DOMENICA XIX DOPO PENTECOSTE (2021)
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Semidoppio. – Paramenti verdi.
La liturgia fa leggere nell’Ufficio divino la storia di Ester verso quest’epoca (5a Domenica di Settembre). Reputiamo quindi cosa utile, al fine di rivedere ogni anno con la Chiesa tutte le figure dell’Antico Testamento e per continuare a studiare le Domeniche dopo Pentecoste in corrispondenza del Breviario, di parlare in questo giorno di Ester. – L’lntroito della Domenica 2a dopo Pentecoste è la preghiera di Mardocheo. Non potremo noi vedervi un indizio della preoccupazione della Chiesa di unire, a questo periodo liturgico, la storia di Ester ad una Messa di questo Tempo?
« Assuero, re di Susa in Persia, aveva scelto per prima regina Ester, nipote di Mardocheo. Aman, l’intendente del palazzo, avendo osservato che Mardocheo rifiutava di piegare le ginocchia davanti a lui, entrò in grande furore e, saputo che era Giudeo, giurò dì sterminare insieme a lui tutti quelli che fossero della sua razza. Accusò quindi al re gli stranieri che si erano stabiliti in tutte le città dei suo regno e ottenne che venisse dato ordine di massacrarli tutti. Quando Mardocheo lo seppe, si lamentò e fu presso tutti gli Israeliti un gran duolo.- Mardocheo disse allora a Ester che essa doveva informare il re di quanto tramava Aman, fosse pure col pericolo della sua vita medesima. » Se Dio ti ha fatta regina, non fu forse in previsione di giorni simili? ». Ed Ester digiunò tre giorni con le sue ancelle; e il terzo giorno, adorna delle sue vesti regali, si presentò davanti al re e gli domandò di prender parte ad un banchetto con lui e Aman. Il re acconsentì. E durante questo banchetto Ester disse al re: « Noi siamo destinati, io e il mio popolo, ad essere oppressi e sterminati ». Assuero sentendo che Ester era giudea, e che Mardocheo era suo zio, le disse: « Chi è colui che osa far questo? ». Ester rispose: « Il nostro avversario e nostro nemico è questo crudele Aman ». Il re, irritato contro il suo ministro, si levò e comandò che Aman fosse impiccato sulla forca che egli stesso aveva fatto preparare per Mardocheo. E l’ordine fu eseguito immediatamente, mentre veniva revocato l’editto contro i Giudei. Ester aveva salvato il suo popolo e Mardocheo divenne quel giorno stesso ministro favorito del re e uscì dal palazzo portando la veste regale azzurra e bianca, una grande corona d’oro e il mantello di porpora, e al dito l’anello regale ». — Il racconto biblico ci mostra come Dio vegli sul suo popolo e lo preservi in vista del Messia promesso. « Io sono la salvezza del popolo, dice il Signore, in qualunque tribolazione mi invochino, li esaudirò e sarò il loro Signore » (Introito). « Quando cammino nella desolazione Tu mi rendi la vita, Signore. Al disopra dei miei nemici, accesi d’ira, tu mi stendi la mano e la tua destra mi assicura la salvezza » (Off.); il Salmo del Communio parla del giusto che è oppresso dall’afflizione e che Dio non abbandona; quello del Graduale, ci mostra come, rispondendo all’appello di coloro che in Lui sperano, Dio fa cadere i peccatori nelle loro proprie reti; il Salmo dell’Alleluia canta tutte le meraviglie che il Signore ha fatto per liberare il suo popolo. Tutto questo è una figura di quanto Dio non cessa di fare per la sua Chiesa e che farà in modo speciale alla fine del mondo. Aman che il re condannò durante il banchetto in casa di Ester, è come l’uomo che è entrato al banchetto di nozze di cui parla il Vangelo, e che il re fece gettar nelle tenebre esteriori, perché non aveva la veste di nozze, cioè « perché non era rivestito dell’uomo novello che è creato a somiglianza di Dio nella vera giustizia e nella santità, per non aver deposto la menzogna e i sentimenti di collera, che nutriva in cuore verso il prossimo» (Epistola). Cosi iddio tratterà tutti coloro che, pur appartenendo al corpo della Chiesa per la loro fede, sono entrati nella sala del banchetto senza essere rivestiti, dice S. Agostino, della veste della carità. Non essendo vivificati dalla grazia santificante, non appartengono all’anima del Corpo mistico di Cristo, e rinunziando alla menzogna, dice S. Paolo, ognuno di voi parli secondo la verità al suo prossimo, perché siamo membri gli uni degli altri. Possa il sole non tramontare sull’ira vostra » (Epistola). E quelli che non avranno adempiuto a questo precetto saranno dal Giudice supremo gettati nel supplizio dell’inferno, come pure i Giudei che hanno rifiutato l’invito al pranzo di nozze del figlio del re, cioè di Gesù Cristo con la sua sposa che è la Chiesa (2° Notturno) e che hanno messo a morte profeti e gli Apostoli recanti loro questo invito. — Assuero in collera, fece impiccare Aman. Anche il Vangelo ci narra che il re montò in furore, inviò i suoi eserciti per sterminare quegli assassini e bruciò la loro città. Più di un milione di Giudei morirono nell’assedio di Gerusalemme per opera di Tito, generale dell’esercito romano, la città fu distrutta e il Tempio incendiato. Aman infedele, fu sostituito da Mardocheo; gli invitati alle nozze furono sostituiti da coloro che i servi trovarono ai crocicchi. I Gentili presero il posto dei Giudei e verso di quelli si volsero gli Apostoli, riempiti di Spirito Santo, nel giorno di Pentecoste. E al Giudizio universale, che annunziano le ultime domeniche dell’anno, queste sanzioni saranno definitive. Gli eletti prenderanno parte alle nozze eterne e i dannati saranno precipitati nelle tenebre esteriori e nelle fiamme vendicatrici, ove sarà pianto e stridore di denti. – Bisogna spogliarsi dell’uomo vecchio, dice S. Paolo, come ci si toglie una veste vecchia e rivestirsi di Cristo come ci si mette una veste nuova. Bisogna dunque rinunziare alla concupiscenza traditrice delle passioni che, come figli di Adamo, abbiamo ereditato, e aderire a Cristo accettando la verità evangelica, che ci darà la santità nei nostri rapporti con Dio e la giustizia nei nostri rapporti col prossimo. – « Dio Padre, dice S. Gregorio, ha celebrate le nozze di Dio suo Figlio, allorché l’unì alla natura umana nel seno della Vergine. E le ha celebrate specialmente allorché, per mezzo dell’Incarnazione, lo unì alla santa Chiesa. Inviò due volte i servi per invitare i suoi amici alle nozze, perché i Profeti hanno annunziata l’Incarnazione del Figlio di Dio come cosa futura e gli Apostoli come un fatto compiuto. Colui che si scusa col dover andare in campagna, rappresenta chi è troppo attaccato alle cose della terra; l’altro che si sottrae col pretesto degli affari, rappresenta chi desidera smodatamente i guadagni materiali. E ciò che è più grave, è che la maggior parte non solo rifiutano la grazia data loro di pensare al mistero dell’Incarnazione e di vivere secondo i suoi insegnamenti, ma la combattono. La Chiesa presente è chiaramente indicata dalla qualità dei convitati, tra i quali si trovano coi buoni anche i cattivi. — Cosi il grano si trova mescolato con la paglia e la rosa profumata germoglia con le spine che pungono. — All’ultima ora Dio stesso farà la separazione dei buoni dai cattivi che ora la Chiesa contiene. Quegli che entra al festino nuziale senza l’abito di nozze appartiene alla Chiesa colla fede, ma non ha la carità. Giustamente la carità è chiamata abito nuziale perché essa era posseduta dal Creatore allorché si unì alla Chiesa. Chi per la carità è venuto in mezzo agli uomini ha voluto che questa carità fosse l’abito nuziale. Allorché uno è invitato alle nozze in questo mondo, cambia di abiti per mostrare che partecipa alla gioia della sposa e dello sposo e si vergognerebbe di presentarsi con abiti spregevoli in mezzo a tutti quelli che godono e celebrano questa festa. Noi che siamo presenti alle nozze del Verbo, che abbiamo fede nella Chiesa, che ci nutriamo delle Sante Scritture e che gioiamo dell’unione della Chiesa con Dio, rivestiamo dunque il nostro cuore dell’abito della carità, che deve comprendere un doppio amore: quello di Dio e quello per il prossimo. Scrutiamo bene i nostri cuori per vedere se la contemplazione di Dio non ci faccia dimenticare il prossimo e se le cure verso il prossimo non ci facciano dimenticare Dio. La carità è vera se si ama il prossimo in Dio e se si ama teneramente il nemico per amore di Dio » (Omelia del giorno).
Incipit
In nomine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Salus pópuli ego sum, dicit Dóminus: de quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos: et ero illórum Dóminus in perpétuum
[Io sono la salvezza dei popoli, dice il Signore: in qualunque calamità mi invocheranno, io li esaudirò, e sarò il loro Signore in perpetuo.]
Ps LXXVII: 1
Attendite, pópule meus, legem meam: inclináte aurem vestram in verba oris mei.
[Ascolta, o popolo mio, la mia legge: porgi orecchio alle parole della mia bocca.]
Salus pópuli ego sum, dicit Dóminus: de quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos: et ero illórum Dóminus in perpétuum
[Io sono la salvezza dei popoli, dice il Signore: in qualunque calamità mi invocheranno, io li esaudirò, e sarò il loro Signore in perpetuo.].
Oratio
Orémus.
Omnípotens et miséricors Deus, univérsa nobis adversántia propitiátus exclúde: ut mente et córpore páriter expedíti, quæ tua sunt, líberis méntibus exsequámur.
[Onnipotente e misericordioso Iddio, allontana propizio da noi quanto ci avversa: affinché, ugualmente spediti d’anima e di corpo, compiamo con libero cuore i tuoi comandi.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes IV: 23-28
“Fratres: Renovámini spíritu mentis vestræ, et indúite novum hóminem, qui secúndum Deum creátus est in justítia et sanctitáte veritátis. Propter quod deponéntes mendácium, loquímini veritátem unusquísque cum próximo suo: quóniam sumus ínvicem membra. Irascímini, et nolíte peccáre: sol non occídat super iracúndiam vestram. Nolíte locum dare diábolo: qui furabátur, jam non furétur; magis autem labóret, operándo mánibus suis, quod bonum est, ut hábeat, unde tríbuat necessitátem patiénti.”
(“Fratelli: Rinnovatevi nello spirito della vostra mente, e rivestitevi dell’uomo nuovo, che è creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. Perciò, deposta la menzogna, ciascuno parli al suo prossimo con verità: poiché siamo membri gli uni degli altri. Nell’ira siate senza peccato: il sole non tramonti sul vostro sdegno. Non lasciate adito al diavolo. Colui che rubava non rubi più: piuttosto s’affatichi attendendo con le proprie mani a qualche cosa di onesto, per aver da far parte a chi è nel bisogno.”)
IDEALE E REALTÀ.
Il Cristianesimo è venuto al mondo con una realtà nuova e divina ch’era un ideale e con un ideale umano che era una realtà divina. Non è per quanto possa parerlo, non è un bisticcio, un gioco di parole: le parole qui traducono un concetto magnifico e che a voi, Cristiani miei uditori, dovrebbe essere famigliare. O non è forse il Cristianesimo venuto al mondo con Gesù Cristo? E non è Gesù Cristo vero uomo e vero Dio? È la formula precisa che la Chiesa mette sulle nostre labbra nelle famose benedizioni popolari e semiliturgiche. Vero. C’è l’eco di una frase di San Paolo nel brano che oggi leggiamo. Vero vuol dire qui: reale, che è realmente uomo e Dio. Ma vero vuol dire che N. S. Gesù Cristo rappresenta in sé l’umanità quale deve, quale dovrebbe essere: Egli è il nostro modello. E San Paolo lo proclama oggi apertamente. Invita i suoi lettori, a diventare copie di Gesù Cristo. – Dobbiamo trasformarci interiormente, ricreare in noi l’uomo nuovo, che è poi viceversa molto antico, in quanto nell’uomo nuovo si realizza quell’ideale di umanità che brillò davanti a Dio Creatore. Gesù, Signor Nostro, nella Sua reale umanità (ipostaticamente unita alla divinità) è perfetto, è ciò che Dio voleva fare e sognò di fare sin da principio, fece anzi da parte sua fin da principio. Ecco il paganesimo. – Chi è l’uomo vero? forse l’uomo pagano? l’uomo passionale e passionato? che alla passione si abbandona? alla passione, che è ragione contro la ragione? Purtroppo molti lo pensano. Salutano l’umanesimo pagano. È un ritornello preferito degli anticlericali. Il paganesimo è (o era) umano: e ciò significa ed implica che il Cristianesimo non lo è: è antiumano. Il Cristianesimo è veramente umano. È stato e continua ad essere una restaurazione. Quando si restaura un edificio, che cosa si fa? lo si prende deformato e lo si riconduce alla purezza, alla verità delle linee primitive. Dio ha restaurata l’umanità in Gesù Cristo. La linea primitiva, il disegno divino dell’uomo era bello. Dio lo aveva creato a Sua immagine e somiglianza: con un intelletto fatto per la verità, con una volontà dirizzata verso il bene. E l’uomo guastò in se stesso l’opera di Dio, si scostò dal disegno divino. Adoperò l’intelletto per ributtare coi sofismi la verità: adoperò la sua volontà per fare il male. Il senso si sovrappose alla ragione, e la passione alla volontà. Umanità rovesciata: ecco il paganesimo. – Ma viene Gesù Cristo, l’uomo nuovo, dice San Paolo, il nuovo Adamo; proprio così dice San Paolo e lo dice benissimo. Nuovo Adamo quello (è San Paolo che continua), che fu creato proprio secondo il disegno di Dio (secundum Deum) e perciò fu creato giusto e vero. E il nostro sforzo d’uomini e di Cristiani deve essere quello di ricopiare, di rifare Gesù Cristo.
P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.
(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)
Graduale
Ps CXV: 2
Dirigátur orátio mea, sicut incénsum in conspéctu tuo, Dómine.
[Si innalzi la mia preghiera come l’incenso al tuo cospetto, o Signore.]
V. Elevatio mánuum meárum sacrifícium vespertínum. Allelúja, allelúja
[L’elevazione delle mie mani sia come il sacrificio della sera. Allelúia, allelúia]
Ps CIV: 1
Alleluja
Alleluja, Alleluja
Confitémini Dómino, et invocáte nomen ejus: annuntiáte inter gentes ópera ejus. Allelúja.
[Date lode al Signore, e invocate il suo nome, fate conoscere tra le genti le sue opere.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt XXII: 1-14
“In illo témpore: Loquebátur Jesus princípibus sacerdótum et pharisaeis in parábolis, dicens: Símile factum est regnum cœlórum hómini regi, qui fecit núptias fílio suo. Et misit servos suos vocáre invitátos ad nuptias, et nolébant veníre. Iterum misit álios servos, dicens: Dícite invitátis: Ecce, prándium meum parávi, tauri mei et altília occísa sunt, et ómnia paráta: veníte ad núptias. Illi autem neglexérunt: et abiérunt, álius in villam suam, álius vero ad negotiatiónem suam: réliqui vero tenuérunt servos ejus, et contuméliis afféctos occidérunt. Rex autem cum audísset, iratus est: et, missis exercítibus suis, pérdidit homicídas illos et civitátem illórum succéndit. Tunc ait servis suis: Núptiæ quidem parátæ sunt, sed, qui invitáti erant, non fuérunt digni. Ite ergo ad exitus viárum et, quoscúmque invenéritis, vocáte ad núptias. Et egréssi servi ejus in vias, congregavérunt omnes, quos invenérunt, malos et bonos: et implétæ sunt núptiæ discumbéntium. Intrávit autem rex, ut vidéret discumbéntes, et vidit ibi hóminem non vestítum veste nuptiáli. Et ait illi: Amíce, quómodo huc intrásti non habens vestem nuptiálem? At ille obmútuit. Tunc dixit rex minístris: Ligátis mánibus et pédibus ejus, míttite eum in ténebras exterióres: ibi erit fletus et stridor déntium. Multi enim sunt vocáti, pauci vero elécti.”
(“In quel tempo Gesù ricominciò a parlare a’ principi dei Sacerdoti ed ai Farisei per via di parabole dicendo: Il regno dei cieli è simile a un re, il quale fece lo sposalizio del suo figliuolo. E mandò i suoi servi a chiamare gl’invitati alle nozze, e non volevano andare. Mandò di nuovo altri servi, dicendo: Dite agl’invitati: Il mio desinare è già in ordine, si sono ammazzati i buoi e gli animali di serbatoio, e tutto è pronto, venite alle nozze. Ma quelli misero ciò in non cale, e se ne andarono chi alla sua villa, chi al suo negozio: altri poi presero i servi di lui, e trattaronli ignominiosamente, e gli uccisero. Udito ciò il re si sdegnò; e mandate le sue milizie, sterminò quegli omicidi e diede alle fiamme le loro città. Allora disse a’ suoi servi: Le nozze erano all’ordine, ma quelli che erano stati invitati, non furono degni. Andate dunque ai capi delle strade e quanti riscontrerete chiamate tutti alle nozze. E andati i servitori di lui per le strade, radunarono quanti trovarono, e buoni e cattivi; e il banchetto fu pieno di convitati. Ma entrato il re per vedere i convitati, vi osservò un uomo che non era in abito da nozze. E dissegli: Amico, come sei tu entrato qua, non avendo la veste nuziale? Ma quegli ammutolì. Allora il re disse ai suoi ministri: Legatelo per le mani e pei piedi, e gettatelo nelle tenebre esteriori: ivi sarà pianto e stridor di denti. Imperocché molti sono i chiamati e pochi gli eletti”)
Omelia
(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)
Sull’impurità.
« Ligatis manibus et pedibus ejus, mittite eum in tenebras exteriores: ibi erit fletus et stridor dentium.»
(MATTH., XXII, 13).
Se ogni peccato mortale, Fratelli miei, deve trascinarci, precipitarci, fulminarci nell’inferno, come Gesù Cristo dice nel Vangelo, quale dovrà essere la sorte di chi avrà la disgrazia di abbandonarsi al più infame peccato, il peccato dell’impurità? O mio Dio! si può osare di pronunciare il nome d’un vizio, così orribile, non solo pei Cristiani, ma anche per le creature ragionevoli? Potrò io dirlo, F. M., e potrete voi udirlo senza fremere? Ah! se potessi, mostrandovi tutta l’enormità e la spaventosa bruttezza di questo peccato, farvelo fuggire per sempre. Dio mio! può un Cristiano abbandonarsi ad una passione che lo degrada a segno da metterlo al di sotto della bestia più vile, più bruta, più immonda? Un Cristiano può abbandonarsi ad un delitto che fa tanta strage in una povera anima? Un Cristiano, dico, che è il tempio dello Spirito Santo, un membro di Gesù Cristo, può tuffarsi, avvoltolarsi, affogarsi, per così dire, nel fango d’un vizio così infame che, abbreviandogli i giorni, disonorandolo, gli prepara tanti mali e tante sventure per l’eternità? Sì, F. M., per darvi un’idea dell’enormità di questo peccato, io vi mostrerò, per quanto mi sarà possibile:
1° la spaventosa bruttezza di questo delitto;
2° in quanti modi possiamo rendercene colpevoli;
3° quali sono le cause che vi ci possono condurre;
4° infine, ciò che dobbiamo fare per preservarcene.
I. — Per farvi comprendere l’enormità di questo peccato che rovina tante anime, bisognerebbe spiegarvi qui davanti tutto ciò che l’inferno ha di più orribile, di più disperato e, nel medesimo tempo, tutto ciò che la potenza di Dio esercita su una vittima colpevole d’un simile delitto. Ma, voi comprendete al pari di me, che non sarà mai possibile capire l’enormità di questo peccato, ed il rigore della giustizia di Dio verso gli impudici. Io vi dirò solo che chi commette il peccato d’impurità si rende colpevole d’una specie di sacrilegio, poiché essendo il nostro cuore il tempio dello Spirito Santo, essendo il nostro corpo un membro di Gesù Cristo, profaniamo veramente questo tempio colle impurità alle quali ci abbandoniamo; e del nostro corpo, che è un membro di Gesù Cristo, facciamo il membro d’una prostituta.« (I Cor. VI, 15, 19). Considerate ora, se potrete mai farvi un’idea approssimativa dell’oltraggio che questo peccato fa a Dio, e della punizione che esso merita. Ah! F. M., bisognerebbe potere trascinar qui, al mio posto, quella infame regina Gezabele che colle sue impudicizie ha perduto tante anime; bisognerebbe ch’ella stessa vi facesse il quadro disperante delle pene che soffre e che soffrirà per tutta l’eternità, in quel luogo di orrore dove è precipitata per le sue turpitudini. Ah! la sentireste gridare dal mezzo delle fiamme che la divorano: “Ahimè! quanto soffro! Addio cielo beato, io non ti vedrò mai, tutto è finito per me. Ah! maledetto peccato d’impurità, le fiamme della giustizia di Dio mi fanno pagar ben cari quei piaceri che ho gustati! Se avessi la fortuna di essere ancora sulla terra, quanto mi sarebbe cara la virtù della purità, ben più che nel passato! „ – Ma andiamo un po’ più avanti, F. M., forse sentirete meglio l’orrore di questo peccato. Io non parlo d’un pagano che non ha la fortuna di conoscere Dio, ma d’un Cristiano che sa quanto questo vizio sia opposto alla santità della sua condizione di figlio di Dio; d’un Cristiano che è stato bagnato dal suo Sangue adorabile, che tante volte gli ha servito di dimora e di tabernacolo. Come questo Cristiano può abbandonarsi ad un tal peccato? Dio mio! vi si può pensare senza morire di spavento? Ascoltate ciò che dice lo Spirito Santo: Chi è tanto sventurato d’abbandonarsi a questo maledetto peccato, merita di essere calpestato sotto i piedi del demonio, come le immondizie sotto i piedi degli uomini (Eccli. IX, 10). Gesù Cristo disse a S. Brigida che si vedeva costretto a preparare tormenti terribili per gli impudici, e che quasi tutti gli uomini erano infetti di questo vizio infame. Se ci prendiamo il gusto di percorrere la sacra Scrittura, vediamo che, dal principio del mondo, Dio ha perseguitato nel modo più severo gli impudici. Vedete, tutti gli uomini prima del diluvio che s’abbandonano a questo infame vizio; il Signore non può più sopportarli; si pente di averli creati; si trova costretto di punirli nel modo più spaventoso, giacché apre su di essi le cateratte del cielo, e li fa perir tutti nel diluvio universale (Gen. VI). – Bisognava che questa terra, insozzata da tanti delitti e così perversa agli occhi di Dio, fosse purificata dal diluvio; cioè dalle acque della collera del Signore. Se andate più avanti, vedete gli abitanti di Sodoma e Gomorra, e delle altre città vicine, abbandonarsi a delitti così spaventosi d’impurità, che il Signore, nella sua giusta collera, fece cadere su quei luoghi maledetti una pioggia di fuoco e di zolfo che li abbruciò coi loro abitanti; uomini, bestie, piante, campi, pietre, furono come annientati; questo luogo è stato così maledetto da Dio, che ancor oggi non è che un mare maledetto (Gen. XIX). Si chiama Mar Morto, perché non dà vita ad alcun pesce e, sulle sue rive, si trovano certi frutti di bella apparenza, ma non rinchiudenti che un pugno di cenere. In altro luogo, vediamo che il Signore ordinò a Mosè di mettere a morte ventiquattromila persone, perché si erano date all’impurità (Num. XXV, 9). Sì, F. M., possiamo dire che questo maledetto peccato dell’impurità è stato, dal principio del mondo fino alla venuta del Messia, la causa di tutte le disgrazie dei Giudei. Vedete Davide, Salomone e tanti altri. Che cosa ha attirato tanti castighi su di loro e sui loro sudditi, se non questo maledetto peccato? Dio Mio! quante anime Vi strappa questo peccato, oh! quante ne trascina all’inferno! – Se passiamo dall’Antico al Nuovo Testamento, i castighi non sono minori. S. Giovanni ci dice che Gesù Cristo gli fece vedere, in una rivelazione, il peccato d’impurità sotto la forma di una donna, seduta su di una bestia, che aveva sette teste e dieci corna, per mostrarci che questo peccato viola i dieci comandamenti della legge di Dio e racchiude tutti i sette vizi capitali (Apoc. XVII, 3). Se volete convincervene non avete che da esaminare la condotta di un impudico; vedete che non v’è comandamento ch’egli non trasgredisca, e peccato capitale di cui non si renda colpevole, accontentando i desideri del suo corpo. Non voglio entrare in tutti questi particolari; osservate voi stessi, e vedrete che ciò è vero. Ma aggiungerò che non v’è alcun peccato nel mondo che faccia commettere tanti sacrilegi: gli uni non conoscono la metà dei peccati che commettono in questo modo, e, per conseguenza, non li confessano; gli altri non li vogliono dire sebbene li conoscano; cosicché nel giorno del giudizio vedremo che non v’è altro peccato che abbia gettate tante anime nell’inferno. Sì, F. M., questo peccato è tanto orribile che noi ci nascondiamo per commetterlo; ma vorremmo anche nasconderlo a noi stessi, tanto è infame persino agli occhi di coloro che se ne rendono colpevoli!
II. —- Ma, per meglio farvi comprendere quanto questo peccato, che è così orribile, sia tuttavia comune tra i Cristiani, e quanto sia facile commetterlo, vi dirò in quanti modi si pecca contro il sesto comandamento della Legge di Dio. Si pecca in sei modi: coi pensieri, desiderii, sguardi, parole, azioni, occasioni.
1° Anzitutto coi pensieri: vi sono molti che non sanno distinguere un pensiero da un desiderio: ciò che può causare delle confessioni sacrileghe. Ascoltatemi bene e lo vedrete. Commettiamo un cattivo pensiero quando il nostro spirito volontariamente si ferma a pensare a cose impure, o riguardo a noi, o riguardo ad altri, senza desiderare però di compiere ciò che si pensa; si lascia solo infracidar lo spirito su queste cose sconce e disoneste. Ve ne confessate: bisogna dire quanto tempo vi avete lasciato fermo il vostro pensiero senza distornarlo, ed ancora se avete pensato a cose che potevano condurvici pel ricordo di qualche conversazione fatta, di qualche familiarità che vi siete permessa, o di qualche oggetto che avete visto. Il demonio vi rimette ciò davanti agli occhi appunto nella speranza di condurvi al peccato almeno di pensiero.
2° Inoltre noi pecchiamo di desiderio. Ecco, F. M., la differenza che v’è tra pensiero e desiderio; il desiderio, è il voler effettuare ciò a cui pensiamo; ma per parlarvi più chiaramente, è il voler commettere il peccato d’impurità, dopo avervi pensato per qualche tempo, allorché ne troveremo l’occasione, o la cercheremo. – Bisogna dire se questo desiderio è restato nel nostro cuore, se abbiamo fatto qualche passo per effettuare ciò che abbiamo desiderato, se abbiamo sollecitato qualcheduno a fare il male con noi; poi, quali sono le persone che abbiamo voluto condurre al male, se è un fratello, una sorella, un figlio, una madre, una cognata, un cognato, un cugino. E bisogna dire tutto questo, altrimenti la vostra confessione non varrebbe nulla. Però, non bisogna nominare le persone più di quanto sia necessario per far conoscere il proprio peccato. Certamente che, se aveste fatto del male con un fratello od una sorella, e vi accontentaste di dire che avete peccato contro la santa virtù della purità, non basterebbe davvero.
3° Si pecca cogli sguardi, quando si portano gli occhi su oggetti impuri, o su qualche cosa che possa condurci all’impurità. Non v’è porta per la quale il peccato entri sì spesso, così facilmente quanto per gli occhi; perciò il santo Giobbe diceva: “Ch’egli aveva fatto un patto coi suoi occhi di non guardare mai una persona in faccia (Giob. XXXI, 1).„
4° Noi pecchiamo colle parole. Si parla, F. M., per manifestare all’esterno ciò che si pensa internamente, cioè ciò che avviene nel nostro cuore. Voi dovete accusarvi di tutte le parole impure che avete dette, quanto tempo ha durato la vostra conversazione; qual motivo vi ha eccitato a dirle, a quali e a quante persone le avete dette. Ahimè! F. M., vi sono poveri fanciulli pei quali sarebbe meglio trovare sulla via un leone od una tigre, che certi impudici. Se, come si dice, la bocca parla per l’abbondanza del cuore, giudicate quale deve essere la corruzione di questi infami che si avvoltolano, si trascinano ed affogano, per così dire, nel fango della loro impurità. Dio mio! se voi ci dite che si conosce l’albero dal frutto, quale abisso di corruzione dev’essere questo!
5° Noi pecchiamo colle opere. Tali sono le libertà colpevoli su se stesso o sugli altri, i baci impuri, senza osare dirvi il resto; capite abbastanza quello che dico. Dio mio! Dove sono quelli che, nelle loro confessioni si accusano di tutto questo? Ah! quanti sacrilegi questo maledetto peccato d’impurità fa commettere! Noi non lo conosceremo che nel gran giorno delle vendette. Quante giovani stanno due o tre ore con libertini che vomitano continuamente dalle loro bocche infernali ogni sorta di impurità. Mio Dio! come non bruciare in mezzo ad un braciere così ardente?
6° Si pecca colle occasioni, o dandole o prendendole. Dico col darle, come una donna indecentemente composta, che lascia il fazzoletto troppo slacciato, il collo e le spalle scoperte, o indossa vesti che delineano troppo la forma del corpo, oppure veste in un modo troppo ricercato. No, queste disgraziate non sapranno che al tribunale di Dio il numero dei peccati che avranno fatto commettere. Quante persone maritate sono meno riservate dei pagani! Una ragazza è altresì colpevole di una quantità di peccati impuri, che sono quasi sempre peccati mortali, ogni volta che è troppo facile e troppo familiare coi giovani. Si è pure colpevoli andando con persone le quali ben si sa che non hanno in bocca altro che parole sconce. Voi potete non esservene dilettati, ma avete sempre il torto di esporvi a quell’occasione. Spesso, illudendoci, crediamo di non far male, mentre pecchiamo orribilmente. Così le persone che si trovano assieme perché devono sposarsi, credono che non vi sia alcun male, se passano soli, di giorno e di notte, un tempo abbastanza lungo. Non dimenticate, F. M., che tutti gli abbracci che si danno in questi momenti, sono quasi tutti peccati mortali perché non sono provocati che da un’amicizia carnale. Quanti fidanzati non hanno alcun ritegno: si caricano dei delitti più spaventosi, e sembrano obbligare la giustizia di Dio a maledirli al momento del loro matrimonio. Voi dovete essere in questo tempo così riservati come lo siete colle vostre sorelle: tutto ciò che si fa di più è un peccato. Ahimè! mio Dio, dove sono quelli che se ne accusano? quasi nessuno. Ed ancora dove sono coloro che entrano santamente nello stato matrimoniale? Ahimè! quasi nessuno. E per questo quanti mali nel matrimonio e per l’anima e pel corpo. Ah! mio Dio! ed i genitori che lo sanno possono dormire tranquilli! Ahimè! quante anime si trascinano da sé nell’inferno! Si pecca ancora contro la santa virtù della purità quando di notte ci alziamo svestiti per uscire, e servire un ammalato, o per aprire la porta. Una madre deve guardarsi bene da ogni sguardo disonesto, e da qualsiasi contatto non necessario coi propri figliuoli. I padri, le madri, i padroni sono colpevoli di tutte le familiarità che si permettono fra di loro figli e altresì i domestici, quando possono impedirle. Si è ancora colpevoli, leggendo o dando da leggere libri cattivi o canzoni licenziose: scrivendosi lettere tra persone di sesso diverso. Si partecipa al peccato favorendo appuntamenti tra i giovani, anche sotto pretesto di matrimonio. Voi siete obbligati, F. M., a dichiarare tutte le circostanze aggravanti, se volete che le vostre confessioni siano buone. Ascoltatemi, e comprenderete meglio. Se peccate con una persona già abbandonata al vizio, che ne fa professione, vi rendete volontariamente lo schiavo di satana, ed incorrete nella dannazione eterna. Ma, insegnare il male ad un giovane, indurlo per la prima volta al male, strappargli l’innocenza, rubargli il fiore della verginità, aprire la porta del suo cuore al demonio, chiudere il cielo a quest’anima che era oggetto d’amore alle tre Persone della Ss. Trinità, renderla degna dell’esecrazione del cielo e della terra; questo peccato è ancora infinitamente più grande del primo, e siete obbligati ad accusarvene. Peccare con una persona libera, né maritata né parente è, secondo S. Paolo, un delitto che ci chiude il cielo e ci spalanca gli abissi; ma peccare con una persona legata dai vincoli del matrimonio, è un delitto che ne racchiude molti altri; è una orribile infedeltà, che profana e distrugge tutte le grazie del sacramento del matrimonio; è altresì un esecrabile spergiuro che calpesta una fede giurata ai piedi dell’altare, alla presenza non solo degli Angeli, ma di Gesù Cristo stesso; delitto che è capace di attirare ogni sorta di maledizioni non solo su di una casa, ma anche su di una parrocchia. Peccare con una persona che non è né parente né affine, è un grave peccato, peccato che ci rovina per sempre; ma peccare con una parente od affine, cioè un padre colla figlia, una madre col figlio, un fratello colla sorella, un cognato colla cognata, un cugino colla cugina, è il più grande di tutti i delitti che si possa immaginare; è prendersi giuoco delle leggi più inviolabili del pudore; è calpestare sotto i piedi i diritti più sacri della religione e della natura. Infine, peccare con una persona consacrata a Dio, è il colmo di tutti i delitti, poiché è uno spaventevole sacrilegio. Mio Dio! e vi possono essere Cristiani che si abbandonano a tutte queste turpitudini? Ahimè! se almeno, dopo tali orrori, si ricorresse al buon Dio per domandargli di strapparci da questo abisso! Ma no, si vive tranquilli, e la maggior parte non aprono gli occhi che quando cadono nell’inferno. Vi siete formata un’idea, F. M., dell’enormità di questo peccato? No, senza dubbio, perché ne avreste ben più orrore, ed avreste preso maggiori precauzioni per non cadervi.
III. — Se mi domandate ora che cosa può condurci ad un tale delitto, amico mio, non ho che da aprire il catechismo ed interrogare un fanciullo, dicendogli: Che cosa è che ci conduce ordinariamente a questo vizio detestevole? Egli semplicemente mi risponderà: Signor Parroco, sono le danze, i balli, la troppa familiarità con le persone di sesso differente; le canzoni, le parole libere, l’immodestia nel vestire, gli eccessi nel mangiare e nel bere. Dico: gli eccessi nel mangiare e nel bere. Mi domandate perché questo: eccolo, F. M.: il nostro corpo non tende che alla perdita della nostra anima: necessariamente bisogna farlo soffrire, senza di che o presto o tardi, egli getterà la nostra anima nell’inferno. Una persona che ha a cuore la salute della propria anima non lascerà passar giorno senza mortificarsi in qualche cosa, nel mangiare, nel bere, nel dormire. Riguardo all’eccesso del vino, S. Agostino ci dice chiaramente che un bevitore è impudico; ciò che è molto facile provare. Entrate in una bettola dove possiate essere in compagnia d’un bevitore; questi non avrà altro in bocca che parole le più sconce; lo vedrete fare le azioni più vergognose: e non le farebbe certo se non fosse preso dal vino. Da questo dunque vedete, F. M., che, se vogliamo conservare la purità della nostra anima, dobbiamo necessariamente rifiutare qualche soddisfazione al nostro corpo, altrimenti esso ci perderà. Dico che i balli e le danze ci conducono a questo vizio infame. È il mezzo di cui si serve il demonio per strappare l’innocenza almeno a tre quarti dei giovani. Non ho bisogno di provarvelo; troppo disgraziatamente lo sapete per vostra esperienza. Ahimè quanti cattivi pensieri, cattivi desiderii, ed azioni vergognose sono causate dalle danze! Mi basterebbe dirvi che otto concili tenuti in Francia proibivano il ballo, anche nelle nozze, sotto pena di scomunica. — Ma, mi direte, perché vi sono dei sacerdoti che danno l’assoluzione a queste persone senza riprovarle? — Riguardo a questo, io non dico nulla, ciascuno renderà conto di ciò che ha fatto. Ahimè! F. M., di dove è venutala perdita di tanti giovani? Perché non hanno più frequentato i Sacramenti? Perché hanno perfino tralasciate le loro preghiere? Non cercatene altrove la causa se non nel ballo. Di dove può venire questa grande disgrazia che molti non fanno più Pasqua, o la fanno male? Ahimè! dal ballo. Quante giovani dopo il ballo hanno perduto il loro onore, la loro povera anima, il cielo, il loro Dio! S. Agostino ci dice che minor male sarebbe lavorar tutta la domenica, che ballare. Sì, F. M., nel grande giorno del giudizio, vedremo che queste giovani mondane hanno fatto commettere più peccati che non i capelli che hanno sul capo. Ahimè! quanti sguardi maliziosi, desideri cattivi, contatti disonesti, parole impure, abbracciamenti peccaminosi, quante gelosie, questioni e litigi si vedono in un ballo od in conseguenza di esso! Per meglio convincervene, F. M., ascoltate ciò che ci dice il Signore per bocca del profeta Isaia: “I mondani danzano al suono dei flauti e dei tamburi, ed un momento dopo precipitano nell’inferno. „ (Tenent tympanum et citharam, et gaudent ad sonitum organi, Ducunt in bonis dies suos, et in puncto ad inferno descendunt. Job. XXXI, 12, 13. Questo testo è di Giobbe e non del profeta Isaia. Faremo notare che non è la sola volta che il Beato attribuisce ad un autore dei testi che appartengono ad un altro). Lo Spirito Santo ci dice per bocca del profeta Ezechiele: “Va a dire ai figli dell’amore che perché si sono dati alle danze, io li punirò rigorosamente; affinché tutto Israele sia preso da terrore. „ S. Giovanni Crisostomo ci dice che i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe non permisero mai che si danzasse alle loro nozze, temendo di attirare su di sé le maledizioni del cielo. Ma non ho bisogno di andare a cercare altre prove. Siate sinceri. Ditemi schiettamente; non è vero che non vorreste morire tornati dal ballo? Senza dubbio, perché non sareste pronti a comparire davanti al tribunale di Dio. Ditemi, perché non vorreste morire in questo stato, e perché non mancate di confessarvene? È dunque vero; voi stessi sentite che fate male; altrimenti non avreste bisogno di accusarvene e non temereste di comparire davanti a Gesù Cristo. Ascoltate ciò che ci dice S. Carlo Borromeo parlando del ballo: al suo tempo si condannava a tre anni di pubblica penitenza una persona che andava al ballo e, se continuava, la si minacciava di scomunica. Ma non andiamo più avanti, F. M.:la morte vi proverà ciò che dico oggi, ma allora per molti sarà troppo tardi. Bisogna essere proprio ciechi per credere che non vi sia gran male nel ballo, quando vediamo che tutte le persone desiderose di assicurarsi il cielo l’hanno lasciato ed hanno pianto di esservi andate nel tempo delle loro dissolutezze. Ma, teniamo nascosto ogni cosa fino al giorno delle vendette, dove vedremo tutto ciò più chiaramente, quando la corruzione del cuore non troverà più scusa. – Dico inoltre che l’immodestia negli abiti conduce a questo vizio vergognoso. Sì, F. M., una persona che non si veste decentemente è causa di molti peccati: di sguardi maliziosi, di cattivi pensieri, di parole disoneste. Volete sapere, almeno in parte, il male di cui siete la causa? Mettetevi per un momento ai piedi del vostro crocifisso, come se foste per essere giudicati. Si può dire che le persone vestite in modo mondano sono una sorgente d’impurità, ed un veleno che dà la morte a tutti quelli che non hanno la forza di fuggirle. Vedete in esse quell’aria effeminata o piacevole, quegli sguardi penetranti, quei gesti vergognosi, che come tante saette intinte nel veleno della loro impudicizia, feriscono quasi tutti gli occhi disgraziati che li guardano. Ahimè!quanti peccati fa commettere un cuore insozzato da questo fango impuro! Ahimè! vi sono poveri cuori, che ardono di questo vizio turpe come un pugno di paglia gettata nel fuoco. Io non so se avete cominciato a farvi un’idea dell’enormità di questo peccato, e in quanti modi si può rendersene colpevoli: pregate il buon Dio, F. M., che ve lo faccia conoscere e vi faccia concepire un tale orrore, da non commetterlo mai più.
IV. — Ma, vediamo ora che cosa bisogna fare per preservarsi da questo peccato, che è così orribile agli occhi di Dio, e trascina tante povere anime nell’inferno. Per mostrarvelo in modo chiaro e semplice, non ho che da aprire ancora una volta il mio catechismo. Se domandassi ad un fanciullo quali sono i mezzi che dobbiamo usare per non cadere in questo maledetto peccato, colla solita semplicità mi risponderebbe: Ve ne sono parecchi, ma i principali sono il ritiro, la preghiera, la frequenza ai Sacramenti, una grande divozione alla santissima Vergine, la fuga delle occasioni, e lo scacciare prontamente tutti i cattivi pensieri che il demonio ci presenta. Dico che bisogna amare il ritiro; non voglio dire che bisogna nascondersi in un bosco, e neppure in un monastero, ciò che del resto sarebbe una grande fortuna per voi; ma vi dico solo che bisogna fuggire la compagnia di quelle persone le quali non parlano che di cose capaci di turbarvi la fantasia, oppure non s’occupano che di affari terreni, e niente del buon Dio. Ecco, F. M., ciò che voglio dire. La domenica soprattutto, invece d’andare a trovare i vostri vicini o le vicine, prendete un libro, per esempio l’Imitazione di Cristo, o la Vita dei Santi; vedrete come essi hanno combattute le tentazioni che il demonio faceva nascere nel loro spirito; vedrete quanti sacrifici hanno fatto per piacere a Dio e per salvare le loro anime: questo vi incoraggerà. Farete come S. Ignazio che, ferito, si mise a leggere la Vita dei Santi; vedendo le lotte che essi avevano sostenuto, ed il coraggio col quale combattevano per Dio, disse tra se stesso: “E perché non farò io come hanno fatto questi Santi? Non ho il medesimo Dio che m’aiuterà a combattere, lo stesso cielo da sperare, ed il medesimo inferno da temere? „ Voi farete lo stesso. Sì, F. M., è necessario fuggire la compagnia delle persone che non amano Dio. Stiamo col mondo solo per necessità, quando il nostro dovere vi ci chiama. Dico altresì che se vogliamo conservare la purità della nostra anima, dobbiamo amare la preghiera. Se mi domandate perché bisogna pregare, ve lo dico subito: questa bella virtù della purità viene dal cielo, e per mezzo della preghiera dobbiamo domandarla e conservarla. È certo che una persona che non ricorre alla preghiera, non conserverà mai l’anima pura agli occhi di Dio. Colla preghiera, noi conversiamo col buon Dio, cogli Angeli e coi Santi, e con questo trattenimento celeste diventiamo necessariamente spirituali; il nostro spirito ed il nostro cuore si staccano a poco a poco dalle cose create per non considerare ed amare che le cose del cielo. Non bisogna però credere che ogni volta che si è tentati noi si offenda Iddio; il peccato sta solo nell’acconsentirvi e nel piacere che vi si prende. Fossimo tentati per otto o per quindici giorni, se il peccato ci fa orrore sarà di noi come dei fanciulli nella fornace di Babilonia, che ne uscirono più belli (Dan. III. 94). Dobbiamo subito ricorrere a Dio, dicendogli: “Dio mio, aiutatemi; sapete che senza di Voi non posso far altro che perdermi; ma, colla vostra grazia, sono sicuro di uscir vittorioso dal combattimento. Ah! santa Vergine – dobbiamo dire – non permettete che il demonio rapisca la mia anima, che ha costato tanti dolori al vostro divin Figliuolo.„ Per conservare la purità, bisogna ricorrere ai Sacramenti e riceverli colle dovute disposizioni. Sì, F. M., una persona che ha la fortuna di frequentare spesso e santamente i Sacramenti, può assai facilmente conservare questa bella virtù. Ed abbiamo una prova che i Sacramenti ci sono di grande aiuto, negli sforzi che il demonio fa per allontanarcene o per farceli profanare. Vedete, quando vogliamo accostarvici: quanti timori, agitazioni, disgusti suscita in noi il demonio. Ora ci dice che noi facciamo quasi sempre male, ora che il sacerdote non ci conosce, o che non ci facciamo conoscere abbastanza, e tante altre cose. Ma, per burlarci di lui, dobbiamo raddoppiare le cure, accostarvici più spesso, e poi nasconderci nel seno della misericordia di Dio, dicendogli: “Voi sapete, o mio Dio, che io non cerco che Voi e la salvezza della mia povera anima. „ No, F. M., non v’è nulla che ci renda tanto formidabili agli occhi del demonio quanto la frequenza dei Sacramenti: eccone la prova. Vedete S. Teresa. Il demonio per bocca d’un ossesso, confessò che questa Santa gli era diventata così formidabile colla santità attinta dalle sue Comunioni, tanto che egli non poteva nemmeno respirare l’aria dove ella passava. Se ne cercate la ragione, è facile comprenderla: l’adorabile sacramento dell’Eucaristia, non è il vino che genera i vergini? (Zacc. IX). Come non esser puro ricevendo il Re della purità? Volete conservare od acquistare questa bella virtù che rende simili agli Angeli? Frequentate spesso e santamente i Sacramenti: siete sicuri che, malgrado tutti gli sforzi del demonio, avrete la grande ventura di conservare la purità della vostra anima. Se vogliamo conservar puro questo tempio dello Spirito Santo, bisogna avere una grande divozione alla Ss. Vergine, perché Ella è la Regina dei vergini. Fu Lei che per la prima, innalzò lo stendardo di questa incomparabile virtù. Vedete quanto il buon Dio la stimi: non ha sdegnato di nascere da madre povera, sconosciuta dal mondo, d’avere un padre putativo povero; ma gli occorreva una Madre pura e senza macchia, un padre putativo che riguardo alla purità fosse inferiore solo alla S. Vergine. S. Giovanni Damasceno ci incoraggia assai ad avere una tenera divozione verso la purità della S. Vergine; egli ci dice che tutto ciò che si domanda a Dio per la purità della santa Vergine lo si ottiene sempre. Ci dice che questa virtù è così gradita agli Angeli che essi in cielo cantano senza posa: “O Vergine dei vergini, noi vi lodiamo; Madre del bell’amore, vi benediciamo. „ S. Bernardo, il grande servo di Maria, ci dice che egli ha convertito più anime con l’Ave Maria che con tutti i suoi discorsi. Siete tentati? ci dice; chiamate in vostro aiuto Maria, e siate sicuri che non soccomberete alla tentazione (Hom. super Mìssus est, 17). Quando recitiamo l’Ave Maria, ci dice, tutto il cielo si rallegra e sussulta di gioia, e l’inferno intero freme ricordandosi che Maria è stata l’istrumento che Dio ha adoperato per incatenarlo. Perciò il gran santo ci raccomanda tanto la divozione verso la Madre di Dio, affinché Maria ci custodisca come suoi figli. Se siete i diletti di Maria, state sicuri di essere i diletti del Figliuol suo. Moltissimi santi Padri ci raccomandano di aver una grande divozione verso Maria, e di fare di quando in quando qualche Comunione in suo onore, e soprattutto in onore della sua santa purità; cosa che le è così accetta che essa non mancherà di farci sentire la sua intercessione presso il suo divin Figliuolo. – Per conservare questa angelica virtù dobbiamo combattere le tentazioni e fuggire le occasioni, come hanno fatto i Santi, che preferirono morire piuttosto che perdere questa bella virtù. Vedete ciò che fece il patriarca Giuseppe, che quando la moglie di Putifar volle sollecitarlo al male, le lasciò metà del mantello tra le mani (Gen. XXXIX, 12) . Vedete la casta Susanna che preferì di perdere la sua riputazione, quella della famiglia, e la stessa vita piuttosto che perdere questa virtù così gradita a Dio (Dan. XIII).Vedete ancora ciò che capitò a S. Martiniano che si era ritirato in un bosco per non pensare che a piacere a Dio. Una donna di cattiva vita venne da lui, fingendo di essersi smarrita nella foresta, e pregandolo di aver pietà di lei. Il Santo la ricevette nella solitudine e la lasciò sola. All’indomani, ritornato a veder che cosa ne fosse, la trovò ben vestita. Essa allora gli disse che Dio l’aveva mandata per unirsi con lui; ch’ella aveva grandi ricchezze nella città, ed egli avrebbe potuto così fare molte elemosine. Il Santo volle sapere se la cosa veniva da Dio o dal demonio; le disse di aspettare, perché tutti i giorni veniva gente a raccomandarsi alle sue orazioni, e non poteva lasciar loro fare inutilmente un lungo viaggio: e salì sulla montagna per vedere se arrivasse qualcheduno. Quando fu sulla montagna, sentì una voce: “Martiniano, Martiniano, che fai? tu ascolti la voce di satana. „ Ne fu così spaventato che ritornò nella solitudine, accese un gran fuoco, e vi si mise dentro: il dolore del peccato che era stato ad un punto di commettere, ed il dolore del fuoco gli fecero mandare lamentevoli grida. La disgraziata donna, accorsa alle grida gli domandò chi l’avesse messo in tale stato. “Ah! le rispose il Santo, non posso sopportare il fuoco di questo mondo; e come potrei sopportare quello dell’inferno, se per disgrazia avessi a peccare come voi volete? „ Questo fatto colpì talmente la donna, ch’ella restò nella cella del Santo, fece penitenza per tutta la sua vita, e Martiniano andò in un altro luogo a continuare le sue austerità (Ribadeneira, 13 febbraio). – Si racconta nella vita di S. Tommaso d’Aquino (Ibid., 7 Marzo), che gli venne mandata una donna di cattiva vita per indurlo al peccato. Fu fatta entrare nella sua stanza mentre egli era assente. Appena scorse quella creatura, afferrò un tizzone acceso e la scacciò vergognosamente. Vedete ancora S. Benedetto, che per liberarsi dai cattivi pensieri, si avvoltolava tra le spine, uscendone tutto grondante di sangue. Altre volte per estinguere questo fuoco impuro s’immergeva fino al collo nell’acqua ghiacciata (Ibid., 21 Marzo). Ma io non trovo nulla nella vita dei Santi che si possa paragonare al racconto di S. Girolamo. Dal fondo del suo deserto scrive ad uno dei suoi amici, e gli racconta le lotte che sopporta, e le penitenze che esercita sul suo corpo; non si può leggerlo senza piangere di compassione: “In questa vasta solitudine resa insopportabile dai raggi del sole – dice – non nutrendomi che di un poco di pane nero e di erbe crude, dormendo sulla nuda terra, non bevendo che acqua, anche quando sono ammalato, non cesso di piangere ai piedi del mio Crocifisso. Quando i miei occhi non hanno più lagrime, prendo una pietra e mi percuoto il petto fino a che il sangue mi esce dalla bocca, e ciononostante, il demonio non mi lascia tregua; bisogna aver sempre le armi in mano. „ (Lettera 22 a Eustochio, citata nella Vita dei Padri del deserto.). – Che cosa conchiuderemo, F. M., da tutto quanto ho detto? Non v’è virtù che ci renda tanto accetti a Dio, quanto la virtù della purità, e nessun vizio che tanto piaccia al demonio quanto il peccato d’impurità. Questo nemico non può tollerare che una persona consacrata a Dio, possegga questa virtù; ed è questo che deve incitarvi a non tralasciare nulla per conservarla. Perciò vegliate con cura sui vostri sguardi, sui vostri pensieri e su tutti i movimenti del vostro cuore; ricorrete frequentemente alla preghiera; fuggite le cattive compagnie, i balli, i giuochi; praticate la mortificazione; ricorrete alla Ss. Vergine; frequentate spesso i Sacramenti. Quale felicità, se saremo così fortunati da non lasciare macchiare il nostro cuore da questo maledetto peccato; poiché Gesù Cristo ci dice che solamente quelli che hanno il cuor puro vedranno Iddio. „ (Matt. V, 8). Domandiamo, F. M., ogni mattina al Signore di purificare i nostri occhi, le nostre mani, ed in generale tutti i nostri sensi affinché possiamo con confidenza comparire davanti a Gesù Cristo, che è il retaggio delle anime pure. È questa la fortuna che vi auguro.
Offertorium
Orémus
Ps CXXXVII: 7
Si ambulávero in médio tribulatiónis, vivificábis me, Dómine: et super iram inimicórum meórum exténdes manum tuam, et salvum me fáciet déxtera tua.
[Se cammino in mezzo alla tribolazione, Tu mi dai la vita, o Signore: contro l’ira dei miei nemici stendi la tua mano, e la tua destra mi salverà.]
Secreta
Hæc múnera, quǽsumus, Dómine, quæ óculis tuæ majestátis offérimus, salutária nobis esse concéde.
[Concedi, o Signore, Te ne preghiamo, che questi doni, da noi offerti in onore della tua maestà, ci siano salutari.]
Communio
Ps CXVIII: 4-5
Tu mandásti mandáta tua custodíri nimis: útinam dirigántur viæ meæ, ad custodiéndas justificatiónes tuas.
[Tu hai ordinato che i tuoi comandamenti siano osservati con grande diligenza: fai che i miei passi siano diretti all’osservanza dei tuoi precetti.]
Postcommunio
Orémus.
Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et tuis semper fáciat inhærére mandátis.
[O Signore, l’opera medicinale del tuo sacramento ci liberi benignamente dalle nostre perversità, e ci faccia vivere sempre sinceramente fedeli ai tuoi precetti.]
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)