per chiarire che non si tratta di tutti i re, ma solo di quelli della terra, cioè dei principi malvagi dediti ai piaceri terreni, che hanno prostituito i loro cuori corrompendosi con la prostituta, considerandosi i padroni assoluti della terra, imponendo il loro giogo di ferro sui loro sudditi, ed esercitando la loro tirannia con atti puramente arbitrari, senza preoccuparsi dei giudizi di Dio, che è il Re dei re. E gli abitanti della terra si sono ubriacati con il vino della sua prostituzione. Questo vino di prostituzione sono le tre concupiscenze di cui parla San Giovanni: l’amore dei piaceri, la sete delle ricchezze e l’orgoglio della vita.  Perché 1° il vino inebria e produce sugli uomini lo stesso effetto dei piaceri carnali e terreni, specialmente quando sono assecondati con passione. 2° Il vino toglie la sete per un momento, ma se bevuto in eccesso la eccita ulteriormente, come le ricchezze eccitano l’avidità. 3° Produce un vapore, o un fumo come quello dell’orgoglio, che stordisce per un momento e si disperde poi nell’aria. 4° Il vino è piacevole da bere e soddisfa i sensi come i piaceri della terra. 5° Il vino è come il fuoco, e dovrebbe essere usato con cautela, e non gli dovrebbe mai essere permesso di prendere il sopravvento; e così, secondo San Paolo, un uomo dovrebbe anche godere dei beni terreni con moderazione, e come se non ne godesse. E gli abitanti della terra sono stati ubriacati con il vino della sua prostituzione, cioè il maggior numero di uomini che hanno abusato dei doni di Dio sulla terra, e che sono stati ubriacati con il vino dei piaceri, delle ricchezze e degli onori condannati da Gesù Cristo, apparterranno agli abitanti di Babilonia e subiranno la stessa sorte, soprattutto se persistono nei loro vizi. Questo vino è chiamato il vino della prostituzione, perché fa perdere la ragione, la fede, il timore di Dio, la distinzione tra il bene e il male e il ricordo dei fini ultimi; e perché gli uomini dimenticano Dio e si prostituiscono alla creatura (Isaia, XXVIII, 7): « Ma quelli d’Israele sono così pieni di vino che non sanno quello che fanno. Il sacerdote e il profeta sono senza conoscenza nell’ubriachezza che li possiede; sono assorbiti dal vino, barcollano come se fossero ubriachi, non hanno conosciuto la profezia, non hanno conosciuto la giustizia. Tutti i tavoli sono così pieni di fetore e di ciò che vomitano, che non c’è più un posto pulito ».

II. Vers. 3. – Ed egli mi trasportò in spirito nel deserto, e vidi una donna seduta su una bestia di colore scarlatto, piena di nomi di bestemmia, che aveva sette teste e dieci corna. – 1° L’angelo portò San Giovanni in spirito nel deserto, cioè fuori dalla Chiesa di Dio, che è la terra irrigata dalle acque della sua grazia e resa feconda dal Sole della giustizia e della verità. Nel deserto, cioè nel luogo delle abominazioni e dell’aridità, dove c’è una completa assenza di opere buone. Nel deserto, dove le piante dei giusti sono appassite e la terra della Chiesa è diventata sterile. – Nel deserto, dove si trovano solo pietre, che sono i cuori degli uomini induriti dal peccato. Nel deserto, dove gli uomini infiammati dalle loro passioni sono numerosi come la sabbia ardente che copre la sua superficie. Nel deserto, abitato da bestie feroci, da mostri, da empi, da malvagi, da tiranni, da oppressori di vedove e orfani. Nel deserto, la tana dei rettili, degli ingannatori, dei corruttori e dei seduttori. Nel deserto, abitato da demoni, dagli ingiusti, dai ribelli, da empi, peccatori, malvagi, profani, dagli assassini dei loro padri e delle loro madri, dagli omicidi, dai fornicatori, dagli abominevoli, da ladri di schiavi, bugiardi, spergiuri e da tutti coloro che sono contrari alla sana dottrina (Vedere. I. Tim, 1, 9). Ora la prostituta abita in questo deserto, perché fugge dalla dolce e benefica luce della terra fertile, per inaridirsi e svanire al sole ardente delle passioni. Cerca la solitudine e la segretezza per nascondere la sua vergogna, e per indulgere nei suoi abomini in sicurezza. Il deserto è dunque il luogo del suo ritiro e della sua dimora abituale; è lì che gli apostati, che lasciano la terra della fecondità, vanno a cercarla, e questa donna esce dal suo ritiro solo per cercare vittime da divorare, soprattutto se si sente abbandonata dai suoi cortigiani abituali. E vidi una donna seduta su una bestia color scarlatto. Questa donna, dunque, è la prostituta di cui abbiamo appena parlato, e che l’Apostolo continua a descrivere con colori tali che è impossibile fraintenderla. Questa donna non deve e ssere confusa con quella che rappresenta la Chiesa, e di cui si parla in questi termini, nel cap. XII, 6: « E la donna fuggì nel deserto dell’Ovest, dove aveva un rifugio che Dio aveva preparato per lei, per essere nutrita per milleduecentosessanta giorni. »  Infatti, sebbene la Chiesa e il mondo siano entrambe rappresentate da due donne, e sebbene queste donne abbiano ciascuna un riparo nel deserto, si vede chiaramente la differenza tra l’una e l’altra dal contesto, e in particolare da quei passaggi in cui si dice che una di queste donne è una prostituta seduta su una bestia scarlatta; mentre l’altra donna, che rappresenta la Chiesa, fugge nel deserto, che non era la sua casa, ma solo un luogo di ritiro che Dio aveva preparato per lei. – Questa differenza diventa molto più chiara, fino all’ovvietà, dal testo seguente: « E ci fu una grande battaglia in cielo (cioè nella Chiesa militante, quando fuggì nel deserto): Michele e i suoi Angeli combatterono contro il dragone, e il dragone combatté con i suoi angeli. Ma questi erano i più deboli e il loro posto non era più in cielo; » cioè nella Chiesa, che si era impadronita del deserto d’Occide. Vedi sopra, cap. XII. Così Dio ha preparato questo ritiro per la sua Chiesa nel deserto con la lotta che San Michele e i suoi Angeli, guidando gli apostoli della Germania e di tutto l’Occidente, hanno condotto contro il dragone e la prostituta; e questi ultimi erano i più deboli e hanno dovuto cedere la loro dimora alla donna che Dio proteggeva. Ma la prostituta sedeva nel deserto su una bestia color scarlatto. Queste ultime parole designano perfettamente il carattere di questa donna; poiché nient’altro può essere inteso da queste parole così espressive, se non le orribili persecuzioni e i fiumi di sangue, per cui la prostituta sedeva nel deserto, assicurandosi il suo impero sul mondo con le persecuzioni. – 2 ° Questa bestia color scarlatto, sulla quale la prostituta sedeva, non è altro che il dragone o il diavolo, che è l’autore di tutti gli omicidi; poiché egli era omicida fin dall’inizio. Questo è ciò che Gesù Cristo stesso dimostrò ai Giudei, che sostenevano di essere figli di Abramo, quando disse loro, (Jo. VIII, 39): « Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ma ora cercate di far morire me che vi ho detto la verità che ho appreso da Dio; questo è ciò che Abramo non ha fatto. Voi fate le opere di vostro padre. » E chi è questo padre? Questo è quello che ci dicono gli stessi Giudei, perché risposero: « Noi non siamo nati dalla prostituzione; abbiamo un Padre che è Dio ». E Gesù disse loro: « Se Dio fosse vostro Padre, ….. sicuramente mi amereste. Il padre da cui siete nati è il diavolo, e voi volete eseguire gli ordini di vostro padre, che era un assassino fin dal principio, e non ha perseverato nella verità, perché la verità non è in lui. Quando proferisce menzogna, dice quello che trova in se stesso; perché è un bugiardo, egli è il padre della menzogna. » Queste parole spiegano il nostro testo in modo ammirevole; perché vediamo chiaramente che gli stessi Giudei hanno confessato a Gesù Cristo che coloro che non sono figli di Abramo sono nati dalla prostituzione, e Gesù Cristo aggiunge che il loro padre è il diavolo, che era omicida fin dall’inizio. Da qui queste parole dell’Apocalisse: E vidi una donna seduta su una bestia color scarlatto. Tutti coloro che non sono figli di Abramo secondo la fede, sono del seme della prostituta, perché sono nati dalla prostituzione. E il loro padre è il diavolo, che era omicida fin dall’inizio. La bestia color scarlatto, ovvero il colore del sangue, su cui siede la prostituta, è dunque il dragone, il padre della menzogna, che San Michele con i suoi Angeli cacciò dal deserto d’Occidente, quando Dio preparò un rifugio per la sua Chiesa, perché la verità non poteva abitare nello stesso rifugio della falsità, né il vizio poteva conciliarsi con la giustizia. E questa bestia era piena di nomi di blasfemia, vale a dire che tutte le bestemmie che sono state dette o scritte, o anche in atti, dal principio del mondo fino alla sua consumazione, sono e saranno ispirate dal diavolo; e queste bestemmie saranno così numerose che la bestia ne sarà piena. E quella bestia era piena di nomi di blasfemia. Questo passaggio si applica a tutti gli empi del mondo che hanno bestemmiato contro Dio, contro la beata Vergine Maria, contro i Santi, contro la Chiesa. Che aveva sette teste e dieci corna. 1º Queste sette teste rappresentano in figura l’universalità dei re, dei principi, dei governi, dei capi delle sette, etc., che saranno stati i supporti, i grandi capi o direttori dei malvagi, ed i ministri di satana sulla terra della prostituzione. 2º Queste sette teste rappresentano anche i sette nemici principali che avranno fatto guerra alla Chiesa di Gesù Cristo, cioè, i Giudei, i tiranni del paganesimo, gli eretici, come gli ariani, i nestoriani, i pelagiani, i protestanti, i falsi profeti, che bandiranno la fede di Gesù di Nazareth, per preparare la strada all’anticristo, e l’anticristo stesso. 3° Infine, queste sette teste rappresentano alla lettera le sette dinastie principali e le sette epoche principali, che si distinguono nella storia generale del mondo empio e corrotto. Perché queste sette teste sono sette re o capi, ognuno dei quali rappresenta una di queste grandi epoche, e una delle dinastie principali che hanno regnato in ciascuna di queste epoche. Questo si vedrà più avanti, quando il profeta stesso darà la spiegazione di queste sette teste e delle dieci corna.

III. Vers. 4. – E la donna era vestita di porpora e di scarlatto, ornata d’oro, di pietre preziose e di perle, e aveva in mano un vaso d’oro, pieno di abomini e di impurità della sua fornicazione. Questa veste di porpora e scarlatto rappresenta il lusso, la vanità, il fasto e la pompa del mondo; perché qui lo scarlatto non è più menzionato per il suo colore di sangue, come sopra; ma è messo con la porpora, a causa della luminosità e della ricchezza di questi due materiali, di cui sono fatti i mantelli dei re e le ricche vesti. Questo ornamento d’oro, pietre preziose e perle, è aggiunto dal profeta, per rendere il suo pensiero più chiaro, e spiegare meglio ciò che significa questa veste della prostituta. – Portando in mano un vaso d’oro, pieno di abomini e delle impurità della sua fornicazione. Queste parole rappresentano le tentazioni con cui questa prostituta avvelena le sue vittime. Perché quando lei presenta il veleno e il veleno mortale delle abominazioni, che sono, secondo Sant’Ambrogio, in Psal. I: « gli errori e le false dottrine contro la fede, e impurità », cioè i suoi insegnamenti contro la morale e la purezza dei costumi. « Questo calice è d’oro – aggiunge lo stesso Santo Padre – ma gli stolti che lo usano ne bevono solo impurità e abominio. » Questo calice contiene il veleno dell’ingiustizia, della frode, dei ladrocini, dell’usura, della vendetta, dell’ubriachezza, del libertinaggio, dell’impurità, dell’avidità, in una parola, di tutti i vizi. Ora la prostituta ha cura di indorare la pillola, e di nascondere l’amarezza, il fiele e il veleno di questi orrori, presentandoli in un vaso d’oro, per meglio riuscire ad ingannare e sedurre gli uomini. Perché se il diavolo, che è il padre della prostituta, e se la prostituta stessa non fossero attenti ad agire in questo modo, gli uomini non troverebbero alcuna attrazione nel vizio, e ne concepirebbero solo un giusto orrore.

IV . Vers. 5. E questo nome era scritto sulla sua fronte: Mistero, la grande Babilonia, la madre della fornicazione e delle abominazioni della terra.Questa donna portava il nome di Mistero; e un mistero è una verità nascosta e segreta. Nella religione, è una verità che non comprendiamo, ma che crediamo, perché Dio l’ha rivelata. I nostri padri chiamavano misteri le rappresentazioni di certe opere teatrali, il cui soggetto era tratto dalla Bibbia, e nelle quali portavano Angeli e diavoli, ecc. Per estensione, diciamo: i misteri della politica, i misteri dell’iniquità; è in quest’ultimo senso che sono stati scritti recentemente i Misteri di Parigi, i Misteri di Vienna, ecc. Ora, è anche nello stesso senso che il nome Mistero debba essere inteso qui. Perché l’iniquità dei malvagi è piena di misteri che saranno conosciuti e rivelati solo nell’ultimo giorno, il giorno del giudizio. 2° La grande Babilonia. Si è già detto che questa parola significa confusione, ed è in questa confusione che si nascondono i segreti dei malvagi e le ingiustizie delle loro iniquità. Babilonia era la capitale della Caldea e del regno degli Assiri. Questa città è generalmente menzionata nella Scrittura per rappresentare il mondo malvagio, a causa del significato del suo nome, e anche a causa della grande corruzione di questa città. Inoltre, queste parole, Mistero, grande Babilonia, non sono citate da San Giovanni per la cosa in sé, ma per ciò che rappresenta; poiché egli dice espressamente che è il nome che cita, e non la città. E questo nome era scritto sulla sua fronte, sulla fronte di questa donna: Mistero, la grande Babilonia. Poi aggiunge quello che è, cioè: la madre delle fornicazioni e delle abominazioni della terra. Dobbiamo notare che San Giovanni chiama questa prostituta la grande Babilonia, per farci capire meglio che, con questa donna, dobbiamo intendere l’universalità degli empi di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

V. Vers. 6. E vidi la donna ubriaca del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù, e quando la vidi fui pieno di grande stupore. 1°. È impossibile dipingere più vividamente il furore dei tiranni idolatri e degli empi di tutte le epoche contro i Santi e gli amici di Dio di quanto faccia San Giovanni, quando dice che la donna era ubriaca del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù, poiché essi spinsero la sete di sangue e di vendetta fino all’ubriachezza. Dopo questo aggiunge: E quando la vidi, fui pieno di grande stupore, nel vedere questa donna, così crudele e così feroce, innalzata ad un così alto grado di grandezza, nuotando nelle delizie, e circondata da così tanti cortigiani. 2°. Si noterà che San Giovanni non parla del sangue di Gesù Cristo stesso; lo fa deliberatamente, per farci capire che la causa dei martiri e dei fedeli è la stessa di quella di Gesù. E quando l’Apostolo omette il principale, lo fa per esprimere meglio la stretta unione tra gli amici di Gesù e Gesù Cristo stesso, il cui sangue si fonde, per così dire, con quello dei martiri, così che non si possa nominare l’uno senza esprimere l’altro. Un’altra ragione per cui San Giovanni non dice che la donna fosse inebriata dal sangue di Gesù Cristo, è che questo sangue non servì per la sua redenzione, nonostante i suoi meriti infiniti. Perché la prostituta aveva, con il permesso di Dio, il potere di versare questo sangue prezioso ma non ebbe la felicità di berlo. Questa felicità era riservata ai soli figli di Abramo, secondo la fede; e questo sangue cadrà sulla prostituta e sui suoi figli, secondo quanto i Giudei osarono chiedere, bestemmiando; (Matth. XXVII, 25): « Che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli. » Ora, è per vendicarsi che il padre della prostituta l’ha ispirata ad inebriarsi del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù, non potendo vendicarsi in nessun altro modo del sangue di Dio stesso, che gli ha strappato innumerevoli vittime con i suoi meriti infiniti. Dio permette che la prostituta possa così inebriarsi del sangue dei suoi santi e dei suoi martiri, per la loro felicità e quella della Chiesa, perché il sangue dei martiri è una semenza, dice Tertulliano; e la prostituta, inebriata di questo sangue, non può capirlo nel suo stato di ubriachezza, di rabbia e di stordimento. E alla sua vista fui pieno di grande stupore, come si dovrebbe essere alla vista di questa donna che è ubriaca del prezioso sangue dei martiri, per la sua rovina, per la sua confusione e per la sua condanna; così ella inebria anche le sue vittime, gli empi, con il vino della sua prostituzione, che fa bere da una coppa d’oro, sempre per la loro rovina, per la loro confusione e per la loro condanna.

VI. Vers. 7.- E l’Angelo mi disse: Perché ti meravigli? Ti dirò il mistero della donna e della bestia che l’ha partorita, che aveva sette teste e dieci corna. È sempre lo stesso Angelo che parla e dice a San Giovanni: Perché ti meravigli? Questo è un modo oratorio di esprimersi, che è pieno di energia. Non dobbiamo dimenticare che San Giovanni rappresenta qui la Chiesa; e il suo stupore esprime in modo mirabile il sentimento del grande pubblico e della gente comune che sono stupiti e non possono penetrare istantaneamente i segreti nascosti di questo tragico evento; ecco perché l’Angelo stesso lo chiama un mistero: Io ti dirò il mistero della donna e della bestia che la porta, che ha sette teste e dieci corna. Queste parole contengono anche un avvertimento dato ai Cristiani, che non devono essere tra coloro che si meraviglieranno con gli empi. Poiché non avranno voluto conoscere o praticare la verità delle profezie che la Chiesa possiede, e di cui i fedeli devono essere informati; perché è scritto, (Apoc. I, 3): « Beato chi legge e ascolta le parole di questa profezia, e osserva tutto ciò che vi è scritto; perché il tempo è vicino. » – Questa espressione di stupore è infine una figura per eccitare la nostra attenzione alla spiegazione di questo importante mistero: Vi dirò il mistero della donna, etc. Prima di tutto, dobbiamo notare che qui non si tratta più, come sopra, del nome di questa donna, ma della donna stessa, il cui segreto l’Angelo sta per rivelarci: Io ti svelerò il mistero della donna, della bestia che la porta, che ha sette teste e dieci corna. Ora ecco questo mistero:

VII. Vers. 8La bestia che tu hai visto era e non è, e uscirà dal pozzo senza fondo e sarà gettata nella perdizione; e quelli che abitano sulla terra, i cui nomi non sono scritti nel libro della vita dall’inizio del mondo saranno stupiti quando vedranno la bestia che era e non è. Con queste parole: La bestia che tu hai visto era e non è più, l’Angelo insegna alla Chiesa nella persona di San Giovanni, che, con la catastrofe descritta nel capitolo precedente, la bestia cesserà di esistere. Questo è un modo di confermare questa verità così consolante per i buoni e così terribile per i malvagi. L’Angelo dice al passato: La bestia che avete visto era; e aggiunge al presente: e non è più, come se fosse già accaduto quando San Giovanni ha scritto in questo libro; perché il tempo è un attimo ed anche un batter d’occhio, in confronto all’eternità. – In secondo luogo, l’Angelo, dicendo che la bestia era, indica anche in modo ammirevole la presenza e l’impero della bestia, cioè del diavolo, nel mondo, prima della venuta di Gesù Cristo e prima della costituzione della sua Chiesa. Perché la bestia, che è l’antico serpente, poteva già, al momento della costituzione della Chiesa, e quando San Giovanni scrisse questo libro, essere considerata come non più esistente, poiché la Donna che doveva schiacciare la sua testa era appena apparsa; ed è al momento di essere schiacciata da Lei, che la bestia doveva morderla nel tallone; poiché il tempo è  un attimo in confronto all’eternità. (Gen. III. 15): « Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra il tuo seme e il suo; essa ti schiaccerà il capo e tu le insidierai il calcagno. » Ora, il colpo del piede con cui si schiaccia la testa di un rettile è come istantaneo, e da qui queste parole dell’Angelo: La bestia che avete visto era e non è più; essa risorgerà dall’abisso. Queste ultime parole al tempo futuro si applicano soprattutto alla fine dei tempi, quando la bestia, cioè il demone il cui potere sarà stato come annientato dalla Chiesa durante i mille anni del regno di Gesù Cristo sulla terra, diffonderà il suo impero e uscirà una seconda volta dall’abisso in cui è stato gettato dalla venuta del Salvatore. Infatti, durante i mille anni di dominio della Chiesa sulla terra, la bestia non può che ferirla al calcagno con le eresie e i tiranni; (Jo., XII, 31): « Ora sarà cacciato il principe del mondo. E Io (dice Gesù Cristo), quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me. Questo disse per segnalare di qual morte dovesse morire, e anche per farci vedere che Egli avrebbe trionfato attraverso la croce. » Ora, è in questo che la profezia contenuta nella Genesi, e che abbiamo citato, si è verificata; ma questa profezia non si contraddice con quella che troviamo nell’Apocalisse, e tutte queste profezie trovano davvero il loro posto e sono verificate in modo ammirevole confermandosi e corroborandosi a vicenda. – Questo è ciò che dimostreremo con questi testi dell’Apocalisse (XX, 7): « E dopo che i mille anni saranno compiuti, satana sarà sciolto, uscirà dalla sua prigione e ingannerà le nazioni che sono ai quattro angoli della terra, etc. » (lbid ., XIII, 15): « E gli fu dato di dare vita all’immagine della bestia e di farla parlare, e di uccidere tutti coloro che non avrebbero adorato l’immagine della bestia. » Così vediamo da questo che la bestia colpirà ancora alla fine dei tempi la beata Vergine Maria nella persona morale della Chiesa che è anche chiamata la Donna, (Ap., XII, 6). Ma questa ferita è sempre solo una ferita del tallone, perché Maria e la Chiesa trionferanno sulla bestia dopo questa breve, feroce lotta alla fine dei tempi, e la Donna finirà per schiacciare di nuovo la testa del serpente, col braccio onnipotente di suo Figlio Gesù Cristo, secondo queste parole: (Apoc. XX, 7): « E dopo che i mille anni saranno compiuti, satana sarà sciolto e uscirà dalla sua prigione e sedurrà le nazioni che sono ai quattro angoli della terra, Gog e Magog, e le radunerà per la battaglia, e il loro numero sarà come la sabbia del mare. E salirono sulla faccia della terra. E circondarono l’accampamento dei santi e la città diletta. Ma il fuoco di Dio scese dal cielo e li divorò; e il diavolo che li aveva ingannati fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo, dove la bestia ed i falsi profeti saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli. Così la bestia, o il vecchio serpente, il seduttore della razza umana, avrà la testa schiacciata per i secoli dei secoli. » È dunque così che la bestia, o l’antico serpente, questo seduttore del genere umano avrà la testa schiacciata. Da qui queste parole del testo: La bestia che tu hai visto era e non è più; essa si leverà dall’abisso e sarà precipitata nella perdizione; e gli abitanti della terra, i cui nomi non sono scritti nel libro della vita dall’inizio del mondo, cioè, coloro che non sono predestinati, e che sono conosciuti da Dio da tutta l’eternità, come non debbano essere salvati che per loro colpa, si stupiranno quando vedranno la bestia che era e che non è più. Queste parole devono essere ancora applicabili al momento della caduta e dello sterminio della bestia, dell’anticristo e dei suoi falsi profeti; perché allora « gli uomini saranno stupiti, e tutti coloro i cui nomi non sono nel libro della vita saranno uccisi e gettati con la bestia nel lago di fuoco e di zolfo per esservi tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli; e i restanti saranno presi da timore e daranno gloria a Dio.

VIII. Vers. 9. E questo è il saggio significato di questa visione: le sette teste sono sette montagne su cui siede la donna.

Vers. 10. Sono anche sette re, cinque dei quali sono caduti; uno è ancora, e l’altro non è ancora venuto; e quando sarà venuto, dovrà rimanere un po’ di tempo.

Vers. 11. – E la bestia che era e non è, è l’ottava; è una delle sette e va nella morte. Ed ecco il senso pieno di saggezza di questa visione.  Con queste parole, l’Angelo insegna alla Chiesa, nella persona di S. Giovanni, la profonda saggezza celata in questa visione: egli vuol farci sapere che anche i saggi hanno bisogno di molta attenzione e devono meditare, pregare e digiunare a lungo per capire tali misteri. Le sette teste sono sette montagne su cui la donna siede. Questo confronto tra le montagne è tanto bello quanto sensibile. 1° Le montagne dominano tutta la terra. 2° Si estendono con lunghe catene e ramificazioni su molte contrade. 3° Dalle montagne più alte, sulle quali si trovano i ghiacciai, scendono i grandi fiumi che bagnano la terra e alimentano le grandi acque. 4° Le cime di queste alte montagne, anche se più vicine al sole, sono le regioni più fredde, e più ci si avvicina ai bacini dove sono contenute le grandi acque del mare e dei laghi, più l’aria si addolcisce e perde la sua asperità. 5° Le montagne sono generalmente aride e selvagge. 6° Esse sono il rifugio di animali feroci. 7° È soprattutto in queste alte regioni che scoppiano le tempeste più grandi e frequenti. 8° La pioggia e la nebbia le rendono quasi sempre scure. 9° Alcune delle montagne della terra sono ridenti, fertili e graziose, tutte sono più o meno imponenti e maestose. 10°. È sulle cime più alte che troviamo i più grandi spettacoli e i più grandi orrori della natura, come i precipizi, le grandi cascate, il rumore spaventoso dei torrenti, ecc. 11°. Accanto alle più alte cime, troviamo le valli profonde e gli abissi senza fondo, etc. Ora, questi sono precisamente i poteri dell’epoca, che San Giovanni chiama le montagne. Perché 1° dominano la terra. 2° Si uniscono ed estendono il loro dominio su molte terre. 3° Dai grandi regni vennero le guerre e le persecuzioni che fecero scorrere fiumi di sangue, per irrigare la terra della fede e per alimentare le grandi acque della tribolazione. 4°. I più alti di questi poteri, pur essendo i più alti, sono spesso oscurati dalle nuvole dell’ambizione e del sordido interesse; e sono proprio coloro che erano più vicini al sole della giustizia e della verità, come gli imperatori romani, per esempio, che si sono dimostrati i più freddi ed amari nelle loro azioni. È anche da questo contatto dei ghiacciai, cioè, delle menti e dei cuori dei tiranni con il sole della giustizia e della verità, che sono venuti i fiumi di sangue della persecuzione. Più si scende nelle regioni inferiori dell’umiltà, della povertà e della semplicità, verso le acque della tribolazione, più vi troviamo gli effetti del dolce calore della grazia, della giustizia e della verità della luce eterna. 5° I grandi regni sono generalmente quelli che sono state più sterili di opere buone e di filantropia. 6° È nella storia delle grandi potenze che troviamo i più grandi mostri e le bestie più feroci che si inebriarono di sangue umano. 7° Quante terribili tempeste scoppiarono tra queste nazioni devastatrici! 8°. Quante lacrime non fecero versare, coprendo la terra di lutto e di desolazione? 9° Alcune di queste potenze sono state davvero benefiche e hanno reso la terra felice per la fecondità delle loro grandi e generose imprese; e tutte sono maestose ed imponenti. 10° Quali grandi spettacoli e orrori non fornisce generalmente la loro storia? 11° Infine, non è forse nei più grandi regni che i più potenti siedono in mezzo ai più deboli, ai più poveri e ai più miserabili? L’Angelo, volendo spiegare cosa siano queste sette teste, ci dice: Le sette teste sono sette montagne su cui siede la donna: la donna, cioè la prostituta, come abbiamo descritto sopra.

IX. Poi San Giovanni ci presenta la stessa cosa sotto un’altra figura, secondo l’uso dei Profeti, e ci dice che sono anche sette re…  – Ora da queste tre figure: a) la donna seduta, b) sulle sette montagne, c) che sono anche sette re, capiamo chiaramente, soprattutto per la loro connessione, che si tratta qui di dominazioni e poteri su cui la donna è seduta, cioè su cui il mondo è stabilito, fondato, sostenuto, protetto e rafforzato. Sono anche sette re, cinque dei quali sono caduti; uno c’è ancora e l’altro non è ancora arrivato. Da tutto quello che è stato spiegato prima, abbiamo già potuto convincerci che questa donna è la prostituta seduta nel deserto sulla bestia di colore scarlatto, e che questa bestia è il diavolo che fa guerra agli uomini da solo, o con i suoi ministri, gli empi e i malvagi, e questo che a causa della sua antica inimicizia contro la razza umana. Gen III, 15: « Metterò inimicizia tra te e la donna ». Ora, se prendiamo la storia del mondo, vi vediamo una lotta feroce e continua con circostanze diverse, è vero, ma sempre la stessa, quanto al principio, tra Dio e il diavolo; tra la donna, che è la Chiesa, e la prostituta, che è il mondo; tra la posterità del diavolo e quella della beata Vergine Maria; in una parola, tra il bene e il male. I buoni sono sostenuti da Dio e dalla sua Chiesa, e devono seguire le orme di Gesù Cristo, il loro capo, che fu crocifisso e che ha sofferto. I malvagi, al contrario, sono ispirati dal diavolo e sono sostenuti dalle potenze della terra, alle quali il mondo appartiene, secondo le parole di Gesù Cristo stesso; Joa., XVIII, 36: « Il mio regno non è di questo mondo » e Ibid. XVI: « Il principe di questo mondo è già giudicato. » Ora, da ciò che abbiamo appena detto, si vede già che queste potenze, o queste sette montagne su cui la donna siede, devono essere intese come tutti i luoghi ed i tempi della storia del mondo. Ora, se compiliamo la storia universale dei malvagi che possiedono la terra e perseguitano i buoni, vediamo sette epoche principali e distinte, alle quali l’Angelo applica queste parole: Le sette teste sono sette montagne, etc. Queste epoche sono precisamente quelle in cui la bestia ha versato così tanto sangue da diventare rossa come lo scarlatto. (Apoc. XVII, 3): « E vidi una donna seduta su una bestia di colore scarlatto, piena di nomi di bestemmia, che aveva sette teste e dieci corna. » Il primo periodo fu da Adamo a Noè: vediamo Caino, il primo assassino, e i giganti che furono i primi persecutori dei buoni; questa è la prima montagna o la prima potenza e il primo re. Nella seconda, da Noè ad Abramo, ci sono Nimrod e i malvagi che costruirono la torre di Babele; questa è la seconda montagna. Nella terza epoca, da Abramo a Mosè, troviamo i re di Sodoma e i Faraoni d’Egitto. La quarta, da Mosè alla cattività babilonese, ci dà i re empi di Israele e Giuda. Nella quinta, dalla cattività babilonese a Gesù Cristo, troviamo i re della Caldea e quelli dell’Asia e della Siria. Ora queste cinque montagne o potenze, anch’esse rappresentate da re, erano effettivamente cadute quando San Giovanni ricevette questa rivelazione. Da qui queste parole: Questi sono anche sette re, di cui cinque sono caduti. La sesta epoca ci presenta gli imperatori pagani le cui orribili persecuzioni imperversavano proprio quando San Giovanni scrisse questo libro, poiché ricevette la rivelazione nel suo esilio da Pathmos, dove si ritirò dopo essere stato immerso in una caldaia di olio bollente. Per questo l’Angelo aggiunge: Uno è ancora. Infine, la settima potenza nemica del bene, è quella di Maometto e del suo immenso impero, che ha portato la Chiesa di Gesù Cristo sull’orlo della distruzione e si è mostrata così crudelmente ostile al Cristianesimo; ma questa settima potenza non esisteva ancora al tempo di San Giovanni; ecco perché l’Angelo gli dice: « E l’altro non è ancora venuto. E quando sarà venuto, dovrà rimanere poco tempo. » Queste ultime parole sono spiegate ulteriormente, e si applicano all’anticristo il cui potere sorgerà dai resti dell’impero turco, e formerà moralmente lo stesso potere, il potere della bestia che comprende l’intera estensione del regno dei Turchi o della setta musulmana, da Maometto fino all’Anticristo incluso.

X. E la bestia che era e non è, è l’ottava; è una delle sette e va nella morte. Si ricorderà che i Profeti sono soliti parlare di cose molto remote come se fossero presenti, per la ragione che il tempo non è che un punto in confronto all’eternità; ecco la ragione per cui parlano di cose molto remote come se fossero presenti. Ecco perché l’Angelo dice al presente, parlando dell’anticristo: « E la bestia che era e non è, è l’ottava. » Egli usa qui le stesse parole usate sopra, al versetto 8, per farci capire che si tratta sempre della stessa bestia, e che il settimo e l’ottavo monte sono veramente uno. Infatti ora l’Angelo parla di un’ottava montagna, un’ottava bestia o un’ottava potenza, visto che ne aveva annunciate solo sette! È quello che lui stesso spiega dicendo che questo ottavo è uno dei sette. E per farci sapere di quale bestia parli, la tocca per così dire, con il dito, dicendoci che è il figlio della perdizione, con queste parole: e va alla morte. Perché allora dice che va alla morte, dopo aver detto prima che non c’è più? È per spiegare meglio il suo enigma; e se vogliamo capirlo bene, dobbiamo vedere le parole che accompagnano questi due punti di difficoltà. Quando parla della bestia che era e non è, aggiunge immediatamente che è l’ottava; è come se dicesse: l’ottava bestia che verrà, cioè l’anticristo, era e non c’è più. Egli annuncia la sua fine in modo così rapido, per farci capire che regnerà per un breve periodo. Questo spiega la parte finale del testo precedente: E quando sarà venuto, dovrà rimanere per poco tempo. Quindi vediamo che queste ultime parole si applicano all’ottava montagna, che è l’anticristo, e non all’impero di Maometto, che deve durare milleduecentosettantasette anni e mezzo, se contiamo la durata di questo regno da Maometto alla fine del mondo, e milleduecentosessanta anni se torniamo al tempo di Cosroe, quando la Chiesa cominciò a stabilirsi in Occidente, ridiscendendo fino al tempo in cui questa prima bestia sarà come ferita a morte dalla presa di Costantinopoli e dalla quasi completa rovina del suo impero. La ragione per la quale il Profeta ha potuto unire la fine di questo testo, che si applica all’anticristo, con il regno di Maometto, è spiegato dalle seguenti parole: È una delle sette, e va nella morte; cioè, che questa ottava bestia, l’anticristo, appartiene a una delle sette montagne o potenze che è l’impero dei Turchi, perché avrà la sua origine da esso e sarà moralmente la stessa potenza. Ma quando entrerà nella morte, sarà l’ottava potenza; perché allora l’impero dei Turchi, che è il settimo, sarà passato. Da tutto ciò che abbiamo appena detto, ne consegue che San Giovanni ha voluto insegnarci con il suo enigma: 1º Che l’impero dei Turchi e quello dell’anticristo sono uno solo moralmente; e questa unità morale è rappresentata dalla bestia. 2º Vediamo inoltre in queste parole che queste due potenze dei Turchi e dell’anticristo, che sono le stesse in principio, saranno tuttavia distinte l’una dall’altra per le loro forme, la loro natura, e per il tempo in cui saranno apparse. Ancora una volta, poiché l’Angelo dice al presente di questa ottava potenza, che essa era e non è più, mentre dice di essa al futuro: È una delle sette e va nella morte? Si tratta di esprimere, con una forza e un’energia che non possiamo ammirare a sufficienza, la certezza della morte di questa bestia ed anche la rapidità con cui i tempi si consumeranno in essa. Infatti, come è stato spesso detto, il passato, il presente e il futuro, agli occhi di Gesù Cristo che è l’Autore di questa rivelazione, non sono che un unico punto. E così è che i Profeti ispirati di Dio ci rappresentino nel passato le cose a venire e nel futuro gli eventi passati. – Possiamo quindi vedere da tutto ciò che è stato appena detto, che possiamo considerare il regno dell’Anticristo sotto due diversi aspetti: 1. come appartenente all’impero turco: è uno dei sette. 2. come non appartenente ad esso, questa bestia forma un potere a parte e indipendente dal regno di Maometto, al quale apparterrà solo moralmente e per la sua origine: … è l’ottava e va alla morte. Bisogna osservare che questa parola ottava concorda con il sostantivo bestia. Questo si vede meglio in latino a causa dei generi dei sostantivi che non sono gli stessi che in francese. E tutti questi poteri sono bestie, perché è sempre il dragone che li ispira e dirige tutti.

XI. Ora è il momento di dire una parola su questo passaggio del venerabile Holzhauser, dove predice la nascita dell’anticristo per l’anno 1855. Senza voler toccare questa grande questione del tempo della fine del mondo, diremo di sfuggita che non è certo senza motivo che questo venerabile servo di Dio abbia osato fissare in modo così preciso e assoluto la data più importante che ci sia mai stata. Ricordiamo che la data da lui indicata per il periodo di tempo in cui il sacrificio della Messa sarebbe stato abolito in Inghilterra è stata verificata alla lettera. « Et intellexi juge sacrificium centum et viginti annis ablatum esse. » Nonostante questo, possiamo prevedere che un numero abbastanza considerevole dei nostri lettori si rifiuterà di credere a questa data,  soprattutto per la brevità del tempo che rimane per il compimento di tutti i fatti che annuncia. Basti dire che non sono necessari lunghi periodi di tempo per il compimento di questi eventi, ma che bisogna considerare la volontà di Dio, che può, spesso anche contro le nostre previsioni, far precipitare eventi di cui potremmo prevedere il compimento solo in un secondo momento. È da ricordare, inoltre, che le ultime due età saranno molto brevi, e che Dio ha promesso alla sua Chiesa, rimasta fedele durante la quinta età, di portare ad essa come ricompensa tutte le nazioni della terra; il che sembra farci capire che Dio non seguirà, in questo caso, il corso ordinario della sua provvidenza. Aggiungeremo che cinquanta anni sono sufficienti per rinnovare la massa di due generazioni, senza contare quella che sta nascendo ora e che Dio castiga per purificarla. Infine, se torniamo indietro di venticinque anni, saremo costretti ad ammettere che la faccia della terra è stata rinnovata. Per quanto riguarda le persone a cui questo calcolo del venerabile Holzhauser sembrerebbe azzardato, le preghiamo di non avventurarsi nel loro giudizio su fatti così gravi, essendo a noi sconosciuti i modi della loro realizzazione. Chi non vede, dopo tutto, che l’interpretazione di questo venerabile autore merita molto meno gli attacchi di chi non vede, dopo tutto, che l’interpretazione di questo venerabile autore sia molto meno degna degli attacchi dei critici che del nostro rispetto, della nostra fiducia e diremmo anche della nostra ammirazione. Inoltre, ciò che è successo finora conferma tutto ciò che questo autore abbia scritto. Abbiamo già la felicità di vedere l’alba della sua sesta età, così desiderata e così desiderabile: l’anno 1848, quando i popoli cospirarono per stabilire una repubblica universale, sarà una pietra miliare nella storia del mondo. L’improvviso e insperato ristabilimento dell’ordine, dopo i terribili tumulti che minacciavano l’esistenza stessa della società nelle capitali del nostro continente; il progresso del Cattolicesimo in Austria, in Inghilterra e nelle missioni straniere; le nuove comunicazioni stabilite con l’Africa e l’Asia, che hanno facilitato l’accesso dei missionari cristiani al centro dell’impero celeste; l’umiliazione subita dagli eserciti degli eretici e degli scismatici nell’ultima guerra, in cui i Cattolici hanno recuperato il loro ascendente, la decadenza dell’impero dei Turchi e l’emancipazione che è stata appena concesso ai Cristiani. Lo sviluppo delle scienze naturali, predetto dallo stesso venerabile Holzhauser; lo stabilimento universale delle ferrovie e dei telegrafi elettrici, con i quali si comprende come un solo gregge sarà facilmente governato da un solo Pastore, (Jo., X, 16), e senza i quali la possibilità di un impero universale, quale sarà quello dell’anticristo, non può essere umanamente spiegata, più che l’affluenza di tutti i popoli della terra verso Gerusalemme. La tendenza del mondo verso un sistema centrale e uniforme, che si nota soprattutto nei trattati e nei concordati tra i vari governi; trattati che sembrano essere estesi in modo generale alla stampa, ai costumi, alle monete, ai pesi e alle misure, ecc. Le esposizioni universali, i congressi degli studiosi, le società che si occupano delle statistiche generali del mondo; statistiche che potrebbero essere il primo principio di quel terribile monopolio che l’anticristo eserciterà sui mezzi indispensabili alla vita degli uomini. I giganteschi piani per perforare una delle più grandi catene montuose, per aprire l’istmo di Suez, ecc. ecc.: tutte queste circostanze prese insieme, sono eventi troppo importanti per non essere notati da tutti gli uomini riflessivi e seri. Speriamo, tuttavia, che la sesta età ci porti presto tutti i vantaggi che promette, e che la Chiesa goda a lungo di una santa e vera pace e delle altre grandi consolazioni che le sono riservate. Ma non si dimentichi che la conversione dell’universo, che avrà luogo in quest’epoca, è indicata nel Vangelo come uno dei principali indicatori della fine del mondo, secondo San Marco, XIII, 10: « È necessario anche prima che il Vangelo sia predicato a tutte le nazioni. » E secondo San Matteo, XXIV, 14: « Questo vangelo del regno sarà predicato in tutta la terra per servire da testimonianza a tutte le nazioni; e allora verrà la fine. » (Matteo XXIV, 42): « Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà. Qual è dunque il servo fidato e prudente che il padrone ha preposto ai suoi domestici con l’incarico di dar loro il cibo al tempo dovuto? Beato quel servo che il padrone al suo ritorno troverà ad agire così! In verità vi dico: gli affiderà l’amministrazione di tutti i suoi beni. Ma se questo servo malvagio dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi, arriverà il padrone quando il servo non se l’aspetta e nell’ora che non sa, lo punirà con rigore e gli infliggerà la sorte che gli ipocriti si meritano: e là sarà pianto e stridore di denti. »

§ V.

I dieci re che si uniranno con l’anticristo per fare guerra all’Agnello e ai Santi.

CAPITOLO XVII. VERSETTI 12-18

Et decem cornua, quæ vidisti, decem reges sunt: qui regnum nondum acceperunt, sed potestatem tamquam reges una hora accipient post bestiam. Hi unum consilium habent, et virtutem, et potestatem suam bestiæ tradent. Hi cum Agno pugnabunt, et Agnus vincet illos: quoniam Dominus dominorum est, et Rex regum, et qui cum illo sunt, vocati, electi, et fideles. Et dixit mihi: Aquæ, quas vidisti ubi meretrix sedet, populi sunt, et gentes, et linguæ. Et decem cornua, quae vidisti in bestia: hi odient fornicariam, et desolatam facient illam, et nudam, et carnes ejus manducabunt, et ipsam igni concremabunt. Deus enim dedit in corda eorum ut faciant quod placitum est illi: ut dent regnum suum bestiæ donec consummentur verba Dei. Et mulier, quam vidisti, est civitas magna, quæ habet regnum super reges terræ.

[E le dieci corna, che hai veduto, sono dieci re: i quali non hanno per anco ricevuto il regno, ma riceveranno la potestà come re per un’ora dopo la bestia. Costoro hanno un medesimo consiglio, e porranno la loro forza e la loro potestà in mano della bestia. Costoro combatteranno coll’Agnello, e l’Agnello li vincerà: perché egli è il Signore dei signori, e il Re dei re, e coloro che sono con lui (sono) i chiamati, gli eletti e i fedeli. E mi disse: Le acque che hai vedute, dove siede la meretrice, sono popoli, e genti e lingue. E le dieci corna che hai vedute alla bestia: questi odieranno la meretrice, e la renderanno deserta e nuda, e mangeranno le sue carni, e la bruceranno col fuoco. Poiché Dio ha posto loro in cuore di fare quello che a lui è piaciuto: e di dare il loro regno alla bestia, sinché le parole di Dio siano compiute. E la donna, che hai veduta, è la grande città, che ha il regno sopra i re della terra.]

I. Vers. 12. Le dieci corna che hai visto sono dieci re che non hanno ricevuto il loro regno; ma riceveranno il potere come re per un’ora dopo la bestia. Qui l’Angelo continua la comunicazione dei segreti pieni di saggezza, che furono rivelati a San Giovanni, e gli dice: Le dieci corna che hai visto sono dieci re.  Questi dieci re esisteranno al tempo dell’anticristo, e anche prima di lui, secondo San Girolamo; sono chiamati corna a causa della forza e del potere che la bestia otterrà ed eserciterà tramite loro, per combattere contro l’Agnello e contro i suoi Santi. Questo paragone è preso da certi animali, la cui forza è tutta nelle loro corna. Di queste dieci corna si parla anche in Daniele, (VII, 19) (abbiamo messo tra parentesi le parole che non fanno parte del testo della profezia): « Ebbi allora un gran desiderio di sapere cosa fosse la quarta bestia, che era molto diversa da tutte le altre e spaventosa oltre ogni dire: i suoi denti e le sue unghie erano di ferro; divorava e faceva a pezzi, e calpestava ciò che era sfuggito alla sua violenza. E chiesi dei dieci corni che aveva sulla testa e di un altro che le si aggiunse, in presenza del quale tre dei suoi corni erano caduti (Cioè, tre re cadranno per il potere dell’anticristo che li vincerà). E chiesi di questo corno, che aveva occhi e una bocca che diceva grandi cose; e questo corno era più grande degli altri. E quando ho guardato attentamente, ho visto che questo corno faceva guerra ai santi e aveva il sopravvento su di loro, finché venne l’Antico dei Giorni (Gesù Cristo) e diede ai santi dell’Altissimo il potere di giudicare; e quando il tempo fu compiuto, i Santi ottennero il regno (Venite, benedetti del Padre mio; prendete il regno, ecc.) E così dice: La quarta bestia sarà il quarto regno (dell’anticristo), che sarà più grande di tutti i regni, e divorerà tutta la terra, la calpesterà e la ridurrà in polvere. E le dieci corna di quel regno saranno dieci re che vi regneranno; e un altro (anticristo) sorgerà dopo di loro, che sarà più potente dei primi, e umilierà tre re; e parlerà con orgoglio contro l’Altissimo, e infrangerà i suoi Santi; e penserà di poter cambiare i tempi e le leggi, e gli uomini saranno dati in mano sua fino a un tempo, un tempo e mezzo tempo (1277 giorni e mezzo). Poi interverrà il giudizio, in modo che il potere sia tolto a quest’uomo, affinché sia completamente distrutto e perisca in eterno; e che nello stesso tempo il regno, la potenza e il dominio di tutte le cose sotto il cielo siano dati al popolo dei santi dell’Altissimo; perché il suo regno è un regno eterno, al quale tutti i re saranno soggetti con un’intera sottomissione. » Qui finisce la predizione. Allora: dei tempi. Le dieci corna che tu hai visto sono dieci re, che esisteranno come re nei loro rispettivi regni, prima che l’anticristo venga al potere, secondo queste parole di Daniele, (VII, 24): « E un altro sorgerà dopo di loro, che sarà più potente dei primi e umilierà tre re. Questi dieci re non hanno ricevuto il loro regno, cioè non faranno all’inizio parte del regno della bestia di cui l’anticristo sarà il primo sovrano, poiché l’anticristo deve sorgere solo dopo di loro. (Dan. VII, 24): « E un altro sorgerà dopo di loro »; ma essi riceveranno il potere per un’ora dopo la bestia, cioè l’anticristo prima sottometterà tre re con la forza, e gli altri si sottometteranno a lui appena avrà raggiunto il potere. E poi riceveranno il loro regno per un po’ di tempo cominciando a far parte del grande regno della bestia, chiamato da Daniele il quarto regno, e diventeranno le corna con cui la bestia combatterà contro l’Agnello e i suoi Santi. Questo è confermato da San Giovanni nel testo seguente:

II. Vers. 13. Questi hanno un solo consiglio, e daranno la loro forza e il loro potere alla bestia. Questo unico consiglio rappresenta l’unità delle azioni di questi re, che saranno diretti e ispirati dalla bestia, cioè da lucifero, e dall’anticristo, che sarà la testa sulla quale tutti questi corni saranno fissati.

Vers. 14. – Combatteranno contro l’Agnello, ma l’Agnello li vincerà, perché Egli è il Signore dei signori e il Re dei re, e coloro che sono con Lui sono i chiamati, gli eletti e i fedeli. 1° Questo testo è già spiegato da se stesso e da tutto ciò che è stato detto sulla grande catastrofe che abbiamo descritto nel penultimo capitolo. 2º Questo testo significa dunque che questi dieci re combatteranno contro Gesù Cristo, che è l’Agnello di Dio, sacrificato per i peccati del mondo; e combatteranno contro questo Agnello, cercando di sopprimerne la dottrina e abolire il Sacrificio perpetuo. Combatteranno anche contro l’Agnello nei suoi discepoli, che sono i chiamati, gli eletti e i fedeli, perché sarà dato loro di ucciderli e immolarli come pecore. Ma l’Agnello vincerà loro e il loro capo, che è il diavolo e l’anticristo, nel modo indicato sopra. Egli li sconfiggerà anche nel senso che, dando agli eletti la morte del corpo, questi tiranni daranno loro la vita del corpo e dell’anima nei secoli dei secoli, secondo le parole di Sant’Agostino, (Tract. VII, in Joan.): « E quale Agnello, l’Agnello che è il terrore dei lupi? Cos’è questo Agnello? Questo Agnello è Colui che, essendo stato sacrificato e messo a morte, uccise il leone, perché il leone è il diavolo, di cui si dice che ruggisca e cerchi sempre qualcuno da divorare. E per mezzo del sangue dell’Agnello il leone fu vinto. »

III. Vers. 15. Ed egli mi disse: “Le acque che tu hai visto, dove siede la prostituta, sono i popoli, le nazioni e le lingue“. Abbiamo visto sopra cosa fosse questa prostituta, seduta su una bestia di colore scarlatto, piena di nomi di bestemmia, che aveva sette teste e dieci corna. Perché l’Angelo dice ora a San Giovanni che questa grande prostituta, che aveva rappresentato prima nel deserto, e che aveva mostrato a San Giovanni sotto forma di una donna seduta su una bestia color scarlatto, etc., perché, diciamo, la rappresenta ora seduta su grandi acque, e perché dice: Le acque che hai visto, dove è seduta la prostituta, sono i popoli, le nazioni e le lingue? È per caratterizzare meglio questa donna seduta sulla bestia, e per farci capire che questa donna sia la stessa prostituta di cui aveva anche detto che è seduta su molte acque. Ora ci spiega cosa siano queste grandi acque con queste parole: E le acque che avete visto, dove siede la prostituta, sono i popoli, le nazioni e le lingue. Possiamo trovare espressioni più energiche e ingegnose per mostrare il potere di questa bestia con sette teste e dieci corna, che domina i popoli, le nazioni e le lingue su cui questo potere è basato e solidamente costituito nel corso dei secoli? Perché la parola grande è intesa come il regno dei malvagi di tutti i tempi e luoghi, che domina la terra attraverso le acque della tribolazione. Questo passaggio conferma l’interpretazione precedente.

IV . Vers. 16. Le dieci corna che hai visto nella bestia sono quelle che odieranno la prostituta e la porteranno all’estrema desolazione, la rovineranno, ne divoreranno la carne e la bruceranno tra le fiamme. Tutte queste parole continuano a riferirsi ai chiarimenti dati sopra; perché, come è stato detto, queste dieci corna saranno dieci re, e queste corna cresceranno sulla testa della bestia nel regno dell’anticristo. Questi dieci re saranno ispirati e diretti dal loro capo, che è il diavolo che viene nel mondo, non più in forma di serpente, ma in forma di uomo. E quest’uomo sarà l’anticristo con il quale il demonio sarà come incarnato, volendo così scimmiottare le opere dell’Onnipotente fino all’incarnazione del Verbo. E come l’Uomo-Dio, quando volle redimere la razza umana con il suo infinito amore, usò dodici corni, che sono i dodici Apostoli, per propagare la sua santa e salutare dottrina, ordinando agli uomini di crocifiggere la loro carne per ottenere la vita eterna; allo stesso modo il drago, a causa della sua antica inimicizia, e nell’eccesso del suo odio implacabile contro la razza umana, userà le sue dieci corna, che sono dieci re, per diffondere la sua dottrina infernale. Questi re hanno un solo consiglio, ed essi daranno la loro forza e il loro potere alla bestia. Cioè, questi re saranno in un certo senso posseduti dal diavolo, al quale avranno ceduto la loro forza e il loro potere; e la bestia se ne servirà per esalare il suo odio e soddisfare la sua sete di vendetta. Da qui le parole dell’Angelo: Le dieci corna che hai visto nella bestia sono quelle che odieranno la prostituta, perché il dragone odia i malvagi e gli empi che egli seduce e spinge a prostituirsi a lui, ed è per far pesare sul genere umano, di cui è geloso, il suo antico rancore, che userà le sue dieci corna. Ora questi dieci re, che saranno i suoi ministri, e che saranno animati dal suo stesso spirito, poiché avranno tutti un solo consiglio, questi dieci re, diciamo, odieranno la prostituta, e la ridurranno all’ultima desolazione, facendo precipitare gli uomini nelle tenebre dell’errore e nel fango dei vizi. Essi la spoglieranno di ogni bene e di ogni virtù, e la renderanno la più desolata di tutti i suoi beni. La spoglieranno di ogni bene e di ogni virtù, e divoreranno la sua carne, facendo perire gli uomini per gli eccessi del peccato e anche per renderli partecipi delle terribili piaghe con cui il Signore colpirà gli empi. E la bruceranno nelle fiamme dell’inferno, dove gli empi saranno gettati da quei dieci re che li avranno fatti prevaricare, e dove i demoni continueranno ad esercitare il loro odio infernale per i secoli dei secoli. E tutto questo avverrà per permesso di Dio, che è giusto Giudice e che rende ad ogni uomo secondo le sue opere.

Vers. 17.Poiché Dio ha messo nei loro cuori di fare quello che Egli vuole, di dare il loro regno alla bestia, finché le parole di Dio non siano adempiute. Cioè, Dio permetterà alla bestia di usare le sue corna, che sono i dieci re; e permetterà che i corrotti diano i loro cuori e il loro potere alla bestia, affinché le profezie si compiano.  Troviamo un esempio di questo permesso di Dio per l’adempimento delle sue profezie, nella passione di Gesù Cristo, (Matth. XXVI, 53): « Pensate che Io non possa pregare il Padre mio, e che non mi manderebbe subito più di dodici legioni di Angeli? Come si adempiranno allora le Scritture che dicono che le cose devono andare così? »

V. Vers. 18. – E la donna che tu hai visto è la grande città che regna sui re della terra. Questa grande città, di cui l’Angelo parla qui, è Gerusalemme nel senso di Babilonia, che era il tipo della confusione e della perversione. Perché al tempo dell’Anticristo Gerusalemme diventerà una grande città, non solo perché è già grande, ma anche per la sua storia. Questa grande città diventerà la sede del potere dell’anticristo. E siccome questo potere si estenderà su tutto il mondo, secondo Daniele, (VII, 23): « La quarta bestia sarà il quarto regno, che dominerà sulla terra e sarà più grande di tutti gli altri regni: esso divorerà tutta la terra, la calpesterà e la ridurrà in polvere. Così Gerusalemme, essendo diventata la capitale di questo regno, sarà la grande città che governa sui re della terra. Questa interpretazione è inoltre saldamente fondata su questo versetto, (cap. XVIII, 24): « E in questa città fu trovato il sangue dei profeti e dei santi, e di tutti coloro che furono uccisi sulla terra ». Perché qual è la città del mondo della quale si possa dire che sia stato trovato il sangue di tutti coloro che sono stati uccisi sulla terra, se non Gerusalemme, dove è stato versato il sangue adorabile di Gesù Cristo, che rappresenta il sangue di tutti i martiri morti per Lui e a causa sua, così come il sangue di tutti i martiri rappresenta anche il sangue di Gesù Cristo che è morto per loro e a causa loro.  E come i martiri hanno versato il loro sangue per Gesù Cristo in tutto il mondo rappresentato da questa nuova Babilonia, così Gesù Cristo ha versato il suo a Gerusalemme per la salvezza del mondo. Come sono toccanti e ammirevoli queste parole del Profeta!

FINE DEL LIBRO SETTIMO

IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE: LIBRO OTTAVO

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “QUÆ IN PATRIARCHATU” (1)

S. S. Pio IX, scrisse questa lunga lettera Enciclica per portare ordine nella questione malabarica minata da un comportamento poco rispettoso nei confronti della disciplina e dei canoni imposti dalla Chiesa Cattolica per mezzo della Sede Apostolica. La questione è riassunta qui in modo dettagliato con tanto di lettere del Sommo Pontefice e delle risposte del Patriarca ribelle. Al di là della vicenda specifica, l’interesse di questa lettera si spiega per il fatto che il Pontefice rivendichi il suo ruolo decisionale, quale Vicario di Cristo e capo in terra della Chiesa su ogni questione liturgica, dottrinale, teologica, gerarchica, disciplinare. Il grande Pio IX con fermezza e carità paterna richiama il dissidente, ribadendo la distinzione dei ruoli e la superiorità gerarchica in una società voluta dal suo Fondatore, rigidamente rispettosa dei ruoli e senza ammettere prevaricazioni di sorta. Questo è il ruolo del Vicario di Cristo, paterno ma deciso nei suoi richiami, preoccupato delle anime affidate ai suoi Vescovi e Patriarchi, della loro eterna salvezza a gloria di Dio. Quanto diverso è il comportamento degli antipapi “democratici” apparentemente, ma in realtà dispotici e tirannici nel loro servizio attivo in favore del “nemico infiltrato e travestito da angelo di luce” per la perdizione e dannazione delle anime che da essi si fanno stoltamente guidare.”


Pio IX
Quæ in Patriarchatu

1. Non crediamo che Voi ignoriate le cose che sono avvenute nel Patriarcato di rito Caldaico da diversi anni a questa parte, e che ancora avvengono, tuttavia è conveniente ricordarle, affinché sappiate come sono andate realmente le cose, quanto è stato fatto da Noi e che cosa rimane ancora da fare per allontanare i danni che minacciano la vostra fede cattolica e l’unità. Abbiamo ragione di temere che non si sia agito sinceramente con voi e che la verità sia stata oscurata con capziose ambiguità di parole, e i fatti siano stati esposti calunniosamente o distorti in senso malvagio. Seguendo pertanto l’esempio dei Nostri Predecessori, che in simili congiunture non tralasciarono di rendere edotti i Vescovi, il Clero e il popolo sulla vera situazione, vogliamo fare anche Noi la stessa cosa, affinché non appaia che siamo carenti per nessuna ragione al dovere del Nostro Apostolato.

2. È stata tanto grande la rovina recata alle vostre regioni dall’eresia di Nestorio, che ha devastato codesta vigna del Signore, una volta così fiorente, come se un cinghiale, animale particolarmente selvatico, fosse uscito dalla selva e l’avesse distrutta. Infatti, si affievolì poco a poco la scrupolosa osservanza dei Canoni; scomparve la solenne autorità dei Pontefici; prese piede l’ambizione di uomini che, privi del timor di Dio, aspiravano alle cariche ecclesiastiche; s’introdusse l’obbrobrio della successione ereditaria dei Patriarchi; e la dottrina cattolica si trovò infettata, oltre che degli antichi errori quasi obsoleti, anche di nuovi, al punto che sembrava dovesse considerarsi cancellato lo stesso nome Cristiano. I Romani Pontefici non cessarono mai di curare attentamente tutti questi mali, finché fu loro permesso di inviare in Oriente uomini Apostolici, per opera dei quali non pochi Presuli Nestoriani, dopo avere abiurata l’eresia, sono ritornati alla fede cattolica e all’unità. Con quanta attenzione e con quanta carità siano stati accolti, sia quelli che inviarono lettere ai Nostri Predecessori, sia quelli che, dopo aver superato le molestie e le fatiche di un lungo pellegrinaggio, giunsero a questa santa Città, appare manifesto tanto dagli Atti della Sede Apostolica, quanto dalle lettere della stessa che riteniamo esistano ancora nei vostri archivi.

3. Giunse finalmente l’auspicato giorno luminoso nel quale, tolte di mezzo tante difficoltà e specialmente rimosso l’impedimento della successione ereditaria dei Patriarchi, era lecito sperare che, ristabilito e ricomposto l’ordine della disciplina ecclesiastica, che è custodia e baluardo della fede, potesse rinascere e rifiorire la Chiesa di rito Caldaico. Noi speravamo che questo potesse avvenire per opera del Venerabile Fratello Giuseppe Audu, che allora era Vescovo di Amida. Animati quindi da tale speranza, lo abbiamo nominato Vicario Apostolico del Patriarcato Caldaico, allorché questo si rese vacante per la rinuncia di Isaia Giacomo, resa nelle Nostre mani. In seguito Ci siamo molto rallegrati quando abbiamo saputo che la medesima persona era stata richiesta e poi eletta alla dignità patriarcale con i voti dei Vescovi. Successivamente abbiamo confermato con tanta soddisfazione questa elezione, o istanza, nel Concistoro dell’11 settembre 1848, e con la Nostra autorità Apostolica abbiamo nominato il predetto quale Patriarca di Babilonia dei Caldei, difendendolo strenuamente quando fu assalito da tanti obiettori. La speranza che avevamo precedentemente concepito, fu confermata non soltanto dalla fedeltà e dall’obbedienza che egli promise con solenne giuramento a Noi e ai Nostri Successori, come è costume e dovere di tutti i Patriarchi cattolici, ma anche con lettere ossequiose con le quali espose i suoi egregi sentimenti di una devota volontà e di un animo sottomesso a Noi e a questa Santa Sede.

4. Ma non molto dopo scrisse una e più volte alla Nostra Congregazione di Propaganda Fide che gli erano state recapitate lettere dei Malabarici, per opera ed iniziativa di un Vescovo eretico dei Siro-Giacobiti che dimorava colà, nelle quali gli stessi Malabarici, raccogliendo molte proteste e accuse contro i Missionari Latini e i Vescovi che li curavano spiritualmente in Nostro nome, chiedevano che fosse loro concesso dal Patriarca un Vescovo del loro rito. Sebbene fosse certo che lo stesso Patriarca non poteva avere nessuna giurisdizione sui Malabarici, tuttavia era giusto esaminare diligentemente le loro doglianze per poter provvedere alle loro necessità spirituali con tanta maggiore efficacia e celerità, quanta maggior sollecitudine la Sede Apostolica deve avere verso coloro che essa stessa regge e governa tramite i suoi Vicari. Per tali ragioni fu disposta un’accurata indagine per accertare la verità, al fine di poter giudicare che cosa si doveva fare e stabilire per il loro vantaggio spirituale. Mentre ritardava una risposta definitiva, si venne a sapere quello che poi fu provato da una lettera autografa inviata in data 21 dicembre 1856 a un sacerdote Malabrico di nome Emmanuele: le richieste venivano eccitate dallo stesso Patriarca dei Malabarici; veniva favorita la speranza e insegnato il modo con i quali si potevano soddisfare i desiderata, stancando la Santa Sede con lamentele contro i Missionari e con frequenti e ripetute istanze. Frattanto Noi, desiderando comporre la questione con miti provvedimenti, abbiamo dato mandato al Nostro Pro-Delegato in Mesopotamia di far recedere il Patriarca dal suo intento. Questi fu anche invitato a non interessarsi più della regione Malabarica.

5. Egli però non diede ascolto agli ordini, e pretendendo che la regione dei Malabarici a buon diritto fosse di sua competenza, scelse fra i suoi familiari Tommaso Rokos e, ordinatolo Vescovo, lo mandò a Malabar, nonostante si opponesse e lo proibisse, anche sotto la minaccia di censure, il Nostro Venerabile Fratello Enrico Amanton, Vescovo – finché visse – di Arcadiopoli e Nostro Delegato in Mesopotamia. Il Rokos, giunto colà, asserendo falsamente di essere stato inviato dallo stesso Patriarca su Nostro comando, usurpò la giurisdizione ecclesiastica, promosse agli Ordini sacri molti individui, anche se poco degni, e non ebbe scrupolo di sovvertire in su e in giù la Chiesa Malabarica. Mossi da questi misfatti e stimolati dalle proteste dei Sacerdoti malabarici, abbiamo dato ordine al Venerabile Fratello Bernardino, Arcivescovo di Farsalo, che presiedeva allora come Vicario, su Nostro mandato, a quella Chiesa, che invitasse secondo i Canoni quel Vescovo Tommaso ad andarsene e, se renitente, lo scomunicasse pubblicamente; il che avvenne. Noi frattanto richiamammo a Roma il Patriarca, lo rimproverammo apertamente per la grave mancanza, e gli comandammo di revocare immediatamente quel Vescovo Rokos, che egli aveva temerariamente introdotto in Malabar. Al Patriarca, che ubbidì, concedemmo il richiesto perdono e l’assoluzione dalle censure.

6. Allora ordinammo che tutta la materia e ciò che era accaduto venissero esaminati dai Venerabili Nostri Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa della Congregazione di Propaganda Fide per gli affari di Rito Orientale. Nella riunione svoltasi il 6 marzo 1865, furono esaminate accuratamente e sollecitamente tutte queste vicende, e a suffragio unanime, con la Nostra approvazione, fu stabilito che non si doveva estendere la giurisdizione del Patriarca di Babilonia dei Caldei alla regione di Malabar. Inoltre furono approvate molte altre decisioni, sia per procurare la sicurezza ai Malabarici, sia per sedare il turbamento degli animi che si era creato fra i Caldei in conseguenza di quanto il Patriarca aveva sconsideratamente compiuto. Il Patriarca accettò, seppure a malincuore, questi provvedimenti, o almeno parve li accettasse: e questa opinione fu confermata dalle sue successive azioni. Anche se in seguito dovemmo dolerci di alcuni provvedimenti da lui adottati poco rettamente, tuttavia egli si dimostrò accondiscendente verso di Noi come si conveniva, e riconoscendo, come di dovere, la Nostra autorità, diede un preclaro esempio di obbedienza, sia pubblicando – come avevamo comandato – il Nostro decreto con il quale si abrogavano le censure da lui temerariamente comminate, sia negando la consacrazione episcopale a un Malabarico che gli era stata richiesta da alcuni che macchinavano innovazioni in quella regione.

7. In tale situazione stabilimmo pure che s’instaurasse nella Chiesa Caldea l’auspicata disciplina ecclesiastica, poco osservata, trascurata e, per la malizia dei tempi, quasi dimenticata, fatti salvi pero i suoi riti, che anticamente erano stati istituiti dai Santi Padri e che furono sempre riconosciuti e approvati da questa Sede Apostolica. Questo Nostro proposito fu notificato al Patriarca dalla Nostra Congregazione di Propaganda Fide, per Nostro mandato, il 3 settembre 1868, e contemporaneamente fu inviato a lui un esemplare della Nostra Costituzione, pubblicata il 12 luglio 1867, nella quale erano stati sanciti alcuni capitoli di disciplina ecclesiastica, specialmente relativi all’elezione dei Vescovi, da osservarsi nel Patriarcato Armeno. Non appena ricevette tale materiale, per mezzo del Vescovo Elia Mello che allora era presente a Roma, con proprie lettere inviate alla predetta Congregazione volle assicurarci che egli non dissentiva per nulla dalla Nostra volontà riguardo alle regole sulla elezione dei Vescovi, professando di accoglierle con ogni devozione ed obbedienza. Anzi, sperava che dal previsto ordinamento sulle elezioni dei Vescovi sarebbero derivati vantaggi, ed egli si sarebbe sempre comportato come appariva conveniente ed opportuno a Noi; il che fu per Noi motivo di gioia e letizia. Frattanto, essendo rimaste orbate dei loro Pastori le Chiese di Diyarbekir e di Mardin di rito Caldaico, Ci propose i nomi di alcuni sacerdoti, affinché mettessimo a capo di queste Diocesi coloro che secondo la Nostra autorità avessimo giudicato in Domino più degni e più idonei: il che fu fatto con Nostra Lettera Apostolica in data 22 marzo 1869. Fummo talmente commossi da tali segni di devozione ed obbedienza, che avendo egli umilmente esposto che preferiva che colui che avevamo destinato alla Chiesa di Amida venisse assegnato come Vescovo alla Chiesa di Mardin, e viceversa, Noi abbiamo deciso di acconsentire in pieno a tale richiesta.

8. Dopo questi avvenimenti, abbiamo ritenuto che non si dovesse differire oltre il ripristino della disciplina nel Patriarcato di rito Caldaico, nel quale si doveva assolutamente iniziare dalla retta elezione dei Vescovi. Infatti, se non si scelgono per tale oneroso compito, spaventoso per le stesse spalle angeliche, uomini ragguardevolissimi, che agiscano secondo il cuore e la volontà di Dio, si producono gravissimi danni e calamità quasi irrimediabili per la Chiesa: lo attesta la storia di tutti i tempi e di tutti i luoghi, e lo conferma l’esperienza. A questo scopo fu pubblicata da Noi il 31 agosto 1869 la Costituzione Apostolica Cum ecclesiastica disciplina nella quale, riguardo alla elezione dei Vescovi, veniva stabilito di osservare all’incirca quello che lo stesso Patriarca – come abbiamo detto sopra – aveva già fatto volentieri per le Diocesi di Diyarbekir e di Mardin: cioè, quando si rendesse vacante una Sede episcopale, venissero a Noi proposti dal Sinodo dei Vescovi tre uomini ragguardevoli, onde giudicassimo chi era il più degno e il più idoneo e lo collocassimo alla guida della Diocesi vacante. Veniva inoltre decretato che sarebbe stato illegale e invalido tutto ciò che si fosse tentato di fare contro queste disposizioni.

9. Frattanto era stato indetto il Concilio Ecumenico Vaticano, al quale furono convocati i Vescovi di ogni Nazione e Rito. Intervenne fra gli altri anche lo stesso Venerabile Fratello Patriarca dei Caldei con quasi tutti i Vescovi del suo Rito; ma avvertimmo con dolore che egli era molto mutato da quello che prima Ci aveva dato tanti segni di riverenza e di obbedienza. Infatti si rifiutò di consacrare come Vescovi delle predette Chiese di Diyarbekir e di Mardin i sacerdoti Pietro Attar e Gabriele Farso, che avevamo eletto fra quelli da lui proposti, assegnando a ciascuno la Chiesa da lui preferita. Allorché stava per partire da Roma, abbiamo ordinato che gli venisse richiesta una dichiarazione di totale adesione e di accettazione della Costituzione De Ecclesia Christi approvata nella quarta Sessione del Concilio Ecumenico Vaticano, alla quale egli non era stato presente. Noi stessi lo esortammo e scongiurammo a compiere questo dovere, prospettandogli l’esempio di altri Vescovi che, non essendo intervenuti alla quarta Sessione, non esitarono ad aderire a quella dichiarazione. Egli da principio cominciò a frapporre indugi e a tergiversare, poi asserì pervicacemente che lo avrebbe fatto più utilmente dopo che fosse tornato alla sua sede, promettendo contemporaneamente che non avrebbe tralasciato nulla per darci soddisfazione. Questo fatto Ci procurò grande dolore e ansietà, che poi crebbero quando, recatosi a Costantinopoli, subornato dalle blandizie e dalle menzogne degli Armeni Neoscismatici e incitato dal loro esempio, egli non esitò a celebrare occasionalmente con loro in divinis; mentre professava con un atto solenne la sua fedeltà alle leggi civili del Sultano, insinuava che le Nostre Costituzioni Apostoliche erano contrarie ad esse. In quella circostanza accadde anche che egli trascurò di presentare i debiti doveri di urbanità al Nostro Legato straordinario che in quel tempo dimorava a Costantinopoli. Non diede alcuna risposta alla lettera inviata dalla Nostra Sacra Congregazione nella quale erano espresse le opportune ammonizioni. Inoltre, ritornato in Mesopotamia, si unì ai promotori di novità e fece sconsideratamente certe affermazioni che, come fu riferito, non potevano accordarsi in alcun modo col ministero di un Vescovo cattolico, anzi neppure con la stessa fede ortodossa.

10. Udendo con gran dolore tutte queste cose, Ci assillava l’animo il precetto del Signore, dato al Beato Pietro, di confermare i fratelli, e insieme il dovere di provvedere alla salvezza della anime e di difendere il gregge del Signore. Era secondo Noi gravissima la condizione alla quale era stato ridotto il Nostro Venerabile Fratello Timoteo, Arcivescovo dei Caldei di Diyarbekir, per l’inimicizia e le male arti di alcuni che si dicevano sostenuti dal patrocinio del Patriarca. Anzi l’Arcivescovo, sentendo che gli era ostile l’animo del Patriarca, ci aveva inviato più volte lagnanze e dolenti preghiere perché gli concedessimo di cessare dal ministero episcopale. Pertanto incaricammo il Venerabile Fratello Zaccaria, Vescovo a vita di Maronea, di partire alla volta di Mauxilio per incontrare il Patriarca e per comunicargli la rinuncia all’episcopato del predetto Venerabile Fratello Timoteo: rinuncia da Noi riconosciuta. Lo stesso Patriarca, con la Nostra autorità, investisse quale Vicario Apostolico della Diocesi di Diyarbekir la persona che preferiva. Infine, il Vescovo Zaccaria inducesse il Patriarca a sottoscrivere la necessaria dichiarazione di adesione e sottomissione ai decreti della quarta Sessione del Concilio Vaticano: adesione che per lui era assolutamente necessaria, non soltanto perché contro di essi blateravano i Neoscismatici Armeni (e lo stesso comportamento che il Patriarca aveva tenuto dopo il suo ritorno era di grande meraviglia per i fedeli), ma soprattutto perché si preoccupasse dell’eterna propria salvezza, rimovendo lo scandalo o almeno prevenendo quel che stava nascendo dal suo silenzio.

11. Finalmente il predetto Patriarca accolse questi ammonimenti, e consegnò la sua adesione per iscritto. Aggiunse tuttavia che egli voleva che fossero conservati e riservati tutti i diritti e i privilegi del Patriarcato. Sebbene potessimo sospettare che in tal modo egli agiva verso di Noi poco sinceramente, tuttavia, considerando la sua antica fedeltà – che ricordava nella stessa dichiarazione – e la forte pressione che su di lui esercitavano i malvagi; avendo davanti agli occhi l’esempio di Colui del quale è scritto che non rompe la canna sconquassata e non spegne il lucignolo fumigante (Is 42,3; Mt 12,20), abbiamo preferito vedere in quella dichiarazione più un desiderio del Patriarca che una iniqua condizione o limitazione nella professione della fede. Cosi abbiamo deciso di accettare quell’atto di adesione pur dichiarando manifestamente con quale sentimento intendevamo accoglierlo: cioè nel rispetto della dottrina cattolica, sia sul Primato Pontificio, sia sui diritti dei Patriarchi. Per questo gli inviammo la seguente Lettera Apostolica il giorno 16 novembre 1872.

[Gli Atti di Pio IX omettono il paragrafo 12 che, secondo la successione aritmetica, dovrebbe trovarsi a questo punto della presente Enciclica].

Al Venerabile Fratello Giuseppe, Patriarca Babilonese dei Caldei.

Il Papa Pio IX. Venerabile Fratello, salute e Apostolica Benedizione.

13. “Dobbiamo ringraziare l’Autore di ogni bene, che si è degnato di concedere generosamente ciò che avevamo ininterrottamente richiesto con assidue preghiere, come Ci ha dimostrato dalla tua lettera del 29 luglio di quest’anno, e Ci rallegriamo per il sentimento della tua devozione. Infatti hai dichiarato apertamente che aderisci ai Decreti e alle Costituzioni del Sacro Concilio Vaticano e soprattutto alla definizione dogmatica dell’infallibile magistero del Romano Pontefice in materia di fede e di costumi, che fu promulgata nella quarta sessione dello stesso Concilio. Con grandissimo piacere abbiamo ricevuto proprio da Te, devoto a questa Sede Apostolica fin dall’infanzia, l’attestazione che ti sei sempre attenuto fermamente a tutto ciò che la Chiesa Romana insegna e dispone, e che quindi già prima credevi in cuor tuo, per senso di giustizia, a ciò che ora apertamente professi per la tua salvezza.

“Né in verità avrebbe potuto essere diversamente, dato che nelle sacre Epistole e negli scritti dei santi Padri, nelle espressioni dei Concili ecumenici e nei sacri Canoni non c’è nulla di più evidente di quel che il Concilio Ecumenico Vaticano ha decretato e sancito a proposito della suprema potestà del Pontefice Romano, ribadendo ed esprimendo con ulteriore chiarezza – così come esigevano gli errori più recenti – la definizione scaturita sul medesimo argomento nel Sinodo Ecumenico Fiorentino, cioè che la Chiesa Romana, per volontà di Dio, possiede la supremazia su tutte le altre realtà di diritto ordinario e che questa potestà di giurisdizione del Pontefice Romano, che è propriamente episcopale, non ha intermediari; che nei confronti di tale giurisdizione tutti i sacerdoti ed i fedeli, di qualunque rito e grado, sia considerati come singoli sia tutti insieme, sono tenuti al dovere della subordinazione gerarchica e della vera obbedienza, non soltanto in materia di fede e di comportamenti, ma anche in quei settori che attengono alla disciplina ed all’organizzazione della Chiesa diffusa in tutto il mondo; cosicché – salvaguardata l’unità sia di comunione, sia di professione della propria fede con il Pontefice Romano – la Chiesa di Cristo sia un solo gregge sotto un solo sommo pastore: questa dunque è la dottrina della verità cattolica, dalla quale nessuno può allontanarsi conservando intatte la fede e l’aspirazione alla salvezza. Noi non abbiamo mai dubitato che tu abbia voluto professare pienamente e rettamente tutte e singole queste verità, aderendo alle costituzioni del Concilio Vaticano.

“Tu ricavi da ciò, Venerabile Fratello, quanto Cristo Signore volle personalmente stabilire a proposito del regime gerarchico e dell’ordinamento della Chiesa. La diversità e la gerarchia di potere dei Vescovi (che per diritto divino hanno uguale dignità) sono state introdotte dal diritto ecclesiastico “per evitare che tutti rivendicassero tutto per sé: ma fossero ciascuno in una diversa provincia, detenendo fra i confratelli il primo giudizio; ed inoltre, coloro che vengono assegnati alle città principali avessero una funzione maggiore, affinché tramite loro l’impegno della Chiesa universale si ricompatti nell’unica sede di Pietro, e niente assolutamente s’allontani dal suo vertice . Da questo, infatti, come se fosse una testa, il Signore volle che si diffondessero in tutto il corpo i suoi doni” : ed in realtà da Lui e dai suoi successori le sedi principali hanno ricevuto tutto ciò che correttamente loro spetta in onore e potere. Poiché il Beato Pietro che vive nella propria Sede e la presiede , offre la verità della fede a coloro che la cercano, e la Sua dignità non vien meno nei Suoi successori, vedi, Venerabile Fratello, che è dovere e diritto di costoro individuare dalle premesse ciò che nel nome del Signore avrà costituito, a seconda dei tempi e dei luoghi, bene a vantaggio per la Chiesa ed autentica salvezza per le anime: il che è la suprema legge.

“Quando questi fondamenti della fede cattolica vengono trascurati, si apre un’ampia strada agli scismi e persino alle eresie, come testimonia la storia di tutti i tempi e come mostra anche quella attuale, visto che alcuni non rispettano né la moderazione della giustizia né la sacralità della fede. Hai conosciuto, Venerabile Fratello, il luttuoso scisma che recentissimamente alcuni Armeni hanno provocato a Costantinopoli: costoro, anche se ritengono di potersi chiamare cattolici, per ingannare gl’incauti e gl’impreparati, tuttavia si sono tragicamente allontanati dalla verità e dall’unità cattolica e sono condannati dal Nostro giudizio e dalla Nostra autorità. Costoro, per altro, tutto smuovono, tutto osano, come è comportamento consolidato degli eretici, per trarre a sé discepoli e conquistare credito di qualsiasi provenienza per la loro sciaguratissima causa; in questo modo hanno tramato anche contro i fedeli di rito caldeo e tuttora non smettono di tramare. Noi non dubitiamo che ai fedeli che ti sono stati affidati per mantenerli nella verità e nell’unità cattolica, come esigono la tua dignità e il tuo incarico, Tu, Venerabile Fratello, spiegherai apertamente che il nuovo scisma Armeno è stato da Noi già sconfessato; e che Tu insegnerai loro che non è lecita alcuna commistione con gli stessi Neoscismatici, men che meno nelle pratiche religiose. Che costoro infatti siano completamente esclusi e cacciati dalla Chiesa Cattolica lo testimonia più che a sufficienza la stessa lettera emanata dal Romano Pontefice, cioè dalla prima ed Apostolica Sede.

“In quest’occasione inoltre non possiamo tacere, Venerabile Fratello, quel che accade nella chiesa di Diyarbekir, facente parte del tuo patriarcato; Tu non ignori che da molti anni essa è appesantita e divisa da tensioni e lotte intestine; ed inoltre quante ne abbia dovute sopportare colui che di recente ne è stato il capo, il Vescovo Pietro Di-Natale. Alla sua morte, quando su tua proposta vi nominammo Vescovo il Venerabile Fratello Pietro Timoteo Attar, apprendemmo con gran dispiacere che le predette tensioni non si erano risolte; anzi, sotto la spinta dello spirito Neoscismatico, si era arrivati a tal punto che, come già rimproverava l’Apostolo ai Corinzi, uno diceva di essere di Paolo e l’altro di Cefa; e lo stesso Venerabile Fratello Timoteo più e più volte Ci supplicò che gli concedessimo di lasciare l’incarico che gli avevamo affidato e che lo aveva trascinato in tanta tempesta. Scismi e scandali di tal fatta devono essere assolutamente tolti di mezzo. Perciò ti esortiamo e scongiuriamo nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo, Venerabile Fratello, affinché ti impegni prioritariamente e con la massima efficacia nel comporre ed azzerare codesti dissidii. Vogliamo che tu sia certo che per ottenere questo risultato non ti verranno mai meno il Nostro consiglio, il Nostro aiuto e la Nostra autorità. – “È vecchio e nello stesso tempo ben noto il metodo degli eretici di isolare prima e poi scindere in fazioni quei cattolici che mirano ad opprimere con gli inganni, la paura, la violenza; poi incalzare Re e Principi con calunnie e lamentele, per procurarsi in tal modo il loro patrocinio e suscitare odio ed indignazione contro i cattolici. Essi agiscono con il massimo impegno per allontanare dall’unità e dalla comunione con la Sede Apostolica coloro che tentano di trarre dalla loro parte, per farseli poi complici di malvagità e perdizione. Per questo motivo, quando i fedeli siano turbati dall’eresia e dallo scisma, è da sempre consuetudine per i cattolici, e soprattutto per i Vescovi, implorare – come diceva il grande Basilio di Cesarea – la mano risanatrice del Pontefice Romano ed invocarne l’autorità; affinché, nella fermezza del Beato Pietro, Principe degli Apostoli, si consolidino le fondamenta della Chiesa Orientale. “Impegnati dunque, Venerabile Fratello; segui i precetti e gli esempi dei predecessori, che hanno pronunciato parole di vita; analizzando l’obiettivo del loro discorso, imitane la fede. Cristo è lo stesso ieri, oggi e nei secoli futuri; nessuno potrà sradicare ciò che Egli pose come fondamento della Chiesa, così come nessuno che voglia rimanere nel gregge del Signore potrà mai allontanarsi da Colui che Egli prepose come Pastore di tutti.

“Questo devi insegnare, e proclamare in Cristo Gesù; a questo attieniti e nessuno si approprierà della tua corona. Siamo invecchiati entrambi, Venerabile Fratello, ed è imminente la conclusione del nostro attendamento terreno; perciò diamoci da fare al massimo per compiere al meglio il nostro ministero; Tu nei confronti del popolo che, per Nostro tramite, Dio ti ha dato da governare; Noi nei confronti della Chiesa tutta che, con imperscrutabile scelta, Dio stesso ha affidato alla Nostra debolezza, perché la nutrissimo e la governassimo. E se ci capita di dover soffrire un po’ per questa causa, rallegriamoci ed esultiamo di essere ritenuti degni di sopportare qualche offesa nel nome del Signore e di guadagnare una mercede più copiosa in cielo. Noi preghiamo di ciò il Signore, Venerabile Fratello, per Te che abbiamo sempre trattato e trattiamo con sincero affetto, e per Noi; volendo aggiungere a ciò un nuovo pegno, a conferma della Nostra benevolenza, e desiderando andare incontro alle tue necessità spirituali, date le perturbazioni attuali della Chiesa Orientale, ad esse soccorriamo per quanto è necessario con il Nostro potere Apostolico e con la Nostra indulgenza, per mezzo di questa lettera.

“Mentre scrivevamo queste cose, abbiamo ricevuto da Te un’ulteriore lettera datata 16 settembre di quest’anno, e contemporaneamente un chirografo del Venerabile Fratello Simeone, Arcivescovo di Senhanen, firmato il primo dello stesso mese, per attestare la sua adesione alle Costituzioni del Sacro Concilio Vaticano; il che già aveva fatto il Venerabile Fratello Tommaso, Arcivescovo di Bassora, il 29 luglio di quest’anno. Di ciò ringraziamo i Venerabili Fratelli e Te, poiché tutti i Presuli del tuo patriarcato sono unanimi e insieme procedono nella casa del Signore; non soltanto nel chiuso del cuore coltivano questo consenso degli animi, ma lo dichiarano pubblicamente e solennemente; nulla più di questo è opportuno per impedire od estinguere gli scismi e per conservare la pace tra i fedeli.

“Il Dio stesso della pace Ti sorregga in ogni buon impegno e Ti doni la pace sempiterna; nel Suo nome e con la Sua autorità Noi impartiamo di cuore la Benedizione Apostolica a Te e a tutti i Vescovi, sacerdoti, monaci ed al fedele popolo del Patriarcato Babilonese che si mantengono in comunione ed obbedienza con la Sede Apostolica.

“Dato a Roma, presso San Pietro, il 14 novembre 1872, anno ventisettesimo del Nostro Pontificato”.

14. Nella risposta che diede a questa Nostra lettera, il Patriarca dichiarava con molte parole obbedienza e devozione nei Nostri confronti e verso questa Cattedra Apostolica di San Pietro e prometteva che si sarebbe pienamente impegnato affinché i fedeli del suo Patriarcato restassero immuni dagli errori del nuovo scisma Armeno, ed anzi lo detestassero dal più profondo del cuore. Di conseguenza Ci saremmo rallegrati che tutto fosse finito bene, se non Ci avesse offerto motivo di preoccupazione la reiterata richiesta dell’autorizzazione a mandare Vescovi del suo rito in Malabaria; per ottenerla, da un lato asseriva che non si era provveduto sufficientemente alle necessità di quella gente; dall’altro si sforzava di mettere avanti l’ansietà della sua coscienza, se non si fosse intervenuti sollecitamente. Dopo che l’argomento fu esaminato attentamente dalla citata Nostra Congregazione incaricata dei rapporti con i Riti Orientali, ricevuta la relazione Noi disponemmo che si rispondesse al Patriarca che Noi non potevamo essere d’accordo con le sue tesi a proposito della Malabaria. Infatti Ci risultava chiaro che esse non si sarebbero tradotte minimamente in beneficio per le anime; che da parte Nostra si era provveduto a sufficienza alla salvezza spirituale dei Malabarici; perciò si calmasse e deponesse ogni ansietà a questo proposito. Molti altri concetti vennero aggiunti in quella stessa risposta, per fortificare il suo animo, che sapevamo tentato dai suggerimenti dei malvagi, perseguitato dalle ingiurie, atterrito dalle minacce.

15. Ma poco dopo apparve chiaro quanto gli sforzi dei malvagi riescano a trascinare con sé un uomo, anche probo, quando il tempo li aiuti; in effetti, non avrebbero potuto desiderare nulla di più favorevole ai loro spregiudicati disegni. A quell’epoca infatti un nuovo scisma si era sviluppato fra gli Armeni, già era divampato e già tentava di trarre dalla propria parte ed ai propri perfidi progetti, anche controvoglia, le Chiese degli altri Riti Orientali, con lo scopo di perseguitare e depredare i cattolici. Così il 24 maggio 1874, nella solennità della Pentecoste, il Venerabile Fratello Patriarca Giuseppe osò offendere lo Spirito Santo. In quello stesso giorno infatti ebbe l’impudenza di elevare in modo sacrilego alla dignità episcopale due sacerdoti del suo rito, uno di nome Elia, l’altro Matteo; gli fecero da assistenti Elia Mello, Vescovo di Akra dei Caldei, ed Eliseo, Abate generale dei monaci di Sant’Ormisda. I due consacrati furono posti uno a capo della chiesa di Iezira, l’altro di quella di Amida, arbitrariamente e senza alcun fondamento. Lo impediva infatti la predetta Nostra Costituzione edita nel 1869. A quel punto, in spregio alle altre lettere ed ai decreti della Sede Apostolica, destinò Elia Mello come Vescovo in Malabaria; a trattenere questi dall’intraprendere il viaggio non valsero né il Nostro divieto, né la condanna della sospensione, annunciata da parte Nostra, nella quale sarebbe incorso ipso facto se avesse osato porsi in viaggio; tutto ciò gli era stato opportunamente comunicato.

16. Spinti dalla gravità e dalla frequenza di queste azioni scellerate, ordinammo che lo stesso Patriarca venisse pesantemente ammonito tramite il Nostro diletto figlio Alessandro Franchi, Cardinale di Santa Romana Chiesa al titolo di Santa Maria in Trastevere e Prefetto della ricordata Nostra Congregazione di Propaganda Fide per gli affari dei Riti Orientali. Questi inviò al Patriarca una lettera datata 27 agosto dello stesso anno, per richiamare alla sua memoria le disposizioni ed i divieti della Sede Apostolica. Le motivazioni con le quali egli s’era ingegnato di contestare tali provvedimenti erano da considerarsi confutate; disapprovato l’invio del citato Vescovo Mello in Malabaria; riprovata l’illegittima consacrazione dei due Vescovi (l’elezione di costoro era dichiarata nulla e priva assolutamente di qualunque effetto); agli stessi veniva interdetto l’esercizio di qualunque attività d’ordine episcopale. Al Patriarca veniva ordinato espressamente di richiamare personalmente il Vescovo Mello dalla Malabaria e gli altri dalle Diocesi nelle quali erano stati da lui introdotti, e di rendere conto dei suoi atti; se non l’avesse fatto entro un lasso di tempo stabilito, il Sommo Pontefice, per quanto a malincuore, avrebbe dovuto applicare nei suoi confronti le pene canoniche. Allo stesso modo furono ammoniti, per Nostra disposizione, i due sacerdoti Matteo ed Elia; fu resa loro nota la nullità della loro elezione, vietato l’esercizio dei pontificali, ordinato l’allontanamento dalle Diocesi che avevano occupato, minacciati di pene ecclesiastiche se non avessero obbedito. A questo punto dovevano essere ammoniti coloro che erano stati partecipi della consacrazione sacrilega. Dio tolse di mezzo l’abate Eliseo: questi infatti morì non molto tempo dopo, senza aver dato alcun segno di pentimento. Il Vescovo Mello, non appena arrivato in Malabaria, fu solennemente scomunicato dal Venerabile Fratello Leonardo, Arcivescovo di Nicomedia, Vicario Apostolico di Verapolis, in forza dell’autorità che gli avevamo conferito con la lettera inviatagli il 1° agosto 1874, che comincia Speculatores: una volta insediatosi, Mello fu ammonito canonicamente di andarsene, ma rifiutò di obbedire.

17. La risposta del Patriarca , fattasi aspettare a lungo, Ci dimostrò a sufficienza che egli non voleva attenersi alle Nostre disposizioni; tutto in essa tendeva ad asseverare l’integrità della sua fede e a garantire la sua devozione e sottomissione verso la Cattedra Apostolica del Beato Pietro, ma intanto egli proteggeva i suoi pretesi diritti patriarcali; e premeva perché gli permettessimo di goderli liberamente, revocando ciò che la Sede Apostolica aveva decretato per il Malabar e l’elezione dei Vescovi. Alla fine, ricordando la canizie della propria età e le fatiche sopportate, Ci incitava ad aver pietà di lui e della sua gente. Nel frattempo però non modificava la posizione né i comportamenti temerari, ché anzi non esitò a consacrare Vescovi arbitrariamente e sacrilegamente altri due sacerdoti del suo Rito, Ciriaco e Filippo Giacomo (destinando uno dei due alla diocesi di Zaku, l’altro all’India), con l’assistenza e la cooperazione all’empia consacrazione del Vescovo Tommaso Rokos e di Matteo, precedentemente consacrato in modo sacrilego dallo stesso Patriarca. A questo punto Noi Ci rattristammo terribilmente, considerando come si era ridotto miseramente, spinto dai suggerimenti dei malvagi, lo stesso Venerabile Fratello Patriarca Giuseppe, che un tempo si era mostrato sostenitore strenuo della fede cattolica e dell’unità. Riflettendo inoltre che la misericordia non deve essere remissiva, ma giusta; che se una colpa viene cancellata sconsideratamente, colui che è colpevole potrebbe esser trascinato più pesantemente nel reato; che non sarebbe misericordia ma segno di torpore e debolezza essere indulgenti in qualcosa che soddisfacesse alla voglia di uno o più, ma che poi risultasse dannosa e mortale per la salvezza di molti, ritenemmo che al Patriarca dovesse essere mandata un’altra lettera, nella quale – volendo mantenere contemporaneamente misericordia e discernimento – abbiamo ricostruito per sommi capi tutto ciò che da lui era stato e veniva erroneamente compiuto; abbiamo voluto rendergli evidente l’inconsistenza delle motivazioni con le quali egli tentava di giustificarsi, e di nuovo ammonirlo affinché obbedisse, almeno stavolta, alle disposizioni Apostoliche, com’era suo dovere; se non l’avesse fatto alla svelta, denunciavamo che Noi non Ci potevamo astenere dal seguire le orme dei Nostri Predecessori, che in caso di necessità non trascurarono di colpire anche i vecchi Patriarchi con la scomunica e persino con la deposizione. Con questo orientamento, il 15 settembre 1875 gli mandammo la seguente lettera monitoria.

Al Venerabile Fratello Giuseppe, Patriarca Babilonese dei Caldei.

Il Papa Pio IX. Venerabile Fratello, salute e Apostolica Benedizione.

18. “La risposta che tu hai fornito il 20 febbraio di quest’anno alla lettera monitoria che su Nostro comando e con la Nostra autorità ti è stata inviata dalla Nostra Congregazione di Propaganda Fide per gli affari di Rito Orientale Ci ha riempito di dolore e tristezza. Da essa infatti abbiamo capito fino a che punto il tuo cuore sia lontano da Noi, anche se Ci onori a parole, poiché dichiari che non puoi eseguire ciò che per lettera ti è stato trasmesso in Nostro nome e per Nostro volere. Se rifiuterai di obbedire alle predette ammonizioni e confermerai questa tua disubbidienza con ulteriori azioni sacrileghe, questo solo Ci rimarrebbe da fare: seguendo le regole ecclesiastiche e le norme istituite dai Santi Padri, colpirti, come è giusto, con le censure canoniche. Riflettendo però che in altri tempi tu hai professato (e anche per lettera continui a professare) la fede cattolica e il dovuto ossequio verso questa Sede Apostolica e che un tempo hai comprovato ciò con i fatti, abbiamo preferito ritenere che tu sia stato ingannato dagli astutissimi cavilli dei neo-eretici, mediante i quali si tenta di conciliare la riverenza con la disubbidienza che ti ha fatto venir meno, in effetti, ai tuoi convincimenti cattolici.

(1. Continua)

DOMENICA XIX DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XIX DOPO PENTECOSTE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

La liturgia fa leggere nell’Ufficio divino la storia di Ester verso quest’epoca (5a Domenica di Settembre). Reputiamo quindi cosa utile, al fine di rivedere ogni anno con la Chiesa tutte le figure dell’Antico Testamento e per continuare a studiare le Domeniche dopo Pentecoste in corrispondenza del Breviario, di parlare in questo giorno di Ester. – L’lntroito della Domenica 2a dopo Pentecoste è la preghiera di Mardocheo. Non potremo noi vedervi un indizio della preoccupazione della Chiesa di unire, a questo periodo liturgico, la storia di Ester ad una Messa di questo Tempo?

« Assuero, re di Susa in Persia, aveva scelto per prima regina Ester, nipote di Mardocheo. Aman, l’intendente del palazzo, avendo osservato che Mardocheo rifiutava di piegare le ginocchia davanti a lui, entrò in grande furore e, saputo che era Giudeo, giurò dì sterminare insieme a lui tutti quelli che fossero della sua razza. Accusò quindi al re gli stranieri che si erano stabiliti in tutte le città dei suo regno e ottenne che venisse dato ordine di massacrarli tutti. Quando Mardocheo lo seppe, si lamentò e fu presso tutti gli Israeliti un gran duolo.- Mardocheo disse allora a Ester che essa doveva informare il re di quanto tramava Aman, fosse pure col pericolo della sua vita medesima. » Se Dio ti ha fatta regina, non fu forse in previsione di giorni simili? ». Ed Ester digiunò tre giorni con le sue ancelle; e il terzo giorno, adorna delle sue vesti regali, si presentò davanti al re e gli domandò di prender parte ad un banchetto con lui e Aman. Il re acconsentì. E durante questo banchetto Ester disse al re: « Noi siamo destinati, io e il mio popolo, ad essere oppressi e sterminati ». Assuero sentendo che Ester era giudea, e che Mardocheo era suo zio, le disse: « Chi è colui che osa far questo? ». Ester rispose: « Il nostro avversario e nostro nemico è questo crudele Aman ». Il re, irritato contro il suo ministro, si levò e comandò che Aman fosse impiccato sulla forca che egli stesso aveva fatto preparare per Mardocheo. E l’ordine fu eseguito immediatamente, mentre veniva revocato l’editto contro i Giudei. Ester aveva salvato il suo popolo e Mardocheo divenne quel giorno stesso ministro favorito del re e uscì dal palazzo portando la veste regale azzurra e bianca, una grande corona d’oro e il mantello di porpora, e al dito l’anello regale ». — Il racconto biblico ci mostra come Dio vegli sul suo popolo e lo preservi in vista del Messia promesso. « Io sono la salvezza del popolo, dice il Signore, in qualunque tribolazione mi invochino, li esaudirò e sarò il loro Signore » (Introito). « Quando cammino nella desolazione Tu mi rendi la vita, Signore. Al disopra dei miei nemici, accesi d’ira, tu mi stendi la mano e la tua destra mi assicura la salvezza » (Off.); il Salmo del Communio parla del giusto che è oppresso dall’afflizione e che Dio non abbandona; quello del Graduale, ci mostra come, rispondendo all’appello di coloro che in Lui sperano, Dio fa cadere i peccatori nelle loro proprie reti; il Salmo dell’Alleluia canta tutte le meraviglie che il Signore ha fatto per liberare il suo popolo. Tutto questo è una figura di quanto Dio non cessa di fare per la sua Chiesa e che farà in modo speciale alla fine del mondo. Aman che il re condannò durante il banchetto in casa di Ester, è come l’uomo che è entrato al banchetto di nozze di cui parla il Vangelo, e che il re fece gettar nelle tenebre esteriori, perché non aveva la veste di nozze, cioè « perché non era rivestito dell’uomo novello che è creato a somiglianza di Dio nella vera giustizia e nella santità, per non aver deposto la menzogna e i sentimenti di collera, che nutriva in cuore verso il prossimo» (Epistola). Cosi iddio tratterà tutti coloro che, pur appartenendo al corpo della Chiesa per la loro fede, sono entrati nella sala del banchetto senza essere rivestiti, dice S. Agostino, della veste della carità. Non essendo vivificati dalla grazia santificante, non appartengono all’anima del Corpo mistico di Cristo, e rinunziando alla menzogna, dice S. Paolo, ognuno di voi parli secondo la verità al suo prossimo, perché siamo membri gli uni degli altri. Possa il sole non tramontare sull’ira vostra » (Epistola). E quelli che non avranno adempiuto a questo precetto saranno dal Giudice supremo gettati nel supplizio dell’inferno, come pure i Giudei che hanno rifiutato l’invito al pranzo di nozze del figlio del re, cioè di Gesù Cristo con la sua sposa che è la Chiesa (2° Notturno) e che hanno messo a morte profeti e gli Apostoli recanti loro questo invito. — Assuero in collera, fece impiccare Aman. Anche il Vangelo ci narra che il re montò in furore, inviò i suoi eserciti per sterminare quegli assassini e bruciò la loro città. Più di un milione di Giudei morirono nell’assedio di Gerusalemme per opera di Tito, generale dell’esercito romano, la città fu distrutta e il Tempio incendiato. Aman infedele, fu sostituito da Mardocheo; gli invitati alle nozze furono sostituiti da coloro che i servi trovarono ai crocicchi. I Gentili presero il posto dei Giudei e verso di quelli si volsero gli Apostoli, riempiti di Spirito Santo, nel giorno di Pentecoste. E al Giudizio universale, che annunziano le ultime domeniche dell’anno, queste sanzioni saranno definitive. Gli eletti prenderanno parte alle nozze eterne e i dannati saranno precipitati nelle tenebre esteriori e nelle fiamme vendicatrici, ove sarà pianto e stridore di denti. – Bisogna spogliarsi dell’uomo vecchio, dice S. Paolo, come ci si toglie una veste vecchia e rivestirsi di Cristo come ci si mette una veste nuova. Bisogna dunque rinunziare alla concupiscenza traditrice delle passioni che, come figli di Adamo, abbiamo ereditato, e aderire a Cristo accettando la verità evangelica, che ci darà la santità nei nostri rapporti con Dio e la giustizia nei nostri rapporti col prossimo. – « Dio Padre, dice S. Gregorio, ha celebrate le nozze di Dio suo Figlio, allorché l’unì alla natura umana nel seno della Vergine. E le ha celebrate specialmente allorché, per mezzo dell’Incarnazione, lo unì alla santa Chiesa. Inviò due volte i servi per invitare i suoi amici alle nozze, perché i Profeti hanno annunziata l’Incarnazione del Figlio di Dio come cosa futura e gli Apostoli come un fatto compiuto. Colui che si scusa col dover andare in campagna, rappresenta chi è troppo attaccato alle cose della terra; l’altro che si sottrae col pretesto degli affari, rappresenta chi desidera smodatamente i guadagni materiali. E ciò che è più grave, è che la maggior parte non solo rifiutano la grazia data loro di pensare al mistero dell’Incarnazione e di vivere secondo i suoi insegnamenti, ma la combattono. La Chiesa presente è chiaramente indicata dalla qualità dei convitati, tra i quali si trovano coi buoni anche i cattivi. — Cosi il grano si trova mescolato con la paglia e la rosa profumata germoglia con le spine che pungono. — All’ultima ora Dio stesso farà la separazione dei buoni dai cattivi che ora la Chiesa contiene. Quegli che entra al festino nuziale senza l’abito di nozze appartiene alla Chiesa colla fede, ma non ha la carità. Giustamente la carità è chiamata abito nuziale perché essa era posseduta dal Creatore allorché si unì alla Chiesa. Chi per la carità è venuto in mezzo agli uomini ha voluto che questa carità fosse l’abito nuziale. Allorché uno è invitato alle nozze in questo mondo, cambia di abiti per mostrare che partecipa alla gioia della sposa e dello sposo e si vergognerebbe di presentarsi con abiti spregevoli in mezzo a tutti quelli che godono e celebrano questa festa. Noi che siamo presenti alle nozze del Verbo, che abbiamo fede nella Chiesa, che ci nutriamo delle Sante Scritture e che gioiamo dell’unione della Chiesa con Dio, rivestiamo dunque il nostro cuore dell’abito della carità, che deve comprendere un doppio amore: quello di Dio e quello per il prossimo. Scrutiamo bene i nostri cuori per vedere se la contemplazione di Dio non ci faccia dimenticare il prossimo e se le cure verso il prossimo non ci facciano dimenticare Dio. La carità è vera se si ama il prossimo in Dio e se si ama teneramente il nemico per amore di Dio » (Omelia del giorno).

Incipit

In nomine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Salus pópuli ego sum, dicit Dóminus: de quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos: et ero illórum Dóminus in perpétuum

[Io sono la salvezza dei popoli, dice il Signore: in qualunque calamità mi invocheranno, io li esaudirò, e sarò il loro Signore in perpetuo.]

Ps LXXVII: 1
Attendite, pópule meus, legem meam: inclináte aurem vestram in verba oris mei.
[Ascolta, o popolo mio, la mia legge: porgi orecchio alle parole della mia bocca.]

Salus pópuli ego sum, dicit Dóminus: de quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos: et ero illórum Dóminus in perpétuum

[Io sono la salvezza dei popoli, dice il Signore: in qualunque calamità mi invocheranno, io li esaudirò, e sarò il loro Signore in perpetuo.].

Oratio

Orémus.
Omnípotens et miséricors Deus, univérsa nobis adversántia propitiátus exclúde: ut mente et córpore páriter expedíti, quæ tua sunt, líberis méntibus exsequámur.

[Onnipotente e misericordioso Iddio, allontana propizio da noi quanto ci avversa: affinché, ugualmente spediti d’anima e di corpo, compiamo con libero cuore i tuoi comandi.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes IV: 23-28


“Fratres: Renovámini spíritu mentis vestræ, et indúite novum hóminem, qui secúndum Deum creátus est in justítia et sanctitáte veritátis. Propter quod deponéntes mendácium, loquímini veritátem unusquísque cum próximo suo: quóniam sumus ínvicem membra. Irascímini, et nolíte peccáre: sol non occídat super iracúndiam vestram. Nolíte locum dare diábolo: qui furabátur, jam non furétur; magis autem labóret, operándo mánibus suis, quod bonum est, ut hábeat, unde tríbuat necessitátem patiénti.”

(“Fratelli: Rinnovatevi nello spirito della vostra mente, e rivestitevi dell’uomo nuovo, che è creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. Perciò, deposta la menzogna, ciascuno parli al suo prossimo con verità: poiché siamo membri gli uni degli altri. Nell’ira siate senza peccato: il sole non tramonti sul vostro sdegno. Non lasciate adito al diavolo. Colui che rubava non rubi più: piuttosto s’affatichi attendendo con le proprie mani a qualche cosa di onesto, per aver da far parte a chi è nel bisogno.”)

IDEALE E REALTÀ.

Il Cristianesimo è venuto al mondo con una realtà nuova e divina ch’era un ideale e con un ideale umano che era una realtà divina. Non è per quanto possa parerlo, non è un bisticcio, un gioco di parole: le parole qui traducono un concetto magnifico e che a voi, Cristiani miei uditori, dovrebbe essere famigliare. O non è forse il Cristianesimo venuto al mondo con Gesù Cristo? E non è Gesù Cristo vero uomo e vero Dio? È la formula precisa che la Chiesa mette sulle nostre labbra nelle famose benedizioni popolari e semiliturgiche. Vero. C’è l’eco di una frase di San Paolo nel brano che oggi leggiamo. Vero vuol dire qui: reale, che è realmente uomo e Dio. Ma vero vuol dire  che N. S. Gesù Cristo rappresenta in sé l’umanità quale deve, quale dovrebbe essere: Egli è il nostro modello. E San Paolo lo proclama oggi apertamente. Invita i suoi lettori, a diventare copie di Gesù Cristo. –  Dobbiamo trasformarci interiormente, ricreare in noi l’uomo nuovo, che è poi viceversa molto antico, in quanto nell’uomo nuovo si realizza quell’ideale di umanità che brillò davanti a Dio Creatore. Gesù, Signor Nostro, nella Sua reale umanità (ipostaticamente unita alla divinità) è perfetto, è ciò che Dio voleva fare e sognò di fare sin da principio, fece anzi da parte sua fin da principio. Ecco il paganesimo. – Chi è l’uomo vero? forse l’uomo pagano? l’uomo passionale e passionato? che alla passione si abbandona? alla passione, che è ragione contro la ragione? Purtroppo molti lo pensano. Salutano l’umanesimo pagano. È un ritornello preferito degli anticlericali. Il paganesimo è (o era) umano: e ciò significa ed implica che il Cristianesimo non lo è: è antiumano. Il Cristianesimo è veramente umano. È stato e continua ad essere una restaurazione. Quando si restaura un edificio, che cosa si fa? lo si prende deformato e lo si riconduce alla purezza, alla verità delle linee primitive. Dio ha restaurata l’umanità in Gesù Cristo. La linea primitiva, il disegno divino dell’uomo era bello. Dio lo aveva creato a Sua immagine e somiglianza: con un intelletto fatto per la verità, con una volontà dirizzata verso il bene. E l’uomo guastò in se stesso l’opera di Dio, si scostò dal disegno divino. Adoperò l’intelletto per ributtare coi sofismi la verità: adoperò la sua volontà per fare il male. Il senso si sovrappose alla ragione, e la passione alla volontà. Umanità rovesciata: ecco il paganesimo. – Ma viene Gesù Cristo, l’uomo nuovo, dice San Paolo, il nuovo Adamo; proprio così dice San Paolo e lo dice benissimo. Nuovo Adamo quello (è San Paolo che continua), che fu creato proprio secondo il disegno di Dio (secundum Deum) e perciò fu creato giusto e vero. E il nostro sforzo d’uomini e di Cristiani deve essere quello di ricopiare, di rifare Gesù Cristo.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CXV: 2

Dirigátur orátio mea, sicut incénsum in conspéctu tuo, Dómine.

[Si innalzi la mia preghiera come l’incenso al tuo cospetto, o Signore.]


V. Elevatio mánuum meárum sacrifícium vespertínum. Allelúja, allelúja

[L’elevazione delle mie mani sia come il sacrificio della sera. Allelúia, allelúia]
Ps CIV: 1

Alleluja

Alleluja, Alleluja

Confitémini Dómino, et invocáte nomen ejus: annuntiáte inter gentes ópera ejus. Allelúja.

[Date lode al Signore, e invocate il suo nome, fate conoscere tra le genti le sue opere.]

Evangelium

Sequéntia   sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt XXII: 1-14


“In illo témpore: Loquebátur Jesus princípibus sacerdótum et pharisaeis in parábolis, dicens: Símile factum est regnum cœlórum hómini regi, qui fecit núptias fílio suo. Et misit servos suos vocáre invitátos ad nuptias, et nolébant veníre. Iterum misit álios servos, dicens: Dícite invitátis: Ecce, prándium meum parávi, tauri mei et altília occísa sunt, et ómnia paráta: veníte ad núptias. Illi autem neglexérunt: et abiérunt, álius in villam suam, álius vero ad negotiatiónem suam: réliqui vero tenuérunt servos ejus, et contuméliis afféctos occidérunt. Rex autem cum audísset, iratus est: et, missis exercítibus suis, pérdidit homicídas illos et civitátem illórum succéndit. Tunc ait servis suis: Núptiæ quidem parátæ sunt, sed, qui invitáti erant, non fuérunt digni. Ite ergo ad exitus viárum et, quoscúmque invenéritis, vocáte ad núptias. Et egréssi servi ejus in vias, congregavérunt omnes, quos invenérunt, malos et bonos: et implétæ sunt núptiæ discumbéntium. Intrávit autem rex, ut vidéret discumbéntes, et vidit ibi hóminem non vestítum veste nuptiáli. Et ait illi: Amíce, quómodo huc intrásti non habens vestem nuptiálem? At ille obmútuit. Tunc dixit rex minístris: Ligátis mánibus et pédibus ejus, míttite eum in ténebras exterióres: ibi erit fletus et stridor déntium. Multi enim sunt vocáti, pauci vero elécti.”

(“In quel tempo Gesù ricominciò a parlare a’ principi dei Sacerdoti ed ai Farisei per via di parabole dicendo: Il regno dei cieli è simile a un re, il quale fece lo sposalizio del suo figliuolo. E mandò i suoi servi a chiamare gl’invitati alle nozze, e non volevano andare. Mandò di nuovo altri servi, dicendo: Dite agl’invitati: Il mio desinare è già in ordine, si sono ammazzati i buoi e gli animali di serbatoio, e tutto è pronto, venite alle nozze. Ma quelli misero ciò in non cale, e se ne andarono chi alla sua villa, chi al suo negozio: altri poi presero i servi di lui, e trattaronli ignominiosamente, e gli uccisero. Udito ciò il re si sdegnò; e mandate le sue milizie, sterminò quegli omicidi e diede alle fiamme le loro città. Allora disse a’ suoi servi: Le nozze erano all’ordine, ma quelli che erano stati invitati, non furono degni. Andate dunque ai capi delle strade e quanti riscontrerete chiamate tutti alle nozze. E andati i servitori di lui per le strade, radunarono quanti trovarono, e buoni e cattivi; e il banchetto fu pieno di convitati. Ma entrato il re per vedere i convitati, vi osservò un uomo che non era in abito da nozze. E dissegli: Amico, come sei tu entrato qua, non avendo la veste nuziale? Ma quegli ammutolì. Allora il re disse ai suoi ministri: Legatelo per le mani e pei piedi, e gettatelo nelle tenebre esteriori: ivi sarà pianto e stridor di denti. Imperocché molti sono i chiamati e pochi gli eletti”)

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sull’impurità.

« Ligatis manibus et pedibus ejus, mittite eum in tenebras exteriores: ibi erit fletus et stridor dentium.»

(MATTH., XXII, 13).

Se ogni peccato mortale, Fratelli miei, deve trascinarci, precipitarci, fulminarci nell’inferno, come Gesù Cristo dice nel Vangelo, quale dovrà essere la sorte di chi avrà la disgrazia di abbandonarsi al più infame peccato, il peccato dell’impurità? O mio Dio! si può osare di pronunciare il nome d’un vizio, così orribile, non solo pei Cristiani, ma anche per le creature ragionevoli? Potrò io dirlo, F. M., e potrete voi udirlo senza fremere? Ah! se potessi, mostrandovi tutta l’enormità e la spaventosa bruttezza di questo peccato, farvelo fuggire per sempre. Dio mio! può un Cristiano abbandonarsi ad una passione che lo degrada a segno da metterlo al di sotto della bestia più vile, più bruta, più immonda? Un Cristiano può abbandonarsi ad un delitto che fa tanta strage in una povera anima? Un Cristiano, dico, che è il tempio dello Spirito Santo, un membro di Gesù Cristo, può tuffarsi, avvoltolarsi, affogarsi, per così dire, nel fango d’un vizio così infame che, abbreviandogli i giorni, disonorandolo, gli prepara tanti mali e tante sventure per l’eternità? Sì, F. M., per darvi un’idea dell’enormità di questo peccato, io vi mostrerò, per quanto mi sarà possibile:

1° la spaventosa bruttezza di questo delitto;

2° in quanti modi possiamo rendercene colpevoli;

3° quali sono le cause che vi ci possono condurre;

4° infine, ciò che dobbiamo fare per preservarcene.

I. Per farvi comprendere l’enormità di questo peccato che rovina tante anime, bisognerebbe spiegarvi qui davanti tutto ciò che l’inferno ha di più orribile, di più disperato e, nel medesimo tempo, tutto ciò che la potenza di Dio esercita su una vittima colpevole d’un simile delitto. Ma, voi comprendete al pari di me, che non sarà mai possibile capire l’enormità di questo peccato, ed il rigore della giustizia di Dio verso gli impudici. Io vi dirò solo che chi commette il peccato d’impurità si rende colpevole d’una specie di sacrilegio, poiché essendo il nostro cuore il tempio dello Spirito Santo, essendo il nostro corpo un membro di Gesù Cristo, profaniamo veramente questo tempio colle impurità alle quali ci abbandoniamo; e del nostro corpo, che è un membro di Gesù Cristo, facciamo il membro d’una prostituta.« (I Cor. VI, 15, 19). Considerate ora, se potrete mai farvi un’idea approssimativa dell’oltraggio che questo peccato fa a Dio, e della punizione che esso merita. Ah! F. M., bisognerebbe potere trascinar qui, al mio posto, quella infame regina Gezabele che colle sue impudicizie ha perduto tante anime; bisognerebbe ch’ella stessa vi facesse il quadro disperante delle pene che soffre e che soffrirà per tutta l’eternità, in quel luogo di orrore dove è precipitata per le sue turpitudini. Ah! la sentireste gridare dal mezzo delle fiamme che la divorano: “Ahimè! quanto soffro! Addio cielo beato, io non ti vedrò mai, tutto è finito per me. Ah! maledetto peccato d’impurità, le fiamme della giustizia di Dio mi fanno pagar ben cari quei piaceri che ho gustati! Se avessi la fortuna di essere ancora sulla terra, quanto mi sarebbe cara la virtù della purità, ben più che nel passato! „ – Ma andiamo un po’ più avanti, F. M., forse sentirete meglio l’orrore di questo peccato. Io non parlo d’un pagano che non ha la fortuna di conoscere Dio, ma d’un Cristiano che sa quanto questo vizio sia opposto alla santità della sua condizione di figlio di Dio; d’un Cristiano che è stato bagnato dal suo Sangue adorabile, che tante volte gli ha servito di dimora e di tabernacolo. Come questo Cristiano può abbandonarsi ad un tal peccato? Dio mio! vi si può pensare senza morire di spavento? Ascoltate ciò che dice lo Spirito Santo: Chi è tanto sventurato d’abbandonarsi a questo maledetto peccato, merita di essere calpestato sotto i piedi del demonio, come le immondizie sotto i piedi degli uomini (Eccli. IX, 10). Gesù Cristo disse a S. Brigida che si vedeva costretto a preparare tormenti terribili per gli impudici, e che quasi tutti gli uomini erano infetti di questo vizio infame. Se ci prendiamo il gusto di percorrere la sacra Scrittura, vediamo che, dal principio del mondo, Dio ha perseguitato nel modo più severo gli impudici. Vedete, tutti gli uomini prima del diluvio che s’abbandonano a questo infame vizio; il Signore non può più sopportarli; si pente di averli creati; si trova costretto di punirli nel modo più spaventoso, giacché apre su di essi le cateratte del cielo, e li fa perir tutti nel diluvio universale (Gen. VI). – Bisognava che questa terra, insozzata da tanti delitti e così perversa agli occhi di Dio, fosse purificata dal diluvio; cioè dalle acque della collera del Signore. Se andate più avanti, vedete gli abitanti di Sodoma e Gomorra, e delle altre città vicine, abbandonarsi a delitti così spaventosi d’impurità, che il Signore, nella sua giusta collera, fece cadere su quei luoghi maledetti una pioggia di fuoco e di zolfo che li abbruciò coi loro abitanti; uomini, bestie, piante, campi, pietre, furono come annientati; questo luogo è stato così maledetto da Dio, che ancor oggi non è che un mare maledetto (Gen. XIX). Si chiama Mar Morto, perché non dà vita ad alcun pesce e, sulle sue rive, si trovano certi frutti di bella apparenza, ma non rinchiudenti che un pugno di cenere. In altro luogo, vediamo che il Signore ordinò a Mosè di mettere a morte ventiquattromila persone, perché si erano date all’impurità (Num. XXV, 9). Sì, F. M., possiamo dire che questo maledetto peccato dell’impurità è stato, dal principio del mondo fino alla venuta del Messia, la causa di tutte le disgrazie dei Giudei. Vedete Davide, Salomone e tanti altri. Che cosa ha attirato tanti castighi su di loro e sui loro sudditi, se non questo maledetto peccato? Dio Mio! quante anime Vi strappa questo peccato, oh! quante ne trascina all’inferno! – Se passiamo dall’Antico al Nuovo Testamento, i castighi non sono minori. S. Giovanni ci dice che Gesù Cristo gli fece vedere, in una rivelazione, il peccato d’impurità sotto la forma di una donna, seduta su di una bestia, che aveva sette teste e dieci corna, per mostrarci che questo peccato viola i dieci comandamenti della legge di Dio e racchiude tutti i sette vizi capitali (Apoc. XVII, 3). Se volete convincervene non avete che da esaminare la condotta di un impudico; vedete che non v’è comandamento ch’egli non trasgredisca, e peccato capitale di cui non si renda colpevole, accontentando i desideri del suo corpo. Non voglio entrare in tutti questi particolari; osservate voi stessi, e vedrete che ciò è vero. Ma aggiungerò che non v’è alcun peccato nel mondo che faccia commettere tanti sacrilegi: gli uni non conoscono la metà dei peccati che commettono in questo modo, e, per conseguenza, non li confessano; gli altri non li vogliono dire sebbene li conoscano; cosicché nel giorno del giudizio vedremo che non v’è altro peccato che abbia gettate tante anime nell’inferno. Sì, F. M., questo peccato è tanto orribile che noi ci nascondiamo per commetterlo; ma vorremmo anche nasconderlo a noi stessi, tanto è infame persino agli occhi di coloro che se ne rendono colpevoli!

II. —- Ma, per meglio farvi comprendere quanto questo peccato, che è così orribile, sia tuttavia comune tra i Cristiani, e quanto sia facile commetterlo, vi dirò in quanti modi si pecca contro il sesto comandamento della Legge di Dio. Si pecca in sei modi: coi pensieri, desiderii, sguardi, parole, azioni, occasioni.

1° Anzitutto coi pensieri: vi sono molti che non sanno distinguere un pensiero da un desiderio: ciò che può causare delle confessioni sacrileghe. Ascoltatemi bene e lo vedrete. Commettiamo un cattivo pensiero quando il nostro spirito volontariamente si ferma a pensare a cose impure, o riguardo a noi, o riguardo ad altri, senza desiderare però di compiere ciò che si pensa; si lascia solo infracidar lo spirito su queste cose sconce e disoneste. Ve ne confessate: bisogna dire quanto tempo vi avete lasciato fermo il vostro pensiero senza distornarlo, ed ancora se avete pensato a cose che potevano condurvici pel ricordo di qualche conversazione fatta, di qualche familiarità che vi siete permessa, o di qualche oggetto che avete visto. Il demonio vi rimette ciò davanti agli occhi appunto nella speranza di condurvi al peccato almeno di pensiero.

2° Inoltre noi pecchiamo di desiderio. Ecco, F. M., la differenza che v’è tra pensiero e desiderio; il desiderio, è il voler effettuare ciò a cui pensiamo; ma per parlarvi più chiaramente, è il voler commettere il peccato d’impurità, dopo avervi pensato per qualche tempo, allorché ne troveremo l’occasione, o la cercheremo. – Bisogna dire se questo desiderio è restato nel nostro cuore, se abbiamo fatto qualche passo per effettuare ciò che abbiamo desiderato, se abbiamo sollecitato qualcheduno a fare il male con noi; poi, quali sono le persone che abbiamo voluto condurre al male, se è un fratello, una sorella, un figlio, una madre, una cognata, un cognato, un cugino. E bisogna dire tutto questo, altrimenti la vostra confessione non varrebbe nulla. Però, non bisogna nominare le persone più di quanto sia necessario per far conoscere il proprio peccato. Certamente che, se aveste fatto del male con un fratello od una sorella, e vi accontentaste di dire che avete peccato contro la santa virtù della purità, non basterebbe davvero.

3° Si pecca cogli sguardi, quando si portano gli occhi su oggetti impuri, o su qualche cosa che possa condurci all’impurità. Non v’è porta per la quale il peccato entri sì spesso, così facilmente quanto per gli occhi; perciò il santo Giobbe diceva: “Ch’egli aveva fatto un patto coi suoi occhi di non guardare mai una persona in faccia (Giob. XXXI, 1).„

4° Noi pecchiamo colle parole. Si parla, F. M., per manifestare all’esterno ciò che si pensa internamente, cioè ciò che avviene nel nostro cuore. Voi dovete accusarvi di tutte le parole impure che avete dette, quanto tempo ha durato la vostra conversazione; qual motivo vi ha eccitato a dirle, a quali e a quante persone le avete dette. Ahimè! F. M., vi sono poveri fanciulli pei quali sarebbe meglio trovare sulla via un leone od una tigre, che certi impudici. Se, come si dice, la bocca parla per l’abbondanza del cuore, giudicate quale deve essere la corruzione di questi infami che si avvoltolano, si trascinano ed affogano, per così dire, nel fango della loro impurità. Dio mio! se voi ci dite che si conosce l’albero dal frutto, quale abisso di corruzione dev’essere questo!

5° Noi pecchiamo colle opere. Tali  sono le libertà colpevoli su se stesso o sugli altri, i baci impuri, senza osare dirvi il resto; capite abbastanza quello che dico. Dio mio! Dove sono quelli che, nelle loro confessioni si accusano di tutto questo? Ah! quanti sacrilegi questo maledetto peccato d’impurità fa commettere! Noi non lo conosceremo che nel gran giorno delle vendette. Quante giovani stanno due o tre ore con libertini che vomitano continuamente dalle loro bocche infernali ogni sorta di impurità. Mio Dio! come non bruciare in mezzo ad un braciere così ardente?

6° Si pecca colle occasioni, o dandole o prendendole. Dico col darle, come una donna indecentemente composta, che lascia il fazzoletto troppo slacciato, il collo e le spalle scoperte, o indossa vesti che delineano troppo la forma del corpo, oppure veste in un modo troppo ricercato. No, queste disgraziate non sapranno che al tribunale di Dio il numero dei peccati che avranno fatto commettere. Quante persone maritate sono meno riservate dei pagani! Una ragazza è altresì colpevole di una quantità di peccati impuri, che sono quasi sempre peccati mortali, ogni volta che è troppo facile e troppo familiare coi giovani. Si è pure colpevoli andando con persone le quali ben si sa che non hanno in bocca altro che parole sconce. Voi potete non esservene dilettati, ma avete sempre il torto di esporvi a quell’occasione. Spesso, illudendoci, crediamo di non far male, mentre pecchiamo orribilmente. Così le persone che si trovano assieme perché devono sposarsi, credono che non vi sia alcun male, se passano soli, di giorno e di notte, un tempo abbastanza lungo. Non dimenticate, F. M., che tutti gli abbracci che si danno in questi momenti, sono quasi tutti peccati mortali perché non sono provocati che da un’amicizia carnale. Quanti fidanzati non hanno alcun ritegno: si caricano dei delitti più spaventosi, e sembrano obbligare la giustizia di Dio a maledirli al momento del loro matrimonio. Voi dovete essere in questo tempo così riservati come lo siete colle vostre sorelle: tutto ciò che si fa di più è un peccato. Ahimè! mio Dio, dove sono quelli che se ne accusano? quasi nessuno. Ed ancora dove sono coloro che entrano santamente nello stato matrimoniale? Ahimè! quasi nessuno. E per questo quanti mali nel matrimonio e per l’anima e pel corpo. Ah! mio Dio! ed i genitori che lo sanno possono dormire tranquilli! Ahimè! quante anime si trascinano da sé nell’inferno! Si pecca ancora contro la santa virtù della purità quando di notte ci alziamo svestiti per uscire, e servire un ammalato, o per aprire la porta. Una madre deve guardarsi bene da ogni sguardo disonesto, e da qualsiasi contatto non necessario coi propri figliuoli. I padri, le madri, i padroni sono colpevoli di tutte le familiarità che si permettono fra di loro figli e altresì i domestici, quando possono impedirle. Si è ancora colpevoli, leggendo o dando da leggere libri cattivi o canzoni licenziose: scrivendosi lettere tra persone di sesso diverso. Si partecipa al peccato favorendo appuntamenti tra i giovani, anche sotto pretesto di matrimonio. Voi siete obbligati, F. M., a dichiarare tutte le circostanze aggravanti, se volete che le vostre confessioni siano buone. Ascoltatemi, e comprenderete meglio. Se peccate con una persona già abbandonata al vizio, che ne fa professione, vi rendete volontariamente lo schiavo di satana, ed incorrete nella dannazione eterna. Ma, insegnare il male ad un giovane, indurlo per la prima volta al male, strappargli l’innocenza, rubargli il fiore della verginità, aprire la porta del suo cuore al demonio, chiudere il cielo a quest’anima che era oggetto d’amore alle tre Persone della Ss. Trinità, renderla degna dell’esecrazione del cielo e della terra; questo peccato è ancora infinitamente più grande del primo, e siete obbligati ad accusarvene. Peccare con una persona libera, né maritata né parente è, secondo S. Paolo, un delitto che ci chiude il cielo e ci spalanca gli abissi; ma peccare con una persona legata dai vincoli del matrimonio, è un delitto che ne racchiude molti altri; è una orribile infedeltà, che profana e distrugge tutte le grazie del sacramento del matrimonio; è altresì un esecrabile spergiuro che calpesta una fede giurata ai piedi dell’altare, alla presenza non solo degli Angeli, ma di Gesù Cristo stesso; delitto che è capace di attirare ogni sorta di maledizioni non solo su di una casa, ma anche su di una parrocchia. Peccare con una persona che non è né parente né affine, è un grave peccato, peccato che ci rovina per sempre; ma peccare con una parente od affine, cioè un padre colla figlia, una madre col figlio, un fratello colla sorella, un cognato colla cognata, un cugino colla cugina, è il più grande di tutti i delitti che si possa immaginare; è prendersi giuoco delle leggi più inviolabili del pudore; è calpestare sotto i piedi i diritti più sacri della religione e della natura. Infine, peccare con una persona consacrata a Dio, è il colmo di tutti i delitti, poiché è uno spaventevole sacrilegio. Mio Dio! e vi possono essere Cristiani che si abbandonano a tutte queste turpitudini? Ahimè! se almeno, dopo tali orrori, si ricorresse al buon Dio per domandargli di strapparci da questo abisso! Ma no, si vive tranquilli, e la maggior parte non aprono gli occhi che quando cadono nell’inferno. Vi siete formata un’idea, F. M., dell’enormità di questo peccato? No, senza dubbio, perché ne avreste ben più orrore, ed avreste preso maggiori precauzioni per non cadervi.

III. — Se mi domandate ora che cosa può condurci ad un tale delitto, amico mio, non ho che da aprire il catechismo ed interrogare un fanciullo, dicendogli: Che cosa è che ci conduce ordinariamente a questo vizio detestevole? Egli semplicemente mi risponderà: Signor Parroco, sono le danze, i balli, la troppa familiarità con le persone di sesso differente; le canzoni, le parole libere, l’immodestia nel vestire, gli eccessi nel mangiare e nel bere. Dico: gli eccessi nel mangiare e nel bere. Mi domandate perché questo: eccolo, F. M.: il nostro corpo non tende che alla perdita della nostra anima: necessariamente bisogna farlo soffrire, senza di che o presto o tardi, egli getterà la nostra anima nell’inferno. Una persona che ha a cuore la salute della propria anima non lascerà passar giorno senza mortificarsi in qualche cosa, nel mangiare, nel bere, nel dormire. Riguardo all’eccesso del vino, S. Agostino ci dice chiaramente che un bevitore è impudico; ciò che è molto facile provare. Entrate in una bettola dove possiate essere in compagnia d’un bevitore; questi non avrà altro in bocca che parole le più sconce; lo vedrete fare le azioni più vergognose: e non le farebbe certo se non fosse preso dal vino. Da questo dunque vedete, F. M., che, se vogliamo conservare la purità della nostra anima, dobbiamo necessariamente rifiutare qualche soddisfazione al nostro corpo, altrimenti esso ci perderà. Dico che i balli e le danze ci conducono a questo vizio infame. È il mezzo di cui si serve il demonio per strappare l’innocenza almeno a tre quarti dei giovani. Non ho bisogno di provarvelo; troppo disgraziatamente lo sapete per vostra esperienza. Ahimè quanti cattivi pensieri, cattivi desiderii, ed azioni vergognose sono causate dalle danze! Mi basterebbe dirvi che otto concili tenuti in Francia proibivano il ballo, anche nelle nozze, sotto pena di scomunica. — Ma, mi direte, perché vi sono dei sacerdoti che danno l’assoluzione a queste persone senza riprovarle? — Riguardo a questo, io non dico nulla, ciascuno renderà conto di ciò che ha fatto. Ahimè! F. M., di dove è venutala perdita di tanti giovani? Perché non hanno più frequentato i Sacramenti? Perché hanno perfino tralasciate le loro preghiere? Non cercatene altrove la causa se non nel ballo. Di dove può venire questa grande disgrazia che molti non fanno più Pasqua, o la fanno male? Ahimè! dal ballo. Quante giovani dopo il ballo hanno perduto il loro onore, la loro povera anima, il cielo, il loro Dio! S. Agostino ci dice che minor male sarebbe lavorar tutta la domenica, che ballare. Sì, F. M., nel grande giorno del giudizio, vedremo che queste giovani mondane hanno fatto commettere più peccati che non i capelli che hanno sul capo. Ahimè! quanti sguardi maliziosi, desideri cattivi, contatti disonesti, parole impure, abbracciamenti peccaminosi, quante gelosie, questioni e litigi si vedono in un ballo od in conseguenza di esso! Per meglio convincervene, F. M., ascoltate ciò che ci dice il Signore per bocca del profeta Isaia: “I mondani danzano al suono dei flauti e dei tamburi, ed un momento dopo precipitano nell’inferno. „ (Tenent tympanum et citharam, et gaudent ad sonitum organi, Ducunt in bonis dies suos, et in puncto ad inferno descendunt. Job. XXXI, 12, 13. Questo testo è di Giobbe e non del profeta Isaia. Faremo notare che non è la sola volta che il Beato attribuisce ad un autore dei testi che appartengono ad un altro). Lo Spirito Santo ci dice per bocca del profeta Ezechiele: “Va a dire ai figli dell’amore che perché si sono dati alle danze, io li punirò rigorosamente; affinché tutto Israele sia preso da terrore. „ S. Giovanni Crisostomo ci dice che i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe non permisero mai che si danzasse alle loro nozze, temendo di attirare su di sé le maledizioni del cielo. Ma non ho bisogno di andare a cercare altre prove. Siate sinceri. Ditemi schiettamente; non è vero che non vorreste morire tornati dal ballo? Senza dubbio, perché  non sareste pronti a comparire davanti al tribunale di Dio. Ditemi, perché non vorreste morire in questo stato, e perché non mancate di confessarvene? È dunque vero; voi stessi sentite che fate male; altrimenti non avreste bisogno di accusarvene e non temereste di comparire davanti a Gesù Cristo. Ascoltate ciò che ci dice S. Carlo Borromeo parlando del ballo: al suo tempo si condannava a tre anni di pubblica penitenza una persona che andava al ballo e, se continuava, la si minacciava di scomunica. Ma non andiamo più avanti, F. M.:la morte vi proverà ciò che dico oggi, ma allora per molti sarà troppo tardi. Bisogna essere proprio ciechi per credere che non vi sia gran male nel ballo, quando vediamo che tutte le persone desiderose di assicurarsi il cielo l’hanno lasciato ed hanno pianto di esservi andate nel tempo delle loro dissolutezze. Ma, teniamo nascosto ogni cosa fino al giorno delle vendette, dove vedremo tutto ciò più chiaramente, quando la corruzione del cuore non troverà più scusa. – Dico inoltre che l’immodestia negli abiti conduce a questo vizio vergognoso. Sì, F. M., una persona che non si veste decentemente è causa di molti peccati: di sguardi maliziosi, di cattivi pensieri, di parole disoneste. Volete sapere, almeno in parte, il male di cui siete la causa? Mettetevi per un momento ai piedi del vostro crocifisso, come se foste per essere giudicati. Si può dire che le persone vestite in modo mondano sono una sorgente d’impurità, ed un veleno che dà la morte a tutti quelli che non hanno la forza di fuggirle. Vedete in esse quell’aria effeminata o piacevole, quegli sguardi penetranti, quei gesti vergognosi, che come tante saette intinte nel veleno della loro impudicizia, feriscono quasi tutti gli occhi disgraziati che li guardano. Ahimè!quanti peccati fa commettere un cuore insozzato da questo fango impuro! Ahimè! vi sono poveri cuori, che ardono di questo vizio turpe come un pugno di paglia gettata nel fuoco. Io non so se avete cominciato a farvi un’idea dell’enormità di questo peccato, e in quanti modi si può rendersene colpevoli: pregate il buon Dio, F. M., che ve lo faccia conoscere e vi faccia concepire un tale orrore, da non commetterlo mai più.

IV. — Ma, vediamo ora che cosa bisogna fare per preservarsi da questo peccato, che è così orribile agli occhi di Dio, e trascina tante povere anime nell’inferno. Per mostrarvelo in modo chiaro e semplice, non ho che da aprire ancora una volta il mio catechismo. Se domandassi ad un fanciullo quali sono i mezzi che dobbiamo usare per non cadere in questo maledetto peccato, colla solita semplicità mi risponderebbe: Ve ne sono parecchi, ma i principali sono il ritiro, la preghiera, la frequenza ai Sacramenti, una grande divozione alla santissima Vergine, la fuga delle occasioni, e lo scacciare prontamente tutti i cattivi pensieri che il demonio ci presenta. Dico che bisogna amare il ritiro; non voglio dire che bisogna nascondersi in un bosco, e neppure in un monastero, ciò che del resto sarebbe una grande fortuna per voi; ma vi dico solo che bisogna fuggire la compagnia di quelle persone le quali non parlano che di cose capaci di turbarvi la fantasia, oppure non s’occupano che di affari terreni, e niente del buon Dio. Ecco, F. M., ciò che voglio dire. La domenica soprattutto, invece d’andare a trovare i vostri vicini o le vicine, prendete un libro, per esempio l’Imitazione di Cristo, o la Vita dei Santi; vedrete come essi hanno combattute le tentazioni che il demonio faceva nascere nel loro spirito; vedrete quanti sacrifici hanno fatto per piacere a Dio e per salvare le loro anime: questo vi incoraggerà. Farete come S. Ignazio che, ferito, si mise a leggere la Vita dei Santi; vedendo le lotte che essi avevano sostenuto, ed il coraggio col quale combattevano per Dio, disse tra se stesso: “E perché non farò io come hanno fatto questi Santi? Non ho il medesimo Dio che m’aiuterà a combattere, lo stesso cielo da sperare, ed il medesimo inferno da temere? „ Voi farete lo stesso. Sì, F. M., è necessario fuggire la compagnia delle persone che non amano Dio. Stiamo col mondo solo per necessità, quando il nostro dovere vi ci chiama. Dico altresì che se vogliamo conservare la purità della nostra anima, dobbiamo amare la preghiera. Se mi domandate perché bisogna pregare, ve lo dico subito: questa bella virtù della purità viene dal cielo, e per mezzo della preghiera dobbiamo domandarla e conservarla. È certo che una persona che non ricorre alla preghiera, non conserverà mai l’anima pura agli occhi di Dio. Colla preghiera, noi conversiamo col buon Dio, cogli Angeli e coi Santi, e con questo trattenimento celeste diventiamo necessariamente spirituali; il nostro spirito ed il nostro cuore si staccano a poco a poco dalle cose create per non considerare ed amare che le cose del cielo. Non bisogna però credere che ogni volta che si è tentati noi si offenda Iddio; il peccato sta solo nell’acconsentirvi e nel piacere che vi si prende. Fossimo tentati per otto o per quindici giorni, se il peccato ci fa orrore sarà di noi come dei fanciulli nella fornace di Babilonia, che ne uscirono più belli (Dan. III. 94). Dobbiamo subito ricorrere a Dio, dicendogli: “Dio mio, aiutatemi; sapete che senza di Voi non posso far altro che perdermi; ma, colla vostra grazia, sono sicuro di uscir vittorioso dal combattimento. Ah! santa Vergine – dobbiamo dire – non permettete che il demonio rapisca la mia anima, che ha costato tanti dolori al vostro divin Figliuolo.„ Per conservare la purità, bisogna ricorrere ai Sacramenti e riceverli colle dovute disposizioni. Sì, F. M., una persona che ha la fortuna di frequentare spesso e santamente i Sacramenti, può assai facilmente conservare questa bella virtù. Ed abbiamo una prova che i Sacramenti ci sono di grande aiuto, negli sforzi che il demonio fa per allontanarcene o per farceli profanare. Vedete, quando vogliamo accostarvici: quanti timori, agitazioni, disgusti suscita in noi il demonio. Ora ci dice che noi facciamo quasi sempre male, ora che il sacerdote non ci conosce, o che non ci facciamo conoscere abbastanza, e tante altre cose. Ma, per burlarci di lui, dobbiamo raddoppiare le cure, accostarvici più spesso, e poi nasconderci nel seno della misericordia di Dio, dicendogli: “Voi sapete, o mio Dio, che io non cerco che Voi e la salvezza della mia povera anima. „ No, F. M., non v’è nulla che ci renda tanto formidabili agli occhi del demonio quanto la frequenza dei Sacramenti: eccone la prova. Vedete S. Teresa. Il demonio per bocca d’un ossesso, confessò che questa Santa gli era diventata così formidabile colla santità attinta dalle sue Comunioni, tanto che egli non poteva nemmeno respirare l’aria dove ella passava. Se ne cercate la ragione, è facile comprenderla: l’adorabile sacramento dell’Eucaristia, non è il vino che genera i vergini? (Zacc. IX). Come non esser puro ricevendo il Re della purità? Volete conservare od acquistare questa bella virtù che rende simili agli Angeli? Frequentate spesso e santamente i Sacramenti: siete sicuri che, malgrado tutti gli sforzi del demonio, avrete la grande ventura di conservare la purità della vostra anima. Se vogliamo conservar puro questo tempio dello Spirito Santo, bisogna avere una grande divozione alla Ss. Vergine, perché Ella è la Regina dei vergini. Fu Lei che per la prima, innalzò lo stendardo di questa incomparabile virtù. Vedete quanto il buon Dio la stimi: non ha sdegnato di nascere da madre povera, sconosciuta dal mondo, d’avere un padre putativo povero; ma gli occorreva una Madre pura e senza macchia, un padre putativo che riguardo alla purità fosse inferiore solo alla S. Vergine. S. Giovanni Damasceno ci incoraggia assai ad avere una tenera divozione verso la purità della S. Vergine; egli ci dice che tutto ciò che si domanda a Dio per la purità della santa Vergine lo si ottiene sempre. Ci dice che questa virtù è così gradita agli Angeli che essi in cielo cantano senza posa: “O Vergine dei vergini, noi vi lodiamo; Madre del bell’amore, vi benediciamo. „ S. Bernardo, il grande servo di Maria, ci dice che egli ha convertito più anime con l’Ave Maria che con tutti i suoi discorsi. Siete tentati? ci dice; chiamate in vostro aiuto Maria, e siate sicuri che non soccomberete alla tentazione (Hom. super Mìssus est, 17). Quando recitiamo l’Ave Maria, ci dice, tutto il cielo si rallegra e sussulta di gioia, e l’inferno intero freme ricordandosi che Maria è stata l’istrumento che Dio ha adoperato per incatenarlo. Perciò il gran santo ci raccomanda tanto la divozione verso la Madre di Dio, affinché Maria ci custodisca come suoi figli. Se siete i diletti di Maria, state sicuri di essere i diletti del Figliuol suo. Moltissimi santi Padri ci raccomandano di aver una grande divozione verso Maria, e di fare di quando in quando qualche Comunione in suo onore, e soprattutto in onore della sua santa purità; cosa che le è così accetta che essa non mancherà di farci sentire la sua intercessione presso il suo divin Figliuolo. – Per conservare questa angelica virtù dobbiamo combattere le tentazioni e fuggire le occasioni, come hanno fatto i Santi, che preferirono morire piuttosto che perdere questa bella virtù. Vedete ciò che fece il patriarca Giuseppe, che quando la moglie di Putifar volle sollecitarlo al male, le lasciò metà del mantello tra le mani (Gen. XXXIX, 12) . Vedete la casta Susanna che preferì di perdere la sua riputazione, quella della famiglia, e la stessa vita piuttosto che perdere questa virtù così gradita a Dio (Dan. XIII).Vedete ancora ciò che capitò a S. Martiniano che si era ritirato in un bosco per non pensare che a piacere a Dio. Una donna di cattiva vita venne da lui, fingendo di essersi smarrita nella foresta, e pregandolo di aver pietà di lei. Il Santo la ricevette nella solitudine e la lasciò sola. All’indomani, ritornato a veder che cosa ne fosse, la trovò ben vestita. Essa allora gli disse che Dio l’aveva mandata per unirsi con lui; ch’ella aveva grandi ricchezze nella città, ed egli avrebbe potuto così fare molte elemosine. Il Santo volle sapere se la cosa veniva da Dio o dal demonio; le disse di aspettare, perché tutti i giorni veniva gente a raccomandarsi alle sue orazioni, e non poteva lasciar loro fare inutilmente un lungo viaggio: e salì sulla montagna per vedere se arrivasse qualcheduno. Quando fu sulla montagna, sentì una voce: “Martiniano, Martiniano, che fai? tu ascolti la voce di satana. „ Ne fu così spaventato che ritornò nella solitudine, accese un gran fuoco, e vi si mise dentro: il dolore del peccato che era stato ad un punto di commettere, ed il dolore del fuoco gli fecero mandare lamentevoli grida. La disgraziata donna, accorsa alle grida gli domandò chi l’avesse messo in tale stato. “Ah! le rispose il Santo, non posso sopportare il fuoco di questo mondo; e come potrei sopportare quello dell’inferno, se per disgrazia avessi a peccare come voi volete? „ Questo fatto colpì talmente la donna, ch’ella restò nella cella del Santo, fece penitenza per tutta la sua vita, e Martiniano andò in un altro luogo a continuare le sue austerità (Ribadeneira, 13 febbraio). – Si racconta nella vita di S. Tommaso d’Aquino (Ibid., 7 Marzo), che gli venne mandata una donna di cattiva vita per indurlo al peccato. Fu fatta entrare nella sua stanza mentre egli era assente. Appena scorse quella creatura, afferrò un tizzone acceso e la scacciò vergognosamente. Vedete ancora S. Benedetto, che per liberarsi dai cattivi pensieri, si avvoltolava tra le spine, uscendone tutto grondante di sangue. Altre volte per estinguere questo fuoco impuro s’immergeva fino al collo nell’acqua ghiacciata (Ibid., 21 Marzo). Ma io non trovo nulla nella vita dei Santi che si possa paragonare al racconto di S. Girolamo. Dal fondo del suo deserto scrive ad uno dei suoi amici, e gli racconta le lotte che sopporta, e le penitenze che esercita sul suo corpo; non si può leggerlo senza piangere di compassione: “In questa vasta solitudine resa insopportabile dai raggi del sole – dice – non nutrendomi che di un poco di pane nero e di erbe crude, dormendo sulla nuda terra, non bevendo che acqua, anche quando sono ammalato, non cesso di piangere ai piedi del mio Crocifisso. Quando i miei occhi non hanno più lagrime, prendo una pietra e mi percuoto il petto fino a che il sangue mi esce dalla bocca, e ciononostante, il demonio non mi lascia tregua; bisogna aver sempre le armi in mano. „ (Lettera 22 a Eustochio, citata nella Vita dei Padri del deserto.). – Che cosa conchiuderemo, F. M., da tutto quanto ho detto? Non v’è virtù che ci renda tanto accetti a Dio, quanto la virtù della purità, e nessun vizio che tanto piaccia al demonio quanto il peccato d’impurità. Questo nemico non può tollerare che una persona consacrata a Dio, possegga questa virtù; ed è questo che deve incitarvi a non tralasciare nulla per conservarla. Perciò vegliate con cura sui vostri sguardi, sui vostri pensieri e su tutti i movimenti del vostro cuore; ricorrete frequentemente alla preghiera; fuggite le cattive compagnie, i balli, i giuochi; praticate la mortificazione; ricorrete alla Ss. Vergine; frequentate spesso i Sacramenti. Quale felicità, se saremo così fortunati da non lasciare macchiare il nostro cuore da questo maledetto peccato; poiché Gesù Cristo ci dice che solamente quelli che hanno il cuor puro vedranno Iddio. „ (Matt. V, 8). Domandiamo, F. M., ogni mattina al Signore di purificare i nostri occhi, le nostre mani, ed in generale tutti i nostri sensi affinché possiamo con confidenza comparire davanti a Gesù Cristo, che è il retaggio delle anime pure. È questa la fortuna che vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXXXVII: 7
Si ambulávero in médio tribulatiónis, vivificábis me, Dómine: et super iram inimicórum meórum exténdes manum tuam, et salvum me fáciet déxtera tua.

[Se cammino in mezzo alla tribolazione, Tu mi dai la vita, o Signore: contro l’ira dei miei nemici stendi la tua mano, e la tua destra mi salverà.]

Secreta

Hæc múnera, quǽsumus, Dómine, quæ óculis tuæ majestátis offérimus, salutária nobis esse concéde.

[Concedi, o Signore, Te ne preghiamo, che questi doni, da noi offerti in onore della tua maestà, ci siano salutari.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CXVIII: 4-5
Tu mandásti mandáta tua custodíri nimis: útinam dirigántur viæ meæ, ad custodiéndas justificatiónes tuas.

[Tu hai ordinato che i tuoi comandamenti siano osservati con grande diligenza: fai che i miei passi siano diretti all’osservanza dei tuoi precetti.]

Postcommunio

Orémus.
Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et tuis semper fáciat inhærére mandátis.

[O Signore, l’opera medicinale del tuo sacramento ci liberi benignamente dalle nostre perversità, e ci faccia vivere sempre sinceramente fedeli ai tuoi precetti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULL’IMPURITÀ

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sull’impurità.

« Ligatis manibus et pedibus ejus, mittite eum in tenebras exteriores: ibi erit fletus et stridor dentium.»

(MATTH., XXII, 13).

Se ogni peccato mortale, Fratelli miei, deve trascinarci, precipitarci, fulminarci nell’inferno, come Gesù Cristo dice nel Vangelo, quale dovrà essere la sorte di chi avrà la disgrazia di abbandonarsi al più infame peccato, il peccato dell’impurità? O mio Dio! si può osare di pronunciare il nome d’un vizio, così orribile, non solo pei Cristiani, ma anche per le creature ragionevoli? Potrò io dirlo, F. M., e potrete voi udirlo senza fremere? Ah! se potessi, mostrandovi tutta l’enormità e la spaventosa bruttezza di questo peccato, farvelo fuggire per sempre. Dio mio! può un Cristiano abbandonarsi ad una passione che lo degrada a segno da metterlo al di sotto della bestia più vile, più bruta, più immonda? Un Cristiano può abbandonarsi ad un delitto che fa tanta strage in una povera anima? Un Cristiano, dico, che è il tempio dello Spirito Santo, un membro di Gesù Cristo, può tuffarsi, avvoltolarsi, affogarsi, per così dire, nel fango d’un vizio così infame che, abbreviandogli i giorni, disonorandolo, gli prepara tanti mali e tante sventure per l’eternità? Sì, F. M., per darvi un’idea dell’enormità di questo peccato, io vi mostrerò, per quanto mi sarà possibile,

1° la spaventosa bruttezza di questo delitto;

2° in quanti modi possiamo rendercene colpevoli;

3° quali sono le cause che vi ci possono condurre;

4° infine, ciò che dobbiamo fare per preservarcene.

I. Per farvi comprendere l’enormità di questo peccato che rovina tante anime, bisognerebbe spiegarvi qui davanti tutto ciò che l’inferno ha di più orribile, di più disperato e, nel medesimo tempo, tutto ciò che la potenza di Dio esercita su una vittima colpevole d’un simile delitto. Ma, voi comprendete al pari di me, che non sarà mai possibile capire l’enormità di questo peccato, ed il rigore della giustizia di Dio verso gli impudici. Io vi dirò solo che chi commette il peccato d’impurità si rende colpevole d’una specie di sacrilegio, poiché essendo il nostro cuore il tempio dello Spirito Santo, essendo il nostro corpo un membro di Gesù Cristo, profaniamo veramente questo tempio colle impurità alle quali ci abbandoniamo; e del nostro corpo, che è un membro di Gesù Cristo, facciamo il membro d’una prostituta.« (I Cor. VI, 15, 19). Considerate ora, se potrete mai farvi un’idea approssimativa dell’oltraggio che questo peccato fa a Dio, e della punizione che esso merita. Ah! F. M., bisognerebbe potere trascinar qui, al mio posto, quella infame regina Gezabele che colle sue impudicizie ha perduto tante anime; bisognerebbe ch’ella stessa vi facesse il quadro disperante delle pene che soffre e che soffrirà per tutta l’eternità, in quel luogo di orrore dove è precipitata per le sue turpitudini. Ah! la sentireste gridare dal mezzo delle fiamme che la divorano: “Ahimè! quanto soffro! Addio cielo beato, io non ti vedrò mai, tutto è finito per me. Ah! maledetto peccato d’impurità, le fiamme della giustizia di Dio mi fanno pagar ben cari quei piaceri che ho gustati! Se avessi la fortuna di essere ancora sulla terra, quanto mi sarebbe cara la virtù della purità, ben più che nel passato! „ – Ma andiamo un po’ più avanti, F. M., forse sentirete meglio l’orrore di questo peccato. Io non parlo d’un pagano che non ha la fortuna di conoscere Dio, ma d’un Cristiano che sa quanto questo vizio sia opposto alla santità della sua condizione di figlio di Dio; d’un Cristiano che è stato bagnato dal suo Sangue adorabile, che tante volte gli ha servito di dimora e di tabernacolo. Come questo Cristiano può abbandonarsi ad un tal peccato? Dio mio! vi si può pensare senza morire di spavento? Ascoltate ciò che dice lo Spirito Santo: Chi è tanto sventurato d’abbandonarsi a questo maledetto peccato, merita di essere calpestato sotto i piedi del demonio, come le immondizie sotto i piedi degli uomini (Eccli. IX, 10). Gesù Cristo disse a S. Brigida che si vedeva costretto a preparare tormenti terribili per gli impudici, e che quasi tutti gli uomini erano infetti di questo vizio infame. Se ci prendiamo il gusto di percorrere la sacra Scrittura, vediamo che, dal principio del mondo, Dio ha perseguitato nel modo più severo gli impudici. Vedete, tutti gli uomini prima del diluvio che s’abbandonano a questo infame vizio; il Signore non può più sopportarli; si pente di averli creati; si trova costretto di punirli nel modo più spaventoso, giacché apre su di essi le cateratte del cielo, e li fa perir tutti nel diluvio universale (Gen. VI). – Bisognava che questa terra, insozzata da tanti delitti e così perversa agli occhi di Dio, fosse purificata dal diluvio; cioè dalle acque della collera del Signore. Se andate più avanti, vedete gli abitanti di Sodoma e Gomorra, e delle altre città vicine, abbandonarsi a delitti così spaventosi d’impurità, che il Signore, nella sua giusta collera, fece cadere su quei luoghi maledetti una pioggia di fuoco e di zolfo che li abbruciò coi loro abitanti; uomini, bestie, piante, campi, pietre, furono come annientati; questo luogo è stato così maledetto da Dio, che ancor oggi non è che un mare maledetto (Gen. XIX). Si chiama Mar Morto, perché non dà vita ad alcun pesce e, sulle sue rive, si trovano certi frutti di bella apparenza, ma non rinchiudenti che un pugno di cenere. In altro luogo, vediamo che il Signore ordinò a Mosè di mettere a morte ventiquattromila persone, perché si erano date all’impurità (Num. XXV, 9). Sì, F. M., possiamo dire che questo maledetto peccato dell’impurità è stato, dal principio del mondo fino alla venuta del Messia, la causa di tutte le disgrazie dei Giudei. Vedete Davide, Salomone e tanti altri. Che cosa ha attirato tanti castighi su di loro e sui loro sudditi, se non questo maledetto peccato? Dio Mio! quante anime Vi strappa questo peccato, oh! quante ne trascina all’inferno! – Se passiamo dall’Antico al Nuovo Testamento, i castighi non sono minori. S. Giovanni ci dice che Gesù Cristo gli fece vedere, in una rivelazione, il peccato d’impurità sotto la forma di una donna, seduta su di una bestia, che aveva sette teste e dieci corna, per mostrarci che questo peccato viola i dieci comandamenti della legge di Dio e racchiude tutti i sette vizi capitali (Apoc. XVII, 3). Se volete convincervene non avete che da esaminare la condotta di un impudico; vedete che non v’è comandamento ch’egli non trasgredisca, e peccato capitale di cui non si renda colpevole, accontentando i desideri del suo corpo. Non voglio entrare in tutti questi particolari; osservate voi stessi, e vedrete che ciò è vero. Ma aggiungerò che non v’è alcun peccato nel mondo che faccia commettere tanti sacrilegi: gli uni non conoscono la metà dei peccati che commettono in questo modo, e, per conseguenza, non li confessano; gli altri non li vogliono dire sebbene li conoscano; cosicché nel giorno del giudizio vedremo che non v’è altro peccato che abbia gettate tante anime nell’inferno. Sì, F. M., questo peccato è tanto orribile che noi ci nascondiamo per commetterlo; ma vorremmo anche nasconderlo a noi stessi, tanto è infame persino agli occhi di coloro che se ne rendono colpevoli!

II. —- Ma, per meglio farvi comprendere quanto questo peccato, che è così orribile, sia tuttavia comune tra i Cristiani, e quanto sia facile commetterlo, vi dirò in quanti modi si pecca contro il sesto comandamento della Legge di Dio. Si pecca in sei modi: coi pensieri, desideri, sguardi, parole, azioni, occasioni.

1° Anzitutto coi pensieri: vi sono molti che non sanno distinguere un pensiero da un desiderio: ciò che può causare delle confessioni sacrileghe. Ascoltatemi bene e lo vedrete. Commettiamo un cattivo pensiero quando il nostro spirito volontariamente si ferma a pensare a cose impure, o riguardo a noi, o riguardo ad altri, senza desiderare però di compiere ciò che si pensa; si lascia solo infracidar lo spirito su queste cose sconce e disoneste. Ve ne confessate: bisogna dire quanto tempo vi avete lasciato fermo il vostro pensiero senza distornarlo, ed ancora se avete pensato a cose che potevano condurvici pel ricordo di qualche conversazione fatta, di qualche familiarità che vi siete permessa, o di qualche oggetto che avete visto. Il demonio vi rimette ciò davanti agli occhi appunto nella speranza di condurvi al peccato almeno di pensiero.

2° Inoltre noi pecchiamo di desiderio. Ecco, F. M., la differenza che v’è tra pensiero e desiderio; il desiderio, è il voler effettuare ciò a cui pensiamo; ma per parlarvi più chiaramente, è il voler commettere il peccato d’impurità, dopo avervi pensato per qualche tempo, allorché ne troveremo l’occasione, o la cercheremo. – Bisogna dire se questo desiderio è restato nel nostro cuore, se abbiamo fatto qualche passo per effettuare ciò che abbiamo desiderato, se abbiamo sollecitato qualcheduno a fare il male con noi; poi, quali sono le persone che abbiamo voluto condurre al male, se è un fratello, una sorella, un figlio, una madre, una cognata, un cognato, un cugino. E bisogna dire tutto questo, altrimenti la vostra confessione non varrebbe nulla. Però, non bisogna nominare le persone più di quanto sia necessario per far conoscere il proprio peccato. Certamente che, se aveste fatto del male con un fratello od una sorella, e vi accontentaste di dire che avete peccato contro la santa virtù della purità, non basterebbe davvero.

3° Si pecca cogli sguardi, quando si portano gli occhi su oggetti impuri, o su qualche cosa che possa condurci all’impurità. Non v’è porta per la quale il peccato entri sì spesso, così facilmente quanto per gli occhi; perciò il santo Giobbe diceva: “Ch’egli aveva fatto un patto coi suoi occhi di non guardare mai una persona in faccia (Giob. XXXI, 1).„

4° Noi pecchiamo colle parole. Si parla, F. M., per manifestare all’esterno ciò che si pensa internamente, cioè ciò che avviene nel nostro cuore. Voi dovete accusarvi di tutte le parole impure che avete dette, quanto tempo ha durato la vostra conversazione; qual motivo vi ha eccitato a dirle, a quali e a quante persone le avete dette. Ahimè! F. M., vi sono poveri fanciulli pei quali sarebbe meglio trovare sulla via un leone od una tigre, che certi impudici. Se come si dice, la bocca parla per l’abbondanza del cuore, giudicate quale deve essere la corruzione di questi infami che si avvoltolano, si trascinano ed affogano, per così dire, nel fango della loro impurità. Dio mio! se voi ci dite che si conosce l’albero dal frutto, quale abisso di corruzione dev’essere questo!

5° Noi pecchiamo colle opere. Tali  sono le libertà colpevoli su se stesso o sugli altri, i baci impuri, senza osare dirvi il resto; capite abbastanza quello che dico. Dio mio! Dove sono quelli che, nelle loro confessioni si accusano di tutto questo? Ah! quanti sacrilegi questo maledetto peccato d’impurità fa commettere! Noi non lo conosceremo che nel gran giorno delle vendette. Quante giovani stanno due o tre ore con libertini che vomitano continuamente dalle loro bocche infernali ogni sorta di impurità. Mio Dio! come non bruciare in mezzo ad un braciere così ardente?

6° Si pecca colle occasioni, o dandole o prendendole. Dico col darle, come una donna indecentemente composta, che lascia il fazzoletto troppo slacciato, il collo e le spalle scoperte, o indossa vesti che delineano troppo la forma del corpo, oppure veste in un modo troppo ricercato. No, queste disgraziate non sapranno che al tribunale di Dio il numero dei peccati che avranno fatto commettere. Quante persone maritate sono meno riservate dei pagani! Una ragazza è altresì colpevole di una quantità di peccati impuri, che sono quasi sempre peccati mortali, ogni volta che è troppo facile e troppo familiare coi giovani. Si è pure colpevoli andando con persone le quali ben si sa che non hanno in bocca altro che parole sconce. Voi potete non esservene dilettati, ma avete sempre il torto di esporvi a quell’occasione. Spesso, illudendoci, crediamo di non far male, mentre pecchiamo orribilmente. Così le persone che si trovano assieme perché devono sposarsi, credono che non vi sia alcun male, se passano soli, di giorno e di notte, un tempo abbastanza lungo. Non dimenticate, F. M., che tutti gli abbracci che si danno in questi momenti, sono quasi tutti peccati mortali perché non sono provocati che da un’amicizia carnale. Quanti fidanzati non hanno alcun ritegno: si caricano dei delitti più spaventosi, e sembrano obbligare la giustizia di Dio a maledirli al momento del loro matrimonio. Voi dovete essere in questo tempo così riservati come lo siete colle vostre sorelle: tutto ciò che si fa di più è un peccato. Ahimè! mio Dio, dove sono quelli che se ne accusano? quasi nessuno. Ed ancora dove sono coloro che entrano santamente nello stato matrimoniale? Ahimè! quasi nessuno. E per questo quanti mali nel matrimonio e per l’anima e pel corpo. Ah! mio Dio! ed i genitori che lo sanno possono dormire tranquilli? Ahimè! quante anime si trascinano da sé nell’inferno! Si pecca ancora contro la santa virtù della purità quando di notte ci alziamo svestiti per uscire, e servire un ammalato, o per aprire la porta. Una madre deve guardarsi bene da ogni sguardo disonesto, e da qualsiasi contatto non necessario coi propri figliuoli. I padri, le madri, i padroni sono colpevoli di tutte le familiarità che si permettono fra di loro figli e altresì i domestici, quando possono impedirle. Si è ancora colpevoli, leggendo o dando da leggere libri cattivi o canzoni licenziose: scrivendosi lettere tra persone di sesso diverso. Si partecipa al peccato favorendo appuntamenti tra i giovani, anche sotto pretesto di matrimonio. Voi siete obbligati, F. M., a dichiarare tutte le circostanze aggravanti, se volete che le vostre confessioni siano buone. Ascoltatemi, e comprenderete meglio. Se peccate con una persona già abbandonata al vizio, che ne fa professione, vi rendete volontariamente lo schiavo di satana, ed incorrete nella dannazione eterna. Ma, insegnare il male ad un giovane, indurlo per la prima volta al male, strappargli l’innocenza, rubargli il fiore della verginità, aprire la porta del suo cuore al demonio, chiudere il cielo a quest’anima che era oggetto d’amore alle tre Persone della Ss. Trinità, renderla degna dell’esecrazione del cielo e della terra; questo peccato è ancora infinitamente più grande del primo, e siete obbligati ad accusarvene. Peccare con una persona libera, né maritata né parente è, secondo S. Paolo, un delitto che ci chiude il cielo e ci spalanca gli abissi; ma peccare con una persona legata dai vincoli del matrimonio, è un delitto che ne racchiude molti altri; è una orribile infedeltà, che profana e distrugge tutte le grazie del sacramento del matrimonio; è altresì un esecrabile spergiuro che calpesta una fede giurata ai piedi dell’altare, alla presenza non solo degli Angeli, ma di Gesù Cristo stesso; delitto che è capace di attirare ogni sorta di maledizioni non solo su di una casa, ma anche su di una parrocchia. Peccare con una persona che non è né parente né affine, è un grave peccato, peccato che ci rovina per sempre; ma peccare con una parente od affine, cioè un padre colla figlia, una madre col figlio, un fratello colla sorella, un cognato colla cognata, un cugino colla cugina, è il più grande di tutti i delitti che si possa immaginare; è prendersi giuoco delle leggi più inviolabili del pudore; è calpestare sotto i piedi i diritti più sacri della religione e della natura. Infine, peccare con una persona consacrata a Dio, è il colmo di tutti i delitti, poiché è uno spaventevole sacrilegio. Mio Dio! e vi possono essere Cristiani che si abbandonano a tutte queste turpitudini! Ahimè! se almeno, dopo tali orrori, si ricorresse al buon Dio per domandargli di strapparci da questo abisso! Ma no, si vive tranquilli, e la maggior parte non aprono gli occhi che quando cadono nell’inferno. Vi siete formata un’idea, F. M., dell’enormità di questo peccato? No, senza dubbio, perché ne avreste ben più orrore, ed avreste preso maggiori precauzioni per non cadervi.

III. — Se mi domandate ora che cosa può condurci ad un tale delitto, amico mio, non ho che da aprire il catechismo ed interrogare un fanciullo, dicendogli: Che cosa è che ci conduce ordinariamente a questo vizio detestevole? Egli semplicemente mi risponderà: Signor Parroco, sono le danze, i balli, la troppa familiarità con le persone di sesso differente; le canzoni, le parole libere, l’immodestia nel vestire, gli eccessi nel mangiare e nel bere. Dico: gli eccessi nel mangiare e nel bere. Mi domandate perché questo? Eccolo, F. M.: il nostro corpo non tende che alla perdita della nostra anima: necessariamente bisogna farlo soffrire, senza di che o presto o tardi, egli getterà la nostra anima nell’inferno. Una persona che ha a cuore la salute della propria anima non lascerà passar giorno senza mortificarsi in qualche cosa, nel mangiare, nel bere, nel dormire. Riguardo all’eccesso del vino, S. Agostino ci dice chiaramente che un bevitore è impudico; ciò che è molto facile provare. Entrate in una bettola dove possiate essere in compagnia d’un bevitore; questi non avrà altro in bocca che parole le più sconce; lo vedrete fare le azioni più vergognose: e non le farebbe certo se non fosse preso dal vino. Da questo dunque vedete, F. M., che, se vogliamo conservare la purità della nostra anima, dobbiamo necessariamente rifiutare qualche soddisfazione al nostro corpo, altrimenti esso ci perderà. Dico che i balli e le danze ci conducono a questo vizio infame. E il mezzo di cui si serve il demonio per strappare l’innocenza almeno a tre quarti dei giovani. Non ho bisogno di provarvelo; troppo disgraziatamente lo sapete per vostra esperienza. Ahimè quanti cattivi pensieri, cattivi desideri, ed azioni vergognose sono causate dalle danze! Mi basterebbe dirvi che otto concili tenuti in Francia proibivano il ballo, anche nelle nozze, sotto pena di scomunica. — Ma, mi direte, perché vi sono dei sacerdoti che danno l’assoluzione a queste persone senza riprovarle? — Riguardo a questo, io non dico nulla, ciascuno renderà conto di ciò che ha fatto. Ahimè! F. M., di dove è venuta la perdita di tanti giovani? Perché non hanno più frequentato i Sacramenti? Perché hanno perfino tralasciate le loro preghiere? Non cercatene altrove la causa se non nel ballo. Di dove può venire questa grande disgrazia che molti non fanno più Pasqua, o la fanno male? Ahimè! dal ballo. Quante giovani dopo il ballo hanno perduto il loro onore, la loro povera anima, il cielo, il loro Dio! S. Agostino ci dice che minor male sarebbe lavorar tutta la domenica, che ballare. Sì, F. M., nel grande giorno del giudizio, vedremo che queste giovani mondane hanno fatto commettere più peccati che non i capelli che hanno sul capo. Ahimè! quanti sguardi maliziosi, desideri cattivi, contatti disonesti, parole impure, abbracciamenti peccaminosi, quante gelosie, questioni e litigi si vedono in un ballo od in conseguenza di esso! Per meglio convincervene, F. M., ascoltate ciò che ci dice il Signore per bocca del profeta Isaia: “I mondani danzano al suono dei flauti e dei tamburi, ed un momento dopo precipitano nell’inferno. „ (Tenent tympanum et citharam, et gaudent ad sonitum organi, Ducunt in bonis dies suos, et in puncto ad inferno descendunt. Job. XXXI, 12, 13. Questo testo è di Giobbe e non del profeta Isaia. Faremo notare che non è la sola volta che il Beato attribuisce ad un autore dei testi che appartengono ad un altro). Lo Spirito Santo ci dice per bocca del profeta Ezechiele: “Va a dire ai figli dell’amore che perché si sono dati alle danze, io li punirò rigorosamente; affinché tutto Israele sia preso da terrore. „ S. Giovanni Crisostomo ci dice che i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe non permisero mai che si danzasse alle loro nozze, temendo di attirare su di sé le maledizioni del cielo. Ma non ho bisogno di andare a cercare altre prove. Siate sinceri. Ditemi schiettamente; non è vero che non vorreste morire tornati dal ballo? Senza dubbio, perché  non sareste pronti a comparire davanti al tribunale di Dio. Ditemi, perché non vorreste morire in questo stato, e perché non mancate di confessarvene? È dunque vero; voi stessi sentite che fate male; altrimenti non avreste bisogno di accusarvene e non temereste di comparire davanti a Gesù Cristo. Ascoltate ciò che ci dice S. Carlo Borromeo parlando del ballo: al suo tempo si condannava a tre anni di pubblica penitenza una persona che andava al ballo e, se continuava, la si minacciava di scomunica. Ma non andiamo più avanti, F. M.: la morte vi proverà ciò che dico oggi, ma allora per molti sarà troppo tardi. Bisogna essere proprio ciechi per credere che non vi sia gran male nel ballo, quando vediamo che tutte le persone desiderose di assicurarsi il cielo l’hanno lasciato ed hanno pianto di esservi andate nel tempo delle loro dissolutezze.Ma, teniamo nascosto ogni cosa fino al giorno delle vendette, dove vedremo tutto ciò più chiaramente, quando la corruzione del cuore non troverà più scusa. Dico inoltre che l’immodestia negli abiti conduce a questo vizio vergognoso. Sì, F. M., una persona che non si veste decentemente è causa di molti peccati: di sguardi maliziosi, di cattivi pensieri, di parole disoneste. Volete sapere, almeno in parte, il male di cui siete la causa? Mettetevi per un momento ai piedi del vostro crocifisso, come se foste per essere giudicati. Si può dire che le persone vestite in modo mondano sono una sorgente d’impurità, ed un veleno che dà la morte a tutti quelli che non hanno la forza di fuggirle. Vedete in esse quell’aria effeminata o piacevole, quegli sguardi penetranti, quei gesti vergognosi, che come tante saette intinte nel veleno della loro impudicizia, feriscono quasi tutti gli occhi disgraziati che li guardano. Ahimè! quanti peccati fa commettere un cuore insozzato da questo fango impuro! Ahimè! vi sono poveri cuori, che ardono di questo vizio turpe come un pugno di paglia gettata nel fuoco.Io non so se avete cominciato a farvi un’idea dell’enormità di questo peccato, e in quanti modi si può rendersene colpevoli: pregate il buon Dio, F. M., che ve lo faccia conoscere e vi faccia concepire un tale orrore, da non commetterlo mai più.

IV. — Ma, vediamo ora che cosa bisogna fare per preservarsi da questo peccato, che è così orribile agli occhi di Dio, e trascina tante povere anime nell’inferno. Per mostrarvelo in modo chiaro e semplice, non ho che da aprire ancora una volta il mio catechismo. Se domandassi ad un fanciullo quali sono i mezzi che dobbiamo usare per non cadere in questo maledetto peccato, colla solita semplicità mi risponderebbe: ve ne sono parecchi, ma i principali sono il ritiro, la preghiera, la frequenza ai Sacramenti, una grande divozione alla santissima Vergine, la fuga delle occasioni, e lo scacciare prontamente tutti i cattivi pensieri che il demonio ci presenta. Dico che bisogna amare il ritiro; non voglio dire che bisogna nascondersi in un bosco, e neppure in un monastero, ciò che del resto sarebbe una grande fortuna per voi; ma vi dico solo che bisogna fuggire la compagnia di quelle persone le quali non parlano che di cose capaci di turbarvi la fantasia, oppure non s’occupano che di affari terreni, e niente del buon Dio. Ecco, F. M., ciò che voglio dire. La domenica soprattutto, invece d’andare a trovare i vostri vicini o le vicine, prendete un libro, per esempio l’Imitazione di Cristo, o la Vita dei Santi; vedrete come essi hanno combattute le tentazioni che il demonio faceva nascere nel loro spirito; vedrete quanti sacrifici hanno fatto per piacere a Dio e per salvare le loro anime: questo vi incoraggerà. Farete come S. Ignazio che, ferito, si mise a leggere la Vita dei Santi; vedendo le lotte che essi avevano sostenuto, ed il coraggio col quale combattevano per Dio, disse tra se stesso: “E perché non farò io come hanno fatto questi santi? Non ho il medesimo Dio che m’aiuterà a combattere, lo stesso cielo da sperare, ed il medesimo inferno da temere „ Voi farete lo stesso. Sì, F. M., è necessario fuggire la compagnia delle persone che non amano Dio. Stiamo col mondo solo per necessità, quando il nostro dovere vi ci chiama. Dico altresì che se vogliamo conservare la purità della nostra anima, dobbiamo amare la preghiera. Se mi domandate perché bisogna pregare, ve lo dico subito: questa bella virtù della purità viene dal cielo, e per mezzo della preghiera dobbiamo domandarla e conservarla. È certo che una persona che non ricorre alla preghiera, non conserverà mai l’anima pura agli occhi di Dio. Colla preghiera, noi conversiamo col buon Dio, cogli Angeli e coi Santi, e con questo trattenimento celeste diventiamo necessariamente spirituali; il nostro spirito ed il nostro cuore si staccano a poco a poco dalle cose create per non considerare ed amare che le cose del cielo. Non bisogna però credere che ogni volta che si è tentati noi si offenda Iddio; il peccato sta solo nell’acconsentirvi e nel piacere che vi si prende. Fossimo tentati per otto o per quindici giorni, se il peccato ci fa orrore sarà di noi come dei fanciulli nella fornace di Babilonia, che ne uscirono più belli (Dan. III. 94). Dobbiamo subito ricorrere a Dio, dicendogli: “Dio mio, aiutatemi; sapete che senza di Voi non posso far altro che perdermi; ma, colla vostra grazia, sono sicuro di uscir vittorioso dal combattimento. Ah! santa Vergine – dobbiamo dire – non permettete che il demonio rapisca la mia anima, che ha costato tanti dolori al vostro divin Figliuolo.„ Per conservare la purità, bisogna ricorrere ai Sacramenti e riceverli colle dovute disposizioni. Sì, F. M., una persona che ha la fortuna di frequentare spesso e santamente i Sacramenti, può assai facilmente conservare questa bella virtù. Ed abbiamo una prova che i Sacramenti ci sono di grande aiuto, negli sforzi che il demonio fa per allontanarcene o per farceli profanare. Vedete, quando vogliamo accostarvici: quanti timori, agitazioni, disgusti suscita in noi il demonio. Ora ci dice che noi facciamo quasi sempre male, ora che il sacerdote non ci conosce, o che non ci facciamo conoscere abbastanza, e tante altre cose. Ma, per burlarci di lui, dobbiamo raddoppiare le cure, accostarvici più spesso, e poi nasconderci nel seno della misericordia di Dio, dicendogli: “Voi sapete, o mio Dio, che io non cerco che Voi e la salvezza della mia povera anima. „ No, F. M., non v’è nulla che ci renda tanto formidabili agli occhi del demonio quanto la frequenza dei Sacramenti: eccone la prova. Vedete S. Teresa. Il demonio per bocca d’un ossesso, confessò che questa santa gli era diventata così formidabile colla santità attinta dalle sue Comunioni, tanto che egli non poteva nemmeno respirare l’aria dove ella passava. Se ne cercate la ragione, è facile comprenderla: l’adorabile sacramento dell’Eucaristia, non è il vino che genera i vergini? (Zacc. IX). Come non esser puro ricevendo il Re della purità? Volete conservare od acquistare questa bella virtù che rende simili agli Angeli? Frequentate spesso e santamente i Sacramenti: siete sicuri che, malgrado tutti gli sforzi del demonio, avrete la grande ventura di conservare la purità della vostra anima. Se vogliamo conservar puro questo tempio dello Spirito Santo, bisogna avere una grande divozione alla Ss. Vergine, perché Ella è la Regina dei vergini. Fu Lei che per la prima, innalzò lo stendardo di questa incomparabile virtù. Vedete quanto il buon Dio la stima: non ha sdegnato di nascere da madre povera, sconosciuta dal mondo, d’avere un padre putativo povero; ma gli occorreva una madre pura e senza macchia, un padre putativo che riguardo alla purità fosse inferiore solo alla S. Vergine. S. Giovanni Damasceno ci incoraggia assai ad avere una tenera divozione verso la purità della S. Vergine; egli ci dice che tutto ciò che si domanda a Dio per la purità della santa Vergine lo si ottiene sempre. Ci dice che questa virtù è così gradita agli Angeli che essi in cielo cantano senza posa: “O Vergine dei vergini, noi vi lodiamo; Madre del bell’amore, vi benediciamo. „ S. Bernardo, il grande servo di Maria, ci dice che egli ha convertito più anime con l’Ave Maria che con tutti i suoi discorsi. Siete tentati? ci dice; chiamate in vostro aiuto Maria, e siate sicuri che non soccomberete alla tentazione (Hom. super Mìssus est, 17). Quando recitiamo l’Ave Maria, ci dice, tatto il cielo si rallegra e sussulta di gioia, e l’inferno intero freme ricordandosi che Maria è stata l’istrumento che Dio ha adoperato per incatenarlo. Perciò il gran santo ci raccomanda tanto la divozione verso la Madre di Dio, affinché Maria ci custodisca come suoi figli. Se siete i diletti di Maria, state sicuri di essere i diletti del Figliuol suo. Moltissimi santi Padri ci raccomandano di aver una grande divozione verso Maria, e di fare di quando in quando qualche Comunione in suo onore, e soprattutto in onore della sua santa purità; cosa che le è così accetta che essa non mancherà di farci sentire la sua intercessione presso il suo divin Figliuolo. – Per conservare questa angelica virtù dobbiamo combattere le tentazioni e fuggire le occasioni, come hanno fatto i Santi, che preferirono morire piuttosto che perdere questa bella virtù. Vedete ciò che fece il patriarca Giuseppe, che quando la moglie di Putifar volle sollecitarlo al male, le lasciò metà del mantello tra le mani (Gen. XXXIX, 12) . Vedete la casta Susanna che preferì di perdere la sua riputazione, quella della famiglia, e la stessa vita piuttosto che perdere questa virtù così gradita a Dio (Dan. XIII). Vedete ancora ciò che capitò a S. Martiniano che si era ritirato in un bosco per non pensare che a piacere a Dio. Una donna di cattiva vita venne da lui, fingendo di essersi smarrita nella foresta, e pregandolo di aver pietà di lei. Il Santo la ricevette nella solitudine e la lasciò sola. All’indomani, ritornato a veder che cosa ne fosse, la trovò ben vestita. Essa allora gli disse che Dio l’aveva mandata per unirsi con lui; ch’essa aveva grandi ricchezze nella città, ed egli avrebbe potuto così fare molte elemosine. Il Santo volle sapere se la cosa veniva da Dio o dal demonio; le disse di aspettare, perché tutti i giorni veniva gente a raccomandarsi alle sue orazioni, e non poteva lasciar loro fare inutilmente un lungo viaggio: e salì sulla montagna per vedere se arrivasse qualcheduno. Quando fu sulla montagna, sentì una voce: “Martiniano, Martiniano, che fai? tu ascolti la voce di satana. „ Ne fu così spaventato che ritornò nella solitudine, accese un gran fuoco, e vi si mise dentro: il dolore del peccato che era stato ad un punto di commettere, ed il dolore del fuoco gli fecero mandare lamentevoli grida. La disgraziata donna, accorsa alle grida gli domandò chi l’avesse messo in tale stato. “Ah! le rispose il santo, non posso sopportare il fuoco di questo mondo; e come potrei sopportare quello dell’inferno, se per disgrazia avessi a peccare come voi volete? „ Questo fatto colpì talmente la donna, ch’essa restò nella cella del Santo, fece penitenza per tutta la sua vita, e Martiniano andò in un altro luogo a continuare le sue austerità (Ribadeneira, 13 febbraio). – Si racconta nella vita di S. Tommaso d’Aquino (Ibid., 7 Marzo), che gli venne mandata una donna di cattiva vita per indurlo al peccato. Fu fatta entrare nella sua stanza mentre egli era assente. Appena scorse quella creatura, afferrò un tizzone acceso e la scacciò vergognosamente. Vedete ancora S. Benedetto, che per liberarsi dai cattivi pensieri, si avvoltolava tra le spine, uscendone tutto grondante di sangue. Altre volte per estinguere questo fuoco impuro s’immergeva fino al collo nell’acqua ghiacciata (Ibid., 21 Marzo). Ma io non trovo nulla nella vita dei Santi che si possa paragonare al racconto di S. Girolamo. Dal fondo del suo deserto scrive ad uno dei suoi amici, e gli racconta le lotte che sopporta, e le penitenze che esercita sul suo corpo; non si può leggerlo senza piangere di compassione: “In questa vasta solitudine resa insopportabile dai raggi del sole – dice – non nutrendomi che di un poco di pane nero e di erbe crude, dormendo sulla nuda terra, non bevendo che acqua, anche quando sono ammalato, non cesso di piangere ai piedi del mio crocifisso. Quando i miei occhi non hanno più lagrime, prendo una pietra e mi percuoto il petto fino a che il sangue mi esce dalla bocca, e ciononostante, il demonio non mi lascia tregua; bisogna aver sempre le armi in mano. „ (Lettera 22 a Eustochio, citata nella Vita dei Padri del deserto.). – Che cosa conchiuderemo, F . M., da tutto quanto ho detto? Non v’è virtù che ci renda tanto accetti a Dio, quanto la virtù della purità, e nessun vizio che tanto piaccia al demonio quanto il peccato d’impurità. Questo nemico non può tollerare che una persona consacrata a Dio, possegga questa virtù; ed è questo che deve incitarvi a non tralasciare nulla per conservarla. Perciò vegliate con cura sui vostri sguardi, sui vostri pensieri e su tutti i movimenti del vostro cuore; ricorrete frequentemente alla preghiera; fuggite le cattive compagnie, i balli, i giuochi; praticate la mortificazione; ricorrete alla Ss. Vergine; frequentate spesso i Sacramenti. Quale felicità, se saremo così fortunati da non lasciare macchiare il nostro cuore da questo maledetto peccato; poiché Gesù Cristo ci dice che solamente quelli che hanno il cuor puro vedranno Iddio. „ (Matt. V, 8). Domandiamo, F. M., ogni mattina al Signore di purificare i nostri occhi, le nostre mani, ed in generale tutti i nostri sensi affinché possiamo con confidenza comparire davanti a Gesù Cristo, che è il retaggio delle anime pure. È questa la fortuna che vi auguro.